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Il consiglio di amministrazione nelle public utilities quotate italiane:un'analisi empirica

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INDICE

INTRODUZIONE………3

1.IL RUOLO E LE CARATTERISTICHE DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE NELL’AMBITO DELLA CORPORATE GOVERNANCE ...5

1.1 Cos’è la corporate governance ... 5

1.2 L’evoluzione storico-culturale della corporate governance ... 11

1.3 Il ruolo del CDA nel sistema di governo delle imprese ... 26

1.4 La nascita dei codici di autodisciplina ... 33

1.4.1 Una panoramica a livello internazionale ... 33

1.4.2 Il Codice Preda in Italia ... 36

1.4.3 Le caratteristiche ed il funzionamento del CDA secondo il Codice ... 40

1.5 I diversi sistemi di amministrazione e controllo presenti in Italia: cenni ... 51

2. I SERVIZI PUBBLICI ... 53

2.1 Concetto e tipologie ... 53

2.2 L’incidenza del diritto europeo: Il Servizio di Interesse Economico Generale .. 58

2.3 Il servizio pubblico in Italia: l’evoluzione della normativa ... 60

2.4 Le public utilities: definizione e caratteristiche ... 76

3. ANALISI EMPIRICA DEI BOARD DELLE PUBLIC UTILITIES ITALIANE ... 82

3.1 Lo studio e le domande di ricerca ... 82

3.2 Metodologia e raccolta dei dati ... 82

3.3 I risultati ottenuti: l’analisi della corporate governance delle public utilities individuate ... 87 3.3.1 A2A ... 87 3.3.2 Acea ... 89 3.3.3 Alerion Cleanpower ... 91 3.3.4 Ascopiave ... 92 3.3.5 Edison ... 93 3.3.6 Enel ... 95 3.3.7 ERG ... 96 3.3.8 Falck Renewables ... 97 3.3.9 Hera………...99

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3.3.10 Iren ... 101

3.3.11 Italgas ... 102

3.3.12 Seri Industrial ... 105

3.3.13 Terna- Rete Elettrica Nazionale ... 106

3.3.14 TerniEnergia... 107

3.4 Osservazioni di sintesi su adesione alle best practice e caratteristiche del consiglio di amministrazione delle utilities quotate italiane ... 108

Bibliografia ... 114

Sitografia ... 119

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INTRODUZIONE

Il Consiglio di Amministrazione svolge un ruolo centrale nella governance delle società: ad esso spetta il compito di gestire l’impresa cercando di creare valore per i molteplici stakeholders che gravitano intorno ad essa. La sua funzione si riassume, infatti, nel binomio “check and balance” che si esplica nel detenere il controllo delle attività svolte all’interno della società e allo stesso tempo nel mantenere l’equilibrio tra i vari soggetti coinvolti.

L’importanza di dotarsi di un organo amministrativo efficace ed efficiente è il punto focale del dibattito sulla corporate governance a seguito degli scandali societari che hanno coinvolto alcune grandi aziende nazionali e internazionali all’inizio del nuovo secolo. La centralità del dibattito verte nella possibilità di considerare una “buona governance”, uno strumento fondamentale per accrescere la creazione di valore per le imprese.1 Gli studiosi, in Italia come in altri paesi, si interrogano su quali

caratteristiche debba possedere l’organo amministrativo affinché venga garantita l’efficacia nello svolgimento dei propri compiti.2 Sono nati così, i Codici di

Autodisciplina: documenti contenenti le migliori pratiche in materia di diritto societario, indirizzati principalmente alle società quotate. Essi seguono la logica del “comply or explain” pertanto l’adesione agli stessi è assolutamente volontaria. Il primo Codice fu stilato in Gran Bretagna nel 1992 acquisendo elevata notorietà; sulle orme inglesi furono redatti successivamente, in ogni Paese economicamente avanzato, numerosi codici di autoregolamentazione. Ogni nazione possiede uno o

1 Guatri L. (1991), La teoria di creazione del valore. Una via europea, p.95, Egea, Milano

2 Minichilli A. (2014), Dieci anni di corporate governance: Cosa sappiamo e cosa no (ma dovremmo sapere) sul governo delle imprese, p.5, Economia & Management, rivista SDA Bocconi.

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più rapporti a cui fare riferimento nel rispetto delle normative presenti e delle esigenze delle singole imprese. In Italia è vigente il Codice di autodisciplina (noto anche come Codice Preda), la cui prima versione risale al 1999. Le best practice contenute al suo interno si riferiscono principalmente al CDA a cui sono dedicati sei articoli su dieci: essi si focalizzano maggiormente sulla struttura e sulla composizione dello stesso.

L’adesione ai rapporti di Autodisciplina rappresenta per le società “un marchio di qualità”, spendibile sul mercato per accrescere la fiducia degli investitori e per migliorare la reputazione aziendale.

Conscia del forte impatto sociale ed economico delle società che si occupano dell’erogazione di servizi pubblici, il presente elaborato, si pone l’obiettivo di verificare l’adesione, sia formale che sostanziale, delle public utilities italiane al Codice di Autodisciplina, analizzando in particolare se esse rispettano i principi guida in merito alla composizione, alla dimensione e al funzionamento dell’organo amministrativo. Queste ultime, insieme all’assetto proprietario delle utilities quotate su Borsa Italiana, sono state le variabili oggetto di studio il cui scopo, oltre a verificare la compliance delle società al Codice Preda, è l’individuazione di un’eventuale omogeneità nella governance delle stesse.

È rilevante sottolineare che le public utilities si sono sviluppate in seguito ad un percorso di evoluzione normativa che termina con l’apertura alla concorrenza di alcune fasi della filiera produttiva dei servizi pubblici, dopo la perdita di condizioni di monopolio legale da parte dello Stato o degli enti locali. Si è assistito, infatti, ad una progressiva diminuzione del peso degli stessi nell’economia a seguito dei processi di privatizzazione e liberalizzazione.

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1.IL RUOLO E LE CARATTERISTICHE DEL CONSIGLIO DI

AMMINISTRAZIONE

NELL’AMBITO

DELLA

CORPORATE

GOVERNANCE

1.1 Cos’è la corporate governance

Il termine corporate governance viene utilizzato per la prima volta in Gran Bretagna nel Quattordicesimo secolo: esso deriva dal verbo latino “gubernare”, che significa “guidare”, “governare”. La parola governance, di fatti, indica sia l’azione sia il metodo di governo delle imprese.3

La complessità del tema emerge già guardando alla pluralità di definizioni di corporate governance coniate da diversi autori e istituzioni, che ne fanno comprendere la sua rilevanza. Autorevoli autori hanno affermato infatti: “Corporate governance is one of the most typical and controversial areas of business and finance”4 .

Le diversità di significato provengono, inoltre, dalle teorie di riferimento, dalle prospettive con cui si osserva il fenomeno e dalle difformi realtà societarie esistenti in ambito nazionale ed internazionale. Tuttavia, possono riscontrarsi in letteratura due interpretazioni di base di corporate governance; esse fanno riferimento alla concezione più o meno stretta in cui è inserito il concetto in esame.5

Tali accezioni prendono in considerazione due dimensioni di analisi: la prima riguardante l’ampiezza e la varietà degli stakeholders considerati nel processo di

3 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, p.34, Egea, Milano

4 Becht, Marco & Jenkinson, Tim. (2005), Corporate Governance: An Assessment., Abstract, Oxford Review of Economic Policy.

5 Melis A. (2002), Creazione di valore e meccanismi di Corporate Governance, p.113, Giuffrè Editore, Milano

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gestione dell’azienda e la seconda che concerne quanti e quali organi societari sono ritenuti responsabili del governo di impresa.6

Dall’incrocio di suddette variabili, riportate nella matrice (Figura 1.1), scaturisce la ripartizione dei due modi di intendere la corporate governance.

Figura 1.1: Le possibili definizioni di corporate governance

Fonte: Zattoni A., Assetti proprietari e Corporate Governance, p.36, Egea, 2006

Secondo la prima concezione (quadrante I della matrice rappresentata in Figura 1.1), che si può definire ristretta, l’attenzione è focalizzata sugli azionisti, i quali delegano ai membri del Consiglio di Amministrazione (CDA) il compito di esercitare il controllo sull’operato del management. Tale concezione è tipica dei paesi anglosassoni, dove a fronte di una struttura fortemente frammentata, la separazione

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tra proprietà e controllo (inteso come potere decisionale sulla gestione aziendale) è piuttosto frequente.

L’ottica ristretta pone gli azionisti come categoria di stakeholder principale verso cui i manager devono orientare la gestione dell’azienda e l’unico organo di governance che ha la funzione di ottemperare agli interessi delle due controparti citate sin ora, è il CDA.

La relazione tra i membri di quest’ultimo e l’Azionista dà luogo al cosiddetto “rapporto di agenzia”7: esso si genera tra due soggetti: l’Agente (chi agisce, in

questo caso i membri del CDA) in nome e per conto di un soggetto, il Principale (in questo caso l’Azionista).

Gli eventuali problemi riguardanti il sopraccitato rapporto (problemi di incertezza e di asimmetria)8 scaturiscono dalla possibilità che il delegato possa non prendere

decisioni ottimali per il delegante per via di una divergenza di interessi.

Si generano così tre tipologie di costi, denominati costi d’agenzia9: costi di controllo,

costi di rassicurazione e costi di perdita residuale, che con l’utilizzo di opportuni strumenti (quali piani di incentivazione azionaria, struttura finanziaria molto indebitata, definizione di chiari rapporti tra le controparti) possono essere minimizzati.

7 Jensen and Meckling (1976), Theory of the firm: Managerial behavior, agency costs and ownership structure, pp. 305-360, Journal of Financial Economics, V. 3, No. 4

8 “La relazione di agenzia diventa problematica in presenza di due condizioni: incertezza (il risultato dell’azione dell’agente è condizionato da eventi fuori dal suo controllo) e asimmetria informativa (l’azione dell’agente non è direttamente osservabile dal principale” – Zattoni A. (2006), Assetti proprietari e Corporate Governance, p.34 Egea, Milano

9 Cfr.S. GROSSMAN, O. Hart, Takeover Bids, the Free-Rider problem, and the Theory of the Corporation, p.59, in The Bell Journal of Economics, N.11,1980 .Corporate executives may be tempted to use their control over corporate assets to further their own interests at the expense of those who own equity. To the extent that top managers pursue their own agenda, they impose what economists refer to as “agency costs” on these investors”. B. CHEFFINS, Current Trends in

Corporate Governance: Going from London to Milan via Toronto, p.15, Duke Journal of Comparative and International Law, Vol. 10., N. 5, 1999

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Di seguito, vengono riportati, nella Tabella 1.1, alcune significative definizioni di corporate governance riconducibili alla concezione ristretta.

TABELLA 1.1: Definizioni di CG- Concezione ristretta

AUTORI DEFINIZIONE DI CORPORATE

GOVERNANCE - Concezione ristretta Shleifer A. e Wishny R. W. (1997), A Survey of

Corporate Governance, in The Journal of Finance, 52, n.2

Corporate governance deals with the way in which suppliers of finance to corporations assure themselves of getting return on their investments.

Solomon A. e Solomon J. (2007), Corporate Governance and Accountability, p.14, John Wiley & Sons Ltd, Chichester

Corporate governance is defined as the system of checks and balances, both internal and external, which ensures the companies discharge their accountability to all their stakeholders and act in a socially responsible way.

Monks A.G. e Minow N., Corporate

Governance (2008), p.1, John Wiley & Sons Ltd, Chichester

Corporate governance involves the interplay of three constituencies, the shareholders, the board of directors, and the executive management.

Macey J. (2008), Corporate Governance, Promises Kept Promises Broken, Introduction, Princeton University Press, Princeton

The purpose of corporate governance is to persuade, induce, compel and otherwise motivate corporate managers to keep the promises they make to investors. Good corporate governance, then, is simply about keeping promises.

Fonte: elaborazione propria

In un quadro di riferimento teorico dove non si assumono come “stakeholder meritevoli di tutela” solamente gli azionisti e dove aumenta la complessità delle modalità di gestione del governo dell’impresa, la concezione di corporate governance tende ad avere un significato più ampio (IV quadrante della matrice rappresentata in Figura 1.1).

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Tale accezione è riconducibile alle imprese dotate di una struttura azionaria concentrata, contraddistinte solitamente da uno o più azionisti di controllo.

La corporate governance intesa in senso ampio, perfettamente antitetica all’accezione in senso stretto della stessa, evidenzia l’importanza dell’instaurare rapporti di equilibrio con la restante compagine di stakeholder, dalla quale l’impresa attinge consensi e ricompense. Concentrarsi solamente sulla creazione di valore per gli azionisti potrebbe portare, nel lungo periodo, alla progressiva delusione delle aspettative di coloro che sono legati all’azienda da una relazione di tipo contrattuale avendo come conseguenza un impatto negativo sulle performance aziendali. Il concetto di corporate governance si estende anche nell’ottica del “sistema di diritti, processi e meccanismi di controllo istituiti, sia internamente che esternamente, nei confronti dell’amministrazione di un’impresa, al fine di salvaguardare gli interessi degli stakeholders,10 ovvero l’insieme di meccanismi che

esercitano un’influenza rilevante sull’allocazione del potere di direzione e governo di un’impresa”.11

Secondo tale impostazione, quindi, è errato ricondurre le strutture e i meccanismi della corporate governance (seconda dimensione della matrice illustrata in Figura 1.1) al solo organo collegiale CDA, bensì è opportuno concentrarsi sulle molteplici variabili interne (quali oltre al CDA, i sistemi di controllo, i sistemi retributivi…) e su variabili esterne (Consob, Società di Revisione…).

10 Lanoo K. (1995), Corporate Governance in Europe. Report of a CEPS Working Party, p.5 11 Coda V. (1997), Trasparenza informativa e correttezza gestionale: contenuti e condizioni di contesto, pp. 335-336, in AA.VV. Scritti di Economia aziendale in memoria di Raffaele D’Oriano, Cedam, Padova

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La tabella 1.2 della pagina seguente, contiene alcune definizioni di “Governo di impresa” che rientrano nella concezione allargata.

TABELLA 1.2: Definizioni di CG- Concezione allargata

AUTORI DEFINIZIONE DI CORPORATE

GOVERNANCE - Concezione allargata Airoldi G. e Forestieri G. (1998), Corporate

governance. Analisi e prospettive del caso italiano, ETAS, Milano

La nozione di corporate governance è inserita all’interno del più vasto concetto di assetto istituzionale, ovvero di tutti quegli elementi che portano a configurare il sistema dei soggetti di un’impresa, dei loro interessi e dei loro fini, delle regole del gioco in merito a chi ha il diritto e il dovere di governare […].

Daily, Dalton e Cannella (2003), Decades of Dialogue and Data, pag.371, The Academy of Management review, vol. 28, no. 3

Corporate governance is defined as the determination of the broad uses to which organizational resources will be deployed and the resolution of conflicts among myriad participants in organizations.

Huse M. (2005), Boards, Governance and value Creation: The Human Side of Corporate Governance, p.15, Cambridge University Press

Corporate governance is defined as the interactions between coalitions of internal actors, external actors and the board members in directing the value-creation.

Zattoni A. (2004), Il governo economico delle imprese, Egea, Milano

La corporate governance può essere definita come un sistema di checks and balances nel quale tutti i soggetti che operano e

interagiscono nell’impresa hanno la possibilità di vedere efficacemente tutelati i propri interessi, assicurando al contempo che il controllo sia allocato con l’efficienza. Organisation for Economic Co-operation and

Development (OECD) 1999, Principles of corporate governance, p. 7.

The corporate governance is a set of a relationships between a company’s

management, its board, its stakeholders, and other stakeholder.

Corporate governance also provides the structure through which the objectives of the company are set, and the means of attaining

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those objectives and monitoring performance are determined.

Good corporate governance should provide proper incentives for the board and

management to pursue objectives that are in the interests of the company and its

shareholders and should facilitate monitoring. Fonte: Elaborazione propria

Alla luce di quanto analizzato ed espresso finora, il termine “corporate

governance” viene talvolta utilizzato in accezioni sensibilmente differenti al fine di adeguarsi alle diverse realtà aziendali e contesti storico-sociali che sono oggetto specifico di ricerca.12

1.2 L’evoluzione storico-culturale della corporate governance

Il tema concernente la corporate governance è da sempre oggetto di dibattito per studiosi, imprenditori, manager che si interrogano sul - CHI possa rappresentare il soggetto più indicato al governo dell’impresa e sul - COME dovrebbe essere gestita l’attività della stessa.

L’origine del dibattito risale alla metà del diciannovesimo secolo, periodo in cui, nel contesto anglosassone, si manifesta l’esigenza di introdurre nuove forme societarie: la società a responsabilità limitata.13

Tale necessita è verosimilmente legata ad un’economia fortemente in espansione a cui si ricollega un ingente bisogno di capitali, per cui risulta essenziale la creazione

12 Melis A. (2002), Creazione di valore e meccanismi di Corporate Governance, p.117, Giuffrè Editore, Milano

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di uno strumento che permetta di raccogliere le fonti di finanziamento opportune mediante il coinvolgimento di più investitori per un unico progetto.

A tal fine, il primo passaggio da compiere per far sì che la partecipazione al capitale di rischio dell’impresa sia maggiore, è conferire ai futuri soci la cosiddetta responsabilità limitata all’ entità di capitale apportato.14

Precedentemente, ai creditori veniva concessa la possibilità di avvalersi, in caso di insolvenza di una società, del patrimonio dei soci e dei loro familiari riducendo così il loro interesse nel contribuire alla nascita di un’impresa visti i rischi connessi. Agli inizi del ventesimo secolo, un ulteriore evento segna profonde modifiche nei mercati anglosassoni e statunitensi: la nascita delle Borse valori e la quotazione in borsa da parte di alcune imprese inglesi e americane.15

Il meccanismo borsistico consente la creazione di aziende di notevoli dimensioni con conseguente ampiezza del numero dei soci e, d’altro canto, riduce il legame tra coloro che apportano il capitale di rischio (gli azionisti) e coloro che si occupano della gestione dell’impresa (il team manageriale). 16

La frammentazione della proprietà comporta un minor interesse dei piccoli azionisti nella partecipazione alla vita aziendale; è il manager la persona a cui viene attribuito il diritto di controllo ossia il potere di prendere le decisioni fondamentali riguardanti la gestione dell’impresa. Ai soci resta in capo il diritto al godimento del rendimento residuale, la porzione di utile che viene distribuita sottoforma di dividendo se, e solo se, sono stati remunerati in maniera congrua tutti gli altri fattori produttivi.

14 Zattoni A., Assetti Proprietari e Corporate Governance, p.8, Egea, 2006 15 Zattoni A., Assetti Proprietari e Corporate Governance, p.8, Egea, 2006 16 Zattoni A., Assetti Proprietari e Corporate Governance, p.8, Egea, 2006.

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Tale fenomeno riguardante la separazione tra proprietà e controllo è la caratteristica peculiare delle public companies, le società ad azionariato diffuso, che negli anni Novanta, costituiscono una delle forme societarie maggiormente utilizzate nei contesti anglosassoni e statunitensi.17

La mancata comunanza tra proprietari e manager spinge gli esperti ad interrogarsi sulla governance delle imprese; il punto focale del dibattito è l’eventuale conflitto di interessi tra le due parti. È, infatti, ragionevole ipotizzare che nel perseguire obiettivi differenti, ciascuna categoria miri preordinatamente al soddisfacimento del proprio: “gli azionisti sono interessati a soddisfare una aspettativa di rendimento, il management è sensibile alle opportunità di potere e di rendita che la sua posizione offre.”18 In altre parole, la compagine sociale cerca di massimizzare il ritorno del

proprio investimento, mentre il team manageriale punta ad una più alta funzione di utilità. 19

Adam Smith, nella sua opera “La ricchezza delle nazioni”, sottolinea la difficoltà del manager di perseguire la creazione del valore di una società con la stessa diligenza, controllo e attenzione che caratterizzerebbero il modus operandi di un proprietario. La negligenza e l’egoismo prevarrebbero sul buon senso.20

Il potenziale conflitto interno tra proprietà e controllo viene successivamente ripreso in numerosi studi, uno dei primi è attribuibile agli autori Berle e Means che, agli inizi degli anni Trenta, analizzano l’assetto proprietario delle più grandi realtà societarie

17 Zattoni A., Assetti Proprietari e Corporate Governance, p.9, Egea, 2006

18 Airoldi G., Forestieri G. (1998), Corporate Governance, analisi e prospettive del caso italiano, p.5, Etas, Milano

19 Airoldi G., Forestieri G. (1998), Corporate Governance, analisi e prospettive del caso italiano, p.5, Etas, Milano

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degli Stati Uniti.21 Le imprese oggetto di analisi empirica operano nel settore

industriale, ferroviario e dei servizi pubblici. Il risultato della ricerca evidenza che in tali società il capitale azionario è estremamente frammentato: il primo azionista detiene meno dell’1% del capitale sociale (precisamente lo 0.34 per cento nella Pennsylvania Road, lo 0.70 per cento nell’American Telephone & Telegraph e lo 0.90 per cento nella Steel co.) 22.

Tale studio dimostra, inoltre, che il frazionamento della struttura azionaria caratterizza anche le imprese statunitensi di minori dimensioni. Si può ragionevolmente sostenere che nelle public companies il governo dell’azienda è nelle mani dei manager; come precedentemente affermato, gli azionisti, data la ridotta porzione di capitale sociale, sono poco o per nulla interessati alle dinamiche dell’impresa. 23

Il focus degli studi sulla corporate governance si sposta, quindi, sui ruoli e sui comportamenti del management.

Negli anni Sessanta, nascono le prime teorie manageriali che rigettano la concezione imprenditoriale per cui l’attività d’impresa debba essere condotta nell’ottica della massimizzazione del profitto; tale obiettivo viene sostituito, per lo meno nelle società ad azionariato diffuso, con la massimizzazione della funzione di utilità dei massimi dirigenti aziendali. 24 Il libero arbitrio di questi ultimi non è tuttavia

illimitato: l’operato degli stessi è vincolato al raggiungimento di un discreto profitto

21 Berle, Means (1932), The Modern Corporation and the Private Propert, pp.8-9, Commerce Clearing House, New York

22 Berle, Means (1932), The Modern Corporation and the Private Property, pp. 8-9, Commerce Clearing House, New York. 2

23 Zattoni A., Assetti Proprietari e Corporate Governance, pp.9-10, Egea, 2006

24 Baumol W. (1959), Business behavior, value and growth, New York: Macmillan, Williamson O. (1964), The economics of discretionary behavior: managerial objectives in a theory of the firm, Englewood Cliffs, N.J., Prentice-Hall.

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che permetta la distribuzione dei dividendi agli azionisti (il pagamento dei dividendi assume un’importanza notevole in quanto costituisce un segnale di buon andamento della gestione aziendale che, non solo si chiude con un utile di esercizio, ma esso può essere altresì distribuito), il finanziamento degli investimenti necessari alla crescita della società (suddetta operazione denota una non stazionarietà delle condizioni aziendali e conseguentemente, porta l’Azionista ad apprezzare le strategie messe in atto dall’Alta Direzione) e la difesa della reputazione aziendale presso le banche (conservare una buona immagine presso le banche è uno degli indici rappresentanti la solvibilità di una società)25.

A tale teoria corrisponde il nome di Capitalismo Manageriale: un sistema dominato dall’Alta Direzione, vero soggetto economico delle grandi imprese, a cui si sottopone il controllo dell’intero operato aziendale.26

Il management appare suscettibile all’accrescimento del proprio prestigio, della propria sicurezza e del proprio ritorno economico, sovente in contrasto con la volontà della compagine sociale. Per tali ragioni, egli può dar vita ad iniziative che portino ad un drenaggio di valore a carico degli azionisti; per esempio, per accrescere il proprio successo, può decidere di effettuare operazioni di acquisizione non necessarie per il bene dell’azienda oppure vincolare quest’ultima a sé stesso in modo tale da esserne indispensabile. 27

25 Zattoni A., Assetti Proprietari e Corporate Governance, pp. 65-70, Egea, 2006.

26 Chandler A. (1977), The Visible Hand: the Managerial Revolution in American Business, p.10, Harvard University, London

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Sempre negli anni Sessanta, nascono, tuttavia, diverse teorie volte a scongiurare il problema dell’agenzia che si esplicita nella relazione tra Azionista e Management mediante l’individuazione di meccanismi di tutela.

Secondo la prospettiva denominata “Shareholder model”28 , due sono i fondamentali

meccanismi di controllo:

il mercato per il controllo societario (market for corporate control): ha la funzione di attribuire il controllo dell’impresa a chi ne attribuisce maggior valore. Nel caso in cui un’impresa presenti potenzialità inespresse per via di una cattiva gestione da parte del manager, i soci, insoddisfatti, potrebbero procedere ad una svendita delle loro azioni sul mercato. Tale operazione avrebbe come effetto una diminuzione del prezzo della singola azione con conseguente ampliamento del numero di investitori. Questi ultimi, divenuti soci, procederebbero con l’immediata sostituzione del Manager, causa del minor valore dell’azienda in questione. Il fenomeno del “market for corporate control” è maggiormente frequente nelle imprese dove la proprietà si concentra nelle mani di una moltitudine di persone, quindi nelle cosiddette public companies e dove la legislazione non pone limiti all’attuazione di scalate ostili.

È proprio in questi contesti che il controllo della società può essere perso “senza necessità, né di un atto di consenso da parte di chi il controllo esercita,

28 Gamble A., Kelly G. (2001), “Shareholder Value and the Stakeholder Debate in the UK”, pp. 100-177 Corporate Governance, n. 9

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né di una revisione di precedenti accordi strategici, bensì attraverso l’acquisto sufficiente di diritti di voto” 29;

➢ il mercato del lavoro manageriale secondo cui vige la possibilità che i membri del CDA possano essere sostituiti con amministratori sia interni che esterni alla società.

La Shareholder model si basa sull’assunto dell’efficienza dei mercati a cui fa seguito una perfetta corrispondenza tra prezzo dell’azione espresso sul mercato borsistico e valore delle performance aziendali.

Il dibattito sulla corporate governance continua negli anni Settanta quando diversi avvenimenti catturano l’attenzione degli studiosi e dell’opinione pubblica in ogni parte del mondo.

Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, in particolare, crea scompiglio la pubblicazione di una ricerca empirica svolta da Myles L. Mace nel 1971 avente per oggetto la composizione e il funzionamento dei CDA delle grandi imprese. Il focus si sposta, quindi, sul ruolo di uno degli organi più importanti del governo di impresa, a cui è delegata la gestione della stessa da parte dell’assemblea dei soci. 30

Lo studio precedentemente citato viene svolto intervistando più di cento Chief Executive Officier (CEO), tra i quali presidenti e membri dei Board delle società quotate statunitensi; il risultato evidenzia particolari caratteristiche insite in tale organo che ne compromettono l’efficacia nello svolgimento delle funzioni.31

29 Barca F. (1993), Allocazione e riallocazione della proprietà e del controllo delle imprese: ostacoli, intermediari, regole, p. 46, Banca d’Italia, Temi di discussione, n.194

30 Mace M.L. (1971), Directors: Myth and Reality, Introduction, Harvard Business School Press 31 Mace M.L. (1971), Directors: Myth and Reality, Introduction, Harvard Business School Press

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I board analizzati sono completamente passivi e dominati dal Management; inoltre, i consiglieri, vengono selezionati dall’amministratore delegato all’interno di una ristretta cerchia di persone. I criteri di nomina vertono sulla loro carriera e sul prestigio professionale (da tali peculiarità, deriva l’appellativo conferito ai consiglieri di amministrazione di ornaments on a corporate Christmas tree), sulle relazioni d’affari instaurate con l’azienda, sul grado di conoscenza e parentela con l’Alta Direzione.32

Una simile composizione del CDA ne pregiudica il corretto funzionamento; l’attribuzione dell’incarico non basata su competenze e conoscenze specifiche dei neo-addetti, porta ad una mancanza di professionalità degli stessi.33

Dall’analisi condotta da Myles L. Mace, si denota una somiglianza tra i board oggetto di ricerca e gli old boys club, gruppi di persone per lo più anziane dove vi è una conoscenza diretta dei partecipanti.

L’efficienza del principale organo collegiale risulta, così, compromessa da una mancanza di controllo attivo da parte di ciascun consigliere, da un tessuto di relazioni governato da un’intensa fiducia reciproca, da meccanismi di routine che ostacolano obiettivi di miglioramento della gestione aziendale.

Nello scenario statunitense, si assiste, inoltre, ad una maggiore rigidità nel conferimento delle responsabilità ai singoli consiglieri e all’intero CDA in seguito a numerosi fallimenti riferiti a società quotate sul mercato borsistico. Si decide, in via cautelare, di inserire meccanismi di controllo e di fare in modo che nel CDA “si verifichi quell’ideale check-and-balance di poteri, responsabilità e interessi che

32 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, pp.11-12, Egea, Milano 33 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, pp.11-12, Egea, Milano

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assicuri adeguato equilibrio e rappresentanza nelle decisioni chiave prese dal management aziendale in nome e per conto dei proprietari, tanti o pochi che siano”34.

Tra i diversi suggerimenti proposti vi è l’introduzione di un apposito comitato, l’audit commitee, e l’aumento di amministratori indipendenti esterni.35

La funzione del comitato di controllo, secondo il Codice di Autodisciplina Italiano36,

consiste nell’offrire supporto alle decisioni e alle valutazioni del CDA in materia di gestione dei rischi e del controllo interno nonché il compito di rendere veritieri e credibili i bilanci della società.37 A tal fine, è opportuno che esso sia composto

prevalentemente da amministratori esterni ed indipendenti. L’incremento di questi ultimi, inoltre, si pone fondamentale per sopperire alla mancanza o semplicemente diminuzione di autonomia di giudizio nel processo decisionale.

Sempre negli anni Settanta, in Europa, il punto focale risulta essere l’armonizzazione del diritto societario a livello comunitario.

La Comunità Economica Europea (CEE) propone la quinta direttiva (1972), secondo la quale il modello da adottare nella configurazione del CDA in ogni Stato Membro, è il sistema amministrativo dualistico (il tema relativo ai diversi sistemi di governance sarà trattato nel paragrafo 1.5 del presente elaborato).

34 Minichilli A. (2014), Dieci anni di corporate governance: Cosa sappiamo e cosa no (ma

dovremmo sapere) sul governo delle imprese, Introduzione, Economia & Management, rivista SDA Bocconi.

35 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, p.13, Egea, Milano

36https://www.borsaitaliana.it/comitato-corporate-governance/codice/2018clean.pdf

37 Rapporto sul Codice di Autodisciplina redatto dal Comitato per la corporate governance delle società quotate disponibile al link

https://www.borsaitaliana.it/comitato-corporate-governance/codice/1999.pdf?fbclid=IwAR0XjOGqSTxcGzs4p4IdKMFIIkkXfLIkblSEvtUr5YbSJUxnd VkM0Q-qv8E, pp.43-47

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L’omogeneizzazione della disciplina sulla corporate governance mira alla creazione di un mercato comune dove la circolazione dei capitali è notevolmente facilitata; nonostante tale vantaggio, l’opposizione di alcuni Paesi (come la Gran Bretagna) ne impedisce l’applicabilità.

Nel contesto internazionale, cresce l’importanza assunta dalla prospettiva rappresentata dallo “stakeholder model” 38 la quale si concentra sul soddisfacimento

e sul rispetto dei diritti di una più ampia quantità di portatori di interessi, quali fornitori, collettività, istituti di credito, Stato, clienti, finanziatori.

L’obiettivo dell’impresa è la creazione di valore per una pluralità molto più vasta di soggetti rispetto ai soli azionisti che porterà, nel medio-lungo periodo, anche ad un ritorno economico maggiore per la categoria “shareholder”.

Il dibattito sulla corporate governance subisce un temporaneo arresto negli anni Ottanta quando si ritorna, soprattutto nei Paesi anglosassoni e statunitensi, a privilegiare la concezione aziendalistica - liberista per la quale l’attività di impresa deve essere condotta in un’ottica di massimizzazione del profitto. Gli azionisti rappresentano nuovamente i soggetti a cui deve essere rivolta l’attenzione degli amministratori.39

Gli assetti proprietari vengono sconvolti da un’ondata di importanti privatizzazioni da parte di grandi imprese pubbliche operanti nei settori trainanti l’economia (quali: il settore di servizi di pubblica utilità, il settore ferroviario, il settore del trasporto aereo), prima soggetti ad una rigida regolamentazione statale.40

38Freeman R.E. (1984)., Strategic Management: A Stakeholder Approach., p.18, Pitman, Boston 39 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, pp. 15-16, Egea, Milano 40 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, p.14, Egea, Milano

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Nei paesi industrializzati, si assiste, nuovamente, ad un progressivo aumento di scandali finanziari che coinvolgono altresì prestigiosi istituti di credito; viene evidenziato un collegamento tra suddetta acutizzazione e l’utilizzo di pratiche contralegem impiegate da membri dei CDA e imprenditori.41

Le principali accuse rivolte agli amministratori e ai top manager hanno come oggetto reati e attività societarie scorrette che portano l’opinione pubblica a reinterrogarsi sulle modalità di governo delle aziende, in particolare, sulla composizione e sul funzionamento del board.

Il risultato che emerge dall’analisi del CDA delle società vittime di azioni illegali, è l’eccessiva pressione del top management e dell’amministrazione delegato sulle decisioni prese da tale organo. I possibili rimedi per ripristinare l’efficacia e l’efficienza nelle funzioni svolte dal CDA sono i medesimi proposti il decennio precedente (l’introduzione di comitati di controllo e l’ampiamento del numero di amministratori indipendenti esterni) con l’inclusione della separazione della cosiddetta CEO duality, quando la persona dell’amministratore delegato coincide con la figura del presidente.42

Gli anni Ottanta sono contraddistinti da ulteriori eventi che impattano sul modo di concepire oggi la corporate governance:

➢ il mercato statunitense perde competitività rispetto a quello tedesco e giapponese; le cause di tale declino sono riconducibili a fattori macroeconomici quali:

41 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, pp. 14-15, Egea, Milano 42 Finkelstein S., R. A. D’Aveni (1994), CEO Duality as a Double-Edged Sword: How Boards of Directors Balance Entrenchment Avoidance and Unity of Command, Abstract, Academy of Management Journal

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l’elevato costo del capitale,

la scarsa efficacia nei sistemi di controllo interno,

l’eccessiva enfasi sui sistemi di ricompensa che collegano la retribuzione dei manager alla performance aziendale nel breve termine,

la pressione del mercato finanziario verso la pubblicazione di brillanti risultati aziendali a ogni trimestre;43

➢ aumenta il numero delle acquisizioni ostili nelle realtà societarie contraddistinte da una struttura azionaria fortemente frammentata; se da un lato alcuni studiosi sono favorevoli ad operazioni di questo tipo perché considerate come un ottimo strumento per disciplinare il management, dall’altro, la restante parte sostiene che siano una conseguenza dell’eccessiva pressione del mercato finanziario;44

➢ crescono le retribuzioni dei top management e degli amministratori delegati nelle public companies, spesso non connesse con un andamento positivo delle performance;45

➢ le imprese di grandi e piccole dimensioni sono coinvolte in un processo di downsizing (riduzione della dimensione aziendale) che, come conseguenza, porta ad una diminuzione del personale, soprattutto dell’Alta Direzione.46

La disciplina della corporate governance, nel decennio successivo, diventa oggetto di studio e di interesse non solo per gli studiosi appartenenti al mondo accademico e gli uomini d’affari, ma acquista una certa importanza anche sul versante politico.

43 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, p. 17, Egea, Milano 44 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, p. 17, Egea, Milano 45 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, p.18, Egea, Milano 46 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, p.18, Egea, Milano

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Un primo avvenimento che sconvolge l’opinione pubblica è la caduta del regime sovietico a cui segue una nuova concezione del ruolo dello Stato nell’economia: da controllore e regolatore a garante della libera iniziativa privata.47

Il dibattito degli accademici si sposta su come gestire al meglio il passaggio da un’economia pianificata a livello statale ad un’economia fondata sul libero mercato, al fine di garantire a quest’ultima efficacia ed efficienza.

Nello scenario europeo, ma anche e soprattutto italiano, nel corso degli anni Novanta, si assiste ad un’ondata di privatizzazioni, “processo economico e giuridico di trasferimento di un’attività dal regime di diritto pubblico a quello di diritto privato.”48

In Italia, suddette operazioni avvengono mediante la modalità OPV (Offerta Pubblica di Vendita), strumento attraverso il quale lo Stato offre le azioni di una data società sul mercato; non si verifica, quindi, un apporto di nuova finanza offrendo in borsa azioni di nuova emissione ma solamente un cambiamento nella compagine sociale. La discussione sulla governance, in questo caso, non si concentra solamente sulla funzione statale ma anche sul più idoneo assetto proprietario che le imprese privatizzate devono adottare. Molto spesso, in tali realtà, il socio pubblico continua comunque a detenere un ruolo determinante, rendendo così l’operazione di privatizzazione solamente formale dal punto di vista della governance, ma non sostanziale. 49

La compagine sociale è ulteriormente modificata dall’ingresso degli investitori istituzionali, che, in quegli anni, assumono una rilevanza crescente nelle realtà

47 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, p.19, Egea, Milano 48 Definizione di “Privatizzazione” proposta dall’Enciclopedia Treccani.

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societarie apportando competenze e conoscenze, il cosiddetto capitale relazionale, all’interno delle stesse.50Tali soggetti sono alla ricerca continua di nuovi mercati

dove investire i propri risparmi e questo aspetto contribuisce alla creazione di un mercato di capitali globale; inoltre, dal lato della domanda, anche le grandi imprese, si rivolgono ai mercati internazionali per avere maggiori opportunità di finanziamento.

Un notevole passo in avanti in materia di governo delle imprese è l’introduzione dei Codici di Autodisciplina a seguito di nuovi scandali societari e fallimenti avvenuti agli inizi degli anni Novanta. Suddetti documenti rappresentano una formalizzazione delle migliori prassi in materia di governo societario; l’adesione alle stesse, da parte delle aziende non è obbligatoria. Tra i più significativi si ricordano:

il codice Cadbury, pubblicato nel 1992, in Inghilterra, da Adrian Cadbury da cui prende il nome; è il primo e come tale, il più importante rapporto in materia di corporate governance51;

il rapporto della commissione Vienot, documento guida per le società quotate francesi, risalente al 1995, curato dal Conseil National du Patronat Français e dall’Association Française des Entreprises Privées52;

le linee guida proposte nel 1994 dal Toronto Stock Exchange53;

il King Report, emanato nel 1994 in Sud Africa dall’organismo King Commitee on Corporate Governance 54;

50 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, p.20, Egea, Milano

51 Si veda il documento Committee on the Financial Aspect of Corporate Governance, 1992 52 Si veda il documento Conseil National du Patronat Français e Association Française des Entreprises Privées (1995)

53 Si veda il documento The Toronto Stock Exchange Commitee on Corporate Governance in Canada (1994)

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➢ il Codice Preda delle società quotate, redatto nel 1999 in Italia dal Comitato per la corporate governance e promosso da Borsa Italiana.55

I codici di autodisciplina appena elencati, seppur in taluni aspetti molto diversi tra di loro, presentano delle caratteristiche comuni: il ruolo centrale degli amministratori esterni all’interno del CDA, la non comunanza della persona dell’Amministratore Delegato con la figura del Presidente, la necessaria introduzione di Comitati di controllo.56

Nonostante l’introduzione degli stessi, si registra nuovamente, negli anni 2000, un numero considerevole di scandali finanziari e societari riguardanti aziende di grosse dimensioni (ricordiamo, ad esempio, il caso Parmalat, Cirio…) che, come effetto diretto, porta ad una diminuzione degli investimenti nei confronti dei grandi colossi industriali da parte dei piccoli risparmiatori.57

La principale conseguenza derivante dagli eventi sopraccitati è un irrigidimento delle normative in tema di governo delle imprese. Negli Stati Uniti, nel 2002, viene prontamente pubblicato il Sarbanes-Oxley-Act, legge federale applicabile nelle società quotate del medesimo Paese.58

In Italia, il processo di riforma avviene con maggiore lentezza e si conclude con l’emanazione della Legge 28 Dicembre 2005 n. 262 (nota come la Legge sul Risparmio)59.

55 Si veda Glossario Finanziario - Codice Preda- fonte Borsa Italiana

56 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, p. 253, Egea, Milano 57 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, p.23, Egea, Milano 58 Si veda il documento Sarbanes-Oxley-Act 1992

59 Legge 28 dicembre 2005, n. 262: Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari - CONSOB

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1.3 Il ruolo del CDA nel sistema di governo delle imprese

“Il dibattito sulla corporate governance si è tradizionalmente concentrato, in Italia come in altri paesi, sul ruolo del consiglio di amministrazione (CDA, o anche board of directors), e sulle caratteristiche del board che dovrebbero garantirne l’efficacia nello svolgimento dei suoi vari compiti.” 60

L’attività di impresa si svolge nell’interesse di una pluralità di stakeholders che, apportando risorse e concedendo consensi, acquisiscono il diritto di far parte dell’area del soggetto economico, da cui promanano le decisioni di governo dell’azienda.

Coinvolgere un elevato numero di soggetti nel procedimento decisorio risulterebbe difficile e poco efficace; è per tale motivazione che si procede alla creazione di differenti organi rappresentativi degli interessi delle varie parti: l’assemblea degli azionisti, il CDA, il collegio sindacale.

La funzione del CDA si può riassumere nel binomio “check and balance”: esercitare, quindi, il controllo delle attività svolte all’interno dell’azienda e fungere da collegamento tra i vari soggetti appartenenti ad essa.

Il suo ruolo nel processo di governo dell’azienda è disciplinato dal Codice civile, in particolare dall’articolo 2380-bis dello stesso: la gestione dell’impresa spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale.

Le funzioni attribuite al suddetto organo collegiale, secondo studiosi ed economisti, possono essere così suddivise:

60 Minichilli A. (2014), Dieci anni di corporate governance: Cosa sappiamo e cosa no (ma

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➢ funzione strategica, ➢ funzione di controllo,

➢ funzione di gestione dell’ambiente.61

Il CDA, secondo la prima delle funzioni precedentemente esposte, ha il compito di contribuire alla formulazione della strategia aziendale. Il coinvolgimento dello stesso nel processo decisionale strategico è fondamentale per raggiungere, sul mercato, un florido posizionamento competitivo. In taluni casi, gli amministratori si limitano a definire l’orientamento strategico di fondo che l’impresa deve seguire nel medio-lungo periodo, mentre in altri, esercitano un ruolo decisamente più attivo delineando, insieme al Management, la strategia aziendale sia a livello corporate che business.62

Il metodo da seguire nella definizione di quest’ultima prevede la collaborazione di diversi soggetti: ai vertici aziendali spetta il compito di deliberare la strategia, quest’ultima però diverge da quella che sarà oggetto di realizzazione. Di fatti, i manager, nell’implementazione della stessa, possono apportare piccole modifiche che contribuiscono a delineare la strategia realizzata dall’azienda.

Sulla base di quanto esposto, il CDA non è il solo organo preposto alla formulazione della strategia aziendale e, per tanto, non può essere considerato il solo responsabile. Gli studi in materia hanno infatti dimostrato che, seguire un approccio top-down nella definizione della stessa, non è del tutto realistico in quanto:

➢ gli organi di vertice sono influenzati dalla moltitudine di interessi che in essi convergono;

61 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, pp.255-256, Egea, Milano 62 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, pp.257-258, Egea, Milano

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➢ i manager di livello gerarchico inferiore risultano esclusi dal processo strategico;

➢ i soggetti non sono dotati di piena razionalità con conseguente impossibilità nel redigere un piano strategico valido e ottimale.63

Il CDA si prepone di delineare il contesto strategico di riferimento e di contribuire alla formulazione della strategia supportando i manager e fornendo loro informazioni chiave e suggerimenti. Ad esso spetta, inoltre, la definizione della mission aziendale (la filosofia che ispira l’impresa nel compimento delle varie scelte strategiche) e dei principi guida al fine di orientare il comportamento di tutti i soggetti al raggiungimento di un unico obiettivo.

A tal riguardo, esso valuta in particolare l’operato del Management stabilendo quando la pianificazione della strategia, da parte di quest’ultimo, è coerente con l’orientamento di fondo dell’azienda.

Per poter svolgere al meglio questa funzione, possono costituirsi, all’interno del board:

➢ appositi comitati esecutivi composti esclusivamente da Top Management. Ad essi viene concessa la possibilità di decidere autonomamente, previa approvazione del CDA, sulla definizione di proposte con risvolti di notevole importanza per l’azienda. La stretta relazione tra l’organo amministrativo e il Top Management si evince, anche e soprattutto, dalla modalità di nomina dello stesso: è il board che si occupa di selezionare tali figure. È, quindi, il CDA l’organo preposto alla scelta dei soggetti che compongono il vertice

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della piramide manageriale e che supportano l’amministratore delegato nelle decisioni da intraprendere; 64

➢ un comitato di audit strategico, a cui corrisponde il compito di esaminare l’adeguatezza della strategia elaborata; per una maggiore obiettività di giudizio, tale organo è spesso composto da amministratori esterni che si riuniscono con periodicità biennale. 65

Contribuire al processo decisionale strategico per il board significa, inoltre, determinare i parametri di valutazione delle performance aziendale; attraverso la fissazione degli stessi, esso indirizza il comportamento del Management verso obiettivi coerenti con quanto deciso nei piani strategici pluriennali.

A tal proposito, il CDA deve preoccuparsi che l’Alta Direzione orienti il proprio operato al fine di creare valore per gli azionisti (se si prende in considerazione la concezione ristretta di corporate governance) o miri al soddisfacimento degli interessi di una più ampia categoria di stakeholders (secondo la accezione allargata).

Il CDA può proporre l’introduzione di particolari meccanismi per far sì che le retribuzioni manageriali siano collegate alla massimizzazione del ritorno economico delle controparti; per esempio, può inserire piani di incentivazione azionaria al fine di allineare gli interessi manageriali a quelli degli shareholders.

La responsabilità riguardante la gestione aziendale è sotto il vigile controllo dell’organo amministrativo che deve supervisionare sulla correttezza di quanto

64 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, pp.260-261, Egea, Milano 65 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, pp.260-261, Egea, Milano

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svolto dai manager e procedere a sanzionare quei comportamenti che si presentano non in linea con l’obiettivo da perseguire.

Nell’ipotesi in cui si verifichino casi gravi a tal punto da incorrere nell’illegalità e quando le performance dell’azienda sono così negative da comprometterne la continuità, è possibile sostituire alcuni membri della compagine manageriale, in particolare la figura dell’Amministratore Delegato.

Per far sì che ciò non si verifichi e affinché venga garantito un efficace ed efficiente controllo sull’Alta Direzione, il board deve indire riunioni periodiche in modo da raccogliere una quantità sufficiente di informazioni per adempiere al proprio compito.

La valutazione dei manager insieme a quella relativa ai sistemi di controllo interno, rappresentano le attività chiave che caratterizzano la funzione di controllo attribuita all’Organo amministrativo.

I sistemi di controllo interno comprendono sia quelli strategici che quelli operativi. Per controllo strategico si intende:

➢ lo svolgimento di un’accurata analisi dell’ambiente esterno al fine di accertare che sussistano quelle condizioni necessarie per garantire l’implementazione della strategia (controllo ex ante);

➢ la verifica del raggiungimento degli obiettivi predisposti nella stessa (controllo ex post).66

L’efficienza nella gestione delle risorse nei vari centri di responsabilità, il monitoraggio delle attività e delle performance riferite alle aree strategiche d’affari

66Potito L. (2019), Pianificazione e controllo di gestione. Principi e strumenti, Giappichelli Editore,

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dell’azienda, l’analisi degli scostamenti tra i valori programmati e i valori finali rappresentano le principali operazioni in materia di controllo operativo. È importante che quest’ultimo non sia solamente a carattere consuntivo ma è opportuno che venga svolto anche a livello preventivo ipotizzando eventuali cambiamenti nello scenario futuro a cui l’azienda è esposta.

Per svolgere la funzione di controllo, il CDA deve disporre di un bacino di informazioni piuttosto elevato: lo strumento più idoneo, in tal senso, è il budget d’esercizio.67

Infine, all’organo amministrativo spetta il compito di gestire i rapporti con gli stakeholders che si interfacciano con l’azienda. Essa è, di fatti, “un sistema aperto e interattivo in continuo interscambio con il proprio ambiente; intrattiene, cioè, una fitta rete di relazioni con gli altri attori del mondo economico e sociale…è lo snodo centrale di un complesso di flussi materiali, informativi e finanziari verso l’esterno e dall’esterno, è il centro di convergenza di esigenze ed aspettative in molti casi tra loro divergenti”.68

Il CDA si pone, quindi, come mediatore tra l’impresa e il contesto esterno.

La funzione di gestione dell’ambiente si esplicita nel garantire all’azienda le risorse critiche necessarie all’implementazione dei processi produttivi e nel legittimare la stessa nei confronti degli stakeholders più importanti. Alcuni di questi vengono invitati a far parte dell’organo amministrativo in modo tale da consentire all’azienda l’accesso ai fattori indispensabili di cui sono portatori.69

67 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, p.260, Egea, Milano

68 Galeotti M., Garzella S. (2009), Governo strategico dell’azienda, p. 9, Giappichelli Editore, Torino 69 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, p.261, Egea, Milano

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Alla luce di quanto analizzato, il CDA deve prendere in considerazione la cosiddetta teoria della “Stakeholders Perspective”70 e mirare a costruire solide ed eque

relazioni con tutti gli interlocutori. Tale scopo è raggiungibile, ad esempio, tramite le seguenti operazioni:

la creazione di un comitato per la tutela dell’ambiente; la redazione di un bilancio sociale;

la costituzione dei rapporti di partnership con i principali fornitori e clienti dell’impresa.71

Nonostante l’attenzione verso una moltitudine di portatori di interesse, come ampiamente discusso, il CDA ha doveri fiduciari solamente nei confronti degli azionisti e secondo alcuni economisti, esso dovrebbe procedere al soddisfacimento dei restanti stakeholder solo quando questo comporta un maggiore ritorno economico per la proprietà.72

Momento fondamentale per rendicontare quanto svolto agli shareholders è l’assemblea; al CDA spetta altresì il compito di redigere l’annual report e pubblicare informazioni utili al mercato finanziario sul sito aziendale. Questi strumenti permettono a tutti i soggetti interessati alla gestione della società, di esserne adeguatamente informati.73

70 Freeman, R.E. (1984), Strategic Management: A Stakeholder Approach., Introduction, Pitman, Boston

71 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, p.262, Egea, Milano 72 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, p.262, Egea, Milano 73 Zattoni A. (2006), Assetti Proprietari e Corporate Governance, p.261, Egea, Milano

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1.4 La nascita dei codici di autodisciplina

1.4.1 Una panoramica a livello internazionale

Come brevemente anticipato nel paragrafo 1.2, gli scandali societari alla fine del Novecento e all’inizio del nuovo secolo attirano l’attenzione dell’opinione pubblica in materia di corporate governance. Studiosi, accademici, organi di controllo societari, importanti investitori istituzionali si interrogano sulla possibilità di invertire la rotta e considerare, un buon sistema di corporate governance, uno strumento fondamentale per migliorare il processo aziendale nell’ottica di creazione di valore per le imprese.74

Nascono, così, i cosiddetti Codici di Autodisciplina (denominati anche Codici di autoregolamentazione e Code of best practice). Con tale espressione si intende “un rapporto in cui vengono stabilite delle raccomandazioni, solitamente riferite alle imprese le cui azioni sono quotate in una Borsa Valori, circa i meccanismi e le strutture di corporate governance che rappresentano lo standard di riferimento al quale ogni impresa a cui il codice è indirizzato dovrebbe adeguarsi.”75

Ogni azienda può scegliere autonomamente se adempiere o meno alle suddette disposizioni; il codice, di fatti, non ha forza di legge. L’unico vincolo a cui sono soggette le imprese (in particolare quelle che decidono di non seguire le raccomandazioni del rapporto), è indicare in nota integrativa il motivo di tale scelta (la logica di fondo è di tipo: “comply or explain”).

74 Guatri L. (1991), La teoria di creazione del valore. Una via europea, p.95, Egea, Milano

75 Melis A. (2002), Creazione di valore e meccanismi di Corporate Governance, p.197, Giuffrè Editore, Milano

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L’osservanza delle best practice rappresenta, soprattutto per le società quotate in Borsa, un elemento di differenziazione rispetto alle concorrenti, una sorta di “marchio di qualità”76. Gli stakeholders, di fatti, valutano positivamente le aziende

che decidono di rendere conforme il proprio governo ai principi guida enunciati nei codici.77

L’aderenza a questi ultimi rappresenta, inoltre, un indice di efficacia e di efficienza del sistema di governo aziendale.78

Per le ragioni di cui sopra, una società può aderire al codice di autodisciplina per rafforzare la propria reputazione presso i più importanti stakeholders al fine di conseguire una più alta competitività sul mercato. Tale aspetto viene studiato nella ricerca empirica condotta dalla Commissione Hampel, con lo scopo di analizzare il grado di adempimento delle società britanniche ai codici Cadbury e Greenbury. Lo studio ha evidenziato la conformità, solamente formale, di tali imprese ai principi guida emanati in materia di corporate governance.79 Tuttavia, l’apparente rispetto

delle linee guida, non si traduce in un effettivo miglioramento nella funzionalità degli organi di governo. Infatti, “l’adeguamento, per essere ritenuto valido, è necessario che soddisfi il requisito della sostanzialità e non quello della forma”.80

La notorietà raggiunta con la pubblicazione del rapporto Cadbury, nel 1992, indirizzato alle società quotate inglesi dello stesso periodo, spinge numerosi paesi

76 Molteni M. (1997), I sistemi di corporate governance nelle grandi imprese italiane, p. 67, Egea, Milano

77 Molteni M. (1997), I sistemi di corporate governance nelle grandi imprese italiane, p. 67, Egea, Milano

78 Melis A. (2002), Creazione di valore e meccanismi di Corporate Governance, p.200, Giuffrè Editore, Milano

79 Hampel Report, Committee on Corporate Governance: Financial report, pp 10-11.

80 Melis A. (2002), Creazione di valore e meccanismi di Corporate Governance, p.200, Giuffrè Editore, Milano

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industrializzati a seguire l’esempio della Gran Bretagna.81 Vengono quindi redatti, da

parte di specifici organi composti ad hoc, numerosi codici di autoregolamentazione. Questi ultimi rispecchiano le dissomiglianze relative ai modelli di organizzazione societaria sviluppati dai diversi sistemi economici; ogni Paese possiede uno o più rapporti a cui fare riferimento.

L’approccio seguito nella stesura di tali codici di autodisciplina può essere definito sistematico e innovativo rispetto alla legge e all'evoluzione delle best practice internazionali; ciò comporta un continuo aggiornamento degli stessi: “la corporate governance non è pertanto riconducibile ad un modello unico, esportabile ed imitabile in tutti gli ordinamenti.”82

Nella tabella 1.3 sotto riportata, si menzionano i principali rapporti di autoregolamentazione attualmente adottati nel contesto europeo.

TABELLA 1.3: Codici di Autodisciplina per le imprese quotate in Borsa

PAESE CODICE DI AUTODISCIPLINA ANNO DI ULTIMA

MODIFICA

Regno Unito UK Corporate Governance Code 2018

Francia Apef-Medef Code 2016

Olanda The Dutch Corporate Governance

Code

2016

Spagna Good Governance Code of Listed

Companies

2015

Grecia Hellenic Corporate Governance

Code

2013

Germania German Corporate Governance

Code

2017

81 Melis A. (2002), Creazione di valore e meccanismi di Corporate Governance, p.197, Giuffrè Editore, Milano

82 Rapporto sul Codice di Autodisciplina redatto dal Comitato per la corporate governance delle società quotate disponibile al link

https://www.borsaitaliana.it/comitato-corporate-governance/codice/1999.pdf?fbclid=IwAR0XjOGqSTxcGzs4p4IdKMFIIkkXfLIkblSEvtUr5YbSJUxnd VkM0Q-qv8E

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Italia Corporate Governance Code 2018

Portogallo IPCG Corporate Governance

Code

2018

Austria Austrian Code of Corporate

Governance

2015

Danimarca Recommendations on Corporate

governance

2017

Fonte: elaborazione propria basata sulla tabella presente a pag. 199 in “Creazione di valore e meccanismi di Corporate Governance” a cura di A. Melis aggiornata attraverso le informazioni presenti sul sito: “European Corporate Governance Code Network”.

1.4.2 Il Codice Preda in Italia

La prima versione del codice di autodisciplina italiano risale al 1999. La redazione dello stesso è frutto di una cooperazione tra diversi organismi, quali: il Comitato appositamente costituito da Borsa Italiana Spa, il presidente in carica di tale organo (Stefano Preda, da cui il codice acquisisce la seconda denominazione “Codice Preda”), i principali investitori istituzionali e le più importanti associazioni d’impresa (Assonime, Confindustria, ABI, ANIA e Assogestioni).83

Verso la fine del 1998, la capitalizzazione di borsa italiana è pari, all’incirca, al 50% del Prodotto Interno Lordo (PIL) e quasi il 40 % di investitori è di provenienza estera.84 Da tali dati emerge l’importanza crescente del mercato dei capitali che

acquisisce, sempre più, un’ottica internazionale. L’accesso a quest’ultimo rappresenta, quindi, una variabile fondamentale per l’espansione delle imprese

83http://www.assonime.it/sezioni/corporate/Pagine/Corporate-governance.aspx

84 Rapporto sul Codice di Autodisciplina redatto dal Comitato per la corporate governance delle società quotate disponibile al link

https://www.borsaitaliana.it/comitato-corporate-governance/codice/1999.pdf?fbclid=IwAR0XjOGqSTxcGzs4p4IdKMFIIkkXfLIkblSEvtUr5YbSJUxnd VkM0Q-qv8E

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italiane, dimostrato che con un numero maggiore di investitori stranieri, il costo del capitale si riduce.85

La minimizzazione dello stesso e una più alta competitività a livello globale dipendono, anche e soprattutto, “dall’efficacia e dall’efficienza del sistema di corporate governance delle imprese.”86

La stesura di un Codice di Autodisciplina valido per le società quotate italiane risponde, quindi, all’esigenza di offrire alle stesse “uno strumento capace di rendere ancora più conveniente il loro accesso al mercato dei capitali”.87

Inoltre, l’introduzione di un modello guida a cui ispirarsi per un corretto funzionamento degli organi di governance può portare ad un miglioramento nella gestione dei rischi d’impresa e al moderamento degli interessi tra i principali soggetti aziendali.

Il rapporto Preda viene redatto in modo tale che il suo contenuto sia allineato alla prassi internazionale e, allo stesso tempo rispetti il sistema normativo ed economico italiano. A tal riguardo, “la struttura monistica del CDA, la presenza obbligatoria del collegio sindacale come organo di controllo, la durata non superiore a tre anni degli

85 Rapporto sul Codice di Autodisciplina redatto dal Comitato per la corporate governance delle società quotate disponibile al link

https://www.borsaitaliana.it/comitato-corporate-governance/codice/1999.pdf?fbclid=IwAR0XjOGqSTxcGzs4p4IdKMFIIkkXfLIkblSEvtUr5YbSJUxnd VkM0Q-qv8E

86 Rapporto sul Codice di Autodisciplina redatto dal Comitato per la corporate governance delle società quotate disponibile al link

https://www.borsaitaliana.it/comitato-corporate-governance/codice/1999.pdf?fbclid=IwAR0XjOGqSTxcGzs4p4IdKMFIIkkXfLIkblSEvtUr5YbSJUxnd VkM0Q-qv8E

87 Rapporto sul Codice di Autodisciplina redatto dal Comitato per la corporate governance delle società quotate disponibile al link

https://www.borsaitaliana.it/comitato-corporate-governance/codice/1999.pdf?fbclid=IwAR0XjOGqSTxcGzs4p4IdKMFIIkkXfLIkblSEvtUr5YbSJUxnd VkM0Q-qv8E

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organi sociali, la limitata presenza negli organi amministrativi dei managers rappresentano elementi di cui si deve tener conto”.88

Il codice italiano è dotato di notevole flessibilità per far sì che possa essere applicato alle diverse realtà aziendali presenti in materia di diritto societario nazionale le cui differenze sono riconducibili, principalmente, alla dimensione, alla tipologia di assetto proprietario e alla forma societaria adottati. Risulta composto da dieci articoli di cui sei sono relativi agli amministratori mentre i restanti sono rispettivamente dedicati al sistema di controllo interno e di gestione dei rischi, al collegio sindacale, agli azionisti e infine ai sistemi di amministrazione e controllo. È, quindi, ragionevole sostenere “la centralità del CDA quale organo collegiale alla guida della società”.89

Come precedentemente affermato per i rapporti appartenenti ad altri paesi, l’adesione alle best practice italiane è assolutamente volontaria. Il meccanismo seguito, anche in questo caso, è di tipo “comply or explain”, previsto successivamente dall’articolo 123-bis del Testo Unico della Finanza (TUF)90. È

pertanto necessario che le imprese spieghino le motivazioni della non applicazione, le quali possono essere riconducibili a una moltitudine di fattori, ad esempio, all’incompatibilità degli standard di governance con la situazione giuridica/finanziaria di una data azienda.

Le società che decidono di seguire gli standard previsti dal codice sono tenute ad inserire, nella propria relazione di corporate governance, dettagliate informazioni su

88 Rapporto sul Codice di Autodisciplina redatto dal Comitato per la corporate governance delle società quotate disponibile al link

https://www.borsaitaliana.it/comitato-corporate-governance/codice/1999.pdf?fbclid=IwAR0XjOGqSTxcGzs4p4IdKMFIIkkXfLIkblSEvtUr5YbSJUxnd VkM0Q-qv8E

89 Minichilli A. (2012), Proprietà, Governo e direzione delle imprese, p.111, Egea, Milano

90 Il Testo Unico della Finanza viene emanato nel 1998 con il decreto legislativo del 24 Febbraio; tale documento è stato oggetto di numerose modifiche, la più recente risale al 10 Maggio 2019. (Fonte: sito Consob, http://www.consob.it/web/area-pubblica/storico-modifiche-tuf)

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