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INTRECCI MEDITERRANEI NELL?ETA DEL BRONZO: INTERCONNESSIONI TRA L?EGITTO E CRETA

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di Laurea Magistrale in Orientalistica:

Egitto, Vicino e Medio Oriente.

TESI DI LAUREA

INTRECCI MEDITERRANEI

NELL’ETÀ DEL BRONZO:

INTERCONNESSIONI TRA

L’EGITTO E CRETA

RELATORE: CANDIDATA:

Prof. ssa Flora Silvano Carolina Maffei

Matr. 498838

CORRELATORE:

Prof. Giampaolo Graziadio

(2)

2

“La città si presenta differente a chi viene da terra e a chi dal

mare. Il cammelliere […] pensa a una nave, sa che è una città

ma la pensa come un bastimento che lo porti via dal deserto,

un veliero che stia per salpare […].

Nella foschia della costa il marinaio distingue la forma d’una

gobba di cammello […] sa che è una città ma la pensa come un

cammello […] che lo porta via dal deserto del mare, verso oasi

d’acqua dolce […].”

(Italo Calvino – Le città invisibili)

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3

INTRECCI MEDITERRANEI NELL’ETÀ DEL

BRONZO.

INTERCONNESSIONI TRA L'EGITTO E CRETA.

INTRODUZIONE………..5

Capitolo I - POPOLAZIONI EGEE A CONTATTO CON

L'EGITTO: ANALISI DI VERCOUTTER.

I. 1 - Haw Nebwt………...11

I. 2 – Mnws……….25

I. 3 - Isole nel mezzo del Grande Verde……….33

I. 4 – Keftiu……….46

Capitolo II - LA CRONOLOGIA. QUADRO STORICO:

PRIMI CONTATTI E PROBLEMI.

II. 1 - L'età del Bronzo: quadro introduttivo……….63

II. 2 - Antico Bronzo: i primi contatti. Creta: origine autoctona o alloctona? ……… 65

II. 3 - Medio Bronzo: problemi cronologici. L'eruzione di Thera nelle fonti egiziane………...73

II. 4 - Creta Proto-palaziale, cenni storici………...78

II. 5 - Egitto: quadro storico dal II Periodo Intermedio alla XVIII dinastia. ……….85

II. 6 - Creta Neo-palaziale, contesto storico………...88

II. 7 - Il Tardo Bronzo e il Nuovo Regno………93

II. 8 - Thutmosi III: contatti tra la XVIII dinastia e l'Egeo…95 II. 9 - Relazioni tra la città di Tebe e i Keftiu………...100

(4)

4

Capitolo III - L'ANTICA CIT

TÀ DI AVARIS: STORIA E

SCAVI DEL

SITO DI TELL EL DAB'A.

III. 1 - Il Medio Bronzo: l’origine e le prime notizie……...110

III. 2 - Il Tardo Bronzo: la città e i suoi mutamenti……….114 III. 3 - L'ipotesi degli artigiani itineranti: artigiani minoici o di formazione minoica? ………..117 III. 4 - L’Egitto influenza Creta: l’arte egizia presso i

Minoici………122 III. 5 – L’Egeo contamina il Nilo: motivi stilistici egei in Egitto……….129 III. 6 - Gli affreschi minoici………132 III. 7 - International style: contaminazioni mediterranee..144 III. 8 - Il porto di Peru Nefer………..148 III. 9 - Le ceramiche d'importazione……….154 III. 10 - Il sito di Tell el Dab'a, studi sulla cronologia:

carbonio, dendrocronologia, carote artiche G.R.I.P.: una prospettiva cronologica mediterranea………157

CONCLUSIONI………..166

BIBLIOGRAFIA………..168

(5)

5

INTRODUZIONE

“Ci imbarcammo il settimo giorno e da Creta vasta salpammo al soffio di Borea, forte e gagliardo,

navigando senza fatica, come portati da una corrente. Nessuna delle mie navi subì danno alcuno: noi

sedevamo al sicuro, le guidavano il vento e i nocchieri. Dopo quattro giorni giungemmo all'Egitto

dalle belle acque e nel fiume attraccai le mie navi.”1

(Odissea, XIV, vv. 252-258)

Per il mito greco, l’Egitto è luogo di peregrinazioni, in primo luogo dei nostoi, ma non solo. Ad essi vanno infatti aggiunti i racconti mitici, alcuni dei quali da ascrivere alle fondazioni delle poleis da parte di stranieri provenienti proprio dalla terra egizia: è il caso di Cadmo2 o della presunta colonizzazione di

Argo e Atene3. È stato addirittura ipotizzato che la struttura

socio-economica ateniese derivasse da quella della civiltà sviluppatasi lungo il corso del fiume Nilo. Tuttavia questa trattazione è da inquadrarsi nel contesto storico-culturale dei Tolomei, in cui vive Ecateo di Abdera, letterato e filosofo operante presso la corte di Tolomeo I Soter (306-283 a. C.), autore dell’opera storica in tre libri intitolata appunto Gli Egizi4.

1 OMERO, Odissea, Bur Rizzoli, I grandi classici greci e latini, pp. 473-475, Bergamo

2008.

2 Cadmo eroe fondatore di Tebe, in Beozia, e fratello di Europa, secondo una

tradizione era di origine fenicia, secondo un’altra egiziano.

Cfr. TACITO Annales XI, l4; PLINIO IL VECCHIO Naturalis Historia VII, 192. IGINO nelle Fabulae, 217, racconta che Mercurio portò le lettere in Egitto e Cadmo dall’Egeo alla Grecia (in riferimento a chi riteneva Cadmo di origine fenicia per aver introdotto in Grecia l’alfabeto). Sempre per il medesimo motivo Nonno di Panopoli (prima metà V secolo d. C.) gli attribuisce alcune prerogative di Ermes-Thot.

3 Cfr. U. ROBERTO 2010, pp. 117-146.

4 Dell’opera originale di Ecateo ci sono pervenuti pochissimi frammenti, tuttavia

ne conosciamo il contenuto grazie alla rielaborazione che nel I secolo a.C. ne fece Diodoro Siculo nella sua Biblioteca, opera dedicata alla trattazione della storia universale.

(6)

6

La

συγγένεια

tra l’Egitto e la polis di Argo e quella di Atene è

già consolidata in età classica e, Alessandro Magno5, con

chiaro scopo propagandistico, si presenta agli Egiziani come discendente degli Argivi6, segno che il legame non era

unilaterale. L’elemento che emerge dalla Biblioteca di Diodoro Siculo, che riprende nei primi cinque libri Gli Egizi di Ecateo di Abdera, e che con tutta probabilità proprio da quest’ultimo è mutuato, è l’idea che “vi sia stato un cospicuo trasferimento culturale dall’Egitto alla Grecia”7.

Si riscontrano anche altre attestazioni letterarie che intrecciano i rapporti tra i due Paesi, come ad esempio quelle legate alla figura di Stesicoro. Al citarodo di Imera sono attribuite le Palinodie ossia “ritrattazioni”, legate alla figura di Elena, moglie di Menelao. Pare infatti che, a seguito della composizione dell’Elena, in cui quest’ultima venne tacciata di adulterio, i Dioscuri, mitici gemelli fratelli di Elena e figli di Zeus, avessero reso cieco Stesicoro. Il citarodo, per uscire dalla sua menomazione, compose una prima Palinodia8, ritrattando

quanto aveva precedentemente asserito e affermando che in realtà la regina di Micene fosse rimasta in Egitto e che, quello giunto a Troia, fosse in realtà un suo εἴδωλον.

Altro esempio è la favola egiziana di Rodopi9 (viso di rosa)

considerata l’archetipo letterario di Cenerentola, riportataci da Erodoto, Strabone e Claudio Eliano10. Rodopi era un’etera di

origini greche, nello specifico trace, vessata dalle altre schiave

5 Alla figura di Alessandro Magno in Egitto è legato anche un curioso aneddoto

riportato da PLUTARCO in Vite Parallele, XXVII, 9, secondo cui un sacerdote egiziano volendosi rivolgere al condottiero in tono affettuoso “o figlio” (ὦ παιδίον), sbagliando la pronuncia, gli diede l’appellativo di “figlio di Zeus” (ὦ παιδίος). Cfr. PLUTARCO, Vite Parallele, XXVII, 9.

6 Cfr. A. MASTROCINQUE 1987, pp. 289-306.

7 C. GRECO, M. OSANNA 2016, p. 19.

8 Tuttavia, solo dopo la seconda Palinodia, in cui si negava addirittura la partenza

da Micene, Castore e Polluce, i Dioscuri, restituirono la vista a Stesicoro. Fu l’iniziatore della nuova presentazione della figura di Elena, che venne poi ripresa anche da Euripide.

9 Cfr. E. BRESCIANI 1990.

10 ERODOTO, Storie, II, 134-135; STRABONE, Geografia, XVII, 33; CLAUDIO

(7)

7 presenti nell’abitazione del padrone egiziano per via del suo

incarnato chiaro e perché straniera. Di lei s’innamorò il faraone Amasis, della XXVI dinastia (570 – 526 a. C.). Il faraone, secondo quanto scrive Erodoto11, divenuto un

filelleno, concesse ai Greci alcuni favori, come ad esempio quello di poter risiedere nella città di Naucrati e la possibilità di erigere altari12.

Il sincretismo che si concretizza a partire dall’età ellenistica in poi, ha trascorsi di molto anteriori. L’Egitto è considerato terra di mirabilia ma, proprio tenendo in considerazione le tradizioni mitiche e letterarie che sono già ben radicate in età classica, è bene prendere in esame il percorso formativo che ha portato tali radici a penetrare nel terreno, dando poi modo alle correnti culturali e artistiche di fiorire e prosperare. Il presente lavoro di tesi verte sull’analisi e la ricostruzione dei primi contatti tra la civiltà nilotica e le popolazioni stanziate nell’Egeo prima dell’età classica, del loro sviluppo e della loro evoluzione. Verrà indagata la natura di tali rapporti cercando di mettere in evidenza i segni più o meno riconoscibili che questi hanno lasciato nelle due culture.

La ricerca concerne lo studio dei rapporti intercorsi tra l’Egitto e le civiltà pre-elleniche, nello specifico la civiltà sviluppatasi sull’isola di Creta, quella Minoica, nell’Età del Bronzo, per cercare di fare chiarezza e tentare, almeno in parte, di dare risposte esaustive agli interrogativi appena posti.

Nell'area del bacino del Mediterraneo e del Vicino Oriente risulta spesso problematico riuscire a tracciare la linea originaria di un determinato motivo stilistico o iconografico, poiché le influenze furono tante e tali da intrecciarsi tra loro come fili di un meraviglioso arazzo, fino a fondersi gli uni con gli altri dando vita ad un complesso ricamo in cui diventa quasi impossibile seguire il percorso del singolo filo.

11 ERODOTO, Storie, II, 178. 12 Cfr. L. BUCCINO 2005.

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8

Molto è stato scritto sui contatti tra la civiltà pre-ellenica e la civiltà egiziana, quello che sappiamo sulle linee che hanno unito i due Paesi ci è giunto quasi unicamente grazie a documenti egizi. Abbiamo infatti raffigurazioni di uomini egei in Egitto13, manufatti egiziani ritrovati nel corso degli

scavi sull'isola di Creta (viceversa, gli oggetti cretesi ritrovati sul suolo egiziano sono un numero molto esiguo, quasi tutti della stessa tipologia, e non apportano nulla di nuovo o significativo agli studi) e testi egizi che menzionano gli Egei come popolazione, sebbene con etnonimi differenti.

Pioniere degli studi sistemateci sui rapporti tra l'Egitto e le popolazioni preelleniche fu, nel secolo scorso, l'egittologo francese Jean Vercoutter, che se ne occupò per la prima volta nel 1937. Le connessioni e le commistioni culturali che Vercoutter rintracciò tra le due popolazioni, possono essere considerate tutt'oggi le linee guida degli studi.

Si tratta di connessioni strette, basate sulla presenza di coloni cretesi in Egitto e viceversa, oltre che sull'introduzione a Creta di maestranze egiziane,così come di quelle cretesi in Egitto. Alla luce della situazione in cui versavano gli studi nel 1937, questi contatti erano gli unici che si potessero ipotizzare e dimostrare. Tuttavia, si sa, gli studi storici e archeologici sono in rapida evoluzione e, come afferma lo stesso Vercoutter, “la storia dei rapporti tra le civiltà dell'Egeo e il Vicino Oriente antico, diventò più sfumata, in relazione soprattutto al prosieguo degli studi sull'antico Egitto”14

Un ruolo decisivo negli studi lo rivestì la scoperta del palazzo di Cnosso agli inizi del Novecento da parte di Arthur Evans, che pose sotto una nuova prospettiva gli affreschi delle tombe egiziane del XV secolo, riconducibili alla XVIII dinastia, e la loro interpretazione. Vi sono infatti raffigurati una serie di personaggi stranieri di origine enigmatica che, alla luce degli affreschi cnossii, si sono rivelati essere in realtà Minoici.

13 Affreschi rinvenuti in diverse tombe egizie della XVIII dinastia, raffiguranti

una serie di personaggi stranieri, identificati oggi come Minoici.

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9

Ai Minoici gli Egiziani attribuiscono l’etnonimo di Keftiu, oppure vengono indicati genericamente come abitanti delle “isole in mezzo al Grande Verde”. Tali isole, sono state interpretate come le molteplici isole dell’Egeo, Creta inclusa o esclusa. Ciò implica che per “Grande Verde” s’intenda il Mar Mediterraneo, ma non è l’unica ipotesi avanzata dagli studiosi. L’egittologo belga Claude Vandersleyen, ad esempio, sostiene che con il toponimo Grande Verde non ci si riferisca mai al Mar Mediterraneo (o al Mar Rosso), ma solo ed esclusivamente al verde del Delta e della valle del Nilo. Lo studioso avanza dunque l’ipotesi che i Minoici delle “isole in mezzo al Grande Verde” devono necessariamente trovarsi in una regione egiziana e non nell’Egeo.

Con il presente lavoro di tesi ci si focalizzerà sugli scavi di Tell el-Dab’a, sulla sponda orientale del Delta del Nilo, l’antica Avaris. Il palazzo scoperto da M. Bietak in questo sito recava motivi decorativi di tipo minoico. Era dunque in fieri una

κοινὴ culturale?

L’influenza minoica diventa concretamente percepibile in Egitto nei secoli XVI e XV. È bene precisare che con il termine “minoico” s’intende non solo una cultura circoscritta a Creta e alle isole vicine, bensì un’intera produzione culturale egea che precede l’arte micenea.

Il periodo cronologico interessato è l'Età del Bronzo, corrispondente nello specifico per la storia egiziana alla XVIII e alla XIX dinastia e all'età Neopalaziale (MM IIIA – fine TM IB) per quanto riguarda la cultura minoica.

Anche la precisa collocazione degli eventi crea non pochi problemi sia per quanto concerne la cronologia egiziana che per la cronologia minoica, tanto che si cercherà di delineare in un capitolo dedicato il quadro storico-culturale. Le ricerche e gli studi avranno come colori predominanti il “Grande Verde” e le tonalità più calde, che ci aiuteranno a dipingere il Delta, il Mar Mediterraneo e il quasi accecante sole egiziano, che farà luce sul lavoro che si andrà ad intraprendere.

Il presente lavoro di tesi si articola in tre capitoli:

(10)

10

utilizzati dagli Egiziani per indicare le popolazioni dell’area egea con cui vennero a contatto;

 il secondo fornirà un quadro del contesto nel quale si verificarono i contatti tra le due realtà culturali interfacciate sul Mediterraneo;

 il terzo metterà in evidenza le similitudini e le reciproche influenze artistiche e culturali tra Minoici ed Egiziani, prendendo in esame gli affreschi rinvenuti a Tell el-Dab’a, sintesi perfetta degli scambi culturali tra le due aree geografiche.

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Cap. I

POPOLAZIONI EGEE A CONTATTO CON L'EGITTO:

ANALISI DI VERCOUTTER.

“Quando il Nilo inonda il Paese, dalle acque emergono

soltanto le città, molto simili alle isole nel Mare Egeo.”

15

(Erodoto, Storie, II, 97)

I. 1 – Haw-Nebwt (HAw Nbwt)

Nel corso del tempo, gli etnonimi utilizzati dagli Egizi per identificare le popolazioni dell’area egea furono diversi ed acquisirono sfumature di significato differente in base al periodo storico di riferimento. Come ha giustamente osservato Vercoutter, oggigiorno ci restano solo quattro degli appellativi egiziani adoperati per designare tutto o parte del mondo egeo preellenico16.

Più complessa è invece la situazione per quanto riguarda gli etnonimi egiziani utilizzati dai Minoici. Questi ultimi hanno

ideato ed adoperato più scritture, tra cui il Lineare A17. Oltre

che sperimentale, la lettura fonetica del Lineare A è ancora parziale: su 100 segni ne sono stati decifrati solo 70. Le sillabe del Lineare A vengono provvisoriamente lette, per

convenzione, con i corrispettivi del Lineare B18, scrittura meno

problematica poiché interamente decifrata. Ciò potrebbe

15 ERODOTO, Storie, II, 97. 16 J. VERCOUTTER 1956, p. 14. 17 Y. DUHOUX 1998.

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12

spiegare la mancanza di toponimi egiziani all’interno del

corpus dei testi minoici19, almeno all’attuale stato degli studi.

Primo fra tutti gli appellativi egiziani è l’etnonimo

Haw-Nebwt (

HAw Nbwt

):

.

Questo risulta essere uno dei più antichi nomi geografici egiziani. Il termine veniva adoperato per designare una popolazione straniera stanziata sul mare, nell’area del Delta. Verosimilmente era già utilizzato intorno al IV millennio a. C., come si è cercato di ricostruire in alcuni studi francesi20.

L’espressione doveva già essere conosciuta nel periodo Predinastico ed è entrata nell’uso comune agli inizi dell’Antico Regno21. Purtroppo, per quel che riguarda il significato che

HAw Nbwt

rivestì in età predinastica, non si può far altro che muoversi nel campo delle ipotesi. La sola fonte che permette d’intravedere il senso originario del termine è rappresentata dai Testi delle Piramidi. Tali testi, che ricoprono un periodo che va dalla XII alla XVIII dinastia, sono tuttavia anteriori a

quest’arco temporale. Qui

HAw Nbwt

è utilizzato, almeno per

un certo periodo, nelle liste dei Nove Archi. Con ogni probabilità il termine indicava un’area palustre, situata all’imboccatura del Nilo verso il mare. L’elemento acquatico

in correlazione a

HAw Nbwt

è caratterizzante, si potrebbe anche

azzardare l’ipotesi che il termine sia legato più all’acqua che

ad una regione precisa22.

19 Cfr. Y. DUHOUX 2008.

20 Cfr. J. VERCOUTTER 1946, BIFAO, 46, pp. 156-157, e J. VERCOUTTER 1949,

BIFAO 48, pp. 189-191.

21 J. VERCOUTTER 1949, BIFAO 48, pp. 189-191. 22 J. VERCOUTTER 1946, BIFAO, 46, pp. 156-157.

(13)

13

Nell’Antico Regno

HAw Nbwt

passò ad indicare delle

popolazioni non precisamente identificate stanziatesi nel Nord-Est del Delta. Nel corso del Medio e del Nuovo Regno con tale terminazione ci si riferirà alle genti di stirpe asiatica del Nord-Est, ai confini dei territori di pertinenza egiziana, che abitavano le coste del Mediterraneo orientale.

Alla fine del Nuovo Regno,

HAw Nbwt

sarà talmente svuotato

del suo senso originario che, ormai del tutto svincolato da ogni riferimento geografico, passerà ad indicare i “barbari” e/o gli stranieri in generale.

In seguito a ricerche e ricostruzioni etimologiche è stato ipotizzato che la denominazione doveva aver designato, almeno in passato, gli abitanti dell’Asia Minore. Gli scribi tolemaici, invece, verosimilmente a causa del contesto storico in cui vissero ed operarono, interpretarono il termine in riferimento ai Greci23.

Alan Gardiner, nel libro Ancient Egyptian Onomastica24, porta

avanti la sfumatura di significato egea con l’accezione di “abitanti delle isole del Mediterraneo”. L’interpretazione si basa ed è maturata in seno ai testi tolemaici bilingui in cui il termine viene appunto tradotto come “Greci”. Lo studioso tornerà sui suoi passi nella seconda edizione della sua

Egyptian Grammar25 in cui interpreta genericamente il termine

come indicante popolazioni straniere.

In una pubblicazione del medesimo anno26, anche l’archeologo

scandinavo Arne Furumark elimina il termine dalla lista dei

23 J. VERCOUTTER 1956, p. 16. 24 Cfr. A. H. GARDINER 1947. 25 A. H. GARDINER 1950, p. 573. 26 A. FURUMARK 1950, pp. 245-246.

(14)

14

nomi geografici che furono adoperati per designare le popolazioni preelleniche.

Al contrario, Pierre Montet sostiene27 che, se dapprima con

l’espressione

HAw Nbwt

si identificavano le genti stanziatesi nel

Delta, in epoca tarda il termine passò ad indicare i Greci. Nel

suo ultimo lavoro28 giunse alla conclusione che fu

convenzionalmente usato in riferimento al mondo egeo.

Gli egittologi concordano nell’interpretazione del termine

come composto di due elementi. Il primo,

HAw

, è identificato

come una forma perifrastica “quelli che stanno intorno”, simile al greco “οì περì”. Il secondo, Nbwt, non è interpretato in maniera univoca. Per Gardiner e Sethe la traduzione più congeniale è “isola”, altri studiosi lo interpretano invece come “stagno” o “palude”. In ogni caso parrebbe essere riferito quasi sempre al contesto geografico del Delta.

Montet suggerisce di leggere il primo elemento come Hlw, ossia “Elleni”, coadiuvato dal secondo elemento Nbwt a cui, secondo lo studioso francese, corrisponde il sostantivo greco ναῦς, nave. Traduce dunque l’insieme come “i Greci delle navi”.

È però inverosimile che una popolazione greca, parlante greco, abbia potuto vivere e radicarsi nel Delta del Nilo dall’Antico Regno al Nuovo Regno senza aver lasciato tracce che non siano la supposta equivalenza filologica:

ḤAw | Ḥlw = *Ἔλλοί e Nbwt = ναῦς29.

C’è però da dire che, per avvalorare la sua tesi, Montet prova a basarsi su argomentazioni filologiche. Tuttavia queste

27 P. MONTET 1947, pp. 129-144. 28 P. MONTET 1949, pp. 129-141. 29 J. VERCOUTTER 1956.

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15

ultime sono più o meno fondate e dunque non del tutto certe. È stato comprovato che il segno egiziano (ȝ) può essere reso con entrambe le consonanti liquide r ed l. Dunque nulla vieta

che, durante l’Antico Regno, la sillaba ḥA possa essere servita

per la resa fonetica del suono

l. La ricostruzione fonetica, di

base, è corretta. Ci sono anche numerosi esempi della lettura

l/r di tale sillaba: Wilhem Czermak30 ne riporta alcuni nel suo

lavoro di ricerca sulla lingua egiziana. Georges Posener31 tratta

la questione in maniera ancora più specifica dal momento che sottolinea come, nei nomi geografici in antico egiziano, questa intercambiabilità fonetica si manifesti soprattutto nella terminologia con cui gli Egizi appellavano gli stranieri. Tuttavia, come ha giustamente messo in evidenza Jean

Vergote32, tale fenomeno tende a sparire già nell’Antico

Regno. Lo studioso osserva che “l’A intervocalique et final de

syllabe s’est déjà amui en ancien égyptien”33. Nel prosieguo della

sua trattazione34 l’autore ammette che nell’egiziano scritto in

tale sillaba, il ‘ e il ῾ protosemitici, anche in epoca alta, furono

resi foneticamente come l/r. Agli inizi degli anni ’50 Janssen35,

intervenendo sull’annosa questione, pur riconoscendo la

possibilità della lettura ḥl,afferma che essa non è provata e di

conseguenza non è dimostrabile.

Malgrado le ipotesi avanzate dagli studiosi nel corso del tempo, il problema più consistente sorge nel momento in cui lo studioso francese Montet vuol vedere nell’egiziano l’etnonimo greco supposto *Ἔλλοί. Supposto perché, con tale denominazione, non è stata mai indicata nessuna popolazione: né i Greci né gli Elleni in senso generico. Per dimostrare la sua

30 W. CZERMAK 1915, pp. 101-102. 31 G. POSENER 1940, p. 62 e sgg.. 32Cfr. J. VERGOTE 1945. 33 J. VERGOTE 1945, p. 97. 34 J. VERGOTE 1945, p. 128. 35 J. JANSSEN 1951, pp. 215-216.

(16)

16

teoria Montet fa leva sul termine Σελλοί, facendo derivare da quest’ultimo l’etnonimo Ἔλλοί. Tuttavia, anche in questo caso, vi sono dei problemi di fondo. Innanzi tutto il termine Σελλοί non ha mai avuto valenza di etnonimo o ha mai indicato una popolazione in toto. Era bensì un appellativo sacerdotale con il quale si indicavano i Selli che, per l’appunto, si occupavano dell’oracolo di Dodona, in Epiro. Questo era considerato il più antico oracolo greco, addirittura preellenico,

risalente secondo Erodoto36 al II millennio a. C. e noto già ad

Omero che ne parla nel XVI canto dell’Iliade37.

La successiva forma Ἔλλοί è dovuta alla caduta della sibilante iniziale, fenomeno frequente in greco: il σ- iniziale lascia la sua traccia sotto forma di spirito aspro ῾. Tuttavia, per servirsi della caduta del σ- iniziale, al fine di avvalorare questa tesi, bisognerebbe anche ammetterne la caduta già nel III millennio; questo andrebbe però a cozzare con le lezioni greche e latine di Σελλοί e Selli. Noncurante di ciò, Montet ne fa derivare anche la forma Ἔλλάς. Ritiene infatti che, confrontando l’egiziano ḥlw e i terminigreci Ἔλλάς, Ἔλλοί ed

Ἔλληές, se ne può dedurre la loro radice comune38. Eppure,

anche nel caso in cui dovessimo soprassedere sul mancato

riscontro del –ς finale, non trascritto nell’egiziano ḥlw,

avremmo un grosso problema nella traduzione proposta proprio da Montet. Ricordiamo che lo studioso ha inteso Ḥlw

Nbwt come “i Greci dei vascelli”, ossia come un etnonimo.

Ἔλλάς è invece un nome geografico, pertanto la traduzione “la Grecia dei vascelli” non ha alcun significato. Evidentemente gli Egiziani non conoscevano che una forma

36 Cfr. ERODOTO, Storie, II, 54-57. 37 Cfr. OMERO, Iliade, XVI, vv. 332 – 343. 38 P. MONTET 1947, p. 134.

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17

derivata da quelle più antiche39, che avranno trascritto come

Ḥlw.

L’ipotesi proposta da Pierre Montet risulta essere fuorviante o quanto meno non ben definita e confusionaria. Secondo

quanto lo stesso studioso asserisce nei suoi scritti, gli

HAw Nbwt

razziavano periodicamente il territorio egiziano, tanto che, gli Egiziani si trovarono, volenti o nolenti, ad abbandonare la costa. Montet riporta anche che gli Egiziani non conoscevano il paese di provenienza degli uomini che depauperavano il loro territorio. Questo basterebbe, di fatto, a far decadere l’ipotesi di appartenenza ad un qualsivoglia contesto geografico e, di conseguenza, anche la sua stessa proposta di attribuzione al mondo egeo.

Permane il problema dell’identificazione di tale popolazione: se non sono gli Egei preellenici degli antichi Egizi e non possono essere definiti propriamente asiatici, qual è la loro locazione originaria? E perché quasi tutte le ipotesi gravitano in ambiente egeo?

Prima di tutto analizziamo la questione dal punto di vista della filologia egiziana e della supposta derivazione:

*Ἔλλοί > .

Abbiamo appurato che sia che venga considerata come

preposizione ḥ

A

“attorno, vicino” sia che venga considerata

come un aggettivo indicante provenienza geografica o luogo di appartenenza la prima parte del nome non presenta differenze nella resa grafica.

Se nell’Antico Regno la lettura della preposizione fosse stata

ḥl, sebbene non ci sia la certezza, si sarebbe dovuta evolvere

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fino al Nuovo Regno seguendo le regole della fonetica

egiziana: la l primitiva sarebbe dovuta diventare A/ἰ40. A partire

dalla XVIII dinastia, e per tutto il Secondo Periodo Intermedio, il segno nella scrittura sillabica trascrive i suoni vocalici a, e,

i, u alternandoli con il che spiega la sua evoluzione in copto41.

Se indica un termine straniero e non egiziano, non è

necessario che esso segua le leggi fonetiche della grammatica egiziana. Tuttavia, il suono l/r dei nomi stranieri, che nei testi più antichi viene trascritto come , viene reso, nei testi del

Nuovo Regno, come o . Vercoutter ha giustamente

osservato che, in base ai mutamenti fonetici ed ortografici42,

tutto rimanda ad un’evoluzione fonetica secondo l’uso egiziano in cui l’ipotetico *ḥl dell’Antico e Medio Regno,

diviene ḥ

A

nel Nuovo Regno. Questa teoria, se da un lato

avvalora l’ipotesi che vede ḥ

Aw

come un nisbatico plurale,

dall’altra esclude un eventuale filo conduttore tra l’egiziano e il termine straniero di *Ἔλλοί. Manca inoltre uno dei determinativi che accompagnano i nomi dei popoli stranieri e che solitamente si identificano con un personaggio umano. Montet ha affermato43 che gli Egiziani designassero i popoli

stranieri con il loro nome reale e non con delle perifrasi, il che non corrisponde al vero. Ne sono prova svariati esempi in cui il popolo egizio preferisce identificare il popolo straniero a cui si riferisce proprio con una perifrasi. È il caso dei Libici, “I

Principi”44 o letteralmente “Quelli dalla condizione eminente”45, o

di alcune popolazioni di area libanese indicate come “I

40 Cfr. W. CZERMAK 1915, p. 234; J. VERGOTE 1945, p. 110. 41 Cfr. W. SPIEGELBERG 1921, p. 122; W. E. CRUM 1939, p. 640. 42 Cfr. J. VERCOUTTER 1956, pp. 23-24. 43 P. MONTET 1949, p. 130. 44 W. HOLSCHER 1937, p. 16 e sgg.. 45 A. H. GARDINER 1950, p. 51.

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19

Carpentieri”46, giusto per citarne alcuni. La lista delle perifrasi

di cui si servivano gli Egiziani per designare popoli e paesi stranieri è lunga e articolata. In conclusione, sarebbe dunque

possibile che il primo termine che compone il nome

HAw Nbwt

sia in realtà un nisbatico.

Anche per quanto riguarda il secondo elemento e l’equivalenza con ναῦς, proposta sempre da Montet, la soluzione non è delle più semplici. Prima di tutto si ricorda che, anche in questo caso, il determinativo è assente. Secondariamente, se fosse vero che il termine veniva usato per indicare un particolare tipo di imbarcazione impiegata dagli Elleni, nella trasposizione egiziana avremmo dovuto trovare il

segno della barca come peraltro avviene in Keftiu47. Del resto

lo stesso Montet giunse, in un secondo momento, alla traduzione “navi” poiché il segno grafico dei “cesti” è sempre riferito ad un contesto geografico, sia esso il letto del fiume, un’ansa, et similia. Tavolta è stato anche adoperato per indicare pianure e/o terre coltivabili48. Alla luce di ciò, anche da un

punto di vista fonetico, risulta difficile sostenere l’equivalenza con ναῦς. La lingua egiziana è sprovvista di un suono che rimandi a quello delle υ indoeuropee e il suono che più vi si avvicina è la vipera cornuta, consonante labio-dentale. Sfortunatamente non ci sono giunti esempi di trascrizione di υ indoeuropea anteriori all’età imperiale romana. Va da sé che il forzato legame con “i vascelli dei Greci” non ha ragion d’essere.

Diverso è il caso dell’identificazione degli

HAw Nbwt

con gli

Elleni nei testi di epoca tolemaica, il cui dato è incontrovertibile. L’ostacolo che si presenta sul cammino della

46 J. VERCOUTTER 1956, p. 24. 47 Cfr. Paragrafo 4.

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20

teoria di Montet è quello di voler dimostrare che il termine fosse utilizzato con la medesima sfumatura di significato anche prima dell’età tolemaica. Anche perché, come già esposto, diversi studiosi ritengono che il passaggio da “asiatici del Nord-Est” a “Elleni” avvenga grossomodo tra la XX e la XXVI dinastia. Vercoutter, invece, sostiene che non possa essere avvenuto prima della XXVI dinastia. Del resto, nella

XXII e XXV dinastia

HAw Nbwt

è ancora adoperato in senso

“tradizionale” senza particolari riferimenti ad una precisa popolazione straniera. Ed è appunto nella XXVI dinastia, con i faraoni della dinastia saitica da Psammetico I ad Amasis, che

HAw Nbwt

passa ad indicare dapprima i mercenari stranieri e successivamente le colonie dei mercenari stanziatisi nel Delta. È sotto Amasis che per la prima volta si parla propriamente di

“navi degli

HAw Nbwt

”49 in riferimento ai mercenari greci di cui

usufruì Apries, il suo predecessore. D’altro canto, non tutti i mercenari a cui si ricorreva in questi frangenti erano “greci”. Erodoto parla nello specifico di Carii e Ioni, ossia, rispettivamente, Asiatici e Greci d’Asia: “Τοῖσι δὲ Ἴωσι καὶ

τοῖσι Καρσὶ τοῖσι συγκατεργασαµένοισι αὐτῷ ὁ

Ψαµµήτιχος…”50. Diodoro dà manforte a quanto riporta

Erodoto dicendo che Psammetico prese a soldo mercenari

provenienti dall’Arabia, dalla Caria e dalla Ionia51. Pare

dunque ovvio che tradurre

HAw Nbwt

con “Elleni” sia un

azzardo poiché, anche in questo contesto, è indicativo di genti di stirpe asiatica. Il dato trova riscontro anche nell’archeologia. La presenza di mercenari asiatici è attestata dai rinvenimenti di manufatti ed iscrizioni sebbene la lingua di queste ultime resti il greco. Sempre Erodoto ci informa che: “Τούτων δὲ

49 Cfr. Stele di Amasis, J. VERCOUTTER 1949, BIFAO, 48, p. 175, doc. LXX. “Le

innumerevoli navi degliHAw Nbwtpercorrono il Delta”.

50 ERODOTO, Storie, II, 154.

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21

οἰκισθέντων ἐν Αἰγύπτῳ οἱ Ἕλληνες οὕτω ἐπιµισγόµενοι τούτοισι τὰ περὶ Αἴγυπτονγινόµενα ἀπὸ Ψαµµητίχου βασιλέοϲ ἀρξάµενοι πάντα [καὶ] τὰ ὕστερον ἐπιστάµεθα ἀτρεκέωσ·πρῶτοι γὰρ οὗτοι ἐν Αἰγύπτῳ ἀλλόγλωσσοι

κατοικίσθησαν”52. Benchè Carii e Ioni fossero considerati i

primi allogeni parlanti greco, gli Egiziani non dovevano ancora distinguerli nettamente dagli Asiatici e dagli abitanti dell’Asia Minore. Con ogni probabilità è l’influenza greca sulle coste dell’Asia Minore a giocare un ruolo fondamentale sull’evoluzione del termine.

Quel che è certo è che

HAw Nbwt

non è stato mai utilizzato per

riferirsi alla popolazione greca preellenica, ma non possiamo escludere che sia servito per indicare l’insieme dei cosiddetti Popoli del Mare.

Alla luce di quanto analizzato, già Vercoutter negli anni ’50

del secolo scorso, asseriva di poter di fatto depennare

HAw

Nbwt

dalla lista degli appellativi con cui gli Egiziani si

riferivano ai Preellenici.

Come osservato dallo studioso francese53, sembra difficile

localizzare sulla costa Siro-Palestinese una colonia “greca” poco dopo l’inizio del IV millennio a. C. poiché quest’ultima avrebbe senz’altro lasciato tracce sia nella letteratura semitica sia nei testi egiziani.

Montet ritiene però che gli

HAw Nbwt

siano abitanti dell’area

egea. A supporto della sua tesi ricorda il già citato legame del termine con la sfera acquatica ipotizzando una correlazione con un contesto isolano o quantomeno costiero. Secondo lo studioso francese gli

HAw Nbwt

, sospinti dai venti del Nord, approdarono sulla costa occidentale del Delta. Se così fosse, la

52 ERODOTO, Storie, II, 154. 53 J. VERCOUTTER 1956, p. 18.

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sola area da cui potevano provenire risulta essere il continente europeo o le isole dell’Egeo. Questo perché, se fossero partiti dalla costa asiatica, sarebbero sbarcati sulla costa orientale del Delta e non su quella occidentale.

Senza contare che fu certamente la relativa facilità all’accessibilità al Delta occidentale ad aver favorito i rapporti tra Greci ed Egiziani; rapporti che, in un secondo momento, portarono all’impianto della città di Alessandria.

Già nel IV libro dell’Odissea, Menelao racconta a Telemaco che fu costretto a soggiornare a Faro (isola egiziana prospicente al

porto di Alessandria) di ritorno dalla guerra di Troia54.

È però tendenzioso basarsi sugli scritti di epoca tolemaica poiché l’area di Alessandria era all’epoca fortemente ellenizzata. È evidente che gli scribi attribuissero una certa

continuità di significato al termine

HAw Nbwt

che veniva

effettivamente adoperato per indicare i Greci quando ci si riferiva al Delta occidentale.

Anche nella Stele poetica di Thutmosi III, sebbene gli studiosi siano divisi per ciò che concerne l’identificazione geografica tra l’isola di Creta e Cipro, si fa riferimento a terre ad Ovest dell’Egitto; descrizione che si confà a Creta, ma non all’isola di Cipro.

Nella Stele del Satrapo55 e nella Stele di Naucrati56, invece, il

termine è utilizzato per designare il Mediterraneo che bagna l’area che va da Alessandria a Rosetta.

54 OMERO, Odissea, IV, vv. 351-386.

55 Stele in granito nero scoperta tra materiali di riuso a scopi edilizi nel 1871 a Il

Cairo, conservata oggi nel Museo delle Antichità della medesima città. “(…) sulla riva del Grande Verde degli Elleni (…); “(…) per ispezionare ogni canale del Nilo che procede verso il Grande Verde”.

56 Così chiamata dal luogo del ritrovamento, oggi conservata al Museo delle

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23

Le teorie di Montet faticano a stare in piedi per via di alcune contraddizioni interne: se da un lato tali popolazioni sono geograficamente lontane dall’Egitto per soddisfare le condizioni che lo stesso studioso pone, dall’altro sarebbe necessario ammettere che nell’Antico Minoico I, e anche precedentemente, nel mar Egeo ci fossero dei “Greci” che però

non avevano nulla in comune con i Preelleni57. Montet

cercherà allora di dimostrare che gli

HAw Nbwt

praticassero la

pirateria, fossero probabilmente originari di Creta e che si fossero stanziati in terra egiziana solo in un secondo momento. Poco più avanti, nel medesimo lavoro di ricerca, osserva che

solo gli

HAw Nbwt

abbiano potuto portare in Egitto i manufatti

minoici che sono stati rinvenuti nel Fayyum e ad Abido e che, sempre loro, abbiano introdotto a Creta i vasi in pietra del periodo thinita e dell’Antico Regno che sono poi stati imitati

dagli artigiani cretesi58. Montet attribuisce agli

HAw Nbwt

tutte

le caratteristiche tipiche dei Preelleni: attività di pirateria lungo le coste, commercio di ceramica di tipo Kamares, servizio mercenario contro gli Hyksos. In particolare quest’ultima teoria fu elaborata da Eduard Meyer nella sua

Geschichte des Altertums59, opera in 5 volumi dedicata alla storia

dell’antichità. La sua ipotesi fu però contestata da Bilabel e

Grohmann60 e da Pendlebury61 soprattutto alla luce di studi e

scoperte successive.

Sorge inoltre un’altra difficoltà a livello storico: se ammettessimo che a partire dalla IV dinastia i Greci

Nectanebo I, fondatore della XXX dinastia. Il testo riporta la tassa doganale del 10% pretesa da Nectanebo su tutte le merci importate o fabbricate in Egitto. “(…) sia dato uno da ogni dieci (…) di ogni cosa che proviene dal Mare dei Greci (…)”.

57 J. VERCOUTTER 1956, p. 19. 58P. MONTET 1947, pp. 129-144. 59 Cfr. E. MEYER 1928, p. 54.

60 Cfr. F. BILABEL - A. GROHMANN 1927, p. 395. 61 Cfr. J. D. S. PENDLEBURY 1930, p. 76.

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rappresentassero una presenza stabile in Egitto, dovremmo anche presupporre, e dare per scontata, una ricca serie di tracce archeologiche di popolazioni non egiziane in territorio egizio e nelle zone limitrofe, ma così non è. Tale assenza è resa ancora più evidente dalla presenza di tracce vicino-orientali nelle medesime aree.

Dunque, riassumendo, il termine era già stato utilizzato nei Testi delle Piramidi e vi si è voluto vedere un riferimento ante

litteram a genti greche; l’ipotesi dell’identificazione degli

HAw

Nbwt

con i preelleni è sostenuta principalmente dagli studiosi

tedeschi ed ha trovato un fervente sostenitore nel francese Montet, ma, come dimostrato ampiamente da Vercoutter, solo in epoca tolemaica tale denominazione indica chiaramente i Greci. Prima di allora si può solo parlare di popolazioni non egizie che abitavano nella zona costiera del Delta.

Durante l’Antico Regno è pertanto inverosimile che ci fosse una presenza stabile di preelleni in Egitto. Nonostante ci siano stati contatti precedenti, come testimoniato anche dai poemi omerici, è solo a partire dalla dinastia saitica, vale a dire intorno al VII sec. a. C., che i Greci entrano di fatto negli affari egiziani.

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I.

2 – Mnws (Minos)

Il termine Mnws non venne considerato in riferimento ad una

popolazione fino a quando lo studioso Albright62 si chiese se

vi si potesse celare un riferimento a Minosse, mitico re cretese. Precedentemente in Mnws si riconosceva Mallo, città della Cilicia. Tale identificazione fu proposta nel 1868 da Ebers alla luce di alcuni documenti risalenti alla XVIII dinastia che

accomunano Mnws e Keftiu63. Quest’ultimo termine fu infatti

ricollegato all’area cretese solo dopo la scoperta di Cnosso da parte di Evans, grazie agli scavi avviati nel 1900. Prima di allora Keftiu era ritenuto il nome della Cilicia e il “problema dei Pre-elleni” non era stato ancora trattato. Sebbene l’intraprendenza e la fortuna di Schliemann avessero già

riportato alla luce reperti senza ombra di dubbio preellenici64,

non si era ancora giunti a maturare l’idea che potessero appartenere ad una civiltà a sé stante. Al contrario si era più inclini a ritenere questi prodotti come il risultato locale di più influenze egiziane, fenicie o più genericamente riconducibili ai Popoli del Mare. Fu solo a seguito degli scavi sistematici avviati a Cnosso che il mondo scientifico cominciò ad aprirsi all’idea di una civiltà antecedente agli Achei nell’Egeo e dunque pre-ellenica.

Nel 1893, malgrado l’eco della scoperta della Tomba di

Agamennone, nella sua opera Asien und Europa65 lo studioso

Max Müller traduce ancora Keftiu come Cilicia. La traduzione

62 W. F. ALBRIGHT 1934, pp. 9-10. 63Cfr. paragrafo 4.

64 Nel 1876 Schliemann riportò alla luce il cosiddetto “Tesoro di Atreo” o “Tomba

di Agamennone”.

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viene corretta in Creta solo nel 1904, ben quattro anni dopo l’avvio degli scavi di Evans. Sempre in un secondo momento, egli identifica come Minoici i personaggi raffigurati nelle tombe tebane.

Il punto di vista della scuola tedesca cambia proprio in questi anni e a seguito delle scoperte archeologiche in area egea tanto

che i documenti che citano gli

HAw Nbwt

iniziarono ad essere

utilizzati dagli studiosi orientalisti per indagare le relazioni egizio-cretesi.

Significativo è il lavoro dell’archeologo tedesco Brugsch che nel 1879 parla di “isole formate dalle diramazioni del Nilo nel Delta” per poi correggere l’espressione nel 1905 in “isole del Mediterraneo”, sottintendendo che fossero abitate da

popolazioni egee pre-elleniche66.

Considerando questo contesto scientifico-culturale, è facile intuire che l’identificazione di Mnws con Mallo, in Cilicia, fosse comunemente accettata, sebbene si basasse quasi esclusivamente su un’assonanza.

Il termine Minos (Mnws) appare, come si è già accennato, in una lista geografica risalente alla XVIII dinastia e figura insieme ad Isy, probabilmente Cipro, in una lista della XIX dinastia. Inoltre le raffigurazioni presenti nella tomba di

Kenamun67, risalente alla reggenza di Amenofi II, sono simili

a quelle nelle tombe tebane della XVIII dinastia che ritraggono con ogni probabilità dei Minoici. In particolare, nella sepoltura di Kenamun è presente un cartiglio recante la dicitura Mnws posto sul capo di uno dei personaggi identificati come Minoici. I caratteri tipicamente egei sono da

66 H. K. BRUGSCH 1877–81, p. 180.

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intendersi nel modo di trattare le capigliature: i capelli sono legati da bende che li lasciano tuttavia semi sciolti, caratteristica principale sono però le chiome ricciolute.

Alla luce di ciò, sembra del tutto verosimile che il termine Minos si possa riferire ad un Paese o ad un popolo gravitante nell’area egea pre-ellenica.

Minos, in rapporto agli altri nomi geografici riferiti al mondo egeo pre-ellenico, ha il vantaggio di avere una delle attestazioni più antiche. Il termine è citato in un passo del

racconto di Sinuhe68 che risale agli inizi della XII dinastia.

Nel racconto di Sinuhe Minos viene menzionato come principe straniero e vassallo di Sesostri o, più precisamente, come principe asiatico. È nel Nuovo Regno che passa ad indicare un’area geografica circoscritta i cui abitanti vennero raffigurati nelle tombe tebane. L’interpretazione di Minos come nome di persona potrebbe anche vacillare e non parrebbe del tutto inverosimile che, all’interno di un’opera letteraria, ci si possa imbattere in una lista di Paesi stranieri, se il tutto viene inserito adeguatamente nel contesto narrativo. Ad ogni modo, l’autore del racconto di Sinuhe pone il Paese o il principe Minos in relazione alla costa del Mediterraneo orientale. Con ogni probabilità, il principe Minos faceva parte di un gruppo di monarchi avente una certa importanza nella politica egiziana per il controllo e i traffici con la costa asiatica; nella versione di Sinuhe B è considerato siriano.

Senza dubbio ciò rende difficile ogni suo collegamento con l’isola di Creta. Non si tratta però di una motivazione abbastanza forte da far decadere all’istante l’ipotesi di Albright, soprattutto se si tiene in considerazione il fatto che

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Keftiu, successivamente identificato con l’isola dell’Egeo, veniva spesso associato alla costa asiatica. In aggiunta, bisogna tenere ben presente che il racconto di Sinuhe è un testo letterario. Ne consegue che non è del tutto impossibile che un principe straniero, di un paese lontano, e per di più in costante rapporto con la Siria, sia considerato egli stesso siriano.

Nel passo del racconto di Sinuhe, dunque, Minos è messo in relazione con la costa siriana, ma lo troviamo anche riportato accanto a Keftiu nella legenda della raffigurazione tombale di un tributo portato dai Siriani in Egitto. Ciò potrebbe anche indicare che Minos fosse un commerciante della costa siriana con qualche titolo onorifico e che godeva della benevolenza del faraone, tenendo sempre presente che la costa asiatica costituiva un’area commerciale frequentata anche dalle popolazioni egee.

Nella tomba di Amenemhab (TT278, necropoli di Qurnet Murai, XIX-XX dinastia) è presente una lista geografica, probabilmente copia di una lista di Amenofi II, che accomuna ancora una volta Minos a Keftiu e alla costa della Siria settentrionale. Il documento sembra elencare regioni settentrionali aventi un qualche collegamento con la Siria, forse per rimarcare la potenza e la portata del raggio d’influenza dell’Egitto e di conseguenza del faraone. Malauguratamente, i personaggi raffigurati nella sepoltura sotto la legenda Minos appaiono molto deteriorati. Nonostante ciò è possibile scorgere ancora qualche tratto caratteristico egeo, come ad esempio il pigmento usato per la colorazione della pelle, che va sul rossastro.

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Gardiner69 e Müller70 hanno comprovato il fatto che almeno

una delle liste geografiche di Thutmosi III giunteci sia in parte ispirata ai papiri e agli ostraka contenenti la storia di Sinuhe e che, proprio per questo, non avrebbe fondamento storico e/o geografico. Non è improbabile che anche con le raffigurazioni tombali ci si trovi in una situazione analoga: Minos è infatti menzionato, come in Sinuhe, in relazione a Retenu, paese

collocato in area siro-palestinese. Sempre Gardiner71 ha

sottolineato che l’autore del racconto di Sinuhe ha cercato di adattare alla Siria del Nord le condizioni di vita della Palestina meridionale. Tuttavia, di contro, si potrebbe anche ritenere che sia il racconto di Sinuhe sia la lista di Amenofi II riprendano, come fonte comune, una lista geografica degli inizi del Medio

Regno72; questo, però, resta nel campo delle ipotesi.

Dopo la XVIII dinastia, Minos si ritrova solo nelle liste reali dei paesi sconfitti, sebbene tali documenti spesso e volentieri abbiano più valore propagandistico che propriamente storico. In una lista proveniente da Karnak e datata al regno di Sethi I, Minos compare accanto a paesi come Mitanni, Retenu, Kadesh e ciò lo accomuna, ancora una volta, ai regni settentrionali. Un’ulteriore lista dell’età di Sethi I sembra avere una fonte differente, e Minos viene citato due volte, in due raggruppamenti differenti.

Il testo viene convenzionalmente suddiviso in quattro sezioni: 1) citazione ed elenco dei Nove Archi, termine con cui gli Egiziani erano soliti indicare i loro nemici tradizionali,

69 A. H. GARDINER 1916, p. 55. 70 M. MÜLLER 1906-1916, p. 81. 71 A. H. GARDINER 1916, p. 167. 72 J. VERCOUTTER 1956, p. 164.

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30

ossia Hittiti, Mitanni, Alasia (Cipro);

2) elenco di dodici Paesi effettivamente vinti da Sethi I

durante le sue campagne in Palestina73;

3) elenco di alcuni Paesi situati a Nord della Siria e all’estremo Nord dell’area siriana,

4) elenco di nove Paesi, anch’essi settentrionali, in parte già citati nella terza sezione.

Solitamente le liste egiziane sono, per loro natura, incoerenti; la lista di Karnak, invece, sembra seguire un ordine ben preciso, sebbene sfugga alla nostra conoscenza se esso sia puramente geografico o storico. Ad ogni modo, la prima sezione funge da introduzione, la seconda raggruppa solo

nomi fenici e palestinesi74, la terza e la quarta nomi siriani e

mesopotamici75. Secondo Müller76 le ultime due sezioni

seguono una fonte differente rispetto alle prime due; mentre

per Simons77 la fonte è univoca ma, avendo terminato i nomi,

lo scultore pur di riempire il vuoto rimasto ha optato per la ripetizione di alcuni di essi per scongiurare l’horror vacui. Secondo Simons la lista termina con il 29° nome e dal 30° in poi inizierebbero le ripetizioni, eppure vi sono dei nomi non citati in precedenza e ciò ne scredita l’ipotesi. La teoria di Müller, al contrario, appare più solida anche perché la seconda parte del documento segue uno schema preciso che vede un elenco di località palestinesi vinte durante la campagna di Sethi I e un ulteriore elenco di città situate nella Siria settentrionale, verosimilmente vinte dal faraone a seguito della spedizione a Nord di Kadesh. La doppia menzione di

73 B. GRDSELOFF 1949, pp. 13-21. 74J. SIMONS 1937, p. 144. 75 J. VERCOUTTER 1956, p 167. 76 W. M. MÜLLER 1893, pp. 191-195. 77 J. SIMONS 1937, p. 144.

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Minos potrebbe semplicemente essere dovuta al fatto che esso comparisse in tutte e due le fonti.

Ciononostante, come spesso accade nei documenti egiziani appartenenti a questa tipologia, vi sono delle imprecisioni ed è probabile che tali incongruenze abbiano avuto una sorta di intento celebrativo e/o affini. Nell’elenco figurano infatti Cipro e l’Assiria, aree geografiche in cui Sethi I non mise mai piede. Müller ritiene di poter spiegare questa discrepanza se si ammette che una delle due fonti sia antecedente a Sethi I e risalga a Thutmosi III poiché una delle sue statue presenterebbe una successione di nomi che si confà alle sezioni qui prese in esame dalla lista proveniente da Karnak. Del resto, il fatto che un faraone traesse ispirazione da liste precedenti per ampliare o completare le proprie non è un evento strano.

Quel che è certo è che il termine Minos sparisce con la XVIII dinastia e sembra essere stato associato all’area cipriota. Concludendo si può dire che Minos è un Paese dell’estremo Nord rispetto all’Egitto che ha avuto rapporti con gli Egiziani all’inizio del Medio Regno. Ha certamente avuto contatti con la Siria e con Keftiu e sembra sparire definitivamente dalla politica egiziana alla fine della XVIII dinastia.

Dai documenti che pervenutici non è possibile ammettere con assoluta certezza né che si tratti di un Principe né che si tratti di un Paese straniero. L’unica attestazione che confermi l’esistenza di un Paese di Minos è la raffigurazione di un abitante del supposto Paese all’interno della tomba di Kenamun, sia per via della legenda che campeggia sul capo del personaggio, e sia per i tratti caratteristici egei adoperati nelle raffigurazioni egiziane.

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Pertanto all’interno del racconto di Sinuhe Minos è connotato come asiatico, ma la raffigurazione nella tomba di Kenamun lo inquadra come pre-ellenico. Questo dato potrebbe essere fuorviante poiché non esistono altre fonti scritte o raffigurazioni parietali anteriori a quella della tomba di Kenamun, eppure nulla vieta che si tratti di una semplice suggestione dell’artista che ha dato tratti tipicamente egei a Minos solo perché menzionato accanto a Keftiu.

Risulta evidente che anche Minos, come HAw Nbwt78, possa

essere messo da parte per quanto riguarda la terminologia egiziana adoperata dagli Egizi stessi per relazionarsi con il mondo egeo pre-ellenico.

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I. 3 – Le Isole in mezzo al Grande Verde

In epoca ramesside con l’espressione “Isole in mezzo al

Grande Verde” si indicava l’area d’origine dei Popoli del

Mare, come mostrano testi e raffigurazioni da Medinet Habu79.

È sotto Ramses III che un più cospicuo numero di invasori riuscì a penetrare nel Delta; da Medinet Habu ci giungono immagini dell’avvicinamento navale mediante imbarcazioni lunghe e attacchi terrestri. I personaggi stranieri sono riconoscibili grazie alla resa delle armature e delle capigliature, trattate in modo differente rispetto a quelle egiziane. I testi provenienti dal tempio di Medinet Habu parlano esplicitamente di “stranieri venuti dai loro paesi, dalle

isole che sono in mezzo al Grande Verde”80.

Dagli inizi della XX dinastia la locuzione passa a designare le isole e le coste del Mar Egeo, sebbene già nella tomba di Rekhmira (TT100) sia stato usato insieme a Keftiu per designare stranieri d’origine egea. A tal proposito è utile studiare i testi che citano le Isole in mezzo al Grande Verde per poter meglio indagare anche i rapporti dell’Egitto con tali località.

Paradossalmente, i documenti che menzionano le Isole in mezzo al Grande Verde sono stati raramente presi in considerazione dagli studiosi che hanno indagato i rapporti egeo-egiziani. Addirittura secondo Furumark, che non condivide l’idea che l’espressione indichi le isole del Mediterraneo, con questo appellativo gli Egiziani non si riferivano a nessun luogo in particolare bensì a “qualcosa di

vagamente conosciuto più o meno fuori dalla zona d’influenza

79 J. VERCOUTTER 1956, p. 125.

80 The Epigraphic Survey, Medinet Habu I, Earlier Historical Records of Ramses III, OIP 8; Chicago, 1930.

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egiziana”81. Come ha osservato Vercoutter, il punto di vista di

Furumark è indifendibile e lo studioso francese adduce come prova diverse attestazioni archeologiche. Oltre all’attestazione di Medinet Habu, che offre di per sé un riferimento ad una località geografica ben precisa, la terminologia figura già sotto Ramses II: sia su una stele proveniente da Tanis

commemorante la sconfitta degli Shardana82 sia in una lista di

paesi produttori di pietre e metalli preziosi83. Resta solo da

capire se dietro l’espressione “Isole in mezzo al Grande Verde” gli Egiziani intendessero indicare solo un luogo geografico oppure si riferissero anche ad una realtà etnica. La locuzione è utilizzata in maniera sistematica a partire dalla XVIII dinastia, ma certamente deve esserci una tradizione anteriore alla sua prima attestazione, che purtroppo ignoriamo. Ci si imbatte per la prima volta nell’espressione all’interno del racconto di Sinuhe, a conclusione di un elenco di divinità. È tuttavia impossibile sapere con assoluta certezza se all’epoca a cui risale il racconto l’espressione indicasse già l’area geografica definita o genericamente le isole. Nel Medio Regno il Grande Verde non sembra ancora indicare il Mediterraneo, ma semplicemente il mare, o meglio, il Mar Rosso. Il riferimento al Mar Rosso nel Medio Regno è attestato da due iscrizioni provenienti dal Wadi Hammamat risalenti a

Montuhotep II e IV84. L’utilizzo dell’espressione egiziana per

indicare il Mar Rosso si protrae nel tempo almeno fino alla XVIII dinastia. Ne abbiamo testimonianza grazie al tempio di Hatshepsut a Deir el-Bahari, con la raffigurazione della spedizione nel paese di Punt. La spedizione avvenne nel ± 1471 e nel Tempio di Milioni di Anni si vedono le imbarcazioni

81 A. FURUMARK 1950, p. 244. 82 Cfr. K. KITCHEN 1994. 83 J. VERCOUTTER 1956, p. 126.

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vogare sul Grande Verde per recarsi a Punt85. L’acqua è ricca

di pesci e lo studio delle specie ittiche ha permesso di affermare con certezza che si tratta di pesci marini, tipici del Mar Rosso che, per via della sua elevata salinità, presenta flora e fauna particolari.

A partire dal regno di Thutmosi III la locuzione Isole in mezzo al Grande Verde indica le isole del mar Mediterraneo. A dimostrarlo è un’incisione che campeggia su una coppa - oggi

conservata al Louvre86 appartenente al corredo funerario del

generale Djehuty, che condusse vittoriose le truppe egiziane nel Vicino Oriente nel regno del faraone Thutmosi III. Altro documento è il testo presente nella tomba tebana 131, la sepoltura del vizir Useramon, che ricoprì tale carica prima della campagna contro Mitanni. Il testo è costituito dalla legenda che si staglia su una scena di tributo sviluppata in due registri e in cui gli Egei sono raffigurati nel primo. La tomba di Useramon, predecessore e zio di Rekhmira, realizzata tra il ± 1475 e il ± 1470, mostra dei Minoici giunti in Egitto esclusivamente dalle Isole che sono in mezzo al Grande

Verde87. Sotto Thutmosi III le Isole sono intese come un paese

del Nord occupante però un’area circoscritta e non un paese generico abitato, di conseguenza, da una popolazione specifica.

Nella XVIII dinastia l’espressione inizia a fare capolino tra i testi dei documenti nei quali, per la forte nota celebrativa, è difficile, se non inutile, rintracciare smaniosamente verità storiche e/o geografiche. Tra questi vi è la stele di Gebel

Barkal88 – attualmente a Boston – fatta erigere da Thutmosi III

85 Y. DUHOUX 2003, p. 91.

86Coppa dedicata al generale Djehuty-N 713, Dipartimento delle antichità egizie

del Louvre, Q57927400.

87 Y. DUHOUX 2003, p. 43.

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nel 47° anno di regno a testimonianza dei suoi atti di valore e di coraggio. La stele, rinvenuta nei pressi della quarta cateratta, nei territori nell’odierno Sudan, non tratta gli avvenimenti in ordine cronologico, ma riporta il trionfo del faraone sui Nove Archi, le Isole in mezzo al Grande Verde, gli

Haw Nebwt e i Paesi stranieri ribelli89. L’iscrizione risale alla

conclusione della campagna di Mitanni, considerata la conquista del Nord per eccellenza. Dunque la citazione sommaria relativa alle Isole e a Haw Nebwt sta a significare che l’intero Nord è ora sotto il dominio egiziano.

È a partire da Amenofi IV che i documenti che citano le Isole iniziano a divenire più precisi. Il 12° anno l’8° giorno del 2° mese di Peret del regno di Akhenaton, il faraone ricevette dei tributi e vengono menzionate anche le Isole in mezzo al Grande Verde per aver elargito dei doni. Distinguiamo tra tributo e dono perché le Isole vengono citate a parte, mentre gli altri paesi fungono da indicatori dei punti cardinali: Nord

– Siria, Sud – Nubia, Est ed Ovest i restanti paesi stranieri90.

Tale scelta potrebbe indicare che il dono delle Isole non fosse obbligatorio, bensì spontaneo al fine di ottenere qualcosa in cambio. Gli oggetti micenei trovati nel sito di Tell-el-Amarna sono la conferma che Akhenaton ha davvero ricevuto quei

doni91. Sembra che in epoca amarniana le Isole abbiano

intrattenuto contatti costanti con l’Egitto, che gli sono valsi una menzione speciale nella suddivisione del mondo governato dal dio Aton, come si apprende da un inno per la divinità. In tale inno si distinguono Nord, Est, Ovest e Isole in

Fine Arts, Egypt: Sculpture and Tomb Chapels Gallery (Gallery 209), ACCESSION NUMBER: 23.733.

89 G. A. REISNER e M. B. REISNER 1933, p. 29. 90 M. SANDMAN 1938, pp. 36-37.

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mezzo al Grande Verde92, il che implica che l’area delle Isole

fosse intesa come molto vasta.

I testi che citano le Isole si moltiplicano con l’età ramesside93.

Come con il testo di Amenofi IV, anche nel caso della stele reale risalente all’epoca di Ramses II, i punti cardinali fanno capo a determinati paesi stranieri e le Isole risultano godere di una menzione particolareggiata. Visto il precedente del testo di Amenofi IV, è anche probabile che qui vengano citate per una sorta di universalismo della stele poiché è certo che Ramses II non ha mai effettuato spedizioni in questi luoghi. A meno che non si voglia leggere nella menzione delle Isole in mezzo al Grande Verde un riferimento ad eventuali prigionieri che il faraone avrebbe potuto fare nel corso della battaglia di Qadesh, in cui i Popoli del Mare combatterono a

fianco degli Ittiti94. Un’interpretazione del genere potrebbe

risultare plausibile, ma il fatto che non vengano nominati gli Ittiti crea qualche difficoltà che si potrebbe ignorare se, come suggerisce Vercoutter, considerassimo il testo come redatto dopo la battaglia di Qadesh, vale a dire quando gli Ittiti erano ormai divenuti alleati.

In età ramesside l’espressione, ormai pienamente inserita nell’uso quotidiano, verrà abbreviata prima in “Isole del mezzo” e successivamente, a partire dalla XX dinastia, semplicemente in “Isole”.

La lista dei paesi minerari, metallurgici e di pietre preziose, proveniente da Luxor, reca la dicitura abbreviata “Isole del

mezzo” ed è senza dubbio anteriore alla XIX dinastia95. Le

materie prime che queste fornivano all’Egitto dovevano

92 M. SANDMAN 1938, pp. 10-15. 93 J. VERCOUTTER 1956, p. 137. 94 Cfr. C. KUENTZ 1934. 95 J. VERCOUTTER 1956, p. 139.

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verosimilmente essere oro, argento e pietre semi-preziose. Il fatto che il mondo egeo fosse privo di giacimenti aurei e di miniere non basta ad incrinare l’ipotesi poiché siamo nella piena fioritura del commercio in area mediterranea.

Con l’avvento della XX dinastia le Isole in mezzo al Grande Verde compaiono frequentemente nei testi. Agli occhi degli scribi, le Isole sono il paese dei Popoli del Mare: è da qui che provengono le tribù che vogliono penetrare in Egitto mediante attacchi via mare. Il fatto che gli Egiziani si trovino a fronteggiare tale attacchi mediante trappole e/o imboscate nel Delta è indicatore di due fattori: il primo è che gli invasori abitanti delle Isole conoscessero la geografia del Delta egiziano e che non ne fossero frequentatori novelli; il secondo è che gli Egiziani sapessero da dove sarebbero passati. Per questo motivo, se gli invasori avevano una piena conoscenza dei luoghi, gli Egiziani, di rimando, conoscevano bene gli invasori. Poco importa come si sia sviluppata questa conoscenza, se per rotte commerciali o tramite spie: il dato importante sono i contatti tra gli Egiziani e le popolazioni marittime delle Isole.

Nella lunga iscrizione proveniente dal tempio di Medinet

Habu96 che descrive e riporta le vittorie di Ramses III ai danni

dei Popoli del Mare è presente la semplice nomenclatura di Isole, il paese d’origine di queste popolazioni. Con “Isole” è probabile che si intendessero non solo le isole dell’Egeo, ma anche le coste europee e asiatiche, e in generale il continente, interessate in egual modo dai flussi migratori che riguardarono l’intero bacino del Mediterraneo. Così facendo la traduzione si apre ad un senso più largo che passa dalle isole

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egee e ioniche ai litorali europei e asiatici, indicando così una sorta di koinè culturale indoeuropea.

Nel Papiro Harris97, documento che cita i Popoli del Mare, il

faraone Ramses III afferma di aver massacrato i Denen, o

Danuna, che venivano dalle loro isole98: Gardiner li ha

identificati con i Δαναοί omerici, ossia i Greci del continente. Il solo documento a porre i Danai nelle isole risulta essere proprio il Papiro Harris ma, accettando la sfumatura di significato di isole e costa, e quindi di continente, il problema non sussiste. Tuttavia, gli scavi avviati alla fine degli anni ’40

del secolo scorso a Karatepe99 hanno dato vita ad un’ulteriore

ipotesi. A questo proposito, ricordiamo che Karatepe fu una cittadella ittita nei territori dell’attuale Turchia. Gli scavi condotti in tale area hanno riportato alla luce importanti iscrizioni bilingui poste alla base della grande statua reale e

sugli ortostati dei grandi portali100. Il testo è ripetuto, pur con

alcune varianti, due volte in geroglifici ittiti e tre in lingua fenicia. Oltre al grande valore della scoperta, apprendiamo

che il re si dice signore del popolo Danuna101. Furumark tende

a identificarlo con la tribù dei Danunim conosciuta grazie alle fonti cananee e citata anche nella Bibbia102, all’interno del

Canto di Debora, e malgrado siano menzionati in relazione a delle navi, lo studioso li connota più come una popolazione marittima che nomade, vale a dire come i semiti dell’area cananea. Le difficoltà sono per lo più di tipo cronologico

97 Papiro lungo quasi 40 m, ritrovato con ogni probabilità nei pressi di Medinet

Habu e risalente alla XX dinastia. Fu redatto all’epoca di Ramses IV, ha carattere storico-religioso e il faraone Ramses III vi parla in prima persona.

98 Cfr. Papiro Harris, I, 76, 7. Bibl. Egypt., V, p. 92, l. 18. 99 Cfr. U. BAHADIR ALKIM 1946.

100 Cfr. G. LEVI DELLA VIDA 1949, pp. 273-290. 101 A. DUPONT-SOMMER 1948, pp. 161-188.

102 Cfr. Giudici 5, vv. 19-20. La Bibbia in lingua corrente, Firenze 1992, p. 291. “(…)

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