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L A SCENA PRINCIPALE DELLA C ALUNNIA DI A PELLE

La Calunnia di Apelle di Sandro Botticelli è un dipinto a tempera, su

tavola, realizzato tra il 1494 e il 1495 e conservato al Museo degli Uffizi di Firenze. Il soggetto riproduce fedelmente il dipinto perduto del pittore greco Apelle, descritto con cura da Luciano nell’ekphrasis contenuta nel suo trattato, dedicato al tema della calunnia. La scena principale è ambientata in una grande loggia, dall’architettura molto elaborata. Il porticato marmoreo, formato da tre imponenti arcate, sostenute da colonne, si affaccia su «una grande distesa di acqua calma e di cielo sereno38», ed è riccamente decorato da sculture in marmo e bassorilievi

dorati. I soggetti scelti per la decorazione architettonica sono stati desunti, principalmente, dalla mitologia, dalla storia antica e da quella sacra. In primo piano, sono raffigurate dieci figure, prevalentemente di genere femminile, raggruppate in tre nuclei distinti. Il gruppo sulla destra è formato da tre figure, un uomo seduto su un trono e, ai lati, due donne che gli sussurrano nelle orecchie. L’uomo ha l’espressione profondamente affranta e tende il braccio destro in avanti, verso il corteo che procede nella sua direzione. Sulla sua testa, è posata una corona ma la vera particolarità di questo personaggio è il fatto che possieda delle orecchie d’asino. Il suo corpo è ricoperto da una lunga veste dorata e da un drappo purpureo ed è l’unico personaggio a indossare delle calzature. Le donne ai lati, «rappresentate con spirito dantesco»39, sono coperte da lunghe vesti dai

colori sgargianti, sulle tonalità del verde, del blu e del rosso. Stringono le orecchie dell’uomo e, con espressione seria, sussurrano al loro interno. Il

38 H. P. Horne, Botticelli painter of Florence, cit., p. 359. 39 Ivi, p. 358.

secondo nucleo di personaggi, situato al centro della composizione, è composto da cinque figure, in movimento verso il gruppo sulla destra. La donna al centro, dall’espressione «impenetrabile e fredda»40, regge una

fiaccola con la mano sinistra e con la destra trascina per i capelli un giovane nudo, guardando nella sua direzione. È ricoperta da una lunga veste bianca, stretta sotto al seno da un nastro blu. Sopra di essa, indossa una sopravveste blu, dal colletto dorato. Alle sue spalle, due donne le stanno ornando i capelli con nastri e fiori, assumendo pose e movenze teatrali. Anch’esse, come le donne che affiancano il re in trono, indossano lunghe vesti e manti dai colori sgargianti. Un uomo incappucciato, dalla veste scura e logora, le stringe il polso sinistro e la conduce verso il trono. L’uomo ha la barba e i capelli lunghi e tende il braccio sinistro di fronte a sé, incrociandolo con quello dell’uomo dalle orecchie d’asino e arrivando quasi a sfiorargli il viso. Il giovane uomo a terra, trascinato per i capelli, è coperto solo da un drappo violaceo, stretto intorno alla vita, e tiene le mani congiunte e rivolte verso l’alto, in atteggiamento di supplica. Il gruppo sulla sinistra è formato da due figure, una donna incappucciata, ricoperta da una veste logora e da un ampio manto nero, che si volta all’indietro e volge lo sguardo verso una donna dai lunghi capelli biondi, completamente nuda. La donna incappucciata ha il volto e le mani rugosi, ad indicarne la vecchiaia, l’altra solleva in alto il braccio destro, con il dito indice teso, seguendone la direzione con lo sguardo. La mano sinistra è poggiata sul ventre, in atteggiamento pudico, e tutta la sua figura richiama, in modo sorprendente, la protagonista del dipinto La nascita di Venere. Tutte le donne presenti nella composizione hanno lunghi capelli biondi, ad eccezione della donna incappucciata, che è bruna. Grazie a una quasi

totale corrispondenza tra i personaggi descritti da Luciano nella sua

ekphrasis e quelli realizzati da Botticelli nel suo dipinto, siamo in grado

di fornire un’identificazione dettagliata delle figure che popolano la scena principale, otto delle quali sono personificazioni. L’uomo in trono, paragonato da Luciano a re Mida, è chiaramente un sovrano, chiamato a giudicare il giovane trascinato al suo cospetto, che veste i panni del condannato. Le donne ai lati del trono, intente a sussurrare nelle orecchie del re, sono le personificazioni di Ignoranza e Sospetto. La donna che trascina il giovane condannato è la Calunnia, protagonista del dipinto, l’uomo incappucciato che la conduce verso il re è la personificazione del Livore e le donne che le acconciano i capelli e le ornano la veste sono le personificazioni di Insidia e Frode. La donna anziana, vestita a lutto, è la personificazione del Pentimento e la figura nuda, con braccio e sguardo rivolti verso l’alto, rappresenta la Verità. La nudità e il suo rivolgersi al cielo la accomunano al giovane condannato, provandone l’innocenza. È l’unica figura a stagliarsi immobile nella composizione, mentre le altre hanno in comune un movimento quasi febbrile, «caratteristica peculiare del tardo Botticelli, che qui diventa espressione delle passioni che animano le figure stesse»41, così come l’intensità dei colori utilizzati.

L’affollamento dei personaggi, sia nella scena principale che nella moltitudine di scene che ornano il fondale, contrasta in modo netto con la serenità del paesaggio sullo sfondo, dove un mare calmo si fonde con il cielo terso.

La coppia di personaggi formata dalle personificazioni di Pentimento e Verità merita un ulteriore approfondimento. Nel corso dell’analisi delle traduzioni latine dell’ekphrasis lucianea, è stato notato come l’attributo

riferito a Pentimento nel testo greco, μετ' αἰδοῦς πάνυ («con grande vergogna»), sia stato erroneamente attribuito dagli umanisti a Verità, definita «pudubunda» da Guarino, «vergognosa e pudica» da Alberti, «vergognosa et timida» da Della Fonte, che infatti la ritrae nuda e con la mano sul ventre, in atteggiamento pudico. Anche Botticelli attribuisce a Verità l’attributo originariamente riferito a Pentimento, condizionato sia dalle varie traduzioni latine, sia dalla miniatura eseguita da Della Fonte, dalla quale Botticelli riprende la disposizione e la postura dei personaggi e i colori delle vesti. Il riferimento alla nudità di Verità potrebbe essere una suggestione di derivazione oraziana, come suggerito dalla Agnoletto, e il gesto pudico renderebbe questa personificazione una figura Veneris.

Queste infedeltà filologiche, in cui la nudità di Verità è per lo più lasciata all'immaginazione, lasciano intravedere un possibile riferimento colto alla nuda

veritas cantata da Orazio.

Quis desiderio sit pudor aut modus tam cari capitis? Praecipe lugubris cantus, Melpomene, cui liquidam pater vocem cum cithara dedit.

Ergo Quintilium perpetuus sopor urget; cui Pudor et Iustitiae soror, incorrupta Fides nudaque Veritas quando ullum inveniet parem?42

Ma nudità è anche sinonimo di purezza. Infatti, a differenza di Calunnia, Insidia e Frode, che ricorrono alla simulazione e al travestimento per raggirare e ingannare, Verità non ha bisogno di maschere e costumi, ma si mostra semplicemente così com'è, senza veli e senza fraintendimenti. Diventata pudica in seguito alla cessione da parte di Paenitentia di una delle sue qualità, la Nuda Veritas di Botticelli diviene anche, per analogia con la figura

protagonista della Nascita di Venere, raffigurata anch'essa come una Venus pudica, una figura Veneris43.

Tuttavia, la Paenitentia botticelliana, privata di una delle sue principali caratteristiche, ne acquisisce di nuove rispetto alla tradizione, in linea con la miniatura di Della Fonte. In particolare, il dettaglio della pelle rugosa, indice di vecchiaia, e l’insolita postura delle mani catturano l’attenzione dello spettatore e ampliano il significato dell’allegoria in questione.

Questi innesti iconografici, indipendenti rispetto alla fonte antica, forniscono informazioni imprescindibili alla comprensione dell'opera stessa e del pensiero che l'ha generata e che ne è il fondamento. Nel caso specifico di Paenitentia, questi due elementi, già presenti nella Calunnia di Bartolomeo Fonzio, stanno a indicare il primo l'impossibilità di agire per cause naturali, il secondo letteralmente lo 'stare con le mani in mano', ossia l'apatia e l'esitazione che ostacolano l'agire dell'uomo44.

Il concetto di apatia ed esitazione si collega fortemente a quello del libero arbitrio, centrale nel pensiero umanistico dell’epoca. La capacità decisionale di un individuo, unita alla libertà di perseguire uno scopo con il solo ausilio della propria volontà, è la caratteristica principale dell’uomo rinascimentale, fulcro del pensiero di personalità del calibro di Ficino e Pico della Mirandola.

Il tema della libertà di scelta è centrale non solo nel pensiero umanistico, ma anche nel dipinto di Botticelli, che ancora una volta si spinge oltre il dettato ecfrastico di Luciano e le semplici indicazioni allegoriche contenute nella fonte antica. Lo scrittore greco dà delle istruzioni per poter valutare correttamente persone e fatti. Affinché un giudizio sia giusto e

43 S. Agnoletto, Tra ignavia e perseveranza: il doppio valore della Melancholia. La personificazione di

Metanoia/Paenitenza nella Calunnia di Apelle di Sandro Botticelli, «Engramma», CXL, dicembre

2016.

illuminato dalla verità, ogni cosa dovrà essere esaminata con cura e sottoposta a un vaglio e a un giudizio rigoroso, smascherando le frodi, dissipando l'ignoranza, mettendo da parte sospetti e rancori. In questo modo si eviterà il pentimento e la vergogna cagionati da un giudizio erroneo. Botticelli, nella sua Calunnia, riecheggia la lezione di Luciano e rilancia l'idea di un giudizio giusto basato su criteri oggettivi e razionali45.

Grazie a un simile potere, l’uomo è libero di scegliere se nobilitare la sua condizione, grazie all’esercizio dell’intelletto e della ragione, o degradarla, seguendo passioni e istinti bestiali. In aggiunta al prezioso strumento della ragione, il neoplatonismo suggerisce l’ausilio dell’amore, per orientare al meglio la propria volontà e perseguire virtù e verità. La personificazione di Verità, associata alla dea Venere, incarna i principali valori del pensiero umanistico-rinascimentale e si pone in netto contrasto con la figura di Pentimento, che rappresenta la rinuncia alla volontà, l’immobilità e l’indifferenza, caratteristiche tipiche dell’accidia, uno dei vizi capitali. Lo stretto collegamento tra i soggetti raffigurati nella

Calunnia e i principi cardine della dottrina neoplatonica e del pensiero

umanistico emergerà, ancor più chiaramente, nel corso dell’analisi del fondale del dipinto, dove esempi di virtù, razionalità e amore si contrappongono all’assoluta mancanza di giudizio, all’abuso di potere e alla calunnia.

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