Anno Accademico
2017/2018
Corso di PhDPersona e tutele giuridiche. Curriculum: legge penale e persona
Le ipotesi di non punibilità nel diritto
penale dell’economia: natura e
funzioni fra centralità delle
discipline extralegali di riferimento e
suggestioni dal sistema francese.
Autore
Alessandro Varvaressos
Relatore
Ch.ma Prof.ssa Gaetana Morgante
ISBN: XXXXXXXXXXXX
2
INDICE:
INTRODUZIONE. La crescente vitalità di una “categoria dell’imbarazzo”: la non
punibilità nel guado fra inevitabile anomalia e congruità sistemica nel settore del diritto
penale dell’economia. ... 4
NOTA METODOLOGICA.
... 11
CAPITOLO I. FENOMENOLOGIA E TEORIA DELLA NON PUNIBILITÀ TRA
DELIMITAZIONE DEL PRECETTO, POSTERGAZIONE ED ESCLUSIONE DELLA
SANZIONE.
... 13
Excursus: la non punibilità come epifenomeno del problema della pena carceraria.
13
E pluribus unum? La teoria della punibilità come elemento autonomo del reato e la
non punibilità come espressione del canone di sussidiarietà.
... 16
Il “banco di prova” delle condizioni obiettive di punibilità: integrazione e
delimitazione dell’offesa fra fatto e fattispecie. ... 23
Il reato come fatto necessariamente punibile. Necessità deontologica della punibilità
come criterio denotativo del reato e distinzione tra momento normativo e momento
applicativo della pena: critica.
... 38
Quid ergo est condicio? Interesse esterno e “contro-aspettativa confliggente” nella
struttura dei reati condizionali.
... 48
La non punibilità fra meritevolezza e bisogno di pena: disamina critica alla luce
dell’istituto proteiforme delle “soglie di punibilità” fra condizionamento dell’offesa e
delimitazione esegetica del tipo.
... 59
(Segue) Il contributo dogmatico della giurisprudenza sul principio di esiguità:
l’aporia dei reati con pluralità di soglie decrescenti in rapporto all’art. 131-bis c.p.
Risvolti problematici in relazione all’art. 590 c.p. ... 75
(Segue) Soglie di punibilità, limiti di significatività e reati tributari: giurisprudenza
e sistema di un principio instabile en attente della Corte di Giustizia.
... 88
La non punibilità sopravvenuta e il discrimen con le cause estintive del reato, tra
inerenza all’offesa e accertamento ipotetico. Il problema della non punibilità atipica
(cenni).
... 104
La punibilità come giudizio globale sulla rilevanza dell’illecito e l’insufficienza
euristica del giudizio di opportunità: prospettive per una valutazione “integrata” dei
fenomeni di non punibilità, dagli artt. 376 e 649 c.p. alla recente evoluzione delle false
comunicazioni sociali.
... 118
CAPITOLO II. MORFOLOGIE DELLA NON PUNIBILITÀ NEL DIRITTO PENALE
DELL’ECONOMIA: NATURA GIURIDICA E FUNZIONE DEGLI ISTITUTI ALLA
LUCE DEL CONTESTO EXTRAPENALE DI RIFERIMENTO.
... 129
Sentenza dichiarativa di fallimento e bancarotta prefallimentare: origini storiche e
orientamenti interpretativi circa la punibilità condizionata.
... 129
La “nomoanarchia” della giurisprudenza di legittimità tra pragmatismo e
3
Analisi economica della declaratoria fallimentare: la dinamica della titolarità del
patrimonio e dell’alterazione della responsabilità gestoria come ratio giustificatrice
della previsione della declaratoria fallimentare nei reati di bancarotta
prefallimentare patrimoniale.
... 151
La bancarotta come reato d’evento condizionato: spunti de iure condito in attesa
della “rivoluzione” di cui al D.lgs. 155/2017. ... 160
La fattispecie complessa dell’art. 217-bis L.f. come elemento negativo e condizione
obiettiva di non punibilità.
... 174
Le ipotesi estintive nei reati a tutela del capitale sociale: aporie dogmatiche sulla
compatibilità fra fictio iuris e contrarius actus.
... 180
(Segue) Disvalore d’azione e ruolo del risarcimento postumo alla luce del nuovo
art. 162-ter c.p. Verso un ampliamento della potestas (ab)utendi degli
amministratori sui beni sociali?
... 189
Il nuovo volto del capitale sociale nella S.p.A. e nella s.r.l.: la non punibilità come
riflesso della dequotazione degli strumenti di garanzia tradizionale dei creditori.
. 197
Accertamento tributario e illecito penale: natura e funzione degli artt. 13 e 13-bis
D.lgs. 74/2000 fra monopolio statale del bene giuridico e tecniche di tutela. Il ripudio
del modello estintivo e la riemersione della pregiudiziale tributaria.
... 207
“Ragione fiscale” e non punibilità: la modulabilità dell’obbligazione tributaria nel
paradigma riscossivo-esecutivo della sanzione penale.
... 220
(Segue) La non punibilità sopravvenuta fra deterrenza ed effettività della tutela e
gli obblighi evincibili ex art. 325 TFUE. Critica.
... 227
CAPITOLO III. DALLA NON PUNIBILITÀ ALL’IMPROCEDIBILITÀ:
L’ESPERIENZA FRANCESE DEL DROIT PÉNAL DES AFFAIRES... 232
À rebours. a) Procedibilità del reato ed eziologia delle condotte nella banqueroute.
233
b) Pan-penalismo, dirigismo economico e depenalizzazione: il crocevia del droit pénal
des sociétés.
... 251
c) La fraude fiscale fra efficienza riscossiva e sussidiarietà penale: il c.d. verrou de
Bercy.
... 256
CONCLUSIONI.
... 270
4
INTRODUZIONE. La crescente vitalità di una “categoria dell’imbarazzo”: la
non punibilità nel guado fra inevitabile anomalia e congruità sistemica nel settore
del diritto penale dell’economia.
“Se l’odio è la ragione del degradare dell’angelo verso la bestia,
che può essere la ragione del risalire della bestia verso l’angelo se non l’amore?
E se la pena è il contrario del reato, essendo il reato quel degradare,
non sarà la pena quel risalire?”
Questa metafora carneluttiana
1– che descrive secondo una prospettiva
retribuzionistica il rapporto di circolarità e di interdipendenza che ordinariamente lega
il reato alla pena per esso prevista – offre lo spunto per problematizzare le riflessioni
che successivamente svilupperemo in ordine al tema della non punibilità.
L’immagine coglie i due estremi della vicenda, reato e pena, nella loro nitida ed
intuitiva espressione di contrapposizione valoriale e necessaria consequenzialità,
conforme del resto all’impianto classico che individua l’essenza della giuridicità nella
previsione di un meccanismo di causalità giuridica.
Il quadro, tuttavia, già ad una superficiale osservazione trascolora sino ad apparire
problematicamente opaco: così, se non pare discutibile l’intrinseca caratura di
disvalore attribuibile all’elemento “reato”, non altrettanto sicura può risultare infatti
l’affermazione del carattere positivo, quasi salvifico, attribuibile all’elemento “pena”.
L’evoluzione della riflessione penalistica sulle funzioni e sui limiti di quest’ultima,
scaturita dall’osservazione empirica del fallimento dell’ideologia illuministica
dell’esecuzione penale a causa sia dell’appiattimento sull’onnivora istituzione
carceraria che della persistenza di meccanismi carsici di selezione della delinquenza
per tipologia di autore
2, dà conto, piuttosto, della sua intrinseca negatività, amaro
φάρμακον somministrato ad un organismo sociale malato del quale a stento si riescono
a curare i sintomi più acuti.
1 CARNELUTTI F., 1946, p. 20.
2 Sul tema la letteratura è sterminata: cfr., ex plurimis, PADOVANI T., 2014; ID, 1981b; ROMANO
M., 2011, pp. 152 e ss.; PALIERO C.E., 1992, pp. 510 e ss.; ID, 1985; MANTOVANI F., 1980, pp. 69 e ss.
5
La storia della pena, dei suoi contenuti e delle sue funzioni, appare sin dall’origine una
storia di fuga dalla stessa
3verso soluzioni in primis orientate alla sua flessibilizzazione
in fase esecutiva, successivamente estese alla dimensione commisurativa della
sanzione e alla vicenda processuale, talora per la precipua qualità soggettiva del reo,
talaltra per la caratura bagatellare del fatto sub iudice, ed esauritasi nell’attuale
disintegrazione del sistema di controllo sociale della devianza e del suo accertamento
istituzionale
4, circostanza cui si cerca di rimediare – ove non si intenda delegare la
diaspora dalla comminatoria astratta alla discrezionalità giudiziale
5– attraverso
stagioni di depenalizzazione ed istituti ordinari di delimitazione del punibile
6.
Nondimeno tale processo normativo non incide a prima vista sull’astratta dimensione
deontologica che caratterizza il nesso fra reato e conseguenza sanzionatoria,
giustificandosi l’alterazione della dinamica concreta della pena, rectius punibilità
mediante valutazioni di politica del diritto variamente evocative di esigenze di
opportunità.
Per contro, controversa ma pur sempre percepibile nelle sue declinazioni positive è
storicamente risultata l’affermazione di fenomeni impingenti direttamente sul piano
dell’astratta efficacia giuridica del reato, ricondotti ad unità a parte effecti dalla teoria
che riconosce la scindibilità fra reato e pena, contestata tanto nella sua validità formale
in punto di teoria generale della norma, quanto nelle sue espressioni applicative e
nell’individuazione di una trama disciplinare comune.
La fenomenologia della non punibilità, vera e propria “categoria dell’imbarazzo”
7,
risulta gravida di profili problematici, giacché l’inevitabile anomalia che caratterizza i
fenomeni di dissociazione tra reato e punibilità, cioè l’insieme degli istituti normativi
che determinano una disgiunzione tra la previsione astratta di un fatto tipico,
3 Cfr., ex multis, MAIELLO V., 1998, pp. 115 e ss.; DE VERO G., 1986, pp. 49 e ss.; FIANDACA G.
– MUSCO E., 1994, pp. 31 e ss.; NUVOLONE P., 1982, pp. 789 e ss.; ID, 1977, p. 3; PADOVANI T., 1981b, p. 69.
4 Critico del particolarismo edittale che procede per “cunicoli sanzionatori” è PADOVANI T., 1992,
pp. 419 e ss. Evidenzia criticamente uno iato tra comminatoria, irrogazione ed esecuzione della sanzione PITTARO P., 1998, pp. 4 e ss.; del pari GIUNTA F., 1998, pp. 414 e ss.
5 L’espressione è di MONACO L. – PALIERO C.E., 1994, pp. 430 e ss. Questo rischio è fortemente
avvertito da BRUNELLI D., 2016, p. 276, laddove evidenzia le dimensioni parallele del moderno diritto penale, sfibrato nella sua precisione tecnica e pervaso dalle valutazioni giudiziali condotte secondo il parametro della coscienza sociale.
6 Mantenendosi nella prospettiva delle soluzioni incidenti sulla comminatoria edittale e limitando
l’analisi all’ultimo lustro, si sono susseguite la legge 28.4.2014, n. 67, che ha introdotto l’art. 168-bis c.p., il D.lgs. 16.3.2015, n. 28, che ha introdotto l’art. 131-bis c.p., i decreti gemelli di depenalizzazione e decriminalizzazione 15.1.2016, ni 7 e 8, e il D.lgs. 23.6.2017, n. 103, che ha introdotto l’art. 162-ter
c.p.
6
antigiuridico e colpevole e la sua sottoposizione a pena, collidono frontalmente con la
concezione primigenia su riferita, che invece individua una correlazione necessaria tra
i due termini (nullum crimen sine poena).
La tesi, autorevolmente sostenuta in passato, circa l’impossibilità di scindere la
previsione astratta del precetto dalla sanzione a pena di eliderne il carattere distintivo
formale, ha invero subito una progressiva erosione in dipendenza della crescente
proliferazione – nel codice come nella legislazione penale complementare – di ipotesi
di reato perfezionate nei propri elementi costitutivi ma rispetto alle quali l’ordinamento
prevede forme di condizionamento ovvero di elisione postuma della sanzione, al punto
da consentire ad una dottrina di affermare l’ordinarietà fenomenica del reato non
punito
8: al quesito se sia possibile concepire un reato non punibile l’opinione ormai
prevalente giunge ad offrire risposta affermativa, sussumendo nella “categoria” della
non punibilità istituti che escludono per taluni soggetti o in talune circostanze la
conseguenza fisiologica del reato, non sempre però rinvenendo nell’arsenale delle
funzioni riconducibili alla pena una propria legittimazione.
Come emergerà dal prosieguo dell’analisi, la punibilità rappresenta un giudizio
sintetico sulla rilevanza attuale dell’illecito e proprio entro tale giudizio si inscrivono
i fenomeni che su di essa incidono, convogliando esigenze di prevenzione generale e
speciale e di rieducazione che sole giustificano la più rigorosa delle sanzioni
giuridiche.
La descritta ricostruzione, delineata ivi per sommi capi, dischiude a numerose
questioni problematiche: se già da un punto di vista strutturale emerge l’impervia
distinzione fra fatto e fattispecie, sovente ripresa per orientare la risoluzione del
dilemma rappresentato dall’art. 44 c.p., la determinazione stessa di un’autonoma
“categoria” della non punibilità – cui ricondurre non solo i meccanismi di
condizionamento, ma altresì le ipotesi di elisione postuma della pena, sulla base di
un’asserita identità funzionale
9– appare infatti operazione ardua, poiché le previsioni
legali di modulazione della punibilità non appaiono riconducibili ad altro
denominatore comune che non sia rappresentato dall’effetto finale di escludere la pena.
L’evidente impraticabilità del ricorso a tale canone ricostruttivo comporta problemi
pratici laddove si renda necessario qualificare ipotesi di dubbia ricostruzione
8 In questo senso DONINI M., 2003a, pp. 350 e 359, con particolare riguardo ai reati omissivi in contesto
lecito di base.
9 In tal senso BRICOLA F., 1997a, p. 1330; RAMACCI F., 1971, p. 177 e 210 e ss.; PEDRAZZI C.,
1954, pp. 716-717, che ravvisa l’unitarietà della fenomenologia pur nella frammentazione disciplinare; MORO A., 1954, p. 28, che discorre di condizioni negative di punibilità. Riconosce una parziale asimmetria fra condizioni e cause di non punibilità ROMANO M., 2006, p. 1726, che rileva l’inerenza all’offesa di queste ultime. Decisamente ostili al riconoscimento di una simmetria funzionale sono VENEZIANI P., 1992, p. 109; PROSDOCIMI S., 1982, p. 319-320; CONTENTO G., 1965a, p. 44.
7
dogmatica, ma ab imis impone una necessaria riflessione sulle ragioni di tale
dissociazione: a ben vedere la presenza di meccanismi interagenti sulla punibilità
restituisce un’immagine della norma penale la cui comminatoria sembrerebbe
rispondere non più soltanto all’esigenza di difendere l’interesse offeso.
10Si discorre
sovente cioè di una “sensibilità” della sanzione rispetto ad interessi esterni o ulteriori
all’area dell’offesa, realizzando quello che ampia dottrina definisce (e giustifica
apoditticamente come effetto di) uno scollamento fra meritevolezza e bisogno di
pena
11mediante istituti che inseriscono nella valutazione della fattispecie ragioni di
opportunità insuscettibili di filtrare nelle maglie dell’art. 133 c.p.
A ciò si aggiunga che le valutazioni di non punibilità costituiscono uno degli strumenti
privilegiati di governo del sistema penale, agevolando la deflazione processuale
rispetto ad ipotesi sprovviste in concreto di una sufficiente dannosità sociale
12: il
fenomeno, di originaria matrice processuale, registra attualmente in sede sostanziale
una esuberante vitalità, come testimoniato dalla generalizzazione dell’istituto della
tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p.
La “crisi” del modello classico del nullum crimen sine poena, quando non ispirata a
paradigmi negoziali
13viene quindi genericamente giustificata in omaggio ad esigenze
di opportunità.
14Tale ratio, tuttavia, ha il sapore amaro di un nichilismo euristico,
10 Descrive una prassi in cui il «caso governa la pena» e quest’ultima è concepita come mero «limite a
un programma utilitaristico», DONINI M., 2011, p. 906, per il quale quindi nell’ideologia penale
contemporanea «la pena deve funzionare in concreto non rispetto al singolo, perché l’intervento più
complessivo nel quale si innesta il momento penale vuole ridurre certi fenomeni, perseguendo degli scopi generali rispetto alla persona che ha commesso il “fatto”». Cfr., altresì, SQUILLACI E., 2016,
p. 46; RUGA RIVA C., 2002, p. 399, ove l’Autore chiarisce che i meccanismi premiali ex post factum caratterizzati dalla collaborazione processuale – inquadrati dalla riflessione maggioritaria come disfunzionali alle esigenze di tutela dell’interesse giuridico – assumono una specifica valenza di meccanismo di tutela “in potenza” di questo, strutturandosi come alter ego della pena per i reati a pericolo astratto o presunto; PADOVANI T., 1986a, pp. 398 e ss.; ID, 1981a, pp. 529 e ss.
11 Cfr. le fondamentali considerazioni di ROMANO M., 1992, pp. 39 e ss.
12 Di specularità fra funzione garantistica e necessità deflattiva, con specifico riguardo alle condizioni
obiettive di punibilità, discorre, inter multos, D’ASCOLA V.N., 1993, p. 657.
13 Cfr. DONINI M., 2003a, pp. 367 e ss., il quale osserva che la rivoluzione culturale apprestata dal
patteggiamento consiste nell’aver portato a compimento la linea teorica inaugurata dalla Corte costituzionale con la sentenza 369/1988, laddove consente di compendiare nella valutazione di meritevolezza della sanzione e di prognosi di pericolosità dell’autore, criteri di economia della pena che esondano dagli argini dell’art. 133 c.p.
14 Lo segnala chiaramente STORTONI L., 1985, pp. 402 e ss., che riconnette il successo di tale richiamo
alla “ragione politica” con la spiegazione in termini di “eccezionalità” delle ipotesi di dissociazione fra reato e pena, come unica alternativa alla conclusione per cui un reato non punibile sarebbe in effetti un
quid diverso da un reato. Centrale, poi, l’analisi di GIULIANI BALESTRINO U., 1966, pp. 131 e ss.,
il quale sostiene che le forme dissociative fra reato e punibilità nasconderebbero altrettante ipotesi di inopportunità non della pena, bensì del processo penale: in quest’ottica, l’eccezionalità della previsione
8
mentre a nostro avviso è possibile ricercare un tratto comune fra le differenti ipotesi di
non punibilità indugiando sul rapporto esistente fra le fattispecie penali e le discipline
extrapenali di riferimento.
L’opportunità di un approccio integrato al tema della non punibilità, lungi dal voler
riproporre vetuste concezioni sanzionatorie del diritto penale
15, deriva piuttosto da una
osservazione preliminare: se infatti sul coté processuale la non punibilità rende
congruo il meccanismo sanzionatorio con la realtà del processo penale, “immergendo”
la sanzione nei limiti strumentali della macchina giudiziaria, non potrebbe ipotizzarsi
altrettanto sul piano sostanziale, che cioè la non punibilità renda congrua la sanzione
con la disciplina extrapenale di riferimento? Se al quesito si dovesse dare risposta
positiva, riconoscendo quindi alla non punibilità una funzione infra-sistemica di
armonizzazione tra l’una e l’altra, tale carattere non solo adiuverebbe le indagini volte
alla qualificazione di istituti controversi, ma ab imis consentirebbe di valutare le sclete
del Legislatore ampliando la prospettiva dell’analisi rispetto a quella necessariamente
ristretta offerta dal giudizio di costituzionalità e fondata sul solo parametro di
ragionevolezza
16.
La direttrice pocanzi tracciata appare peraltro feconda di sviluppi nel micro-sistema
del diritto penale dell’economia, giacché ad un esame sommario del dato positivo
l’interprete può osservare una singolare esuberanza di meccanismi di modulazione ed
discende dal riconoscimento che talora è ragionevole aversi una discrezionalità nell’attivazione della pubblica accusa (pp. 137 e 140).
15 Critica peraltro recentemente mossa da DI FLORIO M., 2016, pp. 620 e ss., e MANNA A., 2017, p.
24, all’indirizzo ermeneutico inaugurato da Cass. pen., SS.UU. 31.3.2016, n. 22474, in tema di perdurante rilevanza delle valutazioni nelle riformate fattispecie di false comunicazioni sociali, su cui
infra.
16 Un tale approccio è coltivato da PIOLETTI U., 2015, pp. 25-26. Risalente dottrina aveva invero
evidenziato una necessaria irrilevanza delle questioni di legittimità costituzionale su norme di favore, giusto il principio di cui all’art. 25, co. 2 Cost: cfr., BRICOLA F., 1997a, p. 1338; ID, 1997b, p. 1422, che al riguardo suggeriva come unico rimedio esperibile il ricorso a referendum abrogativo. In senso critico STORTONI L., 1990, p. 359, e ONIDA V., 1978, pp. 998, 1002 e 1005, per il quale invece vi sarebbe sempre rilevanza poiché il dictum della Consulta orienterebbe nell’individuazione del fondamento normativo della soluzione pratica da dare alla controversia. La Corte costituzionale, investita a più riprese in ordine alla legittimità della disponibilità legislativa della punibilità per esigenze indipendenti dalla tutela del bene offeso (ex multis, Corte cost., 12.12.1963, n. 171; Corte cost., 14.7.1971, n. 175; Corte cost., 12.2.1976, n. 32; Corte cost., 2.6.1983, n. 148), con la sentenza 31.3.1988, n. 369 aveva positivamente sanzionato tale prassi legislativa nella misura in cui la non punibilità fosse, però, pur sempre calibrata in funzione degli scopi della pena, salvo successivamente riconoscere una indistinta compatibilità con il dettato costituzionale dell’interferenza di interessi eterogenei nella sequenza reato-pena, onde salvare provvedimenti legislativi in cui il “mercato della punibilità” concorreva al risanamento delle finanze pubbliche (Corte cost., 12.9.1995, n. 427).
9
esclusione della punibilità che sembrano presentare una specifica razionalità e
un’intrinseca congruità sistemica.
La bancarotta prefallimentare, in questo senso, offre un punto di vista privilegiato: la
qualificazione dogmatica della sentenza dichiarativa del fallimento, che solo con la
recente sentenza della Cass., Sez. V, 22.3.2017, n. 13910 ha visto convergere una
giurisprudenza sulle posizioni di ampia benché non unanime dottrina, può risultare
agevolata da una considerazione sul ruolo della stessa nell’ambito delle procedure
concorsuali e rispetto all’equilibrio dei rapporti economici fra imprenditore e creditori.
L’elemento condizionale, lungi dall’esprimere esigenze di indistinta “opportunità di
non punizione”, sembrerebbe in effetti svolgere una precisa funzione alla luce del
peculiare meccanismo che governa i rapporti fra titolarità economica dell’asse
patrimoniale (in capo ai creditori per effetto del ricorso alla leva debitoria) e
responsabilità giuridica per gli atti di gestione (in capo all’imprenditore ex art. 2740
c.c. e 41 Cost.), ricondotto ad unità all’atto dello spossessamento ex art. 15 L.f.
Quanto alle previsioni di non punibilità sopravvenuta, d’altra parte, l’ambito di
indagine prescelto offre anch’esso numerosi spunti: si osservi invero lo statuto penale
delle società, reso bicefalo dalla recente novella di cui alla legge 27.5.2015, n. 69, che
evidenzia due istituti irriducibili alla medesima funzione di declinazione della
punibilità
17.
La previgente disciplina di cui al D.lgs. 11.4.2002, n. 61, sul punto emendata dalla
citata normativa, aveva da un lato articolato le disposizioni di cui agli artt. 2621 e 2622
c.c. sulla base di cc.dd. soglie di punibilità, connettendole ad indici patrimoniali
numerici che dovevano tradurre nell’intervallo la materiality della falsità, dall’altro
aveva introdotto in talune disposizioni a tutela del capitale sociale peculiari cause
estintive conseguenti a condotte post factum dell’agente e corrispondenti, in senso lato,
ad altrettante ipotesi di risarcimento del danno.
Orbene, la prospettiva infrasistemica che intendiamo seguire sembrerebbe a prima
vista suggerire un giudizio distinto in ordine ai due modelli disciplinari evidenziati:
quanto al primo, sulla scorta delle indicazioni sul punto ricavabili da Cass., SS.UU.,
31.3.2016, n. 22474, lo stretto legame fra normativa societaria e disciplina penale
sembra confermare la bontà dell’epitaffio che autorevole dottrina allora dedicava alla
tutela penale dell’informazione societaria
18, stante l’introduzione di un modello di
delimitazione quantitativa riferito alla falsità informativa che delineava aree di non
17 Segnala tale “frattura” SESTRIERI M., 2016, p. 435. 18 In tal senso PEDRAZZI C., 2001, pp. 1369 e ss.
10
punibilità dimentiche della sostanza valutativa delle voci di bilancio e della loro
caratterizzazione decettiva.
19Quanto al secondo modello esposto, previsto anche in materia penal-tributaria dall’art.
13 D.lgs. 10.3.2000, n. 74 a seguito della “revisione” operata dal D.lgs. 24.9.2015, n.
158, la disamina del contenuto iper-oggettivo del postfatto alla luce, rispettivamente,
della nuova disciplina sulla composizione e funzione del capitale sociale – che ne ha
segnato il tramonto come garanzia nelle S.r.l. e ne ha significativamente contratto il
rilievo nelle S.p.A. – e della natura riscossivo-negoziale della normativa tributaria –
giusta l’evoluzione che ha interessato il carattere triadico e indisponibile
dell’obbligazione tributaria nella direzione di una modulazione della pretesa pur di
percepire l’imposta – sembrerebbe invece militare a favore della tesi per cui la non
punibilità ivi conforma lo strictum ius del precetto penale alle linee essenziali della
normativa retrostante
20.
Numerosi sembrano quindi gli elementi che suggeriscono di approfondire
l’osservazione di cui supra. Prioritariamente, tuttavia, si rende necessario fissare il
concetto di punibilità e quindi dedurne il correlativo negativo, per giungere
adeguatamente equipaggiati sul sentiero della non punibilità nel diritto penale
dell’economia.
19 Sul punto SUPERTI FURGA F., 2015, pp. 1292 e ss.; FILIPPI E., 2002, passim.
20 In analogia, solo descrittiva, con la funzione che l’illiceità speciale svolge nella struttura del tipo,
11
NOTA METODOLOGICA.
Da un punto di vista metodologico l’individuazione della natura giuridica e delle
funzioni delle previsioni di non punibilità risulta assai problematica.
Invero, l’interprete si muove nell’alternativa di procedere ad un’indagine deduttiva,
che dal concetto astratto di reato e di sanzione derivi le proprie conclusioni sulla ricca
morfologia di ipotesi incidenti sulla sequenza reato-pena; ovvero prediligere una
prospettiva esegetica di segno induttivo che tragga spunto dalle disposizioni in cui la
punibilità e il suo contrario appaiono variamente richiamate, per identificarne il
contenuto teorico.
Peraltro, la definizione stessa di “punibilità” del reato risulta problematica, giacché
essa «nonostante il suo vasto campo di applicazione, non sembra possedere un proprio
significato, né svolgere un autonomo ruolo operativo in sede sistematica dappoiché,
riguardata con riferimento ai suoi presupposti causativi, i dati della fattispecie, tende
a ridursi a conseguenza automatica di essi, mentre proiettata verso la sua immediata
conseguenza, ossia l'applicazione della pena, sembra dissolversi nel contenuto di
quest'ultima»
21.
A ciò si aggiunga che il definiendum presenta, già sul piano linguistico, talune
peculiarità: invero, rispetto a “tipicità”, “antigiuridicità” e “colpevolezza”, enucleate
come entità concettuali fisse della teoria del reato, pur se graduabili al loro interno, la
“categoria” della (non) punibilità si presenta intrinsecamente in termini dinamici,
come relazione o qualificazione valutativa di tipo teleologico, intimamente connessa
con le funzioni ascrivibili alla pena
22. Inoltre occorre rilevare come l’indagine sulla
punibilità sia stata singolarmente condotta a partire dal riconoscimento di ipotesi «in
cui [questa] risulta subordinata, esclusa, modificata o estinta per più ordini di fattori
che si polarizzano attorno ad istituti diversi»
23, quasi a voler evidenziare l’inutilità e
lo spessore meramente nominalistico di una ricerca sulla definizione positiva della
punibilità.
Alla luce di queste specificità, è d’uopo a nostro avviso adottare un metodo sincretico,
affrontando la disamina delle singole espressioni morfologiche della non punibilità per
collocarle progressivamente nel dibattito teorico sull’ampiezza e sulla collocazione
21 RUGGIERO G., 1988, p. 1119.
22 Il rilievo è magistralmente evidenziato da PADOVANI T., 1986a, p. 410, che ricostruisce il concetto
di punibilità in chiave deontologico-assiologica evidenziando come il senso del non-punire ha, rectius deve avere le stesse matrici general-preventive che sono sottese alla previsione incriminatrice.
23 DI MARTINO A., 1998, p. XVI. Rileva PISAPIA G.D., 1952a, p. 3, come la non punibilità non
rappresenti il mero rovescio logico della punibilità, bensì l’antecedente teorico e pratico di gran lunga più importante.
12
della categoria nell’analisi del reato, al fine di dare immediata percezione
dell’interrelazione precedentemente riferita fra profilo positivo e negativo della
punibilità. All’esito, sarà possibile procedere nella disamina delle questioni
controverse nel settore del diritto penale dell’economia
Con riguardo a quest’ultimo, peraltro, si focalizzerà la ricerca in tre sotto-settori: in
particolare, la riflessione verterà sulle ipotesi di non punibilità rinvenibili nel diritto
penale fallimentare, societario e tributario, senza indulgere nell’analisi di figure di non
punibilità ad tempus o extra-ordinem perché caratterizzate da esigenze contingenti che
come tali sfuggono ad una verifica sulla funzione istituzionale della non punibilità.
Tale opzione, lungi dall’apparire apodittica, ci sembra giustificata dalle rilevazioni
statistiche disponibili in materia di criminalità economica, che evidenziano una netta
prevalenza di illeciti riconducibili a tali sotto-settori rispetto ad altri (ad es. market
abuse, diritto penale bancario, violazioni doganali, ecc.)
24– pur nella singolare
modestia applicativa dell’intero comparto del diritto penale economico
25– e quindi
suggeriscono di concentrare in modo conseguente l’interesse speculativo.
L’impostazione è peraltro conforme al criterio metodologico seguito dal Tribunale di
Milano nella redazione del bilancio di responsabilità sociale per l’anno 2016 – nel cui
circondario si concentra il numero più elevato di realtà imprenditoriali in Italia (quasi
300.000 imprese) – che ha incentrato l’analisi in punto di reati economici sulle
fattispecie di bancarotta e sulle violazioni tributarie, per essere entrambi i fenomeni
strettamente correlati alla crisi economica
26.
24 Cfr. in particolare ISTAT, I condannati con sentenza definitiva nel periodo 2000-2011, 18.11.2013,
p. 19, ove si segnala come i reati ricompresi nella voce “Evasione fiscale e contributiva”, occupano il 2° posto tra i condannati di età superiore ai 55 anni, con una significativa variazione percentuale in aumento nel periodo considerato sia tra i condannati di età compresa fra 35 e 54 anni (23,3%), sia fra i condannati di età superiore ai 55 anni (189,3%).
25 Per esempio SCIUMBATA G., 2005, p. 243, segnala come dal 1964 al 2000 l’incidenza delle
pronunce di legittimità in materia di reati societari, depurate dalle contestazioni di false comunicazioni sociali, sia stato di appena lo 0,025% sul totale delle pronunce penali.
26 Cfr. Bilancio di responsabilità sociale 2016, consultabile al link
https://www.tribunale.milano.it/index.phtml?Id_VMenu=496. Quanto ai reati di bancarotta (p. 94) si evidenzia un aumento dei casi nel 2016 rispetto al 2014 (762 contro 367 casi pervenuti al GIP; 272 contro 251 casi pervenuti a dibattimento) con un tasso di archiviazione fra i più ridotti nell’ambito delle
notitiae criminis pervenute (12% nel 2016), e un tasso di condanne piuttosto elevato (66% presso il GIP
nel 2016; 69% presso il Tribunale collegiale, s.a.). Quanto alle violazioni tributarie, il dato significativo, a testimonianza della centralità degli interventi sulla punibilità – oltre all’incidenza delle ipotesi di reato omissive sul totale delle contestazioni [cfr. i dati presenti nel Bilancio di responsabilità sociale
2014/2015 del medesimo Tribunale, consultabile al link
https://www.procura.milano.giustizia.it/files/BRS-Procura-2015.pdf, laddove (p. 54) emerge che le violazioni di cui agli artt. 10-bis e 10-ter decr. rappresentano il 49,6% del totale dei procedimenti pervenuti ex D.lgs. 74/2000] – è rappresentato dai riflessi dell’innalzamento delle soglie di punibilità
13
CAPITOLO I. FENOMENOLOGIA E TEORIA DELLA NON PUNIBILITÀ
TRA
DELIMITAZIONE
DEL
PRECETTO,
POSTERGAZIONE
ED
ESCLUSIONE DELLA SANZIONE.
«Un precetto che sanzionato non sia è cosa che sta fuori dal mondo del diritto. È
larva senza vita e fantasma senza realtà, è fuoco che non brucia e fiamma che non
illumina».
(Art. Rocco, La pena e le altre sanzioni giuridiche, in Opere giuridiche, II, p. 454).
Excursus: la non punibilità come epifenomeno del problema della pena
carceraria.
Un excursus preliminare sulla genesi storica del dibattito sulla non punibilità potrebbe
apparire inconsueto se si ha a mente la pressoché unanime concordia esistente nella
dottrina e giurisprudenza contemporanee circa l’esistenza di fenomeni che incidono
sulla sequenza reato-pena, salvo poi osservare la pluralità di impostazioni che nel
tempo hanno diversamente configurato tale scissione.
Eppure, poiché l’essenza delle cose è nella loro origine
27, sembra opportuno
soffermarsi sulla genesi della non punibilità per saggiare se essa, come categoria
dogmatica, abbia rappresentato il locus di composizione di tensioni sociali e
politico-criminali storicamente manifestatesi. In quest’ottica riteniamo di tratteggiare l’analisi
alla luce dello sviluppo diacronico che ha caratterizzato il contenuto concreto della
pena che talora si subordina, si esclude, si modifica o si estingue, rappresentata a
partire dall’Età dei Lumi dal carcere.
La reductio ad unum delle previgenti previsioni sanzionatorie nell’istituto carcerario,
nato nell’Ancien Régime con funzioni precipuamente cautelari e solo marginalmente
esecutive
28, traeva giustificazione da un lato nella critica illuministica alla
spettacolarizzazione dei supplizi, che si fondava sull’equazione – comunicativa ed
aletica al contempo – fra atrocità della punizione e crudezza del crimen, e dall’altro
nell’emersione del problema del vagabondaggio urbano. Entrambe queste prospettive
sul numero di archiviazioni (da 113 nel 2014 a 603 nel 2016 rispetto al reato di cui all’art. 10-bis D.lgs. 74/2000 e da 381 nel 2014 a 846 nel 2016 rispetto al reato di cui all’art. 10-ter D.lgs. 74/2000) e di condanne (da 170 nel 2014 a 12 nel 2016 rispetto al reato di cui all’art. 10-bis D.lgs. 74/2000 e da 114 nel 2014 a 13 nel 2016 rispetto al reato di cui all’art. 10-ter D.lgs. 74/2000).
27 “Origine significa, qui, ciò da cui e per cui una cosa è ciò che è ed è come è. Ciò che qualcosa è
essendo così com’è, lo chiamiamo la sua essenza. L’origine di qualcosa è la provenienza della sua essenza”: così HEIDEGGER M., 1997, p. 3.
14
convogliarono, così, nella teorizzazione di un luogo contenitivo-rieducativo che
uniformasse nel trattamento soggetti precedentemente identificati da una pluralità di
status.
L’emersione del principio di uguaglianza formale fra i cittadini – vero cardine della
riforma illuministica – aveva così imposto l’uniformazione del sistema repressivo,
polarizzato sulla limitazione della libertà personale come unico bene astrattamente
rinvenibile in capo a tutti i consociati: la pena carceraria – proporzionandosi alla
gravità dell’illecito commesso e negando in radice il particolarismo sanzionatorio –
appariva pertanto uno strumento intrinsecamente positivo, poiché realizzava l’utile
sociale (la prevenzione del danno immediato alla società) nell’indifferenza delle
condizioni soggettive, con il minor dispendio di risorse e con il minor aggravio per il
condannato, destinatario di un quid sanzionatorio funzionale ad elidere l’utilità
marginale conseguente al reato
29.
In quest’ottica, l’esaltazione del gradualismo tipico della pena carceraria, valorizzato
anche dalle teorie utilitaristiche, esprimeva l’adesione ad un modello preventivo della
sanzione, che nel procedere secondo stretta necessità si mostrava ontologicamente
giusto perché adeguato alla gravità del reato commesso ed al contempo esemplare. Il
tutto, pervero, alla precondizione che la previsione della comminatoria astratta,
commisurata al danno e capace di orientare alla delinquenza qualitativamente meno
dannosa, trovasse nell’effettiva sua concretizzazione all’atto del delitto una sintesi
irrinunciabile. Ed invero, l’isonomia così raggiunta mediante l’articolazione di una
risposta sanzionatoria duttile e proporzionale ostava a forme di retrocessione dalla sua
effettiva applicazione, specie ove dipendente dalla potestà di clemenza sovrana
30.
È nota, peraltro, la critica montante che presto raggiunse siffatta teorizzazione: la
fallibilità del sistema carcerario, inizialmente limitata alla sua manifestazione
empirica
31, coinvolse successivamente la stessa idea della bontà intrinseca della pena
in quanto a) sovente caratterizzata da una brevità tale da non consentire una riflessione
sul significato etico del precetto violato, ma sufficiente a cagionare quel mélange des
29 Cfr. sul punto STORTONI L., 1985, pp. 400 e 410 e ss.; MELOSSI D. – PAVARINI M., 1977, pp.
31 e ss.; TARELLO G., 1976, p. 383.
30 Note e sferzanti sono le critiche di BECCARIA C., 1994, § 46, 103, secondo il quale «il far vedere
agli uomini che si possono perdonare i delitti e che la pena non ne è la necessaria conseguenza è un fomentare la lusinga dell’impunità, è un far credere che, potendosi perdonare, le condanne non perdonate siano piuttosto violenze della forza che emanazioni della giustizia». Da un punto di vista
strettamente retribuzionistico celebre è poi l’affermazione di KANT I., 2009, secondo cui quand’anche la società civile si disciogliesse col consenso di tutti i suoi membri, l’ultimo assassino che si trovasse in carcere andrebbe giustiziato. In ottica non dissimile si pone, nella penalistica italiana tradizionale, ALIMENA F., 1938, p. 3.
15
morales fra detenuti primari e recidivi paventato da Lucas
32, e b) comunque
istituzionalmente indifferente alle esigenze di individualizzazione del trattamento
penitenziario, storicamente “riempito” da contenuti paralleli concepiti in chiave di
esclusivo recupero morale del reo.
Lo sviluppo in territorio continentale di modelli di flessibilizzazione esecutiva in
risposta all’esplosione della penalizzazione mediante pene detentive brevi –
antesignani di talune odierne cause estintive del reato e della pena, come i ticket of
leave australiano e il sursis belga – e la previsione di momenti di discrezionalità
giudiziale sull’an stesso dell’irrogazione della pena – come il probation inglese –
decretarono la fine dell’entusiasmo per la caratura taumaturgica della pena e l’apertura
a valutazioni di opportunità estranee al nucleo originario costituito dal disvalore per il
fatto commesso (riconoscimento del ravvedimento del reo, deflazione, conseguimento
di varie utilitates, ecc.), ponendo dunque il tema della non punibilità come reazione a
quella che è stata definita da una dottrina “l’imperfezione necessaria della legge”
33, il
dislivello cioè fra automatismo sanzionatorio e il riduzionismo del “molteplice
criminale” nell’astrattezza della fattispecie.
La critica all’indefettibilità della sanzione, in tal senso, è evidente nella teorizzazione
delle cc.dd. cause politiche di remissione delle pene, enunciate dal Carmignani come
strumento perequativo necessario in misura inversamente proporzionale alla loro
severità e colte invece dal Carrara nella dimensione utilitaristica di adeguamento alle
“fluttuazioni” del c.d. danno mediato del reato, sintesi dell’allarme sociale e
dell’incentivo al delitto generato dal fatto commesso
34.
Si è osservato, in proposito, che “le impostazioni del problema dei rapporti tra reato
e punibilità involgono, nel corso dell’ottocento, indagini sul fondamento stesso del
diritto penale per concludersi, in seguito, con l’analisi del dato normativo”
35: in
quest’ottica, la questione criminale posta dalla Scuola Positiva e tradottasi nella
contestazione del retroterra vuotamente egalitario del sistema penale uscito dalla
rivoluzione illuministica “finisc[e] per legare a doppio filo il ripensamento sul
significato della sanzione criminale, sui suoi contenuti e limiti […] con la riflessione
[…] sui variegati aspetti del ritrarsi della sanzione penale, che di quel ritrarsi
scandiscono i tempi lungo il percorso che va dalla previsione edittale alla
concretizzazione giudiziale dell’esecuzione”
36.
32 Cfr. LUCAS C., 1836, p. VI.
33 DI MARTINO A., 1998, p. 37.
34 Pensiero richiamato da DE FRANCESCO G., 2016, p. 60, nota 15 e bibliografia ivi citata. I caratteri
del danno mediato sono ripresi da ROCCO Art., 1933, p. 384, nella declinazione del c.d. danno sociale.
35 PATERNITI F., 2008, p. 13.
16
Si realizza così lo spostamento dell’osservazione critica dall’esperienza concreta della
pena alla categorizzazione teorica della punibilità, che incontra sin dalle primigenie
elaborazioni, difficoltà definitorie correlate alla sua interferenza con il concetto di
causalità giuridica e di illiceità penale: il “dover essere della pena dopo la commissione
del reato”, appare infatti intercettare il problema della sua definizione sostanziale –
con la controversia riguardante l’esatta delimitazione del concetto di antigiuridicità –
e ab imis interferire con il dibattito sull’essenza della giuridicità del fenomeno “reato”.
E pluribus unum? La teoria della punibilità come elemento autonomo del reato e
la non punibilità come espressione del canone di sussidiarietà.
Il dato positivo presenta in numerose ipotesi riferimenti alla non punibilità, talora
declinati rispetto al fatto di reato, talaltra rispetto al soggetto agente
37: limitandosi ad
un’esposizione cursoria delle previsioni codicistiche, riferimenti espressi alla non
punibilità figurano in varia guisa agli artt. 44 – 54, 59 co. 4, 85, 111 co. 1, 112 co. 4,
131-bis, 158, 242 co. 2, 248 co. 2, 249 co. 2, 307, co. 3, 308, 309, 361 co. 3, 362 co.
2, 365 co. 2 (ove il riferimento è peraltro al diverso lemma dell’inapplicabilità della
disposizione precedente), 371 co. 2, 376, 384, 387 co. 2, 391 co. 2, 393-bis (sostitutivo
del precedente art. 4 del D.Lgt. 4.9.1944, n. 288), 418 co. 3, 463, 590-sexies co. 2 c.p.,
596 co. 4, 598, 599 co. 2, 638 co. 3, 648-ter.1 co. 4, 649, 655 e 728 co. 2 c.p.
La problematica ermeneutica discendente da tali ipotesi è duplice, dovendo l’interprete
in primo luogo discernere, a partire da elementi accomunati dal mero dato effettuale
dell’assenza di una sanzione, fenomeni strutturalmente dissimili che agiscono su stadi
diversi del processo di imputazione della responsabilità penale; in secondo luogo, una
volta selezionate le ipotesi di non punibilità stricto sensu, i.e. non dipendenti dalla
mancanza del referente di tipicità, antigiuridicità o colpevolezza, definirne la
collocazione dogmatica e identificarne il profilo teorico e funzionale.
Ab imis, la rassegna operata evidenzia come nelle citate disposizioni intervenga una
de-qualificazione della punibilità come dato del reato, il cui significato, tuttavia, non
risulta perspicuo se si conviene sulla sua non riconducibilità al concetto di diritto
soggettivo dello Stato di punire
38e sull’irriducibilità di essa alla mera applicabilità di
37 Il rilievo è di PISAPIA G.D., 1952b, pp. 349 ss.
38 La tesi de qua è stata sostenuta, ex plurimis, da CAMELI V., 1961, pp. 72 e ss. e p. 175; BUCOLO
C., 1955, p. 324; ALIMENA F., 1938, pp. 28 e ss.; ROCCO Art., 1933, pp. 514 e ss.; SANTORO G.C.A., 1931. Analogamente, pur collocando il diritto soggettivo statale nel solo momento dell’autonomia, non anche in quello espressione della sovranità, MORO A., 1942, p. 164 e ss. Critici VASSALLI G., 1985, pp. 801 e ss.; ID, 1942, pp. e ss.; CARNELUTTI F., 1933, p. 17, nota 1; ID, 1930, pp. 91 e ss., e 103 e ss.
17
pena
39, rispettivamente non essendo concepibile un corrispondente obbligo di
sottostare alla pena ed essendo tautologica la nozione così ricavata: il carattere
intrinsecamente valutativo della non punibilità sembra piuttosto collocarsi
obliquamente rispetto ai giudizi di esistenza e di valore predicabili con riferimento al
reato, figurando al contempo come essenza e conseguenza del reato.
Orbene, un paradigma per la risoluzione delle questioni tratteggiate fa aggio su una
metodologia che si potrebbe definire algebrico-induttiva per dirimere l’apparente
ossimoro di un reato non punibile: ed invero, ipotizzando un’eguaglianza fra gli
elementi costitutivi del reato e quelli determinativi della sanzione tale per cui ad R =
P [ove R identifica la (a) tipicità, (b) antigiuridicità oggettiva e (c) colpevolezza,
mentre P indica la pena], si desume l’esistenza di un’autonoma sedes logico-dogmatica
in cui trasfondere gli istituti sopra evidenziati che tale rapporto di equivalenza
ostacolano o impediscono. Schematizzando, emergerebbe la presenza di un’incognita
x nel primo membro dell’equazione che riassumerebbe istituti sospensivi o negativi
della pena, la cui presenza o mancata ricorrenza, rispettivamente, risulterebbe
essenziale ai fini della determinazione dell’effetto normativamente previsto, i.e.
l’applicazione della sanzione (R = P, dato R = a + b + c ± x).
Un siffatto inquadramento dogmatico dei fenomeni di non punibilità –
significativamente confortato dall’affermazione della Corte costituzionale che
redarguisce il dogmatismo onirico di quella dottrina che contesta l’autonoma
consistenza assiologica della punibilità rispetto al reato a fronte della tendenza del
Legislatore a farne addirittura uso per finalità promozionali talora estranee all’area
dell’offesa
40– non costituisce, peraltro, acquisizione recente della dottrina penalistica.
Invero, la diatriba che nella prima metà del ‘800 aveva opposto la teoria
dell’identificazione della punibilità negli elementi convergenti nella costruzione della
minaccia penale
41alla teoria della punibilità come quaestio iuris, presupposto e non
elemento del reato
42, aveva portato autorevole dottrina a concepire la scindibilità
39 Secondo ANTOLISEI F., 1991, pp. 669 e ss., «la punibilità dà luogo ad una situazione giuridica
complessa, che si risolve in due situazioni semplici, di cui la prima è attiva e la seconda passiva. Da un lato lo Stato ha facoltà di infliggere la pena e cioè il potere di punire; dall’altro il reo può essere punito, vale a dire è assoggettabile a pena. Potere statuale di punire e assoggettabilità a pena […], pertanto, rappresentano gli effetti in cui si concreta a punibilità, effetti che sono strettamente collegati, anzi, interdipendenti, perché costituiscono come il diritto e il rovescio di una medaglia». In termini analoghi
SANTANGELO G., 1965, p. 189; CAPIZZANO E., 1962, p. 343. Critico RUGGIERO G., 1988, p. 1123.
40 In tal senso si veda il § 4 del considerato in diritto della sentenza C. cost., 23.3.1988, n. 369.
Fortemente critico verso l’impostazione promozionale, in un senso tuttavia divergente rispetto alla nozione adoperata dalla Consulta, è CADOPPI A., 1989, p. 291.
41 In tal senso FEUERBACH A., 1840, p. 133.
18
logica dell’area del precetto (Norm) da quella della norma che pone la sanzione
(Strafgesetz) in termini di accessorietà della seconda al primo
43, ed a teorizzare così
una duplice condizionalità della Strafdrohung per giustificare la presenza di ipotesi
che, pur non appartenenti all’unità di disvalore espressa dal fatto incidevano sul
meccanismo di imputazione della conseguenza sanzionatoria con efficacia
sospensivo-risolutoria.
La concezione bindinghiana rappresentò la base da cui fiorì la teorica del Beling
44per
il quale la punibilità riassumeva l’insieme delle condizioni “vivificanti” la minaccia
penale, ulteriori rispetto a quelle già trasfuse nel nucleo centrale di disvalore della
fattispecie e meritevoli di un’autonoma collocazione nell’area del reato in guisa di
quinto elemento (o sesto, se si considera autonomamente la conformità al tipo), pur se
“marginale”. A tal riguardo, la predicata estraneità della punibilità dagli
Engerentatbestandsmerkmale derivava, secondo attenta dottrina, dall’essenza
teleologica della concezione belinghiana del reato, poiché la punibilità appariva “per
un verso, direttamente dipendente dalla (e funzionale alla) struttura delle norme
incriminatrici del diritto positivo, per altro verso, essa sembra[va] idonea a filtrare in
quella struttura valutazioni che si correlano allo scopo perseguito dalla stessa
fattispecie, variamente contrastandolo o limitandolo a seconda del tipo degli elementi
ulteriori”
45.
All’evidenza, la centralità di tale impostazione si manifestava laddove tale
orientamento ermeneutico contestava la riduzione della punibilità nel concetto di
Strafdrohung, sostenuta dal Von Liszt, per il quale la minaccia di pena rappresentava
al contempo elemento del reato e referente dei distinti momenti dell’antigiuridicità e
colpevolezza
46: l’aporia logica, secondo Beling, poteva risolversi proprio enucleando
nella partizione analitica del reato un autonomo elemento comprendente le condizioni
ulteriori della minaccia penale ed espressivo di valutazioni sull’illiceità non desumibili
già dal giudizio di tipicità e antigiuridicità.
Tali condizioni l’illustre Autore poneva peraltro in corrispondenza strutturale con gli
elementi appartenenti all’area della tipicità, collocandole così nell’alveo della
fattispecie, pur senza attribuirvi un crisma di ontologica necessarietà stante l’esigenza
di verificarne la ricorrenza e la funzione nella struttura delle singole disposizioni di
parte speciale
47.
43 In questo senso BINDING K., 1872, pp. 232 e ss. Analogamente ENGISCH K., 1964, pp. 341 e ss.;
KAUFMANN Arth., 1961, p. 131; KAUFMANN Arm., 1954, p. 53.
44 Il riferimento è a BELING E., 1906.
45 DI MARTINO A., 1998, pp. 7-8.
46 Si veda in particolare la XX edizione di VON LISZT F., 1914, passim e in part. p. 196.
19
Il sostrato teleologico che ispirava siffatta impostazione, nel fondare – correttamente
per quanto si dirà – il carattere distintivo fra elementi costitutivi e condizioni del reato
su base funzionale e non strutturale, non appariva tuttavia conclusivo e ciò non solo
rispetto all’individuazione di un parametro discretivo fra quelli e queste, esaurendosi
in definitiva in un richiamo alla scivolosa ricerca dell’oggettività giuridica del reato,
ma, ab imis, per la ricomprensione delle Strafdrohungsbedingungen nella teoria del
reato che proponeva così – e in singolare continuità con le impostazioni dogmatiche
precedenti – la concezione del reato come fatto punibile e quindi la convergenza di
fatto e fattispecie, influendo le “condizioni ulteriori” sulla stessa esistenza del reato
48,
e suggerendo così un’eccedenza della valutazione di illiceità rispetto al nucleo degli
elementi essenziali.
Nell’alveo di questo paradigma algebrico-induttivo si deve collocare altresì
l’impostazione del Battaglini, il quale – nell’affrontare la disamina alla luce
dell’innovazione codicistica derivante dalla sostanzializzazione delle cause di
estinzione del reato – segnalava l’improprietà logica dell’equivalenza istituita fra pena
e punibilità, attesa la confusione così operata tra dato causale e conseguenza effettuale.
Invero, richiamando l’equazione in precedenza elaborata (a + b + c ± x = P), tale
dottrina (peraltro ostile ad un’autonoma configurazione dell’antigiuridicità, declinata
piuttosto come elemento negativo della punibilità
49) configura la variabile x in guisa
di «diritto di punire in senso astratto», evidenziandone la non corrispondenza al
concetto sintetico di “azione punibile” per essere la punibilità in senso formale
comprensiva di istituti (condizioni di cui all’art. 44 c.p. e cause estintive di cui agli
artt. 150 e ss. c.p.) non riconducibili nell’alveo della tipicità ma pur sempre nelle
maglie del reato
50.
48 Evidenzia, nondimeno, l’improprietà di un’acritica assimilazione nell’orbita della fattispecie delle
condizioni (ulteriori) di punibilità DE FRANCESCO G., 2016, p. 6, il quale – rifacendosi a RITTLER T., 1930, pp. 12 e ss. – segnala come la costruzione belinghiana del Tatbestand concepisse anche ipotesi in cui la minaccia di pena non fosse specificamente ravvisabile, all’uopo richiamando le argomentazioni del Maestro teutonico in punto di configurabilità del tentativo di contravvenzione e di danneggiamento colposo. In quest’ottica, l’Autore interpreta la costruzione belinghiana delle condizioni di punibilità come positivizzazione della scelta legislativa di punire un fatto costituente reato, solo apparentemente declinabile in guisa di requisito costitutivo.
49 In tal senso BATTAGLINI G., 1940, pp. 217 e ss., che discorre di “cause impeditive della punibilità”
e quindi critica la posizione di MARTUCCI A., 1935, sostenitore di un autonomo momento di antigiuridicità penale, ferma la riconduzione della punibilità agli elementi del reato. In senso critico MORO A., 1942, pp. 199 e ss.
50 Cfr. BATTAGLINI G., 1940, pp. 203 e ss. e 209, richiamando le precedenti considerazione, inter
alios, di VANNINI O., 1942, pp. 427 e ss.; ID, 1914. In senso analogo RANIERI S., 1952, pp. 157 e
ss., ove l’Autore scorge nella punibilità del reato, una nota della sua forma, a latere di tipicità e illiceità, dalle quali si distinguerebbe perché espressiva della relazione del fatto illecito con le ulteriori norme dell’ordinamento penale, i.e. con le previsioni condizionali ed estintive. Del pari BUCOLO C., 1955, p.
20
L’assonanza con la concezione belinghiana è tuttavia solo parziale, non rinvenendosi
ivi riferimenti al teleologismo delle componenti costitutive del reato quanto argomenti
di segno positivo ritenuti indici storici di una rimodulazione della concezione
dogmatica del reato: in tal senso si deve intendere l’argomento speso nella pars
destruens della teoria, i.e. l’implausibilità logica di un fenomeno estintivo che abbia
come referente il dato storico-naturalistico del reato e non il suo precipitato
deontologico, il che consente di pervenire, secondo questa tesi, «all’individuazione di
un elemento permanente e dipendente dalla volontà del legislatore»
51, appunto la
punibilità formale intesa come possibilità di applicare la pena, che legittima, sul piano
astratto, la concretizzazione della conseguenza sanzionatoria
52.
Senonché, come rilevato da una dottrina peraltro favorevole alla qualificazione della
punibilità in guisa di elemento del reato, tale tesi manifestava la propria fallacia
laddove, nell’escludere tout court l’integrazione del reato in presenza dei fenomeni
incidenti sul diritto astratto di punire, era obbligata ad attrare al profilo della pena ad
es. le ipotesi di cui agli artt. 56, co. 3, 308, 309 e 376 c.p. – riproponendone la
qualificazione in guisa di esimenti già prevista dal previgente codice Zanardelli – onde
mantenere la qualifica di reato delle fattispecie cui tali disposizioni fanno rinvio, pur
in difetto della punibilità
53.
Al fondo, la teorica del Battaglini soffriva l’omessa considerazione del profilo
teleologico degli elementi del reato in uno alla problematica negazione di fenomeni
interagenti sulla manifestazione dell’offesa e tuttavia affatto irriducibili alla tipicità,
circostanze queste viceversa ritenute in somma considerazione dai sostenitori più
recenti della punibilità quale quarto elemento del reato.
Giova, a tal proposito, richiamare l’impostazione di autorevole dottrina che concepisce
le comminatorie edittali come assistite da una “riserva” in favore dell’operatività di
327; KUNTER N., 1950, pp. 355 e ss. Contra, perché nozione atecnica, ANTOLISEI F., 1963, p. 154 e 551 e ss. Severo, in proposito, il giudizio critico di RUGGIERO G., 1988, p. 1121, il quale, nell’identificare il vizio metodologico della teoria de qua «nel non aver […] chiarito in qual modo fosse
possibile, sul piano di una causalità non meramente naturalistica, che ad un fatto umano - condotta dell'agente - si potesse collegare un giudizio - la punibilità - per di più di segno contrapposto a quello ipotizzabile nella logica della causalità materiale», evidenzia come in tale ricostruzione la punibilità
appaia inutile doppione dell'antigiuridicità, se intesa come caratteristica generale del reato, e quindi sterile connotazione teorica degli elementi strutturali del reato. Di evidente tautologia, con riferimento alla teorica del Ranieri, parla DI MARTINO A., 1998, p. 110.
51 Cfr. BATTAGLINI G., 1940, p. 90.
52 Critico sul punto è PETROCELLI B., 1960, p. 695, il quale lamenta l’imprecisione del riferimento
che verrebbe a coniugare il momento normativo della punibilità con quello applicativo, come testimoniato dalla reductio ad unum di cause impeditive ed estintive nella figura delle cause esclusive della punibilità.
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condizioni aggiuntive rispetto a tipicità, antigiuridicità e colpevolezza, denotative di
valutazioni ulteriori sul piano politico-legislativo e caratterizzate da efficacia
costitutiva rispetto al reato, talora in termini di fondazione della dimensione punitiva,
talaltra in termini di sua esclusione
54.
L’unità del riferimento categoriale, tuttavia, si perde nella pluralità indistinta delle
ipotesi normative ad essa ricondotte (cause di estinzione, cause di non punibilità in
senso stretto, condizioni obiettive di punibilità, immunità penali, ecc.) e ab imis non
fornisce un catalogo di criteri che consentano la perimetrazione esterna della
punibilità, onde procedere alla sussunzione in essa degli istituti che ne esprimono i
caratteri
55.
La critica alla circolarità del metodo sottinteso a tale teorizzazione costituisce peraltro
il profilo discretivo che connota un ulteriore orientamento, volto ad una
sistematizzazione delle previsioni incidenti sulla punibilità in stretta corrispondenza
con la morfologia sanzionatoria predisposta dal Legislatore e articolata secondo una
scala progressiva di anticipazione dello stadio di tutela del bene giuridico
56. Secondo
questa impostazione la punibilità comprenderebbe istituti volti a concretizzare nella
trama dell’illecito il principio c.d. di sussidiarietà esterna, cioè la soddisfazione della
funzione di prevenzione generale per alteram viam rispetto alla tipicità, nella misura
(e modalità, a nostro avviso) compatibile con il diverso grado di restaurabilità
dell’oggettività giuridica lesa.
In quest’ottica, peraltro, la non punibilità, lungi dal riposare su esigenze riconducibili
alla teoria della pena, emergerebbe già in sede di comminatoria edittale permettendo
54 In tal senso MARINUCCI G. – DOLCINI E., 2012, pp. 177-178.
55 Il rilievo è mosso da DI MARTINO A., 1998, p. 111. In senso adesivo DE FRANCESCO G., 2016,
p. 8. La circostanza pare, peraltro, difficilmente controvertibile, se si ha mente al fatto che gli Autori richiamati (MARINUCCI G. – DOLCINI E., 2012, p. 375) ravvisano come criterio di sintesi, rectius idea-guida la valutazione di opportunità, che appare tuttavia esaurirsi in una tautologia (opportunità come criterio classificatorio e giustificativo).
56 Trattasi dell’impostazione di COCCO G., 2016, pp. 516 e ss.; ID, 2014; COCCO G. – AMBROSETTI
E.M., 2015, pp. 113 e ss.; DURIGATO L., 1989, pp. 742 e ss. Valorizza il profilo della sussidiarietà rispetto alla non punibilità, ritenendo invece priva di un’unità teleologica la categoria della punibilità, DONINI M., 2003b, p. 393, collocandola nondimeno esternamente rispetto alla teoria del reato. L’autore in particolare propugna un’accezione lata del concetto, configurandolo come possibilità di alternative alla sanzione in esito ad un processo di amministrazione giudiziale dialettica della degradazione della pena minacciata. La differenziazione delle opzioni penali dovrebbe così essere declinata rispetto a settori specifici di criminalità e a tipologie sociali e criminologiche di autori predefinite da leggi speciali, onde realizzare un sistema effettivo di tutela dei beni giuridici. Nello stesso senso ID, 2015, pp. 239 e ss., ove l’Autore segnala che la logica della non punibilità contemporanea ancora si colloca in un rapporto Stato-reo in cui l’esigenza di riparazione dell’offesa è subvalente all’interesse general-preventivo, per tale via suggerendo la rifondazione del sistema penale sulla base della qualificazione della riparazione come modalità agìta di esecuzione della sanzione penale.