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I L FONDALE DELLA C ALUNNIA DI A PELLE

In seguito alla campagna di digitalizzazione dei dipinti di Botticelli conservati alla Galleria degli Uffizi di Firenze, Sara Agnoletto ha pubblicato sulla rivista Engramma una galleria di immagini46, in alta

definizione, dei dettagli del fondale della Calunnia, scarsamente visibili fino a quel momento, a causa delle ridotte dimensioni delle scene e della rappresentazione di scorcio o parziale delle figure. La presente analisi verrà condotta tenendo conto di questo prezioso strumento, utile per confermare le ipotesi interpretative precedenti o per avanzarne di nuove. La descrizione del fondale del dipinto procederà da sinistra verso destra, a partire dal basso, e terrà conto della suddivisione in basamenti, plinti, architravi, soffitti e nicchie, proposta da Meltzoff47.

BASAMENTO 1,(figura 6).

La scena è composta da tre figure, un uomo a cavallo sulla destra, una donna dalla lunga veste in piedi sulla sinistra e, tra i due, una figura supina, della quale si intravede soltanto il busto. Il cavaliere arresta il cavallo di fronte alla donna, che tende le braccia verso di lui, come a impedirgli il passaggio. I critici sono concordi nell’identificare questa scena con il leggendario episodio della Giustizia di Traiano, narrato da Dante nel X canto del Purgatorio. L’episodio di Traiano è scolpito sulla parete della prima Cornice del Purgatorio, insieme all’Annunciazione e all’episodio di

46S. Agnoletto, Botticelli orefice del dettaglio. Uno status quaestionis sui soggetti del fondale

della Calunnia di Apelle, «Engramma», CXX, ottobre 2014.

47 S. Meltzoff, Botticelli, Signorelli and Savonarola. Theologia poetica and painting from Boccaccio to

Re David che trasporta a Gerusalemme l’Arca Santa, episodi scelti da Dante come esempi di umiltà.

Quiv’era storïata l’alta gloria del roman principato, il cui valore mosse Gregorio a la sua gran vittoria;

i’ dico di Traiano imperadore; e una vedovella li era al freno, di lagrime atteggiata e di dolore. Intorno a lui parea calcato e pieno di cavalieri, e l’aguglie ne l’oro sovr’essi in vista al vento si movieno.

La miserella intra tutti costoro pareva dir: "Segnor, fammi vendetta

di mio figliuol ch’è morto, ond’io m’accoro";

ed elli a lei rispondere: "Or aspetta tanto ch’i’ torni"; e quella: "Segnor mio", come persona in cui dolor s’affretta,

"se tu non torni?"; ed ei: "Chi fia dov’io, la ti farà"; ed ella: "L’altrui bene

a te che fia, se ’l tuo metti in oblio?";

ond’elli: "Or ti conforta; ch’ei convene ch’i’ solva il mio dovere anzi ch’i’ mova: giustizia vuole e pietà mi ritene"48.

Secondo la leggenda, l’imperatore Traiano avrebbe ritardato una spedizione militare e fermato l’esercito per soccorrere una vedova che

chiedeva giustizia per il figlio ucciso. Questo atto di giustizia avrebbe spinto Papa Gregorio Magno a pregare per l’anima dell’imperatore pagano e, grazie alla sua intercessione, salvarlo dalla dannazione eterna. Dante colloca Traiano in Paradiso, tra gli spiriti giusti che formano l’occhio dell’aquila, nel VI cielo di Giove.

Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio, colui che più al becco mi s’accosta, la vedovella consolò del figlio:

ora conosce quanto caro costa non seguir Cristo, per l’esperïenza di questa dolce vita e de l’opposta49.

Botticelli riprodusse lo stesso soggetto nell’illustrazione del X canto del

Purgatorio (figura 7), una delle cento illustrazioni realizzate tra il 1480 e

il 1495 su commissione di Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici e mai terminate dall’artista. La scena della Giustizia di Traiano occupa la parte destra del disegno ed è inserita in un contesto più vasto, fedele alla descrizione dantesca. Dante e Virgilio ammirano i bassorilievi scolpiti sulla parete della prima Cornice del Purgatorio, che simboleggiano l’umiltà. La prima scena rappresenta l’Annunciazione e gli unici personaggi raffigurati sono l’Arcangelo Gabriele e Maria; la seconda scena raffigura re Davide che danza davanti al carro che trasporta a Gerusalemme l’Arca dell’Alleanza, contenente le Tavole della Legge, donate da Dio a Mosè sul monte Sinai. Il disegno è incompleto e il carro e l’architettura di sfondo sono appena accennati. Nella terza scena, infine, è raffigurato l’episodio della Giustizia di Traiano, il più completo e

dettagliato dei tre. L’episodio principale, ovvero l’incontro tra l’imperatore e la vedova al cospetto del figlio caduto, occupa l’angolo inferiore sinistro e il resto della scena è interamente occupato dall’esercito di Traiano, formato da cavalieri muniti di lance. In alto a sinistra sventola un vessillo e in lontananza si intravede l’accampamento. Per realizzare il primo basamento del fondale della Calunnia, Botticelli ha estratto un singolo dettaglio della sua complessa illustrazione, la scena iconica dell’incontro tra la vedova e l’imperatore Traiano, ma è necessario tenere in considerazione l’intero contesto in cui questa scena è inserita e le implicazioni morali che lo caratterizzano, per comprenderne il significato. La scelta di un simile soggetto da parte di Botticelli è completamente coerente con il tema del dipinto in quanto, offrendo l’esempio positivo di un imperatore giusto e pietoso, condanna senza riserve il re che cede alla calunnia, all’ignoranza e al sospetto, raffigurato nella scena principale. BASAMENTO 2, (figura 8).

La scena mostra una figura con un panno intorno alla vita, intenta a frustare una seconda figura supina, completamente nuda. La frusta, composta da sei corde, occupa tutta la parte superiore della composizione. Sulla sinistra, si intravede un promontorio scosceso, tagliato da una strada che sale a spirale e che crea vari livelli. La scena rappresentata rimanda, senza ombra di dubbio, al XVIII canto dell’Inferno dantesco, ambientato a Malebolge. In particolare, Dante e Virgilio si trovano nelle prime due bolge, la prima delle quali è riservata a ruffiani e seduttori, mentre nella seconda vengono puniti gli adulatori.

Di qua, di là, su per lo sasso tetro vidi demon cornuti con gran ferze, che li battien crudelmente di retro50.

La presenza del promontorio a più livelli, posto sulla sinistra della composizione, è un chiaro riferimento a Malebolge e alla descrizione che Dante ne fa all’inizio del canto ed elimina qualsiasi altra interpretazione della scena raffigurata sul fondale del dipinto. Botticelli dedicò un’intera illustrazione al canto XVIII dell’Inferno (figura 9), nella quale è perfettamente rappresentata la struttura a livelli concentrici di Malebolge, collegati tra loro da ponticelli in pietra. L’illustrazione è fedele alla descrizione dantesca, i condannati sono nudi e vengono frustati da diavoli alati, raffigurati con corna, zanne, artigli e lunghe code. La scena dipinta sul fondale della Calunnia è notevolmente umanizzata, viene eliminato qualsiasi riferimento ai diavoli e la figura munita di frusta ha caratteristiche umane. Botticelli recupera il significato morale dantesco, segnalato dalla presenza della parete rocciosa, e lo cala in un contesto terreno, dove la presenza di diavoli e altre creature infernali non è contemplata. La scelta di inserire nel fondale una scena dedicata all’ottavo cerchio dell’Inferno dantesco, in cui sono puniti i fraudolenti, è perfettamente in linea con il messaggio allegorico del dipinto, che condanna le false accuse e invita a non prestar fede alla calunnia.

BASAMENTO 3, (figura 10).

La scena mostra un uomo di profilo, seduto con le gambe accavallate, la destra sopra la sinistra. L'uomo è ricurvo e concentrato sull'oggetto che tiene tra le mani. L’unica interpretazione in merito è fornita da Meltzoff,

che riconosce in questa figura il mitico Anfione, figlio di Zeus e Antiope, gemello di Zeto, che grazie al suono della sua lira mosse le pietre del Citerone, per costruire le mura di Tebe. L'oggetto, peraltro scarsamente visibile, tra le mani dell'uomo sarebbe, dunque, la lira dotata di poteri magici, donatagli da Ermes. Una descrizione particolareggiata del mitico suonatore di lira è presente nelle Εἰκόνες di Filostrato il Vecchio (II secolo d.C.), un’opera ecfrastica che consiste nella descrizione di sessantaquattro pitture, principalmente di argomento mitologico, presenti nel portico di una villa di Napoli.

1.10 Anfione. Si dice che Ermes per primo abbia avuto l'astuzia di costruire una lira servendosi di due corni, una traversa e un guscio di tartaruga, e che subito fece dono dello strumento ad Apollo e alle Muse, e quindi ad Anfione di Tebe. Anfione, che viveva a Tebe al tempo in cui la città non era ancora cinta di mura, parlò alle rocce con la sua melodia, ed ecco che, docili all'ascolto, esse accorrono numerose. È il soggetto della pittura. […] E che fa Anfione? Pizzica le corde della lira, profondamente concentrato sulla sua esecuzione. Lascia intravedere i denti quanto è necessario a chi canta. E canta, immagino, la terra, madre feconda di ogni cosa che partorisce perfino spontaneamente delle muraglie. Una chioma aggraziata gli incorona la fronte e scende con la peluria del viso lungo l'orecchio, colorandosi di riflessi dorati. La mitra gli conferisce nuova grazia, l'ornamento mirabile che tanto si addice a un suonatore di lira e che il poeta dei "versi segreti" ha definito opera delle grazie. Per parte mia, credo che Ermes, innamorato di Anfione, gli abbia fatto dono della mitra insieme alla lira. Anche la clamide è un dono di Ermes: ha un colore variegato e cangiante e muta tutti i colori dell'iride. Seduto, Anfione batte il tempo col piede, mentre la mano destra pizzica col plettro le corde, che preme con la sinistra. Le dita distese sporgono e credevo che soltanto l'arte plastica potesse fare altrettanto. Ma sorvoliamo. Che fanno le pietre? Accorrono in gran numero, attratte dal canto. Ascoltano e si compongono per innalzare la muraglia. Alcune hanno già preso posto nella costruzione, altre stanno salendo, altre ancora si aggiungono senza sosta. Sono pietre davvero gentili, che fanno a gara per meglio obbedire, come mercenari, agli ordini della musica. Il muro avrà sette porte, quante sono le corde della lira51.

La descrizione fatta da Filostrato è particolareggiata e riguarda sia lo strumento musicale sia la fisionomia e la postura del suonatore. Nella sua analisi, Meltzoff focalizza l’attenzione sulla postura del musicista, raffigurato nel fondale della Calunnia. La maniera tradizionale di suonare la lira era quella apollinea, che prevedeva che il musicista stesse in posizione eretta, più raramente seduto, ma sempre con la schiena ben dritta, sorreggendo lo strumento con il braccio sinistro e pizzicandone le corde con la mano destra. La posizione ricurva della figura presente nel fondale della Calunnia permetterebbe, quindi, di escludere qualsiasi altra identificazione con i celebri suonatori di lira della tradizione, come Apollo o Orfeo, e di stabilire con certezza la specifica fonte testuale utilizzata da Botticelli, la descrizione puntuale di Filostrato il Vecchio. Tradizionalmente, Anfione rappresenta il potere dell’eloquenza retorica, come testimoniato da Boccaccio nel V libro delle Genealogie deorum

gentilium.

Anphyon musice artis adeo peritus fuit, […] Quod autem a Mercurio cytharam susceperit, est quod eloquentiam ab influentia Mercurii habuerit52.

La ragione di una simile scelta da parte di Botticelli non è immediata e, per comprenderne il senso, è necessario prestare attenzione alla posizione in cui si trova il finto bassorilievo, in prossimità della personificazione di Verità. Secondo Meltzoff, è nuovamente Filostrato, con le sue Εἰκόνες, a dissipare i dubbi relativi alla scelta del pittore. L’opera ecfrastica si apre con queste parole,

Chi non ama la pittura, disprezza la verità stessa. Disprezza quel genere di sapienza che appartiene anche ai poeti, perché, come la poesia, la pittura rappresenta l’aspetto e le gesta degli eroi53.

Filostrato abbraccia il principio oraziano dell’ut pictura poesis e apre la sua opera ecfrastica, incentrata sulla descrizione di pitture, mettendo in relazione non solo l’arte pittorica con l’arte poetica, ma operando un parallelo tra pittura e verità. Botticelli, riprendendo da Filostrato la figura di Anfione, campione di eloquenza, e affiancandolo alla sua personificazione di Verità, recupera lo stesso principio e si inserisce perfettamente nella linea di pensiero dell’Umanesimo, che mette al servizio dell’arte visiva i principi propri della retorica e dell’eloquenza, come testimonia alla perfezione il trattato di Alberti.

BASAMENTO 4, (figura 11).

La scena mostra una donna dalla veste ampia, seduta a terra, con le gambe incrociate. La donna si regge il capo con la mano sinistra e tiene la destra poggiata sul ginocchio. In piedi di fronte a lei c’è un uomo, del quale si intravedono soltanto la testa e le spalle. Si tratta di una tipica scena di cordoglio, sovente riprodotta su un sarcofago o una stele funeraria dove, vicino alla donna in lacrime, è spesso rappresentata un’urna. Botticelli inserisce questa scena tra la figura di Verità e quella di Pentimento, rappresentata con abiti scuri e descritta da Luciano come «πενθικῶς ἐσκευασμένη», vestita a lutto. Alla destra di Pentimento, compare il frammento di un’ulteriore scena, che a primo impatto potrebbe sembrare la prosecuzione di quella appena descritta. Il frammento mostra la testa e

le zampe anteriori di un cavallo e il busto di un uomo riverso a terra. È chiaramente una scena militare, che rappresenta un soldato caduto, e che difficilmente può far parte dello stesso riquadro in cui una donna piange, forse nell’intimità della sua casa. Ancora una volta, la chiave di lettura sta nella personificazione di Pentimento, descritta in lacrime e «μετ' αἰδοῦς πάνυ», piena di vergogna, condizione tipica dei vinti. Il basamento, dunque, è formato da due scene distinte tra loro e nasce con lo scopo di rafforzare la personificazione di Pentimento, accentuandone le caratteristiche principali e valorizzando la descrizione puntuale fatta da Luciano.

BASAMENTO 5, (figura 12).

La scena mostra, sulla destra, un uomo seduto che regge un lungo bastone, tenendolo appoggiato sulla spalla sinistra. Sopra di lui si intravedono le fronde di un albero, di fronte a lui si stagliano tre figure. L’episodio è stato identificato con il Giudizio di Paride da Horne (1908), Thompson (1955), Salvini (1958), Mandel (1967) e Lightbown (1978), mentre Meltzoff (1987) propone l’identificazione con l’episodio di Socrate che accetta la condanna da parte degli ateniesi, sostenendo che le tre figure in piedi abbiano la barba e che, di conseguenza, non possano essere identificate con le tre dee, protagoniste della contesa. La visione in alta definizione del dettaglio del fondale rivela l’assenza di barba nelle figure ma, soprattutto, permette di notare un particolare importante, scarsamente visibile a occhio nudo. Sembra che l’uomo seduto stia offrendo un oggetto circolare alle tre figure, che ricorda proprio il pomo della discordia narrato nel mito e avvalora l’ipotesi di identificazione con il Giudizio di Paride. Secondo il mito, Zeus allestì un banchetto in onore delle nozze di Peleo e Teti, futuri genitori di Achille, senza estendere l’invito a Eris, dea della

discordia. La dea, offesa, gettò una mela d’oro tra gli invitati, con l’iscrizione «alla più bella», scatenando un litigio tra Era, Atena e Afrodite. Zeus affidò l’incarico di giudice della contesa a Paride, il più bello tra i mortali, che scelse di consegnare la mela ad Afrodite, ottenendo in cambio la promessa di poter conquistare la donna più bella del mondo. In seguito, Paride, con l’aiuto di Afrodite, rapirà la bella Elena, moglie di Menelao, dando inizio alla guerra di Troia. La scena del fondale rappresenterebbe, quindi, il momento della scelta di Paride, al cospetto delle tre dee. L’ipotesi è avvalorata da un indizio fondamentale, l’esistenza di un dipinto di Botticelli del 1485-1488, avente per soggetto proprio l’episodio del Giudizio di Paride (figura 13). Paride, seduto all’ombra di un albero, con il bastone per governare il gregge appoggiato alla spalla sinistra, consegna ad Afrodite il pomo dorato, al cospetto delle altre due dee. La scena principale è inserita in un contesto più ampio e dettagliato, ma non ci sono dubbi che si tratti della stessa scena raffigurata sul fondale della Calunnia.

BASAMENTO 6/BASAMENTO 7, (figura 14).

I basamenti in esame narrano, secondo l’analisi di Meltzoff, un’unica scena e sono uno la prosecuzione dell’altro. La prima scena mostra un uomo con un elmo che scosta il drappo di una tenda con entrambe le braccia, per passare attraverso l’apertura. La seconda scena mostra una donna dai lunghi capelli seduta, con il viso voltato e un’espressione afflitta. Al suo fianco, difficilmente distinguibile, si intravede il corpo di un bambino. L’unica interpretazione in merito è quella di Meltzoff, che riconosce in questa scena l’episodio mitico di Niobe, regina di Tebe. Secondo il mito, Niobe sposò il tebano Anfione ed ebbe da lui quattordici figli, sette maschi e sette femmine. La sua prole numerosa fu per lei

motivo di grande superbia, tanto da spingerla a vantarsene con Latona, madre di Apollo e Artemide, mancandole di rispetto. La dea, irata, incaricò i suoi figli di vendicarla, così Apollo e Artemide trafissero con le frecce tutti i quattordici figli di Niobe che, per il dolore, si tramutò in pietra, versando lacrime per l’eternità. Le versioni del mito differiscono per alcuni particolari, come il numero dei figli o la trasformazione finale in pietra54, ma la versione più nota è quella contenuta nel VI libro delle

Metamorfosi di Ovidio. Secondo il racconto di Ovidio, prima vennero

uccisi i sette maschi, che cavalcavano nella pianura, ma nonostante la tremenda sciagura, Niobe continuò a vantarsi di avere ancora sette figlie in vita e di superare in numero Latona. Solo a quel punto, Artemide trafisse anche le femmine. Niobe implorò pietà soltanto quando le rimase una sola figlia in vita, la più piccola, che cercò di nascondere sotto la propria veste, invano. Il mito di Niobe ebbe grande fortuna in letteratura e compare all’interno della Commedia, dove Niobe è raffigurata tra gli esempi di superbia, scolpiti sulla parete della prima cornice del Purgatorio.

O Nïobè, con che occhi dolenti vedea io te segnata in su la strada, tra sette e sette tuoi figliuoli spenti!55

L’episodio è ripreso anche da Boccaccio, che dedica a Niobe il capitolo XIV del suo De mulieribus claris e la cita in varie sue opere, tra cui l’Amorosa visione.

54 L’episodio è citato da Omero in Iliade XXIV, vv. 602-617. Omero narra di dodici figli, rimasti

insepolti per nove giorni, perché Zeus trasformò la popolazione in pietra per impedirne la sepoltura. Il decimo giorno, furono seppelliti dagli dei del cielo, impietositi.

Anfion poi con labbia consolata Vi conobb’io al suon, dal cui liuto Fu Tebe prima di muri cerchiata. Retro a lui Niobe, il cui arguto Parlar fu prima cagion del suo male, E del danno de’ figli ricevuto56.

Meltzoff sostiene che la prima scena mostri un messaggero che si appresta ad annunciare a Niobe lo sterminio del suo penultimo figlio, mentre lei attende la morte dell’ultimo, che sta riposando al suo fianco. Il messaggero scosta il drappo che fa da apertura alla tenda, ciò che avviene all’interno sarebbe raffigurato nella seconda scena. A favore della tesi di Meltzoff, c’è il fatto che Niobe fosse la moglie di Anfione, il suonatore di lira protagonista del basamento 3, che secondo alcune versioni del mito, si sarebbe tolto la vita in seguito allo sterminio dei figli. Secondo lo studioso, a poche scene di distanza, Niobe rappresenterebbe un monito contro l’orgoglio provato da Anfione per la sua eloquenza, incarnando alla perfezione la superbia punita. L’ipotesi relativa alla figura del messaggero risulta più debole, dato che questo personaggio non compare nelle versioni più conosciute del mito. Tuttavia, la presenza di un messaggero sulla scena è stata ipotizzata dai critici in relazione alla tragedia perduta di Eschilo. Il lavoro di ricostruzione più completo della Niobe eschilea è opera di Antonella Pennesi57 che, oltre a Niobe e al padre Tantalo, propone la

presenza sulla scena di una nutrice e di un messaggero, incaricati di narrare la vicenda agli spettatori. La tragedia, infatti, si caratterizza per il silenzio di Niobe, che rimane muta e affranta per più della metà della

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