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Gli ideali umanistici di arte e poesia nella Calunnia di Apelle di Sandro Botticelli.

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(1)

I

NDICE

Introduzione ... 2

Cenni biografici ... 5

1. L’ekphrasis di Luciano di Samosata e la sua ricezione in Occidente ... 8

2. Le fonti della Calunnia di Apelle di Sandro Botticelli ... 21

3. La scena principale della Calunnia di Apelle ... 32

4. Il fondale della Calunnia di Apelle ... 38

4.1 Basamenti ... 38

4.2 Plinti ... 64

4.3 Architravi ... 79

4.4 Soffitti ... 99

4.5 Nicchie ... 114

5. Decorazione scultorea, alla luce del commento alla Commedia di Cristoforo Landino ... 123

6. Difesa della Poesia ... 131

Appendice iconografica……….…………136

(2)

I

NTRODUZIONE

.

Il seguente lavoro si propone di analizzare uno dei dipinti più complessi e misteriosi del pittore fiorentino Sandro Botticelli, la Calunnia di Apelle, realizzato tra il 1494 e il 1495, in pieno umanesimo, e fortemente legato al contesto politico-sociale della Firenze del tempo. La difficoltà di interpretazione dell’opera è data sia dalla moltitudine di personaggi e scene figurative che animano la composizione, con particolare riferimento all’iconografia dell’architettura di fondo, sia dalla scelta peculiare di una tematica come quella della calunnia che, oltre a rimandare necessariamente all’opera perduta del pittore greco Apelle (IV secolo a.C.) allude, con molta probabilità, alle vicende contemporanee alla realizzazione del dipinto. Nel corso dei secoli, l’opera è stata oggetto di interpretazioni discordanti relative, in particolare, all’analisi dell’iconografia del fondale, alle possibili fonti utilizzate da Botticelli, al motivo della sua esecuzione e ai significati morali e politici sottesi ad essa. Lo scopo di questo lavoro è quello di fornire un’analisi dettagliata del dipinto e tentare di risolvere i principali dubbi interpretativi sul suo conto. Dopo un breve accenno all’autore e al contesto storico a lui contemporaneo, si procederà alla presentazione dell’opera, con particolare riferimento al dipinto perduto del pittore Apelle, da cui Botticelli trae ispirazione, e all’ekphrasis di Luciano di Samosata, che ne testimonia l’esistenza. Si passerà, quindi, ad analizzare la ripresa del trattato di Luciano in Occidente e le sue traduzioni in latino, privilegiando la citazione che Leon Battista Alberti ne fa all’interno del suo trattato sulla pittura, da sempre considerato la fonte principale del dipinto di Botticelli. Nel terzo libro del De Pictura, Alberti fornisce alcune considerazioni

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generali sulla figura dell’artista e afferma che un pittore debba essere il più possibile dotto in tutte le arti liberali. Dopo aver instaurato un parallelismo tra la figura del pittore e quella del poeta, sottolinea l’importanza dell’invenzione di una storia e inserisce l’esempio della descrizione di Luciano, «per ammonire i pittori in che cose circa alla invenzione loro convenga essere vigilanti». Il passo di Alberti sarà oggetto di analisi e verrà affrontato il problema della discordanza tra la descrizione presente nel De Pictura e l’effettiva realizzazione del dipinto di Botticelli. L’individuazione di sostanziali differenze porterà alla ricerca e alla valutazione di possibili fonti alternative, con particolare attenzione all’ipotesi proposta dalla studiosa Angela Dressen: il commento di Cristoforo Landino alla Commedia di Dante come fonte principale dell’opera di Botticelli. Landino inserisce la descrizione del dipinto di Apelle nel commento relativo ai vv. 142-144 del XXIII canto dell’Inferno, in cui si parla delle principali caratteristiche del Diavolo, tra le quali spicca la calunnia. La descrizione presenta numerosi punti di contatto con la scena dipinta da Botticelli e si differenzia da quella di Alberti per una serie di dettagli che verranno analizzati con attenzione. Pertanto, la questione verrà affrontata operando un parallelismo tra la descrizione di Landino, quella di Alberti e il dipinto di Botticelli. Verrà dato ampio spazio anche alle possibili fonti iconografiche dell’opera, in particolare alla miniatura realizzata da Bartolomeo Della Fonte nel 1472, che presenta forti punti di contatto con la Calunnia botticelliana. Si procederà, poi, a un’accurata descrizione della scena principale del dipinto e di tutte le scene che animano il fondale, tenendo conto del particolareggiato lavoro di Stanley Meltzoff sull’argomento. Per quanto riguarda l’analisi dell’architettura di fondo, verrà rispettata la suddivisione di Meltzoff in basamenti, plinti, architravi, soffitti e nicchie, procedendo da sinistra verso destra. Parte

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delle scene presenti nel fondale e ciascuna delle statue alloggiate nelle nicchie centrali verranno interpretate alla luce dei passi del commento di Landino alla Commedia dantesca. Una parte del lavoro sarà dedicata a Boccaccio, rappresentato in una delle nicchie, e alla cospicua presenza dei suoi scritti all’interno del dipinto, vero e proprio ipertesto di tutto il fondale, con particolare attenzione alla tematica amorosa e al suo ruolo cruciale di difensore della poesia. Si accennerà, infine, alla complessa situazione politica contemporanea alla realizzazione della Calunnia e all’acceso dibattito sulla theologia poetica, con l’intento di fornire una lettura non soltanto politica, ma anche filosofica ed etica del dipinto. Sulla base di quanto precedentemente esposto, verranno tratte le debite conclusioni. Il lavoro sarà corredato di un esauriente apparato iconografico, supporto fondamentale per l’intera argomentazione.

(5)

C

ENNI BIOGRAFICI

.

Sandro Botticelli, il cui vero nome è Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, nacque a Firenze nel 1445, ultimo di quattro figli maschi. Il padre Mariano di Vanni Filipepi era un conciatore di pelli e, con il suo mestiere, garantì un tenore di vita modesto alla famiglia. Le più antiche notizie sul conto di Botticelli si trovano nella prima edizione delle Vite del Vasari, successivamente modificate e rielaborate nella seconda edizione.

Alessandro era chiamato all’uso nostro Sandro e detto di Botticello per la cagione che appresso vedremo. Costui fu figliuolo di Mariano Filipepi cittadino fiorentino; dal quale diligentemente allevato e fatto instruire in tutte quelle cose che usanza è di insegnarsi a’ fanciulli in quell’età, prima che e’ si ponghino alle botteghe; ancoraché agevolmente apprendesse tutto quello che e’ voleva, era nientedimanco inquieto sempre né si contentava di scuola alcuna di leggere, di scrivere o di abbaco; di maniera che il padre, infastidito di questo cervello sì stravagante, per disperato lo pose a l’orefice con un suo compare chiamato Botticello, assai competente maestro allora in quell’arte. Era in quell’età una dimestichezza grandissima e quasi che una continua pratica tra gli orefici e i pittori; per la quale Sandro, che era destra persona e si era volto tutto al disegno, invaghitosi della pittura, si dispose volgersi a quella. Per il che aprendo liberamente l’animo suo al padre, da lui, che conobbe la inchinazione di quel cervello, fu condotto a Fra Filippo del Carmine, eccellentissimo pittore allora, ed acconcio seco a imparare, come Sandro stesso desiderava1.

Il Vasari fornisce una curiosa spiegazione al soprannome di Sandro, che tuttavia non è avvalorata da prove concrete. Infatti, non esiste alcun documento che testimoni l’esistenza di un artigiano chiamato Botticello, operante a Firenze in quegli anni. È più probabile che il soprannome derivi dal mestiere del fratello maggiore, che faceva l’orafo, detto anche «battiloro» o «battigello» a Firenze. Il suo apprendistato si svolse nella

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bottega di Filippo Lippi e, successivamente, in quella del Verrocchio, fino all’apertura di una propria bottega nel 1470. Le opere di quegli anni, principalmente Madonne con bambino, risentono dell’influenza dei suoi maestri. Nei due decenni successivi, il lavoro di Botticelli si legò saldamente alla famiglia Medici («in casa Medici, a Lorenzo Vecchio lavorò molte cose»2), in particolare alla figura di Lorenzo e alla cerchia di

umanisti riunita intorno a lui. Botticelli aderì ai principi dell’Accademia Neoplatonica, fondata nel 1462 da Marsilio Ficino, per volere di Cosimo de’ Medici, con l’intento di far rivivere la dottrina neoplatonica. L’Accademia ebbe un ruolo chiave nella definizione della filosofia rinascimentale e influenzò l’arte figurativa del periodo, grazie alla riscoperta del mondo classico e della mitologia antica, rivisitata in chiave cristiana. In linea con il pensiero umanistico-rinascimentale, Botticelli si approcciò ai soggetti pagani con la stessa intensità riservata a quelli sacri, conferendo al mondo mitico un’intensa spiritualità. Il decennio che va dal 1478 al 1488 fu il più fecondo per la carriera del pittore e proprio a questo periodo risalgono le pitture a tema mitologico che lo resero famoso in tutto il mondo, la Primavera e la Nascita di Venere. Tuttavia, nella produzione di quegli anni, non mancarono dipinti a soggetto religioso, che contribuirono ad accrescere la sua fama. Nel 1480 ottenne da Papa Sisto IV l’incarico di affrescare la Cappella Sistina, insieme ad alcuni dei più celebri pittori dell’epoca, e il contatto ravvicinato con la Roma antica lo impressionò profondamente, tanto da spingerlo a inserire architetture e decorazioni scultoree classiche, impreziosite con l’oro, nei suoi affreschi. La morte di Lorenzo il Magnifico, nel 1492, segnò una svolta decisiva nella vita del pittore e diede inizio a una crisi che lo portò a rinnegare il

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suo stile precedente e le conquiste rinascimentali, come la prospettiva e l’equilibrio della composizione. Complici le prediche di Girolamo Savonarola e il complesso clima politico e sociale della città di Firenze, Botticelli abbandonò le certezze del pensiero umanistico-rinascimentale, in favore di un misticismo esasperato, riflesso del suo tormento interiore.

La Calunnia di Apelle, sulla quale verterà il seguente lavoro, è l’opera

rappresentativa di questa profonda crisi interiore ed è considerata un vero e proprio spartiacque tra le due maniere pittoriche. In questo dipinto, si riflettono le profonde inquietudini che agitavano Botticelli al momento della realizzazione, avvenuta nel 1494-1495 circa, e trovano spazio tutti i dubbi e le contraddizioni della Firenze di fine Quattrocento. In seguito, Botticelli dipinse esclusivamente soggetti sacri, servendosi di uno stile arcaizzante. Trascorse gli ultimi anni della sua vita isolato e in povertà («infermo e decrepito, ridotto in miseria»3), fino al giorno della sua morte,

avvenuta nel 1510. Il Vasari accenna alla caduta in disgrazia di Botticelli e sembra attribuirne la colpa all’influenza del Savonarola e delle sue predicazioni.

Mise in stampa ancora il Trionfo della Fede di fra’ Girolamo Savonarola da Ferrara, e fu molto partigiano a quella setta. Il che fu causa che, abbandonando il dipignere e non avendo entrate da vivere, precipitò in disordine grandissimo. Perché ostinato alla setta di quella parte, faccendo continuamente il piagnone e deviandosi da ‘l lavoro, invecchiando e dimenticando, si condusse in molto mal essere. […] e dicono che guadagnò molto, e tutto per trascurataggine senza alcun frutto mandò in mala parte4.

3 G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, Firenze, L. Torrentino, 1550,

p.486.

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1.

L’

EKPHRASIS DI

L

UCIANO DI

S

AMOSATA E LA SUA RICEZIONE

IN

O

CCIDENTE

.

La Calunnia di Apelle di Sandro Botticelli trae ispirazione dall’omonimo

dipinto perduto del pittore greco Apelle (IV secolo a.C.), del quale riporta testimonianza Luciano di Samosata, circa seicento anni dopo, nel suo trattato intitolato Περὶ τοῦ μὴ ῥᾳδίως πιστεύειν διαβολῇ (Non bisogna

prestar fede facilmente alla calunnia), contenuto nei Dialoghi. Luciano

espone con chiarezza la tematica centrale del trattato, dandone una precisa definizione, e cita l’episodio che vede come protagonista Apelle, per mettere in guardia i lettori dalla calunnia e dai suoi effetti.

È la calunnia, dunque, un’accusa mossa a vuoto e all’insaputa dell’accusato, creduta senza contraddittorio, non essendo udita l’altra parte. Tale è il soggetto del mio discorso. Affinché, dunque, non ci capiti di cadere nella rete, io voglio mostrare con la parola, come in un quadro, quale sia la natura della calunnia, da dove essa cominci e quali effetti produca. O meglio, Apelle di Efeso si accaparrò da tempo i diritti su questa figura, essendo stato calunniato presso Tolomeo5.

Apelle venne accusato di tradimento ai danni del sovrano Tolomeo IV Filopatore, per aver preso parte alla congiura di Teodoto a Tiro, in Fenicia. Fu trascinato in giudizio al cospetto dell’imperatore che, accecato dalla rabbia, lo condannò a morte senza preoccuparsi di verificare l’attendibilità dell’accusa, mossa da Antifilo, un pittore rivale invidioso del successo di Apelle. L’ira di Tolomeo fu placata soltanto grazie all’intervento di un prigioniero, che aveva preso parte alla rivolta e che dimostrò l’impossibilità di un coinvolgimento di Apelle nella congiura, ordita ai

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danni del sovrano. Tolomeo si scusò pubblicamente per l’errore commesso, risarcì Apelle con cento talenti d’oro e gli consegnò come schiavo il calunniatore Antifilo. Apelle realizzò il quadro per raccontare la sua esperienza, per vendicarsi della falsa accusa e per mettere in guardia i posteri dai calunniatori6. La vicenda riportata da Luciano è, in realtà,

anacronistica, dal momento che la congiura ordita dal governatore Teodoto ai danni del sovrano Tolomeo IV Filopatore avvenne nel 220-219 a.C., un secolo dopo la morte di Apelle, che visse nel IV secolo a.C. L’errore di Luciano ha dato adito a molte ipotesi da parte dei critici che, in alcuni casi, hanno messo in dubbio l’esistenza stessa del dipinto di Apelle. È inverosimile poter stabilire con certezza l’origine di questa leggenda e confermare l’effettiva esistenza del quadro di Apelle, ma ciò che davvero conta è l’indubbia autenticità dello scritto di Luciano e il fatto che sia stato trasmesso alla posterità e abbia avuto grande fortuna per secoli7. Dopo aver narrato l’episodio della calunnia, Luciano inserisce una

descrizione dettagliata del dipinto di Apelle, conferendo al suo trattato il valore di ekphrasis8 artistico-letteraria.

6 Ibidem.

7 J.M. Massing, Du texte a l’image. La Calomnie d’Apelle et son iconographie. Strasbourg, Presses

universitaires de Strasbourg, 1990.

8 Il termine ekphrasis deriva dal greco ἐκϕράζω, «descrivere con eleganza», e indica la descrizione

letteraria di un’opera d’arte visiva. I retori greci utilizzavano questo termine per riferirsi alla descrizione puntuale di un oggetto, di una persona o di un luogo e, più in particolare, di un’opera d’arte. Lo stile della descrizione era elaborato e virtuosistico, così da gareggiare in forza espressiva con la stessa opera descritta. Il modulo dell’ekphrasis è presente nella letteratura greca fin dall’epoca arcaica, l’esempio più famoso è sicuramente quello presente nel XVIII libro dell’Iliade, dove Omero descrive minuziosamente lo scudo di Achille. Per i sofisti del II secolo d.C., il termine non possiede più il significato generale di una descrizione dettagliata di un oggetto, anche immaginario, ma passa ad indicare la riproduzione in parole di un’opera d’arte reale, preferibilmente già nota ai lettori, e rientra nel campo dell’esercitazione retorica. L’ekphrasis può essere presente come digressione all’interno di un testo o come genere letterario autonomo. Il primo caso è esemplificato dall’ekphrasis lucianea della

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Quindi Apelle, memore di aver corso un simile rischio, si vendicò della calunnia con un’opera simile a questa: sulla destra è seduto un uomo che ha le orecchie grandissime, quasi quanto quelle di Mida, e sta tendendo la mano alla Calunnia che, da lontano, si avvicina a lui. Gli stanno intorno due donne, l’Ignoranza (Ἄγνοια), mi sembra, e il Sospetto (Ὑπόληψις). Dall’altra parte, avanza la Calunnia (Διαβολή), una donna estremamente bella, ma accalorata e agitata, come chi mostra rabbia e furore. Con la mano sinistra regge una fiaccola accesa, con l’altra trascina per i capelli un giovane che tende le mani al cielo e chiama a testimoni gli dei. La conduce un uomo pallido e deforme, che ha lo sguardo penetrante, simile a coloro che sono stati indeboliti da una lunga malattia. Dunque, costui potrebbe essere l’Invidia (Φθόνος). Ci sono, poi, altre due donne che accompagnano la Calunnia, la esortano e le ornano la veste e i capelli. Come mi rivelò l’illustratore del quadro sul loro conto, una è l’Insidia (Ἐπιβουλή), l’altra la Frode (Ἀπάτη). Dietro segue una donna vestita a lutto stretto, con la veste nera e lacera e questa, credo, si chiama Pentimento (Μετάνοια); infatti, si volta indietro piangendo e guarda con gli occhi bassi, piena di vergogna, la Verità (Ἀλήθεια) che si avvicina. Così Apelle riprodusse nel quadro il pericolo da lui corso9.

In poche righe, Luciano delinea le caratteristiche essenziali del dipinto. Per prima cosa, viene indicato l’andamento della composizione, che procede da sinistra verso destra, poi segue un elenco dei dieci personaggi che compongono la scena, di cui ben otto sono personificazioni. Tramite l’utilizzo di specifici avverbi di luogo (ἐν δεξιᾷ, ἑτέρωθεν, κατόπιν), Luciano suddivide i personaggi in tre gruppi e di ogni personaggio fornisce una breve descrizione, sufficiente a caratterizzarlo. Inizia delineando il gruppo sulla destra (ἐν δεξιᾷ) e il primo personaggio

Calunnia di Apelle, una descrizione pittorica inserita in una cornice allegorica, dalla connotazione

moraleggiante, all’interno di un trattato sulla calunnia. Un esempio di ekphrasis come genere letterario è dato dalle Εἰκόνες di Filostrato (III secolo d.C.), un’opera interamente formata da descrizioni di opere d’arte.

9 Traduzione basata sul testo originale, contenuto in: Luciano di Samosata, Dialoghi, a cura di Vincenzo

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presentato è un uomo che possiede grandi orecchie, paragonate a quelle di Mida, raffigurato nell’atto di tendere la mano alla Calunnia. Il paragone con Mida, il mitico re di Frigia, rimanda all’episodio in cui il re, chiamato a giudicare una contesa musicale tra Apollo e Pan, si schierò a favore di quest’ultimo. Apollo, adirato, si vendicò facendogli crescere due enormi orecchie di asino e, in seguito a questo episodio, re Mida acquisì la proverbiale fama di cattivo giudice. Luciano prosegue con la presentazione di due personificazioni, Ignoranza e Sospetto, delle quali non fornisce alcuna descrizione, limitandosi a specificarne il genere femminile (γυναῖκες) e la posizione, a fianco dell’uomo seduto.

Dal lato opposto rispetto a questo gruppo di figure, avanza la Calunnia, la personificazione protagonista del dipinto di Apelle, descritta come una donna (γύναιον) di grande bellezza, ma sconvolta da agitazione e rabbia. La Calunnia regge con la mano sinistra (τῇ ἀριστερᾷ) una fiaccola accesa e con l’altra trascina per i capelli un giovane, descritto nell’atto di innalzare le mani al cielo, invocando gli dei. Si tratta del calunniato, trascinato al cospetto di colui che ne deciderà la sorte. È preceduta e guidata dall’Invidia, descritta come un uomo (ἀνὴρ) pallido ed estremamente brutto, dallo sguardo penetrante, ed è accompagnata da altre due personificazioni, Insidia e Frode, che la esortano e le acconciano i capelli e le vesti. Queste cinque figure formano il secondo gruppo, posto al centro della composizione. Poco distante, segue una donna10 vestita a

lutto, con la veste lacera e gli occhi pieni di lacrime. Si tratta del Pentimento, descritta nel momento in cui, piena di vergogna, si volta all’indietro e rivolge lo sguardo verso Verità. Di quest’ultima personificazione viene specificato il fatto che si stia avvicinando, ma non

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ne viene offerta alcuna descrizione. Pentimento e Verità costituiscono il terzo gruppo di personaggi, situato a sinistra della composizione.

Per Luciano, l’ekphrasis del dipinto di Apelle è un espediente retorico utile a veicolare un messaggio etico e morale: è necessario valutare con attenzione le voci infamanti che circolano sul conto di altri e non prestarvi fede assoluta, in particolar modo se hanno origine in ambienti caratterizzati da rapporti di potere o da forte competitività, come quelli politici11. Il fatto che l’autore faccia specifico riferimento a vicende

politiche ambientate a corte, ha contribuito al riutilizzo del testo in chiave polemica e anticortigiana da parte dei suoi fruitori.

Il recupero delle opere di Luciano avvenne agli inizi del XV secolo, per mano di un gruppo di intellettuali italiani che soggiornarono a Bisanzio e trasportarono in Occidente le sue opere, in parte tradotte da loro stessi12.

In particolare, Guarino da Verona tradusse per la prima volta in latino il trattatello lucianeo sulla calunnia, tra il 1406 e il 1408, durante il suo soggiorno a Costantinopoli. Nella lettera indirizzata a Giovanni Quirini, destinatario della sua traduzione, Guarino definisce il trattato lucianeo «elegans opusculum» e conferma di averlo tradotto in latino, «e graeco

sermone in latinum verti». Nel febbraio del 1416, in una lettera indirizzata

all’amico Bartolomeo da Montepulciano, Guarino parla della sua traduzione in questi termini: «ut autem quid de illis consultes habeas, haec

ipsa latina feci: Calumniam Luciani, breve sane opusculum, in quo prima posui tirocinia»13. Con il suo Calumniae non temere credendum, Guarino

11 B. Huss, Luciano, Alberti e … Petrarca: ekphrasis e personificazione nella tradizione testuale e nelle

arti figurative, «Italianistica», XLVII, 2, 2018, p. 71.

12 Ivi, p. 68.

13 Il testo è presente in D. Cast, The Calumny of Apelles. A study in the humanist tradition, New

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inaugurò una lunga serie di traduzioni e di volgarizzamenti dell’ekphrasis di Luciano, e contribuì al crescente interesse per la tematica della calunnia da parte degli umanisti. Oltre alla traduzione di Guarino, è opportuno citare le traduzioni latine di Lapo da Castiglionchio (1434-1438), di Francesco Griffolini d’Arezzo, detto Francesco l’Aretino (1455-1460), di Ludovico Carbo (1461), il volgarizzamento di Antonio Averlino detto il Filarete, contenuto nel suo Trattato di architettura (1460-1465) e quello ad opera di Bartolomeo della Fonte (1472), basato sulla traduzione di Guarino e dedicato a Ercole I d’Este. Esistono, inoltre, due traduzioni anonime del trattato di Luciano, una in latino, datata 1494 e una in volgare, datata 1442. La tradizione del testo rimase principalmente manoscritta, ad eccezione della traduzione di Francesco Aretino, data alle stampe nel 1475 a Norimberga; della traduzione latina anonima, edita nel 1494 a Venezia in un volume di testi lucianei curato da Benedetto Bordone e della traduzione in volgare di Niccolò da Lonigo, redatta nel 1471 e stampata soltanto nel 1525.

Di fondamentale importanza per la diffusione dell’ekphrasis lucianea tra gli artisti rinascimentali, è la presenza del testo della Calunnia all’interno del trattato De pictura di Leon Battista Alberti, del 1435. Nel terzo libro della sua opera, Alberti afferma che un pittore debba essere il più possibile dotto in tutte le arti liberali ed esorta gli artisti a fare sempre riferimento ai poeti e agli oratori antichi, al momento di dar vita a un’opera d’arte. A tal proposito, cita la Calunnia come modello da seguire per l’invenzione di una composizione e inserisce la traduzione del brano di Luciano, basandosi su quella eseguita da Guarino. Esistono due versioni del trattato di Alberti, una in latino e una in volgare e, di conseguenza, possediamo due stesure dell’ekphrasis della Calunnia. A differenza di Luciano, lo scopo di Alberti non è quello di diffondere un messaggio di natura

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etico-morale, bensì quello di fornire agli artisti un modello di riferimento per la composizione di un’istoria dinamica. Allo stesso modo, le personificazioni non sono portatrici di un insegnamento morale ma sono utilizzate come esempi di figure dinamiche, da combinare tra loro per comporre un’opera.

Nel panorama delle trasposizioni della Calunnia lucianea, riveste un ruolo importante il volgarizzamento di Cristoforo Landino, contenuto nel suo commento alla Divina Commedia, del 1481. Landino inserisce la descrizione del dipinto di Apelle nel commento relativo ai vv. 142-144 del XXIII canto dell’Inferno, incentrati sui principali vizi del Diavolo. La versione di Landino, ignorata per secoli, è stata presa in considerazione soltanto in tempi recenti dalla studiosa Angela Dressen14 e colpisce per la

fedeltà al testo greco di Luciano.

La ricezione della Calunnia di Apelle non si limita all’ambito testuale, ma si allarga a quello figurativo, grazie al forte vincolo tra testo e immagine, presente già a partire da Luciano. La tradizione pittorica della Calunnia conta fino a cinquantacinque opere incentrate su questo soggetto, a partire dal Quattrocento15, probabilmente sotto l’impulso del De Pictura di

Alberti. La prima rappresentazione figurativa del tema, giunta fino a noi, è la miniatura di Bartolomeo della Fonte del 1472 (figura 1), contenuta nel manoscritto che ospita la sua traduzione dell’ekphrasis di Luciano. La composizione riproduce la scena descritta nel testo greco e presenta un andamento da sinistra verso destra. La disposizione delle figure si attiene alle indicazioni ecfrastiche, con una sola eccezione data dalla

14 A. Dressen, From Dante to Landino. Botticelli’s Calumny of Apelles and its sources, «Mitteilungen

des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», 1, 2017, pp. 324-339.

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personificazione di Ignoranza, rannicchiata sui gradini del trono anziché in piedi a fianco del re. Della Fonte si discosta leggermente dall’ekphrasis lucianea anche per quanto riguarda la rappresentazione del calunniato, raffigurato in atteggiamento di preghiera, con le mani congiunte e non rivolte al cielo, come si legge in Luciano. È interessante il fatto che la figura della Verità sia rappresentata nuda, dato che questo dettaglio non è specificato in nessuna delle versioni dell’ekphrasis. Tale scelta da parte di Della Fonte potrebbe essere collegata al fatto che Alberti, nelle sue traduzioni della Calunnia, riferisca alla Verità gli attributi di vergognosa e pudica («pudica et verecunda» nella versione in latino), solitamente riferiti al Pentimento. Più verosimilmente, la causa della nudità di Verità è da ricercarsi nella stesura del Filarete, dove si legge di «una vergognosa fanciulla quasi inuda, e questa era la Verità»16. La miniatura di Della Fonte

occupa la metà superiore della pagina del manoscritto, nella metà inferiore è presente una cornice rettangolare che ospita, al suo interno, un medaglione contenente il titolo dell’opera scritto a lettere capitali, Apelles

Pictura de Calumnia.

Interessante è il caso della miniatura realizzata da Benedetto Bordone (figura 2) e inserita nel volume di testi lucianei pubblicato a Venezia nel 1494, contenente la traduzione latina anonima dell’ekphrasis sulla

Calunnia di Apelle. La miniatura presenta sostanziali differenze rispetto

alla descrizione fatta da Luciano, a partire dall’andamento della composizione, che risulta invertito. Infatti, il gruppo di personaggi comprendente il re dalle orecchie d’asino e le personificazioni di Ignoranza e Sospetto si trova sulla sinistra e il resto delle figure prosegue in quella direzione. Tra le differenze principali si annovera il fatto che il

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condannato abbia le sembianze di un bambino e che la personificazione di Livore segua la Calunnia, anziché precederla e guidarla verso il trono. Inoltre, Insidia e Frode non sono rappresentate nell’atto di ornare vesti e capelli della protagonista, ma camminano inoperose al suo seguito. La figura di Verità, che chiude il corteo, è rappresentata vestita. La scena riprodotta da Bordone si svolge all’aperto, come suggerisce la fitta vegetazione di sfondo, ed è racchiusa in una cornice rettangolare, ornata da elementi decorativi.

La più celebre interpretazione della Calunnia di Apelle è, senza dubbio, quella di Sandro Botticelli, realizzata nel 1494-1495 circa e conservata al Museo degli Uffizi di Firenze (figura 3). Botticelli inserisce la scena principale in un fondale architettonico sfarzoso, riccamente decorato con statue in marmo e rilievi dorati. La ricchezza di particolari, la sovrabbondanza di personaggi e i colori sgargianti della composizione creano, a un primo sguardo, un’impressione di affollamento e la mancanza di iscrizioni esplicative contribuisce a rendere criptico il significato dell’opera. Giorgio Vasari, nel suo trattato Le vite de’ più eccellenti

pittori, scultori e architettori, testimonia l’esistenza di un’iscrizione di

accompagnamento al dipinto, un epigramma di Fabio Segni che esplicita il soggetto dell’opera.

Della medesima grandezza che è la detta tavola de’ Magi, n’ha una di mano del medesimo Messer Fabio Segni, gentiluomo fiorentino, nella quale è dipinta la calunnia d’Apelle, bella quanto possa essere. Sotto la quale tavola, la quale egli stesso donò ad Antonio Segni suo amicissimo, si leggono oggi questi versi di detto Messer Fabio17:

Indicio quemquam ne falso laedere tentent

17 L’edizione citata è quella del 1568, dove viene specificato che l’epigramma fu composto da Fabio

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Terrarum reges parva tabella monet. Huic similem aegypti regi donavit Apelles. Rex fuit et dignus munere munus eo18.

Come nel caso di Della Fonte, l’andamento della composizione procede da sinistra verso destra ed è caratterizzato da un forte dinamismo, in alcuni casi quasi esasperato, come se un forte vento sospingesse tutti i personaggi in direzione del trono, ad eccezione della Verità. La lettura del dipinto, tuttavia, segue l’andamento opposto, da destra verso sinistra, in linea con l’ekphrasis di Luciano. Il ritmo della scena è chiaramente tripartito, con una maggiore concentrazione di personaggi nel gruppo centrale, comprendente la figura della Calunnia. Un’analisi dettagliata delle figure che compongono il dipinto e delle scene che animano il fondale sarà argomento dei capitoli successivi. A differenza delle figure della miniatura di Della Fonte, caratterizzate da una mimica facciale molto espressiva, i personaggi di Botticelli possiedono una mimica molto più contenuta, in alcuni casi quasi inespressiva, e la manifestazione delle rispettive caratteristiche è affidata alla postura e agli attributi, come le vesti. L’architettura del fondale, popolata da scene in rilievo e da numerose statue, lascia intendere un preciso collegamento con la scena principale ma, in assenza di una chiave di lettura precisa e di didascalie che ne esplicitino il senso, l’opera risulta complessa da decifrare.

Questa difficoltà di interpretazione viene risolta da Andrea Mantegna nella sua versione della Calunnia di Apelle (1504-1506), mediante l’aggiunta di iscrizioni che permettono di identificare agevolmente le

18 «Questa piccola tavola ammonisce i re della terra, affinché non provino a danneggiare qualcuno con

una falsa accusa. Apelle ne donò una simile al re d’Egitto. Era re, quindi degno di ricevere un tale dono».

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personificazioni (figura 4). Il disegno di Mantegna, composto a imitazione di un rilievo antico, presenta notevoli differenze rispetto alle versioni di Botticelli e di Della Fonte, avvicinandosi alla miniatura realizzata da Bordone. Innanzitutto, l’andamento della composizione è invertito, il corteo procede da destra verso sinistra e, di conseguenza, il gruppo formato dal re assiso in trono e dalle sue cattive consigliere si trova all’estrema sinistra del disegno. Per esigenze di prospettiva, la Calunnia regge la fiaccola con la mano destra anziché con la sinistra, in curioso accordo con la traduzione di Guarino e con quella in volgare di Alberti19,

di cui ci occuperemo in seguito. Un’innovazione notevole rispetto alla tradizione precedente riguarda la rappresentazione al femminile di Invidia, descritta come un uomo da Luciano (jqónoς), Guarino (Livor) e Alberti (Livore) e così riprodotta da Della Fonte, Bordone e Botticelli. Rappresenta un’eccezione il volgarizzamento di Landino, dove l’Invidia è descritta tramite attributi femminili («la 'nvidia con occhio acuto ma pallida»). Mantegna attua un significativo cambiamento di genere anche per quanto riguarda il soggetto trascinato per i capelli dalla Calunnia, raffigurato non più come un giovane di sesso maschile, bensì come una giovane fanciulla, personificazione dell’Innocenza, come indicato dall’iscrizione sottostante. Inoltre, la personificazione di Verità del disegno di Mantegna non è nuda, ma ricoperta da una lunga veste, come le altre personificazioni, e ha una corona di alloro sul capo. Sebbene le innovazioni attuate da Mantegna trovino conferma in alcune versioni testuali dell’ekphrasis lucianea, è difficile credere che le differenze riscontrate nelle varie opere dipendano dalla lettura di determinate traduzioni da parte degli artisti. L’orientamento della composizione

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dipende strettamente dal gusto dell’artista e determina, di conseguenza, la posizione della fiaccola nella mano della Calunnia, che può variare per ragioni di prospettiva. La rappresentazione al femminile di Invidia è sicuramente legata alla tradizione, così come la scelta di inserire la personificazione di Innocenza nel ruolo del calunniato. Anche la scelta di rappresentare Verità nuda rientra nella sfera soggettiva dell’artista, dal momento che la tradizione legittima entrambe le versioni. Ciò che accomuna queste rappresentazioni artistiche è l’intento di riprodurre il modello lucianeo nel modo più fedele possibile, probabilmente sotto la forte spinta del trattato di Alberti.

Tra le molte riproduzioni della versione di Mantegna, merita attenzione l’incisione su rame di Girolamo Mocetto (1504-1506), che riproduce fedelmente il soggetto dell’originale, con l’aggiunta di un paesaggio urbano sullo sfondo (figura 5). In particolare, si tratta della veduta di una porzione del Campo S.S. Giovanni e Paolo di Venezia, come suggeriscono la basilica e la statua equestre di Bartolomeo Colleoni. Mocetto riproduce anche le iscrizioni di Mantegna, nonostante alcuni errori di trascrizione, come nel caso di deceptione (Frode) che diviene adeptione.

Una versione della Calunnia di Apelle, purtroppo perduta20, fu eseguita da

Raffaello Sanzio prima del 1520, anno della sua morte. Ne dà testimonianza Giorgio Vasari nell’edizione del 1568 de Le vite de’ più

eccellenti pittori, scultori e architettori, nella sezione dedicata alla

biografia di Benvenuto Garofalo. Nel 1543, Garofalo realizzò una versione della Calunnia «con i disegni di Raffello da Urbino». L’allegoria della Calunnia ebbe grande fortuna all’interno della cerchia di Raffaello

20 Il disegno della Calunnia di Apelle, conservato al Louvre, è stato considerato per lungo tempo

(20)

e ne furono realizzate numerose versioni21. La tradizione iconografica

italiana della Calunnia di Apelle ha il suo punto di arresto con la composizione di Federico Zuccaro del 1572, un’allegoria manieristica ormai lontana dall’adesione fedele all’ekphrasis di Luciano, oggetto di numerose riproduzioni da parte dello stesso Zuccaro e di altri artisti. Grazie alla riscoperta del trattato di Luciano da parte degli umanisti italiani, il tema della Calunnia di Apelle ebbe grande fortuna durante tutto il XV secolo, fino ad esaurirsi verso la metà del XVI secolo. Il promotore principale di questa diffusione fu, senza dubbio, Leon Battista Alberti, per aver citato l’ekphrasis di Luciano come modello ideale per la composizione di un’opera d’arte, all’interno del suo trattato sulla pittura. A Sandro Botticelli spetta il merito di aver realizzato una versione esemplare del tema, fedele alla descrizione di Luciano e in linea con i precetti di Alberti ma, al tempo stesso, fortemente innovativa e carica di riferimenti e allusioni, tutti da scoprire.

21 Per un elenco completo delle riproduzioni, consultare il catalogo di J.M. Massing, Du texte a l’image.

(21)

2.

L

E FONTI DELLA

C

ALUNNIA DI

A

PELLE DI

S

ANDRO

B

OTTICELLI

.

L’ekphrasis contenuta all’interno del De pictura di L. B. Alberti è da sempre considerata la fonte principale del dipinto di Botticelli. I due artisti, infatti, appartenevano alla stessa cerchia, quella degli umanisti fiorentini, facente capo a Lorenzo de’ Medici, e l’ipotesi è avvalorata anche cronologicamente, dal momento che Alberti compose il suo trattato tra il 1435 e il 143622 e Botticelli realizzò la sua opera nel 1494/1495.

Prima di procedere con il confronto tra la descrizione del dipinto proposta da Alberti e la realizzazione iconografica di Botticelli, è necessario soffermarsi su entrambe le stesure dell’ekphrasis di Alberti, quella in latino e quella in volgare, e operare un confronto tra queste e l’originale Lucianeo. È comunemente accettata dagli studiosi l’ipotesi che Alberti si sia servito della traduzione latina di Guarino da Verona come tramite tra le sue versioni e l’ekphrasis di Luciano, non avendo accesso diretto all’originale greco23. La traduzione di Guarino è totalmente fedele

all’originale, fatta eccezione per un dettaglio, la mano della Calunnia che regge la fiaccola. Guarino compie un errore di traduzione sostenendo che sia la destra, mentre in Luciano leggiamo τῇ ἀριστερᾷ, ovvero la mano sinistra. Nel caso di Alberti, la situazione si complica, poiché nella versione in latino la mano che regge la fiaccola è la sinistra («manu sinistra facem accensam tenens»), mentre nella versione in volgare è la destra («tenea nella sua destra mano una face incesa»), come se Alberti si fosse servito della traduzione di Guarino per la sola stesura in volgare e avesse attinto altrove per quella latina. Nello specifico, Alberti potrebbe aver

22 La prima stesura, in latino, risale al 1435. La seconda, in volgare, è datata 1436. 23 B. Huss, Luciano, Alberti e … Petrarca, cit., p. 72.

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fatto riferimento alla traduzione latina di Lapo da Castiglionchio, coeva alla stesura del suo trattato, e averla affiancata a quella di Guarino del 1408. Questa ipotesi, oltre a spiegare il «manu sinistra» della stesura latina di Alberti, che potrebbe rifarsi al «sinistra manu» della traduzione di Lapo, contribuirebbe a risolvere un’altra questione a lungo dibattuta dagli studiosi, la descrizione del Livore proposta da Alberti. Luciano ci presenta Φθόνος come «un uomo pallido e deforme, che ha lo sguardo penetrante, simile a coloro che sono stati indeboliti da una lunga malattia», Guarino resta fedele all’originale e traduce la similitudine con «quos macie diuturnior confecit aegritudo». Alberti, in entrambe le stesure, modifica la similitudine e presenta Livore come un uomo che è stato indebolito da una lunga battaglia24. Questa variazione è stata spiegata come frutto di un

errore di lettura compiuto da Alberti, che ha confuso il termine «macie» con «in acie», modificando il senso della frase25. È possibile che Alberti

sia stato ulteriormente tratto in inganno dalla traduzione di Lapo da Castiglionchio, dove si legge «vir pallidus et deformis acuta acie oculorum et squallidis longo morbo persimilis», dove il termine «acie» fa riferimento allo sguardo penetrante dell’uomo e non al campo di battaglia. Alla luce di quanto esposto, le stesure di Alberti potrebbero essere il frutto di una contaminatio tra la traduzione latina di Guarino e quella di Lapo da Castiglionchio.

L’ekphrasis di Alberti, dunque, si mantiene sostanzialmente fedele all’originale lucianeo e le divergenze si limitano a dettagli scarsamente rilevanti per il significato complessivo della narrazione. In particolare, le

24 «Quem merito compares his quos in acie longus labor confecerit», nella versione latina. «Quale

potresti assimigliare a chi ne’ campi dell’armi con lunga fatica fusse magrito e riarso», nella versione in volgare.

(23)

stesure di Alberti si distaccano dall’originale per quanto riguarda la causa dell’aspetto emaciato di Livore, consumato dalla battaglia anziché dalla malattia, e per il fatto che gli attributi solitamente riferiti al Pentimento siano attribuiti a Verità26. Inoltre, Alberti ha scelto di abolire alcuni

dettagli descrittivi presenti in Luciano, come il paragone tra l’uomo dalle grandi orecchie e re Mida e la descrizione del suo gesto rivolto alla Calunnia. Il giovane calunniato è descritto nell’atto di tendere le mani al cielo, ma non è specificato che stia invocando l’aiuto degli dei e la descrizione dell’espressione della Calunnia è drasticamente ridotta e distorta rispetto all’originale. La stesura volgare presenta un’ulteriore differenza, mostrando la Calunnia che regge la fiaccola con la mano destra anziché con la sinistra. Citando Massing, la narrazione di Alberti offre una versione ridotta del dipinto, a causa della sua concisione27.

Operando un confronto tra la descrizione del dipinto proposta da Alberti e la versione pittorica di Botticelli, emergono alcune differenze. Ad un primo esame, il dipinto di Botticelli è fedele alla descrizione di Alberti per quanto riguarda i tratti fondamentali, quali l’andamento della composizione, la disposizione dei personaggi e le loro caratteristiche principali, ma se ne discosta per alcuni dettagli minori. Botticelli raffigura l’uomo sulla destra con orecchie di asino e una corona sul capo, rispettando il paragone lucianeo con re Mida, assente nella descrizione di Alberti. In accordo con l’ekphrasis lucianea, il re tende la mano verso la Calunnia che sopraggiunge, mentre in Alberti questo particolare è assente. Botticelli, inoltre, raffigura Pentimento nell’atto di voltarsi verso Verità, ulteriore dettaglio presente in Luciano, ma omesso da Alberti. La Calunnia

26 Verità è definita «pudica et verecunda» nella stesura latina, «vergognosa e pudica» in quella volgare. 27 J.M. Massing, Du texte a l’image, cit., p. 57.

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di Botticelli regge la fiaccola con la mano sinistra, in accordo con Luciano e con la versione latina di Alberti, ma non con quella volgare. Tali discordanze, in apparenza insignificanti, sono indice del fatto che le fonti del dipinto di Botticelli non si limitano al solo trattato albertiano, ma coinvolgono più opere, sia in campo testuale che figurativo.

Per quanto concerne le fonti testuali, è di notevole rilevanza l’ipotesi avanzata dalla studiosa Angela Dressen, che considera il commento alla

Divina Commedia di Cristoforo Landino del 1481 come la fonte principale

dell’opera di Botticelli28. La Dressen si riferisce sia alla scena principale

del dipinto, descritta da Landino nel commento ai versi 142-144 del XXIII canto dell’Inferno, sia al ricco fondale, del quale ci occuperemo dettagliatamente in seguito.

E 'l frate: "Io udi' già dire a Bologna del diavol vitii assai tra quali udii

che gl'è bugiardo et padre di menzogna".

Dimostra frate Catelano havere udito dire a Bologna, cioè in quella città dove fiorisce lo studio di tutte le buone arti, et maxime la theologia, che 'l diavolo è bugiardo et padre di

menzogna: cioè bugia, perchè menzogna è decta perchè mentisce. Udì adunque dire ne gli

studii dove si dà opera alla sancta theologia quel decto “diabolus mendax est et pater mendacii”; et certo el nome lo significa, perchè diavolo in greco significa calunniatore, et calunnia non è altro che falsa infamia et inganno. Imperochè se tu a me dì male d'un altro falsamente tu cerchi d'ingannarmi, et ch'io habbi falsa oppinione di cholui el quale è innocente. Onde optimamente fu dipincta la calunnia da Appelle Ephesio pictore nobilissimo in questa forma: alla mano dextra siede un huomo, ma con orecchi d'asino a guisa di Mida, et porge la mano alla calunnia, che a llui viene. Intorno a costui stanno ricte due donne, una decta ignorantia, l'altra suspictione; allo 'ncontro è la calunnia la cui forma è egregia. Ma piena di rabbia et disdegno, et chon la sinistra tiene una faccellina, et con la dextra si tira drieto un giovane, el quale alza le mani al cielo et invoca Iddio in testimonio

(25)

della sua innocentia. Davanti gli va la 'nvidia con occhio acuto ma pallida, chome chi è stato oppresso da llunga malattia. Intorno alla calunnia sono due che l'ornano et adextrano, questi sono le insidie, cioè aguati, et la fraude. Ma drieto la sequita la penitentia di neri et lacerati panni vestita, di pianto piena, et da vergogna confusa, et raguarda la verità la quale viene per soccorrere el giovane a torto calunniato. Questa è adunque la descriptione della calunnia, la quale con brievi parole ho posta, perchè chome ho decto diabolo in greco significa calunniator, cioè colui che con menzogna accusa; et nasce da questo verbo “diaballin” che significa “calunniare”29.

A sostegno della sua tesi, la studiosa cita tutti quei dettagli del dipinto di Botticelli che sono assenti dalla descrizione di Alberti, ma che compaiono nella descrizione fatta da Landino. In Landino è presente il paragone tra l’uomo seduto sulla destra e re Mida, le cui orecchie non vengono semplicemente definite grandi, bensì da asino, l’uomo viene descritto nell’atto di tendere la mano alla Calunnia che si avvicina e di Pentimento viene sottolineato lo sguardo pieno di vergogna rivolto a Verità. Landino specifica anche l’andamento della composizione, da sinistra verso destra. Apparentemente, la descrizione dell’episodio della Calunnia di Apelle contenuta nel commento di Landino sembrerebbe la fonte ideale per la realizzazione pittorica di Botticelli, se non fosse per un dettaglio di considerevole importanza. Nel descrivere la figura che precede la Calunnia e la guida, Landino utilizza l’espressione «la 'nvidia con occhio acuto ma pallida, chome chi è stato oppresso da llunga malattia», riferendosi chiaramente a una figura femminile. Nel dipinto di Botticelli, la Calunnia viene guidata da un uomo dall’aspetto emaciato e dalle vesti strappate, in linea con la descrizione di «Φθόνος» fatta da Luciano e di «Livor» nelle traduzioni latine. Il problema di genere relativo alle

29 C. Landino, Comento sopra la Comedia, a cura di P. Procaccioli, Roma, 2001, Inf. XXIII, vv.

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personificazioni è ben esplicitato da Massing, che lo riscontra anche nelle traduzioni in francese dell’ekphrasis di Luciano.

La difficulté se retrouve surtout dans les langues vernaculaires qui ne possèdent pas d’equivalent masculin pour la personnification grecque. L’Envie, de genre féminin, est décrit comme un homme par la plupart des traducteurs français; en effet, rares sont ceux qui la décrivent comme une personnification féminine30.

Si tratta, dunque, di una difficoltà filologica, la cui risoluzione è a discrezione dell’autore. Lapo da Castiglionchio, ad esempio, nella sua traduzione del 1436 sceglie di utilizzare il termine femminile «invidiam», per riferirsi a una personificazione di genere maschile («vir pallidus et

deformis, hunc invidiam esse coniectare licet»). Nonostante la lingua

italiana disponga di un termine adeguato come «livore» per tradurre il greco «Φθόνος», il termine «invidia» si inserisce nel solco della tradizione delle personificazioni e possiede maggiore efficacia espressiva. Landino non solo sceglie di riferirsi alla sua personificazione con questo termine, ma compie un’ulteriore innovazione rispetto alle traduzioni precedenti, descrivendola come una donna. La sostanziale differenza di genere tra la personificazione descritta da Landino e quella raffigurata da Botticelli impedisce di considerare la traduzione di Landino come fonte esclusiva del dipinto.

Per quanto concerne le fonti iconografiche, le opere figurative che precedono cronologicamente la Calunnia di Botticelli si limitano alla miniatura realizzata da Bartolomeo della Fonte nel 1472 e a un’opera, oggi perduta, citata nell’inventario dei beni di Lorenzo de’ Medici, compilato

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in seguito alla sua morte, nel 149231. La miniatura di Benedetto Bordone

del 1494 è coeva alla realizzazione del dipinto di Botticelli ed è improbabile che egli se ne sia servito come fonte di ispirazione. Ben più probabile è l’utilizzo della miniatura di Della Fonte come modello di riferimento per l’esecuzione della Calunnia botticelliana, in unione alla traduzione dell’ekphrasis lucianea eseguita dall’autore stesso, totalmente fedele all’originale. È rilevante il fatto che Della Fonte avesse stretti legami con la cerchia di umanisti facente capo a Lorenzo de’ Medici, la stessa intorno alla quale gravitava Botticelli. I particolari presenti nel dipinto di Botticelli e assenti nelle descrizioni di Alberti, sono rintracciabili nella miniatura di Della Fonte e accomunano le due opere iconografiche. In entrambe, l’uomo sulla destra è raffigurato con le orecchie di asino e nell’atto di tendere la mano verso la Calunnia, Pentimento è voltata all’indietro verso Verità, che è raffigurata nuda e in atteggiamento pudico. Inoltre, Della Fonte inserisce il gruppo di personaggi sulla destra all’interno di una struttura architettonica formata da archi, colonne e gradini, dalla quale Botticelli potrebbe aver tratto ispirazione per il suo grandioso fondale.

Prima di trarre le debite conclusioni, è importante notare come la riconversione ecfrastica di Botticelli sembri ispirarsi direttamente all’ekphrasis di Luciano, senza alcun intermediario. La scena principale del dipinto è la riproduzione fedele della descrizione del retore greco, con una sola piccola variante che riguarda l’espressione del volto della Calunnia. Luciano la descrive come accalorata e piena di rabbia, mentre la Calunnia di Botticelli ha un’espressione impenetrabile e fredda, che

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suggerisce astuzia32 ma, fatta eccezione per questo dettaglio, il dipinto

riproduce fedelmente le indicazioni fornite nell’ekphrasis. Per questo motivo, si potrebbe pensare a un rapporto diretto tra l’originale lucianeo e l’opera di Botticelli. La critica è concorde sul fatto che Botticelli non conoscesse il greco, ma questo particolare non esclude l’accesso del pittore al testo di Luciano, tramite l’ausilio di un mediatore. Nel caso della

Calunnia botticelliana, la figura mediatrice tra testo originale e artista è

stata identificata in Angelo Poliziano, con il quale Botticelli aveva collaborato in precedenza, sia per la realizzazione della Nascita di Venere che per quella della Primavera33. L’intervento di un conoscitore del greco,

capace di tradurre direttamente il testo originale, spiegherebbe l’assenza dal dipinto di alcuni errori compiuti dai traduttori precedenti, ad esempio da Alberti. Nel caso del De Pictura, sicuramente consultato e utilizzato da Botticelli per la realizzazione della sua opera, Poliziano potrebbe aver emendato gli errori di traduzione e reintegrato le parti presenti nell’originale lucianeo, ma omesse da Alberti. La fondamentale presenza, a fianco di Botticelli, di un intellettuale in grado di stabilire un contatto diretto con il testo greco, non esclude in alcun modo la consultazione e l’utilizzo di altre fonti, quali il trattato di Alberti, la descrizione presente all’interno del commento di Landino o la miniatura di Della Fonte. Un dipinto del calibro della Calunnia botticelliana, caratterizzato da grande complessità, ricchezza di elementi e molteplicità di significati, necessita sicuramente di una ricerca approfondita e di una varietà di fonti di ispirazione per la sua realizzazione. Per questo motivo, è

32 H. P. Horne. Botticelli painter of Florence, Princeton, Princeton Univ. Press, 1980.

33 L. Lovisetto, La pittura descritta: ekphrasis e riconversioni ecfrastiche nel Quattrocento e

Cinquecento, in L’originale assente. Introduzione allo studio della tradizione classica, a cura di M.

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controproducente tentare di individuare un’unica fonte dalla quale Botticelli possa aver tratto ispirazione per un’opera che è chiaramente frutto della rielaborazione di più materiali, di matrice sia testuale che iconografica.

Merita un discorso a parte il Trionfo della Calunnia di Bernardo Rucellai, un poemetto risalente al 1492/1493, che si inserisce nella tradizione dei

Trionfi petrarcheschi. All’interno del componimento, è presente la

descrizione del dipinto di Apelle, utilizzata da Rucellai per denunciare la corruzione dei suoi tempi.

Ciascun hochi del corpo, et della mente Porga a quel, che per noi vi si [di] dimostra Et vedrà expressamente

Quel vitio, che assai regnia all’età nostra; Et quanta poca gente

La verità conosca in questa vita, Et del suo bel color vada vestita.

D’asin horechi ha il re, che in alto siede, Perché sempre ha l’intender per obiecto; Appresso se li vede

Cieca ignoranza, et insiem van sospecto: Da questi dua procede,

Che a chiunque vien, li orechi, et le man porge, Et rade volte el ver dal falso scorge.

L’innocentia per terra è strascinata Dalla fiera calumnia, che vien via, D’ardente face armata,

Ad denotar, ch’el lume del mal dia: Magra, scinta, et stracciata

L’invidia è inanzi, che mai par, che goda, Se non del mal, quale ella vegga, et oda. Coloro, che allato alla Calumnia vanno Fede del falso con loro subtile arte

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Appresso al Re li fanno,

La verità celando ad parte, ad parte L’una da se è l’inganno,

L’altra è la fraude; che cosi tucta tre Fanno al Signore parer quel, che non è. La tarda penitentia in negro amanto Sguarda la verità, ch’è nuda et pura; Gli ochi sua verson pianto,

Ch’ogniun se stesso alfin col ver misura: Notate il nostro canto

Tucti: ma più ciascun che impera, et regge Perch’en questa figura el ver si legge34.

La descrizione presenta molti elementi in comune con il dipinto di Botticelli, ma se ne distacca per due dettagli fondamentali. Rucellai sceglie di rappresentare Invidia come una donna, sulla scia della scelta operata da Landino, e si serve di una personificazione femminile, Innocenza, per denotare il calunniato. Tuttavia, questo componimento potrebbe aver ispirato Botticelli non tanto per la realizzazione dei personaggi e la loro disposizione sulla scena, quanto per il messaggio allegorico-morale sotteso all’opera.

Secondo l’ipotesi di Rudolph Altrocchi35, Botticelli, sulla scia del

componimento di Rucellai, avrebbe dipinto la sua Calunnia per denunciare la corruzione dilagante nella Firenze del tempo, prendendo parte all’ampia polemica nei confronti di Piero de’ Medici, successore del padre Lorenzo. La morte del Magnifico, avvenuta nel 1492, segnò l’inizio di un periodo di crisi profonda per Firenze, che portò gli artisti a riversare

34 Testo contenuto in B. Huss, Luciano, Alberti e … Petrarca, cit., pp. 84-85.

35 R. Altrocchi, The “Calumny of Apelles” in the literature of the Quattrocento, «PMLA», XXXVI, 3,

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il malcontento generale nelle proprie opere, e proprio questa motivazione avrebbe spinto Botticelli a realizzare la sua Calunnia. Bernhard Huss riprende la tesi sostenuta da Altrocchi e commenta in questi termini il poemetto di Rucellai,

in una forma strofica ispirata ai canti “trionfali” che caratterizzano un filone specifico della tradizione folklorica fiorentina, l’autore (con ogni probabilità direttamente interessato e forse coinvolto in un conflitto col figlio di Lorenzo, Piero de’ Medici) rifonde l’”istoria” basata sulla personificazione allegorica della Calunnia di Apelle, per come poteva essere nota dai documenti testuali e artistici del tempo, nello stampo di un componimento poetico assimilabile al tipo dei Trionfi: il testo doveva essere recitato sfilando per le strade di Firenze nel corso di una processione incentrata sulla figura della Calunnia e costruita secondo un principio petrarchesco-lucianeo-albertiano-botticelliano36.

Huss iscrive tutta la tradizione testuale-iconografica della Calunnia di

Apelle, compreso il dipinto di Botticelli, all’interno dello scenario politico

e sociale della Firenze di fine Quattrocento, caratterizzato da «un comune orizzonte letterario-artistico-epistemologico, nutrito di interessi teorici e concrete pratiche produttive»37, ma segnato da grandi sconvolgimenti, sia

politici, come la discesa di Carlo VIII dalla Francia e la conseguente cacciata di Piero de’ Medici dalla città, sia religiosi, come la fama raggiunta dal predicatore Girolamo Savonarola.

36 B. Huss, Luciano, Alberti e … Petrarca, cit., p. 85. 37 Ivi, p. 84.

(32)

3.

L

A SCENA PRINCIPALE DELLA

C

ALUNNIA DI

A

PELLE

.

La Calunnia di Apelle di Sandro Botticelli è un dipinto a tempera, su

tavola, realizzato tra il 1494 e il 1495 e conservato al Museo degli Uffizi di Firenze. Il soggetto riproduce fedelmente il dipinto perduto del pittore greco Apelle, descritto con cura da Luciano nell’ekphrasis contenuta nel suo trattato, dedicato al tema della calunnia. La scena principale è ambientata in una grande loggia, dall’architettura molto elaborata. Il porticato marmoreo, formato da tre imponenti arcate, sostenute da colonne, si affaccia su «una grande distesa di acqua calma e di cielo sereno38», ed è riccamente decorato da sculture in marmo e bassorilievi

dorati. I soggetti scelti per la decorazione architettonica sono stati desunti, principalmente, dalla mitologia, dalla storia antica e da quella sacra. In primo piano, sono raffigurate dieci figure, prevalentemente di genere femminile, raggruppate in tre nuclei distinti. Il gruppo sulla destra è formato da tre figure, un uomo seduto su un trono e, ai lati, due donne che gli sussurrano nelle orecchie. L’uomo ha l’espressione profondamente affranta e tende il braccio destro in avanti, verso il corteo che procede nella sua direzione. Sulla sua testa, è posata una corona ma la vera particolarità di questo personaggio è il fatto che possieda delle orecchie d’asino. Il suo corpo è ricoperto da una lunga veste dorata e da un drappo purpureo ed è l’unico personaggio a indossare delle calzature. Le donne ai lati, «rappresentate con spirito dantesco»39, sono coperte da lunghe vesti dai

colori sgargianti, sulle tonalità del verde, del blu e del rosso. Stringono le orecchie dell’uomo e, con espressione seria, sussurrano al loro interno. Il

38 H. P. Horne, Botticelli painter of Florence, cit., p. 359. 39 Ivi, p. 358.

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secondo nucleo di personaggi, situato al centro della composizione, è composto da cinque figure, in movimento verso il gruppo sulla destra. La donna al centro, dall’espressione «impenetrabile e fredda»40, regge una

fiaccola con la mano sinistra e con la destra trascina per i capelli un giovane nudo, guardando nella sua direzione. È ricoperta da una lunga veste bianca, stretta sotto al seno da un nastro blu. Sopra di essa, indossa una sopravveste blu, dal colletto dorato. Alle sue spalle, due donne le stanno ornando i capelli con nastri e fiori, assumendo pose e movenze teatrali. Anch’esse, come le donne che affiancano il re in trono, indossano lunghe vesti e manti dai colori sgargianti. Un uomo incappucciato, dalla veste scura e logora, le stringe il polso sinistro e la conduce verso il trono. L’uomo ha la barba e i capelli lunghi e tende il braccio sinistro di fronte a sé, incrociandolo con quello dell’uomo dalle orecchie d’asino e arrivando quasi a sfiorargli il viso. Il giovane uomo a terra, trascinato per i capelli, è coperto solo da un drappo violaceo, stretto intorno alla vita, e tiene le mani congiunte e rivolte verso l’alto, in atteggiamento di supplica. Il gruppo sulla sinistra è formato da due figure, una donna incappucciata, ricoperta da una veste logora e da un ampio manto nero, che si volta all’indietro e volge lo sguardo verso una donna dai lunghi capelli biondi, completamente nuda. La donna incappucciata ha il volto e le mani rugosi, ad indicarne la vecchiaia, l’altra solleva in alto il braccio destro, con il dito indice teso, seguendone la direzione con lo sguardo. La mano sinistra è poggiata sul ventre, in atteggiamento pudico, e tutta la sua figura richiama, in modo sorprendente, la protagonista del dipinto La nascita di Venere. Tutte le donne presenti nella composizione hanno lunghi capelli biondi, ad eccezione della donna incappucciata, che è bruna. Grazie a una quasi

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totale corrispondenza tra i personaggi descritti da Luciano nella sua

ekphrasis e quelli realizzati da Botticelli nel suo dipinto, siamo in grado

di fornire un’identificazione dettagliata delle figure che popolano la scena principale, otto delle quali sono personificazioni. L’uomo in trono, paragonato da Luciano a re Mida, è chiaramente un sovrano, chiamato a giudicare il giovane trascinato al suo cospetto, che veste i panni del condannato. Le donne ai lati del trono, intente a sussurrare nelle orecchie del re, sono le personificazioni di Ignoranza e Sospetto. La donna che trascina il giovane condannato è la Calunnia, protagonista del dipinto, l’uomo incappucciato che la conduce verso il re è la personificazione del Livore e le donne che le acconciano i capelli e le ornano la veste sono le personificazioni di Insidia e Frode. La donna anziana, vestita a lutto, è la personificazione del Pentimento e la figura nuda, con braccio e sguardo rivolti verso l’alto, rappresenta la Verità. La nudità e il suo rivolgersi al cielo la accomunano al giovane condannato, provandone l’innocenza. È l’unica figura a stagliarsi immobile nella composizione, mentre le altre hanno in comune un movimento quasi febbrile, «caratteristica peculiare del tardo Botticelli, che qui diventa espressione delle passioni che animano le figure stesse»41, così come l’intensità dei colori utilizzati.

L’affollamento dei personaggi, sia nella scena principale che nella moltitudine di scene che ornano il fondale, contrasta in modo netto con la serenità del paesaggio sullo sfondo, dove un mare calmo si fonde con il cielo terso.

La coppia di personaggi formata dalle personificazioni di Pentimento e Verità merita un ulteriore approfondimento. Nel corso dell’analisi delle traduzioni latine dell’ekphrasis lucianea, è stato notato come l’attributo

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riferito a Pentimento nel testo greco, μετ' αἰδοῦς πάνυ («con grande vergogna»), sia stato erroneamente attribuito dagli umanisti a Verità, definita «pudubunda» da Guarino, «vergognosa e pudica» da Alberti, «vergognosa et timida» da Della Fonte, che infatti la ritrae nuda e con la mano sul ventre, in atteggiamento pudico. Anche Botticelli attribuisce a Verità l’attributo originariamente riferito a Pentimento, condizionato sia dalle varie traduzioni latine, sia dalla miniatura eseguita da Della Fonte, dalla quale Botticelli riprende la disposizione e la postura dei personaggi e i colori delle vesti. Il riferimento alla nudità di Verità potrebbe essere una suggestione di derivazione oraziana, come suggerito dalla Agnoletto, e il gesto pudico renderebbe questa personificazione una figura Veneris.

Queste infedeltà filologiche, in cui la nudità di Verità è per lo più lasciata all'immaginazione, lasciano intravedere un possibile riferimento colto alla nuda

veritas cantata da Orazio.

Quis desiderio sit pudor aut modus tam cari capitis? Praecipe lugubris cantus, Melpomene, cui liquidam pater vocem cum cithara dedit.

Ergo Quintilium perpetuus sopor urget; cui Pudor et Iustitiae soror, incorrupta Fides nudaque Veritas quando ullum inveniet parem?42

Ma nudità è anche sinonimo di purezza. Infatti, a differenza di Calunnia, Insidia e Frode, che ricorrono alla simulazione e al travestimento per raggirare e ingannare, Verità non ha bisogno di maschere e costumi, ma si mostra semplicemente così com'è, senza veli e senza fraintendimenti. Diventata pudica in seguito alla cessione da parte di Paenitentia di una delle sue qualità, la Nuda Veritas di Botticelli diviene anche, per analogia con la figura

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protagonista della Nascita di Venere, raffigurata anch'essa come una Venus pudica, una figura Veneris43.

Tuttavia, la Paenitentia botticelliana, privata di una delle sue principali caratteristiche, ne acquisisce di nuove rispetto alla tradizione, in linea con la miniatura di Della Fonte. In particolare, il dettaglio della pelle rugosa, indice di vecchiaia, e l’insolita postura delle mani catturano l’attenzione dello spettatore e ampliano il significato dell’allegoria in questione.

Questi innesti iconografici, indipendenti rispetto alla fonte antica, forniscono informazioni imprescindibili alla comprensione dell'opera stessa e del pensiero che l'ha generata e che ne è il fondamento. Nel caso specifico di Paenitentia, questi due elementi, già presenti nella Calunnia di Bartolomeo Fonzio, stanno a indicare il primo l'impossibilità di agire per cause naturali, il secondo letteralmente lo 'stare con le mani in mano', ossia l'apatia e l'esitazione che ostacolano l'agire dell'uomo44.

Il concetto di apatia ed esitazione si collega fortemente a quello del libero arbitrio, centrale nel pensiero umanistico dell’epoca. La capacità decisionale di un individuo, unita alla libertà di perseguire uno scopo con il solo ausilio della propria volontà, è la caratteristica principale dell’uomo rinascimentale, fulcro del pensiero di personalità del calibro di Ficino e Pico della Mirandola.

Il tema della libertà di scelta è centrale non solo nel pensiero umanistico, ma anche nel dipinto di Botticelli, che ancora una volta si spinge oltre il dettato ecfrastico di Luciano e le semplici indicazioni allegoriche contenute nella fonte antica. Lo scrittore greco dà delle istruzioni per poter valutare correttamente persone e fatti. Affinché un giudizio sia giusto e

43 S. Agnoletto, Tra ignavia e perseveranza: il doppio valore della Melancholia. La personificazione di

Metanoia/Paenitenza nella Calunnia di Apelle di Sandro Botticelli, «Engramma», CXL, dicembre

2016.

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illuminato dalla verità, ogni cosa dovrà essere esaminata con cura e sottoposta a un vaglio e a un giudizio rigoroso, smascherando le frodi, dissipando l'ignoranza, mettendo da parte sospetti e rancori. In questo modo si eviterà il pentimento e la vergogna cagionati da un giudizio erroneo. Botticelli, nella sua Calunnia, riecheggia la lezione di Luciano e rilancia l'idea di un giudizio giusto basato su criteri oggettivi e razionali45.

Grazie a un simile potere, l’uomo è libero di scegliere se nobilitare la sua condizione, grazie all’esercizio dell’intelletto e della ragione, o degradarla, seguendo passioni e istinti bestiali. In aggiunta al prezioso strumento della ragione, il neoplatonismo suggerisce l’ausilio dell’amore, per orientare al meglio la propria volontà e perseguire virtù e verità. La personificazione di Verità, associata alla dea Venere, incarna i principali valori del pensiero umanistico-rinascimentale e si pone in netto contrasto con la figura di Pentimento, che rappresenta la rinuncia alla volontà, l’immobilità e l’indifferenza, caratteristiche tipiche dell’accidia, uno dei vizi capitali. Lo stretto collegamento tra i soggetti raffigurati nella

Calunnia e i principi cardine della dottrina neoplatonica e del pensiero

umanistico emergerà, ancor più chiaramente, nel corso dell’analisi del fondale del dipinto, dove esempi di virtù, razionalità e amore si contrappongono all’assoluta mancanza di giudizio, all’abuso di potere e alla calunnia.

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