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Un'Europa delle Regioni. Il ruolo delle Regioni nel processo decisionale europeo.

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

UN'EUROPA DELLE REGIONI

IL RUOLO DELLE REGIONI NEL PROCESSO

DECISIONALE EUROPEO

Relatrice Candidato

Chia.ma Prof.ssa Elisabetta Catelani Giovanni Saraco

(2)

A mia Madre, nella speranza di averla resa, ovunque lei sia, orgogliosa di me.

(3)

SOMMARIO

INTRODUZIONE...3

1. I RAPPORTI TRA UNIONE EUROPEA E REGIONI... 7

1.1 Il ruolo delle Regioni nel processo di integrazione europea... 7

1.2 Il Comitato delle Regioni... 12

1.3 Il ruolo del Parlamento Europeo...18

1.4 Il ruolo della Commissione Europea...19

1.5 Le Regioni a Bruxelles: gli uffici regionali di collegamento...22

1.6 Le associazioni tra Regioni e le reti interregionali...24

1.7 La cooperazione transfrontaliera...27

2. I RAPPORTI CON L'UNIONE EUROPEA: LE REGIONI ALLA PROVA DELLA COSTITUZIONE...31

2.1 Il rapporti internazionali e comunitari delle Regioni nel primo regionalismo...31

2.3 La strada verso la riforma del Titolo V...36

2.3 L'Unione Europea nel nuovo Titolo V...41

3. VECCHIE REGOLE DI COMPORTAMENTO PER LE REGIONI: LA NORMATIVA STATALE PRIMA DELLA RIFORMA DEL TITOLO V...47

3.1 Un excursus storico: dalle origini alla legge Fabbri...47

3.2 La Legge 183/1987 (c.d. legge Fabbri)...51

3.3 La legge 86/1989 (c.d. Legge La Pergola)...54

3.4 Tra “La Pergola” e “La Loggia”...59

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4. NUOVE REGOLE DI CONDOTTA DELLE REGIONI: LA NORMATIVA

STATALE DOPO LA RIFORMA DEL TITOLO V...67

4.1 L'attuazione del nuovo Titolo V: La legge 131/2003 (c.d. Legge La Loggia)...67

4.1.1 Le Regioni nelle Istituzioni Europee...68

4.1.2 Le Regioni & la Corte di Giustizia...76

4.1.3 Il potere sostitutivo dello Stato (cenni)...80

4.2 La legge 11/2005 (c.d. Legge Buttiglione)...83

4.2.1 Tra Conferenze e Consigli: il diritto di informazione e di critica...83

4.2.2 Il Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE)...90

4.2.3 I poteri sostitutivi...93

4.3 Il legislatore italiano dopo il Trattato di Lisbona: la Legge 234/2012...95

5. LA NORMATIVA REGIONALE NEI RAPPORTI CON L'UNIONE EUROPEA...106

5.1 Regioni d'Italia, Regioni d'Europa...106

5.1.1 La fase ascendente...106

5.1.2 La fase discendente: le leggi europee regionali...113

5.2 Pegaso ed Europa: l'esperienza toscana...118

CONCLUSIONI...127

BIBLIOGRAFIA...142

SITOGRAFIA...149

(5)

INTRODUZIONE

L'elaborato ha come scopo quello di descrivere la situazione relativa alla partecipazione delle Regioni alla c.d. fase ascendente del diritto europeo, ossia quanto queste possano influenzare le scelte e, di conseguenza, le politiche dell'Unione Europea.

La ricerca ha come obiettivo quello di analizzare il processo di integrazione europea e il ruolo che gli enti territoriali hanno avuto in questo cammino comunitario: partendo dai Trattati istitutivi le tre Comunità Europee, in cui non si faceva minimo accenno alle articolazioni territoriali degli Stati membri, fino ad arrivare alla firma del Trattato di Lisbona.

Durante i 56 anni intercorsi tra la stipulazione del Trattato che ha istituito la CECA e il Trattato di Lisbona, vi è stato un importante rafforzamento degli enti territoriali, perché queste potessero sentirsi parte integrante dell'Europa Unita.

L'istituzione di un organo permanente di rappresentanza degli enti territoriali e locali presenti nell'Unione Europea (Comitato delle Regioni), formalizzato nel Trattato di Maastrich, è uno degli esempi più interessanti per la nostra ricerca.

Nel Trattato di Lisbona, invece, si è avuta la definizione del principio di sussidiarietà, elemento fondamentale per la valorizzazione delle Regioni.

Si è poi data attenzione ai temi della cooperazione tra Regioni d'Europa, quindi all'associazionismo tra enti territoriali e la cooperazione transfrontaliera, e all'interessante ruolo svolto dagli Uffici regionali di collegamento presenti a Bruxelles, cuore politico e istituzionale dell'Unione Europea.

Si avrà modo di apprezzare le disposizioni costituzionali in tema di rapporti Regioni-Europa, che nel corso degli anni è notevolmente

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cambiato: si è passati da una equiparazione tra rapporti internazionali e rapporti comunitari, quindi ad una sostanziale esclusività in favore dello Stato, fino ad arrivare, con la riforma del Titolo V della Costituzione, al riconoscimento tra le materie di legislazione concorrente quella relativa ai rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni.

A questo punto è necessario ricordare gli autorevoli interventi della Corte Costituzionale, che, come spesso accade, ha anticipato le scelte del legislatore, spingendolo a prendere determinate decisioni.

Come trovarsi dinnanzi alla piramide della gerarchia delle Fonti del Diritto, si seguirà con l'analisi della normativa statale, ripercorrendo tutte le fasi che hanno portato alla legislazione vigente, facendo una scelta di tipo temporale: prima si è descritta la legislazione precedente alla riforma del Titolo V della Costituzione e successivamente si è passati all'analisi delle normativa successiva a questa .

Esaminate tutte le evoluzioni normative precedenti alla legge 183/1987 (Legge Fabbri), questa verrà analizzata, passando poi allo studio della legge 86/1989 (Legge La Pergola), fino a mettere sotto osservazione la Conferenza Stato-Regioni e il suo ruolo nell'elaborazione del diritto comunitario.

Ovviamente, il legislatore ha dovuto adattare la legge ordinaria alle disposizioni costituzionali, novellate dalla legge costituzionale 3/2001.

Verrà quindi esaminata la legge di attuazione del nuovo Titolo V, ossia la legge 131/2003 (Legge La Loggia), che tra le novità più interessanti possiamo ricordare il potere delle Regioni di partecipare alle delegazioni governative che prendono parte al Consiglio europeo e al Consiglio dell'Unione; o che ha previsto la

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possibilità per le Regioni di chiedere al Governo di proporre ricorso alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, contro gli atti ritenuti illegittimi dalle Regioni.

A questa è seguita la legge 11/2005 (Legge Buttiglione), la quale ha contemplato nuovi istituti: l'invio dei progetti normativi comunitari e di quelli a loro preordinati alla alla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome e alla Conferenza dei Presidenti dell'Assemblea, dei Consiglio Regionali e delle Province autonome; presso il Dipartimento per le politiche europee – Presidenza del Consiglio dei Ministri, si è costituito il Comitato Interministeriale per gli Affari Comunitari Europei1, che

ha funzioni che incidono sugli enti territoriali, oltre al fatto che al CIAE può partecipare anche un rappresentante delle Regioni; è stata prevista la riserva d'esame, con la quale le Regioni, in sede di Conferenza Stato-Regioni, possono chiedere al Governo di astenersi dalle attività del Consiglio dei Ministri dell'Unione o dal Consiglio europeo, nell'attesa2 di indicazione da parte della

Conferenza Stato-Regioni.

Come è ovvio, con il Trattato di Lisbona, il legislatore italiano vi si è dovuto adeguare e ha emanato la legge 234/2012 che, avremo modo di dire, può essere evidenziata come il miglior tentativo, compiuto dal legislatore, di coinvolgere le Regioni nel processo di elaborazione del diritto europeo, rafforzando il ruolo dei Consigli regionali3, oltre a fare alcuni significanti cambiamenti rispetto al

recente passato.

Infine, la nostra ricerca si concentrerà su quanto previsto dalle (poche) Regioni che hanno disciplinato i rapporti con l'Unione

1 Che con la legge 234/2012 è divenuto CIAE (Comitato interministeriale per gli affari europei).

2 Il termine previsto è di trenta giorni, v. infra.

3 Questo è dovuto alla volontà di attuazione del Principio di sussidiarietà, descritto dal Trattato di Lisbona.

(8)

Europea e la loro partecipazione all'elaborazione del diritto europeo, sviscerando gli Statuti e le leggi regionali, oltre ai Regolamenti interni delle Assemblee legislative.

Per ultimo, verrà dato spazio alla Toscana, studiando quanto era previsto, lo stato dell'arte e le (molto probabili) novità che vedranno la luce in un futuro sempre più vicino.

(9)

CAPITOLO PRIMO

I RAPPORTI TRA UNIONE EUROPEA E REGIONI

1.1 Il ruolo delle Regioni nel processo di integrazione

europea

Nella fase di avvio e per molto tempo a seguire, i protagonisti esclusivi dell'idea europeista furono gli stati nazionali. Nei primi trattati, quelli istitutivi delle tre Comunità Europee (CEE, CECA ed EUROTOM), gli Stati membri non attribuivano nessuna rilevanza agli enti territoriali che le componevano, i quali, già all'epoca, godevano di forme di autonomia. Questo è ancor più evidenziato dall'assenza di organi rappresentativi delle realtà locali e della mancanza di norme che prevedevano una partecipazione delle regioni alla formazione e poi all'attuazione degli atti comunitari. Si potrebbe proprio parlare di “cecità regionale”4, poiché la

Comunità “vedeva” solo gli stati, non le articolazioni istituzionali interne ad essi.

Ciò è probabilmente giustificato dal fatto che inizialmente solo l'Italia (con riferimento alle sole Regioni ad autonomia differenziata, già istituite) e la Germania avessero questa peculiarità5.

Questo atteggiamento di indifferenza nei confronti delle autonomie locali iniziò ad attenuarsi con l'adesione alle Comunità di alcuni stati con caratteristiche federali o regionali (Spagna e Portogallo nel 1986; Austria nel 1995) e in conseguenza di un'evoluzione in senso federale e regionale, dell'organizzazione costituzionale degli Stati già membri (Belgio e Italia, a partire da 1968-1970; Francia dal 1982 e poi Gran Bretagna nel 1998).

Le istituzioni europee iniziarono ad interessarsi e a prendere

4 Ci si riferisce alla celebre metafora di Hans Peter Ipsen (Landesblindheit) 5 P. CARETTI, G. TARLI BARBIERI, Diritto regionale, Torino, 2019, p. 407

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posizione sulle regioni solo nel 1984. Difatti, il 13 aprile 1984, il Parlamento Europeo ha approvò una risoluzione sul “Ruolo delle regioni nella costruzione di un'Europa democratica”, riconoscendo l'opportunità di coinvolgere le autonomie locali nel processo di integrazione europea.

A questa risoluzione è seguita una Dichiarazione congiunta adottata da Consiglio, Commissione e Parlamento, con oggetto il coinvolgimento delle regioni nel processo decisionale europeo, manifestando l'auspicio di una più stretta collaborazione tra le istituzioni comunitarie e le autorità regionali nell'elaborazione dei programmi di sviluppo, promossi dalla Comunità.

È interessante ricordare che una bozza di Trattato sull'Unione Europea, elaborata nel febbraio 1984, prevedeva un preambolo nel quale si sottolineava il bisogno di far partecipare gli enti territoriali e locali al processo di integrazione europea6.

Due anni più avanti, è stato istituito un Consiglio consultivo degli enti regionali e locali7, avente l'obiettivo di aggregare tali enti

all'elaborazione e all'attuazione della politica regionale della Comunità, la quale era stata esplicitamente configurata con l'Atto Unico Europeo del 1986.

Ancora nel 1988, il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione sulla politica comunitaria regionale e sul ruolo delle regioni. A questa risoluzione fu allegata la Carta comunitaria della regionalizzazione8, nella quale si avanzavano ipotesi di

istituzionalizzare forme di rappresentanza regionali, in funzione di una loro diretta partecipazione alla gestione delle politiche di redistribuzione e riequilibrio della Comunità.

6 R. BIN, G. FALCON (a cura di), Diritto regionale, Bologna, 2018, pp.327-328 7 Tale organismo era composto da 42 membri, titolari di un mandato elettivo regionale o locale, nominati a titolo personale dalla Commissione per un periodo di tre anni.

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In questa prima fase, le autonomie regionali furono coinvolte nella gestione dei Fondi strutturali (che sono i principali strumenti finanziari della politica regionale dell'Unione europea il cui scopo è quello di rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale riducendo il divario fra le regioni più avanzate e quelle in ritardo di sviluppo9), introducendo varie forme di partenariato, concepite

anche nei confronti dei governi regionali e locali.

In questo avvio di “regionalismo comunitario”, vi è quindi un primo riconoscimento formale del ruolo delle autonomie regionali nell'ambito di una politica particolarmente importante per la Comunità, ma limitato e funzionale al perseguimento di obiettivi e programmi, alla determinazione dei quali restano assenti. Possiamo quindi affermare l'esistenza di un “regionalismo funzionale10”, in mancanza di forme di inserimento dei governi

locali nell'assetto delle istituzioni comunitarie.

Di “regionalismo istituzionale” possiamo iniziarne a discutere solo nel 1992, con la stipula del Trattato di Maastricht. I dodici Stati membri decidono di istituire un organo consultivo permanente, rappresentante delle autonomie territoriali, costituendo il

Comitato delle regioni e delle autonomie locali, del quale ci

occuperemo successivamente nell'elaborato11.

Al Trattato di Maastricht si deve anche l'espressione del principio

di sussidiarietà (art. 3B TUE), in forza del quale gli stati membri

hanno rafforzato la posizione dei legislatori nazionali nell'assumere decisioni “il più vicino possibile ai cittadini”, ammettendo alla Comunità un esercizio dei poteri (soprattutto normativi) solo nel caso sia necessaria una soluzione a problemi che non possono trovare facile risposta, se non a livello

9 Art. 174 TFUE

10 A. POGGI, Dove va il regionalismo in Europa?, in federalismi.it, 16/2018 11 Vedi 1.2

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comunitario.

Infine, nel medesimo Trattato, soprattutto su impulso dei Länder

tedeschi, si trova una previsione relativa alla composizione del Consiglio dei Ministri della Comunità (che ricordo essere insieme al Europarlamento, detentore del potere legislativo europeo). Si prevede che al Consiglio possano partecipare rappresentanti di ciascuno Stato membro “di rango ministeriale”, abilitato ad impegnare il Governo dello Stato: modifica che ha dato il via ad una prassi, seguita da Stati come Germania, Belgio e Austria, in base alla quale, quando in discussione sono questioni di particolare interesse delle autonomie regionali, sono i rappresentanti di queste ultime a partecipare alle riunioni del Consiglio, poiché attribuiti nei rispettivi Stati di provenienza di una “rappresentanza a livello ministeriale”. È un importante riconoscimento simbolico, ma bisogna tener presente che nel Consiglio, i rappresentanti di provenienza sub-statale rappresentano lo Stato membro di appartenenza e non la regione da cui provengono. Essi possono far sentire nel Consiglio anche le ragioni delle comunità minori, ma formalmente non le rappresentano.

Il trattato di Amsterdam del 1997, non comporta modificazioni relative al ruolo delle regioni nel processo decisionale europeo, ma si caratterizza per un rafforzamento del Comitato delle regioni, aumentando i settori per i quali ne è prevista una obbligatoria consultazione.

Con il Trattato di Nizza del 2000, si interviene in relazione ai requisiti di nomina dei membri del Comitato, specificando che essi debbono essere scelti tra soggetti “titolari di un mandato elettorale nell'ambito di una comunità regionale o locale, oppure politicamente responsabili dinnanzi ad un'assemblea elettiva” e di nomina, prevedendo un rafforzamento della proposta (formulata

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dai singoli stati) rispetto alla vera e propria nomina (di pertinenza del Consiglio), stabilendo che la seconda debba essere adottata conformemente alla prima12.

Naufragata l'idea di un “Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa”, a seguito della mancata ratifica da parte di Francia e Paesi Bassi, gli stati membri approvano nel 2007 (entrato in vigore nel 2009) il Trattato di Lisbona, che contiene diverse novità rispetto alla posizione del Comitato delle Regioni. Si prevede che questo possa promuovere ricorsi dinnanzi alla Corte di Giustizia quando ritenga che le proprie prerogative siano state lese da un atto di una delle istituzioni europee, violando quindi il principio di sussidiarietà. Inoltre, nel Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità13 si stabilisce che i ricorsi

(promossi dagli stati membri contro atti comunitari ritenuti lesivi di quei principi) vengano sottoposti al parere del Comitato, quando riguardino “atti legislativi per l'adozione dei quali il Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea richieda la sua consultazione”. Attraverso il Protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, non solo si salvaguardano gli stati membri, ma anche le istituzioni regionali. Infatti, vengono coinvolte le assemblee legislative regionali attraverso una procedura di controllo preventivo (che precede la loro definitiva adozione) dell'effettivo rispetto del principio di sussidiarietà da parte degli atti normativi comunitari. Si obbliga la Commissione Europea a tenere conto della dimensione locale e regionale nella fase delle consultazioni che precede l'iniziativa legislativa14 e a

motivare i progetti di atti legislativi, non solo in relazione al loro

12 Art. 305, 2° comma, TFUE. 13 Allegato al Trattato di Lisbona.

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impatto sulla legislazione statale, ma anche su quella locale15. In

pratica, la Commissione deve motivare il perché si è ritenuto opportuno investire con una disciplina comunitaria una materia che in linea di principio spetterebbe alla competenza statale o regionale. D'altro lato, si obbligano i Parlamenti nazionali a consultare “all'occorrenza” le assemblee regionali munite di poteri legislativi, nell'esercizio dell'attività di verifica del rispetto del principio di sussidiarietà16.

La previsione del c.d. “early warning system” trova la sua disciplina dell'art. 6 del Protocollo17. Secondo questo sistema, ciascuno dei

parlamenti nazionali può, entro un termine di otto settimane a decorrere dalla data di trasmissione di un progetto di atto legislativo, inviare ai presidenti del Parlamento Europeo, del Consiglio e della Commissione un parere motivato che espone le ragioni per le quali ritiene che il progetto in causa non sia conforme al principio di sussidiarietà.

1.2 Il Comitato delle Regioni

Abbiamo già visto che il Trattato di Maastricht ha introdotto il Comitato delle Regioni (artt. 263-265 del TUE, ora artt. 300 e 305-307 della versione consolidata con il Trattato di Lisbona), avendo come missione quella di coinvolgere gli enti regionali e locali nel processo decisionale europeo18 e incoraggiare in tal modo una

maggiore partecipazione dei cittadini. Il Comitato delle Regioni è 15 Art.5 del Protocollo sulla sussidiarietà e proporzionalità.

16 F. PIZZETTI, G. TIBERI, Le competenze dell’Unione e il principio di sussidiarietà, in F. BASSANINI, G. TIBERI (a cura di), Le nuove istituzioni europee. Commento al

Trattato di Lisbona, Bologna, 2010, pp. 143 ss.

17 L. GIANNITI, Il ruolo dei parlamenti nazionali, in F. BASSANINI, G. TIBERI (a cura di), Le nuove istituzioni europee. Commento al Trattato di Lisbona, Bologna, 2010, p. 176 .

18 G. ALLEGRI, Il ruolo del Comitato delle Regioni nelle istituzioni comunitarie in

trasformazione, in B. CARAVITA (a cura di), Le Regioni in Europa, esperienze costituzionali a confronto, Roma 2002.

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un organo consultivo19 che rappresenta gli interessi degli enti

regionali e locali dell'Unione europea e invia pareri per loro conto al Consiglio e alla Commissione, assicurando la rappresentanza istituzionale di tutti i territori, le regioni, le città e i comuni dell'Unione Europea. Questo passaggio è interessante, in quanto, l'istituzione del Comitato non appare finalizzato a favorire specificamente la partecipazione di enti territoriali dotati di autonomia legislativa costituzionalmente garantita, come le Regioni in Italia, i Länder tedeschi o austriaci, le Comunità autonome spagnole. Il Trattato fa riferimento genericamente a rappresentanti delle collettività regionali e locali, e cioè, ad enti del più vario livello e della più varia struttura. Come è noto, nei diversi Stati membri dell'Unione, la situazione è variegata, esistendo articolazioni e strutture diverse con scarsi elementi di omogeneità20.

Organizzazione e nomina. Il Comitato è composto da un numero

massimo di 350 membri titolari e altrettanti supplenti, rappresentanti le collettività regionali, ma anche locali, nominati dal Consiglio dell'Unione Europea ogni cinque anni, su proposta degli Stati membri. I componenti, il cui mandato è rinnovabile, non possono contemporaneamente sedere nel Parlamento Europeo e devono essere titolari di un mandato elettorale in seno a un ente regionale o locale o essere politicamente responsabili davanti a un'assemblea eletta. I suoi membri non sono vincolati da alcun mandato imperativo; essi esercitano le loro funzioni in piena indipendenza, nell'interesse generale dell'Unione, pertanto non sono tenuti, anzi non possono, sostenere nel Comitato le ragioni 19 M. MASCIA, Il Comitato delle Regioni nel sistema dell'Unione Europea, Padova, 1996.

20 A. ANZON DEMMIG, I poteri delle Regioni. Lo sviluppo attuale del secondo

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delle collettività che rappresentano.

Il Comitato, in sessione plenaria, ha come compiti principali quelli di adottare pareri, relazioni e risoluzioni, il progetto di stato di previsione delle spese e delle entrate del Comitato e il programma politico del Comitato (adottato all'inizio di ogni mandato), di eleggere il Presidente e l'Ufficio di presidenza, di stabilire e rivedere il proprio regolamento interno, che viene sottoposto all'approvazione del Consiglio. I lavori del Comitato si svolgono in seno a sei commissioni specializzate (cittadinanza, governance, affari istituzionali ed esterni; politica di coesione territoriale e bilancio dell'UE; politica economica; ambiente, cambiamenti climatici ed energia; risorse naturali; politica sociale, istruzione, occupazione, ricerca e cultura), che elaborano i progetti di parere e di risoluzione da sottoporre all'approvazione del Comitato in seduta plenaria.

Ogni stato membro ha un numero di membri in maniera proporzionata alla propria popolazione:

24 membri (titolari e altrettanti supplenti) a Italia, Germania, Francia, Regno Unito; 21 membri a Spagna e Polonia; 15 membri alla Romania; 12 membri a Paesi Bassi, Grecia, Repubblica Ceca, Belgio, Ungheria, Portogallo, Svezia, Bulgaria, Austria; 9 membri a Slovacchia, Danimarca, Finlandia, Irlanda, Croazia, Lituania; 7 membri a Lettonia e Slovenia; 6 membri all'Estonia; 5 membri a Cipro, Lussemburgo e Malta.

Per quanto riguarda le modalità di proposta della delegazione italiana, la legge234/2012 disciplina che vi provvede il Presidente del Consiglio dei Ministri, assegnando 14 titolari e 8 supplenti alle Regioni e alle Province Autonome, 3 titolari e 7 supplenti alle

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Province, 7 titolari e 9 supplenti ai Comuni21. Il Presidente del

Consiglio li nomina su proposta della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, della Conferenza dei Presidenti delle Assemblee Legislative delle Regioni e delle Province Autonome, dell'Unione delle Province d'Italia, dell'Associazione Nazionale dei Comuni Italiani e dell'Unione nazionale comuni, comunità ed enti montani.

Raffrontando le scelte effettuate da altri Stati, si nota come il legislatore italiano, quanto all'individuazione dei membri del Comitato, abbia prestato grande attenzione agli enti locali, a svantaggio delle Regioni (che tuttavia, a differenza dei primi, sono titolari di potestà legislativa). Diversamente dalla delegazione italiana, quella belga comprende rappresentanti degli enti locali solo a livello di membri supplenti, mentre i membri titolari sono tutti di estrazione sub-statale. Simile è la situazione in Germania, Austria e Spagna, vero che le delegazioni di tali stati comprendono anche esponenti locali tra i membri titolari, ma il rapporto con quelli regionali vede questi ultimi in posizione di forza: in Germania il rapporto di 21 a 3; in Spagna di 17 a 4 e in Austria di 9 a 3. Scelta opposta è stata fatta da Portogallo e Regno Unito. In Portogallo a fronte di 2 rappresentanti regionali si contano 10 rappresentanti dei municipi. Nel Regno Unito sono riservati (ancora per poco?) venti seggi ai poteri locali, selezionati secondo un criterio misto (istituzionale e geografico), mentre i rimanenti quattro seggi sono assegnati nel seguente modo: Irlanda del Nord e Galles esprimono un rappresentante ciascuno, tratto dalle rispettive assemblee, mentre la Scozia dispone di due delegati, uno 21 La norma prescrive che la proposta dei criteri definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri vada adottata d'intesa con la Conferenza unificata.

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tratto dallo Scottish Parliament e l'altro dall'Esecutivo22.

Funzioni. Il Consiglio, la Commissione o il Parlamento Europeo

sono tenuti a consultare obbligatoriamente il Comitato delle regioni prima di adottare decisioni in materia di: Istruzione, formazione professionale e gioventù (art. 165 TFUE); cultura (art. 167 TFUE); sanità pubblica (art. 168 TFUE); reti transeuropee di trasporti, telecomunicazioni ed energia (art. 172 TFUE); coesione economica e sociale (art. 175, 177 e 178 TFUE). Inoltre, il Comitato può essere liberamente consultato anche su qualsiasi altra materia. Quando una delle tre istituzioni suddette consulta il Comitato delle regioni (a titolo obbligatorio o facoltativo), essa può fissare un termine per la risposta (non inferiore a un mese, ex art. 307 TFUE). Qualora il termine scada senza che sia stato emesso un parere, essa può procedere facendo a meno della sua valutazione

Inoltre, il Comitato delle Regioni può formulare un parere di propria iniziativa, come per esempio è successo in materia di piccole e medie imprese, turismo, fondi strutturali, sanità, industria, sviluppo urbano23; in questo caso i pareri non sono

vincolanti. In aggiunta, quando viene consultato il Comitato economico e sociale, il Comitato delle regioni ne è informato e, se ritiene che siano in gioco interessi regionali, può anch'esso esprimere un parere sull'argomento trattato.

Infine, un altro importante potere di cui si è già trattato nel paragrafo precedente è quello relativo alla possibilità da parte del Comitato delle Regioni di proporre ricorso dinnanzi alla Corte di Giustizia, al fine di salvaguardare le prerogative che gli sono conferite (art. 263 TFUE). Qualora il Comitato delle Regioni ritenga di non essere stato consultato, quando invece avrebbe dovuto 22 A. D'ATENA, Diritto regionale, Torino, 2017, pp. 382-383

23 https://www.europarl.europa.eu/factsheets/it/sheet/16/il-comitato-delle-regioni

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esserlo, o se non siano state correttamente osservate le procedure di consultazione. Ai sensi dell'articolo 8 del Protocollo

sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, si attribuisce al Comitato delle regioni il potere di chiedere alla Corte di giustizia di valutare se un atto legislativo, che rientra nella sua sfera di competenza, sia conforme al principio di sussidiarietà. I poteri del Comitato delle Regioni però non vanno in linea generale sopravvalutati24, poiché il suo ruolo resta comunque

debole25, dovuto a diversi fattori. Abbiamo visto la varietà delle

strutture sub-statali presenti nell'Europa Unita, un'altra divisione può essere legata alla territorialità, poiché i membri del Comitato sono rappresentanti di istituzioni diverse, regionali, provinciali e comunale. Infine un'ulteriore frattura è politica. I rappresenti sono organizzati in gruppo politici (attualmente Partito Popolare Europeo, Partito Socialista Europeo, Alleanza dei Liberali e Democratici Europei, Alleanza Europea e i Conservatori e Riformisti), ma votano anche in base alla loro appartenenza geografica e alla loro appartenenza nazionale26.

Il fatto che il Comitato delle Regioni nasca come rappresentante degli interessi delle istituzioni politiche più vicine ai cittadini non impedisce una divisione, favorendo una poca incidenza sul processo decisionale europeo27. Tuttavia, il fatto che a Bruxelles

(sede del Comitato) vi siano rappresentanti dei territori nazionali permette a questi di essere informati di quanto accade negli uffici dell'Unione e di intrecciare rapporti con istituzioni regionali di 24 S. PIATTONI, Il Comitato delle Regioni, in S. FABBRINI, F. MORATA (a cura di),

L'Unione Europea. Le istituzioni e gli attori di un sistema sovranazionale,

Roma-Bari, 2002, pp. 227-248.

25 M. P. CHITI, Regioni ed integrazione europea, in Regione governo locale, 1994. 26 M. BRUNAZZO, Le Regioni Italiane e l'Unione Europea, Roma, 2005, p.30. 27 M. P. CHITI, Diritto comunitario e Regioni. Attività di rilievo internazionale, in

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altri paesi.

1.3 Il ruolo del Parlamento Europeo

La dottrina maggioritaria28 ha sempre ritenuto il Comitato delle

Regioni come un organo quasi privo di poteri, sebbene vi siano certi autori che contraddicono questa analisi29, tanto da proporre il

Comitato come la Seconda Camera rispetto al Parlamento Europeo, attribuendogli poteri legislativi30. Ovviamente, queste sono solo

ipotesi, poiché il ruolo di unica Camera legislativa dell'Unione Europea è quella del Parlamento Europeo, il quale intrattiene relazioni con l'organo di rappresentanze delle autonomie locali. Il regolamento del Parlamento Europeo (allegato V, punto XII) prevede che la Commissione per lo sviluppo regionale sia competente per i rapporti con il Comitato delle Regioni, con le organizzazioni di cooperazione interregionale e con le autorità locali e regionali. Inoltre, il 5 febbraio 2014, è stato stipulato un accordo di cooperazione tra il Parlamento europeo e il Comitato delle Regioni. Nell'intesa tra le due istituzioni si sottolinea come il Comitato delle Regioni possa elaborare relazioni di impatto sulle proposte legislative dell'Unione Europea, che trasmette al Parlamento, prima che abbia inizio la procedura di modifica. Tali valutazioni di impatto affrontano dettagliatamente il funzionamento della legislazione vigente a livello nazionale, regionale e locale e contengono pareri sul miglioramento delle 28 G. IURATO, L'UE e la rappresentanza territoriale regionale, in Le Regioni, 4/2006; G. RIVOSECCHI, Gli effetti del processo di integrazione europea sulle

autonomie, in www.rivistaaic.it, 3/2017, 5 ss.

29 E. DI SALVATORE, L'identità costituzionale dell'Unione Europea e degli Stati

membri. Il decentramento politico-istituzionale nel processo di integrazione,

Torino, 208, 108 ss.

30 S. MANGIAMELI, Governo tra Unione Europea e autonomie territoriali, in Atti

del Convegno annuale dell'Associazione dei Costituzionali Italiani, Palermo,

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proposte legislative. È stato deciso che un membro del Comitato delle Regioni è invitato a tutte le riunioni di commissione pertinenti del Parlamento. Tale rappresentante espone i pareri del Comitato; a loro volta, i delegati dell'Europarlamento possono partecipare alle riunioni di commissione del Comitato delle Regioni.

1.4 Il ruolo della Commissione Europea

Spesso, la Commissione Europea è stata un'ottima alleata delle autonomie territoriali, approfittando delle Regioni come canale di comunicazione verso i cittadini dell'Unione Europea. Nel 2001, la Commissione si è fatta promotrice di un Libro bianco sulla

governance, un testo di riflessione sugli strumenti da adottare per

migliorare la trasparenza e l'efficacia delle decisioni europee, riconoscendo l'esigenza di “organizzare una forma di dialogo che

coinvolga le associazioni regionali e il Comitato delle Regioni, allo stesso tempo rispettando le disposizioni costituzionali e amministrative degli Stati membri”, rimarcando comunque che “la responsabilità principale di far partecipare alla politica dell'Unione il livello regionale e locale spetta e deve continuare a spettare ai governi nazionali”.

In questo modo, è la stessa Unione Europea a rendersi conto del fatto che il nuovo concetto di governance comporta che le decisioni si sviluppino sempre più con il contributo di diversi attori interni all’Unione, che non identificano più semplicemente le sue istituzioni, ma comprendono anche una serie di soggetti che rispetto alle istituzioni europee sono diventati degli interlocutori, e non soltanto dei destinatari delle loro decisioni31.

31 M. ESPOSITO, Dal Libro bianco sulla governance europea alla Convenzione sul

futuro dell’Europa: il Comitato delle Regioni e le sue componenti, in Le Istituzioni del Federalismo, 1/2004, p.124.

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Nel Libro bianco sulla governance europea del 2001, la Commissione chiedeva che al Comitato delle Regioni venisse riconosciuto un ruolo maggiormente attivo nell’elaborazione delle politiche, una migliore partecipazione all’elaborazione delle decisioni europee e la possibilità di esaminare l’incidenza locale e regionale delle direttive e di riferirne alla Commissione32.

Nel Libro bianco, è assente invece un chiaro riferimento alle autonomie territoriali, nella parte in cui vengono ricercate le iniziative finalizzate a rendere più efficace l’azione dell’Unione Europea. Ciò costituisce un vulnus, perché manca l’indicazione degli enti substatali nella composizione delle unità di coordinamento per il miglioramento dell’applicazione del diritto comunitario, che la Commissione auspicava fossero create in seno alle amministrazioni centrali33.

È emblematico ciò che è successo in sede di discussione in seno alla Convenzione europea, in vista della stesura di un trattato istituente una Costituzione europea, poiché le proposte di ridefinizione del ruolo delle regioni sono state avanzate dalla Commissione (è giusto ricordare come nel 2002-2003, i rappresentanti del Comitato delle Regioni partecipavano alla Convenzione come semplici osservatori). Si chiedevano la definizione di principi generali di consultazione degli stati membri con le autorità regionali e locali che permettessero di coinvolgere maggiormente le regioni nella fase di formulazione delle politiche comunitarie e ad onor del vero, ciò è stato più o meno recepito. È interessante ricordare come durante i lavori della Convenzione,

32 C. ALIBERTI, Il ruolo del Comitato delle Regioni nell'assetto istituzionale

dell'Unione Europea, in Diritti regionali. Rivista di diritto delle autonomie territoriali, 1/2018.

33 L. DOMENICHELLI, Le regioni nel dibattito sull’avvenire dell’Unione: dalla

dichiarazione di Nizza alla Convenzione europea, in A. D’ATENA (a cura di), L’Europa delle autonomie: le Regioni e l’Unione Europea, Milano, 2003, pp. 258 ss.

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tre commissari hanno avuto il coraggio di spingersi oltre. Nel documento “Penelope”, la proposta avanzata da Romano Prodi, presidente della Commissione, Michel Barrier, commissario alla Politica regionale, e Antonio Vittorino, commissario agli Affari interni (che non era un documento elaborato dall'intera Commissione, ma, secondo le parole di Prodi “un esercizio tecnico, uno studio di fattibilità”) si proponeva di riconoscere che il principio di sussidiarietà era estensibile alle Regioni (effettivamente recepita, seppur non direttamente dal suggerimento dell'ex Presidente della Commissione), confermava la partecipazione alle riunioni del Consiglio dei rappresentanti regionali di livello ministeriale, ribattezzava il Comitato delle Regioni con il nome di Assemblea delle Regioni (in realtà solo una novità simbolica, non modificandone i compiti). Inoltre, molto interessante nel documento, si poneva come obiettivo dell'Unione la “solidarietà tra regioni, che siano centrali o periferiche o insulari”, seppur definendolo come area territoriale più che come istituzione.

All'interno della Commissione, svolge un ruolo importante il Commissario per la politica regionale. Questo ufficio, al quale fa capo la Direzione generale per la politica regionale, comprende il controllo della politica regionale europea, che ha come fine la riduzione delle disparità e le differenze nel livello di ricchezza e di sviluppo economico delle varie zone dell'Unione Europea. Difatti, il ruolo a cui è chiamato il commissario europeo per la politica regionale è proteggere il bilancio dell'UE dalle frodi, verificando che i fondi regionali vengano spesi conformemente alle norme; osservare costantemente che i programmi di spesa siano efficaci per creare crescita; ed individuare in che modo i fondi strutturali e di investimento dell'Unione Europea possano aiutare a creare

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un'Unione europea dell'energia e completare il mercato unico digitale34.

1.5 Le Regioni a Bruxelles: gli uffici regionali di

collegamento

Nella capitale dell'Unione Europea, sono presenti più di 260 regioni europee con un loro ufficio, il cosiddetto ufficio regionale di collegamento. Negli anni, il numero di questi uffici è aumentato, passando dai soli due uffici nel 1984, ai 91 nel 1995. Questi uffici si strutturano sotto forma di rappresentanze che dipendono direttamente dalle Regioni, quindi una rappresentanza istituzionale, essendo parte dell'organigramma regionale; oppure, sotto forma di rappresentanze di associazioni o agenzie regionali (rappresentanze non istituzionali)35. Queste “mini-ambasciate”

hanno il compito di influenzare l'attività decisoria delle istituzioni europee, mettendo in atto vere e proprie pratiche di lobbying, raccogliere informazioni sulla progettazione e realizzazione delle politiche europee, promuovere la regione a livello europeo, rapportarsi con i rappresentanti delle altre realtà territoriali. Le Regioni e le Province Autonome hanno tutte un ufficio di rappresentanza a Bruxelles: l'apripista fu la Regione Emilia-Romagna nel 1994, con la Campania che fu l'ultima ad aprire un ufficio nel 2002. Dobbiamo anche dire che alcune Regioni si associarono tra di loro: Lazio, Toscana, Umbria, Marche e Abruzzo fondarono l'ufficio delle Regioni del Centro Italia; le province autonome di Trento e Bolzano condividono un ufficio con il Land austriaco del Tirolo, i quali hanno dato vita a un Gruppo Europeo

34 Dal sito dell'ex commissario per le politiche regionali, Corina Creţu,

https://ec.europa.eu/commission/commissioners/2014-2019/cretu_en#responsibilities

35 M. BRUNAZZO, Le Regioni italiane nella multi-level governance. I canali di

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di Cooperazione Transfrontaliera (vedi par. 1.7); la Regione Emilia-Romagna ha stretto rapporti con la regione francese Aquitania (adesso Nouvelle-Aquitaine, a seguito della riforma territoriale che ha interessato la Francia nel 2014) e il Land tedesco dell'Assia. Inizialmente, le regioni si appoggiarono ad altre strutture per instaurare rapporti diretti con Bruxelles. La prima nel 1994, abbiamo già detto, fu l'Emilia-Romagna che contò sulla presenza dell'Agenzia per lo Sviluppo Tecnologico dell'Emilia-Romagna, già a Bruxelles dal 1985. Dopo l'Emilia-Romagna, fu la Toscana, nel 1995, a inviare i propri rappresentanti nell'ambito delle propria finanziaria (FidiToscana Spa), o le province autonome di Trento e Bolzano che si appoggiarono alle rappresentanze delle Camere di Commercio. Sulla falsariga dell'esperienza trentino-altoatesina, anche Piemonte, Lombardia e Veneto cooperarono con le rispettive Unioncamere, la Regione Lazio che si appoggiava al proprio Business Innovation Centre. Fino al 1996, abbiamo un insieme di uffici “non istituzionali”, ossia di non diretta emanazione delle istituzioni regionali; solo dopo la legge 52/1996, le Regioni possono finalmente inaugurare uffici di diretta dipendenza.

Già con l'art.4 D.P.R. del 31 marzo 1994, il governo italiano aveva aperto alla presenza delle regioni a livello comunitario36. Nel

decreto presidenziale si stabiliva che le Regioni e le Province autonome potessero intrattenere rapporti con gli uffici, organismi e istituzioni comunitarie, compreso il Comitato delle Regioni, senza previe intese o comunicazioni al Governo, qualora si fosse trattato di agevolare la progettazione ed esecuzione di iniziative comunitarie di interesse regionale e l'attuazione nel territorio regionale degli atti comunitari nelle materie di competenza del

36 A. ANZON, Le Regioni e l'Unione Europea. L'esperienza italiana, in A. D’ATENA (a cura di), L’Europa delle Autonomie, Milano, 2003.

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legislatore regionale; così come promuovere un miglior utilizzo in sede regionale dei fondi europei.

Però, solo a partire dalla legge 52/1996 (a cui sono seguiti la legge 128/1998 e il D.P.R. 271/1998), viene attribuita alle Regioni la possibilità di aprire uffici di collegamento, con lo scopo di svolgere attività preparatorie, di studio e di informazione, da consentire di ottenere dati e notizie sulle politiche comunitarie e sulle loro ricadute negli ordinamenti regionali37.

1.6 Le associazioni tra Regioni e le reti interregionali

Tra le Regioni d'Europa vi è sempre stata una volontà di cooperare tra di loro, portando le stessa ad una pluralità di associazioni e di reti di collaborazione. Tra queste vi è sono differenze di natura funzionale, di durata e di struttura. Un'associazione ha una durata maggiore rispetto alla rete, poiché questa generalmente si esaurisce con il raggiungimento dell'obiettivo prefissato o con il termine del programma europeo che aveva fatto sì che la rete nascesse. L'associazione ha una natura istituzionale e una struttura organizzativa stabile, mentre la rete ha una natura operativa, con una struttura più flessibile38.

Inoltre, le forme di cooperazione interregionale si possono ritrovare anche in due grandi gruppi di collaborazione: con funzione (principalmente) rappresentativa e quella con funzionalità (principalmente) funzionale. Nel primo gruppo, possono essere collocate tutte quelle collaborazioni che mirano alla promozione e alla difesa dell'interesse regionale. Tra queste abbiamo l'Assemblea delle Regioni d'Europa (AER), il Consiglio dei

37 A. ANZON, I poteri delle Regioni dopo la riforma costituzionale. Il nuovo regime

e il modello originario a confronto, Torino, 2002.

38 E. ONGARO, G. VALOTTI (a cura di), L'internazionalizzazione di regioni ed enti

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Comuni e delle regioni d'Europa (CCRE), il Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d'Europa (CPLRE) e Eurocities. La prima, l'AER, è nata nel 1985 e vede al suo interno regioni di 30 paesi diversi. “La missione” che l'Assembla si è prefissata “è quella di essere la voce delle regioni d'Europa, promuovendo gli interessi regionali, la cooperazione interregionale per favorire lo scambio di esperienze e lo sviluppo della politica regionale”39. L'assembla è

suddivisa in tre commissioni tematiche: economia e sviluppo regionale, politiche sociali e sanità pubblica, cultura istruzione e gioventù.

Il Consiglio dei comuni e delle regioni europei, costituita nel 1951, riunisce le associazioni nazionali dei governi locali e regionali di 41 paesi europei40. Così come l'Assemblea delle Regioni d'Europa

tenta di influenzare la politica e la legislazione europee, in tutti i settori che hanno un impatto sugli enti territoriali. Oltre a fornire un luogo d'incontro tra i governi locali e regionali, favorendo la cooperazione intercomunale e i gemellaggi.

Il Congresso dei poteri locali e regionali del Consiglio d'Europa, svolge le sue funzioni presso il Consiglio d'Europa, promuovendo azioni di cooperazione tra le regioni dell'Unione.

Infine, l'Eurocities è il network delle più grandi città europee che ha come fine quello di influenzare l'agenda europea in materia di qualità della vita urbana e di favorire lo scambio di best practices. Fondato nel 1986 dai sindaci di sei grandi città (Barcellona, Birmingham, Francoforte, Lione, Milano e Rotterdam), oggi riunisce i governi locali di oltre 140 delle più grandi città d'Europa e di oltre 45 città partner, in 39 paesi.41 In Italia, fanno parte a

pieno diritto le città di Bologna, Firenze, Genova, Milano, Palermo,

39 Dallo Statuto dell'AER, su www.aer.eu

40 https://www.ccre.org/en/article/introducing_cemr 41 http://www.eurocities.eu/eurocities/about_us

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Roma, Torino, Venezia e Verona, mentre Arezzo, Cesena e Pesaro sono membri associati.

Per quanto riguarda le collaborazioni interregionali di tipo funzionale, si possono distinguere tre grandi categorie: la collaborazione tra aree con problemi simili, ma risorse diverse; la collaborazione tra territori con uguali caratteristiche “morfologiche”; e le collaborazioni tra le più regioni più economicamente forti in Europa42.

In relazione al primo gruppo, si discute spesso di regioni limitrofe, che collaborano grazie a programmi comunitari come Interreg e

LEADER. Il primo programma vuole sostenere lo sviluppo urbano,

rurale e costiero, la cooperazione interistituzionale, il sostegno all'imprenditorialità, il miglioramento dei trasporti e la tutela ambientale. Si suddivide in tre sezioni: cooperazione transfrontaliera (tra regioni confinanti), cooperazione transnazionale (tra regioni non limitrofe) e cooperazione interregionale (tra regioni dell'Unione Europea e di paesi terzi). Il programma LEADER (acronimo di Liaison Entre Actions de

Développement de l'Économique Rurale), come ben si capisce, nasce

per sviluppare il patrimonio naturale, finalizzato all'aumento di occupazione e alla crescita delle zone rurali. Ciò avviene attraverso i GAL (Gruppi di Azione Locale), cioè partenariati composti da rappresentanti degli interessi socio-economici locali sia pubblici che privati, che elaborano e attuano strategie di sviluppo locale.43

Il secondo gruppo di cooperazioni interregionali interessa le regioni che hanno uguali caratteristiche territoriali, come le regioni di frontiera si sono riunite, nel 1971, nell'Associazione delle regioni frontaliere europee.

42 M. BRUNAZZO, cit., p.36

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Infine, i territori più ricchi e sviluppati dell'Unione Europea si sono associati. Le esperienze più interessanti sono due: Quattro motori per l'Europa e l'Euroregione (o Euregio).

La prima ha visto firmare, nel 1988, i presidenti delle regioni di Baden-Württemberg, la Catalunya, la Lombardia e il Auvergne Rhône-Alpes un memorandum, per aumentare la cooperazione economica e sociale tra loro. L'accordo era quello di avere tra le quattro regioni, una collaborazione a lungo termine in vari campi, dall'istruzione all'ambiente. La seconda alleanza è l'Euroregio. Fuori dai confini italiani possiamo ricordare l'Euroregione Mosa-Reno, nata nel 1976 e riconosciuta nel 1991, che riguarda le aree di Maastricht (Olanda), Liegi (Belgio), Hasselt (Belgio) e Colonia (Germania). Per quanto riguarda l'Italia, l'Euroregioni a cui partecipano gli enti italiani sono: Eusalp (la macroregione alpina che mette insieme regioni e cantoni di Austria, Francia, Germania, Italia e Slovenia), Euroregione Alpi-Mediterraneo (unione tra Piemonte, Liguria, Valle d'Aosta, Provenza-Alpi-Costa Azzurra, Rodano-Alpi), Euregio Tirolo-Alto Adige-Trentino, Regio Insubrica

(insieme di Ticino, Como, Lecco, Novara, Varese, Verbano-Cusio-Ossola), Interregio Marittimo it-fr maritime, Comunità di lavoro Alpe Adria (consorzio tra la Baviera, il Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Lombardia, Carinzia, Alta Austria, Stiria e diverse altre regioni), Euroregione Adriatico Ionica (che comprende sette regioni italiane, sette croate), Euromed (composto da Sicilia, Sardegna, Corsica, Isole Baleari, Gozo e Cipro).

1.7 La cooperazione transfrontaliera

La disciplina della cooperazione transfrontaliera trova il suo fondamento nella legge 948/1984, approvata in esecuzione della Convenzione quadro europea di Madrid, promossa dal Consiglio

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d'Europa. La Convenzione vede come attori principali gli Stati, i quali devono individuare gli enti competenti a firmare accordi di cooperazione transfrontaliera, non attribuendo alcun potere in via diretta agli enti territoriali; si suggerisce ai Paesi firmatari, la stipula di accordi bilaterali tra Stati, in applicazione dei quali gli enti sub-statali potrebbero avviare iniziative di cooperazione. Il legislatore italiano, attraverso la legge 948/1984, ha deciso che gli accordi transfrontalieri degli enti autorizzati (regioni, province, comuni, autorità montane, consorzi comunali e provinciali) devono essere successivi alla stipula da parte dello Stato italiano di accordi bilaterali con gli Stati confinanti44. Anche a seguito della riforma

Costituzionale che ha interessato il Titolo V della Carta, modificando l'art. 117 Cost., in riferimento al potere estero delle regioni, e a seguito dell'approvazione della legge 131/2003, non vi è stata alcuna variazione della disciplina statale. Ciò ha portato dei dubbi: gli enti locali possono stipulare accordi di cooperazione transfrontaliera anche in assenza di accordi statali, qualora gli accordi siano diretti a favorire lo sviluppo economico, sociale e culturale degli enti firmatari, (ex. Art. 6, legge 131/2003)45.

L'esercizio del potere estero non trova fondamento solo nel disposto costituzionale e nelle norme ordinarie che sono state precedentemente richiamate. Questo perché gli enti regionali dell'Unione Europea possono stipulare accordi transfrontalieri, in esecuzione ad appositi programmi approvati dalle istituzioni dell'Unione Europea. Quanto detto è stato affermato dalla Sentenza

44 M. CARTABIA, La cooperazione transfrontaliera delle regioni e delle province

autonome nei rapporti con le istituzioni comunitarie, in Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico Comparato, pp. 206 ss.

45 Dando comunicazione prima della firma alla Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per gli affari regionali ed al Ministero degli affari esteri, affinché questi possano fare eventuali osservazioni, entro 30 giorni, decorsi i quali le Regioni e le Province autonome possono sottoscrivere l’intesa.

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258/2004 della Corte Costituzionale, chiamata a decidere su un conflitto di attribuzioni promosso dal governo in relazione a un accordo di cooperazione concluso dalla provincia autonoma di Bolzano e le regioni Friuli Venezia Giulia e Veneto con i Länder austriaci Carinzia, Salisburgo e Tirolo, in esecuzione dell'iniziativa comunitaria Interreg III A Italia-Austria. Il Governo lamentava il fatto che non vi fosse stata nessuna intesa, prima dell'accordo. La Corte Costituzionale ha affermato che, nel caso in esame, le Regioni hanno dato attuazione agli strumenti di cooperazione transfrontaliera con enti omologhi interni ad altro Stato, appartenente all'Unione Europea, previsti dall'ordinamento

comunitario e che in esso trovano la loro fonte primaria. Inoltre,

l'intesa non eccede i limiti costituzionali in materia di politica estera riservata allo Stato, trattandosi di un atto finalizzato a dare attuazione ad un programma comunitario di cooperazione transfrontaliera; secondo i giudici costituzionali, non vi è violazione dell'art.117, poiché l'atto è strettamente correlato a (ed

esecutivo di) precedenti atti normativi ed amministrativi regolati direttamente dal diritto comunitario. Infine non vi è violazione

delle attribuzioni costituzionali dello Stato derivante dalla creazione di organismi comuni tra le Regioni italiane e quelle austriache, poiché tali organismi sono previsti come obbligatori dalla fonte comunitaria.

Un'evoluzione, in ambito comunitario, del sistema di cooperazione transfrontaliera è rappresentata dall'approvazione del regolamento CE 1082/2006, che ha disciplinato il Gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT). Questa istituzione, avente personalità giuridica (diversamente dagli organismi transfrontalieri istituiti ai sensi della Convenzione di Madrid), non impone una necessaria vicinanza territoriale tra gli enti che lo

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costituiscono; può interessare gli Stati, regioni ed enti locali, organismi di diritto pubblico, che si trovino sul territorio di almeno due Stati membri, nel rispetto delle discipline costituzionali di ciascuno Stato. I membri del GECT devono approvare all'unanimità una convenzione di cooperazione che stabilisce le competenze dello stesso e può attuare programmi cofinanziati dall'Unione. Il Gruppo deve avere un'assemblea e un direttore. Il legislatore italiano, con la legge 88/2009, ha dato attuazione al suddetto Regolamento CE, attribuendo ai GECT personalità giuridica di diritto pubblico, prevedendo un registro dei GECT presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, abilitando gli enti locali a essere membri di GECT. La costituzione del Gruppo deve essere autorizzata dalla Presidenza del Consiglio, e può essere revocata nel caso in cui il GECT svolga attività contrarie alle disposizioni dello Stato in materia di ordine pubblico, pubblica sicurezza, salute pubblica o moralità pubblica, o contrarie all'interesse pubblico. Un esempio di GECT è quello istituito dalle provincie autonome di Trento e Bolzano, insieme al Land austriaco Tirolo, che sono passati da un'intesa di cooperazione transfrontaliera nell'ambito di un'Euroregione (1988), all'istituzione di un ufficio di rappresentanza comune a Bruxelles (1995), fino ad arrivare al 2011 con la sottoscrizione della convenzione istitutiva di un Gruppo europeo di cooperazione territoriale.

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CAPITOLO SECONDO

I RAPPORTI CON L'UNIONE EUROPEA: LE

REGIONI ALLA PROVA DELLA COSTITUZIONE.

2.1 Il rapporti internazionali e comunitari delle

Regioni nel primo regionalismo.

Quando si approfondiscono i rapporti tra le Regioni e la Comunità Europea, prima che il legislatore costituzionale modificasse la Costituzione nel 2001, ci dobbiamo riferire più genericamente ai rapporti internazionali, non ai rapporti comunitari, sia per l'ancor limitato ruolo dell'allora Comunità Europea, sia perché i rapporti con gli stessi Stati membri erano considerati rapporti internazionali tout court46. Infatti, solo con la Riforma del Titolo V, avremo per la prima volta il riferimento esplicito all'Unione Europea.

La Costituzione mantiene nell'esclusiva disponibilità degli organi statali l'attività di stipulazione47 dei trattati internazionali,

distribuendo tale potere tra Governo, che stipula il Trattato, il Parlamento, che ne autorizza la ratifica, e il Presidente della Repubblica, il quale lo ratifica48.

Il problema che si è posto è stato quello relativo a un trattato che

46 V. E. BOCCI, Il potere estero delle Regioni e la partecipazione alle politiche

comunitarie, in Le Istituzioni del Federalismo, 1/2002.

47 Art. 80° Cost.: “Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi” Art. 87, 8° comma Cost.: “Il Presidente della Repubblica accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l'autorizzazione delle Camere”.

48 Quella descritta è la procedura prevista per i trattati in forma solenne. Per quanto riguarda i trattati c.d. in forma semplificata, è giusto ricordare come sia sufficiente la firma (senza necessità di una ratifica) per la perfezione, a condizione che risulti chiaro la volontà dei governi firmatari di conferire alla firma un valore vincolante che normalmente non le è proprio, v. P. PASSAGLIA,

Le fonti del diritto, in R. ROMBOLI (a cura di), Manuale di Diritto Costituzionale italiano ed europeo, Torino, 2015, p. 155-156.

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avesse riguardato la disciplina di una materia di competenza regionale49, con ricadute sull'esercizio di competenze

costituzionalmente assegnate alle Regioni, cercando di individuare garanzie per queste ultime, per evitare che l'esercizio del “potere estero”50 si traducesse in un “annullamento” dei poteri

costituzionalmente garantiti alle regioni.

A questo dubbio, si è risposto che nessuna garanzia poteva essere prevista51, riconoscendo solo allo Stato l'esercizio del trady-making

power, anche nelle ipotesi nelle quali l'oggetto del trattato fossero

materie ricadenti nell'ambito di quelle affidate alla competenza regionale.

Il principio dell'indivisibilità della Repubblica, affermato dall'art. 5 Cost.52, comporta l'esclusiva soggettività internazionale dello Stato;

tale principio “risulta ribadito anche dalle altre norme

costituzionali direttamente o indirettamente riferentisi ai rapporti internazionali (artt. 10, 11, 35, terzo e quarto comma, 72, quarto comma, 75, secondo comma, 78, 80 e 87, primo e ottavo comma, Cost.).”53 Di conseguenza, ben prima dell'introduzione della espressa riserva di cui all'art. 117.2 Cost. il “potere estero” spetta solo allo Stato, e ne deriva che, in materia di rapporti

49 Le materie previste dall'originario art. 117 Cost. erano: ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione; circoscrizioni comunali; polizia locale urbana e rurale; fiere e mercati; beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera; istruzione artigiana e professionale e assistenza scolastica; musei e biblioteche di enti locali; urbanistica; turismo ed industria alberghiera; tranvie e linee automobilistiche di interesse regionale; viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale; navigazione e porti lacuali; acque minerali e termali; cave e torbiere; caccia; pesca nelle acque interne; agricoltura e foreste; artigianato; altre materie indicate da leggi costituzionali.

50 Sentenza della Corte Costituzionale 21/1968. 51 Sentenza della Corte Costituzionale 46/1961.

52 Art. 5 Cost.“La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento”.

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internazionali, i margini di manovra per le Regioni fossero notevolmente ristretti, non potendo in alcun modo operare su temi e decisioni riconducibili alla gestione della politica estera dello Stato, anche nel caso avessero avuto conseguenze sulle Regioni. Infatti, alle Regioni non solo era escluso un possibile esercizio diretto del potere estero, ma anche una forma di una loro partecipazione all'esercizio di quel potere da parte dello Stato. Alle Regioni fu riconosciuto, ma solo a livello di legislazione ordinaria e con il sostegno della giurisprudenza costituzionale, un limitato potere estero, consistente nella possibilità di intrattenere rapporti con entità esterne alla Repubblica allo scopo di svolgere “attività promozionali”54 connesse alle proprie materie. In questo

campo rientrano la partecipazione a fiere all'estero, la promozione di prodotti tipici o del turismo locale,ma anche la firma di accordi d'intenti e/o di collaborazione in settori di competenza regionale; avendo come obiettivo lo sviluppo economico, sociale e culturale del territoriale regionale.

Un passo avanti significativo avviene nel 1987, grazie ad una pronuncia della Corte Costituzionale55. In questa sentenza, la Corte,

confermata la riserva allo Stato del potere di stipulare accordi internazionali anche nei settori di competenza regionale, ammetteva che le Regioni potessero svolgere all'estero attività che, pur non sostanziandosi in veri e propri rapporti internazionali, si traducessero in iniziative con l'obiettivo di promuovere forme di collaborazione, di studio e di informazione con soggetti esteri (ad esempio, gemellaggi, visite di cortesia, convegni di studio, ecc.). Attività di mero rilievo internazionale, il cui svolgimento aspira ad accrescere la cura degli interessi della comunità regionale, ma che

54 Art 4 D.P.R. 616/1977.

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devono avvenire nel pieno rispetto delle linee della politica estera dello Stato. La Corte precisava che tali attività, pur in assenza di una espressa disciplina, fossero da ritenersi soggette ad un previo assenso del Governo “in modo che lo Stato possa controllarne la

conformità agli indirizzi della politica estera e resti escluso il pericolo di un pregiudizio agli interessi del Paese”.

Siamo ovviamente lontani ad un riconoscimento di un potere estero in capo alle Regioni, ma si ammette che, salvo il limite rappresentato dalle valutazioni inerenti la politica estera, le attività delle Regioni sono legittime, a condizione che queste non si traducano nell'assunzione di obblighi che impegnino la responsabilità internazionale dello Stato.

Il legislatore arriva a disciplinare queste procedure con il D.P.R. 31 marzo 1994 (recante “atto di indirizzo e coordinamento in materia di attività all'estero delle Regioni e delle Province autonome”), in attuazione della legge 146/1994 – legge comunitaria 1993. Si stabilisce che per lo svolgimento delle attività di mero rilievo internazionali, le Regioni e le Province autonome debbano tempestivamente comunicare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per gli Affari regionali e al Ministero degli Affari Esteri, il programma delle iniziative che intendono realizzare, affinché si provveda nei venti giorni successivi a valutarne la compatibilità con gli indirizzi di politica estera dello Stato e, se nel caso, a negarne lo svolgimento. Ovviamente, il Governo, per il principio di leale collaborazione cui deve ispirarsi il sistema dei rapporti Stato-Regioni, è tenuto a motivare il dissenso per consentire la scelta tra la rinuncia alla iniziativa, la sua modifica o l'esercizio di azioni a difesa della propria competenza. L'esecutivo inoltre deve anche attivarsi a coordinare le iniziative regionali con quelle analoghe eventualmente promosse dallo Stato.

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Trascorso il suddetto termine senza alcuna comunicazione da parte dei competenti organi governativi, le attività regionali possono legittimamente svolgersi.

Per quanto riguarda i “poteri comunitari” delle Regioni, tema che assume rilevanza recentemente, in quanto come è stato scritto precedentemente non vi era una sostanziale differenza tra rapporti internazionali e rapporti comunitari, si è assistito ad un'apertura da parte degli organi statali nei confronti delle Regioni, grazie soprattutto agli interventi del giudice costituzionale.

Inizialmente, era riservata ai soli organi centrali dello Stato non solo l'attività volta all'assunzione di obblighi comunitari, ma anche quelli della relativa attività di esecuzione interna degli stessi, in quanto lo Stato è soggetto responsabile sul piano comunitario del loro tempestivo e pieno adempimento (una posizione mutuata dall'impostazione originariamente assunta in tema di obblighi internazionali e che trovò all'epoca una puntuale applicazione nel famoso disegno di legge Natali di attuazione di un importante pacchetto di direttive in materia di agricoltura)56.

Tappa fondamentale di questo processo di un ruolo regionale in tema di obblighi comunitari è la sentenza della Corte Costituzionale 142/1972, nella quale la “Consulta” si occupa del solo versante dell'attuazione interna degli obblighi comunitari. Pur confermando la competenza dello Stato al riguardo (anche quando gli obblighi derivanti dalla normativa comunitaria vertono in materie di competenza regionale), la Corte osserva la contraddittorietà di questa soluzione che ritiene giustificata non da ragioni di principio, ma per un'assente previsione di controlli statali sugli atti regionali, ossia di uno strumento idoneo a

56 P. CARETTI, Potere estero e ruolo “comunitario” delle Regioni, in Le Regioni, 4/2003.

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fronteggiare non già un “atto” ma un' “omissione” regionale, dalla quale possa scaturire una responsabilità comunitaria dello Stato. La Corte ha affermato che “ogni distribuzione dei poteri di

applicazione delle norme comunitarie che si effettui a favore di enti minori diversi dallo Stato contraente (che assume la responsabilità del buon adempimento di fronte alla Comunità) presuppone il possesso da parte del medesimo degli strumenti idonei a realizzare tale adempimento anche di fronte all'inerzia della Regione che fosse investita della competenza all'attuazione”.

Solo alcuni anni dopo quanto esposto dal giudice costituzionale, il legislatore ha deciso di adoperarsi, attraverso il D.P.R. 616/1977, il cui art. 6 consente alle Regioni di intervenire sia nell'attuazione legislativa delle direttive comunitarie, ma solo dopo la loro “recezione” da parte di una legge dello Stato e nei soli limiti di una possibile deroga alla disciplina di dettaglio da quest'ultima disposta, sia nella loro attuazione amministrativa con previsione espressa di un potere sostitutivo dello Stato in caso di inerzia regionale57.

Si affermavano per la prima volta due meccanismi (sostituzione preventiva sul piano legislativa e sostituzione successiva sul piano amministrativo), poi largamente utilizzati dal legislatore statale anche in assenza di obblighi comunitari, che volevano essere un modo per colmare la lacuna nel regime dei controlli denunciata a suo tempo dalla Corte Costituzionale.

2.3 La strada verso la riforma del Titolo V

Il legislatore ha quindi ritenuto opportuno innovare la Costituzione nei primi anni del 2000.

Tra le modifiche più significative, si riscontrano quelle relative al

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