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GLI ELEMENTI DI EUCLIDE E LORO CONTESTO STORICO

CONFRONTO TRA L’ASSIOMATICA CLASSICA E L’ASSIOMATICA

1. GLI ELEMENTI DI EUCLIDE E LORO CONTESTO STORICO

Il proposito che si è inteso perseguire in questo capitolo è, in parte, di mettere in risalto la linea di sviluppo che ha caratterizzato il metodo assiomatico dalle sue prime apparizioni fino al periodo contemporaneo; nel fare ciò, in continuità con la linea argomentativa dell’intera trattazione, si è scelto di prendere in considerazione due testi emblematici a tal riguardo, ossia gli Elementi di Euclide e i Fondamenti della geometria di David Hilbert. Nell’operare questa scelta ha inciso il peso che il testo di Euclide ha assunto nel presente lavoro ed ovviamente il fatto che gli Elementi siano il modello insuperabile ed insuperato di teoria deduttiva classica ed il compendio della geometria in tal modo strutturata. Di conseguenza, quale “pietra angolare” del nuovo modo di intendere il metodo assiomatico, si è reso necessario considerare i Fondamenti della geometria di David Hilbert, in quanto tale opera si propose come riqualificazione del testo euclideo. Delle ragioni e dei nuovi apparati concettuali che portarono Hilbert a “rifondare” la geometria, si parlerà nel seguito di questo capitolo; la prima parte di esso è infatti dedicata agli Elementi ed al contesto storico della matematica greca ed alle problematiche ad essa relativa. Prima di analizzare dettagliatamente il testo euclideo quindi, si procederà in un breve excursus storico, al fine di rintracciare gli aspetti scientifici e culturali che ne permisero la produzione.

Non si vuole, in questa sede, operare un’indagine sulla storia della matematica greca. Ciò prevaricherebbe l’esito della trattazione e si offrirebbe come campo d’indagine troppo vasto e troppo complesso per le mie limitate capacità al riguardo. Per tale scopo si rimanda ad opere ben più complete ed esaustive.36 E’ necessario però, prima di giungere al testo euclideo, prendere in considerazione lo sviluppo di almeno una parte del pensiero matematico greco precedente.

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È opinione del sottoscritto che le migliori opere al riguardo siano: Thomas Little Heath, A history of Greek

Mathematics, Vol. 1 -2, Oxford, Clarendon Press, 1921 – 1932. Carl B. Boyer, Storia della matematica, a cura di

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La grande fortuna che ebbe il testo degli Elementi, ha determinato la definizione di “pre – euclidea” per tutto ciò che riguarda la matematica prima di Euclide. Non è semplice rintracciare con chiarezza i caratteri peculiari che contraddistinsero i pensatori di questo periodo, in quanto le fonti sono incerte e spesso non si può distinguere tra il fatto storico e l’aneddoto. Un aneddoto appunto, vuole che sia stato Talete a portare in Grecia lo studio della geometria, avendolo egli appreso in Oriente. Tale notizia è riportata da Proclo37, in un prologo detto Riassunto, che si trova all’interno dell’opera più vasta che è il prezioso Commento al libro I degli Elementi di Euclide. Tralasciando i discorsi possibili sulla fondatezza o meno di tale notizia, occorre notare come si ponga in risalto il fatto che i primi passi della scienza abbiano come antenati le conoscenze pratiche dei popoli del bacino orientale, in particolare i problemi relativi all’agrimensura. Dei popoli mesopotamici ed egiziani si posseggono delle tavolette di calcolo in cui sono prodotti procedimenti di estensione e misurazione dei campi. Ma tali fonti sono poche e lacunose. Al di là dell’aneddoto riguardante Talete dunque, è importante notare che fu l’innesto con la cultura greca che causò un cambiamento di prospettiva, seppur graduale: dalla risoluzione di casi particolari sembra che, con Talete, si cominciò a pensare la risoluzione di casi generali. Il problema non era più il singolo campo da misurare, bensì la misura generale di tutti i campi; si cerca di generalizzare a tal punto da trovare un principio unico che renda conto di tutta la realtà. L’esigenza della generalizzazione pose subito il problema della dimostrazione. Sempre Proclo ci dice che Talete fu il primo che dimostrò l’uguaglianza delle due sezioni in cui un diametro divide un cerchio; non si può sapere cosa si intendesse con dimostrazione ma tuttavia ciò è indicativo del fatto che si andava proponendo un nuovo modo di interpretare la realtà che si percepiva. Si sollevò quindi la domanda di quale fosse il dominio del misurabile. A questo punto, poiché l’obiettivo che si persegue è quello di dipanare le fila concettuali che costituiscono l’intelaiatura degli Elementi, è necessario considerare coloro che intesero per primi la

matematica come scienza, ossia gli esponenti della scuola pitagorica. Non si ritiene opportuno in

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Proclo Licio Diadoco (412 – 485), filosofo e matematico bizantino. Fu scolarca dell’Accademia di Atene ed ebbe il merito di portare ad alti livelli speculativi il neoplatonismo.

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questa sede trattare della complessità delle dottrine di tale corrente di pensiero, né prendere in considerazione la figura di Pitagora, resa complessa da una caratterizzazione semidivina che impedisce di tracciarne un profilo storico esatto. Basti sapere, al fine di rendere merito alla trattazione, che sulla scia dei filosofi della scuola ionica, i quali cercavano il principio primo (archè) di ogni cosa esistente nel mondo, essi individuarono questo principio in un elemento immateriale, il “numero”. Così facendo, avviarono il processo di sistematizzazione razionale della geometria e la ricerca dei concetti fondamentali di essa. Lo stesso Proclo descrive in seguito Pitagora come colui che per primo fece della geometria uno studio liberale:

Pitagora diresse lo studio di essa [la geometria] verso una forma di dottrina liberale, investigando dall’alto i suoi principi e studiando i teoremi sotto l’aspetto immateriale e teorico (65, 15 – 19)

Ed ancora Aristotele riferisce:

Coloro che sono chiamati pitagorici furono i primi a dedicarsi alle scienze matematiche ed a farle avanzare e, avendo trovato in esse il proprio alimento, ritennero che i principi di esse coincidessero con i principi di tutte le cose (Metaph. A 5, 985b, 23 – 26)38

Da tali loro speculazioni, i pitagorici formularono una teoria aritmo – geometrica, nella quale l’unità aritmetica, non numero di per se stesso, ma principio formale della serie numerica, coincide con il punto geometrico, pensato come elemento costitutivo delle figure geometriche e nella quale i numeri rappresentano non solo e non tanto entità aritmetiche, quanto, attraverso le diverse disposizioni spaziali delle unità che li compongono, figure geometriche che “imitano” l’essenza ultima delle cose. Tale ente inteso come punto - unità fu da loro chiamato “monade”. La scoperta

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dell’incommensurabilità tra il lato e la diagonale del quadrato mise in crisi la teoria aritmo – geometrica e portò ad una revisione critica dei suoi principi. L’esistenza infatti della monade, che per due linee qualsiasi può assumere, essendo la monade il più piccolo elemento costitutivo di un linea, il valore di una minima misura comune, è messa in dubbio dalla realtà delle linee incommensurabili. Per giustificare l’incommensurabilità i pitagorici furono costretti ad assegnare alla loro monade, il carattere dell’indivisibilità. La revisione di tali principi, iniziata già dagli stessi pitagorici, fu portata avanti dagli esponenti della scuola di Elea.

La scoperta dell’incommensurabilità e quindi dei numeri irrazionali, produsse un effetto dirompente. Molti pensatori provarono a trovare un rimedio per migliorare l’approssimazione dei numeri irrazionali, tra cui Teodoro (contemporaneo di Socrate), Teeteto e Democrito. Platone era molto interessato all’argomento e nelle Leggi (819 – 820) dice che è deprecabile la generale ignoranza in materia. Una delle conseguenze più importanti di tale scoperta fu la trattazione della teoria delle proporzioni da parte di Eudosso di Cnido (408 circa – 355 circa a.C.). Tale trattazione occuperà l’intero libro V degli Elementi di Euclide. Quindi, la scoperta dei numeri irrazionali mise in crisi la concezione della realtà intesa come qualcosa di ordinato, armonioso e razionale. E, d’altro canto, è risaputo come l’uomo greco abbia per primo aspirato a circoscrivere i contorni della verità, ad interrogare la realtà e a cercare una conoscenza che si potesse dire lucida e razionale. Ed è altrettanto noto come l’uomo greco abbia tentato di produrre un sapere capace di rendere certo il suo proprio ragionamento. È su quest’ultimo concetto che si ritiene necessario soffermare la nostra analisi. La possibilità di un ragionare controllabile, universalmente valido e rigoroso è lo stimolo che ha animato il pensiero occidentale fin dal suo inizio. Chi per primo esibì la certezza in un discorso chiaro, inoppugnabile ed apparentemente indiscutibile fu Parmenide. In forma poetica, egli tracciò i lineamenti di un pensiero certo e rigoroso, come certa e rigorosa doveva essere l’unicità dell’essere. Il suo allievo Melisso conservò tale rigore aggiungendo un requisito fondamentale: la prosa. Si stabilisce quindi l’esigenza di creare un linguaggio per comunicare un certo tipo di sapere, che nel

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caso specifico è la metafisica. La tendenza è quindi quella di una formalizzazione del linguaggio filosofico – scientifico. L’altro allievo di Parmenide, che pose in risalto l’aspetto logico – matematico, fu Zenone, autore dei celebri paradossi sul moto. Questa breve esposizione vuole avvicinare il lettore alla conoscenza del fatto che si cominciò ad avere l’esigenza di disciplinare il

pensiero, di formulare procedure atte a rendere il ragionamento chiaro ed inequivocabile. Si

cominciò ad argomentare, a dimostrare. L’esigenza di fondo è quella di esibire il valore razionale delle proprie spiegazioni della realtà. Tutto ciò fu espresso in massimo grado da Platone. Nei suoi scritti confluiscono infatti le esperienze di pensiero di questi autori precedenti (soprattutto la teoria aritmo – geometrica pitagorica) e vengono rielaborate secondo un modo di procedere dialettico. Come si vedrà in seguito infatti, le teorie platoniche costituiscono la matrice diretta che porta al testo degli Elementi di Euclide. Ma vi è un ulteriore grado prima di giungere al testo euclideo, seppur anch’esso contenente residui di stampo platonico39

, rappresentato dal pensiero in ambito logico di Aristotele.

Possiamo infatti ora chiederci che cosa si debba intendere per assiomatica. Nel dare una risposta riteniamo corretto partire dalle prime parole degli Analitici Secondi di Aristotele:

Ogni insegnamento ed ogni apprendimento dianoetico [fondato sul pensiero discorsivo] procede da una conoscenza preesistente in precedenza (I 1, 71a 1 – 2).

Infatti la stessa parola “assiomatica” rimanda al termine “assioma” che sempre Aristotele, negli

Analitici Secondi, definisce così:

chiamo invece assioma quello che è necessario che possieda chi imparerà qualunque cosa (I 1, 72a 16 – 17)

39 Il riferimento è al termine sillogismo già presente in Platone con il significato di “inferire” (Gorgia, 479C 5 -6;

Repubblica,VII 516B 9, 517 C1) o di “ragionamento” (Cratilo, 412A 5 – 6,; Teeteto, 186D3). David Ross individua nei Topici diversi passi in cui il termine viene adoperato sia con il significato di “inferire” che di “ragionamento”.

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In termini generali, il punto di vista dell’assiomatica può essere descritto come segue: in un sistema deduttivo, la dimostrazione di un teorema consiste nel far vedere che esso è una conseguenza logica necessaria di alcune proposizioni precedenti; queste a loro volta devono essere dimostrate; e così via. Tale procedimento equivarrebbe perciò ad una impossibile regressione all’infinito, a meno che non si ammetta di potersi fermare ad un certo punto. Devono quindi esistere un certo numero di proposizioni, dette postulati o assiomi che si accettano come veri e per cui non si richiede dimostrazione. Da essi si può tentare di dedurre ogni altro teorema con un ragionamento puramente logico. In senso quindi molto generale, possiamo dire che il sistema della scienza che Aristotele configura è un sistema deduttivo, che procede da premesse riconosciute vere e tramite dimostrazione sillogistica (deduzione), arriva a conquistare la verità di talune proposizioni (tesi). Il problema dunque è scegliere le proposizioni da ritenere vere in modo immediato. Per questo bisogna notare come la concezione assiomatica di scienza sia legata in Aristotele alla via analitica di indagine che da il nome all’opera citata, Analitici Secondi, in cui si cerca di mettere a frutto le tecniche sillogistiche descritte nell’altra opera Analitici Primi. Non si vuole qui approfondire il pensiero di Aristotele, sebbene la “svolta assiomatica” che nel pensiero greco si fa risalire ad Eudosso è con Aristotele che si concretizza in misura maggiore. Infine, per quanto riguarda la relazione che si può instaurare tra la metodologia aristotelica e quella euclidea, è bene ricordare che Aristotele ha un approccio diverso all’ambito matematico rispetto ad Euclide, poiché egli è un filosofo mentre Euclide è puramente un matematico. Ossia la concezione della matematica da parte di Aristotele è subordinata ad altre peculiarità della sua dottrina mentre in Euclide ha un valore preponderante, nonostante in Aristotele si possano rintracciare interessanti spunti relativi al pensiero matematico inteso come modello per una teoria della dimostrazione. Sotto questo aspetto un lavoro monumentale, cui si rimanda, è stato svolto da Flavia Marcacci40.

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Giungiamo infine all’analisi degli Elementi di Euclide. Come si è visto, il discorso matematico è stato sempre vivace all’interno del mondo greco. L’ambito cui si è inteso volgere la nostra attenzione ha riguardato l’aspetto geometrico, anche se non slegato tuttavia da considerazioni di carattere prettamente filosofico. Ciò l’imponeva la varietà e la complessità dell’universo concettuale del pensiero scientifico greco. Il testo degli Elementi si erge pertanto a compendio di quello che era stato il pensiero matematico precedente. Come introduzione al testo si considererà il titolo stesso dell’opera, “elementi”, riportando quanto al riguardo ci dice Proclo:

Il termine “elemento”si può usare in due sensi, come dice Menecmo: secondo il primo, ciò che dimostra è elemento di ciò che è dimostrato, così come in Euclide la prima proposizione è elemento della seconda, e la quarta della quinta. Allo stesso modo molte proposizioni possono essere dette elementi le une alle altre, perché si dimostrano tra loro reciprocamente. Così dal fatto che gli angoli esterni di una figura rettilinea sono uguali a quattro retti, si può dimostrare a quale numero di angoli retti sono eguali gli angoli interni della figura, e reciprocamente. E un tale elemento è una specie di lemma. Ma in un altro senso si dice “elemento” la parte più semplice nella quale si risolve il composto. Peraltro non ogni cosa potrà essere detta elemento di un tutto, ma solo le più originarie fra le cose ordinate in ragione di un risultato, come per esempio i postulati sono elementi dei teoremi. È questo il significato di “elemento” secondo cui Euclide ha ordinato gli Elementi, alcuni relativi alla geometria del piano, altri alla stereometria. (Comm. A Eucl. 72)

“Elementi” sta allora a sistema correlato di singoli componenti; in senso moderno, è un sistema di proposizioni legate e che si richiamano l’una all’altra.

È risaputo ormai che Euclide avesse a disposizione una vasta quantità di ricerche e nozioni matematiche precedenti; tuttavia, pur offrendo un maestoso compendio di esse, Euclide non le riporta pedissequamente, bensì le rielabora e le analizza, in modo che il testo presenti comunque un carattere tale da permettere l’attribuzione di una certa indipendenza critica ad Euclide. Assunta come nostra

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fonte Proclo, è necessario a questo punto porre in risalto tra le diverse interpretazioni che ci vengono fornite a partire da essa, una in particolare.

La tesi che preme ricordare è quella sostenuta da Zeuthen ed Enriques41, secondo la quale l’introduzione dei primi enti matematici idealizzati (punto senza dimensioni, linea senza larghezza, superficie senza spessore) avvenne nella “scuola pitagorica”, che diede il via alla prima geometria scientifica di precisione: ciò in base alla scoperta delle grandezze incommensurabili, come l’esempio dato dal lato e dalla diagonale di qualsiasi quadrato; tale primitiva scuola pitagorica diede l’avvio dunque alla metodologia con cui si parte da qualche proposizione complessa e significativa e si risale, mediante analisi, a proposizioni via via più semplici dalle quali quelle complesse dipendono. Il metodo espositivo degli Elementi di Euclide è inverso (di sintesi), poiché dalle semplici proposizioni iniziali ridiscende a quelle più complesse, dimostrandole, ossia facendo vedere che esse dipendono (attraverso le proposizioni intermedie) da quelle semplici iniziali. Riassumendo, si può dire che nella pratica scientifica euclidea convergono varie esperienze teoriche:

 Quella platonica che pone in risalto il carattere epistemologico delle matematiche e dell’ideale di razionalità pura che esse sembravano incarnare (che porta a svincolare le matematiche dalla necessità della techne e del sapere empirico);

 Quella costituita dall’insieme di tutti i significanti geometrici precedenti (caratterizzata più dalla “risoluzione” di problemi che non dalla “dimostrazione” di teoremi.

In questo terreno Euclide introduce due tendenze epistemologiche nuove:

 L’assiomatizzazione e la deduttivazione delle proposizioni geometriche;

 L’autonomizzazione della pratica geometrica e la costituzione per essa di un caratteristico ambito oggettuale.

41 Hieronymus Georg Zeuthen (1839 – 1920), matematico e storico della scienza danese. Esperto di storia della

matematica medioevale e greca, studiò a fondo le sezioni coniche di Apollonio.

Federigo Enriques (1871 – 1946), matematico, storico della scienza e filosofo italiano. Svolse significative ricerche di Epistemologia, Filosofia della scienza e Storia della scienza.

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In tale sistema, esempio di assiomatica antica, si possono individuare due criteri distinti, quello della dimostrabilità, puramente logico, e quello dell’evidenza, di natura extralogica, che concorrono a caratterizzare l’insieme delle proposizioni vere della teoria. Date delle proposizioni primitive la cui intelligibilità è garantita dall’evidenza, si ricavano tutte le altre proposizioni dimostrandole a partire dalle proposizioni ammesse. Passiamo ora ad esporre la struttura del testo euclideo.

Il testo degli Elementi consta di tredici libri, nei quali vengono esaminati argomenti elementari di geometria, aritmetica e in misura minore, di algebra. Nei primi quattro libri si svolge essenzialmente la geometria piana, per tutto ciò che può essere trattato indipendentemente dalla teoria delle proporzioni e da quella conseguente delle figure simili.

Il primo libro in particolare, può considerarsi quale introduzione all’opera intera, poiché vi vengono esposti tre serie di principi: definizioni, postulati e nozioni comuni. Rispettivamente, ventitré definizioni, cinque postulati e cinque nozioni comuni. Le definizioni di Euclide sono delle definizioni implicite quali quelle dell’assiomatica moderna. Euclide definisce tutti gli enti geometrici che saranno oggetto di trattazione e quindi anche il punto e la retta. Il problema è di descrivere gli enti geometrici, supposti come esistenti, affinché si possano riconoscere tramite una efficace nomenclatura. I postulati sono proposizioni primitive riferentesi agli enti geometrici prima definiti. Le nozioni comuni sono anch’esse delle proposizioni primitive intese come comuni alla geometria e ad altre scienze.

Tra le definizioni, è interessante notare uno studio particolare riguardante la prima. Essa è la celebre definizione di punto, ossia “il punto è ciò che non ha parti”. In un articolo di Vincenzo Vita42 si discute della differenza tra l’uso del termine “segno” e l’uso del termine “punto” nei testi greci. È una dissertazione molto interessante che vede confluire alcuni elementi della teoria pitagorica con gli sviluppi della letteratura matematica greca successiva. Per quanto riguarda le definizioni, riteniamo

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Vincenzo Vita, Il punto nella terminologia matematica greca, Archive for History of Exact Sciences, June 1982, Vol. 27, Issue 2, pp. 101 – 114.

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non doverle elencare tutte, ma chiarire alcuni concetti circa la loro funzione. Esse riguardano enti geometrici che Euclide considera come corrispondenti alla nostra immediata intuizione e sono concepiti come realmente esistenti al di fuori di noi. La differenza con i sistemi assiomatici contemporanei risiede nel fatto che per noi gli enti geometrici primitivi non sono più necessariamente corrispondenti alla nostra intuizione, ma vengono considerati come enti qualunque, purché soddisfino ad un dato sistema di postulati. Ne consegue la non necessarietà di fornire una definizione di essi e ciò ci conferisce la libertà di assegnare, per esempio, al punto ed alla retta, un significato arbitrario. Nulla di tutto ciò è in Euclide, secondo cui gli enti geometrici sono quelli della nostra intuizione e sono concepiti (ripetiamo) come realmente esistenti. Ovviamente ciò è frutto delle contingenze storiche e del contesto culturale nel quale queste opere sono state redatte. I postulati euclidei invece sono cinque.

Nel primo, si chiede che dati due punti qualunque, si possa condurre la retta che li congiunge. La denominazione “linea retta” è corrispondente alla nostra “segmento di retta”, cioè di retta limitata,