• Non ci sono risultati.

Nel primo capitolo abbiamo potuto vedere come la geometria non – euclidea sia potuta essere “scoperta” dopo numerosi tentativi, durante i secoli, di cercare di dimostrare il V postulato di Euclide. Nel momento in cui Janos Bolyai tracciava i caratteri peculiari della sua geometria assoluta, ci si è potuti rendere conto di quanto notevole fosse l’assetto del primo libro degli Elementi. Infatti, le prime ventotto proposizioni del primo libro possono essere considerate teoremi della geometria assoluta di Janos Bolyai, senza ricorre perciò al V postulato. Il fatto che Euclide assuma il V postulato come tale, ed il fatto che si possa rintracciare in egli stesso una certa reticenza ad applicarlo, ha indotto molti studiosi a credere che già Euclide fosse conscio della sua indimostrabilità. Questo ha portato Charles Sanders Pierce ad affermare: “ritengo che lo stesso

Euclide fosse un geometra non – euclideo; non dico che lo fosse in senso pieno, cioè in senso

gaussiano o besselliano, ma più come Saccheri o Lambert”34

.

I lavori innovativi di Imre Toth hanno portato chiarezza sulla fase iniziale della storia delle geometrie non – euclidee. In questo paragrafo andremo ad analizzare da vicino i passi che Imre Toth ha individuato nel Corpus Aristotelicum come espressione del discorso non – euclideo. Egli (Toth) ha contribuito inoltre in modo specifico alla comprensione filosofica di questo tipo di geometrie, oltre ad aver stabilito che certa geometria non – euclidea che si ritrova nei passi aristotelici aveva sue precise radici storiche. Gli studiosi competenti in materia accolsero l’opera di Toth come “un’opera che apre una strada nuova e che segna una svolta veramente epocale”.

Toth ha notato infatti, che vi era una certa frequenza di riferimenti ad oggetti dell’universo non euclideo nei testi aristotelici, che ciò non poteva essere una mera casualità. Tale casualità si può escludere in maniera rigorosa considerando con Toth, il seguente passo del De Caelo:

60

Ma si parta da questo punto: impossibile, e falso non hanno lo stesso significato. Impossibile e possibile, falso e vero possono essere per ipotesi – intendo dire, come è impossibile ad esempio che il triangolo abbia due angoli retti, se valgono certe premesse, e che la diagonale sia commensurabile [se valgono certe premesse] – ma vi sono cose che sono in assoluto possibili e impossibili, false e vere. E non è lo stesso che una cosa sia in assoluto falsa e in assoluto impossibile. (De Caelo, I 281b 3 -10)35

In questo passo vi è una distinzione tra un impossibile/possibile cui corrisponde un falso/vero, per ipotesi, e dall’altro lato un impossibile in assoluto. Per documentare il primo caso si osserva:

“diciamo ad esempio, che è impossibile che il triangolo abbia una somma degli angoli uguale a due retti: se ciò è il caso, anche la diagonale è commensurabile”. Risulta evidente l’accento ipotetico e

non a priori di talune proposizioni, in riferimento alla somma degli angoli del triangolo ed alla commensurabilità della diagonale al lato del quadrato. Un simile rilievo poteva aver luogo se queste condizioni erano note all’uditorio: simili conseguenze infatti si devono alla negazione del V postulato di Euclide. Il presupposto per comprendere tale nesso di tipo non – euclideo è l’essersi occupati di una geometria che neghi il V postulato. Rileva Toth: “simili asserti non possono venir congetturati

per mezzo di espedienti dialettici. Senza dimostrazione, che è molto complicata, è impossibile

imbattersi in essi”. Ciò farebbe pensare che i matematici greci, poco prima di Aristotele, si siano

sforzati di trarre conclusioni a partire da ipotesi non – euclidee.

Il passo dove Toth desume lo scopo di queste ricerche è in Analitici Primi, II 16, cioè dal capitolo sulla petitio principii, dove quale esempio di conclusione circolare viene citato:

cosa che compiono coloro che credono di disegnare le parallele: costoro infatti, non si avvedono di assumere cose tali che non è possibile dimostrare se non esistono le parallele. (I, 65 a 4 - 7)

61

Come Toth ha bene indicato, l’espressione “assumere tali cose”, ossia “dedurre le parallele”, si riferisce al tentativo di dimostrare la proposizione 29 del primo libro di Euclide senza far uso del V postulato, vale a dire al tentativo di derivare la proposizione 29 dalle sue proposizioni inverse, la 27 e seguenti. Ma tale tentativo è destinato al naufragio. Aristotele si riferisce in modo critico a questo procedimento, di cui era nota l’erroneità. La teoria delle parallele conteneva dunque, a quell’epoca, una petizione di principio che non sfuggì ad Aristotele. Emerge comunque, come nota Toth, dallo stile del passo, una grande dimestichezza dell’uditorio per queste specifiche tematiche. Analizzando i due passi ora citati, è da presumersi che lo scopo originario potesse essere la confutazione dell’ipotesi non – euclidea generale, condotta con l’aiuto dell’assurdità per cui un “numero pari è dispari” alla quale doveva portare l’ipotesi della commensurabilità. Inoltre, considerata la questione nell’ambito delle tre ipotesi saccheriane, per gli antichi commentatori risultava più semplice confutare l’ipotesi dell’angolo ottuso, mentre proponeva più difficoltà l’ipotesi dell’angolo acuto. L’assunzione iperbolica dell’angolo acuto non può essere respinta senza l’aiuto del V postulato, che appunto per questo motivo fa la sua comparsa in Euclide. Toth prosegue dicendo: “la communis opinio, secondo

la quale il problema delle parallele è nato da una mancanza di evidenza del postulato delle

parallele, risulta storicamente insostenibile dalle precedenti osservazioni; al contrario, la necessità

di superare il problema delle parallele, che sussisteva già, richiese l’introduzione del postulato delle parallele”.

Toth individua inoltre numerosi passi tratti dagli Analitici Secondi, che sono dello stesso tenore:

Ed è chiaro che il geometra neppure si confuta, se non accidentalmente; per cui non si dovrà discutere di geometria tra coloro che non sono geometri. Infatti chi discute malamente sfuggirà l’osservazione. E similmente è anche nel caso delle altre scienze. Poiché vi sono domande geometriche, forse che ve ne sono anche di non geometriche? E a fronte di ciascuna scienza, le questioni conformi a quale tipo di ignoranza sono per esempio geometriche? E forse che il sillogismo che corrisponde all’ignoranza è il sillogismo che procede da

62

proposizioni opposte, o il paralogismo, ma per esempio conforme a geometria, oppure quello che deriva da un’altra arte: per esempio, quella musicale è una domanda non geometrica nell’ambito della geometria, e il credere che le parallele si incontrino è in un certo modo geometrico e in un altro modo non geometrico? (I, 12, 77b16 -26)

Anche in questo passo è evidente un rimando all’alternativa di una geometria differente da quella euclidea, come ipotesi. Però in questo caso emerge con maggior forza l’affermazione della priorità della geometria nel senso euclideo, come inerente la sfera razionale. Nel capitolo sulla superiorità della dimostrazione universale, Toth individua ancora un altro passo:

se infatti l’avere gli angoli uguali a due retti appartiene non in quanto isoscele, bensì in quanto triangolo, chi sa che è isoscele sa di meno, in quanto tale, di chi sa che è triangolo. … ora se triangolo esiste in più cose e la definizione è la medesima, e triangolo non si dice secondo omonimia, e ad ogni triangolo appartiene l’avere due angoli uguali a due retti, non il triangolo in quanto isoscele, ma l’isoscele in quanto triangolo avrà gli angoli di questo tipo (I, 24, 85 b38 – a 86).

Questi passi, tratti dagli Analitici Secondi, rappresentano la prova che la tematica riguardante una geometria che potesse darsi come alterativa a quella euclidea era stata quantomeno pensata. I passi degli Analitici Secondi, sono in tutto cinque ed hanno pressappoco lo stesso stile e lo stesso tenore dei passi riportati.

Aristotele inoltre sembra avere piena coscienza del carattere di indimostrabilità del postulato euclideo. Nell’Etica Eudemia infatti possiamo leggere:

E poiché come negli altri casi, il principio è causa di ciò che è in forza di esso è o si genera, si deve pensare proprio come avviene nelle dimostrazioni. Se infatti, posto che nel triangolo gli angoli equivalgono a due retti, necessariamente il quadrangolo equivale a quattro retti, è

63

manifesto che causa di ciò è il fatto che il triangolo equivale a due retti. Se però appunto il triangolo subisse un mutamento, è necessario che muti anche il quadrangolo: per esempio se gli angoli del triangolo equivalgono a tre retti il quadrangolo sarà sei, se a quattro l’altro sarà otto; e se non c’è mutamento e il triangolo è tale e quale è, anche l’altro è necessario che sia tale. (II, 6, 1222b 30 – 38).

Qui la funzione di archè è ricoperta dalla proposizione riguardante la somma degli angoli, che nelle sue tre versioni equivale al postulato delle parallele nelle sue tre versioni possibili.

È sorprendente che questi generi di passi si trovino nelle Etiche. Toth sottolinea come Aristotele tracci un parallelo tra il concetto geometrico di principio (archè) con il motivo etico, o meglio ancora ,con la scelta preferenziale, cioè con la decisione a favore di uno scopo che si colloca al principio di una azione come fine (telos).

Toth infine da una serrata interpretazione del passo di Etica Nicomachea seguente:

Infatti il piacere ed il dolore non corrompono né stravolgono ogni tipo di giudizio, per esempio quello che il triangolo ha o non ha gli angoli uguali a due retti, ma stravolgono i giudizi che riguardano il contenuto dell’azione (VI, 5, 1140 b 14 – 17)

Qui Toth giunge al risultato che, per Aristotele, la scelta fra un assioma euclideo ed uno non – euclideo costituisce, in analogia con la scelta etica, un atto di libertà, il quale a differenza che nelle azioni etiche, non può essere influenzato nemmeno da piacere o da dolore. Questa sarebbe l’unica differenza che sussiste nell’analogia di struttura tra il campo etico e geometrico, che per il resto appare ben fondata.

64

3. IMRE TOTH: LA LIBERTA’ DEL SOGGETTO E LA