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Valutazione mediante risonanza magnetica funzionale cerebrale dell'attivazione tronco-encefalica in pazienti con scompenso cardiaco e respiro di Cheyne-Stokes.

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Valutazione mediante risonanza magnetica funzionale cerebrale

dell'attivazione tronco-encefalica in pazienti con scompenso cardiaco e

respiro di Cheyne-Stokes

Candidato: Daniele Caratozzolo Relatore: Prof. Claudio Passino Correlatore: Dr. Alberto Giannoni

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Abstract

L’aumentata sensibilità chemocettiva all’ossigeno (O2) e/o all’anidride carbonica (chemoreflex gain) è recentemente emersa come un mediatore di rischio e un potenziale bersaglio terapeutico nei pazienti con scompenso cardiaco (SC). Infatti, l’incremento della sensibilità chemocettiva, assieme ad alterazioni della meccanica polmonare (plant gain) e del tempo di circolo, sembra in grado di indurre instabilità ventilatoria generando una forma di respiro periodico noto con il nome di respiro di Cheyne-Stokes (CSR), oltre a causare incremento dell’outflow del sistema nervoso simpatico, due condizioni in grado di determinare un’evoluzione negativa della malattia. Mentre i chemocettori periferici, sensibili prevalentemente all’O2 sono localizzati nei glomi carotidei, esistono diversi gruppi di chemorecettori centrali, principali responsabili del controllo della CO2. I vari gruppi di chemocettori centrali sono stati finora descritti solo nel modello animale (nucleo retrotrapezoidale o RTN, complesso del pre-Bötzinger o pre-BötC, nucleo magno del rafe o RMg, nucleo del tratto solitario o NTS, locus coeruleus o LC). Lo scopo di questo progetto di tesi è quello di valutare per la prima volta nell’uomo in vivo: a) la risposta dei diversi gruppi di chemorecettori centrali a variazioni della CO2 ottenuta mediante apnea volontaria; b) eventuali differenze di attivazione (grado, sede, gruppi recettoriali) nei pazienti con SC con e senza CSR.

A questo scopo è stata indagata mediante risonanza magnetica funzionale (fMRI) a 3 Tesla l'attivazione troncoencefalica di tre gruppi di soggetti: 5 individui sani sottoposti a stimolo ipercapnico tramite apnea volontaria, 1 paziente con SC e senza CSR, 2 pazienti con SC e CSR diurno, definito secondo l’indice di apnee ipopnee ora (AHI) >15 eventi/ora durante le ore diurne al monitoraggio cardiorespiratorio nelle 24 ore. Nei pazienti è stata effettuata la valutazione della sensibilità chemocettiva alla CO2, e del tempo di circolo (utile anche al

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saturazione di ossigeno durante il ciclo del CSR o lung to finger circulatory time (LFCT), che direttamente attraverso una nuova tecnica basata sull’ecografia con contrasto.

Durante le acquisizioni fMRI, tramite capnografo è stata coregistrata la etCO2 come stima della pCO2 plasmatica attraverso un sistema MRI compatibile. Il segnale ottenuto dalle acquisizioni è stato scomposto nelle sue componenti indipendenti mediante specifica analisi delle componenti indipendenti (ICA), evidenziando le sedi anatomiche delle componenti coerenti con la variazione di etCO2.

I risultati ottenuti indicano che: tali componenti, presenti sia nel gruppo dei soggetti sani che nei pazienti con SC e PB/CSR diurno sono localizzate in sedi anatomiche coerenti fra loro. Tali sedi, con i limiti di risoluzione spaziale imposti dalla metodica adoperata, ricadono in corrispondenza della superficie bulbare ventrale e della giunzione bulbo-pontina, regioni occupate nell'essere umano da nuclei omologhi a quelli dotati di proprietà chemocettiva nel modello animale. La sovrapposizione solo parziale tra le attivazioni troncoencefaliche di soggetti sani sottoposti ad apnee volontarie e pazienti con SC e PB/SCR diurno può essere spiegata con il differente tipo di stimolo ipercapnico, volontario ed episodico nel primo caso, spontaneo e cronico nel secondo, o alla diversa sensibilità o soglia di risposta del singolo gruppo recettoriale in condizioni fisiologiche/patologiche. Questo è coerente con l'ipotesi che la struttura della rete chemocettiva sia influenzabile dalle diverse condizioni emodinamiche e neuro-ormonali presenti nello SC. Infine i tempi di risposta delle aree evidenziate, sembrano corrispondere maggiormente al tempo di circolo stimato con la misura diretta basata sull’ecografia con contrasto, piuttosto che con la stima indiretta ottenuta con il LTFC.

Concludendo, tramite metodica fMRI è stato possibile evidenziare per la prima volta in vivo aree del tronco encefalico potenzialmente coinvolte nella chemocezione centrale, mostrando al contempo differenze tra soggetti sani e pazienti con instabilità ventilatoria, seppur in modo

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preliminare. Se i dati ottenuti saranno confermati in casistiche più numerose, questo potrebbe in futuro consentire di identificare aree bersaglio per strategie di neuromodulazione del chemorflesso (o di altri feedback del sistema nervoso vegetativo) e di verificare anche l’efficacia di eventuali approcci mirati sia farmacologici o basati su device/tecniche di denervazione chirugica.

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INDICE

INDICE DELLE FIGURE E DELLE TABELLE ... 7

1 LO SCOMPENSO CARDIACO CRONICO ... 11

1.1 DEFINIZIONE ... 12 1.2 FISIOPATOLOGIA ... 12 1.3 EZIOPATOGENESI ... 18 1.4 EPIDEMIOLOGIA ... 19 1.4.1 Incidenza ... 19 1.4.2 Prevalenza ... 19 1.4.3 Mortalità ... 20 1.5 CLINICA ... 20 1.6 PROGNOSI ... 22 1.7 TRATTAMENTO ... 24

2 IL RESPIRO DI CHEYNE-STOKES NELLO SCOMPENSO CARDIACO ... 27

2.1 DEFINIZIONE ... 27

2.2 DIAGNOSI ... 29

2.3 EPIDEMIOLOGIA ... 31

2.4 FISIOPATOLOGIA DEL RESPIRO DI CHEYNE-STOKES ... 31

2.4.1 Iperpnea ... 32

2.4.2 Apnea ... 34

2.5 SIGNIFICATO PROGNOSTICO ... 35

3 PATOGENESI DEL RESPIRO DI CHEYNE-STOKES ... 37

3.1 FONDAMENTI MATEMATICI ... 37 3.2 TEMPO DI CIRCOLO ... 39 3.3 PLANT GAIN ... 40 3.4 CHEMORIFLESSO ... 41 3.5 CHEMOCETTORI CENTRALI ... 44 3.6 TERAPIA ... 50 3.6.1 Ventilazione assistita ... 50

3.6.2 Modulazione del tempo di circolo ... 51

3.6.3 Modulazione del sistema chemocettivo e del plant gain ... 52

3.6.4 Terapia medica ottimale ... 53

4 SCOPO DELLA TESI ... 54

5 MATERIALI E METODI ... 55

5.1 VALUTAZIONE DELLE APNEE E DEL RESPIRO PERIODICO ... 56

5.2 VALUTAZIONE DELL’ATTIVAZIONE TRONCOENCEFALICA ... 56

5.2.1 Acquisizione del segnale fMRI ... 56

5.2.2 Breath-holding nei soggetti sani ... 57

5.2.3 BOLD imaging ... 57

5.2.4 Brainstem fMRI ... 58

5.2.5 Resting state fMRI ... 59

5.2.6 Analisi delle componenti indipendenti ... 61

5.3 CAPNOGRAFIA ... 64

5.4 CORRELAZIONE FRA SEGNALE FMRI ED ETCO2 ... 64

5.5 VALUTAZIONE DEL CHEMORIFLESSO ... 65

5.6 VALUTAZIONE DEL TEMPO DI CIRCOLO ... 66

6 RISULTATI ... 67

6.1 CARATTERISTICHE DELLA POPOLAZIONE ... 67

6.2 PARAMETRI FISIOLOGICI ... 68

6.2.1 Fascia toracica ... 68

6.2.2 etCO2 ... 69

(6)

6.4 ANALISI ICA SU PAZIENTI ... 72

6.5 CHEMORIFLESSO ... 74

6.6 TEMPO DI CIRCOLO ... 75

7 DISCUSSIONE ... 76

7.1 SIGNIFICATO DEI RISULTATI FMRI ... 76

7.2 CHEMORIFLESSO ... 82

7.3 TEMPO DI CIRCOLO ... 82

7.4 LIMITI DELLO STUDIO ... 82

8 CONCLUSIONI ... 84

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Indice delle figure e delle tabelle

FIGURA 1VARIAZIONE DELL’ELASTANZA VENTRICOLARE E IN FUNZIONE DEL TEMPO T ... 14

FIGURA 2STORIA NATURALE DELLO SCOMPENSO HFREF ... 17

FIGURA 3MORTALITÀ E FRAZIONE D’EIEZIONE. ... 23

FIGURA 4EELV E CSR.VARIAZIONE DEL VOLUME POLMONARE TELE-ESPIRATORIO OSSERVABILE IN PAZIENTI CON CSR ... 33

FIGURA 5RELAZIONE GRAFICA FRA ANIDRIDE CARBONICA ALVEOLARE E VENTILAZIONE NEL PAZIENTE CON CSR(SINISTRA) E IN RESPIRO TRANQUILLO (DESTRA). ... 37

FIGURA 6MODELLO LOOP-GAIN. ... 39

FIGURA 7RISPOSTA VENTILATORIA ALL’IPERCAPNIA ... 42

FIGURA 8MAPPA DEL SISTEMA CHEMOCETTIVO TRONCOENCEFALICO ... 44

FIGURA 9FLUSSO EMATICO CEREBRALE TOTALE, PCO2 CEREBRALE E VENTILAZIONE RAPPRESENTATE IN NERO ED IN GRIGIO RISPETTIVAMENTE IN SOGGETTO CON NORMALE E RIDOTTA SENSIBILITÀ DEL CIRCOLO CEREBRALE ALLA PCO2 ... 47

FIGURA 10RIDOTTA RISPOSTA DEL TONO VASOMOTORE CEREBRALE ALLE VARIAZIONI DI PCO2(A DESTRA) E INCREMENTO DELLA HCVR(A SINISTRA) CONSEGUENTI L’ASSUNZIONE DI INDOMETACINA IN SOGGETTI SANI ... 48

FIGURA 11AREE DEL TRONCOENCEFALO ATTIVE A SEGUITO DI STUDIO FMRI IN SOGGETTI SOTTOPOSTI A STIMOLO IPERCAPNICO ... 49

FIGURA 12 RAPPRESENTAZIONE GRAFICA DEL COCKTAIL PARY PROBLEM ED ESEMPIO DI PROCESSO DI DEBLURRING. ... 61

FIGURA 13ICA: FONDAMENTI TEORICI (1). ... 62

FIGURA 14ICA: FONDAMENTI TEORICI (2). ... 63

FIGURA 15VALUTAZIONE DEL TEMPO DI CIRCOLO ... 66

FIGURA 16ESCURSIONI RESPIRATORIE DURANTE ACQUISIZIONE FMRI ... 68

FIGURA 17 ETCO2 IN SOGGETTO SANO ... 69

FIGURA 18ATTIVAZIONE TRONCOENCEFALICA IN SOGGETTI SANI SOTTOPOSTI AD APNEE VOLONTARIE ... 72

FIGURA 19ATTIVAZIONE TRONCOENCEFALICA IN PAZIENTI CON HF E CSR ... 74

FIGURA 20CORRELAZIONE FRA SEGNALE BOLD E ETCO2 IN SOGGETTI SANI ... 79

FIGURA 21CORRELAZIONE FRA SEGNALE BOLD E ETCO2 IN PZ_2 ... 79

TABELLA 1CLASSIFICAZIONE FUNZIONALE NYHA DELLO SCOMPENSO. ... 21

TABELLA 2FATTORI PROGNOSTICI NELLA SINDROME SCOMPENSO CARDIACO ... 23

TABELLA 3RESPIRO DI CHEYNE-STOKES.DESCRIZIONE ANALITICA DEL FENOMENO ... 28

TABELLA 4RESPIRO TRANQUILLO ... 28

TABELLA 5CONSEGUENZE DEI MECCANISMI FISIOPATOLOGICI ATTIVI NELLA FASE DI IPERPNEA DEL CSR. .... 34

TABELLA 6CARATTERISTICHE DEI PAZIENTI INCLUSI NELLO STUDIO ... 67

TABELLA 7RISULTATI DEL MONITORAGGIO CARDIORESPIRATORIO SU PAZIENTI ... 68

(8)

TABELLA 10VALUTAZIONE DEL CHEMORIFLESSO NEI PAZIENTI CON HF. ... 75

TABELLA 11CT E LFCT NEI PAZIENTI CON HF. ... 75

TABELLA 12IDENTIFICAZIONE E COMPARAZIONE DELLE ATTIVAZIONI TRONCOENCEFALICHE (1) ... 78

TABELLA 13IDENTIFICAZIONE E COMPARAZIONE DELLE ATTIVAZIONI TRONCOENCEFALICHE (2) ... 80

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Abbreviazioni ed acronimi

ACEi inibitore dell'enzima ACE

AHI apnea/hypopnea index

AHId apnea/hypopnea index diurno

AHIn apnea/hypopnea index notturno

ANP Atrial Natriuretic Peptide

ARBs bloccanti del recettore dell'angiotensina ARNi inibitori del recettore dell'angiotensina e

della neprilisina

ASV adaptative servo-ventilation

BNP Brain Natriuretic Peptide

BOLD blood oxygen level dependent

CA apnea centrale del sonno

CAI central apnea index

CAId central apnea index diurno

CAIn central apnea index notturno

CB carotid body

CPAP continous positive airway pressure

CRT terapia di risincronizzazione cardiaca

CSA apnea centrale del sonno

CSR respiro di Cheyne-Stokes

Ct tempo di circolo

DAWD duration of apnea without desaturation

EELV volume pomonare tele-espiratorio

etCO2 end tidal CO2

fMRI risonanza magnetica funzionale

FOV field of view

GLM general linear model

HCVR hypercapnic ventilatory response

HF scompenso cardiaco

HFmrEF scompenso cardiaco di grado intermedio HFpEF scompenso cardiaco a frazione d'eiezione

conservata

HFrEF scompenso cardiaco a frazione d'eiezione ridotta

HR frequenza cardiaca

HVR hypoxic ventilatory response

ICA analisi delle componenti indipendenti

LC locus coeruleus

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LFCT lung to finger circulation time

LG loop gain

MAP

MSNA muscle sympathetic nerve activity

MVO2 consumo miocardico d'ossigeno

NTS nucleo del tratto solitario

NYHA New York Heart Associacion

OAI obstructive apnea index

OAId obstructive apnea index diurno

OAIn obstructive apnea index notturno

OMT terapia medica ottimale

OSA apnea ostruttiva del sonno

PB respiro periodico

pre-BötC complesso del pre-Bözinger

RAAS sistema renina-angiotensina aldosterone

rCBF regional cerebral blood flow

RMg nucleo magno del rafe

ROb nucleo oscuro del rafe

RPa nucleo pallido del rafe

rs-fMRI resting state functional magnetic resonance imaging

RTN nucleo retrotrapezoidale

SBP pressione arteriosa sistolica

SC scompenso cardiaco

SCD sudden cardiac death

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1 Lo scompenso cardiaco cronico

“[...] mentre Alberto li seguiva, io andai a trovare una vecchia asmatica [...]. La poveretta faceva pena, nella sua stanza si respirava quell’odore acre di sudore rappreso [...], mescolato alla polvere di certe poltrone che erano l’unico arredamento della casa. Allo stato asmatico si aggiungeva un lieve scompenso cardiaco. Questo è uno di quei casi in cui il medico, cosciente della propria assoluta impotenza di fronte alla situazione, sente il desiderio di un cambiamento radicale, qualcosa che sopprima l’ingiustizia che ha imposto alla povera vecchia di fare la serva fino al mese prima per guadagnarsi da vivere, affannandosi e soffrendo, ma tenendo fronte alla vita con fierezza. [...] Lì, in quegli ultimi istanti per gente il cui orizzonte più lontano è sempre stato arrivare a domani, è dove si coglie la profonda tragedia che condensa la vita del proletariato di tutto il mondo; c’è in quegli occhi moribondi una sommessa richiesta di perdono e anche, molte volte, una disperata richiesta di consolazione che si perde nel vuoto, come presto si perderà il corpo nell’immensità del mistero che ci circonda. Fino a quando continuerà questo ordine delle cose basato su un’assurda suddivisione in caste, è qualcosa cui non sta a me rispondere, però è ora che i governanti dedichino meno tempo alla propaganda delle qualità del loro regime e più denaro, moltissimo denaro in più, per la realizzazione di opere di utilità sociale. Non posso fare molto per la malata: le prescrivo semplicemente una dieta appropriata, un diuretico e delle soluzioni antiasmatiche. Mi sono rimaste alcune pastiglie di dramamina e gliele regalo. Quando esco, mi seguono le parole affettuose della vecchia e gli sguardi indifferenti dei familiari.”

(12)

1.1 Definizione

La Società Europea di Cardiologia definisce scompenso cardiaco cronico

«una sindrome clinica caratterizzata da sintomi tipici (dispnea, edema malleolare e ridotta resistenza allo sforzo) che può essere accompagnata da segni (elevata pressione giugulare, crepitii polmonari ed edemi periferici) ed è causata da una anomalia cardiaca strutturale e/o funzionale risultante in una ridotta gittata cardiaca e/o in elevate pressioni intracardiache a riposo o sotto sforzo»1.

In questa definizione, la parola “risultante” condensa e sottintende la varia e complessa fisiopatologia della sindrome, consentendo di riferirsi tanto allo scompenso cardiaco prevalentemente sistolico, quanto allo scompenso cardiaco prevalentemente diastolico. Alla genesi dello scompenso tuttavia concorrono assi sovra-cardiaci di natura ormonale e nervosa cui è fondamentale fare riferimento, pena l’impossibilità di comprendere la ratio della terapia, il perché dello sviluppo nella dimensione temporale della condizione clinica e dunque il cruciale risvolto prognostico che può assumere la sindrome stessa.

1.2 Fisiopatologia

Del cuore possono essere quantificate contemporaneamente proprietà emodinamiche (funzione di pompa e di conduzione), funzioni endocrine (rilascio di ormoni vasoattivi), proprietà elettriche (generazione e modulazione di potenziali elettrici), risposte biologiche a stimolazioni neuro-ormonali (rimodellamento ventricolare). Tra tutte queste componenti, le proprietà idrauliche risultano le determinanti finali della comparsa di ridotta gittata cardiaca e/o elevate pressioni intracardiache. Da questo punto di vista, il ventricolo sinistro può essere considerato un conduttore parte di un circuito idraulico chiuso, separato dalle sezioni

(13)

antecedenti e successive da valvole unidirezionali2,3. Il conduttore è dotato di capacità

elastica passiva, per cui variando il volume in esso contenuto si ha una variazione lineare della pressione di riempimento. Questa proprietà è definita elastanza del ventricolo (𝐸"#):

𝐸"# =𝛥𝑃 𝛥𝑉

La parete del conduttore è anche capace, contraendosi, di modificare questa relazione modulando nel tempo il valore di 𝐸"#, in modo tale che a parità di volume si abbiano valori crescenti o decrescenti di pressione. Nel tempo, il comportamento elastico passivo del conduttore ( 𝐸"#= 𝑐𝑜𝑠𝑡 ) e la sua attività contrattile ( 𝐸"#(𝑡) ) si alternano ritmicamente in fasi chiamate rispettivamente diastole e sistole3. A partire da questa ipotesi iniziale, sono

stati proposti vari modelli matematici che descrivono il comportamento della funzione 𝑒"#

𝐸"# → 𝑡, fra i quali quello di Korakianitis e Grandia (modello KG)2. Secondo questi autori

il valore di 𝑒"#(𝑡) è determinato dalle costanti 𝐸"#,3 e 𝐸"#,4 (caratteristiche per ogni

miocardio) e della funzione d’attivazione 𝑒̅"#(𝑡):

𝑒"#(𝑡) = 𝐸"#,3+ 𝐸"#,4− 𝐸"#,3 2 ∙ 𝑒̅"#(𝑡) dove: 𝑒̅"#(𝑡) = ⎩ ⎪ ⎨ ⎪ ⎧ 1 − cos B 𝑡 𝑇4D𝜋F , 0 ≤ 𝑡 < 𝑇4D 𝑠𝑖𝑠𝑡𝑜𝑙𝑒 𝑖𝑠𝑜𝑣𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒𝑡𝑟𝑖𝑐𝑎 𝑒𝑑 𝑒𝑖𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 1 + cos B 𝑡 − 𝑇4D 𝑇4T− 𝑇4D𝜋F , 𝑇4D ≤ 𝑡 < 𝑇4T 𝑟𝑖𝑙𝑎𝑠𝑐𝑖𝑎𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑖𝑠𝑜𝑣𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒𝑡𝑟𝑖𝑐𝑜 0, 𝑇4T ≤ 𝑡 < 𝑇 𝑑𝑖𝑎𝑠𝑡𝑜𝑙𝑒

(14)

in modo tale da poter descrivere la curva mostrata in Figura 1.

Figura 1 Variazione dell’elastanza ventricolare E in funzione del tempo t. Figura adattata da [2].

In un cuore scompensato il profilo di questa funzione è alterato, o per riduzione di funzione contrattile (↓ 𝐸"#,4, disfunzione sistolica) o per ridotta capacità di riempimento (↓ 𝐸"#,3,

disfunzione diastolica)4.

Nel caso della disfunzione sistolica, data la ridotta elastanza sistolica il cuore esercita sul volume di riempimento telediastolico una pressione inferiore a quella esercitata da un cuore sano. Dunque, per garantire livelli pressori sufficienti all’apertura della valvola aortica ed all’eiezione del sangue in aorta, è necessario che il ventricolo raggiunga volumi di riempimento superiori. Questo comporta una riduzione del rapporto tra gittata sistolica (stroke volume o 𝑆𝑉) e volume telediastolico (end-diastolic volume o 𝐸𝐷𝑉), detto anche

frazione d’eiezione (EF):

𝐸𝐹 = 𝑆𝑉

(15)

E’ per questo che attualmente, in accordo con le linee-guida della Società Europea di Cardiologia, in pratica clinica la forma di disfunzione che affligge il singolo paziente viene generalmente inferita dalla misura ecografica della sua 𝐸𝐹. In particolare, si parlerà di scompenso cardiaco a frazione d’eiezione ridotta (HFrEF) se EF < 40%, di scompenso cardiaco a frazione d’eiezione preservata (HFpEF) se EF > 50% e di scompenso cardiaco a frazione d’eiezione mid-range per 40% < EF < 50% (HFmrEF) 5.

Sino a quando la disfunzione è compensata il cuore può garantire agli organi periferici un trasferimento di ossigeno molecolare adeguato alle richieste ed il paziente è asintomatico. Questa condizione può essere descritta quantitativamente grazie al principio di Fick, secondo il quale il volume di ossigeno distribuito perifericamente in un minuto o consumo d’ossigeno equivale alla riduzione del suo contenuto nel volume della portata cardiaca (𝑄∆𝐶):

𝑉̇𝑂T = 𝑄^𝐶_`a bc− 𝐶#de bcf

Considerando che la portata cardiaca può essere espressa come prodotto della gittata sistolica (SV) per la frequenza cardiaca (HR), l’equazione può essere riscritta come segue:

𝑉̇𝑂T = (𝐻𝑅 ∙ 𝑆𝑉)^𝐶_`a bc − 𝐶#de bcf

Durante lo sforzo fisico la richiesta 𝑉̇𝑂T aumenta: per soddisfarla è necessario un incremento della frequenza cardiaca 𝐻𝑅 e della gittata sistolica 𝑆𝑉. In questo modo nel soggetto sano si può far fronte ad un aumento fino a circa sette volte il valore basale di 𝑉̇𝑂T. La massima

produzione aerobia di energia nei distretti periferici è limitata a questa capacità di compenso, richiedendo per sforzi superiori l’attivazione delle vie anaerobie e dunque l’accumulo di lattato e idrogenioni. A livello muscolare questo si traduce in una stimolazione dei

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metabocettori, che segnalano fino al livello corticale la loro attivazione, inducendo una sensazione di fatica cui segue in poco tempo l’interruzione dello sforzo. A livello respiratorio il correlato di questi fenomeni è il progressivo aumento del lavoro respiratorio, sino al caso limite della dispnea6. Nel paziente con disfunzione non compensata, la massima richiesta di

𝑉̇𝑂T che il cuore può soddisfare è inferiore ai valori attesi, per cui l’intolleranza all’esercizio si manifesta anche per sforzi inferiori all’ordinario, risultando nella fatica e nella dispnea, sintomi cardine della sindrome scompenso cardiaco. Dunque, la disfunzione ventricolare è una condizione che non causa lo scompenso cardiaco fintantoché intervengono efficacemente tre meccanismi di compenso: 1) aumento del volume di riempimento, 2) incremento della frequenza cardiaca 𝐻𝑅, 3) incremento della gittata sistolica 𝑆𝑉. L’aumento del volume di riempimento è conseguenza dell’attivazione neuro-ormonale renale: a questo livello l’alterata perfusione modula il feedback tubulo-glomerulare, con conseguente attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone o RAAS 7. Il RAAS determina

maggiore riassorbimento tubulare di Na+, dunque ritenzione idrosalina e aumento del

volume circolante. L’aumento del volume di riempimento (pre-carico) che ne consegue, come già affermato, porta, a parità di funzione sistolica, ad un aumento della pressione sviluppata. Un’altra conseguenza dell’aumento del pre-carico è lo stiramento della parete ventricolare in fase diastolica. Nel sarcomero questo comporta una maggiore sovrapposizione delle teste miosiniche sui filamenti actinici, quindi maggiore forza contrattile, dunque elastanza sistolica e 𝑆𝑉, un fenomeno descritto da Frank, Starling e Maestrini8. Il RAAS è inoltre responsabile di un aumento del tono simpatico, con effetti

pleiotropici che trascendono la sola funzione cardiaca e dei quali si farà cenno più avanti, fra i quali ad esempio un aumento delle resistenze periferiche, che migliora la perfusione degli organi nobili. Limitatamente al miocardio, una maggiore stimolazione adrenergica comporta aumento di 𝐻𝑅 e contrattilità, quindi di 𝑆𝑉. Lo stesso effetto sortisce l’ipertrofia

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miocardica indotta dall’effetto di angiotensina e aldosterone. Tuttavia, la continua ed esasperata attivazione dei meccanismi di compenso porta a9,10:

a) eccessiva ritenzione idro-salina RAAS-mediata: il progressivo aumento del volume di riempimento ventricolare distorce la struttura sarcomerica oltre il regime di massima efficienza raggiunto in base al meccanismo di Frank-Starlink

b) ingravescente rimodellamento ventricolare RAAS e simpatico-mediato, che comporta dilatazione e fibrosi della parete miocardica, dunque ulteriore distorsione miocardica

c) cumulativa tossicità catecolaminergica

d) progressivo aumento delle resistenze periferiche e del volume di riempimento del letto vascolare, quali effetti RAAS e simpatico-mediati

In base a quest’ultimo punto, nel tempo la pressione necessaria alla eiezione del volume di sangue dello 𝑆𝑉 aumenta, ovvero si ha un aumento dell’elastanza arteriosa (𝐸_). Questo

richiederebbe un progressivo e proporzionato incremento dell’elastanza sistolica, che tuttavia non avviene per quanto detto ai punti a, b, c. Per questo motivo si verifica una caduta tendenziale dello SV11, e di conseguenza della EF, risultando nella storia naturale dello

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La sproporzione descritta fra elastanza arteriosa ed elastanza sistolica prende il nome di

ventricular-arterial uncoupling, e si verifica per valori 𝐸_⁄𝐸4 ≫ 1.

Fin qui è stato descritto un asse cardio-renale unidirezionale, in cui l’assenza di una contro-regolazione da parte del cuore impedisce la modulazione dei meccanismi neuro-ormonali, che si rivelano deleteri. In effetti nella specie umana un feedback del genere è presente, ma non sufficientemente attivo. Il cuore è infatti capace di sintetizzare delle molecole ad azione vasodilatatoria e natriuretica, denominate Atrial Natriuretic Peptide (ANP) ed il Brain

Natriuretic Peptide (BNP), che sono rilasciate in circolo in modo proporzionale allo

stiramento della parete miocardica da parte del volume di riempimento e tentano di compensare l’eccessiva attivazione dei sistemi vasocostrittori e sodio ritentori13. Il motivo

per cui l’attivazione di tale asse non risulta sufficiente nel contrastare il sistema RAAS e SNS è legato a diversi fattori tra cui i principali sono l’esistenza di meccanismi di degradazione, il cui effettore principale è individuato nella proteasi neprilisina, e l’effetto di downregulation dei recettori dei peptidi natriuretici verosimilmente indotto dall’iperattivazione del RAAS nei pazienti con HF14. Potenziare farmacologicamente

l’azione di questi peptidi rappresenta oggi una promettente prospettiva terapeutica.15

1.3 Eziopatogenesi

Per eziopatogenesi si intende la supposta causa primitiva della disfunzione ventricolare, responsabile dell’alterazione di almeno una delle seguenti proprietà fisiche della parete ventricolare: contrattilità e/o distensibilità. Possibili cause di tale alterazione sono: cardipatia ischemica, valvulopatie, cardiomiopatia dilatativa, cardiomiopatia ipertensiva, cardiomiopatia ipertrofica, miocarditi, endomiocarditi, tachicardiomiopatie, amiloidosi, malattie d’accumulo, cardiomiopatie mitocondriali. La sindrome dello scompenso cardiaco

(19)

rappresenta la via finale comune di queste patologie, con meccanismi fisiopatologici e determinanti prognostici propri.

1.4 Epidemiologia 1.4.1 Incidenza

Nei Paesi Occidentali l’incidenza dello scompenso cardiaco è un dato generalmente omogeneo, e si attesta intorno al valore di 300 nuovi casi l’anno ogni 100.000 abitanti. Sul finire del secolo scorso dallo studio Framingham si ebbero le prime evidenze di un andamento decrescente dell’incidenza di scompenso cardiaco nel sesso femminile, dati successivamente confermati per entrambi i sessi nel periodo 2000 – 2010 nella coorte della contea di Olmsted (USA) e della popolazione di Stoccolma. E’ verosimile che questo andamento rifletta il successo delle strategie di popolazione volte alla prevenzione delle patologie implicate nell’eziopatogenesi dello scompenso cardiaco1,16.

1.4.2 Prevalenza

A quanto risulta da revisioni sistematiche della letteratura, la prevalenza di scompenso cardiaco nella popolazione generale è compresa fra l’1% ed il 3%. Prendendo in considerazione la popolazione con età superiore a 60 anni, questa percentuale spazia entro l’intervallo 5-13%, per innalzarsi negli individui con più di 70 anni d’età stabilmente al di sopra del 10%. Sempre nella popolazione con età superiore a 60 anni, molto comuni sono le condizioni asintomatiche di disfunzione diastolica e sistolica, la cui prevalenza è stimata rispettivamente al 36% ed al 5%1,16,17.

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1.4.3 Mortalità

La mortalità a 5 anni dalla diagnosi di scompenso è andata riducendosi nella seconda metà del secolo scorso, come testimonia lo studio Framingham (negli uomini, dal 70% nel periodo 1950 – 1969 al 59% nel periodo 1970 – 1999). Le osservazioni sulla coorte della contea di Olmsted e dati ricavati in Svezia studiando la popolazione locale indicano una stabilità di questo dato, che oscilla fra il 56 ed il 52%. Sulla base di questi studi è stato possibile stimare la mortalità annua per scompenso cardiaco nella popolazione generale attorno al valore di 300 decessi per 100.000 abitanti l’anno16.

1.5 Clinica

Segni e sintomi di un paziente con scompenso cardiaco possono essere ricondotti, oltre che alla sottostante causa eziopatogenetica, a due diversi meccanismi: ridotto trasporto di ossigeno ai tessuti periferici e ritenzione idrosalina. Per quanto esposto nel paragrafo 1.2, l’effetto metabolico di un ridotto trasporto di ossigeno e l’attivazione dei meccanismi di compenso descritti comportano la comparsa di fatica muscolare, dispnea e tachicardia6. Il

determinismo che lega scompenso cardiaco, ridotto trasporto di ossigeno, e l’intolleranza allo sforzo è talmente forte da aver consolidato nel tempo la pratica di stimare la severità tramite la valutazione clinica dei sintomi. Con questo intento, è stata formulata dalla New York Heart Association una apposita classificazione. Di quest’ultima nel tempo è stato dimostrato il valore prognostico e, in base a quanto detto, la forte correlazione con i valori di 𝑉̇𝑂T misurati tramite prova da sforzo cardiopolmonare.

(21)

Classi funzionali, mortalità rapportata alla classe NYHA II18, e relativo massimo 𝑉̇𝑂

T

trasportabile19 (peak𝑉̇𝑂

T o p𝑉̇𝑂T) secondo la classificazione di Weber20 sono mostrati in

Tabella 1.

Caratteristiche cliniche 𝒑𝑽̇𝑶secondo la scala di 𝟐 (in mL/kg/min) Weber

RR mortalità vs. NYHA II

NYHA I Nessuna limitazione all’esercizio. Sforzi ordinari non causano

sintomi. >20 0.79

NYHA II Paziente asintomatico a riposo, ma Modesta limitazione all’esercizio.

sintomatico per sforzi ordinari. 20-16 1.00

NYHA III

Notevole limitazione all’esercizio. Paziente asintomatico a riposo, ma sintomatico per sforzi inferiori

all’ordinario.

15-10 1.41

NYHA IV Sintomi a riposo o per qualunque sforzo. <10 1.68

Tabella 1 Classificazione funzionale NYHA dello scompenso. Per ogni classe funzionale è indicato il rischio relativo (RR) di morte e il p𝑉̇𝑂T secondo la classificazione di Weber.

Altra possibile causa di dispnea è da riferire ad un aumento della pressione di riempimento dell’atrio sinistro con conseguente sviluppo di edema polmonare, che può verificarsi in episodi di scompenso cardiaco acuto, durante sforzi eccessivi, od in caso di elevati volumi di terapie infusive endovenose in un paziente il cui ventricolo abbia una ridotta elastanza diastolica o distensibilità. A quest’ultimo caso, più tipico dei pazienti con disfunzione diastolica e scompenso HFpEF, ci si riferisce con il nome di flash edema9,10. La ritenzione

idrosalina è determinata dall’azione del RAAS e, nelle fasi più avanzate dello scompenso o negli episodi di scompenso cardiaco acuto su cronico, direttamente dall’insufficiente perfusione renale. L’aumento della pressione di riempimento del letto vascolare venoso determina l’alterazione delle forze di Starling, riducendo la quantità di liquido che può essere

(22)

filtrato dallo spazio interstiziale in diversi distretti dell’organismo. Questo fenomeno è più evidente nelle regioni declivi dell’organismo, quali ad esempio caviglie e gambe, a causa dell’effetto gravitazionale sulla colonna ematica venosa. Quando il paziente muta la propria posizione rispetto al campo gravitazionale, ad esempio durante le ore del riposo notturno, la pressione idrostatica diviene omogenea in tutto l’organismo, interessando anche il tessuto polmonare. Questo comporta l’insorgenza di un sintomo tipicamente riferito dai pazienti con scompenso, specie in anamnesi patologica prossima all’atto del ricovero per un episodio di scompenso cardiaco acuto su cronico, ovvero la dispnea parossistica notturna e, per evitarla, l’obbligatoria assunzione all’atto di addormentarsi di una posizione semi-seduta o seduta (ortopnea). Se la pressione di riempimento aumenta ulteriormente, all’esame obiettivo potranno essere individuati segni quali il riflesso epato-giugulare ed il turgore giugulare. Infine, l’attivazione simpatica indotta dall’ipoperfusione tissutale è probabilmente responsabile anche della alterazione cronica, osservabile nei pazienti con scompenso cardiaco21, dell’entità della risposta dei chemocettori periferici e centrali al variare delle

concentrazioni dei gas plasmatici22. Quest’ultime possono essere perturbate ad esempio

dall’iperventilazione, facilmente indotta nel paziente con scompenso dallo sforzo fisico, derivandone, a causa di una alterata risposta chemocettiva23, una instabilità ventilatoria

tipicamente osservabile nel paziente con scompenso cardiaco: il respiro di Cheyne – Stokes.

1.6 Prognosi

In linea generale, tanto più severo è il ventricular-arterial uncoupling (𝐸_⁄ ), tanto 𝐸4 maggiore è il rischio di exitus11. Per questo motivo le sue due misure indirette, EF e classe

(23)

In Figura 3 è mostrato a titolo esemplificativo il rapporto di rischio per morte e per morte di natura cardiovascolare fra varie classi di EF e soggetti con EF ≥ 60%24.

Figura 3 Mortalità e frazione d’eiezione. Rapporto di rischio per morte (a sinistra) e per morte cardiaca (a destra) fra varie classi di EF e soggetti con EF ≥ 60%24.

Recentemente, su dati provenienti da una meta-analisi condotta su 30 studi ed un totale di 39372 pazienti, sono stati individuati i principali regressori di mortalità in pazienti con scompenso cardiaco. E’ stato quindi sviluppato un modello capace di formulare una stima delle probabilità di sopravvivenza di un singolo paziente. Tra i regressori (indicati in Tabella 2) e dunque i fattori prognostici, più influenti sulla sopravvivenza, si trovavano: età, EF, classe NYHA, storia di diabete.

regressore NYHA II RR vs. regressore NYHA II RR vs. regressore NYHA II RR vs.

età 1.154 NYHA I 0.788 storia di HF >

18 mesi 1.118

sesso maschile 1.115 NYHA II 1 SrCr**** 1.039

BMI* 0.965 NYHA III 1.410 BB 0.760

fumatore 1.159 NYHA IV 1.648 ACEi/ARB 0.908

SBP** 0.882 EF*** 0.581 EF ∘ età 1.040

diabete 1.422 BPCO 1.228 EF ∘ SBP 1.012

Tabella 2 Fattori prognostici nella sindrome scompenso cardiaco. I valori di RR sono normalizzati rispetto alla mortalità descritta per la classe NYHA II. BMI = indice di massa corporeo, * = per ogni unità se BMI < 30 kg/m2, SBP = pressione

arteriosa sistolica, ** = per ogni decina di mmHg eccedente la SBP target, EF = frazione d’eiezione, *** = per ogni 5% se EF < 40%, BPCO = broncopneumopatia cronica ostruttiva, SrCr = creatinina sierica, **** = per ogni 0.1 mg/dL se SrCr < 4 mg/dL, BB = terapia beta bloccante, ACEi = terapia con inibitori dell’enzima ACE, ARB = bloccanti del recettore dell’angiotensina II.

(24)

Inoltre, sono state confermata le già solide evidenze di efficacia in termini prognostici delle terapie neuro-ormonali18. Coerentemente con quanto esposto al paragrafo 1.2, anche il grado

d’attivazione della controregolazione BNP-mediata ha un ruolo prognostico25. In aggiunta

alla mortalità associata alla compromissione del compenso emodinamico, sui pazienti con scompenso cardiaco grava un maggior rischio di morte cardiaca improvvisa (sudden cardiac

death o SCD)1. Solo parte di questo rischio è spiegabile con la sottostante eziologia

ischemica. Tra gli ulteriori fattori prognostici di SCD è stato individuato il respiro di Cheyne – Stokes, un segno cui si è fatto riferimento nel paragrafo dedicato alla presentazione clinica dello scompenso cardiaco. In particolare, in una coorte di pazienti con scompenso HFrEF e portatori di defibrillatore, è stato dimostrato come l’incidenza di aritmie ventricolari potenzialmente fatali riconosciute ed interrotte da defibrillatore fosse superiore nei pazienti che al monitoraggio cardiorespiratorio notturno mostravano apnee centrali e respiro di Cheyne – Stokes26.

1.7 Trattamento

Prima che venissero chiariti alcuni aspetti fondamentali della fisiopatologia dello scompenso cardiaco, esso era considerato conseguenza esclusiva dell’insufficienza della pompa cardiaca. Per questo motivo il bagaglio terapeutico si limitava ad inotropi (adrenalina ed altre amine, glicosidi cardioattivi) e diuretici, in effetti capaci di alleviare temporaneamente la sintomatologia dei pazienti, ma irrilevanti da un punto di vista prognostico. Era inoltre nozione consolidata la presenza di superiori concentrazioni di catecolamine nel plasma dei pazienti affetti da scompenso. L’attivazione simpatica era dunque interpretata non solo come appropriata, ma anche come necessaria a sostenere la gittata cardiaca. Per questo motivo le prime evidenze cliniche di un positivo effetto prognostico della somministrazione di farmaci beta-bloccanti furono accolte con cautela e tale classe farmacologica rimase controindicata

(25)

sino agli anni ‘90, quando molteplici studi ne confermarono il beneficio27. Oggi, anche

grazie ad una migliore comprensione dei determinanti fisiopatologici dello scompenso, i beta-bloccanti costituiscono le fondamenta della terapia dello scompenso HFrEF1. Negli

anni ’80 venne invece aggredito l’altro asse neuro-ormonale, il RAAS. In quel periodo gli studi Captopril-Multicenter Study e CONSENSUS dimostrarono per primi che i farmaci ACE inibitori (ACEi) sono in grado di migliorare la prognosi e la sintomatologia dei pazienti con scompenso cardiaco28. Successivamente, studiando la popolazione di pazienti con

scompenso in terapia con ACEi, si individuò l’esistenza di un sottogruppo di pazienti in cui l’inibizione del RAAS non sembrava sortire l’efficacia attesa, con ritorno della concentrazione plasmatica di aldosterone a livelli precedenti il trattamento. Questo fenomeno, denominato aldosterone breakthrough7, mantenendo attivi i fenomeni di

rimodellamento ventricolare e ritenzione idrosalina, è foriero di maggior carico sintomatico e prognostico. Per questo motivo oggi, nel trattare pazienti con scompenso apparentemente refrattari a terapia beta-bloccante e ACEi, si ricorre ai farmaci con effetto antialdosteronico1,29. Al fianco di questi presidi terapeutici vi è un’altra classi dal ruolo

prognostico su outcome combinati: gli antagonisti del recettore I dell’angiotensina II (ARBs). In particolare, i farmaci ARBs possono essere considerati in pazienti che non tollerano ACEi, ad esempio per la comparsa di tosse indotta dall’accumulo di bradichina. A questo ampio ventaglio terapeutico si è inoltre recentemente aggiunta una nuova classe di farmaci capaci di agire sull’asse cuore-rene retto dai peptidi natriuretici. L’azione vasodilatatoria e natriuretica di quest’ultimi può infatti essere ampliata inibendo farmacologicamente una proteasi, denominata neprilisina, deputata alla loro degradazione. Tra le molecole degradate da questa proteina vi è tuttavia anche l’angiotensina II: per questo motivo si è pensato di ovviare all’effetto non voluto di una inibizione di tale degradazione con una combinazione che associasse inibitore della neprilisina (sacubitril) e inibitore del

(26)

recettore dell’angiotensina II (valsartan), da cui il nome ARNi (angiotensin receptor –

neprilysin inhibitor)30. La superiore valenza prognostica di tale combinazione rispetto alla

terapia ACEi con enalapril è stata recentemente consacrata dallo studio PARADIGM-HF31.

Infine, un ulteriore intervento prognosticamente favorevole in pazienti con EF < 35% e profilo QRS suggestivo di blocco di branca sinistra è l’impianto di dispositivi di defibrillazione impostati per la terapia di risincronizzazione cardiaca (CRT). Al fianco di questi presidi terapeutici vi sono invece altre classi dal ruolo prognostico limitato o assente: diuretici, inotropi, vasodilatatori calcio-antagonisti. Per quanto riguarda lo scompenso HFpEF, allo stato attuale sfortunatamente nessuno dei farmaci cui si è fatto riferimento sinora ha dimostrato un convincente effetto sintomatico o prognostico. Concludendo, si noterà come nell’ambito dello scompenso HFrEF ogni meccanismo neuro-ormonale responsabile di rimodellamento miocardico ed eccitotossicità, dunque rilevante sul piano prognostico, ha ottenuto nel tempo una risposta terapeutica, più o meno soddisfacente. Più acerbo ed inesplorato è il campo della prevenzione delle aritmie maligne, che trova la sua parziale soluzione nell’impianto di dispositivi defibrillatori in prevenzione primaria (pazienti con EF < 35% nonostante terapia medica da più di 3 mesi e eziopatogenesi ischemica o cardiomiopatia dilatativa) e secondaria (pazienti sopravvissuti a precedenti aritmie maligne)1.

(27)

2 Il respiro di Cheyne-Stokes nello scompenso cardiaco

2.1 Definizione

Tra i segni ed i sintomi considerati tipici1 della sindrome scompenso cardiaco cronico, vi è

il respiro di Cheyne-Stokes. Clinicamente quest’ultimo consiste nel succedersi di gruppi di atti respiratori, la cui profondità varia in crescendo-decrescendo, intervallati da apnee. Allo studio con tecnica polisonnografica, ovvero la contemporanea registrazione di flusso nasale,

pletismografia toraco-addominale e saturazione, le apnee si presentano come periodi di

assenza di flusso aereo e di movimenti toraco-addominali, dunque di sforzo respiratorio. L’assenza di sforzo respiratorio è dovuta alla mancata stimolazione ventilatoria da parte dei centri del sistema nervoso centrale che regolano il respiro. Questo tipo di fenomeno prende il nome di apnea centrale. Essa si differenzia dall’apnea ostruttiva, caratterizzata da assenza di flusso aereo causata dal collasso delle vie aeree e contemporanea presenza di movimenti toraco-addominali indotti dai centri respiratori. Da un punto di vista strettamente quantitativo, il CSR può essere considerato un pattern respiratorio anomalo caratterizzato da un andamento sinusoidale della ventilazione alveolare (𝑉̇_)32 e dunque del volume tidale

(𝑉q), della 𝑝𝐶𝑂2 alveolare, della 𝑆𝑎𝑂T33, di cui è proposta una esemplificazione grafica in

(28)

Provando a descrivere la rappresentazione grafica della variabile 𝑉q in Tabella 3 è possibile ricondursi alla osservazione clinica e definizione del fenomeno CSR offerta da Sir. William Stokes:

«it [CSR] consists in the occurrence of a series of inspirations, increasing to a maximum, and then declining in force and length, until a state of apparent apnea variabile andamento nel tempo rappresentazione grafica

𝑉̇_ 𝑉q 𝑝𝐶𝑂T _"# 𝑔(𝑡) sin 𝑡 𝑔(𝑡) sin 𝑡 ∙ [𝑘 sinx𝑛𝑡 − ℎ(𝑡)] 𝑗 sin 𝑡

Tabella 3 Respiro di Cheyne-Stokes. Descrizione analitica del fenomeno.

variabile andamento nel tempo rappresentazione grafica

𝑉̇_ 𝑉q 𝑝𝐶𝑂T _"# 𝑐𝑜𝑠𝑡 𝑘 sin 𝑛𝑡 𝑐𝑜𝑠𝑡

(29)

as to [appear] dead, when a low inspiration [...] marks the commencement of a new ascending and then descending series of inspirations [...] The decline in the length and force of respirations is as regular and remarkable as their progressive increase.»34

Degno di nota, infine, il fatto che tale brano provenga dalla relazione di un caso clinico avente caratteristiche oggi riconducibili alla sindrome dello scompenso cardiaco34.

2.2 Diagnosi

Il sospetto di CSR e apnee centrali può insorgere già all’inquadramento clinico, anche se questo è reso particolarmente ostico dall’aspecificità dei sintomi riferiti dai pazienti (dispnea a riposo, dispnea parossistica notturna, ridotta tolleranza all’esercizio, difficoltà di concentrazione e sonnolenza diurna)35. Considerando la prevalenza del CSR in pazienti HF

(cfr. paragrafo 2.3), potrebbe essere una utile opzione avviare programmi di screening per la ricerca sistematica di tale anomalia respiratoria. Gli strumenti che consentono la diagnosi del CSR sono i seguenti:

1) polisonnografia, ovvero contemporanea registrazione durante il riposo notturno ed in ambiente clinico di EEG, ECG, saturimetria, movimenti oculari, escursioni toraco-addominali, flusso aereo nasale, disturbi comportamentali del sonno tramite videocamera

2) home-PSG, ovvero la registrazione domiciliare con apposito strumento dei parametri inclusi nella polisonnografia classica

3) monitoraggio cardio-respiratorio, ovvero la registrazione in periodo diurno e notturno di flusso aereo nasale, escursioni toraco-addominali, ECG e saturimetria

(30)

Sebbene la polisonnografia sia considerata il gold-standard, il monitoraggio cardio-respiratorio offre la possibilità di estendere al periodo diurno l’osservazione del CSR, oltre a migliorare, per via della sua maggiore semplicità, l’accettazione da parte dei pazienti di tali strumenti diagnostici36. Grazie ad essi è possibile definire i seguenti valori:

1) numero di apnee/ipopnee per ora nel periodo notturno, diurno e d’intera osservazione (AHIn, AHId, AHI rispettivamente),

2) numero di apnee centrali per ora negli gli stessi periodi (CAIn, CAId, CAI rispettivamente)

3) numero di apnee ostruttive per ora negli stessi periodi (OAIn, OAId, OAI rispettivamente)

Confrontando AHIn rilevato con polisonnografia ed AHIn rilevato con monitoraggio cardio-respiratorio, si è determinato che la sensibilità delle due metodiche è sovrapponibile37 e per

questo motivo il monitoraggio cardio-respiratorio è stato accolto nelle linee guida dell’American Academy of Sleep Medicine38. Secondo tali linee guida inoltre, nel periodo

notturno si è in presenza di respiro di Cheyne Stokes quando entrambi i seguenti criteri sono soddisfatti:

a) si susseguono almeno 3 apnee (riduzione di >90% del flusso aereo per > 10 secondi ed assenza di escursione toraco-addominale) o ipopnee centrali (riduzione di >30% del flusso aereo per > 10 secondi, desaturazione >4% ed assenza di escursione toraco-addominale) seguite da un andamento in crescendo-decrescendo del flusso aereo con durata del ciclo respiratorio superiore o uguale a 40 secondi

(31)

b) vi sono almeno 5 o più apnee o ipopnee centrali per ora di riposo notturno, quando almeno 2 ore di riposo notturno sono state monitorate

2.3 Epidemiologia

La prevalenza del CSR in pazienti con HF varia in base al cut-off dell’indice AHI, alla frazione di eiezione, al tipo di studio effettuato (retrospettivo versus prospettico). In tutti i casi comunque tale valore si attesta fra il 30 ed il 70%39 40. Uno studio condotto su 100

pazienti con EF < 45% e AHIn_medio = 49, sono stati identificati quali possibili indicatori di apnee centrali una EF < 20%, la presenza di fibrillazione atriale, ipocapnia basale (pCO2

< 36 mmHg), la presenza di >30 extrasistoli ventricolari, >1 coppia, >1 episodi di tachicardia ventricolare l’ora. Il legame fra funzione ventricolare sinistra sembra confermato inoltre dal ridursi del numero di apnee e del fenomeno CSR al migliorare della EF 40. La persistenza

del CSR durante il periodo diurno è stata inoltre studiata adoperando un monitoraggio cardio-respiratorio esteso al periodo diurno. In questo modo è stato dimostrato che in pazienti con HFrEF la prevalenza di CSR diurno con AHId > 15 è di circa il 30%, mentre quasi il 50% dei pazienti mostrava un AHIn > 15. La differenza osservata può essere imputata a tre fattori fondamentali: (i) ruolo della veglia sulla regolazione della ventilazione e (ii) della chemocezione41 42, e, come suggerito da modelli matematici compartimentali,

(iii) dalla differenza del volume ematico circolante nel distretto cefalico che occorre nel passaggio dall’ortostatismo al clinostatismo43.

2.4 Fisiopatologia del respiro di Cheyne-Stokes

L’iperpnea e l’apnea del respiro di Cheyne-Stokes rappresentano due momenti fisiopatologici con conseguenze distinte sulla dinamica circolatoria, sui gas plasmatici e sul profilo neuro-ormonale. Si propone pertanto dapprima una analisi articolata delle due fasi,

(32)

seguita da una loro congiunta contestualizzazione nella complessa rete di meccanismi di compenso attivati nella sindrome HFrEF.

2.4.1 Iperpnea

Durante l’iperpnea del CSR il 𝑉q aumenta sino a raggiungere il 160% del suo valore a riposo44, mentre la frequenza respiratoria mantiene valori compresi fra 15 e 20 atti respiratori

al minuto45. Di qui l’uso appropriato del termine iperpnea e per indicare una di tali fasi46.

Inoltre, l’iperpnea del CSR è anche definibile propriamente iperventilazione, in quanto determina una riduzione dei valori di CO2 emessi al termine dell’espirazione (end-tidal CO2

o 𝑒𝑡𝐶𝑂T, approssimazione della pCO2 alveolare)47. L’effetto dell’iperpnea sullo 𝑆𝑉 è ancora

da chiarire. Evidenze acquisite in soggetti sani e in pazienti con HF sembrano suggerire un aumento dello 𝑆𝑉 durante l’iperpnea, aumento dimostrato sia con metodi invasivi che non invasivi e verosimilmente imputabile alla riduzione delle resistenze vascolari polmonari ed all’aumento di pressione intratoracica in fase espiratoria4849. Questo ha alimentato l’ipotesi

che il CSR possa, almeno nelle sue fasi iniziali, essere considerato un meccanismo di compenso nell’ambito della sindrome HF48. Inoltre, durante l’iperpnea si registra un

aumento di ritmo cardiaco (∆𝐻𝑅 ≈ 5%), pressione arteriosa sistolica (𝑆𝐵𝑃) e pressione arteriosa media (𝑀𝐴𝑃)45. L’incremento pressorio è indipendente dall’accelerazione del

ritmo cardiaco, come dimostrato in pazienti con ritmo indotto50. Nonostante non vi sia un

effetto netto delle variazioni appena riportate sulla portata cardiaca51, il 𝑉̇𝑂

T trasportato ai

tessuti periferici aumenta transitoriamente come conseguenza di una maggiore 𝑆𝑎𝑂T raggiunta al termine dell’iperpnea rispetto alla respirazione tranquilla52,. Parimenti, è

ragionevole supporre che vi sia un aumento nel consumo miocardico di ossigeno (𝑀𝑉𝑂T) da parte del ventricolo sinistro. Quest’ultimo è infatti direttamente proporzionale alla tensione sviluppata dalla parete miocardica e dunque, per la legge di Laplace, alla pressione vigente

(33)

in aorta53, che per quanto detto sopra è aumentata durante la fase di iperpnea. Nella

maggioranza dei pazienti con CSR si ha un significativo aumento del volume polmonare

tele-espiratorio (𝐸𝐸𝐿𝑉, +400ml) durante la fase crescente del 𝑉q, seguito da una riduzione in fase decrescente44 (Figura 4).

Con 𝐸𝐸𝐿𝑉 incrementano le resistenze vascolari del letto polmonare, dunque la pressione vigente in tronco polmonare e con essa anche il 𝑀𝑉𝑂T del ventricolo destro51. Un altro

effetto della congiunta variazione di 𝐸𝐸𝐿𝑉 e 𝑉q, similarmente a quanto avviene

nell’iperinsufflazione dinamica dei pazienti con BPCO ed asma, è la maggior distorsione della trama polmonare, potenzialmente in grado di indurre l’espressione di mediatori dell’infiammazione quali IL-8, IL-6, TNF-α545556. Inoltre, è possibile dimostrare come, in

volontari sani, maggiori valori di 𝑉q e 𝐸𝐸𝐿𝑉 determinino una riduzione dell’attività nervosa simpatica registrata tramite microneurografia delle fibre efferenti dei muscoli peronei (muscle sympathetic nerve activity o 𝑀𝑆𝑁𝐴)57. Un simile risultato si ottiene durante

l’iperpnea del CSR52. È pertanto possibile affermare che l’iperpnea moduli l’attività del

𝐸𝐸𝐿𝑉

𝑉q

(34)

sistema nervoso simpatico, calmierandola48. La Tabella 5 riassume le conseguenze dei

meccanismi fisiopatologici attivi nella fase di iperpnea del CSR sin qui descritti.

effetti emodinamici

↓ 𝑆𝑉, ↑ 𝐻𝑅 , 𝑄 = 𝑐𝑜𝑠𝑡, ↑ 𝑆𝐵𝑃, ↑ 𝑀𝐴𝑃

effetti respiratori ↑ 𝑆𝑎𝑂T, ↓ 𝑃𝑎𝐶𝑂T

effetti metabolici ↑ 𝑉̇𝑂T, ↑ 𝑀𝑉𝑂T

effetti sul sistema autonomico ↓MSNA

effetti infiammatori ↑IL-8, ↑ IL-6, ↑TNF-α

Tabella 5 Conseguenze dei meccanismi fisiopatologici attivi nella fase di iperpnea del CSR.

2.4.2 Apnea

L’altra entità fondamentale del CSR è l’apnea centrale (CA), in cui assenza di ventilazione e di sforzo ventilatorio coesistono. Questa, al contrario dell’apnea ostruttiva, è dunque caratterizzata da mancanza di drive ventilatorio da parte del sistema nervoso centrale e dalla costanza della pressione intratoracica al suo valore d’equilibrio. Ne conseguono effetti emodinamici opposti a quelli determinati dall’iperpnea. Durante l’apnea centrale la richiesta 𝑉̇𝑂T da parte dei tessuti periferici viene soddisfatta a spese della riserva d’ossigeno alveolare per una durata complessiva di circa 30 secondi46, un tempo tre volte inferiore alla duration of apnea without desaturation (DAWD), ovvero il tempo necessario a raggiungere una

𝑆𝑎𝑂T ≤ 90%, in aria ambiente in soggetti sani58. Ne consegue che ben oltre il termine

(35)

profondo è il nadir, tanto maggiore l’attivazione del sistema autonomico simpatico, come risulta dallo studio delle concentrazioni urinarie di norepinefrina rilevate al risveglio in pazienti con CSR60. Quale caso limite di questa correlazione, si dimostra che, a prescindere

dall’EF, i pazienti non CSR hanno valori urinari di norepinefrina significativamente inferiori60. Inoltre, quale conseguenza dello stimolo ipercapnico sul sistema nervoso

autonomo61, durante l’apnea si rileva un incremento di 𝑀𝑆𝑁𝐴, dimostrato di entità

prevalente rispetto alla sua riduzione in fase iperventilatoria52. Il susseguirsi di fasi di ipossia

è inoltre responsabile di ulteriore attivazione delle vie pro-infiammatorie62.

2.5 Significato prognostico

Considerando dunque nel loro insieme iperventilazione ed apnea, il CSR è un fenomeno respiratorio che:

a) induce attivazione catecolaminergica60

b) periodicamente incrementa la frequenza cardiaca 𝐻𝑅39

c) periodicamente comporta un superiore consumo miocardico di ossigeno ↑ 𝑀𝑉𝑂T,

fatto specialmente rilevante nel contesto di HF a eziologia ischemica51

d) ha significato pro-infiammatorio62

Ciascuno degli elementi elencati costituisce substrato aritmico63, ed è in questa ottica che è

possibile comprendere il ruolo biologico e l’impatto clinico del CSR. In pazienti con CSR si osserva infatti un significativo incremento del numero di extrasistoli ventricolari (‡ˆ‰Š‹e) per minuto durante la presenza di CSR (2.2 ‡ˆ‰Š‹e CSR vs. 1.1 ‡ˆ‰Š‹e respiro tranquillo), con una prevalenza durante la fase di iperpnea63 ( × 1,6‡ˆ‰

Š‹e. apnea) spiegata con l’effetto

pro-aritmico dell’aumento della 𝐻𝑅 in tale fase e del culmine dell’attivazione del 𝑆𝑁𝐴 indotta da ipossia ed ipercapnia al termine dell’apnea64. Osservando dunque una popolazione di

(36)

pazienti con HF portatori di defibrillatore, si dimostra che la probabilità del verificarsi di una prima appropriata cardioversione di tachiaritmia ventricolare da parte del dispositivo dipende dalla presenza di CSR, indipendentemente da altre possibili variabili confondenti (53% in CSR vs. 24% in non CSR a 48 mesi, cut-off AHI ≥ 15)26. Questo si riflette nel

significato prognostico di mortalità del CSR. Prima che i farmaci β-bloccanti assumessero il loro ruolo centrale nel trattamento della sindrome HFrEF, era possibile dimostrare per i pazienti con CSR una sopravvivenza dimezzata (sopravvivenza media 45% in CSR vs. 90% mesi in pazienti non CSR)65.

(37)

3 Patogenesi del respiro di Cheyne-Stokes

3.1 Fondamenti matematici

La comparsa del CSR in soggetti sani esposti all’alta quota, la sua sopprimibilità a seguito di somministrazione di CO2, la sua comparsa in seguito all’iperventilazione indotta da

esercizio in pazienti con CSR suggeriscono un legame fra il CSR in quanto anomalia del pattern ventilatorio e i sistemi di regolazione dei gas respiratori66. Rendendo le relazioni che

descrivono 𝑉̇_ e 𝑝𝐶𝑂T _"# (mostrate in Tabella 3) invarianti rispetto al tempo è possibile tracciare sul piano cartesiano il ciclo respiratorio del CSR e confrontarlo con il respiro tranquillo, in cui 𝑉̇_ e 𝑝𝐶𝑂T _"# assumono valori costanti (Figura 5).

Quanto detto sinora ha valore descrittivo. Per comprendere i meccanismi che instaurano ed alimentano il CSR è invece necessario riferirsi alla teoria predittiva attualmente più coerente con le prove empiriche, il modello loop-gain. In generale, maggiore è la ventilazione, più anidride carbonica viene dismessa: il valore di 𝑝𝐶𝑂T _"# dipende dunque da 𝑉̇_ secondo una relazione iperbolica (mostrata a destra in Figura 5). A propria volta, il valore di 𝑉̇_ è regolato da un sistema chemocettivo che assicura la costanza dei mezzi interni, determinando una risposta iperventilatoria all’ipercapnia e una ridotta ventilazione in ipocapnia: esiste dunque

Figura 5 Relazione grafica fra anidride carbonica alveolare e ventilazione nel paziente con CSR (sinistra) e in respiro tranquillo (destra).

𝑝𝐶𝑂T _"# 𝑉̇_

𝑝𝐶𝑂T _"#

(38)

un drive ventilatorio per cui 𝑉̇_ dipende linearmente dalla 𝑝𝐶𝑂T _`a rilevata dal sistema chemocettivo secondo un coefficiente 𝑆 (slope), stima della sensibilità chemocettiva. Infine, in soggetti sani 𝑝𝐶𝑂T _`a è approssimabile a 𝑝𝐶𝑂T _"#, a propria volta approssimabile al valore 𝑒𝑡𝐶𝑂T. Dunque, il modello si basa su tre assunzioni:

a) 𝑉̇_ = 𝑆 ∙ 𝑝𝐶𝑂T _`a

b) 𝑝𝐶𝑂T _"# ∝ 𝑘 𝑉̇⁄ _

c) 𝑝𝐶𝑂T _`a ≅ 𝑝𝐶𝑂T _"#≅ 𝑒𝑡𝐶𝑂T

La condizione di equilibrio in respiro tranquillo è mantenuta quando, data 𝑉̇_ = 𝑥, questa

determina valori di 𝑝𝐶𝑂T _"# (e dunque di 𝑝𝐶𝑂T _`a) per i quali il drive ventilatorio del

sistema chemocettivo pone 𝑉̇_ = 𝑥 (a destra in Figura 5). Dato questo meccanismo di

feed-back, ad una perturbazione che induca una ∆ 𝑝𝐶𝑂T _"#, (una apnea od una iperventilazione) seguirà una ∆𝑉̇_ che la compenserà parzialmente, approssimando la 𝑝𝐶𝑂T _"# ad un nuovo

valore, più vicino a quello di equilibrio. A questo seguirà una nuova e inferiore ∆𝑉̇_ e così via sino a che 𝑉̇_ = 𝑐𝑜𝑠𝑡 e 𝑝𝐶𝑂T _"# = 𝑐𝑜𝑠𝑡. Come mostrato in Figura 6, durante la correzione il valore 𝑉̇_ oscilla, raggiungendo dei valori massimi progressivamente decrescenti, tali per cui il rapporto fra il valore di un massimo ed il suo precedente è inferiore all’unità (loop-gain o 𝐿𝐺 < 1 ). Nel CSR si verificano casi limite delle assunzioni fondamentali a) b) c), per cui si instaura un meccanismo di feed-back ad elevato guadagno. In questo caso ad ogni ∆ 𝑝𝐶𝑂T _"# segue una sproporzionata ∆𝑉̇_, che anziché condurvi, allontana dal punto di equilibrio. Si ha così che 𝐿𝐺 ≥ 1 e che 𝑝𝐶𝑂T _"# può arrivare a ridursi

al di sotto della soglia apnoica, valore per cui il drive ventilatorio pone 𝑉̇_ = 0, inducendo

così una apnea di origine centrale. Si instaura in questo modo il pattern ventilatorio mostrato in Figura 5.

(39)

Figura 6 Modello loop-gain. Sopra, risposta fisiologica a stimolo ipercapnico, con ripristino del respiro tranquillo (LG<1). Sotto, comparsa di respiro periodico in risposta allo stesso stimolo (LG>1).

3.2 Tempo di circolo

L’idea che il CSR potesse essere il risultato di una anomala antifase fra la attuale 𝑝𝐶𝑂T _"#

e la 𝑝𝐶𝑂T _`a rilevata dai chemocettori, portò Guyton e colleghi ad indurre artificialmente in

un modello canino un abnorme tempo di circolo (𝐶a), ovvero tempo necessario al sangue per percorrere quella sezione di vascolatura interposta fra il distretto polmonare e quello cefalico67. L’esperimento riuscì, tuttavia per ottenere la comparsa di CSR fu necessario

incrementare il 𝐶a a valori di 2-5 minuti, incompatibili con qualunque patologia nota (con

l’eccezione, sensu latu, dell’encefalite, in cui a causa dell’edema infiammatorio aumenta notevolmente lo spazio di diffusione della CO2 interposto fra versante vascolare e

chemocettori43). Riferendosi alle tre assunzioni fondamentali del modello loop-gain,

l’aumento del 𝐶a determina l’invalidità della relazione 𝑝𝐶𝑂T _`a ≅ 𝑝𝐶𝑂T _"# ≅ 𝑒𝑡𝐶𝑂T. Modelli validati su pazienti con HF dimostrano come il 𝐶a isolatamente alterato sia incapace

(40)

di indurre CSR, necessitando dell’effetto additivo di un alterato valore di 𝑆 68 41.

Attualmente, il 𝐶a è stimato tramite polisonnografia, misurando il lung to finger circulation

time (LFCT), ovvero il tempo che intercorre fra il termine di una apnea e il successivo nadir

di 𝑆𝑎𝑂T rilevata al dito46. Quando la sonda è invece posizionata all’orecchio, ci si riferisce

a questo tempo denominandolo lung to ear circulation time (LECT)69. In pratica clinica, è

più comune confrontarsi con misure del LFCT, data l’integrazione della traccia saturimetrica acquisita al dito nelle prove polisonnografiche. Degno di nota è il fatto che il LECT, essendo ricavato da dati ottenuti in un sito anatomico più prossimo all’arteria carotide ed alle strutture chemocettive, dimostra un ritardo inferiore rispetto alle fasi di apnea/iperpnea del CSR, indicando inoltre dei valori di nadir della 𝑆𝑎𝑂T lievemente superiori. Quest’ultimo aspetto

non è trascurabile ed in assenza di un gold standard è degno di ulteriore studio, poiché comporta una decuplicazione della misura del tempo totale trascorso in 𝑆𝑎𝑂T < 90% stimato con LFCT rispetto al LECT59. Da un punto di vista fisico, la portata cardiaca 𝐶𝑂

esprime la quantità di volume eiettata nell’albero vascolare nell’unità di tempo. Ne consegue che, a parità di volume ematico, ad influenzare il tempo impiegato dal sangue per percorrere un determinato tratto di vasi di conduzione dipenderà dal 𝐶𝑂, e dunque da 𝐻𝑅 e 𝑆𝑉. Questo principio è stato dimostrato su pazienti misurando tanto il LECT quanto il LFCT6970. Ciò ha

importanti conseguenze sul profilo terapeutico: se è vero che il 𝐶a agisce da ulteriore promotore dell’instabilità del pattern respiratorio, ogni presidio volto ad incrementare la portata cardiaca può contrastare la comparsa di CSR.

3.3 Plant gain

L’altra assunzione del modello loop-gain riguarda quella che viene chiamata iperbole

(41)

respiratoria e volume tidale venivano modulati in modo indipendente e confrontati con i rispettivi valori di 𝑝𝐶𝑂T _"#71. Esprimendo la ventilazione necessaria a dismettere CO

2

alveolare, la sua pendenza, funzione di 𝑘, dipende dalla produzione periferica di CO2 e dal

volume polmonare. In effetti, quest’ultimo costituisce un vero e proprio tampone, capace di mitigare variazioni troppo rapide tanto in senso ipercapnico quanto in senso ipocapnico della CO2. Il volume polmonare si riduce sensibilmente in condizioni di clinostatismo,

aumentando la ripidità della iperbole metabolica e favorendo dunque l’instabilità respiratoria. Prima del 2019, l’unico studio del plant gain nel contesto della sindrome HF disponibile era stato effettuato su modello murino, laddove si dimostrava una significativa differenza fra plant gain di cavie sopravvissute a infarto procurato mediante legatura della coronaria sinistra e controlli. In un recente studio su pazienti con HF, è stato illustrato un metodo economico, riproducibile e intuitivo per studiare il plant gain. Guidando per mezzo di un ausilio grafico l’azione ventilatoria dei pazienti HF con o senza CSR, è stata dimostrata fra i due gruppi una significativa differenza nel plant gain. Inoltre, il plant gain è risultato essere l’unico predittore di eventi apnea centrale/ipopnea diurni, e un buon predittore, in combinazione con il valore di 𝑆, dunque del chemoriflesso, di eventi apnea centrale/ipopnea notturni.

3.4 Chemoriflesso

La relazione indicata in a) al paragrafo 3.1 rappresenta in simboli matematici una forma di chemoriflesso. Con questo termine si indica genericamente ogni riflesso indotto da una sostanza chimica: questo implica l’esistenza di un braccio afferente costituito da una struttura recettoriale per una determinata sostanza, un centro di elaborazione della risposta e un braccio efferente. Nell’essere umano e nei mammiferi i gas plasmatici O2 e CO2 sono

(42)

response o HVR), volta ad assicurare un adeguato 𝑉̇𝑂T periferico, e di una risposta ventilatoria all’ipercapnia (hypercapnic ventilatory response o HCVR), volta a mantenere il pH entro intervalli compatibili con la vita. La struttura recettoriale in quanto tale è regolata da una curva di Hill33: 𝑓(𝑥) = “”

_”•“ , la cui coda sinistra tende asintoticamente a 0 (Figura

7).

Nell’ambito della HCVR ciò determina l’esistenza di valori di CO2 per i quali a valle della

struttura recettoriale i pathway biochimici sono incapaci di stimolare le aree del sistema nervoso centrale deputate alla ventilazione. Questo si traduce nell’esistenza di una soglia

apnoica per cui 𝑉̇_ = 0. Altra caratteristica della curva di Hill è la presenza di una regione centrale in cui la pendenza è quasi costante, dal valore approssimabile a 𝑆, stima della sensibilità chemocettiva. Entro questo intervallo si esprime dunque una quasi diretta proporzionalità fra 𝑝𝐶𝑂T _"# e attivazione dei centri ventilatori, che risulta nella assunzione di cui al punto a). In ambito clinico, è possibile misurare il valore di 𝑆 variando arbitrariamente la CO2 inspirata da un soggetto sperimentale e registrandone la conseguente

∆𝑉̇_: in tal caso si avrà che 𝑆 = ∆ –—b∆‡̇c ˜™š

˜ . Secondo simulazioni basate sul modello

loop-gain, valori di 𝑆 elevati possono contribuire affinché 𝐿𝐺 ≥ 1, e dunque si presenti CSR23.

𝑝𝐶𝑂T _"# 𝑉̇_

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