• Non ci sono risultati.

L'esercizio fisico nel trattamento della claudicatio intermittens: osservazione clinica e valutazione funzionale del microcircolo

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L'esercizio fisico nel trattamento della claudicatio intermittens: osservazione clinica e valutazione funzionale del microcircolo"

Copied!
87
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

Corso di Laurea Specialistica in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea:

L’esercizio fisico nel trattamento della claudicatio

intermittens: osservazione clinica e valutazione funzionale

del microcircolo

Relatore:

Prof. Marco Rossi

Candidato:

Filippo Cecchelli

(2)
(3)

3

INDICE

Riassunto pg 5

Introduzione pg 7

Definizione di arteriopatia obliterante periferica(AOP) pg 7

Epidemiologia della AOP pg 9

Fisiopatologia della AOP pg 12

Ruolo del microcircolo nella fisiopatologia della AOP pg 16

Fattori di rischio per AOP pg 20

Classificazione della AOP pg 24

La claudicatio intermittens pg 29

Inquadramento diagnostico del paziente con AOP pg 33 - Anamnesi ed esame obiettivo

- Test su treadmill ed altri test da sforzo - L’ indice pressorio caviglia-braccio - Eco-Color Doppler nella diagnosi di AOP - Esami di terzo livello

(4)

4

• Trattamento della AOP al secondo stadio pg 49 - Riabilitazione fisica

- Correzione dei fattori di rischio - Farmacoterapia

- Procedure chirurgiche ed endovascolari

Osservazione personale pg 64

• Scopo della osservazione

• Pazienti reclutati

• Protocollo riabilitativo applicato • Esame della funzione endoteliale • Analisi statistica

• Risultati • Discussione

Figure pg 78

(5)

5

RIASSUNTO

Scopo della tesi è stato valutare, in pazienti affetti da arteriopatia obliterante periferica (AOP) al secondo stadio, eventuali cambiamenti migliorativi della claudicatio intermittens e della funzionalità endoteliale associati all’applicazione di un protocollo riabilitativo della durata di quattro settimane che prevedeva una sessione settimanale di deambulazione supervisionata su treadmill in ambiente medico e sessioni domiciliari giornaliere di deambulazione su terreno secondo criteri pre-determinati.

Sono stati reclutati per l’ osservazione undici pazienti di sesso maschile, di età compresa tra i 50 ed i 70 anni, affetti da AOP al secondo stadio. Prima di iniziare il protocollo riabilitativo è stato valutato, mediante treadmill, l’intervallo di “claudicazione relativa” e quello di “claudicazione assoluta”. Si è inoltre valutato, mediante esame Laser-Doppler (LD), il flusso microcircolatorio cutaneo dell’ arto affetto da AOP in condizioni basali e in risposta alla cessione ionoforetica di acetilcolina (ACh) e nitroprussiato di sodio (NPS). Al termine delle quattro settimane di durata del protocollo riabilitativo sono state ripetute le procedure ionoforetiche con ACh e NPS e le relative valutazioni

(6)

6

Laser Doppler con la stessa procedura precedentemente impiegata.

A seguito del protocollo riabilitativo si è osservato un aumento significativo dell’ intervallo di claudicazione sia relativa (da 11647 metri a 20386 metri; p<0.05) che assoluta (da 20082 metri a 400284 metri; p<0.05) e un aumento significativo della risposta vasodilatatrice cutanea alla ionoforesi di ACh. Al contrario, la risposta vasodilatatrice cutanea alla ionoforesi di NPS non si è modificata significativamente.

Questi risultati, seppur ottenuti con uno studio senza gruppo di controllo e su una casistica limitata, suggeriscono che il protocollo riabilitativo applicato possa essere efficace sulla

claudicatio intermittens e possa avere un effetto favorevole sulla

(7)

7

INTRODUZIONE

Definizione di Arteriopatia Obliterante Periferica

Le arteriopatie vengono suddivise in: patologia aneurismatica, disordini occlusivi su base aterosclerotica e disordini occlusivi su base non aterosclerotica1. Le malattie con eziopatogenesi aterosclerotica vengono ulteriormente suddivise, a seconda della loro localizzazione, in arteriopatie coronariche, cerebrali, periferiche, renali e mesenteriche.

Il termine Arteriopatia Obliterante Periferica (AOP) è utilizzato per indicare la patologia ostruttiva dei vasi arteriosi degli arti superiori o inferiori1, la cui eziologia risiede principalmente nella patologia aterosclerotica, ma che può anche dipendere da trombosi, embolie, vasculiti, displasia fibromuscolare2.

Nell’85% dei casi l’ arteriopatia obliterante periferica colpisce gli arti inferiori mentre nel restante 15% colpisce gli arti superiori. Nella presente tesi l’ acronimo AOP farà esclusivo riferimento all’ arteriopatia obliterante degli arti inferiori.

Sono state redatte diverse linee guida per la gestione del paziente affetto da AOP e tra le più importanti vanno ricordate la TASC II (TransAtlantic inter Society Consensus del 2007), la linea guida dell’ ACCF/AHA (American College of Cardiology

(8)

8

Foundation/American Heart Association del 2005, aggiornata nel

(9)

9

Epidemiologia della AOP

L’arteriopatia obliterante periferica è una patologia che ha una prevalenza nella popolazione totale, stimata tra il 3 e il 10%. Nei soggetti con più di 70 anni la prevalenza di tale patologia raggiunge il 15-20%3.

Fowkes et al. hanno definito la AOP una pandemia che nel 2010 coinvolgeva circa 202 milioni di pazienti nel mondo4 e che rispetto all’ultima decade ha avuto un incremento del 28.7% nei paesi in via di sviluppo e del 13.1% nei paesi più industrializzati. In particolare, l’arteriopatia periferica, è la terza causa di morbilità cardiovascolare su base aterosclerotica preceduta solo da arteriopatia coronarica e stroke.4

Negli U.S.A. la AOP colpisce 8 milioni di persone tra uomini e donne e diventerà sempre più frequente con l’aumento della durata media di vita 5, 6. La prevalenza di questa patologia è lievemente maggiore nel sesso maschile rispetto al sesso femminile ed è maggiore nelle persone di colore rispetto ai bianchi non ispanici7.

Nella studio M.E.S.A. (Multi Ethnic Study of Atherosclerosis) è stato dimostrato che i soggetti di colore avevano una probabilità di malattia 1,47 volte superiore ai bianchi non ispanici mentre le

(10)

10

probabilità di malattia negli ispanici e nei cinesi erano meno di 0,5 volte superiori8.

Lo Studio Multicentrico Europeo Pandora (Prevalence of

peripheral Arterial disease in subjects with a moderate CVD risk, with No overt vascular Disease nOR diAbete mellitus) del 2011

ha coinvolto 10.287 pazienti a rischio cardiovascolare moderato, ed è stato realizzato in 594 centri sanitari di sei paesi differenti: Italia, Belgio, Olanda, Svizzera, Grecia e Francia. In italia sono stati analizzati 5298 pazienti provenienti da 30 diverse A.S.L. su territorio nazionale; sono stati selezionati pazienti nei quali, in base ad anamnesi e fattori di rischio, non era teoricamente sospettabile la presenza di una patologia vascolare. I pazienti erano seguiti dai 289 medici di Medicina Generale, associati alla Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale FIMMG. Secondo il parere di tali medici curanti, i pazienti esaminati non necessitavano di indagini diagnostiche specifiche per la patologia vascolare.

I risultati di questo studio internazionale, multicentrico e osservazionale, hanno evidenziato che il 17,8% (in Italia si è raggiunto il 22,9%) dei circa 10.000 soggetti esaminati con moderato rischio cardiovascolare, presentava AOP documentabile da un alterato indice pressorio caviglia/braccio (ABI), mentre il 20,7% dei pazienti mostrava un ABI borderline. L’ importanza di

(11)

11

tale studio, oltre ad aver fornito interessanti informazioni epidemiologiche, è stata quella di proporre l’utilizzo dell’ indice pressorio ABI in pazienti senza sintomi di arteriopatia, per poter passare, nei soggetti risultati affetti, dalle indicazioni dei fattori di rischio a quelle date dalla certezza di una patologia già presente ed evidente (l’arteriopatia) come indice di rischio per successivi possibili eventi cardiovascolari e cerebrovascolari. Molti studi hanno infatti accertato il forte legame esistente tra arteriopatia periferica ed eventi cardio-cerebro vascolari9-11. Chi è affetto da AOP ha solitamente importanti patologie aterosclerotiche in atto anche in altri distretti vascolari, mentre nei pazienti non colpiti da AOP ciò si verifica, mediamente, in meno del 10%9.

(12)

12

Fisiopatologia della AOP

I pazienti affetti da AOP presentano stenosi arteriose, singole o più frequentemente multiple, che determinano una compromissione emodinamica a livello tissutale dovuta ad alterazione delle pressioni nei vasi arteriosi a valle delle stenosi. L’attività muscolare crea una condizione di aumentata richiesta metabolica, determinando nei gruppi muscolari irrorati da tali arterie, una situazione di deficit funzionale causato dall’ ipoperfusione. Negli stadi più gravi di AOP questa condizione si può verificare anche a riposo.

Nelle persone affette da AOP al secondo stadio, il flusso ematico a riposo è simile a quello delle persone sane di pari età.

Durante l’ esercizio fisico, nel soggetto non affetto da AOP, il flusso sanguigno che irrora i gruppi muscolari dell’ arto inferiore viene incrementato fino a dieci volte, a seguito dell’ aumento della gittata cardiaca e della vasodilatazione compensatoria a livello del microcircolo. Con la cessazione dell’ attività fisica il flusso torna a valori normali nel giro di qualche minuto.

Questi meccanismi sono in parte compromessi nei pazienti affetti da AOP. In tali pazienti, a seguito della patologia, viene meno la capacità di incrementare in modo ottimale ed efficace la perfusione sanguigna durante gli sforzi fisici che coinvolgono i

(13)

13

gruppi muscolari irrorati da arterie a valle delle stenosi. Quando le richieste metaboliche superano quelle offerte dal circolo ematico, si ha la comparsa della sintomatologia. Inoltre, terminato l’esercizio fisico, in questi pazienti è maggiore il tempo con cui il flusso sanguigno ritorna ai valori basali.

Nei soggetti sani la pressione sistolica a livello della caviglia è maggiore di quella a livello del braccio e tale differenza non viene modificata significativamente dall’ esercizio; invece in caso di patologia aterosclerotica dell’ arto inferiore ogni stenosi influisce nella diminuzione della pressione a valle del restringimento.

Ne consegue che i pazienti affetti da AOP hanno una minor pressione sistolica misurata a livello della caviglia e ciò si manifesta in modo più eclatante durante gli sforzi fisici.

Secondo la Legge di Poiseuille la perdita di pressione dovuta a queste stenosi arteriose è definita dall’ equazione:

 Pressione=8QL/ r 4.

In tale formula “Q” è il flusso, “” è la viscosità, “L” è la lunghezza del tratto stenotico ed “r” è il raggio del lume delle aree con restringimenti. Il gradiente pressorio è quindi direttamente proporzionale alla portata ed alla lunghezza della stenosi ed inversamente proporzionale alla quarta potenza del raggio. Di conseguenza, se il raggio del lume arterioso si riduce (anche in caso di aumento della portata) sarà tale diminuzione

(14)

14

ad influire maggiormente, e in modo negativo, sul gradiente pressorio tra il tratto pre-stenotico ed il tratto post-stenotico. Questo fenomeno è amplificato se due o più stenosi sono presenti in successione lungo lo stesso vaso arterioso.

I pazienti affetti da AOP degli arti inferiori hanno quindi una peggior perfusione degli arti inferiori che oltre una certa soglia determina nel tempo un più rapido declino dell’ autonomia di deambulazione rispetto a pazienti non colpiti da questa patologia.

I perché di questo deterioramento funzionale sono stati solo in parte compresi, sono e saranno oggetto di ricerche che possano spiegare i più fini meccanismi implicati nel determinare il quadro clinico di questi pazienti.

Quanto appena detto infatti non può essere l’ unica motivazione per spiegare la menomazione funzionale che si determina in tali regioni12.

In effetti si è visto che anche a seguito di rivascolarizzazione chirurgica non si ottiene un recupero funzionale che vada di pari passo con il grado di ripristino post-operatorio del flusso sanguigno.

Inoltre è emerso che la progressione del declino funzionale dell’ arto inferiore non è direttamente proporzionale al grado di progressione dell’ aterosclerosi13.

(15)

15

Infine la terapia con esercizio fisico porta ad un comprovato recupero funzionale pur non modificando l’ entità dell’ ostruzione14.

Devono quindi essere presenti altri fattori che contribuiscono a determinare il deficit funzionale degli arti colpiti, oltre alla ostruzione arteriosa.

Una concausa della diminuita capacità di deambulazione potrebbero essere le conseguenze della miopatia ischemico-dipendente che si ritrova spesso in questi pazienti a livello dei tessuti muscolari degli arti inferiori; tale miopatia è anatomo/patologicamente caratterizzata da atrofia muscolare e infarcimento adiposo15.

Nei processi che determinano il quadro clinico dei pazienti con AOP sembrano essere coinvolte anche disfunzioni mitocondriali nelle cellule dei tessuti ipoperfusi, e queste alterazioni non appaiono reversibili completamente in seguito a rivascolarizzazione16, 17.

(16)

16

Ruolo del microcircolo nella fisiopatologia della AOP

Nella fisiopatologia della AOP ricopre un ruolo di rilievo l’ alterazione del microcircolo.

Il microcircolo è costituito da una fitta rete di vasi interposti tra il versante arterioso e quello venoso.

Questa struttura è composta da:

 arterie pre-capillari con calibro minore di 100 m

 capillari

 anastomosi artero-venose

 venule

Si viene così a formare una complessa trama di piccoli vasi che a livello dei diversi organi consente l’ apporto di nutrimenti, il trasporto di ossigeno, la modulazione del flusso sanguigno ai vari tessuti e l’ allontanamento dei prodotti del metabolismo cellulare. Soprattutto a livello cutaneo, il microcircolo funge da scambiatore di calore per la termoregolazione mediante il controllo delle resistenze vascolari e la ridistribuzione del flusso ematico.

Per mantenere l’ omeostasi all’ interno dei vasi, e consentire un’ ottimale funzionalità di questo sistema, l’ endotelio deve essere integro sia dal punto di vista funzionale che dal punto di vista strutturale.

(17)

17

L‘ endotelio può essere considerato come il più esteso organo del corpo umano è svolge un ampio spettro di funzioni tra le quali rientrano: la modulazione del tono vascolare, il mantenimento della permeabilità di barriera, il metabolismo di molecole pro-coagulanti, anticoagulanti e antitrombiniche, la sintesi di ormoni, la modulazione della funzione immunitaria e della risposta infiammatoria.

Con il termine disfunzione endoteliale (condizione determinata dal danno endoteliale cronico) si intende un’ alterazione nella produzione dei mediatori che l’ endotelio produce, tra i quali figurano: l’ossido nitrico, l’endotelina, le prostacicline, il trombossano A2, i leucotrieni. Si viene in tal modo a creare uno squilibrio tra la produzione di mediatori endoteliali con funzione anti-trombotica, anti-aterogena ed anti-proliferativa, e la produzione di mediatori endoteliali con azione opposta.

Il risultato è una condizione di aumentata produzione di molecole ad azione vasocostrittrice, pro-infiammatoria e pro-aggregante. Questi scompensi facilitano l’ insorgenza e la progressione di malattie cardiovascolari, in primis del principale substrato della arteriopatia obliterante periferica: l’ aterosclerosi.

L’ endotelio svolge un ruolo fondamentale nella regolazione del flusso sanguigno, ciò è stato sottolineato dall’ osservazione che la sua rimozione chimica o meccanica dal lume di arteriole isolate

(18)

18

determina abolizione della vasomotilità con conseguente grave compromissione del microcircolo18.

Queste alterazioni endoteliali sono in parte responsabili dei deficit a livello del microcircolo cutaneo riscontrati nei pazienti affetti da AOP.

Negli ultimi vent’ anni ha suscitato molto interesse sia l’ indagine dei meccanismi responsabili di disfunzione endoteliale, che lo studio del microcircolo mediante Flussimetria Laser Doppler19. Per effettuare gli studi del microcircolo cutaneo mediante Laser Doppler, e comprendere le eventuali alterazioni della funzionalità endoteliale nelle regolazione del flusso sanguigno, può essere utile indagare le modificazioni indotte a livello del microcircolo dalla cessione locale di acetilcolina, nitroprussiato di sodio, N-monometyl-L-arginina.

L’ acetilcolina è un vasodilatatore endotelio dipendente la cui azione è mediata dalla produzione di ossido nitrico da parte delle cellule endoteliali.

Il nitroprussiato di sodio è invece un vasodilatatore endotelio indipendente poiché va ad agire direttamente sulla contrattilità delle cellule muscolari lisce.

La N-monometyl-L-arginina (L-NMMA) è un inibitore della NO sintasi endoteliale.

(19)

19

Si può utilizzare la cessione ionoforetica di tali sostanze per valutarne le risposte locali ed evitare di ottenere risultati falsati dagli eventuali effetti sistemici.

Studi del flusso sanguigno in pazienti con AOP hanno sottolineato in tale patologia la presenza di disfunzione endoteliale a livello microvascolare ed è stato dimostrato che in questi pazienti si verifica un minor picco di flusso in risposta all’ iperemia reattiva post-ischemica20.

In corso di AOP al secondo stadio viene comunque mantenuta una normale perfusione cutanea basale nelle aree colpite da patologia.

Questo può significare che, in condizioni di riposo, la perfusione è garantita dalla regolazione della vasomotilità attraverso meccanismi compensatori mediati dalla maggior attività di endotelio, sistema nervoso simpatico e tessuto muscolare liscio presente nelle pareti vasali.

(20)

20

Fattori di rischio per AOP

L’ aterosclerosi è la principale base patogenetica dell’ arteriopatia periferica, e nella sua eziopatogenesi ritroviamo fattori di rischio modificabili e non modificabili. Tra i fattori di rischio non modificabili abbiamo: l’età, con un evidente aumento di incidenza e prevalenza con l’aumentare della stessa4; il sesso, con un lieve aumento di frequenza di malattia nei maschi rispetto alle femmine (ma, per alcune fasce di età, in alcune aree del mondo, il rapporto può essere sovvertito); l’etnia, con una maggiore frequenza nei neri non ispanici (7.8%) rispetto ai bianchi (4.4%)3.

Poi esistono fattori di rischio, modificabili o parzialmente modificali mediante terapia; i principali sono il fumo, l’ipertensione, il diabete mellito, le iperlipidemie e l’obesità21. Il più importante fattore di rischio di AOP, sia per la diffusione che per la possibilità di poter essere eradicato dalla vita dei pazienti, è il fumo di sigaretta, strettamente associato ad un aumento di arteriopatia periferica e correlato alla progressione della stessa. La diagnosi di AOP nei fumatori avviene circa dieci anni prima rispetto ai non fumatori, e il numero di sigarette fumate incide sulla severità della malattia. Un forte fumatore va incontro ad un rischio quattro volte superiore di sviluppare

(21)

21

claudicatio intermittens ed in generale i fumatori hanno un aumento del rischio relativo di malattia di 3.7 che permane, pur abbassandosi, negli ex-fumatori22-24. Dopo dieci anni di cessazione del fumo, gli ex fumatori continuano comunque ad avere l’indice pressorio caviglia-braccio più basso rispetto a soggetti che non hanno mai fumato11.

Una recente meta-analisi, che ha riguardato 55 studi sulla correlazione tra fumo e AOP, ha evidenziato che i fumatori hanno un odds ratio medio di 3.08 mentre quello degli ex fumatori è di 1.6725.

Ruolo chiave nella prevenzione della patologia è ricoperto anche dalla gestione dei livelli pressori; a tal proposito le linee guida internazionali incoraggiano il trattamento aggressivo dell’ ipertensione nei pazienti affetti da AOP, con l’obbiettivo di mantenere i livelli pressori su valori di 140/90 mmHg in assenza di altre comorbilità inerenti e di 130/80 mmHg in caso di diabete o insufficienza renale26, 27.

Il diabete incrementa di circa 3-4 volte il rischio di AOP e raddoppia il rischio di claudicazione21.

Per l’ iperlipidemia associata alla AOP, oltre ad un fondamentale ed iniziale controllo del regime alimentare, è riconosciuta l’ efficacia della terapia con statine come dimostrato dall’ Heart

(22)

22

ridurre di circa il 20% il tasso di rischio di primo evento cardiovascolare maggiore nei pazienti con AOP, e di ridurre di circa un sesto gli eventi vascolari periferici. A seguito di tali risultati la terapia con statine dovrebbe essere presa in considerazione per tutti i pazienti con arteriopatia periferica nota28.

Studi sull’ associazione tra AOP e infiammazione suggeriscono che fattori di rischio emergenti per arteriopatia periferica possano essere gli elevati valori di IL6 e minori livelli di eGFR11. È stata valutata l’ influenza di elevati livelli plasmatici di Proteina C Reattiva; l’ aumento di quest’ ultimo marker infiammatorio sembra essere proporzionalmente associato a quadri di più grave arteriopatia periferica29, ad un più rapido decremento dell’ indice pressorio caviglia/braccio e ad una maggior progressione delle calcificazioni radiologicamente rilevabili a livello delle arterie iliache30. La diminuzione dei livelli di Proteina C Reattiva, durante terapia con statine, è inversamente proporzionale al tasso di progressione di aterosclerosi coronarica valutata con ecografia intravasale31; in altri studi questa correlazione non si è verificata32, ma a livello periferico (arterie carotidi) il ruolo aterogenico determinato da elevati livelli di PCR in circolo è stato confermato30, 33.

(23)

23

Altro oggetto di studio è stata la correlazione tra alti livelli plasmatici di omocisteina e arteriopatia periferica; anche qui le indicazioni non sono state univoche ma è stato sottolineato che, in vitro, l’effetto dannoso di elevati livelli dell’aminoacido in questione è correlato principalmente più ad eventi trombotici acuti che non ad un effetto sulla progressione dell’aterosclerosi34.

(24)

24

Classificazione della AOP

Le due classificazioni più utilizzate per l’arteriopatia obliterante periferica sono quella di Fontaine35 e quella di Rutherford36.

In entrambe, per definire alcuni stadi/gradi di malattia, riveste un ruolo fondamentale la claudicato intermittens, sintomo dolorifico da sforzo fisico che interferisce con la deambulazione di questi pazienti e che sarà successivamente descritto in modo più dettagliato nel capitolo dedicato.

L’ autonomia di marcia, rapportata alla claudicatio intermittens, può essere differenziata in “distanza di claudicazione relativa” e “distanza di claudicazione assoluta”.

Con distanza di claudicazione relativa si intende quanti metri il paziente può percorrere senza che compaia la sintomatologia ischemica dell’ arto inferiore.

Con distanza di claudicazione assoluta si intende quanti metri il paziente può percorrere prima che sia obbligato a fermarsi a causa del dolore ischemico.

(25)

25

Nella classificazione di Fontaine si distinguono quattro stadi:

-Stadio I: paziente asintomatico o paucisintomatico.

La sintomatologia iniziale è rappresentata da senso di peso dell’arto, freddo ed affaticamento delle estremità.

-Stadio II: caratterizzato dalla claudicatio intermittens ovvero un dolore crampiforme riferito ai muscoli dell’ arto inferiore.

A seguito del dolore il paziente è costretto ad arrestare la marcia per un tempo tanto più lungo quanto più grave e severa è l’ostruzione arteriosa.

In base a quanti metri il soggetto può percorrere prima di doversi fermare, è possibile suddividere il secondo stadio in: • IIa: distanza di claudicazione assoluta > 200m. • IIb: distanza di claudicazione assoluta < 200m.

-Stadio III: sono presenti dolori a riposo con interessamento prevalentemente di dita, piede e tallone. I dolori sono più forti di notte, quando il paziente è disteso, poiché viene meno il contributo della forza di gravità sulla colonna arteriosa di sangue. Per questo spesso il paziente mantiene l’arto dolente fuori dal letto, o compie alcuni passi durante la notte per alleviare il dolore.

(26)

26

-Stadio IV: comparsa di lesioni gangrenose a) limitate all’avampiede

b) lesioni prossimali La gangrena può essere:

•secca >> se non vi è sovrapposizione batterica (mummificazione dei tessuti)

•umida >> con sovrapposizione batterica. Più severa rispetto al tipo precedente35.

La classificazione di Rutherford può essere considerata una rivisitazione della classificazione di Fontaine ed è stata realizzata a 43 anni di distanza sulla base delle nuove conoscenze in tema di epidemiologia, fisiopatologia, possibilità di rivascolarizzazione e risultati clinici. Rutherford ha distinto 3 gradi e 6 categorie:

Grado 0: quadro asintomatico (Categoria 0) Grado I: claudicatio intermittens

- claudicazione lieve: distanza di claudicazione assoluta > 200 m (Categoria I)

- claudicazione moderata: distanza di

claudicazione assoluta < 200 m (Categoria II) - claudicazione severa: distanza di

(27)

27

Grado II: dolore ischemico a riposo (Categoria IV) Grado III: perdita di tessuto

- piccola perdita di tessuto (Categoria V) - grande perdita di tessuto (Categoria VI)

La suddivisione della claudicazione in lieve, moderata e severa viene meglio definita nella classificazione di Rutherford dove ad ogni grado del sintomo viene dedicata una categoria (I,II,III). Nella classificazione di Fontaine invece si considera lo stadio IIa correlato a claudicazione lieve mentre la stadio IIb raggruppa sia la claudicazione moderata che quella severa. Occorre dunque specificare che all’ interno dello stadio IIb di Fontaine la claudicazione assoluta può comparire prima di 100 metri (e sarà quindi definita claudicazione di grado severo) o tra i 100 e i 200 metri (sarà definita claudicazione di grado moderato).

Recentemente è stata fatta una ulteriore distinzione tra “ischemia relativa” e “ischemia critica” degli arti inferiori. La prima descrive quadri clinici di AOP, meno gravi, in cui il paziente presenta claudicazione di vario grado ma non presenta dolore ischemico a riposo.

(28)

28

L’ ischemia critica invece raggruppa quadri clinici appartenenti al IV stadio e in parte al III stadio di Fontaine, e definisce situazioni cliniche con:

 dolore a riposo (persistente/ricorrente),insorto da almeno 15 giorni, a livello dell’ arto colpito da AOP.

 lesioni trofiche a livello dell’ arto colpito da AOP.

 pressione sistolica a livello della caviglia <50 mmHg e a livello dell’alluce <30 mmHg.

La distinzione tra ischemia relativa e ischemia critica viene fatta perché le due tipologie di quadro patologico hanno terapia e prognosi molto differenti.

(29)

29

La claudicatio intermittens

Il sintomo classico di AOP, che definisce il secondo stadio della patologia, è la claudicatio intermittens. Questo sintomo è presente in circa il 10-30% dei pazienti affetti da arteriopatia obliterante degli arti inferiori ed ha, tra la popolazione con età ≥40 anni, una prevalenza totale stimata che varia dall’1% al 4,5%3, 37.

La claudicatio intermittens viene definita come un dolore ischemico riproducibile, con caratteristiche di dolore crampiforme, sensazione di intorpidimento e di fatica muscolare che compare durante l’ esercizio fisico ed è alleviato e risolto dal riposo38. Se il paziente cerca di proseguire la marcia, spesso va incontro a fenomeni di irrigidimento e tensione muscolare dell’arto, con finale impossibilità di movimento dell’arto stesso. La sensazione di affaticamento muscolare precede solitamente la comparsa del dolore e insorge gradualmente.

La regione dell’ arto colpito in cui si manifesta il sintomo ischemico è distale alla localizzazione del deficit di flusso ematico: ad esempio i pazienti con arteriopatia aorto-iliaca avranno un discomfort a livello della muscolatura glutea e della coscia mentre nel coinvolgimento femoro-popliteo avremo una sintomatologia a carico dei muscoli del polpaccio38.

(30)

30

Il sito primario di coinvolgimento della AOP è nell’80-90% il compartimento arterioso femoro-popliteo e nel 40-50% il compartimento arterioso tibiale-peroneale mentre l’ aorta addominale e le arterie iliache sono coninvolte primariamente solo in un 30% dei casi21. Ne consegue che la tipica claudicatio

intermittens si identifica come un dolore costrittivo,

crampiforme, che compare durante la deambulazione a livello del polpaccio.

In relazione all’ autonomia di marcia, come prima descritto, si può distinguere una claudicazione relativa e una claudicazione assoluta.

Nonostante i pazienti abbiano negli stadi iniziali, comunque, una più o meno conscia alterazione dell’ andatura e della velocità di deambulazione, il 50% degli affetti da AOP risulta asintomatico11; questa situazione costituisce un problema

rilevante soprattutto per quanto riguarda la definizione del rischio cardio-cerebro vascolare di tali soggetti11 .

Diventa quindi necessario effettuare una valutazione oggettiva del quadro clinico ogni qual volta esistano i presupposti per sospettare l’affezione da AOP39, indipendentemente dalla

presenza di claudicatio intermittens.

Di fronte ad indici pressori caviglia/braccio<0.9, l’assenza di sintomi da sforzo a livello dell’arto inferiore è spesso dovuta al

(31)

31

fatto che il paziente stesso è portato a limitare la propria attività fisica e a rallentare la velocità di marcia al fine di evitare la sintomatologia.

Spesso i soggetti colpiti da AOP sono pazienti anziani e possono quindi presentare, in associazione, tipiche patologie geriatriche (osteo-articolari e non) che rendono ulteriormente complicato l’inquadramento del paziente.

Le eventuali comorbilità del paziente ed il livello di attività fisica di quest’ultimo contribuiscono al grado ed alla tipologia dei sintomi associati all’ AOP. Patologie concomitanti quali diabete mellito, neuropatie, stenosi spinali ed altre morbilità possono offuscare la tipica claudicatio intermittens40. Anche l’entità di compromissione della funzionalità dell’ arto è correlata alla tipologia dei sintomi presentati.

Paradossalmente sono stati descritti diversi casi in cui, nel decorso naturale della patologia, la sintomatologia ischemica sotto sforzo riferita dal paziente, è migliorata. In realtà ciò era dovuto alla restrizione di attività fisica che i pazienti attuavano per evitare gli episodi dolorifici; questo esempio deve mettere in guardia dal considerare la stabilizzazione o il miglioramento del quadro sintomatologico come specchio di un miglioramento delle prestazioni funzionali dell’ arto colpito.

(32)

32

L’evoluzione della patologia, se non vengono attenuati o eliminati i fattori di rischio modificabili e se non vengono istituite idonee terapie, comporta necessariamente un progressivo aggravamento della claudicatio intermittens con decadimento dell’autonomia di marcia e della qualità di vita. L’evoluzione varia da paziente a paziente e secondo alcuni studi, nel secondo stadio di malattia, la perdita di autonomia di deambulazione può essere quantificabile in circa 15 metri all’ anno.

(33)

33

Inquadramento diagnostico del paziente con AOP

Anamnesi ed esame obiettivo

Per l’ inquadramento diagnostico del paziente affetto da AOP ci si deve basare in primis su una accurata anamnesi che valuti lo stile di vita, le abitudini del paziente, la presenza di fattori di rischio, eventuale sintomatologia ed eventuali patologie associate. Devono essere inoltre indagate le caratteristiche della deambulazione, in particolar modo per ciò che concerne l’autonomia della stessa.

I pazienti affetti da AOP spesso attribuiscono alla claudicatio

intermittens un’ importanza soggettiva e circa il 50% non

riferisce i propri sintomi al medico curante, accettando la maggior difficoltà a camminare come una normale conseguenza dell’ età.

In funzione di ciò l’ esame del paziente può essere coadiuvato da alcuni questionari che vadano ad indagare la presenza di sintomatologia e l’ entità della capacità funzionale degl’ arti inferiori (ad es. il WHO/Rose Questionnaire, il Walking

Impairment Questionnaire o il San Diego Claudication

(34)

34

Il medico deve poi ricercare all’esame obiettivo la validità dei polsi periferici o la presenza di eventuali alterazioni degli stessi sia a riposo che in seguito a test provocativi quali il Test di Ratschow per l’arto inferiore.

Nella Prova di Ratschow, dopo aver fatto sdraiare il soggetto in posizione supina, gli si chiede di sollevare gli arti inferiori sino a formare un angolo di 90° tra cosce e bacino; si fa poi piegare leggermente ciascun ginocchio e mantenendo questa posizione il paziente deve eseguire la flesso-estensione dei piedi sulle gambe al ritmo di una flesso-estensione al secondo per 120 secondi. Se durante l’esercizio, prima dei 60 secondi, la cute della pianta del piede vira verso una colorazione biancastra (segno di ipoperfusione), significa che esiste un ostacolo all’ irrorazione, tanto più grave quanto più rapido e precoce è lo sbiancamento. Al termine dell’ esercizio il paziente deve restare seduto sul lettino, con le gambe a penzoloni, e l’ esaminatore valuta le eventuali differenze tra i due piedi: in condizioni normali non dovrebbero esistere differenze significative tra i due arti. Infine si valuta quanto tempo è necessario alle vene dorsali del piede per riempirsi dopo che il paziente ha assunto la posizione seduta con le gambe fuori dal lettino. L’ intervallo di tempo non dovrebbe superare i 15 secondi.

(35)

35

Test su treadmill ed altri test da sforzo

Uno degli esami di riferimento nella diagnosi di AOP è il test su

treadmill (tappeto rotante) a cui si associa la misurazione dell’

indice pressorio caviglia-braccio secondo le modalità riportate nel relativo paragrafo.

Pazienti con claudicazione che presentano una stenosi iliaca isolata possono non aver alcun calo della pressione a riposo e quindi l’ indice caviglia-braccio a riposo sarà normale3. Tuttavia l’aumentata velocità di flusso indotta dall’ esercizio potrà rendere tali lesioni emodinamicamente significative con conseguente diminuzione del valore dell’ indice pressorio3.

Durante il test su treadmill il paziente deve camminare sul tappeto rotante e quando sopraggiunge la claudicazione si sospende il test e si misura l’indice pressorio caviglia braccio: se questo risulta <0.9 si può affermare che verosimilmente il dolore sia causato da AOP degli arti inferiori.

Il test su treadmil è un esame semplice, di basso costo, che riesce ad identificare il paziente claudicante.

Il macchinario viene solitamente impostato con velocità costante di 3km/h e pendenza costante di 10°. In questo senso esistono diverse varianti sia per la velocità che per la pendenza; i due parametri comunque dovranno sempre essere adeguati alle condizioni cliniche del soggetto in esame.

(36)

36

Poiché il test su treadmill può determinare ischemia miocardica o aritmie severe, deve sempre essere preceduto da valutazione cardiologica che comprenda un ECG da sforzo, pur con i limiti di sensibilità e specificità intrinseci di quest’ ultima procedura diagnostica. Il test deve inoltre essere effettuato sotto monitoraggio cardiologico continuo e in ambiente dotato di defibrillatore.

Dopo aver opportunamente istruito il paziente circa le modalità di svolgimento del test, lo si fa camminare sul tappeto rotante. Il paziente dovrà segnalare, a chi lo monitora, il momento in cui compare fastidio muscolare all’ arto inferiore (distanza di claudicazione relativa). Il paziente continuerà poi a camminare e, quando il dolore all’ arto inferiore diviene insopportabile, o comunque non compatibile col proseguo della marcia, si interrompe il test (distanza di claudicazione assoluta).

Durante lo svolgimento del test il medico deve quindi valutare:  l’ indice ABI prima dell’ esercizio e subito dopo che questo

si è interrotto.

 l’ intervallo di marcia libera da dolore (claudicazione relativa).

 l’ intervallo di marcia assoluto (claudicazione assoluta).  il tempo di recupero necessario alla completa recessione

(37)

37

Il test su treadmill ha un’ elevata sensibilità nell’ individuare pazienti con claudicatio intermittens, però ha il difetto di determinare nel paziente una camminata non fisiologica.

Si può quindi far eseguire al paziente alcuni test fisici che ne valutino la deambulazione abituale per meglio comprendere la sua reale autonomia di marcia. Tra i test più utili in questo senso compaiono: il “Test di camminata dei 6 minuti”, il “Test dei 400 metri”, il “Test di velocità sui 4 metri” e il “Test SPPB” (Short

Physical Performance Battery).

Nel “Test dei 6 minuti” si invita il paziente a camminare continuativamente (se possibile) con la sua abituale andatura, per il tempo indicato.

Nello studio WALCS (Walking And Leg Circulation Study) si è visto che, mediamente, soggetti con indice pressorio caviglia/braccio (ABI)<0.50 necessitano, durante la prova, di un numero di soste >10, chi ha un indice ABI tra 0.50 e 0.70 è costretto a fermarsi in media più di cinque volte e chi ha ABI tra 0.70 e 0.90 tende a fermarsi circa tre volte, a dimostrazione di una importante correlazione tra riduzione dell’indice pressorio caviglia-braccio e riduzione della capacità funzionale dell’ arto inferiore43. Inoltre i pazienti con indice ABI ridotto, percorrono nei sei minuti distanze minori rispetto ai soggetti con ABI

(38)

38

ottimale. Mediamente i pazienti con ABI <0.50 percorrono nei sei minuti circa 150 metri in meno rispetto ai soggetti sani.

Anche la velocità di marcia risente del deficit circolatorio con riduzione nell’ordine di -0.21m/s per ABI<0.50, -0.16 m/s per ABI 0.50-0.70 e -0.17m/s per ABI 0.70-0.9043.

Il “Test dei 6 minuti” ha dimostrato di essere anche un discreto indice prognostico oltre che un buon indice del rischio di eventi vascolari cui questi pazienti vanno incontro44, 45.

Il “Test dei 400 metri” consiste nel far camminare il paziente per 400 metri valutando il tempo impiegato, il discomfort eventualmente insorto a livello degli arti inferiori, e gli eventuali arresti della marcia a causa dell’insorgenza di sintomatologia algica da sforzo.

Nel “Test di velocità sui 4 metri” il paziente è invitato a percorrere, con la sua naturale andatura, tale distanza. L’ esaminatore deve valutare il tempo impiegato ricavando così la velocità di esecuzione.

Il “Test SPPB” è invece una valutazione che assegna un punteggio in base allo svolgimento dei seguenti tre esercizi fisici: nel primo esercizio il paziente è seduto su una sedia, con braccia incrociate sul torace, e deve alzarsi in piedi cinque volte; nel secondo esercizio viene valutata la capacità del paziente di rimanere in equilibrio in posizione eretta assumendo per 10

(39)

39

secondi tre posture che rendono l’esercizio via via più faticoso (piedi paralleli, piedi semi allineati in cui le dita del piede posteriore toccano medialmente il tallone del piede anteriore, piedi totalmente allineati in cui i due piedi si susseguono su una linea retta sagittale al corpo); infine con il terzo esercizio si valuta l’esecuzione del test di velocità sui 4 metri ripetendolo due volte e prendendo come valore di riferimento la velocità maggiore39. Risultati peggiori in ciascuno di questi test sono correlati ad un più alto tasso di perdita di mobilità e ad una maggior mortalità sia per cause cardiovascolare che per cause non cardiovascolari45, 46.

I valori dell’indice pressorio caviglia/braccio diminuiscono con lo scadere della performance nei primi due test ma non sono altrettanto associati a bassi punteggi del “Test SPPB” poiché tale valutazione comprende anche le componenti di equilibrio e forza muscolare. Invece i primi due test descritti vertono maggiormente sull’esame della resistenza e della capacità di soddisfare, durante la marcia, la richiesta di ossigenazione dei gruppi muscolari dell’arto inferiore39.

(40)

40 L’ indice pressorio caviglia-braccio

Ogni qualvolta si ipotizzi un’ arteriopatia periferica a seguito di anamnesi ed esame obiettivo, è necessario eseguire la misurazione dell’ indice pressorio caviglia/braccio (ankle/brachial index= ABI) mediante Doppler. L’indice pressorio ABI esprime il rapporto tra la pressione sistolica a livello del braccio e la pressione sistolica a livello della caviglia omolaterale. Vengono misurate le pressioni di entrambe i lati mediante uno sfigmomanometro a bracciale utilizzando uno strumento Eco-Doppler. Viene poi preso, come valore utile di riferimento sistemico, il rapporto più basso.

Si è discusso e si sta discutendo su quali valori pressori sia meglio considerare a livello delle misurazioni caviglia-braccio. In accordo con le attuali linee guida (AHA e TASC II) l’ABI viene solitamente calcolato, per ogni gamba, tenendo conto del valore pressorio più alto registrato a livello dell’ arto inferiore (tra arteria tibiale posteriore e arteria tibiale anteriore o nella sua continuazione: l’ arteria pedidia dorsale).

Alcuni autori rispetto all’utilizzo dell’ ABI calcolato in questo modo (ABI HI) considerano più opportuno utilizzare la media delle pressioni delle arterie tibiali di ogni arto inferiore (ABI MN)47, 48. Altri autori sostengono invece che sia più idoneo

(41)

41

LO) affermando che in tal modo si possa aumentare la sensibilità diagnostica49. Chi preferisce utilizzare l’ ABI LO ritiene che la

stima dell’ABI con il valore pressorio più alto alla caviglia possa sottostimare la prevalenza di arteriopatia periferica. In effetti gli indici di eventi cardiovascolari, in pazienti considerati affetti da AOP utilizzando un ABI LO, sono risultati molto simili a quelli di pazienti definiti AOP per mezzo dell’ABI convenzionale (25% vs 28%)50. In altri studi ciò si è verificato in maniera decisamente meno rilevante9 e la causa può forse essere stata l’ età più giovane dei pazienti valutati50.

Anche l’ utilizzo di ABI-LO comporta alcune problematiche come in caso di pazienti affetti da ipoplasia arteriosa della pedidia dorsale (situazione non rarissima, stimata in un 4%-12% della popolazione) o nel caso di errori operatore-dipendente con conseguente compromissione dell’attendibilità dell’indice. Sicuramente l’ ABI-HI è maggiormente specifico, per divenire patologico necessita che entrambe le arterie di almeno un arto siano ostruite in modo considerevole, ed indica quadri di patologia aterosclerotica più gravi. Si può ragionevolmente affermare che tutte e tre le tipologie di misurazione dell’ ABI (ABI HI, ABI MN, ABI LO) siano utili e vicendevolmente più adatte a seconda di ciò che si vuole determinare: l’ABI HI è probabilmente più indicato se si cerca di stabilire la patologia

(42)

42

regionale dell’arto inferiore ossia la vera e propria stenosi luminale che comporta un’ ipoperfusione del letto vascolare a valle, di contro l’ABI LO potrebbe risultare più sensibile se si ricerca un marker predditorio di patologia aterosclerotica sistemica51.

La diagnosi precoce della AOP, a qualunque stadio di malattia, è importante in quanto, spesso, i pazienti malati possono rimanere a lungo asintomatici e la prevalenza della AOP asintomatica a livello dell’ arto inferiore può essere stimata utilizzando la misurazione dell’ indice pressorio caviglia/braccio.

La presenza di AOP accertata in base alla semplice misurazione di tale indice, rappresenta una stretta indicazione alla correzione dei fattori di rischio cardiovascolare modificabili, indipendentemente dalla presenza di claudicatio intermittens (Evidenza di Grado A Classe 1)52. Un ABI ridotto, in presenza di

sintomi, conferma la possibilità di malattia vascolare emodinamicamente significativa. Minore è tale indice e più grave è il quadro patologico.

La possibile presenza di stenosi dell’ arteria succlavia, dell’ arteria ascellare e/o dell’ arteria omerale comporta la necessità di eseguire tali misurazioni sempre bilateralmente; in caso di stenosi simmetriche di tali arterie, condizione possibile seppur rara, l’ affidabilità dell’ indice viene inficiata.

(43)

43

Secondo i risultati dell’ Ankle Brachial Index Collaboration, i valori normali dell’ABI devono stare tra 1.00 e 1.40. Valori ABI compresi tra 0.91 e 0.99 sono considerati borderline mentre valori ≤0.90 sono considerati patologici per AOP e valori ≥1.40 indicano solitamente incomprimibilità delle arterie53.

Nei pazienti asintomatici, o comunque senza il classico sintomo della claudicatio intermittens, l’ ABI ridotto si associa frequentemente a riduzione della funzionalità dell’ arto che si manifesta come ridotta velocità della deambulazione o riduzione della distanza percorsa nel test dei 6 minuti. Un ABI a riposo ≤0.90 è dovuto a stenosi arteriose emodinamicamente significative e in caso di associata sintomatologia può essere ritenuto sensibile nel 95% dei casi per diagnosticare la AOP mentre ha una specificità prossima al 100% nell’ escluderla. Per ABI < 0.90 si ha un aumento di 3-6 volte del rischio di morte cardiovascolare.

Ci si è chiesto se questo indice potesse dare indicazioni di rischio cardiovascolare indipendentemente dai fattori di rischio di

Framingham e ciò si è dimostrato veritiero53.

L’ABI patologico può essere a ragione considerato un primario indice di patologia aterosclerotica anche nei pazienti senza i tradizionali fattori di rischio per la stessa; però, in questa tipologia di individui, sono emerse alcune incongruenze riguardo

(44)

44

l’ apparente mancata associazione tra ABI<1.00 e placche carotidee, come osservato da Aboyans et al. 11; questo dato è

poi stato spiegato dagli autori come la conseguenza che il possibile interessamento aterosclerotico carotideo avvenga negli stadi più avanzati della malattia rispetto alla patologia aterosclerotica coronarica che spesso è già rilevabile in presenza di ABI<1.00.

L’ABI quale indice di patologia arteriosa sistemica dovrebbe essere quindi utilizzato nella routine della medicina di base e quando è stato impiegato in studi su pazienti di 50-69 anni, fumatori o affetti da diabete, e in generale nei pazienti >70 aa, ha dimostrato una prevalenza di AOP nel 29% dei casi3.

A seguito del German Epidemiology Trial of Ankle Brachial Index

Study Group, effettuato su 6880 pazienti, la ACC/AHA ha

anticipato a 65 anni l’età oltre la quale il test ABI risulta indicato e diagnostico per eventuali arteriopatie periferiche, non ritenendolo però strumento da dover utilizzare come screening di massa della popolazione52.

Negli U.S.A. è stato calcolato che nel 2000 tra gli over 40 circa 1/16 era affetto da AOP, i medici sono quindi stati invitati allo screening di questa malattia mediante la misurazione dell’ ABI 54. Un limite dell’ ABI, come strumento diagnostico, si riscontra in pazienti con comorbilità quali diabete, insufficienza renale o altre

(45)

45

malattie che comportano calcificazioni vascolari; in questi pazienti si può avere incomprimibilità dei vasi tibiali a livello della caviglia con conseguente psuedoaumento del valore pressorio misurato, e quindi l’ ABI può risultare artificialmente più elevato. Tipicamente si riscontra in questi pazienti un indice >1.40 e talvolta occorrono pressioni di 300 mmHg per fermare il segnale Doppler in tali vasi. In questi casi si possono utilizzare test non invasivi alternativi quali la misurazione della pressione arteriosa all’alluce (TBI= Toe-Brachial Index), la registrazione del volume di polso, la pulsossimetria o l’imaging vascolare3.

È interessante notare che anche con ABI borderline (0,90-0,99) e con ABI nella fascia più bassa di normalità (1,00-1,09) è stata dimostrata una maggior mortalità, una maggior incidenza di eventi vascolari, e una maggior perdita di mobilità rispetto alla popolazione con ABI ottimale (1,10-1,40)53, 55.

(46)

46

Eco Color Doppler nella diagnosi di AOP

Sulla base di tutti i rilievi precedentemente descritti si può considerare l’ opportunità di eseguire un approfondimento mediante controllo con Eco-Color Doppler, esame di secondo livello, non invasivo, che è divenuto punto di riferimento nella diagnosi di arteriopatia periferica.

L’ Eco Color Doppler pur essendo un esame “operatore dipendente” fornisce informazioni molto precise sul quadro circolatorio periferico del paziente ed è utile nella diagnosi di AOP oltreché nella gestione dell’ evoluzione della patologia, e nel

follow up di pazienti che hanno affrontato interventi di chirurgia

vascolare. L’esame è ripetibile nel tempo avendo invasività ed effetti collaterali praticamente nulli. Attraverso l’ ultrasonografia con Eco-Color Doppler si possono quindi ricavare informazioni sulla morfologia dei vasi arteriosi (sede, calibro, decorso, eco-struttura di parete, contenuto endoluminale ecc.) ma anche informazioni di tipo emodinamico (presenza, direzione e velocità del flusso). La velocimetria Doppler, in base all’onda velocimetrica che viene registrata, ci consente di acquisire dati sullo stato della parete del vaso in esame e sulle condizioni emodinamiche a monte e a valle di esso. Il flusso sanguigno in avvicinamento produce un onda velocimetrica positiva, la presenza di un restringimento del vaso provocherà un aumento

(47)

47

della velocità del flusso mentre una dilatazione arteriosa ne causerà un rallentamento.

Solitamente la procedura, quando si va a ricercare la patologia arteriosa degl’ arti inferiori, inizia comunque a livello pelvico valutando in serie: l’arteria iliaca esterna, l’arteria femorale comune, l’ arteria femorale superficiale, l’ arteria femorale profonda, l’arteria poplitea, l’arteria tibiale anteriore con il suo prolungamento terminale cioè l’ arteria pedidia dorsale, l’ arteria tibiale posteriore e l’ arteria peroniera.

Nel caso di pazienti affetti da arteriopatia secondaria a diabete mellito riveste una grande importanza l’analisi dei flussi sanguigni a livello dei rami terminali poiché il diabete compromette in modo significativo i vasi di calibro minore (microangiopatia diabetica)34.

(48)

48 Esami di terzo livelllo

L’angiografia arteriosa a sottrazione digitale, esame di terzo livello, è stato tradizionalmente l’esame gold-standard nella diagnosi di AOP; fornisce un quadro preciso dello stato circolatorio dell’ arto ma, l’invasività legata alla necessità di un accesso venoso, e la necessità di utilizzare radiazioni ionizzanti e mezzi di contrasto iodati, lo rendono costoso, invasivo e non scevro da effetti collaterali talvolta importanti. È quindi molto meno utilizzato rispetto al passato ed è riservato principalmente a quei pazienti in procinto di operazione chirurgica vascolare. Ulteriori indagini utili per diagnosticare l’ arteriopatia periferica sono l’angioTC e l’ angioRM.

(49)

49

Trattamento della AOP al secondo stadio

Il trattamento della AOP al secondo stadio deve essere volto al raggiungimento di tre obbiettivi fondamentali che sono: migliorare l’ autonomia di marcia e con essa la qualità di vita del paziente, impedire la progressione della arteriopatia, prevenire gli eventi cardiovascolari acuti, cui sono particolarmente esposti questi pazienti21.

La terapia è basata su tre cardini: riabilitazione fisica, correzione dei fattori di rischio, farmacoterapia.

In pazienti selezionati possono essere prese in considerazione procedure chirurgiche o endovascolari per correggere l’ arteriopatia.

(50)

50 Riabilitazione fisica

Nei pazienti con AOP al secondo stadio è necessario correggere, nei casi opportuni, lo stile di vita (cessazione del fumo, modificazione della dieta, controllo del peso, ed incremento dell’ attività fisica).

Uno dei trattamenti terapeutici iniziali consiste nell’ impostare un programma di riabilitazione fisica che il paziente dovrà svolgere.

L’esercizio fisico ha il vantaggio di essere economico, di non essere invasivo, e di comportare un basso rischio di effetti avversi oltre ad avere un riconosciuto effetto positivo nel ridurre alcuni fattori di rischio della patologia aterosclerotica, sia in soggetti con arteriopatia periferica che in soggetti sani 56.

Nel 1898 il neurologo tedesco Wilhelm Erb57 descrisse il successo di una programma di training in un paziente con claudicatio

intermittens e nel 1966 Larsen e Lassen hanno eseguito il primo trial clinico comparando 7 pazienti sottoposti a riabilitazione

fisica con un gruppo di controllo di altrettanti pazienti trattati con terapia medica dell’ epoca (compresse di lattosio).

Il risultato fu un significativo incremento del tempo massimo di marcia nei pazienti trattati con terapia basata su esercizio fisico, mentre il gruppo di controllo non ebbe miglioramenti significativi.

(51)

51

Da quegli studi ad oggi la terapia fisica ha assunto sempre maggior importanza nel trattamento dei pazienti affetti da AOP al secondo stadio.

In base alle raccomandazioni della WHO tutti gli adulti dovrebbero svolgere almeno 150 minuti settimanali di attività fisica aerobica ad un livello di moderata intensità (ossia score 5-6 su una ipotetica scala di 10 punti che rappresenti la massima capacità fisica personale) o 75 minuti ad elevata intensità (score 7-8 della sopracitata scala di intensità)58.

Questo tipo di terapia ha anche riconosciute proprietà nella riduzione dei fattori di rischio cardiovascolari in generale, con miglioramenti per gli indici di ipercolesterolemia, ipertensione e diabete mellito59.

La più comune prescrizione di terapia motoria consiste però in un’ unica raccomandazione a voce, da parte dei medici, senza ulteriori supervisioni o follow-up dell’ aderenza da parte del paziente ad un programma definito e continuativo.

Ne consegue che, frequentemente, il paziente assume un atteggiamento di scarsa compliance60.

Per ovviare a questa problematica può risultare utile impostare una Supervised Exercise Terapy (S.E.T.) basata sul monitoraggio del paziente, da parte di un medico, durante l’ esecuzione dell’ esercizio fisico.

(52)

52

La S.E.T. è ritenuta uno degli interventi primari fondamentali nella cura della AOP al secondo stadio21.

Una meta-analisi, pubblicata nel 2008, ha dimostrato che il “Supervised Treadmill Walking Exercise”, rispetto alle usuali cure, aumenta di circa 5 minuti il tempo massimo di cammino senza interruzioni su tappeto rotante, ed incrementa di circa 80 metri la massima distanza percorribile su tale supporto14. La più efficace tipologia di riabilitazione fisica sembra essere un programma che includa tre sessioni di camminata a settimana, con una durata di almeno 30 minuti per ogni sessione. La figura professionale che supervisiona la seduta ha il compito di monitorare il paziente, determinare gli obiettivi da raggiungere ed incoraggiare il paziente stesso nello svolgimento del lavoro fisico. Secondo alcuni autori i migliori risultati si ottengono quando il paziente durante la sessione si spinge fino al raggiungimento del dolore ischemico61. I miglioramenti della sintomatologia ischemica avvengono dopo 4-8 settimane dall’inizio del programma terapeutico e permangono se il soggetto continua a svolgere tale allenamento; se si interrompe il training i progressi vengono persi gradualmente nel tempo12. Il gruppo di lavoro TASC-II raccomanda l’esercizio fisico come prima fondamentale terapia nei pazienti con claudicatio

(53)

53

che preveda di camminare fino alla comparsa di un dolore moderato salvo poi fermarsi e riprendere una volta scomparsa la sintomatologia algica, ripetendo più volte tale procedura.3

Questa tipologia di esercizio fisico si è dimostrata efficace nel ridurre la sintomatologia della AOP anche nei pazienti con insufficienza cardiaca e due studi indipendenti hanno dimostrato un miglioramento medio dell’ intervallo di marcia libero da dolore del 150%62 e del 179%61. Tali dati sono stati recentemente confermati raffrontando differenti programmi riabilitazione fisica a varie intensità, con gruppi di controllo placebo e gruppi sottoposti a classica farmacoterapia per AOP; è risultato che l’esercizio fisico può portare ad un miglioramento medio del tempo massimo di cammino di 4,51 minuti e un miglioramento percentuale della capacità di camminare del 50%-200%; la distanza percorribile senza dolore è risultata mediamente incrementata di 82,29 metri come anche la massima autonomia di marcia (aumento medio di 108.99 metri)63.

Si sta discutendo da diverso tempo sulla differenza di efficacia tra programmi di esercizio fisico supervisionato e non, al fine di comprendere quale sia l’eventuale entità della perdita di benefici quando il paziente non viene seguito nello svolgimento delle sessioni terapeutiche.

(54)

54

È stato dimostrato che i protocolli non supervisionati producono risultati minori64 in termini di miglioramenti della claudicatio

intermittens; ciò è stato riconfermato di recente65. Da altri studi invece è risultato che non ci sono significative differenze tra le due tipologie di protocolli utilizzati.

Gardner et al. in uno studio su una coorte di 119 soggetti randomizzati, hanno esaminato i risultati ottenuti paragonando i miglioramenti terapeutici delle due tipologie di esercizio rispetto all’assenza di terapia fisica66. La S.E.T. consisteva in 3 sessioni settimanali da 40 minuti ciascuna, mentre nel programma non supervisionato venivano svolte a casa 3 sessioni settimanali da 45 minuti l’una, ed i pazienti erano tenuti informati, con incontri due volte alla settimana, sui loro progressi e sugli obiettivi preposti. Dopo sei mesi di terapia e follow up i soggetti di entrambe i gruppi avevano migliorato, rispetto al gruppo di controllo, sia la massima capacità di cammino sul tappeto rotante, sia l’intervallo temporale di marcia libero da dolore. Il

training supervisionato ha dato risultati leggermente migliori ma

non significativi statisticamente66.

Invece Collins et al. in uno studio randomizzato, con 145 pazienti affetti da claudicatio intermittens e diabete mellito, hanno analizzato gli effetti della terapia domiciliare basata su esercizio fisico rispetto ad un gruppo di controllo. Ne è risultata una minor

(55)

55

efficacia terapeutica del metodo riabilitativo a domicilio che, a detta degli autori, non ha consentito un incremento dell’ autonomia di marcia pur migliorandone la velocità. Buoni sono invece stati i risvolti sull’aumento della qualità della vita dei pazienti in studio67.

Oltre all’ esercizio fisico su treadmill, di cui la versione supervisionata è la più utilizzata ai fini della ricerca, ci sono ulteriori possibilità di training terapeutici come ad esempio esercizi per gli arti superiori o inferiori, utilizzando biciclette ergometriche. Questi macchinari vengono solitamente tarati su una velocità di 50 giri al minuto. È stato valutato un programma di allenamento per gli arti superiori o inferiori che consisteva in due allenamenti aerobici settimanali, all’interno dei quali il paziente doveva eseguire due minuti di esercizio continuativo seguito da una pausa di due minuti di riposo fino al raggiungimento di venti minuti totali di esercizio effettivo. I 3 gruppi di soggetti presi in considerazione erano: gruppo con impostato allenamento aerobico ergometrico degl’arti superiori, gruppo con allenamento aerobico ergometrico degl’arti inferiori, gruppo di controllo. A 24 settimane di follow up, i pazienti che avevano eseguito esercizi per l’arto inferiore registravano un miglioramento del 31% della massima distanza percorribile a piedi e i pazienti che avevano allenato gli arti superiori

(56)

56

guadagnavano sorprendentemente una percentuale di autonomia di marcia molto simile (29%). Analogamente anche l’ intervallo di marcia libero da claudicazione aumentava rispettivamente del 57% e 51%68. I miglioramenti terapeutici ottenuti sono stati spiegati come la risultante di molteplici meccanismi fisiologici che comprendono: modificazioni metaboliche locali69-71, riadattamenti del flusso sanguigno71-74, adattamenti cardio-vascolari a livello centrale71, 74, maggior confidenza del paziente nei confronti del dolore ischemico e miglior gestione-sopportazione dello stesso68. Inoltre, a seguito di esercizi fisici, i cambiamenti nel metabolismo dell’ossido nitrico75, i benefici sulla vasoreattività endoteliale75 e sulle proprietà reologiche del sangue76, influiscono nel miglioramento del microcircolo a livello del muscolo scheletrico. Nell’esempio appena descritto, se con l’esercizio degl’arti inferiori il progresso terapeutico di riduzione della claudicazione è spiegabile con le modificazioni locali del muscolo scheletrico, altrettanto non è ipotizzabile per gli effetti dell’esercizio degl’arti superiori e quindi in questo ultimo caso devono intervenire dei fattori cardiovascolari a livello sistemico o centrale che migliorano la circolazione delle estremità inferiori del corpo. È noto che un incremento della gittata sistolica è dovuto all’ aumento della capacità cardio-respiratoria che si ottiene a seguito di brevi programmi di training aerobici in pazienti

(57)

57

sedentari77. Inoltre la maggior gittata sistolica, in seguito a programmi di training svolti da pazienti con insufficienza cardiaca, si è dimostrata associata ad una diminuzione delle resistenze totali periferiche sia a riposo che durante lo sforzo fisico78; tale sinergia potrebbe in parte facilitare l’afflusso sanguigno ai muscoli scheletrici delle estremità inferiori durante l’attività di cammino, spiegando così la diminuzione di sintomi da ischemia nei pazienti sottoposti ad esercizio fisico degl’arti superiori68.

Ci sono però pazienti che sono impossibilitati a seguire un programma di training a causa di claudicazione severa o di varie comorbilità (come ad esempio complicanze diabetiche dell’arto inferiore, patologia artritica e artrosica, grave osteoporosi con fratture vertebrali, patologie cardiorespiratorie severe e malattie neurologiche degenerative)79.

Per aiutare questi pazienti si può impostare un programma di esercizio passivo; questo strumento può essere utile per migliorare la vascolarizzazione degl’arti inferiori senza che il paziente debba andare incontro al dolore causato dallo sforzo fisico80 e può essere usato in quei pazienti impossibilitati a svolgere una mirata attività fisica 79 o nei pazienti con bassa

(58)

58 Correzione dei fattori di rischio

Nella AOP al secondo stadio assume grande importanza la correzione dei fattori di rischio per l’ aterosclerosi anche attraverso l’ impostazione di uno stile di vita più sano.

Una delle più importanti modificazioni da proporre ai pazienti fumatori è la cessazione del fumo: smettere di fumare è uno dei metodi più efficaci per rallentare l’evoluzione della patologia e migliorare la prognosi clinica dei pazienti11.

I pazienti che riescono a smettere di fumare hanno un minor rischio di ischemia critica degli arti e hanno una migliore sopravvivenza81.

Pazienti affetti da AOP, che siano obesi o in sovrappeso, devono ricevere consulenza per ridurre il peso seguendo una dieta a basso introito calorico. Per la gestione dell’ ipertensione, dell’ iperlipidemia e del diabete si rimanda al successivo paragrafo.

Riferimenti

Documenti correlati

The internal resistance of budesonide- formoterol combination Easyhaler® is medium-high, as is that of budesonide-formoterol Turbuhaler hence inhalation flows achieved by

Superimposition of the TM regions of our ZnT8 model based on the bacterial YiiP structure and of the cryo-EM structure of human ZnT8 in the IF state (Figure S1); zinc coordination

These findings suggest that rotation is mainly responsible for the eMSTOs and the broadened MSs observed in Galactic clusters, and this corroborates direct spectroscopic evidence

La lingua della Trilogía: caratteristiche principali e difficoltà di traduzione ………..……….…

(I.e., is it true that u i (−x) = −u i (x) for all x?) Well, unlike the case with the Dirichlet boundary condition (in which point 3 in Theorem 1.1 assure us of each

Il programma deve chiedere in input una targa, ricercarla nel vettore targhe e se esiste usare la funzione calcola_bollo per calcolare il bollo da pagare, tale

Secondo Jung questo valore archetipico, inconscio, venne integrato dalla coscienza della paziente, ed ella fu in grado di proseguire il suo sviluppo verso l'individuazione, la quale

Lo scopo del nostro studio è stato quello di valutare la preva- lenza dei fattori di rischio, delle comorbilità e degli outcome cli- nici a 5 anni in una popolazione selezionata