• Non ci sono risultati.

Piccole molecole inibitrici delle chinasi per il trattamento del tumore al cervello

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Piccole molecole inibitrici delle chinasi per il trattamento del tumore al cervello"

Copied!
117
0
0

Testo completo

(1)

DIPARTIMENTO

DI

FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

Tesi di Laurea

PICCOLE MOLECOLE, INIBITRICI DELLE CHINASI,

NEL TRATTAMENTO DEL CANCRO AL CERVELLO

Relatori: Candidata:

Prof.ssa Sabrina Taliani Alessandra Sassetti

Dott.ssa Silvia Salerno

(2)

1

INDICE

I TUMORI………2

TERAPIE ANTI TUMORALI……….24

TUMORI CEREBRALI………...29

CHINASI………36

PICCOLE MOLECOLE INIBITRICI DELLE CHINASI………39

CONCLUSIONI………98

BIBLIOGRAFIA………..…...102

(3)

2 I TUMORI

I tumori rappresentano una delle principali cause di morte al mondo. Ogni anno a partire dai primi tre decenni del Novecento si ammalano di tumore maligno circa 8 milioni di persone e nei paesi occidentali la percentuale di morti di cancro per anno è del circa 20%. Secondo le stime della World Healt Organization (WHO) in relazione all'incremento demografico e alle condizioni del sistema sanitario che sono notevolmente migliorate e che hanno portato ad una riduzione di altre malattie mortali, la cifra annuale di malati di cancro è in continuo aumento, in particolare nella fascia degli anziani e negli abitanti dei Paesi in via di sviluppo.(1)

Il termine “cancro” è molto generico; rappresenta una malattia genetica a livello cellulare, poiché provoca un'alterazione dei geni che poi andranno a costituire il tumore. Dal punto di vista clinico in realtà può essere considerato come un insieme di malattie diverse per causa, presentazione clinica, risposta ai trattamenti e fattori prognostici. Si può manifestare in ogni età e alcuni tipi di tumore hanno insorgenza anche a seconda delle aree geografiche in quanto l'insorgenza del tumore può essere influenzata dal clima, dalla presenza di determinati virus o da altri agenti patogeni o dallo stile di vita. Agli inizi del 1900 pochi pazienti oncologici avevano la possibilità e la speranza di sopravvivere in seguito alla comparsa di un tumore. Ad oggi, nei Paesi Occidentali, in relazione alla durata media della vita, circa il 50% dei pazienti sopravvive in tutti i casi di forma neoplastica. In realtà questo generalizzare è sbagliato in quanto esistono talmente tanti tipi diversi di tumore, sia dal punto di vista clinico che biologico, che è impossibile definire un grado di sopravvivenza generico. Questo aumento della sopravvivenza è determinato non

(4)

3 solo dalla scoperta di nuove tecniche sia farmacologiche che chirurgiche, ma anche grazie alla presenza di screening, di controlli medici sistemici e programmi preventivi; nonostante questo però il cancro continua ad essere la seconda causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari.

Il cancro è una patologia caratterizzata da più stadi e più cause. L'esposizione a determinati fattori esterni ed interni, in generale parliamo di due o tre fattori eziologici che agiscono in sequenza o simultaneamente, provoca la formazione del tumore prima che questo possa essere evidenziato clinicamente. Il termine cancerogeno indica un agente, chimico, fisico, ambientale, farmacologico, ormonale, che provoca un aumento nell'insorgenza del tumore nei soggetti esposti a tali fattori di rischio, rispetto ai soggetti non esposti. L'agente cancerogeno a sua volta innesca un processo chiamato cancerogenesi che porta alla trasformazione della cellula normale in cellula tumorale, la quale prolifera in modo disordinato, incessante e incontrollato.

Il processo di cancerogenesi è costituito da diverse fasi (Figura 1). La prima fase viene definita iniziazione; è un processo veloce e senza ritorno in cui la struttura del DNA cellulare viene alterata dalla sostanza cancerogena. La seconda fase viene chiamata promozione; è un processo lento, ripetitivo e reversibile, promosso da una sostanza non cancerogena come può essere per esempio un ormone. Consiste nel far uscire dallo stato di latenza, rendendo manifesto, l'evento biologico che si è formato nella fase di iniziazione. In questo modo la cellula della fase di iniziazione si trasformerà in una cellula tumorale. Il tempo che intercorre tra il primo contatto con la sostanza cancerogena e la manifestazione visibile della neoplasia viene chiamato periodo di latenza e può variare da qualche settimana ad anni in relazione

(5)

4 al tipo di sostanza, alla dose, alle caratteristiche delle cellule colpite nell'organismo umano, all'età del paziente.

Alla fase di promozione segue la fase di progressione; in questa fase le cellule tumorali acquisiscono i loro caratteri biologici tipici come l'invasività, la capacità di sviluppare colonie a distanza ovvero le metastasi.

Figura 1.

La fase di promozione è a sua volta costituita da diversi momenti; all'inizio abbiamo lo sviluppo delle lesioni precancerose con aumento del numero (iperplasia) o variazione di forma, dimensione e organizzazione (displasia) delle cellule di un preciso organo o tessuto. Le lesioni precancerose sono circoscritte e il loro decorso è variabile a seconda delle condizioni ambientali. Tra queste lesioni abbiamo per esempio la formazione di polipi all'intestino o all'utero, papillomi della vescica o le displasie della mammella. A volte tali lesioni possono regredire spontaneamente. Purtroppo, generalmente accade che rimangano stazionare per molti anni e che

(6)

5 possano evolvere e sfociare nella forma maligna del tumore.

Più in generale si può affermare che più dei due terzi dei tumori sono causati da fattori ambientali. Ma cosa intendiamo per ambiente? È un complesso che contiene tutti i fattori chimici e fisici a cui siamo esposti, alla composizione della dieta, alle abitudini di vita di ogni singolo individuo e all'eventuale esposizione ad agenti cancerogeni nell'ambito lavorativo o dove si abita (Tabella 1).

Tabella 1. Sostanze ad azione cancerogena nei soggetti umani ed i tipi di neoplasia che possono provocare.

Tipo di esposizione Sostanza Sedi della Neoplasia

Industriale -Carbone Fossile, catrame petrolio

-Minerali di Ferro

-Asbesto e fumo di sigaretta -Nichel, cadmio, cromo -Arsenico

-Benzene

-β-naftilamina, benzidina -Cloruro di Vinile

-Pelle, scroto, polmone -Polmone

-Pleura, Peritoneo, Polmone -Polmone -Pelle, Fegato -Sistema linfatico -Vescica -Fegato Medica -Clornafazina -Dietilstilbestrolo -Estrogeni -Idantoinici -Farmaci Immunosoppressivi -Alchilanti, nitrosouree -Vescica -Vagina

-Mammella, fegato, utero -Tessuto linfatico

-Sistema linfatico, midollo osseo -Midollo osseo, sistema linfatico

Sociale -Fumo di tabacco

-Alcolici -Fogli di betel

-Determinati fattori dietetici

-Polmoni, laringe, cavità orale, vescica.

-Esofago, Fegato, cavità orale, laringe.

-Cavità orale

-Colon, stomaco, mammella,

(7)

6 Chiaramente tali fattori ambientali non hanno lo stesso effetto su tutti gli individui poiché molte volte esiste una suscettibilità e vulnerabilità a questa malattia su base genetica.

Purtroppo però, non esiste quasi mai, tranne in alcune rare forme ereditarie, un'unica causa che possa spiegare l'insorgenza di un tumore e di conseguenza è molto difficile prevenirla e tutelarsi da questa; è infatti definita una patologia ad eziologia multifattoriale in quanto al suo sviluppo concorrono diversi fattori, sia intrinseci (fattori genetici, il sesso, l’età, la razza, gli squilibri ormonali e la predisposizione genetica alle mutazioni) che estrinseci (fattori ambientali come il fumo, l’inquinamento atmosferico, la vita sedentaria, il consumo eccessivo di alcool, gli agenti fisici, le sostanze chimiche ed i virus oncogeni).(1)

Tra gli agenti fisici considerati cancerogeni abbiamo: 1. Radiazioni ultraviolette

2. Radiazioni ionizzanti 3. Corpi estranei

4. Fattori termici

1. Le radiazioni ultraviolette provenienti dalla luce solare, o da fonti artificiali, sembrano essere coinvolte nei tumori della pelle. I raggi UV si dividono in UV-A (da 400 nm a 315 nm), UV-B (da 315 nm a 280 nm) e UV-C (da 280 nm a 100 nm). Il potere oncogenico dei raggi UV è stato dimostrato per radiazioni di lunghezza d’onda compresa fra 290 e 320 nm, poiché sono capaci di indurre mutazioni genetiche nelle cellule che vengono colpite; tali mutazioni possono provocare inattivazione degli enzimi, alterazione della divisione cellulare, mutagenesi, morte

(8)

7 cellulare (necrosi) e cancro.

2. Le radiazioni ionizzanti, X e γ, sono fattori di rischio per i tumori solidi (cancro polmonare) e per la leucemia. Hanno una azione tossica diretta in quanto in seguito all’assorbimento, possono portare ad una rottura dei filamenti di DNA (di uno o di entrambi i filamenti), a distorsioni e rotture delle basi con conseguente morte cellulare o mutazioni. La loro azione tossica diretta si manifesta tramite un trasferimento di energia: l’energia associata alla radiazione viene assorbita dall’acqua che si trova nelle cellule, provocando la formazione e la liberazione di radicali liberi con conseguente danno ossidativo.(2)

3. Numerosi tumori sono stati indotti nei roditori a causa di corpi estranei, ovvero a seguito dell’impianto di materiali inerti (pellicole di plastica o metalliche, fibre varie, ecc..). Questi tipi di tumori sono particolarmente specie-specifici; risulta infatti che i topi siano molto più sensibili alla cancerogenesi da corpo estraneo rispetto all’uomo che si è dimostrato piuttosto resistente.

4. Per quanto riguarda i fattori termici, si è visto che il freddo applicato ripetutamente sulla cute mediante successivi congelamenti e decongelamenti nel topo, favorisce lo sviluppo di tumori nella zona di applicazione.(3) Ancor più cancerogeno risulta essere il calore poiché è capace di aumentare anche la sensibilità agli agenti cancerogeni chimici.

Oltre agli agenti fisici abbiamo le sostanze chimiche che possono provocare lo sviluppo del cancro sia nell’uomo che negli animali; si dividono in tre classi principali:

(9)

8 policiclici (PAH), azocomposti, nitrocomposti, sostanze naturali, idrocarburi alogenati e farmaci. Queste sostanze devono essere metabolizzate nella cellula a cancerogeni;

2. cancerogeni ad azione diretta: metalli, sostanze spontaneamente alchilanti; 3. cancerogeni non genotossici: asbesto, fibrati.(4)

1. Cancerogeni ad azione indiretta: - Idrocarburi aromatici policiclici (PAH)

Sono composti eterociclici derivati da fenantrene, antracene e pirene che di base non sono agenti cancerogeni; i loro derivati, caratterizzati da sostituenti come gruppi metilici o anelli benzenici, ad esempio il benzopirene, dibenzo-antracene e 1,4-dimetilfenantrene, presentano attività cancerogena. Analogamente il fluorene, il fluorantene e l’acridina sono eterocicli che di base non sono cancerogeni, mentre i loro derivati (benzofluorantene) presentano attività cancerogena. Sono sostanze insolubili in acqua e solubili nei lipidi, che passano facilmente attraverso le membrane cellulari. Si trovano nel fumo di sigaretta, nei derivati del petrolio in seguito a combustione, negli scarichi delle automobili, nel fumo prodotto dagli impianti di riscaldamento a gasolio o a carbone, nei fumi delle industrie, nel catrame, nella fuliggine, nella combustione di materie organiche. Nell’uomo i tumori indotti da queste sostanze si sviluppano a carico della cute, dell’apparato respiratorio e dell’apparato gastro-enterico. I PAH sono procancerogeni e diventano cancerogeni se le cellule sono in grado di metabolizzarli; il composto attivo è un epossido, che essendo instabile tende ad unirsi con grosse molecole nucleofile come il DNA, le proteine e i lipidi.(5)

(10)

9 - Ammine aromatiche. Sono derivati dell’anilina e del diamino-difenil-metano, che di per sé non sono cancerogeni. A differenza degli idrocarburi policiclici, le ammine aromatiche non agiscono nel punto d’ingresso dell’organismo, ma soprattutto nelle vie di eliminazione producendo carcinomi della vescica. Queste richiedono un lungo tempo d’azione (fino a 20 anni), sono precedute da manifestazioni precancerose (papillomatosi vescicale) e per agire devono prima venir metabolizzate dai sistemi microsomiali epatici in N-idrossi derivati.

- Azocomposti. Gli azocomposti sono sostanze che contengono nella loro molecola due atomi di azoto uniti fra loro da un doppio legame; quelli cancerogeni contengono anche anelli benzenici. Sono dei coloranti per i quali è stata dimostrata la cancerogenicità sugli animali. Tra questi abbiamo il rosso scarlatto che contiene la molecola procancerogena 4-ammino-azotoluene e il dimetil-ammino-azobenzene (DAB). Danno tumori al fegato, dove sono metabolizzati a composti attivi per introduzione di un gruppo ossidrilico coniugazione con acido solforico.

- Nitrocomposti. Si dividono in: nitrosammine, dinitrosammine e nitrosammidi. Sono composti solubili in acqua e quindi diffondono facilmente attraverso i liquidi biologici portando allo sviluppo di tumori che possono colpire quasi tutti gli organi. - Aflatossine. Sono micotossine prodotte da specie fungine appartenenti alla classe degli Ascomiceti genere Aspergillus), oppure da altre muffe. Le aflatossine sono altamente tossiche, vengono metabolizzate nelle cellule a epossidi che si possono legare al DNA formando addotti, oppure possono essere attivati attraverso l’enzima epossido idrossilasi e coniugati con il glutatione.

(11)

10 2. Cancerogeni ad azione diretta:

- Composti metallici. Molti metalli o composti metallici possono indurre il cancro (arsenico, ferro, cromo…). I cationi bivalenti possono interagire con le basi del DNA o con i gruppi fosfato. I tumori indotti dall’arsenico sono i più diffusi tra gli agricoltori; essendo esposti a insetticidi, i soggetti appartenenti a questa categoria presentano una maggiore tendenza a sviluppare tumori della pelle, per contatto diretto, o polmonari, per inalazione.(5)

-Composti alchilanti. Sono sostanze capaci di cedere gruppi alchilici e non richiedono attivazione metabolica. Il meccanismo d’azione varia e dipende da se sono monofunzionali (alchilazione di specifiche basi di DNA) o polifunzionali (ponti intramolecolari tra catene di DNA).

3. Cancerogeni non genotossici

L’asbesto o amianto ha una struttura a fibre costituite da catene di silicati con presenza di ferro, magnesio o calcio ed è stato ampiamente utilizzato per le sue proprietà ignifughe come impasto per cemento, costruzioni di navi ecc… L’asbesto può indurre tumore:

- direttamente: induce stimolazione di sintesi proteica, sintesi di prostaglandine e dell’attivatore del plasminogeno danneggiando il citoscheletro cellulare oppure penetrando nel nucleo.

- indirettamente: viene fagocitato dai macrofagi che liberano enzimi lisosomiali e specie reattive dell’ossigeno causando inattivazione degli enzimi, denaturazione di proteine e danno agli acidi nucleici.

(12)

11 Infine, il tumore può essere anche causato dai virus oncogeni.

La capacità dei virus oncogeni di produrre affezioni nell’uomo è molto dibattuta. I virus oncogeni a DNA contengono due tipi di geni: quelli per gli eventi precoci (integrazione e replicazione del DNA virale) e quelli per gli eventi tardivi (sintesi proteine virali capside e assemblamento del virone). In un’infezione virale normale, il ciclo produttivo del virus viene completato con la formazione di numerose particelle, che, a seguito della lisi cellulare vengono rilasciate all’esterno; nella trasformazione neoplastica invece avvengono solamente i cosiddetti eventi precoci, come l’integrazione del DNA nel genoma cellulare e la codifica di proteine che hanno un ruolo importante nella trasformazione di uno o più geni virali.

I virus a DNA esplicano la loro azione legandosi e inattivando delle proteine prodotte dai geni soppressori tumorali (p-53 e retinoblastoma), oppure si può avere l’attivazione di prodotti genetici di proto-oncogeni attivatori (polioma virus).(5) I virus oncogeni a RNA (retrovirus) costituiscono un gruppo eterogeneo di virus umani ed animali, responsabili dello sviluppo di molti tumori nell’animale (tumore mammario nel topo, leucemia e sarcomi), mentre nell’uomo determinano un tipo di leucemia acuta a cellule T osservata in Giappone e nei Caraibi, sostenuta principalmente dal virus HTLV-I e raramente da un secondo virus HTLV- II. I retrovirus sono costituiti da una doppia copia di un filamento di RNA a singola catena, che, durante la replicazione virale, viene trascritto dalla trascrittasi inversa e integrato nel genoma, rimanendo per sempre nel DNA cellulare, replicandosi con esso e rilasciando virus per gemmazione. Questi virus possono dividersi in 3 classi: a trasformazione lenta, a trasformazione veloce e i virus umani HTLV-I e HLTV-II.(5)

(13)

12 Finora abbiamo visto i fattori di rischio estrinseci come appunto quelli fisici, chimici e virali. Non bisogna però dimenticare i fattori di rischio intrinseci ed in modo particolare l'ereditarietà della malattia. Bisogna infatti ricordare che la capacità di proliferare in maniera autonoma e disordinata rispetto a quella del tessuto normale è determinata da un’alterazione del patrimonio genetico a livello delle cellule somatiche in seguito a mutazioni genetiche. Un corretto funzionamento di un organo dipende dal corretto funzionamento cellulare, ovvero dall'omeostasi. È importante che i fattori che regolano la funzione cellulare siano ottimali poiché ogni disfunzione può portare alla morte cellulare e al cancro. La decisione di arrestare o procedere nelle varie fasi del ciclo cellulare è regolata dalle protein-chinasi A o PKA, che fosforilano selettivamente le proteine bersaglio mentre le cicline controllano la progressione attraverso il ciclo cellulare. L'interazione fisica tra chinasi e cicline produce molecole regolatorie che controllano la progressione del ciclo.(6)

Le mutazioni responsabili della formazione del tumore coinvolgono tre classi diverse di geni:

1. Geni della Soppressione Tumorale o Oncosoppressori: sono geni recessivi per cui entrambe le coppie di alleli devono mutare per perdere la loro funzione. Tali coppie di alleli sono coinvolte nella delezione genica o nel silenziamento del gene che determina l'inattivazione dello stesso.

2. Geni Mutati: la loro espressione serve per mantenere stabile e integro il genoma; eventuali modificazioni molecolari di essi potrebbero portare ad un aumento delle mutazioni negli altri geni coinvolti nell'oncogenesi.

(14)

13 3. Oncogeni, sono delle sequenze genomiche coinvolte direttamente nella trasformazione neoplastica; una volta che vengono sovra-espresse o modificate dal punto di vista funzionale alterano la funzione regolatoria delle proteine coinvolte nella crescita cellulare. Essendo dominanti, è sufficiente una singola copia del gene mutato per provocare un’alterazione oncogenica.

Tali mutazioni portano a diversi tipi di alterazioni a livello cellulare. Abbiamo infatti: cambiamenti della forma per polimorfismo cellulare; alterazioni volumetriche, in quanto le cellule tumorali possono avere diversi tipi di forme; variazione nel rapporto nucleo citoplasma; possono aumentare i nucleoli presenti all'interno della cellula; si possono formare nuclei polimorfici; si possono avere delle alterazioni a livello di numero e distribuzione dei pori cellulari; si può avere un alterazione più generica a livello di citoplasma e membrana; i mitocondri possono cambiare in forma e numero; si possono avere delle alterazioni a livello dei recettori in modo particolare si può arrivare alla perdita recettoriale. (6)

Le mutazioni cancerogene a loro volta provocano degli effetti che stimolano la proliferazione delle cellule tumorali in quanto sono responsabili dello sviluppo di competenze necessarie per la realizzazione della neoplasia.

Tali competenze sono definite hallmarks e sono:

1. - La perdita del controllo della proliferazione cellulare sia in senso stimolatorio che inibitorio.

2. - Il meccanismo di resistenza all’apoptosi, o morte cellulare programmata. 3. - L’immortalità, poiché le cellule tumorali sono in grado di crescere

(15)

14 all’infinito, in quanto, a differenza di quelle normali, non vanno incontro ad invecchiamento.

4. - L’angiogenesi, il processo di neo-vascolarizzazione, che presenta un duplice scopo in quanto funziona sia come via di approvvigionamento della massa tumorale, sia come via di fuga che consente alle metastasi di allontanarsi dal tessuto di origine e raggiungere siti distanti attraverso la circolazione.

5. - La capacità di invasione e la presenza di metastasi, che differenziano un tumore benigno da un tumore maligno.

6. - Instabilità genomica e capacità di acquisire mutazioni. 7. - Modificazione del metabolismo di base.

8. - Infiammazione promossa dal tumore poiché il tumore può creare un microambiente infiammatorio che favorisce la sua crescita.

9. - Capacità di evasione dal sistema immunitario, che esercita un processo di immunosorveglianza sul tumore affinché le cellule tumorali vengano eradicate sul nascere; il tumore grazie, alla sua capacità di reinventarsi dal punto di vista genetico, innesca invece dei meccanismi di evasione dal sistema immunitario.(7)

I tumori possono essere classificati grossolanamente, a seconda della variabilità comportamentale e dell'aggressività locale o metastatica, in benigni e maligni. (Figura 2)

(16)

15

Figura 2.

I primi sono caratterizzati dalla proliferazione circoscritta di alcune cellule che si sviluppano eccessivamente, dando origine a delle masse che possono assumere grandezze considerevoli, localizzate all'interno di una capsula fibrosa che può essere rimossa per via chirurgica. Essi mantengono quasi inalterate le caratteristiche morfologiche e funzionali in quanto crescono in modo espansivo; non tendono ad invadere gli organi circostanti e a produrre metastasi. Possono comunque diventare dannosi in quanto comprimono organi e strutture, possono produrre ormoni in eccesso e possono diventare maligni. Esempi di questi possono essere il fibroma, che si forma a livello del tessuto fibroso e della muscolatura liscia, il lipoma, che si forma a livello del tessuto adiposo, l'adenoma localizzato a livello ghiandolare, il condroma a livello del tessuto cartilagineo e infine il leiomioma che si forma a livello del tessuto muscolare.

I tumori maligni sono invece caratterizzati dalla presenza di cellule diverse sia dal punto di vista morfologico che dal punto di vista funzionale rispetto a quelle del tessuto di origine; infatti tali cellule proliferano in maniera incontrollata, invadendo

(17)

16 il tessuto sano circostante e distruggendo la struttura cellulare. La pericolosità di tali tumori è incrementata dal fatto che possono migrare anche in tessuti lontani dal sito di origine, diffondendo in altri organi dove possono riprodursi ulteriormente dando luogo a delle metastasi. Esempi di tumori maligni sono il sarcoma di origine mesenchimale, il carcinoma che deriva dall'epitelio di rivestimento, l'adenocarcinoma che prende forma dall'epitelio ghiandolare, il linfoma, solido di derivazione linfocitaria e la leucemia, neoplasia delle cellule bianche circolanti. Anche dal comportamento biologico derivano le definizioni di benigno e maligno. Con comportamento biologico si intende il grado di differenziazione del tessuto coinvolto e la velocità di crescita e di morte cellulare. Infatti, un tumore ben differenziato è un tumore in cui le cellule non differiscono molto dalle cellule del tessuto normale ed è generalmente un tumore benigno. Un tumore poco differenziato o non differenziato è costituito da cellule che hanno caratteristiche molto diverse dal tessuto normale; questa situazione è riscontrabile nel tumore maligno.(8)

Con il termine metastasi si indica la capacità della malattia neoplastica di trasferirsi da un organo o una sua parte ad un altro organo o tessuto con cui non è in collegamento. Lo sviluppo delle mestastasi dipende da un'interazione tra i fattori dell'ospite e le caratteristiche specifiche delle cellule tumorali. Tutte le neoplasie possono metastatizzare ma tale evento dipende da diversi fattori, quali la sede, la dimensione e le caratteristiche istologiche del tumore primitivo. Il concetto tradizionale di metastasi era basato sullo schema secondo cui l'estensione locale era seguita dall'invasione linfatica con compromissione dei linfonodi locali e quindi,

(18)

17 della disseminazione per via ematogena. Ad oggi si pensa che l'invasione ematogena rappresenti un modo di diffusione iniziale e non tardivo di molte neoplasie solide dell'adulto. Il problema ad oggi è determinato dal fatto che la metastatizzazione del tumore rappresenta il problema clinico centrale di tutta l'oncologia; questo perchè:

1. circa il 30% dei tumori solidi presenta metastasi clinicamente identificabili alla diagnosi

2. in circa un terzo dei tumori “radicalmente” resecabili esistono micrometastasi occulte che a distanza di tempo di manifestano clinicamente. Pertanto, il 60% dei pazienti oncologici è portatore di metastasi

3. la formazione delle colonie metastatiche è un processo continuo che inizia nelle prime fasi di formazione del tumore e aumenta progressivamente con il tempo. La variazione della dimensione, la distribuzione anatomica e la componente eterogenea delle metastasi ostacola l'asportazione chirurgica e limita la concentrazione di farmaci antiproliferativi

4. i pazienti con tumori neoplasia metastatizzata muoiono a causa della compromissione anatomica diretta prodotta dalle metastasi oppure in seguito alle complicazioni indotte dal trattamento terapeutico.

Il processo di metastatizzazione, negli ultimi anni si è visto che è costituito da più fasi, tutte necessarie, affinché abbia luogo la nuova colonia tumorale. (Figura 3) La prima fase è caratterizzata dalla crescita localizzata del tumore in cui le cellule, geneticamente instabili, possono dar luogo ad eventi metastatici. La vascolarizzazione tumorale, definita angiogenesi, è indispensabile per la crescita neoplastica; infatti senza vascolarizzazione, i tumori non possono crescere per oltre

(19)

18 i 2 mm. La seconda e la terza fase sono caratterizzate da una penetrazione attraverso la membrana basale.

Figura 3.

Nel quarto stadio avviene il trasporto delle cellule tumorali nel sangue o nei vasi linfatici distanti; qui vengono temporaneamente arrestate grazie dal filtro capillare, ma le cellule tumorali evitano la distruzione aggregandosi e andando incontro a modificazione che le rendono più resistenti agli attacchi delle cellule natural killer o dei linfociti T citotossici. La quinta fase è caratterizzata dalla fuoriuscita dal circolo e dall'insediamento cellulare processo biologicamente determinato da fattori di ordine anatomico, emodinamico e chemiotattico selettivo.(9)

Recentemente è stato ipotizzato che fattori solubili simili ai fattori di crescita possano attivare delle cellule cancerose dotate di recettori specifici. Una volta uscite

(20)

19 dal circolo, molte delle cellule tumorali muoiono o rimangono in fase dormiente non completando l'ultima fase che è la crescita nella nuova sede. Lo stesso tumore primario produce però fattori angiogenetici, angiostatici ed endostatici che portano ad una riduzione dell'apoptosi e ad una crescita della popolazione cellulare neoplastica ed endoteliale. In questo modo la micrometastasi diventa metastasi clinica.

Un tumore può svilupparsi in due modi differenti: o per estensione continua o locale oppure per propagazione discontinua; la seconda forma è quella che dà luogo al processo di mestastatizzazione. Le cellule neoplastiche si propagano secondo tre vie di diffusione:

1. via linfatica, che prevede l'invasione dei linfonodi regionali e da qui la neoplasia può propagarsi a catene linfonodali distanti o ad organi o tessuti perilinfonoidali; inoltre dai linfonodi regionali la neoplasia può passare alla via ematica

2. via ematogena, attraverso l'invasione da parte della neoplasia nei confronti dei vasi sanguigni sia esterni che interni al tumore

3. impianto tumorale, attraverso il quale delle cellule tumorali si staccano dalla massa originaria e aderiscono ad un rivestimento epiteliale o endoteliale dove si fissano e proliferano.

In generale il tumore si propaga localmente in maniera centrifuga a partire dal focolaio microscopico iniziale. Questo processo è influenzato dalle caratteristiche biologiche delle cellule e dalle strutture anatomiche peritumorali. Più facilmente il

(21)

20 tumore diffonde nel tessuto adiposo, nelle fibre muscolari, nella cavità del midollo osseo; trova invece più difficoltà a livello delle meningi, nella cartilagine, nella capsula degli organi, nel sistema fasciale e nel periostio. Le cellule tumorali penetrano abbastanza facilmente le pareti dei vasi.(9)

Nonostante tutto il nostro organismo è però in grado di rispondere in un primo momento all'eventuale “attacco” delle cellule tumorali, grazie ai meccanismi di immunità innata. Dal punto di vista cellulare sono costituiti dai fagociti e dalle cellule Natural Killer. Dal punto di vista umorale le molecole circolanti dell'immunità innata sono costituite dalle pentraxine come per ersempio la Proteina C Reattiva, la lectina che lega il mannosio e da componenti della cascata del complemento. I sistemi dell'immunità innata si attivano grazie alla presenza delle citochine infiammatorie come per esempio Interleuchina 1 (IL-1) e il fattore di necrosi tumorale (TNF). Il fatto che siano proprio i mediatori dell'infiammazione a creare lo stato di “immunità innata” ci suggerisce che ci sia uno stretto legame tra tumore e infiammazione (Figura 4).(10)

(22)

21 Tale argomento è stato per molto tempo oggetto di discussione ed è iniziato quando nel 1863 Rudol Virchow individuò la presenza di un infiltrato linforeticolare nei tessuti neoplastici e suggerì che la presenza di leucociti nell'ospite all'interno dei tumori era il riflesso dell'insorgenza del tumore a partire da uno stato infiammatorio. Infatti, per quanto portino ad uno stato di immunità innata, come vedremo in seguito, spesso sono essi stessi promotori della diffusione del tumore.

La Tabella 2 elenca una serie di malattie neoplastiche associate a risposte infiammatorie.

Tabella 2

Tumore Stimolo Infiammatorio

Vescica Schistosomiasi

Cervice Virus del papilloma

Ovaio Ovulazione e rimodellamento del tessuto,

infiammazione pelvica

Stomaco Gastrite da Helicobacter Pylori

Linfoma del MALT Helicobacter Pylori

Esofago Metaplasia di Barret

Colon-Retto Morbo di Crohn

Fegato Epatite B e C

Polmone Silicio, Asbesto

Mesotelio Arbesto

Sarcoma di Kaposi Herpesvirus 8

Vediamo nello specifico le componenti cellulari e le citochine del microambiente infiammatorio dei tumori e come queste modificano la crescita neoplastica; tra queste abbiamo:

(23)

22 importani nella crescita neoplastica, nella disseminazione metastatica e nei circuiti di immunosoppressione. Sono anche un bersaglio in caso di trattamento terapeutico. 2. Macrofagi. I macrofagi rappresentano la principale componente dell'infiltrato linforeticolare. I macrofagi associati ai tumori TAM, entrano all'interno della massa tumorale poivhè attratti da citochine con attività chemotattica, le chemochine. I macrofagi sono in grado di esercitare attività citotossica nei confronti delle cellule tumorali e hanno la capacità di attivare circuiti di distruzione tissutale grazie alla formazione di danno della parete vascolare. Purtroppo, però i macrofagi sono capaci di produrre fattori di crescita e fattori angiogenici come enzimi proteolitici in grado di degradare la matrice cellulare e questo fa sì che più che avere una funzione “immunitaria”, stimolano la proliferazione delle cellule tumorali.

3. Cellule dendritiche. Le cellule dendritiche (DC), sono fondamentali per attivare l'immunità specifica e per il mantenimento della tolleranza immunologica. Rappresentano un legame tra immunità innata e immunità specifica di cui parleremo in seguito. Tali cellule infiltrano i tumori e si distribuiscono differentemente rispetto ai macrofagi; hanno però caratteristiche fenotipiche delle cellule immature che permettono quindi alle cellule neoplastiche di inibire la maturazione di tali cellule e quindi bloccano in partenza la loro capacità di attivare l'immunità specifica antitumorale.

4. Linfociti. La popolazione linfocitaria predominante all'interno dei tumori è costituita dai linfociti T CD8 positivi. Raramente sono presenti le cellule Natural Killer all'interno dei tumori solidi. I linfociti T producono soprattutto IL-4, IL-5 e non interferone-γ. Questi tipi di risposte sono però inefficaci nei confronti dei

(24)

23 tumori o dei virus ed è questo che probabilmente rende inefficace la risposta antitumorale.

5. Citochine proinfiammatorie. Le citochine infiammatorie e le chemochine prodotte dalle cellule tumorali e dai leucociti infiltranti tumori e dalle piastrine sembra che contribuiscano alla crescita tumorale.

6. TNF. Il TNF è un mediatore fondamentale nei processi infiammatori che da un lato favorisce la distruzione cellulare e tissutale, dall'altro promuove la ricostruzione dei tessuti stessi. Infatti, se da una parte il TNF induce apoptosi e danno ai tessuti, dall'altro costituisce un fattore di crescita per i fibroblasti; può danneggiare l'albero vascolare ma indurre al tempo stesso la produzione di fattori dell'angiogenesi. Nelle malattie neoplastiche si è visto che la somministrazione locale di TNF ad alte dosi causa danno vascolare con necrosi emorragica selettiva dei tessuti neoplastici. Questa proprietà del TNF ha trovato applicazione terapeutica. Tuttavia, quando viene prodotto in modo cronico e continuo a livello tumorale, il TNF agisce come fattore promotore della crescita del tumore.

7. Chemochine. Le chemochine sono delle particolari citochine che hanno la capacità di indurre migrazione direzionale, ovvero chemiotassi. Tali molecole hanno un ruolo fondamentale nel determinare la quantità e la tipologia dell'infiltrato leucocitario dei tessuti neoplastici; alcune chemochine inducono angiogenesi e alcune cellule tumorali esprimono recettori per chemochine e rispondono con la proliferazione a questi stimoli. Infine, le chemochine hanno la capacità di guidare la metastatizzazione delle cellule tumorali in determinati organi specifici. (10)

(25)

24 TERAPIE ANTITUMORALI

Le terapie più comunemente utilizzate contro il cancro sono: ➢ La chirurgia

➢ La chemioterapia ➢ La radioterapia

Le terapie sono diverse a seconda del tipo di tumore e in base allo stadio in cui il tumore si trova.

La chirurgia è un trattamento loco-regionale, ovvero cura il tumore primitivo nelle zone dove è presente senza interessare l’organismo nel suo complesso; è il trattamento più appropriato per i tumori solidi ed è utilizzato per rimuovere la massa tumorale e i tessuti circostanti ad essa che possono contenere residui di cellule tumorali.

La chemioterapia è una procedura che consiste nella somministrazione di particolari farmaci citotossici, allo scopo di distruggere le cellule tumorali; idealmente, quindi, il farmaco antitumorale dovrebbe avere una massima tossicità sulle cellule tumorali e nessuna tossicità sulle cellule sane circostanti la massa; tuttavia, questi farmaci agiscono anche sulle cellule adiacenti.

La radioterapia è utilizzata come terapia primaria per i tumori locali e può essere utilizzata in associazione alle altre due terapie sopra citate, riducendo così la possibilità di recidive. Distrugge le cellule tumorali, ma con danno anche alle cellule sane che circondano la massa neoplastica, anche se queste hanno una capacità riparativa.

(26)

25 Recentemente sono stati studiati approcci terapeutici alternativi nel tentativo di ridurre gli effetti collaterali; tra questi le cosiddette “terapie mirate” rappresentano una delle strategie più innovative. Queste rappresentano uno dei più importanti strumenti della medicina personalizzata: la cura non è più scelta solo in base alla sede di sviluppo del tumore e al suo stato di avanzamento, ma anche in relazione alle sue caratteristiche molecolari, che possono essere diverse da paziente a paziente. L’aspetto peculiare delle terapie mirate risiede nell’identificazione di specifiche proteine o target molecolari che siano diversamente espressi nelle cellule tumorali rispetto alle cellule sane, e che quindi possano costituire nuovi target terapeutici per la ricerca in Medicinal Chemistry.

Le terapie mirate differiscono dalla chemioterapia per i seguenti fattori:

- Agiscono su specifici targets molecolari, mentre la chemioterapia standard colpisce le cellule tumorali agendo sulla loro tendenza a moltiplicarsi più di quelle normali, ma per questa ragione danneggia anche i tessuti dell'organismo, come la pelle, i capelli, le pareti dell'intestino, che sono soggetti ad un maggior ricambio. - Sono progettate per interagire con uno specifico bersaglio, mentre molte chemioterapie standard sono caratterizzate dalla loro capacità di uccidere in modo a volte aspecifico tutte le cellule.

- Sono citostatiche (bloccano la proliferazione delle cellule tumorali), mentre gli agenti chemioterapici standard sono solitamente citotossici (uccidono le cellule tumorali).

Le terapie mirate in ambito oncologico agiscono su uno o più fenomeni che favoriscono la crescita e lo sviluppo del cancro. Le principali terapie mirate sono gli anticorpi monoclonali e le cosiddette “piccole molecole”; i primi prendono di

(27)

26 mira antigeni specifici presenti sulla superficie cellulare, come recettori transmembrana o fattori di crescita extracellulare. In alcuni casi queste molecole sono coniugate con radioisotopi o tossine che poi vengono rilasciate a livello del target previsto, inducendo la morte della cellula tumorale. Il limite più grande degli anticorpi monoclonali è che devono essere somministrati per via parenterale, a causa del loro elevato peso molecolare, ed una somministrazione parenterale in cronico può causare una riduzione della compliance. Al contrario, le piccole molecole, grazie alla loro massa molecolare ridotta, hanno il vantaggio di poter essere somministrate anche per via orale; queste possono penetrare attraverso la membrana cellulare per interagire con specifici bersagli all’interno della cellula causandone la morte.(11)

Diversi sono gli approcci con cui agiscono le terapie mirate, tra questi abbiamo: • Le terapie ormonali: possono essere definite la prima terapia mirata utilizzata nel

trattamento dei tumori endocrino-correlati. L’utilizzo di farmaci che inibiscono la stimolazione ormonale nasce dal presupposto che gli ormoni possano causare un’eccessiva proliferazione nelle cellule ormono-responsive, fino a determinare una vera a propria trasformazione neoplastica.

• I modulatori dell’espressione genica: modificano la funzione delle proteine che svolgono un ruolo nel controllo dell’espressione genica.

• Gli induttori dell’apoptosi: stimolano le cellule tumorali ad andare incontro ad apoptosi.

• Gli inibitori dell’angiogenesi: bloccano la crescita di nuovi vasi sanguigni nei tumori (angiogenesi tumorale) e, quindi, la proliferazione dei tumori stessi. I tumori, infatti, necessitano di un notevole apporto di sangue per proliferare,

(28)

27 poiché esso fornisce ossigeno e sostanze nutritive; i trattamenti che interferiscono con l’angiogenesi possono, quindi, bloccare la crescita tumorale. Alcune terapie mirate che inibiscono l’angiogenesi interferiscono con l’azione del VEGF (fattore di crescita dell’endotelio vascolare), il quale stimola la formazione di nuovi vasi sanguigni e quindi promuove la migrazione del tumore. • Le immunoterapie: attivano il sistema immunitario per distruggere le cellule

tumorali. Il sistema immunitario normalmente esercita un processo di immuno-sorveglianza sul tumore affinché le cellule tumorali vengano eradicate sul nascere; il tumore è però in grado di reinventarsi dal punto di vista genetico e così può entrare in equilibrio con il sistema immunitario ed evadere i meccanismi di difesa messi in atto da quest ultimo.(12)

• Gli inibitori della trasduzione del segnale: bloccano le molecole che partecipano alla trasduzione del segnale, processo attraverso il quale la cellula risponde ai segnali dell’ambiente. Una volta che la cellula ha ricevuto un segnale specifico, questo viene trasmesso attraverso le cellule con reazioni biochimiche al fine di produrre risposte appropriate; in generale nei tumori, invece, le cellule maligne sono stimolate a dividersi in maniera incontrollata, senza essere stimolate da fattori esterni: gli inibitori della trasduzione del segnale interferiscono con questa segnalazione inappropriata.

Nonostante i numerosi vantaggi che offrono le terapie mirate, queste presentano anche delle limitazioni; la prima è che le cellule tumorali possono sviluppare resistenza alla terapia, che si può manifestare, per esempio, attraverso una modifica del target a seguito di una sua mutazione, così che la terapia non riesce più ad

(29)

28 interagire con il target; oppure nel caso in cui il tumore riesce a trovare una via alternativa per accrescere. Per questa ragione, è stato dimostrato che le terapie mirate funzionano meglio in combinazione tra di loro.

(30)

29 TUMORI CEREBRALI

I tumori cerebrali sono neoplasie che originano dal tessuto di sostegno in cui si collocano le cellule nervose. Come i tumori che interessano altre parti del corpo, le neoplasie cerebrali possono distinguersi in benigne e maligne, ma, diversamente da quanto avviene in altri distretti, il tumore di tipologia benigna, che si sviluppa in aree cerebrali vitali, può avere esito infausto. Infatti, ogni accrescimento anomalo può esercitare una compressione sui tessuti del cervello, confinato all’interno della scatola cranica. Ogni tumore localizzato nelle vicinanze di strutture vitali rende necessario l’intervento chirurgico, che rappresenta comunque una situazione di rischio, poiché può portare alle lesioni di centri nervosi. Il tumore di tipologia maligna è invece privo di margini e infiltra il tessuto sano circostante distruggendolo. Negli ultimi dieci anni è stato stabilito che lo sviluppo di un tumore è caratterizzato da due fasi: inizio e progressione. Un fattore scatenante l’inizio del tumore può essere un’alterazione del DNA della cellula. Una mutazione genetica può causare l’attivazione di un proto-oncogene o l’inattivazione di geni soppressori del tumore, come quello della p53, proteina che induce meccanismi di riparazione del DNA di cellule tumorali nascenti, bloccando in modo transitorio la loro proliferazione cellulare. La progressione del tumore, processo in cui le cellule iniziano a mostrare attività proliferativa, è causata da fattori ambientali, infiammatori e da neovascolarizzazione.(13) Quest’ultima fase origina da sette fondamentali alterazioni fisiologiche: secrezione autocrina di segnali di crescita, insensibilità a segnali inibenti la crescita, mancata induzione di apoptosi, perdita di senescenza, promozione dell’angiogenesi, invasione tissutale e metastasi.(14) In

(31)

30 generale, i tumori sono distinti a seconda della loro gravità e il sistema di classificazione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità li suddivide in neoplasie di grado I, II, III, IV (WHO). L'assegnazione del grado di malignità della massa neoplastica si basa sull'aspetto microscopico, sulla tendenza all'infiltrazione dei tessuti sani e sulla velocità di accrescimento. Le caratteristiche dei diversi gradi sono le seguenti:

• Grado I: tumori benigni, crescono lentamente e non infiltrano il tessuto sano circostante. L'intervento chirurgico può costituire un trattamento efficace per questo tipo di tumore. Esempi sono l’astrocitoma pilocitico, il craniofaringioma, il gangliocitoma e il ganglioglioma.

• Grado II: tumori di bassa malignità e accrescimento lento, possono infiltrare il tessuto sano cerebrale circostante e recidivare (le recidive sono spesso caratterizzate da un grado più alto). Un esempio è l’astrocitoma diffuso.

• Grado III: tumori maligni costituiti da cellule anomale che si moltiplicano attivamente e infiltrano il tessuto circostante, determinandone la distruzione. Le recidive sono frequenti e di solito di grado più alto. Un esempio è l’astrocitoma anaplastico, detto anche maligno.

• Grado IV: tumori particolarmente maligni e aggressivi, costituiti da cellule di forte aspetto atipico che si moltiplicano rapidamente. Infiltrano diffusamente, distruggendo il cervello sano circostante, e tendono ad accrescere l'afflusso ematico, che contribuisce alla loro crescita. Il più comune è il glioblastoma multiforme.

(32)

31 Nel tumore vi sono cellule di differente grado di malignità e la classificazione è determinata dal grado di malignità più alto riscontrato fra le cellule neoplastiche. Questa mancanza di omogeneità della massa tumorale fa sì che un'analisi bioptica possa non essere rappresentativa dell'intero tumore. Inoltre, il tumore è soggetto a cambiamenti: un tumore benigno può trasformarsi in maligno, e le recidive spesso sono di grado superiore al tumore originale (WHO). I gliomi maligni corrispondono circa a metà dei tumori primari del cervello e sono i più difficili da trattare.

Con il termine glioma si fa riferimento ad un tipo di tumore cerebrale primario originato dalle cellule della glia, le quali rappresentano il tessuto di sostegno e nutrimento per le cellule neuronali. Il tessuto gliale include quattro tipi di cellule differenti per struttura e funzione: la microglia, le cellule ependimali, gli Oligodendrociti e gli astrociti. La microglia costituisce una componente del sistema reticolo endoteliale ed è formata da cellule che, funzionando da monociti circolanti, penetrano entro il parenchima cerebrale e rimuovono i detriti cellulari. Le cellule ependimali, gli oligodendrociti e gli astrociti derivano dalla stessa cellula progenitrice di origine gliale e rivestono ruoli differenti:

• CELLULE EPENDIMALI, le quali sono localizzate negli spazi ventricolari e nel canale centrale del midollo spinale e regolano la diffusione del fluido cerebrospinale nelle regioni periventricolari del cervello. Queste cellule possono originare tumori quali Ependimoma e Sub-Ependimoma.

• OLIGODENDROCITI, cellule che rivestono gli assoni neuronali con la guaina mielinica, aumentando l’efficienza di conduzione degli impulsi elettrici tra i neuroni. Da queste cellule si originano gli oligodendrogliomi. • ASTROCITI, che sono le cellule più numerose della glia, provvedono al

(33)

32 nutrimento dei neuroni, al mantenimento dell’ambiente extracellulare e, attraverso le loro estroflessioni, prendono contatto con la membrana basale delle cellule endoteliali andando a costituire la barriera ematoencefalica. Da queste cellule si originano gli astrocitomi, le più comuni neoplasie primarie del SNC.

Il glioblastoma multiforme (GBM) di grado IV (Figura 5) è il più comune (60%) tra i gliomi maligni cerebrali. È distinto da una morfologia molto variabile, con cellule rotondeggianti o a fuso, di piccole o grandi dimensioni. Spesso è di grande volume e localizzato a livello degli emisferi cerebrali o, meno frequentemente, al tronco cerebrale o al midollo spinale. La durata media di vita corrisponde a circa dodici mesi dal momento della diagnosi e, nonostante gli ultimi progressi nelle terapie, l’aspettativa di vita è estremamente ridotta, anche a causa delle frequenti recidive. (15)

(34)

33 La caratteristica principale del glioblastoma maligno è il fatto di essere altamente invasivo, tanto da rendere impossibile la guarigione attraverso la chirurgia, la radioterapia e la chemioterapia. Quando un tumore diffonde dalla zona di insorgenza ad altre zone distanti viene definito tumore secondario o metastasi. Questo è un processo complesso in cui le cellule tumorali aderiscono alla matrice extracellulare e la degradano, migrano attraverso i vasi sanguigni o linfatici, fuoriescono dai vasi, penetrano in un nuovo tessuto e proliferano. L’angiogenesi è importante perché i vasi sostengono la crescita del tumore stesso e facilitano la dispersione delle cellule che si staccano dal tumore primario e diffondono attraverso il circolo sanguigno.(13) La fase critica per la formazione di metastasi è l’invasione della membrana basale, struttura laminare sottile di matrice extracellulare, che rappresenta una barriera per cellule e macromolecole. La membrana basale serve da appoggio per gli strati di cellule epiteliali, ma circonda anche cellule muscolari, adipose e nervi periferici, e separa, di solito, le cellule sovrastanti dal tessuto connettivo sottostante vascolarizzato, dal quale diffondono i nutrienti verso l’epitelio. La matrice extracellulare è costituita da proteine strutturali fibrose, dure, di cui la più importante è il collagene (proteina semplice più abbondante nei tessuti animali) e contiene proteine di adesione, che collegano i componenti della matrice tra loro e alle cellule. Queste proteine sono immerse in gel formati dai polisaccaridi chiamati glicosamminiglicani (GAG), che consistono di unità ripetute di disaccaridi. La matrice extracellulare è implicata in molti eventi fisiologici importanti, tra cui l’angiogenesi, l’apoptosi, l’invasione tumorale e la metastasi; la sua degradazione proteolitica è, quindi, una causa della progressione tumorale.(16)

(35)

34 TERAPIE ATTUALI DEL GLIOBLASTOMA

Le terapie attuali del glioblastoma multiforme si avvalgono della chirurgia, della radioterapia e della chemioterapia. Purtroppo, dopo i trattamenti iniziali, che sembrano efficaci, il glioblastoma è particolarmente soggetto a recidive. La chirurgia viene scelta come trattamento iniziale per asportare la maggior parte del tumore, ma l’eliminazione totale è molto difficile a causa della natura infiltrativa del glioma. Con la sola operazione chirurgica raramente si ottiene la guarigione, ma questa è utile per ridurre la dimensione del tumore per facilitare il trattamento successivo con radio e chemioterapia. Inoltre, nel caso in cui il glioblastoma si espanda o si ripresenti, l’intervento può essere ripetuto. Recentemente la FDA (Food and Drug Administration) ha approvato l’unico caso chirurgico di chemioterapia intracavitaria, che prevede il posizionamento di cialde di carmustina, un polimero biodegradabile che libera nitrosourea nel tumore per due/tre settimane. La carmustina lega gli acidi nucleici impedendo la divisione e la replicazione di cellule tumorali, e portando all’aumento del tempo medio di sopravvivenza rispetto al placebo. La radioterapia postoperatoria provoca il danneggiamento del DNA di eventuali cellule tumorali rimaste dopo l’operazione: sono stati evidenziati benefici in pazienti con gliomi maligni, rispetto al suo non utilizzo dopo l’intervento. È stata valutata anche la terapia locale con radiochirurgia e brachiterapia (uso di palline radioattive depositate direttamente nel tessuto tumorale), ma entrambe aumentano il rischio di necrosi del tessuto irradiato. La chemioterapia, infine, porta la cellula tumorale verso la fase apoptotica, poiché causa disorganizzazione nel DNA cellulare tumorale. Purtroppo, la penetrazione nel tumore di agenti chemioterapici

(36)

35 può essere ostacolata da meccanismi di resistenza, come la sovraespressione di O-6 metilguanina DNA-metiltransferasi, un enzima la cui espressione è correlata all’aumento di resistenza che le cellule tumorali possono mostrare nei confronti degli effetti citotossici degli agenti terapeutici. Un’altra limitazione all’uso di chemioterapici può derivare dall’interazione con altre sostanze, come gli steroidi, che controllano l’edema cerebrale. Anche la barriera ematoencefalica può essere responsabile della penetrazione degli agenti nel tumore a concentrazioni subterapeutiche.

(37)

36 LE CHINASI

Le proteine chinasi rappresentano un valido target nella terapia antitumorale in quanto sono coinvolte nella crescita, nella differenziazione, nel metabolismo e nella morte cellulare. Esse possono provocare l’insorgenza del cancro in seguito all’acquisizione di forme anomale o ad una loro iperespressione. (17)

Le proteine chinasi catalizzano la reazione di fosforilazione trasferendo il gruppo fosfato in posizione γ dell’ATP, che fa da donatore, ad un gruppo ossidrilico di un amminoacido che fa da accettore. In condizioni fisiologiche, la fosforilazione della tirosina rappresenta un fondamentale meccanismo di traduzione del segnale che procede gerarchicamente in un ordine sequenziale di interazioni tra proteine, garantendo una comunicazione tra le cellule e regolando aspetti chiave della vita delle cellule quali la proliferazione, la differenziazione, il metabolismo e l’apoptosi. In base al substrato accettore le proteine chinasi si suddividono in tre famiglie:

• Chinasi a serina/treonina, se il gruppo fosfato è trasferito dall’ATP ad un residuo di serina o treonina

• Chinasi a tirosina, se il gruppo fosfato è trasferito dall’ATP ad un residuo di tirosina

• Chinasi a doppia funzione, in grado cioè di fosforilare sia residui di tirosina sia di serina/treonina.

Per quanto riguarda le tirosina chinasi, su cui è focalizzata l’attenzione in questa tesi, è opportuno effettuare un’ulteriore classificazione in:

(38)

37 gene da cui derivano (AATYK, ALK, AXL, DDR, EGFR, EPH, FGFR, INSR, MET, MUSK, PDGFR, PTK7, RET, ROR, ROS, RYK, TIE, TRK e VEGFR). b) Non‐receptor tirosina chinasi, suddivisibili in 11 famiglie (ABL, ACK, CSK, FAK, FES, FRK, JAK, SRC-A, SRC‐B, TEC e SYK).

Le prime sono proteine integrali di membrana, mentre le seconde sono intracitoplasmatiche.(18)

Al contrario di quanto avviene nelle cellule normali, in quelle tumorali il livello di attività tirosin-chinasica può aumentare di 10-20 volte. Per questo motivo le tirosina chinasi ed i relativi meccanismi di trasduzione del segnale possono essere identificati come potenziali bersagli (figura 6) per la progettazione di farmaci che includono:

1. Anticorpi monoclonali: composti che bloccano l’attività enzimatica di EGFR agendo specificamente sul dominio extracellulare e stimolando una risposta immunitaria. Il complesso recettore-anticorpo viene così internalizzato e la cascata di trasduzione del segnale viene inibita.

2. Piccole molecole organiche: inibitori della tirosina chinasi in grado di competere con l’ATP per il sito di legame.

3. Oligonucleotidi antisenso e ribozimi: rispettivamente brevi sequenze di nucleotidi e molecole di RNA ad attività catalitica che agiscono bloccando i meccanismi deputati alla produzione delle RTK.

(39)

38 Figura 6. Possibili approcci terapeutici

Tra le famiglie sopraelencate, le classi ABL, SRC, EGFR, PDGFR e VEGFR costituiscono il target principale nello sviluppo di inibitori tirosina chinasici, sviluppati al fine di bloccare le anomalie di crescita e proliferazione cellulare. Mentre alcuni inibitori di tirosina chinasi ne inibiscono in modo specifico una o due, la maggior parte degli inibitori esplica la propria azione su più tirosina chinasi coinvolte in molteplici vie cellulari.(19)

(40)

39

PICCOLE MOLECOLE, INIBITRICI DELLE CHINASI, NEL TRATTAMENTO DEL CANCRO AL CERVELLO (20)

La neurooncologia comprende lo studio di tumori che hanno origine a livello del cervello (ad esempio il glioblastoma multiforme, GBM) ma anche le metastasi cerebrali. Nel 2015, è stato previsto che in quell’anno sarebbero stati diagnosticati negli Stati Uniti più di 21.000 nuovi casi di tumori maligni del cervello e del sistema nervoso centrale (SNC).(21)Tra i tumori cerebrali maligni, il più comune è il GBM

che ha una prognosi sfavorevole (tasso di sopravvivenza a 3 anni del 3-5%).(22) In

ogni caso, c’è stato un piccolo progresso nello sviluppo di nuovi trattamenti per il GBM. La maggior parte delle valutazioni di chemioterapici nel GBM sono risultate fallimentari. Attualmente l'agente alchilante temozolomide (approvato nel 2005) e il Gliadel a base di carmustina (approvato nel 1996) sono gli unici chemioterapici approvati dalla FDA per il trattamento del GBM di nuova diagnosi. Altri tumori neurologici hanno opzioni di trattamento farmacologico ugualmente limitate. Oltre alla necessità di maggiori opzioni di trattamento per i tumori cerebrali primari, nel 40% dei casi, si verificano metastasi dei tumori nel SNC, a partire dai tumori periferici, con oltre 100.000 casi all'anno.(23) Quando viene utilizzato un inibitore

delle chinasi per il trattamento della malattia periferica, queste metastasi nel SNC, nel caso in cui l’inibitore non penetri liberamente la BEE, sono un rischio perché si può verificare il fenomeno della resistenza. Pertanto, in questo scenario, il trattamento di un tumore con un farmaco è efficace fino a quando non si verifica la progressione della malattia nel SNC, dove le concentrazioni di farmaco sono limitate. Un esempio di questo può essere la resistenza nel 14% dei pazienti con

(41)

40

carcinoma mammario HER2-positivo trattato con pertuzumab causata delle metastasi nel SNC.(24) Infatti, in questo caso abbaiamo una progressione della

malattia dovuta alle metastasi al SNC, causata dell'incapacità del pertuzumab di attraversare la barriera emato-encefalica (BEE).Sfortunatamente, come discusso in seguito, questo scenario non è limitato alla malattia HER2-positiva trattata con un anticorpo ma accade anche con numerose piccole molecole inibitrici delle chinasi, approvate dal FDA, che non penetrano nel SNC.

In caso di metastasi nel SNC la prognosi è generalmente sfavorevole e la chemioterapia è utile solo in casi limitati, a sostegno del bisogno insoddisfatto di nuovi chemioterapici per le neoplasie del SNC. Per quanto i tumori cerebrali primari e le metastasi cerebrali siano manifestazioni distinte della malattia e possono richiedere di colpire diversi target responsabili della patologia, per il chimico farmaceutico, l’approccio al trattamento di queste indicazioni necessita delle stesse considerazioni fatte per la BEE, che tipicamente limita la penetrazione delle piccole molecole nel SNC, dove risiedono i tumori cerebrali. Inoltre, sia per i tumori cerebrali primari che per i secondari esiste un rationale biologico per lo sviluppo di inibitori delle chinasi che riescono a penetrare la BEE. Sebbene siano stati approvati 32 inibitori delle chinasi per il trattamento di tumori al di fuori del SNC, non è stato approvato nessun inibitore delle chinasi per il trattamento di tumori primari del SNC tranne alectinib (61) che ha recentemente ricevuto l'approvazione accelerata per trattare diversi tipi di pazienti, compresi quelli con metastasi al cervello.

Un motivo per la mancanza di inibitori delle chinasi approvati per il trattamento dei tumori cerebrali è che, per trattare efficacemente i tumori cerebrali, gli inibitori

(42)

41

delle chinasi devono essere in grado di raggiungere il target e quindi devono poter attraversare efficacemente la BEE. Come verrà discusso di seguito, per la maggior parte degli inibitori delle chinasi approvati e gli inibitori delle chinasi in studi di fase clinica, non è stata documentata la penetrazione del sistema nervoso centrale, neppure una penetrazione limitata del SNC e neppure una penetrazione del SNC che dovrebbe essere limitata a causa dell'azione dei trasportatori come la glicoproteina-P (P-gp) e la proteina di resistenza del cancro al seno (Bcrp).

Nella ricerca di potenziali terapie per il trattamento del cancro al cervello, si asserisce generalmente che, a causa della distruzione della BBE da parte dei tumori primari o a causa delle metastasi nel cervello prendere in considerazione la BEE non è rilevante. Tuttavia, anche se il tumore può distruggere la BEE, generalmente lo fa solo parzialmente e in letteratura è descritta l'importanza della BEE nel limitare la penetrazione dei farmaci per raggiungere il anche quando il tumore ne causa appunto la distruzione parziale. Inoltre, il GBM, in particolare cresce in maniera diffusa con una significativa porzione del tumore che cresce all’interno della BEE integra; così senza farmaci efficaci in grado di attraversare liberamente la barriera, il tumore progredisce.(25) Il fatto che GBM cresca in maniera tale da rimanere

all’interno di una BEE intatta, rende necessario trovare piccole molecole capaci di penetrare tale barriera per trattare efficacemente questa malattia.

Capita l'importanza del fatto che i farmaci utilizzati per il cancro al cervello debbano attraversare la BEE, i programmi di ricerca di Medicinal Chemistry neurooncologica hanno molto in comune con i programmi di altre malattie del SNC. Fortunatamente negli ultimi anni c'è stata un'importante crescita nel riconoscere che è necessario raggiungere una concentrazione sufficiente di farmaco libero nel

(43)

42

cervello, se è lì che si trova il target. In breve, è importante evidenziare che è fondamentale che gli inibitori delle chinasi destinati a trattare i tumori cerebrali raggiungano concentrazioni adatte dal punto di vista terapeutico di farmaco libero nel cervello. In effetti, una recente conferenza sulla scoperta e lo sviluppo di farmaci per il cancro al SNC ha sottolineato la necessità per gli studi neuroncologici di ottenere una penetrazione della BEE di farmaco libero.(26) Per valutare in studi

preclinici, se le concentrazioni terapeuticamente efficaci di una molecola attraversano la BEE, e quindi se abbia una reale possibilità di raggiungere l'efficacia con il meccanismo previsto, sono necessarie alcune valutazioni delle concentrazioni, di farmaco libero nel cervello o, come surrogato, nel liquido cerebrospinale. Per valutare fino a che punto una piccola molecola penetra liberamente la BEE è necessario un confronto tra concentrazioni di farmaco libero nel cervello o nel liquido cerebrospinale, rispetto alle concentrazioni plasmatiche (Kp,uu). Vale la pena

notare, che nella discussione sulla penetrazione cerebrale degli inibitori delle chinasi utilizzati in clinica, la concentrazione terapeutica al target non è spesso nota, e quindi è utilizzata, se disponibile, una valutazione della penetrazione nel SNC (Kp,uu o rapporti tra concentrazione plasmatica e cerebrale). Laddove tali valori

fossero disponibili, i valori < 0.1 sono considerati bassi e indicano una significativa limitazione alla penetrazione della BEE, mentre valori > 0,3 indicano una significativa penetrazione nel SNC.

In linea di principio, la concentrazione terapeutica di farmaco libero potrebbe essere in grado di penetrare nella BEE anche con valori Kp,uu molto bassi. Affinché ciò si

verifichi, tuttavia, dovrebbe esserci un corrispondente aumento dell'esposizione sistemica che potrebbe però aumentare il rischio di effetti collaterali indesiderati.

(44)

43

Infatti, un inibitore delle chinasi con un Kp,uu di 0,1 richiederebbe un’esposizione

sistemica 10 volte maggiore per ottenere un effetto terapeutico benefico nel cervello rispetto ad un equivalente inibitore delle chinasi ma con un Kp,uu di 1,0. Nel

trattamento delle malattie del SNC, il massimizzare il Kp,uu è molto importante e

probabilmente incide sulla sicurezza/tollerabilità di una molecola alle dosi necessarie per raggiungere concentrazioni terapeutiche nel SNC.

Una volta capita l'importanza di ottenere una libera penetrazione del SNC con molecole destinate al trattamento dei tumori cerebrali, un requisito fondamentale per ottenere concentrazioni significative di farmaci liberi attraverso la BEE, è che le piccole molecole non siano substrati di P-gp o Bcrp, che sono trasportatori attivi altamente espressi a livello della BEE. Si ritiene che le piccole molecole che sono substrati di P-gp, abbiano una penetrazione limitata del SNC. La discussione degli inibitori delle chinasi in fase clinica di seguito, ci suggerisce che le molecole descritte come substrati di P-gp, abbiano probabilmente una penetrazione limitata del SNC.

I chimici farmaceutici interessati agli inibitori delle chinasi, per il trattamento del cancro al cervello, per evitare il trasporto mediato da P-gp devono ingegnarsi per massimizzare Kp,uu. Le considerazioni nella progettazione di inibitori delle chinasi

o di qualsiasi piccola molecola per limitarne la fuoriuscita mediata dal trasportatore, includono un numero di proprietà fisico-chimiche che possono essere preventivamente calcolate. Tra le proprietà più critiche da considerare, vi sono le correlazioni riportate tra superficie topologica polare (TPSA) e / o il numero di donatori di legami a idrogeno (HBD) e probabilità di fuoriuscita mediata da P-gp. Le piccole molecole, inibitrici delle chinasi, ATP-competitive, generalmente

(45)

44

utilizzano le interazioni tra legami a idrogeno con la hinge region (regione a cerniera) delle chinasi e, spesso, sono utilizzati donatori di più legami a idrogeno.(27)

Di conseguenza l'uso di donatori di molteplici legami a idrogeno nell’ambito degli inibitori delle chinasi che eludono le limitazioni dovute alle proprietà fisico-chimiche che portano all’efflusso, mantenendo altre qualità desiderabili degli inibitori delle chinasi, come per esempio la potenza, rimane una sfida. In effetti, un confronto tra i valori medi delle proprietà chimicofisiche di 119 farmaci approvati per il SNC(28) e quelli di 34 inibitori delle chinasi approvati per uso clinico (tutte le

indicazioni), rivela notevoli disparità (tabella 3). Mentre i farmaci del SNC hanno un valore mediano di 1 HBD, gli inibitori delle chinasi approvati ne hanno 2. Inoltre, gli inibitori delle chinasi approvati hanno un valore TPSA medio doppio rispetto ai farmaci del SNC approvati. Gli inibitori delle chinasi tendono anche ad avere un PM e una lipofilia significativamente più elevati rispetto ai farmaci del SNC.

Tabella 3. Confronto dei valori medi, delle proprietà fisico-chimiche per gli inibitori delle chinasi approvati per uso clinico e 119 farmaci approvati per le indicazioni CNS

a inibitori delle chinasi approvati dal 2015 per ogni tipo di indicazione. b Commercializzati

(46)

45

Per più di 30 anni, gli inibitori delle chinasi sono stati al centro di una significativa ricerca farmaceutica poiché le potenziali terapie si estendono al trattamento di tumori cerebrali e alle metastasi.

Mentre la natura degli inibitori delle chinasi, soprattutto gli ATP-competitivi, può avere alcuni vincoli sulle proprietà fisiche, per ottenere una potenza diversa da quella tipica dei farmaci del SNC, è possibile ottenere potenti inibitori delle chinasi capaci di penetrare liberamente il cervello. Tuttavia, la penetrazione cerebrale non è stata spesso presa in considerazione in programmi di inibizione delle chinasi e in alcuni casi potrebbe essere stata intenzionalmente evitata.(29)

Il problema maggiore è che anche quando si cercano intenzionalmente inibitori potenti e in grado di penetrare la BEE, ci sono, naturalmente, delle limitazioni dovute alla disponibilità di modelli di tumori cerebrali in vivo disponibili, in cui tali molecole potrebbero essere studiate e nessuno rispecchia pienamente i gliomi umani.(30) Ad esempio, il modello di glioblastoma U87 è un modello di GBM

frequentemente studiato e utilizzato negli studi di topi ortotopici xenotrapianti. Tuttavia, l'uso del modello U87, per valutare se una molecola ha o meno un potenziale nel trattamento del cancro al cervello è limitato non rilevante per la malattia clinica perché, come è noto, mantiene un elevato livello di alterazione della BEE, e non cresce in maniera diffusa come osservato nei pazienti umani dove il tumore invade il cervello sano, mantenendo la BEE intatta. Per questo motivo, l'U87 e potenzialmente altri modelli potrebbero sovrastimare la probabilità che un agente possa fornire beneficio terapeutico nei pazienti umani con GBM.

Per capire se il farmaco è in grado di raggiungere il suo target nel tessuto cerebrale, sarebbe opportuno effettuare una valutazione dei rapporti tra le concentrazioni di

Riferimenti

Documenti correlati

Nel secondo capitolo invece si tratterà della descrizione della manipolazione di un neonato sano con l'aumentare dell'età e si affronterà soprattutto la descrizione

connessioni  tra  le  aree  cerebrali  nel  cervello  umano  sano,  per  capire  come  vengono  processate  le  informazioni.  Tra  gli 

Raine capovolge egregiamente l’obiezione anti-biologista: se anche la biologia non spiega completamente il crimine, e dobbiamo estendere opportunità sociali e istruzione, che come

– Scambi d’informazione e non di energia fra la mente e il corpo che ordina materia e azioni del corpo (vs. interazionismo platonico-cartesiano) – Localizzazione della mente

Non è probabile che la sessualità sia il principale organizzatore della personalità né, come vogliono alcuni, il più pericoloso generatore di psicopatologia, ma insieme ad altri

Quello che gli studi scientifici indicano, infatti, è che possedere una o più delle varianti alleliche discusse, si associa ad un rischio statisticamente maggiore di

La Scuola Positiva italiana nella IV Sezione del V Congresso Inter- nazionale di Psicologia: temi e prospettive fi losofi co-scientifi che tra Ottocento e Novecento, di Giovanni

Se il vostro sguardo si ferma sulla croce nera al centro, il punto rotativo diventa verde.. Adesso, si concetri nella croce del