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4. Introduzione al calcolo differenziale.

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Politecnico di Milano Corso di Analisi e Geometria 1

Federico Lastaria federico.lastaria@polimi.it

Introduzione al calcolo differenziale 1 Ottobre 2018

Indice

1 Derivate 4

1.1 Definizione di derivata . . . 4

1.2 Differenziabilit`a e derivabilit`a . . . 5

1.3 Derivabilit`a implica continuit`a . . . 6

1.4 Riassunto di modi equivalenti di definire le funzioni derivabili . . . 7

1.4.1 Derivata come limite del rapporto incrementale . . . 7

1.4.2 Funzione differenziabile . . . 8

1.4.3 Formulazione di Weierstrass . . . 8

1.4.4 Formulazione di Carath´eodory . . . 9

2 Regole per il calcolo delle derivate 9 2.1 Derivata della somma . . . 9

2.2 Derivata del prodotto . . . 10

2.3 Derivata della funzione composta . . . 11

2.3.1 Dimostrazione basata sulla formulazione `a la Carath´eodory . . . 12

2.4 Derivata della funzione inversa . . . 12

2.5 Derivata della funzione reciproca 1 f . . . 13

2.6 Derivata del quoziente . . . 13

2.7 Derivata di xn, n ∈ N . . . 14

2.8 Alcuni limiti importanti . . . 15

2.8.1 Due funzioni che tendono al numero e . . . 15

2.8.2 Limiti importanti con logaritmi e esponenziali. . . 16

2.9 Derivata di exp e log . . . 17

(2)

2.11 Derivata di sin x e cos x . . . 20

2.12 Il differenziale. Approssimazione al primo ordine. . . 21

3 Nota storica. Fluenti e flussioni 22 4 Funzioni derivabili su un intervallo 25 4.1 Punti di massimo o minimo locale per una funzione. . . 25

4.2 Teorema di Fermat . . . 25

4.3 Teorema di Rolle . . . 27

4.4 Teorema di Lagrange (o del valore medio, o degli incrementi finiti) . . . 27

4.5 Teorema di Cauchy (o degli incrementi finiti) . . . 28

4.6 Funzioni con derivata nulla su un intervallo . . . 30

4.7 Funzioni con derivate uguali su un intervallo. . . 31

4.8 Funzioni crescenti o decrescenti . . . 31

4.9 Funzioni strettamente monot`one . . . 32

4.10 Massimi e minimi. . . 33

4.11 Regole di de L’Hospital . . . 34

4.12 Esempi di calcolo di limiti con la regola di de L’Hospital . . . 37

4.13 Confronto tra infiniti . . . 39

5 Rapporto tra derivabilit`a e limiti della derivata 41 5.1 Relazione tra derivate e limiti delle derivate . . . 41

5.2 Osservazioni . . . 43

5.3 Punti angolosi e di cuspide . . . 44

6 Formule di Taylor 47 6.1 Il polinomio di Taylor . . . 47

6.2 Funzioni di classe Ck . . . 48

6.3 Studio locale. Formula di Taylor con il resto nella forma di Peano. . . 49

6.3.1 Alcune importanti approssimazioni locali . . . 50

6.4 Studio su un intervallo. Formula di Taylor con il resto nella forma di Lagrange . . . 51

6.4.1 Un’applicazione: stima dell’errore. . . 53

6.5 Complementi: Prime nozioni sulle funzioni sviluppabili in serie di potenze. . . 54

7 Funzioni convesse 58 7.1 Interpretazione del segno della derivata seconda . . . 60

(3)

8 Esercizi e complementi sulle derivate 61

(4)

1

Derivate

1.1 Definizione di derivata

Sia I −→ R una funzione definita su un intervallo aperto I dell’asse reale e sia xf 0 un punto di I. Si

chiama rapporto incrementale di f relativo ad x0 la funzione

x 7−→ f (x) − f (x0) x − x0

(1.1)

che risulta definita in I \ {x0}.

Definizione 1.1 (Derivata come limite del rapporto incrementale. Cauchy, 1821). Sia I −→ R unaf funzione definita su un intervallo aperto I ⊂ R e sia x0 in I. Si dice che f `e derivabile in x0 se esiste il

limite f0(x0) = lim x→x0 f (x) − f (x0) x − x0 (1.2) Il valore f0(x0) di questo limite si chiama la derivata di f nel punto x0.

Posto x − x0= h, tale limite si scrive nella forma equivalente

f0(x0) = lim h→0

f (x0+ h) − f (x0)

h (1.3)

Per denotare la derivata di f in x0 si usano anche altre le notazioni, tra le quali:

Df (x0) f (x˙ 0)  df dx  x=x0 df dx(x0)

Derivata a destra e a sinistra

La definizione di derivata si pu`o estendere al caso in cui il punto x0 sia il primo o il seondo estremo di un

intervallo. Supponiamo che la funzione f , a valori reali, sia definita su un intervallo chiuso [a, b]. Diremo che f `e derivabile a destra nel punto x0= a, se esiste (si intende finito) il limite del rapporto incrementale

quando x tende al punto x0 da destra, cio`e quando esiste finito il

lim

x→x+0

f (x) − f (x0)

x − x0

(1.4)

Se tale limite esiste finito, si chiamer`a derivata a destra e lo si indicher`a con f+0 (x0)

In modo analogo, una funzione reale f , definita su un intervallo [a, b], si dice derivabile in x0= b se esiste

il limite lim x→x−0 f (x) − f (x0) x − x0 (1.5)

(5)

che si denoter`a (quando esiste finito) con il simbolo f0 (x0)

e si chiamer`a derivata a sinistra nel punto b.

A volte useremo ancora il simbolo f0, al posto di f+0 o f−0 , quando il significato dei simboli `e chiaro dal

contesto.

Funzioni derivabili in un intervallo

Diremo che una funzione I −→ R, definita su un intervallo I ⊂ R (che potrebbe essere chiuso o no,f limitato o no) `e derivabile in I, se ammette derivata in tutti i punti interni di I e inoltre ammette derivata destra nel primo estremo di I e derivata sinistra nel secondo estremo di I, quando questi estremi appartengono a I.

Se f `e derivabile in tutto I, si viene allora a definire una nuova funzione I f

0

−→ R (1.6)

chiamata la funzione derivata di f , anch’essa definita su I.

Se anche f0 `e derivabile su tutto I, avremo la derivata seconda f00, ancora definita su I e cos`ı via. La derivata n-esima (se esiste) si denota con il simbolo f(n) (e si pone allora f(0)= f ).

1.2 Differenziabilit`a e derivabilit`a

Definizione 1.2 (Funzione differenziabile). Una funzione I −→ R, definita in un intorno I del puntof x0, si dice differenziabile in x0 ∈ R se esiste un numero a ∈ R per il quale si possa scrivere

f (x0+ h) = f (x0) + ah + o(h), per h → 0 (1.7)

Ricordiamo che la richiesta che il resto in (1.7) sia un o(h), per h → 0, significa, per definizione di o(h), che

lim

h→0

f (x0+ h) − f (x0) − ah

h = 0

Per una funzioni reale di una variabile reale I −→ R, definita su un intorno I di xf 0 ∈ R, le due

condizioni di essere derivabile in x0 (nel senso usuale dell’esistenza del limite del rapporto incrementale)

e di essere differenziabile in x0 sono equivalenti:

f `e derivabile in x0 se e solo se `e differenziabile in x0.

(6)

Teorema 1.3 (Derivabilit`a implica differenziabilit`a). Se una funzione f `e derivabile in x0, con derivata

f0(x0), allora f `e differenziabile in x0. Precisamente, vale:

f (x0+ h) = f (x0) + f0(x0) h + o(h) per h → 0 (1.8)

Dimostrazione. Bisogna dimostrare che f (x0+ h) − f (x0) − f0(x0) h `e o(h), per h → 0. Infatti:

lim h→0 f (x0+ h) − f (x0) − f0(x0) h h = h→0lim  f (x0+ h) − f (x0) h − f 0 (x0)  = f0(x0) − f0(x0) = 0 Q.E.D.

Teorema 1.4 (Differenziabilit`a implica derivabilit`a). Se f `e differenziabile in x0, allora f `e derivabile

in x0. Pi`u precisamente, supponiamo che esista a ∈ R per il quale valga

f (x0+ h) = f (x0) + a · h + o(h) per h → 0 (1.9)

Allora f `e derivabile in x0 e f0(x0) = a.

Dimostrazione. Infatti, se vale la condizione di differenziabilit`a (1.9), il rapporto incrementale di f `e dato da:

f (x0+ h) − f (x0)

h = a +

o(h)

h (per h → 0) Quindi il limite del rapporto incrementale esiste ed `e uguale al numero a:

lim h→0 f (x0+ h) − f (x0) h = h→0lim  a +o(h) h  = a + lim h→0 o(h) h = a

Quindi f `e derivabile e f0(x0) = a. Q.E.D.

Esercizio 1.5. Dall’uguaglianza (x + h)3 = x3 + 3x2h + 3xh2 + h3 dedurre che la derivata della funzione x3 `e 3x2.

1.3 Derivabilit`a implica continuit`a

(7)

Dimostrazione. Partiamo dall’identit`a

f (x) = f (x0) +

f (x) − f (x0)

x − x0

(x − x0)

Per x → x0, passando ai limiti:

lim x→x0 f (x) = f (x0) + lim x→x0 f (x) − f (x0) x − x0 lim x→x0 (x − x0) = f (x0) + f0(x0).0 = f (x0)

Questo prova che f `e continua in x0.

Un’altra dimostrazione `e la seguente. Poich´e f `e differenziabile in x0, si scrive

f (x0+ h) = f (x0) + f0(x0) h + o(h) (per h → 0)

Passando al limite per h → 0: lim h→0f (x0+ h) = h→0limf (x0) + f 0(x 0)h + o(h)  = f (x0) + lim h→0f 0(x 0)h + lim h→0o(h) = f (x0) + lim h→0f 0(x 0)h + lim h→0h o(h) h = f (x0) + 0 + 0 = f (x0) Q.E.D.

1.4 Riassunto di modi equivalenti di definire le funzioni derivabili

1.4.1 Derivata come limite del rapporto incrementale

Definizione 1.7 (Cauchy, 1821). Sia I −→ R una funzione definita su un intervallo aperto I ⊂ R e siaf x0 in I. Si dice che f `e derivabile in x0 se esiste (finito) il limite

f0(x0) = lim x→x0

f (x) − f (x0)

x − x0

(1.10)

Il valore f0(x0) di questo limite si chiama la derivata di f nel punto x0.

Posto x − x0 = h, tale limite si scrive nella forma equivalente

f0(x0) = lim h→0

f (x0+ h) − f (x0)

(8)

1.4.2 Funzione differenziabile

Definizione 1.8 (Funzione differenziabile, con la notazione dell’o-piccolo). Una funzione I −→ R,f definita in un intorno I del punto x0, si dice differenziabile in x0 ∈ R se esiste un numero f0(x0) ∈ R

per il quale valga l’uguaglianza

f (x0+ h) = f (x0) + f0(x0)h + o(h) per h → 0 (1.12)

Una piccola variante di questa formulazione consiste nello scrivere il resto nella forma h α(h), dove lim

h→0α(h) = 0.

Definizione 1.9. Una funzione I−→ R, definita in un intorno I del punto xf 0, si dice differenziabile in

x0 ∈ R, con derivata f0(x0), se si pu`o scrivere

f (x0+ h) = f (x0) + f0(x0) h + h α(h) (1.13)

dove lim

h→0α(h) = 0.

L’uguaglianza (1.13) determina il valore1di α(h), se h 6= 0. Se definiamo α(h) anche per h = 0 ponendo α(0) = 0, la funzione α risulta continua in 0.

1.4.3 Formulazione di Weierstrass

Definizione 1.10 (Weierstrass, 1861). Una funzione I −→ R, definita in un intorno I del punto xf 0, si

dice differenziabile in x0 ∈ R se esiste un numero f0(x0) ∈ R e se esiste una funzione r(x), continua in

x0 e soddisfacente r(x0) = 0, che soddisfino

f (x) = f (x0) + f0(x0)(x − x0) + r(x)(x − x0) (1.14)

Si vede subito che questa condizione `e equivalente alla condizione (1.13), dove la funzione α(h) `e continua in h = 0 e α(0) = 0. Ovviamente, per passare dalla formulazione (1.13) alla (1.14) basta porre h = x − x0 e α(h) = α(x − x0) = r(x).

1

Infatti, per h 6= 0 l’uguaglianza (1.13) determina α(h) = f (x0+ h) − f (x0) − f

0

(x0) h

(9)

1.4.4 Formulazione di Carath´eodory

Definizione 1.11 (Carath´eodory, 1950). Una funzione f , definita su un intervallo aperto U ⊂ R, si dice differenziabile nel punto x0 ∈ U se esiste una funzione ϕx0(x) che `e continua in x0 e per la quale si ha,

per ogni x ∈ U ,

f (x) = f (x0) + ϕx0(x)(x − x0) (1.15)

Il valore che la funzione ϕx0(x) assume nel punto x0 `e la derivata f

0(x

0) di f in x0.

Facciamo qualche commento su questa formulazione di Carath´eodory2.

L’interpetazione geometrica della funzione ϕx0(x) `e ovvia. Infatti, da (1.15) si ricava subito che, per

x 6= x0,

ϕx0(x) =

f (x) − f (x0)

x − x0

(1.16) Dunque ϕx0(x) non `e altro che il rapporto incrementale di f relativo al punto x0, ossia `e la pendenza

della retta secante che passa per i punti (x0, f (x0)) e (x, f (x)). La definizione alternativa (1.15) enfatizza

il fatto che le pendenze ϕx0(x) delle rette secanti si avvicinano alla pendenza della retta tangente in modo

continuo, un’osservazione interessante e in genere poco sottolineata. La richiesta che ϕx0(x) sia continua

in x0 significa che esiste il limite

ϕx0(x0) = lim x→x0 ϕx0(x) = lim x→x0 f (x) − f (x0) x − x0 e che quindi ϕx0(x0) = f 0(x 0).

Si vede subito che la condizione (1.15) e la continuit`a di ϕx0(x) in x0 implicano che f (x) `e continua in

x0.

Utilizzeremo la formulazione di Carath´eodory nella dimostrazione del teorema (2.8) sulla derivata della funzione composta.

2

Regole per il calcolo delle derivate

2.1 Derivata della somma

Ricordiamo che la somma di due funzioni f e g `e la funzione definita da (f + g)(x) = f (x) + g(x)

Teorema 2.1 (Derivata della somma). Siano f e g funzioni a valori reali, definite su un intorno del punto x0 e entrambe derivabili in x0. Allora la funzione f + g `e derivabile in x0 e si ha

(f + g)0(x0) = f0(x0) + g0(x0) (2.1)

(10)

Dimostrazione. Il rapporto incrementale, a partire da x0, della funzione f + g si scrive: (f + g)(x) − (f + g)(x0) x − x0 = f (x) − f (x0) x − x0 + g(x) − g(x0) x − x0

Quando x tende a x0 il secondo membro tende a f0(x0) + g0(x0). Q.E.D.

2.2 Derivata del prodotto

Date due funzioni f e g, a valori reali, il loro prodotto f · g (oppure f g) `e la funzione definita da (f · g)(x) = f (x) · g(x)

Teorema 2.2 (Derivata del prodotto. Regola di Leibniz). Siano f (x) e g(x) funzioni a valori reali, definite su un intorno del punto x0 e entrambe derivabili in x0. Allora la funzione prodotto f (x)g(x) `e

derivabile in x0 e

(f · g)0(x0) = f0(x0)g(x0) + f (x0)g0(x0) (2.2)

Prima dimostrazione. Scriviamo il rapporto incrementale della funzione prodotto f · g. Notiamo che vale l’identit`a f (x)g(x) − f (x0)g(x0) x − x0 = f (x)g(x) − g(x0) x − x0 + g(x0) f (x) − f (x0) x − x0

che si ottiene con il trucco di sommare e sottrarre a secondo membro il termine f (x)g(x0). Quando x

tende a x0, il termine f (x) tende a f (x0) (per la continuit`a di f in x0), il rapporto

g(x) − g(x0) x − x0 tende a g0(x0) e il rapporto f (x) − f (x0) x − x0

tende a f0(x0). Quindi il limite del secondo membro, quando x tende

a x0, esiste ed `e uguale a

f (x0)g0(x0) + f0(x0)g(x0)

Dunque la regola 2.2`e dimostrata.

Seconda dimostrazione. Per ipotesi, f e g sono differenziabili in x0. Questo significa che

f (x0+ h) = f (x0) + f0(x0)h + o(h), g(x0+ h) = g(x0) + g0(x0)h + o(h)

Scriviamo per semplicit`a p(x) = f (x)g(x). Allora p(x0+ h) = f (x0 + h)g(x0+ h) si scrive nel modo

seguente:

p(x0+ h) = f (x0+ h)g(x0+ h)

= f (x0) + f0(x0)h + o(h)g(x0) + g0(x0)h + o(h)

 = p(x0) +f0(x0)g(x0) + f (x0)g0(x0)h +

+ (f (x0) + g(x0))o(h) + f0(x0)g0(x0)h2+ f0(x0)ho(h) + g0(x0)ho(h) + o(h)o(h)

| {z }

Tutto questo termine, chiamiamolo R(h), `e un o(h)

Il resto R(h) `e un o(h), in quanto somma di cinque termini, ciascuno dei quali `e un o(h). Infatti, basta notare quanto segue: una costante per un o(h) `e un o(h); h2 `e un o(h); ho(h) `e un o(h); e o(h)o(h) `e

(11)

un o(h). Queste ultime affermazioni sono tutte ovvie. In definitiva abbiamo scritto il prodotto p(x0+ h)

come:

p(x0+ h) = p(x0) +f0(x0)g(x0) + f (x0)g0(x0)h + o(h) (2.3)

Allora possiamo concludere che il prodotto p(x) `e differenziabile in x0 e che la sua derivata in x0 vale

proprio

p0(x0) = f0(x0)g(x0) + f (x0)g0(x0)

Q.E.D.

2.3 Derivata della funzione composta

Teorema 2.3 (Derivata della funzione composta).3 Se `e definita la funzione composta g ◦f , f `e derivabile in x0 e g `e derivabile in y0 = f (x0), allora g ◦ f `e derivabile in x0 e si ha

(g ◦ f )0(x0) = g0(y0) · f0(x0) (2.4)

Dimostrazione. L’ipotesi che f sia derivabile in x0 si pu`o scrivere

f (x0+ h) = f (x0) + f0(x0) · h + α(h) · h (2.5)

dove α(h) → 0 quando h → 0. Posto f0(x0) · h + α(h) · h = k, la 2.5si scrive

f (x0+ h) = f (x0) + k (2.6)

dove la quantit`a k tende a zero quando h tende a zero. Similmente, l’ipotesi che g sia derivabile in y0 = f (x0) si scrive

g(y0+ k) − g(y0) = g0(y0) · k + β(k) · k (2.7)

dove β(k) → 0 quando k → 0. Scriviamo ora il rapporto incrementale di g ◦ f : 1 hg(f (x0+ h)) − g(f (x0))  = 1 hg(f (x0) + k) − g(f (x0))  (per la 2.6) = 1 hg(y0+ k) − g(y0)  = 1 hg 0(y 0) · k + β(k) · k  (per la2.7) = g0(y0) · k h + β(k) · k h = g0(y0) · f (x0+ h) − f (x0) h + β(k) · f (x0+ h) − f (x0) h Quando h tende a zero, il termine g0(y0) ·

f (x0+ h) − f (x0)

h tende a g

0

(y0) · f0(x0), mentre il termine

β(k) · f (x0+ h) − f (x0)

h (prodotto di una quantit`a che tende a zero per una che tende a un limite finito)

tende a zero. La formula2.7`e quindi dimostrata. Q.E.D.

3

(12)

2.3.1 Dimostrazione basata sulla formulazione `a la Carath´eodory

La formulazione `a la Carath´eodory si presta bene a dimostrare la regola della catena per la derivata della funzione composta.

Teorema 2.4 (Regola della catena). Se `e definita la funzione composta g ◦ f , f `e derivabile in x0 e g `e

derivabile in y0 = f (x0), allora g ◦ f `e derivabile in x0 e si ha

(g ◦ f )0(x0) = g0(f (x0)) · f0(x0) (2.8)

Dimostrazione. Dal momento che f `e derivabile in x0, esiste una funzione ϕ continua in x0, per la quale

vale

f (x) − f (x0) = ϕ(x)(x − x0) (2.9)

Si ha ϕ(x0) = f0(x0). Analogamente, esiste una funzione ψ continua in y0 = f (x0), per la quale vale

g(y) − g(y0) = ψ(y)(y − y0) (2.10)

con ψ(y0) = g0(y0). Posto f (x) = y e f (x0) = y0, risulta allora:

g(f (x)) − g(f (x0)) = g(y) − g(y0) = ψ(y)(y − y0) = ψ(f (x))(f (x) − f (x0)) = ψ(f (x))ϕ(x)(x − x0) = ψ(f (x)) ϕ(x) | {z } =ω(x) (x − x0)

La funzione ω(x) = ψ(f (x)) ϕ(x) `e continua in x0 (perch´e prodotto di funzioni continue). Quindi

g(f (x)) `e derivabile (secondo Carath´eodory) e

(g ◦ f )0(x0) = ω(x0)

= ψ(f (x0)) ϕ(x0)

= ψ(y0) ϕ(x0)

= g0(y0) · f0(x0)

come si voleva dimostrare. Q.E.D.

2.4 Derivata della funzione inversa

Teorema 2.5 (Derivata della funzione inversa). Sia f una funzione reale definita su un intervallo I e invertibile. Supponiamo f derivabile in un punto x0 ∈ I e f0(x0) 6= 0. Allora la funzione inversa f−1 `e

derivabile nel punto y0= f (x0) e si ha

(f−1)0(y0) =

1 f0(x

0)

(13)

Dimostrazione. Poniamo x = f−1(y). Scriviamo il rapporto incrementale di f−1, a partire a y0, come f−1(y) − f−1(y0) y − y0 = x − x0 f (x) − f (x0) = 1 f (x) − f (x0)/(x − x0)

Ora si ricordi che se una funzione f `e continua su un intervallo e continua, anche la sua inversa f−1 `e continua. Quindi, se y tende a y0, x tende a x0, e allora il limite a secondo membro tende a

1 f0(x

0)

. Q.E.D.

2.5 Derivata della funzione reciproca 1 f

Teorema 2.6 (Derivata della funzione reciproca). Sia f una funzione reale definita in un intorno di un punto x (fissato) in R, derivabile in x e diversa da zero in x. Allora la funzione 1/f `e derivabile in x e si ha:

D 1

f (x) = − f0(x)

f (x)2 (2.12)

Osserviamo anzitutto che f , per ipotesi derivabile nel punto x, deve essere continua in x. Quindi, essendo f (x) 6= 0, la funzione f si mantiene diversa da zero in tutto un intorno di x. (Ad esempio, se f (x) > 0, esiste un intorno di x in cui f `e positiva). Ne segue che la funzione 1/f `e definita in un intorno di x, (perch´e il denominatore in quell’intorno si mantiene diverso da zero).

Dimostrazione. Il rapporto incrementale (rispetto al fissato punto x) si scrive: 1 h  1 f (x + h)− 1 f (x)  = 1 h · f (x) − f (x + h) f (x)f (x + h)

Quando h tende a zero, il termine 1

h · (f (x) − f (x + h)) tende a −f

0(x), mentre il denominatore tende a

f (x)2. Quindi il rapporto incrementale tende a − f

0(x)

f (x)2. Q.E.D.

2.6 Derivata del quoziente

Teorema 2.7 (Derivata del quoziente). Siano f (x) e g(x) due funzioni derivabili, con g(x) 6= 0. Allora il rapporto f (x)/g(x) `e derivabile e si ha:

Df (x) g(x) =

f0(x)g(x) − f (x)g0(x)

g(x)2 (2.13)

Dimostrazione. Basta notare che f (x)

g(x) = f (x) · 1

(14)

2.13: Df (x) g(x) = D  f (x) · 1 g(x)  = f0(x) · 1 g(x) + f (x) · D 1 g(x) = f0(x) · 1 g(x) − f (x) · g0(x) [g(x)]2 = f 0(x)g(x) − f (x)g0(x) g(x)2 2.7 Derivata di xn, n ∈ N

Teorema 2.8 (Derivata di xn, n ∈ N). La derivata di xn, n ∈ N, `e

Dxn= nxn−1 (2.14)

Dimostrazione. Fissiamo un x in R. Se h `e un qualunque incremento, il rapporto incrementale `e dato (per lo sviluppo del binomio di Newton) da:

1 h ·(x + h) n− xn = 1 h ·x n+n 1  xn−1h +n 2  xn−2h2+ · · · +n n  hn− xn = 1 h · n 1  xn−1h +n 2  xn−2h2+ · · · +n n  hn = 1 h · h ·nx n−1+n 2  xn−2h + · · · +n n  hn−1 = nxn−1+n 2  xn−2h + · · · +n n  hn−1

Quando h tende a zero, l’espressione contenuta nell’ultima parentesi quadra tende a nxn−1. Q.E.D. La derivata di xn, n intero positivo, si pu`o anche calcolare in un altro modo. Supponiamo di avere gi`a verificato che Dx = 1. Allora, per la regola di Leibniz,

Dx2 = D(x · x)

= (Dx) · x + x · (Dx) = 1 · x + x · 1 = 2x Analogamente, per ogni n, si ha:

Dxn = D(x · · · x)

= (Dx) · x · · · x + x · (Dx) · · · x + · · · + x · x · · · x · (Dx) = 1 · x · · · x + x · 1 · x · · · x + · · · + x · x · · · 1 =

= xn−1+ xn−1+ · · · + xn−1= nxn−1

(15)

2.8 Alcuni limiti importanti

Ricordiamo alcuni fatti che riguardano la costante e di Napier. La ragione per cui si preferisce scegliere il numero e come base per la funzione esponenziale e come base per la funzione logaritmo sta nel fatto che, con tale scelta, si ha, come vedremo pi`u avanti,

Dex = ex, D ln(x) = 1 x

(In genere, useremo il simbolo ln per denotare il logaritmo “naturale”, ossia in base e. Se necessario per evitare equivoci, scriveremo anche loge). Se invece si sceglie una base a qualunque (purch´e positiva e diversa da 1), dimostreremo che valgono le regole di derivazione pi`u complicate:

Dax= ax· ln a, D loga(x) = 1

x · logae

Ricordiamo anzitutto che abbiamo definito il numero e come il limite della successione (1 + 1/n)n:

e = lim n→+∞  1 + 1 n n (2.15)

Insistiamo sul fatto che l’uguaglianza appena scritta non `e un teorema, ma una definizione. Pi`u precisa-mente, si dimostra che la successione (1 + 1/n)n `e crescente e limitata; quindi, per la completezza di R, converge a un numero reale. Tale numero reale, per definizione, `e chiamato e. Nel prossimo paragrafo, dimostriamo che si ha anche:

lim x→+∞  1 +1 x x = e (2.16) e lim x→−∞  1 +1 x x = e (2.17)

2.8.1 Due funzioni che tendono al numero e Dimostriamo che lim x→+∞  1 +1 x x = e (2.18)

Per ricondurci alle successioni, partiamo dalla doppia disuguaglianza  1 + 1 [x] + 1 [x] <  1 + 1 x x <  1 + 1 [x] [x]+1 (2.19)

dove [x] denota la parte intera di x, cio`e il pi`u grande numero intero che non supera x. (Ad esempio, [2.13] = 2, [−1.5] = −2). Per dimostrare le due disuguaglianze (2.19), si noti che la base



1 + 1

[x] + 1 

e l’esponente [x] sono rispettivamente minori della base

 1 +1

x 

e dell’esponente x, che a loro volta sono minori della base

 1 + 1

[x] 

(16)

Se scriviamo [x] = n, il primo e il terzo termine delle disuguaglianze (2.19) si scrivono rispettivamente  1 + 1 n + 1 n =  1 +n+11 n+1  1 +n+11  (2.20) e  1 +1 n n+1 =  1 +1 n n  1 + 1 n  (2.21) ed `e quindi ovvio che tendano entrambe al numero e. Poich´e, al tendere di x a +∞, anche n = [x] tende a +∞, si deduce la (2.18).

Dimostriamo ora che anche

lim x→−∞  1 +1 x x = e (2.22)

A questo scopo, operiamo il cambio di variabili t = −x, e facciamo tendere t a +∞. Avremo:  1 +1 x x =  1 + 1 (−t) (−t) = t − 1 t (−t) =  1 + 1 t − 1 t−1 1 + 1 t − 1  (2.23) Al tendere di t a +∞, il termine  1 + 1 t − 1 t−1 tende a e, mentre  1 + 1 t − 1  tende a 1. Abbiamo allora provato la tesi.

Dai limiti (2.16) e (2.16) segue subito, ponendo 1/x = y, che lim

y→0 1 + y

1y

= e (2.24)

che sar`a fondamentale per le nostre considerazioni.

2.8.2 Limiti importanti con logaritmi e esponenziali Possiamo ora dimostrare che valgono alcuni limiti fondamentali: Teorema 2.9. Per ogni base a (positiva e diversa da 1), si ha

lim y→0 loga(1 + y) y = logae = 1 logea (2.25) In particolare, se a = e, lim y→0 ln(1 + y) y = 1 (2.26) Dimostrazione. lim y→0 loga(1 + y)

y = y→0limloga(1 + y)

1

y (Propriet`a dei logaritmi: log

abc= c logab).

= logalim

y→0(1 + y)

1

y (Perch´e la funzione log

a`e continua).

= logae (Per il limite2.24).

= 1

logea (Propriet`a dei logaritmi: logab = 1 logba ).

(17)

(L’uguaglianza logab = 1

logba segue dall’ovvia equivalenza aw = b ⇐⇒ a = b1/w

Infatti, per la definizione di logaritmo, tale equivalenza si legge: w = logab se e solo se 1

w = logba). In particolare, se a = e, si ha logae = logee = 1, e quindi si ricava l’uguaglianza 2.26:

lim

y→0

ln(1 + y)

y = 1 (2.27)

Q.E.D.

Teorema 2.10. Per ogni base a (positiva e diversa da 1), si ha

lim x→0 ax− 1 x = logea (2.28) In particolare, se a = e, si ha lim x→0 ex− 1 x = 1 (2.29)

Dimostrazione. Per ricondurci al precedente limite 2.25, operiamo il cambio di variabili ax− 1 = y, da cui si ricava x = loga(1 + y). Quando x tende a zero, anche y tende a zero. Allora, tenendo presente il limite2.25, si ha: lim x→0 ax− 1 x = y→0lim y loga(1 + y) = logea Q.E.D.

2.9 Derivata di exp e log

Teorema 2.11 (Derivata del logaritmo). La derivata di ln x (logaritmo naturale, in base e) `e

D ln x = 1

x (2.30)

La derivata del logaritmo loga(x) in base arbitraria `e

D logax = 1

x · logae (2.31)

(18)

della funzione loga(x) con una base arbitraria (a 6= 1, a > 0): lim h→0 loga(x + h) − loga(x) h = h→0lim loga x(1 + h/x) − loga(x) h = lim h→0

loga(x) + loga(1 + h/x) − loga(x) h = lim h→0 loga(1 + h/x) h = lim h→0 1 x loga(1 + h/x) h/x = 1 x · limh→0 loga(1 + h/x) h/x = 1 x · limy→0 loga(1 + y)

y (Si `e posto h/x = y).

= 1

x · limy→0loga(1 + y) 1/y

= 1

x · logay→0lim(1 + y) 1/y

(Per la continuit`a di loga).

`

E a questo punto che si impone all’attenzione il numero definito dal limite lim

y→0(1 + y) 1/y

Abbiamo gi`a visto che tale limite esiste ed `e chiamato e. Allora, dall’ultima uguaglianza scritta, segue la tesi2.31

D loga(x) = 1

x · logae

Se poi scegliamo come base dei logaritmi proprio il numero a = e, si ha logae = logee = 1, e quindi

D loge(x) = 1 x

Q.E.D.

Teorema 2.12 (Derivata dell’esponenziale). La derivata dell’esponenziale ex `e

Dex = ex (2.32)

La derivata di ax `e

Dax= ax· ln a (2.33)

(19)

incrementale: lim h→0 ex+h− ex h = h→0lim exeh− ex h = lim h→0e x eh− 1 h = exlim h→0 eh− 1 h = ex· 1 (Per il limite2.29) = ex

Esattamente nello stesso modo, usando il limite2.28, si dimostra che Dax = ax· logea:

lim h→0 ax+h− ax h = h→0lim axah− ax h = lim h→0a x ah− 1 h = ax lim h→0 ah− 1 h

= ax· logea (Per il limite2.28)

Naturalmente, si pu`o dimostrare Dex = ex vedendo la funzione ex come l’inversa di ln(x) e usando il teorema della derivazione della funzione inversa. Posto exp(x) = y, x = ln(y), si ha

(exp)0(x) = 1 (ln)0(y) = 1 1/y = y = exp(x) Q.E.D. 2.10 Derivata di xα, (α ∈ R, x > 0)

La funzione xα, con α numero reale arbitrario, `e definita per x > 0. La sua derivata `e α · xα−1: Teorema 2.13. La derivata di xα, (α ∈ R, x > 0) `e

Dxα= αxα−1 (2.34)

(20)

funzione composta: Dxα = Deln(xα) = Deα ln(x) = eα ln(x)· α · 1 x = xα· α · 1 x = αxα−1 Q.E.D.

2.11 Derivata di sin x e cos x

Per calcolare la derivata di sin x dobbiamo ricordare che vale il seguente limite fondamentale: lim

x→0

sin x

x = 1 (2.35)

Da tale limite si ricava:

lim h→0 cos h − 1 h = 0 (2.36) Infatti, cos h − 1 h = = (cos h − 1)(cos h + 1) h(cos h + 1) = cos 2h − 1 h(cos h + 1) = − sin 2h h(cos h + 1) = −sin h h · sin h cos h + 1

che tende a zero, perch´e sin h h → 1 e sin h cos h + 1 → 0. Teorema 2.14. D sin x = cos x (2.37) e D cos x = − sin x (2.38)

Dimostrazione. Scriviamo il rapporto incrementale e usiamo le formule di addizione del seno: sin(x + h) − sin x

h =

1

h · sin x cos h + cos x sin h − sin x = sin xcos h − 1

h + cos x

sin h h

(21)

Quando h tende a zero, cos h − 1

h tende a 0 e sin h

h tende a 1. Quindi il rapporto incrementale tende a cos x.

Con un conto analogo, usando le formule di addizione del coseno, si dimostra che D cos x = sin x: cos(x + h) − cos x

h =

1

h · cos x cos h − sin x sin h − cos x = cos xcos h − 1

h − sin x sin h

h

da cui segue che il limite del rapporto incrementale `e − sin x. Oppure, si pu`o osservare che cos x = sin(π

2 − x) e usare la regola della derivata di funzione composta:

D cos x = D sin(π 2 − x) = (−1) · cos(π 2 − x) = − sin x Q.E.D.

2.12 Il differenziale. Approssimazione al primo ordine.

Definizione 2.15. Sia I −→ R (I ⊂ R) una funzione derivabile in un punto xf 0 ∈ I. Si chiama

differenziale di f in x0, e si denota dfx0, l’applicazione lineare

R

dfx0

−→ R, h 7−→ dfx0(h) = f

0

(x0) · h (2.39)

Interpretazione geometrica del differenziale. dfx0(h)(= f

0(x

0) · h) `e la variazione dell’ordinata,

corrispondente all’incremento h dell’ascissa, letta sulla retta tangente (e non sul grafico).

Se f `e una funzione derivabile su tutto un intervallo I ⊂ R, si chiama differenziale di f , e si denota df , la funzione lineare che a ogni punto x ∈ I associa il differenziale dfx nel punto x. Dunque il differenziale

df deve essere visto come una funzione di due variabili:

I × R−→ R,df (x, h) 7−→ dfx(h) (2.40)

Esempio. 1) Il differenziale di f (x) = ex nel punto x0 = 0 `e la funzione lineare R (df )0

−→ R, che a ogni h ∈ R associa (df )0(h) = f

0

(22)

Un problema cruciale `e approssimare il valore f (x0+ h), per h piccolo, vicino a un punto x0 in cui

f sia derivabile. Vedremo che ci sono tante possibili approssimazioni di una funzione in un intorno di un punto: approssimazioni al primo ordine, al secondo ordine, al terzo ordine eccetera, a seconda della regolarit`a della funzione f . Con la derivata prima, possiamo definire l’approssimazione al primo ordine.

Sappiamo che si ha:

f (x0+ h) = f (x0) + f0(x0) h + o(h) (2.41)

La approssimazione al primo ordine, o approssimazione lineare, di f in x0 si ottiene trascurando il

termine o(h) e prendendo in considerazione, come valore approssimato di f (x0+ h), soltanto la somma

di f (x0) con il differenziale dfx0(h) = f

0(x

0) h. Dunque:

L’approssimazione al primo ordine di f (x0+ h) `e

f (x0) + f0(x0) h (h piccolo) (2.42)

ovvero, in modo equivalente, l’approssimazione al primo ordine di f (x), vicino a x0, `e

f (x0) + f0(x0) (x − x0) (x vicino a x0). (2.43)

L’equazione della retta tangente al grafico di f (x) nel punto (x0, f (x0)) `e

y = f (x0) + f0(x0) (x − x0) (2.44)

Dunque, dalla 2.43 segue che approssimare al primo ordine (o in modo lineare) una funzione f (x) in un intorno di x0 significa confondere, vicino a x0, il grafico di f (x) con la retta tangente nel punto di

coordinate (x0, f (x0)).

Ad esempio, l’approssimazione lineare di sin x vicino a x0= 0 `e x. Infatti, sappiamo che

lim

x→0

sin x

x = 1

Questo significa che sin x

x − 1 = α(x) `e una funzione che tende a zero per x → 0. Dunque sin x = x + x α(x), con lim

x→0α(x) = 0

Ricordando che sin 0 = 0, possiamo dedurre che la derivata di sin x in x0 = 0 `e uguale a 1 e che

l’approssimazione lineare di sin x vicino a x0 = 0 `e x. Interpretazione geometrica: vicino all’origine, il

grafico di sin x si confonde (al primo ordine) con la retta tangente (che `e la bisettrice del primo e del terzo quadrante).

3

Nota storica. Fluenti e flussioni

“Fluentium quantitatum momenta (i.e., earum partes indefinite parvae, quarum addita-mento per singula temporis indefinita parva spatia augentur) sunt ut fluendi celeritates. Quare si cuiusvis ut x momentum per factum ex ejus celeritate m et infinite parva quantitate o

(23)

(i.e. per mo) designetur, caeterorum v, y, z momenta per lo, no, ro designabuntur, siquidem lo, mo, no e ro sunt inter se ut l, m, n e r.

Jam cum quantitatum fluentium (ut x et y) momenta (ut mo et no) sint additamenta infinite parva quibus illae quantitates per singula temporis infinite parva intervalla augentur, sequitur quod quantitates illae x et y post quodlibet infinite parvum temporis intervallum futurae sunt x + mo et y + no”.

Isaac Newton, Tractatus de Methodis Serierum et Fluxionum, 1671. D.T. Whiteside, The Mathematical Papers of Isaac Newton (Cambridge University Press), III, p. 79-81.

(I momenti delle quantit`a fluenti (vale a dire, le loro parti infinitamente piccole, per aggiunta delle quali esse si accrescono in singoli spazi infinitamente piccoli di tempo), sono come le velocit`a di flusso. Per questa ragione, se il momento di una qualunque di esse, diciamo x, `e espressa dal prodotto della sua velocit`a ˙x e di una quantit`a infinitamente piccola o (vale a dire, `e espressa da ˙xo), i momenti delle altre, v, y, z[...], saranno espresse da ˙vo, ˙yo, ˙zo, [...], in modo tale che ˙vo, ˙xo, ˙yo, ˙zo siano negli stessi rapporti di ˙v, ˙x, ˙y, ˙z.

Poich´e i momenti (come ˙xo, ˙yo) delle quantit`a fluenti (come x e y) sono gli incrementi infinitamente piccoli di cui queste quantit`a si accrescono in singoli intervalli di tempo infinitamente piccoli, ne segue che dopo un intervallo di tempo infinitamente piccolo queste quantit`a diventeranno x + ˙xo e y + ˙yo).

Nel De Methodis Serierum et Fluxionum4 Newton esplicita che le quantit`a alle quali si applica il suo metodo analitico sono quantit`a geometriche generate da un processo di flusso nel tempo.5 Ad esempio, il movimento nel tempo di un punto genera una linea, e il movimento continuo di una linea genera una superficie.

Nel linguaggio di Newton, le quantit`a generate dal flusso sono dette fluenti. Le velocit`a istantanee sono dette flussioni e verranno indicate (ma solo dopo il 1690) con il punto: ˙x, ˙y eccetera. I momenti delle quantit`a fluenti sono “le loro parti infinitamente piccole, per aggiunta delle quali esse si accrescono in sin-goli spazi infinitamente piccoli di tempo”. I momenti sono denotati da Newton inizialmente con notazioni poco pratiche e poco espressive: i momenti delle quantit`a fluenti x, v, y.. sono denotati6 rispettivamente con mo, lo, no. (Si veda il testo latino). Dopo il 1690 questi momenti verranno denotati, rispettivamente, con le notazioni pi`u significative ˙xo, ˙xo, ˙xo. Dunque, dopo un intervallo di tempo infinitamente piccolo, la quantit`a fluente x diventer`a quindi x + ˙xo. (Noi oggi scriveremmo che il valore di una quantit`a x in un istante t + h molto vicino a t `e x(t + h) = x(t) + ˙x(t)h + o(h). Si badi che il nostro simbolo di o-piccolo non ha il significato che aveva in Newton). Si noti che Newton scrive che i momenti sono “come le velocit`a di flusso”(“ut fluendi celeritates”). L’idea `e che, in un intervallo di tempo infinitamente piccolo, la flussione rimane costante (la velocit`a media coincide con la velocit`a istantanea) e quindi il momento `e proporzionale alla flussione (alla velocit`a istantanea).

In stile newtoniano7, la regola della derivata del prodotto si potrebbe giustificare nel modo seguente. Siano x e y due quantit`a fluenti. Al tempo t + o (dove o `e un intervallino di tempo infinitamente piccolo)

4

Redatto in latino nel 1671, sar`a pubblicato soltanto nel 1737 in Inghilterra e nel 1740 in Francia.

5

N. Guicciardini, Isaac Newton on Mathematical Certainty and Method, MIT Press, 2009.

6

Nella traduzione in italiano, i momenti sono stati denotati come ˙xo, ˙yo eccetera.

7

(24)

la fluente prodotto z = xy diventa:

z(t + o) = z + ˙zo = (x + ˙xo)(y + ˙yo) = z + ( ˙xy + x ˙y)o + ˙x ˙yo2 Possiamo allora scrivere

˙

zo = ( ˙xy + x ˙y)o + ˙x ˙yo2

Di qui, dividendo per o e trascurando il termine “infinitamente piccolo” ˙x ˙yo2, si ottiene il risultato cercato ˙z = ˙xy + x ˙y.

(25)

4

Funzioni derivabili su un intervallo

4.1 Punti di massimo o minimo locale per una funzione

Definizione 4.1. Sia D−→ R una funzione definita su un sottoinsieme D ⊂ R.f

1. Un punto x0 in D `e punto di massimo locale per f , e il valore f (x0) si chiama un massimo locale

per f , se esiste un intorno I di x0 tale che per ogni x ∈ I ∩ D si abbia

f (x0) ≥ f (x) (4.1)

Se la disuguaglianza (4.1) vale con il simbolo > di maggiore in senso stretto per ogni x 6= x0, si

dice che x0 `e punto di massimo locale stretto.

2. Un punto x0 in D `e un punto di minimo locale per f , e il valore f (x0) si chiama un minimo locale

per f , se esiste un intorno I di x0 tale che per ogni x ∈ I ∩ D si abbia

f (x0) ≤ f (x) (4.2)

Se la disuguaglianza (4.2) vale con il simbolo < di minore in senso stretto per ogni x 6= x0, si dice

che x0 `e punto di minimo locale stretto.

Osservazione. Si noti che la definizione di punto di massimo (o di minimo) per una funzione f non richiede affatto che la funzione f sia derivabile.

4.2 Teorema di Fermat

Ricordiamo due definizioni.

Definizione 4.2. Diremo che un punto x0, appartenente a un insieme D ⊂ R, `e un punto interno a D

se esiste un intorno I(x0; r) = (x0− r, x0+ r), di raggio r > 0, incluso in D:

I(x0; r) ⊂ D

In altri termini, x0interno a D significa che tutti i punti di R sufficientemente vicini a x0appartengono

anch’essi a D.

Si noti che “x0 `e interno a D” `e condizione pi`u forte di “x0 appartiene a D” (cio`e, x ∈ D). Infatti, se

x0 `e interno a D, allora appartiene a D; ma se x0 appartiene a D, non `e detto che sia interno a D. Ad

esempio, il punto x0 = 0 appartiene all’intervallo D = [0, 1], ma non `e interno a tale intervallo.

Definizione 4.3. Un punto x0, interno al dominio di una funzione f , si dice punto critico di f o punto

stazionario di f , se f `e derivabile in x0 e

(26)

Teorema 4.4 (Fermat). Sia D −→ R una funzione a valori reali definita su un insieme D ⊂ R.f Supponiamo che:

1. x0 sia un punto di massimo (o di minimo) locale per f ;

2. x0 sia interno a D;

3. f sia derivabile in x0.

Allora x0 `e un punto stazionario di f , cio`e f0(x0) = 0.

Dimostrazione. Per fissare le idee, supponiamo che x0 sia un punto di massimo locale per f . Poich´e, per

ipotesi, x0 `e al tempo stesso un punto interno al dominio D di f e un punto di massimo locale, esiste un

intorno sufficientemente piccolo I di x0 con le due propriet`a seguenti8:

I ⊂ D (4.3)

(perch´e x0 `e interno a D) e

∀x ∈ I f (x) − f (x0) ≤ 0 (4.4)

(perch´e x0 `e punto di massimo locale). Per ogni x ∈ I, x 6= x0, si ha allora

f (x) − f (x0) x − x0 ≤ 0 (4.5) se x > x0 e f (x) − f (x0) x − x0 ≥ 0 (4.6)

se x < x0. Passando al limite per x che tende a x0, si ricava9 rispettivamente f0(x0) ≤ 0 e f0(x0) ≥ 0.

Di conseguenza f0(x0) = 0. 

Si noti che nel teorema dimostrato `e ovviamente essenziale l’ipotesi che x0sia interno a D. (Non basta

che il punto x0 appartenga a D). Ad esempio, la funzione f (x) = x nell’intervallo D = [0, 1] ha un

punto di massimo locale in x0 = 1, anche se la derivata (sinistra) di f in x0 non `e nulla (`e uguale a 1).

Naturalmente questo non contaddice il teorema di Fermat. Semplicemente non sono soddisfatte le ipotesi di tale teorema, perch´e il punto x0 = 1 non `e interno a D = [0, 1].

8

Sappiamo che esiste un intorno U di x0 che soddisfa la condizione U ⊂ D e esiste un intorno V di x0 su cui vale

f (x) ≤ f (x0). Allora sull’intersezione I = U ∩ V (che `e ancora un intorno di x0) sono soddisfatte entrambe le condizioni. 9

Qui si usa il cosiddetto teorema di permanenza del segno:

Sia g una funzione definita su un intorno U di un punto x0 (con la possibile eccezione del punto x0). Supponiamo che,

per ogni x ∈ U \ x0, si abbia g(x) ≥ 0 e supponiamo che esista (finito) il limite lim x→x0

g(x) = L. Allora si ha L ≥ 0.

Questo teorema `e del tutto evidente, se si pensa alla definizione di limite. La dimostrazione `e semplice. Supponiamo, per assurdo, che sia L < 0. Prendiamo un ε > 0 abbastanza piccolo, in modo tale che l’intervallino J = (L − ε, L + ε) sia tutto contenuto nella semiretta negativa. (Ossia prendiamo L + ε < 0). Per definizione di limite, esiste un intorno W di x0 tale

che per ogni x ∈ W \ x0, si ha g(x) ∈ J , quindi g(x) < 0. Ma allora, per ogni x (diverso da x0) dell’intervallino non vuoto

(27)

4.3 Teorema di Rolle

Teorema 4.5 (Rolle, 1690).10 Sia [a, b] −→ R una funzione continua sull’intervallo compatto [a, b] ef derivabile sull’intervallo aperto (a, b). Supponiamo

f (a) = f (b) (4.7)

Allora esiste (almeno) un punto γ ∈ (a, b) in cui la derivata di f si annulla:

f0(γ) = 0 (4.8)

Dimostrazione. Per il teorema di Weierstrass la funzione f , continua sul compatto [a, b], assume il suo valore massimo M e il suo valore minimo m. Questo significa che esiste (almeno) un punto xM ∈ [a, b]

ed esiste (almeno) un punto xm∈ [a, b] tali che f (xM) = M e f (xm) = m. Sono possibili due casi.

1. Sia xM che xm cadono negli estremi di [a, b]. In tale caso, per l’ipotesi f (a) = f (b), si ha M = m.

Ma allora f `e costante, e quindi f0(x) = 0 in ogni punto x di (a, b).

2. Almeno uno dei due punti xm, xM `e interno ad [a, b]. Allora, per il teorema di Fermat, in un tale

punto la derivata si annulla .

Dunque, in ogni caso esiste (almeno) un punto γ nell’intervallo aperto (a, b) in cui la derivata si annulla. 

4.4 Teorema di Lagrange (o del valore medio, o degli incrementi finiti)

Teorema 4.6 (del valore medio, o di Lagrange). Sia [a, b] −→ R una funzione continua sull’intervallof compatto [a, b] e derivabile sull’intervallo aperto (a, b). Allora esiste un punto γ ∈ (a, b) per il quale si ha

f (b) − f (a) = f0(γ)(b − a) (4.9)

Dimostrazione. Si consideri la funzione

g(x) = f (x) − f (a) −f (b) − f (a)

b − a (x − a) (4.10)

definita sull’intervallo [a, b]. Tale funzione `e continua su [a, b], derivabile su (a, b) e assume lo stesso valore agli estremi:

g(a) = g(b) = 0

Quindi g soddisfa le ipotesi del teorema di Rolle. Per tale teorema, esiste un punto γ in (a, b) in cui g0(γ) = 0. La derivata di g(x) `e

g0(x) = f0(x) − f (b) − f (a) b − a

10

(28)

Quindi si ha 0 = g0(γ) = f0(γ) − f (b) − f (a) b − a che equivale a f (b) − f (a) = f0(γ)(b − a) 

Osservazione. Il teorema di Lagrange ha la seguente interpretazione geometrica. Si noti che il numero f (b) − f (a)

b − a `e il coefficiente angolare della retta che passa per (a, f (a)) e (b, f (b)), di equazione

y = f (a) +f (b) − f (a)

b − a (x − a) (4.11)

Quindi il teorema afferma che esiste almeno un punto (γ, f (γ)) appartenente al grafico della funzione f in cui la retta tangente (il cui coefficiente angolare `e f0(γ)) `e parallela alla retta che unisce i due punti estremi (a, f (a)) e (b, f (b)). Si noti che la funzione ausiliaria (4.10) `e la differenza tra l’ordinata del punto (x, f (x)) sul grafico di f e l’ordinata del punto (x, f (a) + f (b) − f (a)

b − a (x − a)) sulla retta secante.

4.5 Teorema di Cauchy (o degli incrementi finiti)

Teorema 4.7 (Cauchy, o degli inrementi finiti, o del valore medio). Siano f e g due funzioni continue sull’intervallo compatto [a, b] e derivabili sull’intervallo aperto (a, b). Supponiamo g0(x) 6= 0 per ogni x in (a, b). Allora esiste (almeno) un punto γ ∈ (a, b) per il quale

f (b) − f (a) g(b) − g(a) =

f0(γ)

g0(γ) (4.12)

Prima dimostrazione. Si consideri la funzione

ϕ(x) = [g(b) − g(a)]f (x) − [f (b) − f (a)]g(x) (4.13) Si vede facilmente che tale funzione soddisfa, sull’intervallo [a, b], tutte le ipotesi del teorema di Rolle. Infatti `e continua su [a, b] e derivabile su (a, b) (perh´e tali sono f e g). Inoltre, ϕ(a) = ϕ(b):

ϕ(a) = [g(b) − g(a)]f (a) − [f (b) − f (a)]g(a) = g(b)f (a) − f (b)g(a) ϕ(b) = [g(b) − g(a)]f (b) − [f (b) − f (a)]g(b) = −f (b)g(a) + g(b)f (a) Dunque, per il teorema di Rolle, esiste un punto γ in (a, b) in cui ϕ0(γ) = 0. Poich´e

(29)

in tale punto γ si ha

0 = ϕ0(γ) = [g(b) − g(a)]f0(γ) − [f (b) − f (a)]g0(γ)

che equivale a 4.12. (Si noti che si ha g(b) − g(a) 6= 0. Infatti, se fosse g(a) = g(b), per il teorema di

Rolle, g0 si annullerebbe in un punto di (a, b), contro l’ipotesi). 

Seconda dimostrazione. B = ~r(b) ~ r(a) = A (g0(γ), f0(γ)) = ~r0(γ) (f0(γ), −g0(γ)) = ~w(γ) ~r(b)− ~r( a)

Figure 1: Interpretazione geometrica del teorema di Cauchy. Data una curva piana parametrizzata [a, b] −→ R2, t 7−→ ~r(t) = (g(t), f (t)), esiste almeno un γ ∈ (a, b) tale che il vettore velocit`a ~r0(γ) = (g0(γ), f0(γ)) sia parallelo alla corda AB che congiunge i punti estremi.

Una interpretazione geometrica del teorema di Cauchy `e la seguente11:

Se una curva piana `e dotata ovunque di retta tangente tra due suoi punti A e B, allora almeno una di queste rette tangenti `e parallela alla corda AB.

Questa propriet`a vale non soltanto quando la curva `e il grafico di una funzione, ma anche per curve pi`u in generali, come quella della figura di sopra.

Ora dimostriamo il teorema di Cauchy, ispirandoci al suo significato geometrico. Siano f (t), g(t), t ∈ [a, b], due funzioni soddisfacenti le ipotesi del teorema di Cauchy. Si consideri la curva parametrizzata

t 7−→ ~r(t) = (g(t), f (t)), t ∈ [a, b]

Tale curva `e una funzione, il cui dominio `e [a, b] e il cui codominio `e il piano R2. Nella figura, l’immagine di tale funzione `e la linea disegnata in rosso. (Attenzione: la linea rossa `e l’immagine della curva, non il suo grafico).

Il vettore tangente all’istante t ∈ (a, b) (con linguaggio cinematico, il vettore velocit`a istantanea all’istante t) `e ~r0(t) = (g0(t), f0(t)).

(30)

Vogliamo dimostrare che esiste un γ ∈ (a, b) in corrispondenza del quale il vettore tangente ~r0(t) = (g0(t), f0(t)) `e parallelo a ~r(b) − ~r(a). In modo equivalente, dimostriamo che esiste un γ ∈ (a, b) per il quale il vettore (f0(γ), −g0(γ)) - che `e ortogonale a (g0(t), f0(t)) - `e ortogonale a ~r(b) − ~r(a). Questo equivale a dimostrare che esiste un γ ∈ (a, b) per il quale il loro prodotto scalare `e nullo12:

(f0(γ), −g0(γ)) · (~r(b) − ~r(a)) = (f0(γ), −g0(γ)) · (g(b) − g(a), f (b) − f (a)) (4.14) = f0(γ)[g(b) − g(a)] − g0(γ)[f (b) − f (a)] (4.15)

= 0 (4.16)

L’espressione a primo membro di4.14`e il valore, per t = γ, della derivata della funzione ϕ(t) = (f (t), −g(t)) · (~r(b) − ~r(a))

= f (t)[g(b) − g(a)] − g(t)[f (b) − f (a)]

Tale funzione ϕ(t) soddisfa le ipotesi del teorema di Rolle ( `E la stessa funzione ausiliaria4.13che abbiamo considerato nella precedente dimostrazione dello stesso terema). Dunque, per il teorema di Rolle, esiste un γ ∈ (a, b) per il quale

0 = ϕ0(γ) = [g(b) − g(a)]f0(γ) − [f (b) − f (a)]g0(γ)

Quest’ultima uguaglianza equivale13 all’uguaglianza4.12. Quindi il teorema di Cauchy `e dimostrato.  Osservazione sul teorema di Cauchy. Se pensiamo alla curva parametrizzata

t 7−→ ~r(t) = (g(t), f (t))

come al moto di una particella nel piano, allora (g0(t), f0(t)) `e il vettore velocit`a. Il teorema di Cauchy afferma allora che esiste almeno un istante in cui il vettore velocit`a `e parallelo al vettore spostamento ~

r(b) − ~r(a). Si osservi per`o che questo `e vero solo nel caso di moti piani. Ad esempio, se il moto della particella `e la spirale (cos t, sin t, t), il suo vettore velocit`a (− sin t, cos t, 1) non `e verticale, mentre il vettore spostamento pu`o essere verticale (Basta prendere il punto di partenza e quello di arrivo sulla stessa verticale, compiendo un giro completo).

4.6 Funzioni con derivata nulla su un intervallo

Teorema 4.8. Una funzione definita su un intervallo aperto I = (a, b) e con derivata nulla in ogni punto di tale intervallo `e costante.

Dimostrazione. Prendiamo due punti x1, x2 in (a, b). Per il teorema di Lagrange, esiste un punto c,

compreso tra x1 e x2, per il quale si ha:

f (x2) − f (x1) = f0(c)(x2− x1) = 0 · (x2− x1) = 0

12

Si ricordi che due vettori ~x = (x1, x2), ~y = (y1, y2) ∈ R2 sono ortogonali se e solo se il loro prodotto scalare `e nullo:

~

v1· ~v2= x1y1+ x2y2= 0. 13

Si osservi che si pu`o dividere per g0(γ)[g(b) − g(a)], e ottenere in questo modo la4.12, perch´e g0(t) non `e mai nulla (per ipotesi) e, di conseguenza, anche [g(b) − g(a)] 6= 0. Infatti, se si avesse [g(b) − g(a)] = 0, allora g0 si annullerebbe in almeno un punto (Teorema di Rolle).

(31)

Ne segue f (x1) = f (x2). Quindi f `e costante. 

Osservazione. Si noti che nell’ultimo teorema `e essenziale l’ipotesi che il dominio della funzione sia un intervallo (un sottoinsieme connesso di R). Ad esempio, la funzione

(0, 1) ∪ (2, 3)−→ Rf

f (x) = 

1 se x ∈ (0, 1) 2 se x ∈ (2, 3)

ha derivata nulla in ogni punto del suo dominio D = (0, 1) ∪ (2, 3), ma non `e costante. (Ovviamente D non `e un intervallo, cio`e non `e connesso).

4.7 Funzioni con derivate uguali su un intervallo

Teorema 4.9. Siano f e g due funzioni reali, definite su un intervallo aperto I = (a, b), con uguale derivata in ogni punto di I = (a, b):

∀x ∈ I f0(x) = g0(x) (4.17)

Allora f e g differiscono per una costante.

Dimostrazione. La funzione

ϕ(x) = f (x) − g(x) ha derivata nulla su I:

ϕ0(x) = f0(x) − g0(x) = 0 Dunque ϕ `e una costante, diciamo c ∈ R:

ϕ(x) = f (x) − g(x) = c

Dunque f e g differiscono per una costante. 

4.8 Funzioni crescenti o decrescenti

Definizione 4.10. Diremo che una funzione D −→ R `e crescente (o crescente in senso lato) su Df (sottoinsieme qualunque di R, non necessariamente un intervallo), se, per ogni x1, x2 ∈ D,

x1< x2 =⇒ f (x1) ≤ f (x2) (4.18)

Se per ogni x1, x2∈ D,

(32)

diremo che f `e strettamente crescente su D.

In modo analogo si definiscono le funzioni decrescenti e le funzioni strettamente decrescenti.

Diremo che le funzioni crescenti oppure decrescenti sono monot`one. Le funzioni strettamente crescenti oppure strettamente decrescenti si diranno strettamente monot`one.

Teorema 4.11. Sia I un intervallo aperto e sia f una funzione reale derivabile su I. Allora f `e crescente (in senso lato) su I se e solo se f0(x) ≥ 0 per ogni x ∈ I

Dimostrazione.

Prima parte. f crescente implica f0(x) ≥ 0 per ogni x.

Fissiamo un punto x0 ∈ I. Poich´e, per ipotesi, f `e crescente, il rapporto incrementale

f (x) − f (x0)

x − x0

`

e sempre maggiore o uguale a zero. Quindi il limite del rapporto incrementale, quando x tende a x0,

resta maggiore o uguale a zero:

f0(x0) = lim x→x0

f (x) − f (x0)

x − x0

≥ 0

Seconda parte. f0(x) ≥ 0 per ogni x implica f crescente.

Siano x1, x2 due punti di I, con x1 < x2. Per il teorema di Lagrange, esiste un punto c, x1 < c < x2,

tale che

f (x1) − f (x2) = f0(c)(x1− x2)

Poich´e si ha f0(c) ≥ 0 e x1 − x2 < 0, abbiamo f (x1) − f (x2) ≤ 0, ossia f (x1) ≤ f (x2). Dunque f `e

crescente (in senso lato) in I. 

4.9 Funzioni strettamente monot`one

Teorema 4.12 (Funzioni derivabili strettamente monot`one). Sia I un intervallo aperto e sia f una funzione reale derivabile su I.

1. Se f0(x) > 0 in ogni punto x ∈ I, allora f `e strettamente crescente su I. 2. Se f0(x) < 0 in ogni punto x ∈ I, allora f `e strettamente decrescente su I.

Dimostrazione. Dimostriamo il teorema per il caso di funzioni con derivata positiva in ogni punto. (L’altro caso si tratta in modo analogo).

Siano x1, x2 due punti di I, con x1 < x2. Per il teorema di Lagrange esiste un punto c, compreso tra

x1 e x2, per il quale si ha:

(33)

Poich´e per ipotesi f0(c) > 0 e x1− x2 < 0, si deve avere f (x1) − f (x2) < 0. Abbiamo allora dimostrato

che, per ogni x1, x2∈ I,

x1< x2 =⇒ f (x1) < f (x2)

Dunque f `e strettamente crescente su I. 

Osservazione. Il teorema non si inverte. Se una funzione `e strettamente crescente su un intervallo I ed `e derivabile in I, allora si avr`a senz’altro f0(x) ≥ 0 per ogni x ∈ I (per il teorema 4.11, perch´e strettamente crescente implica crescente), ma in qualche punto la derivata potrebbe annullarsi. Ad esempio, la funzione f (x) = x3, x ∈ R, `e strettamente crescente su R, ma f0(0) = 0.

Osservazione. L’implicazione “f0> 0 =⇒ f strettamente crescente” non vale se il dominio di f non `

e un intervallo. Ad esempio, la funzione f (x) = −1/x, definita su D = (−∞, 0) ∪ (0, +∞) (che non `e un intervallo) ha derivata positiva su D, ma f non `e strettamente crescente sul suo dominio D. Ovviamente f `e crescente sulla semiretta (−∞, 0) ed `e crescente sulla semiretta (0, +∞), ma non `e crescente sul suo dominio D = (−∞, 0) ∪ (0, +∞).

4.10 Massimi e minimi

Se una funzione reale `e definita su un intervallo [a, b], i suoi eventuali punti di massimo e di minimo locale andranno ricercati tra:

1. i punti interni all’intervallo, in cui la funzione `e derivabile con derivata nulla (punti stazionari interni);

2. i punti in cui la funzione non `e derivabile; 3. gli estremi a e b.

Vediamo ora sotto quali condizioni un punto stazionario interno sia un punto di massimo o di minimo locale. Sia f una funzione reale derivabile su un intorno I = I(x0; r) del punto x0. Supponiamo che x0

sia un punto stazionario per f , cio`e si abbia f0(x0) = 0. Allora, dai teoremi sulle funzioni con derivata

positiva o negativa, segue subito:

1. Se f0(x) `e negativa a sinistra di x0 e positiva a destra di x0, x0 `e un punto di minimo locale per f ;

2. Se f0(x) `e positiva a sinistra di x0 e negativa a destra di x0, x0 `e un punto di massimo locale per f .

Un altro metodo per decidere se un punto stazionario x0interno ad [a, b] (cio`e appartenente all’intervallo

aperto (a, b)) sia un punto di massimo o di minimo locale per f utilizza la derivata seconda in x0

(nell’ipotesi che essa esista).

Teorema 4.13 (Test della derivata seconda). Sia [a, b] −→ R, derivabile in (a, b). Supponiamo chef x0 ∈ (a, b) e che f0(x0) = 0. Supponiamo inoltre che in x0 esista anche la derivata seconda f00(x0), e che

(34)

(a) Se f00(x0) > 0, allora x0 `e un punto di minimo locale.

(b) Se f00(x0) < 0, allora x0 `e un punto di massimo locale.

Dimostrazione. Dimostriamo l’implicazione (a). Supponiamo dunque f00(x0) > 0. Si ha:

0 < f00(x0) = lim x→x0 f0(x0+ h) − f0(x0) h = limx→x0 f0(x0+ h) h

Ne segue (teorema di permanenza del segno) che f

0(x 0+ h)

h > 0 per tutti gli h 6= 0 sufficientemente vicini a 0. Dunque f0(x0+ h) deve essere negativo per h < 0 e positivo per h > 0. Quindi x0`e un punto

di minimo locale per f . Il caso (b) `e del tutto analogo. 

4.11 Regole di de L’Hospital

“Riconosco di dovere molto alle menti brillanti dei fratelli Bernoulli, in particolare del pi`u giovane, che attualmente `e professore a Groningen. Ho fatto libero uso delle loro scoperte”.

(G.F. de L’Hospital14, Analyse des infiniment petits, pour l’intelligence des lignes courbes, Paris, 1696).

Teorema 4.14 (Joh. Bernoulli 1691, de L’Hospital 1696. Caso 0

0.). Siano f e g due funzioni continue sull’intervallo [x0, b] (x0 ∈ R) e derivabili in (x0, b). Supponiamo che valgano le seguenti condizioni:

1. f (x0) = g(x0) = 0.

2. g0(x) 6= 0 per ogni x ∈ (x0, b).

3. Esiste (finito o infinito) il limite

lim

x→x+0

f0(x)

g0(x) = L (4.20)

Allora esiste anche il limite lim

x→x+0 f (x) g(x) ed `e uguale al precedente: lim x→x+0 f (x) g(x) = L (4.21) 14

Guillaume Fran¸cois de L’Hospital (1661-1704), matematico francese, scrisse nel 1696 un testo di calcolo differenziale, che ebbe un ruolo importante nella diffusione di questa disciplina. Il marchese de L’Hospital fu allievo dei fratelli Bernoulli (membri di una ben nota famglia di scienziati svizzeri), in modo particolare di Johann Bernoulli (1667-1748), che verso il 1691/92 aveva pubblicato una delle prime esposizioni del calcolo differenziale e integrale. La “regola di de L’Hospital” `e dovuta in realt`a a Johann Bernoulli.

(35)

Osservazione. Poich´e f e g sono continue in x0 e f (x0) = g(x0) = 0, si ha lim x→x0 f (x) = lim x→x0 f (x) = 0

In questo senso si dice che il limite lim

x→x+0

f (x)

g(x) = si presenta sotto la forma 0 0.

Dimostrazione. (Per il caso L finito). Premettiamo un’osservazione. Sia x un qualunque punto in (x0, b).

Allora si pu`o scrivere

f (x) g(x) =

f0(γ) g0(γ)

per un opportuno γ compreso tra x0 e x, cio`e soddisfacente: x0 < γ < x.

Per dimostrarlo, applichiamo il teorema di Cauchy alla coppia di funzioni f ,g sull’intervallo [x0, x].

Poich´e f (x0) = g(x0) = 0, per il teorema di Cauchy si ha

f (x) g(x) = f (x) − f (x0) g(x) − g(x0 = f 0(γ) g0(γ)

per un opportuno γ soddisfacente x0 < γ < x, come si voleva dimostrare.

A questo punto possiamo concludere, in modo un po’ sbrigativo ma sostanzialmente corretto, nel modo seguente. Quando x tende a x0, il punto γ, compreso tra x e x0, deve tendere a x0. Quindi, poich´e

f (x) g(x) = f0(γ) g0(γ) e lim x→x+0 f0(x)

g0(x) = L, anche il limite limx→x+0

f (x)

g(x) deve esistere, e deve essere uguale a L.

Se vogliamo essere pi`u rigorosi, possiamo arrivare alla tesi usando la “ε-δ definizione” di limite. Pren-diamo allora un arbitrario ε > 0. Poich´e, per ipotesi, lim

x→x+0

f0(x)

g0(x) = L, esiste un δ > 0 tale che

∀t ∈ (x0, x0+ δ) f0(t) g0(t) − L < ε (4.22)

Ora prendiamo un qualunque x in (x0, x0+ δ). Per quanto abbiamo visto sopra,

f (x) g(x) =

f0(γ) g0(γ)

per un opportuno γ soddisfacente x0 < γ < x < x0+ δ. Siccome tale γ `e compreso tra x0 e x0+ δ, per

la4.22 si ha f0(γ) g0(γ) − L < ε e quindi f (x) g(x) − L = f0(γ) g0(γ) − L < ε Questo prova, per definizione di limite, che anche

(36)



Osservazione. Ovviamente il teorema di de L’Hospital vale anche per i limiti da sinistra (x → x−0) e quindi per il limite (ordinario) per x → x0.

Vale una regola di anche nel caso di un rapporto tra funzioni che tendono entrambe all’infinito quando x tende a x0. (Forma di indeterminazione del tipo

∞). Riportiamo l’enunciato, senza dimostrazione. Teorema 4.15 (de L’Hospital, caso ∞

∞). Siano f e g due funzioni continue sull’intervallo [x0, b] e derivabili in (x0, b). Supponiamo che valgano le seguenti condizioni:

1. lim x→x+0 f (x) = lim x→x+0 g(x) = +∞ 2. g0(x) 6= 0 per ogni x ∈ (x0, b).

3. Esiste (finito o infinito) il limite

lim

x→x+0

f0(x)

g0(x) = L (4.24)

Allora esiste anche il limite lim

x→x+0 f (x) g(x) ed `e uguale al precedente: lim x→x+0 f (x) g(x) = L (4.25)

Infine, le regole di de L’Hospital valgono anche per le forme di indeterminazione 0 0 o

∞ quando x tende a +∞ o −∞. L’enunciato `e sempre dello stesso tipo: se esiste il limite

lim

x→+∞

f0(x) g0(x) = L

(finito o infinito) allora esiste anche il limite lim

x→+∞ f (x) g(x) ed `e uguale al precedente: lim x→+∞ f (x) g(x) = L

Osservazione. Il teorema di de L’Hospital dice che (sotto opportune ipotesi), se esiste il limite di f0(x)/g0(x) allora esiste anche il limite di f (x)/g(x), e i due limiti sono uguali. Non dice che se esiste

(37)

il limite di f (x)/g(x) allora deve esistere anche il limite di f0(x)/g0(x). Potrebbe esistere il limite di f (x)/g(x), ma non quello di f0(x)/g0(x). Per esempio, se f (x) = x + sin x e g(x) = x, allora

lim x→+∞ f (x) g(x) = 1 ma il limite lim x→+∞ f0(x) g0(x) = limx→+∞ 1 + cos x 1 non esiste.

4.12 Esempi di calcolo di limiti con la regola di de L’Hospital

Esempio. Come applicazione del teorema di de L’Hospital, dimostriamo che si ha:

lim x→+∞  1 +1 x x = e (4.26)

Il limite si presenta sotto la forma di indeterminazione 1∞. Notiamo che 

1 +1 x

x

= ex ln(1+x1) (4.27)

Studiamo allora il limite della funzione all’esponente. Abbiamo

lim x→+∞x ln  1 +1 x  = lim x→+∞ ln 1 + x1 1/x

Poich´e sono soddisfatte le ipotesi del teorema di de L’Hospital (caso 0

0), studiamo il limite del rapporto delle derivate: lim x→+∞ (1 + 1/x)−1(−x−2) −x−2 = x→+∞lim 1 1 + 1/x = 1 Poich´e la funzione y 7−→ ey `e continua in y = 1, deduciamo che

lim

x→+∞e

x ln(1+x1) = e1= e

In modo del tutto analogo si dimostra che anche

lim x→−∞  1 +1 x x = e (4.28)

(38)

Esempio. Dimostriamo che si ha:

lim

x→0+x ln x = 0 (4.29)

Questo limite presenta una indeterminazione della forma 0 · ∞. Scriviamo lim

x→0+x ln x = limx→0+

ln x

1/x (4.30)

In questo modo, abbiamo una indeterminazione del tipo ∞/∞. Ricorrendo al teorema di de L’Hospital, troviamo il limite del rapporto delle derivate:

lim x→0+ 1/x −1/x2 = limx→0+−x = 0 (4.31) Dunque, lim x→0+x ln x = 0.

Esempio. In modo del tutto analogo, si dimostra che, per ogni a > 0, lim

x→0+x

aln x = 0 (4.32)

Infatti, basta scrivere

lim x→0+x aln x = lim x→0+ ln x x−a (4.33)

e applicare la regola di de L’Hospital, calcolando il limite del rapporto delle derivate: lim

x→0+

1 x

−ax−a−1 = limx→0+−

xa a = 0 (4.34) Esempio. Calcolare il lim x→0+ sin x √ x

Poich´e sono soddisfatte le ipotesi del Teorema di de L’Hospital, studiamo il limite del rapporto delle derivate: lim x→0+ cos x 1/ (2√x) = limx→0+2 √ x cos x = 0 Dunque, lim x→0+ sin x √ x = 0

(Questo limite si calcola pi`u semplicemente moltiplicando numeratore e denominatore per√x e osservando che (sin x)/x → 1 per x → 0.)

Esempio. lim x→0 ex− 1 − x x2 = limx→0 ex− 1 2x = limx→0 ex 2 = 1 2

(39)

Esempio. lim x→1 ln x x − 1 = limx→1 1/x 1 = 1 Esempio. lim x→0+ ln cos x x = limx→0+ (− sin x)/ cos x 1 = 0 Esempio. lim x→0 tan x − x x3 = limx→0 1 + tan2x − 1 3x2 = limx→0 tan2x 3x2 = limx→0 sin2x 3x2cos2x = 1 3

4.13 Confronto tra infiniti

Teorema 4.16 (Confronto tra infiniti). Qualunque sia il numero reale a > 0, quando x tende a +∞ la funzione esponenziale ex tende all’infinito pi`u velocemente di xα, mentre xα tende all’infinito pi`u velocemente della funzione logaritmo ln x.

Ricordiamo che, date due funzioni f (x) e g(x), tali che f (x) −→ +∞ e g(x) −→ +∞ per x → a, (dove a pu`o essere un numero reale, oppure −∞, oppure +∞), si dice che f (x) tende all’infinito pi`u velocemente di g(x), se

lim

x→a

g(x) f (x) = 0 o, in modo equivalente, se lim

x→a

f (x)

g(x) = +∞. Dunque si pu`o enunciare il teorema dicendo che, per ogni α > 0, valgono questi limiti fondamentali:

lim x→+∞ xα ex = 0 (4.35) lim x→+∞ ln x xα = 0 (4.36)

Dimostrazione. Il limite 4.35 `e del tipo ∞/∞ e sono soddisfatte le ipotesi per usare la regola di de L’Hospital. Ovviamente `e sufficiente dimostrare che lim

x→+∞

ex = 0 nell’ipotesi che α = m sia un numero

positivo intero.15 Applicando m volte il teorema di de L’Hospital a xm/ex, otteniamo alla fine il rapporto m!/ex, che non `e una forma indeterminata e ovviamente tende a zero.

15

Se α non fosse intero, prendiamo un intero m > α. Poich´e 0 < x

α

ex <

xm

ex, dal teorema del confronto segue che, se

(40)

In modo analogo si procede per il limite4.36. Applicando la regola di de L’Hospital, siamo condotti a valutare il limite: lim x→+∞ 1 x αxα−1 = limx→+∞ 1 αxα = 0

Concludiamo che il limite 4.36`e zero.

Osservazione. Dal limite (4.35) segue che, per ogni α > 0, vale:

lim

x→0+

e−x1

xα = 0

Infatti, con la sostituzione 1/x = t, il limite si trasforma in

lim

t→+∞

tα et = 0

(41)

5

Rapporto tra derivabilit`

a e limiti della derivata

Vogliamo indagare le seguenti questioni:

a) Se il limite lim

x→x+0

f0(x) esiste, possiamo concludere che esiste la derivata destra f+0 (x0) di f in x0?

(Idem per la derivata sinistra e per la derivata). b) Se il limite lim

x→x+0

f0(x) non esiste, possiamo concludere che la derivata destra f+0 (x0) di f in x0 non

esiste?

Anticipando sulle conclusioni:

a) La risposta alla prima domanda `e negativa; ma se aggiungiamo l’ipotesi che f sia continua in x0, la

risposta `e affermativa.

b) La risposta alla seconda domanda `e negativa.

5.1 Relazione tra derivate e limiti delle derivate

Ricordiamo le definizioni. Si dice derivata di f nel punto x0 (rispettivamente: derivata destra, o derivata

sinistra) il limite, se esiste finito, del rapporto incrementale f (x) − f (x0) x − x0

per x → x0 (rispettivamente:

per x → x+0, per x → x−0). La derivata si denota con f0(x0) (rispettivamente: con f+0 (x0), f−0 (x0)).

Dunque, quando i limiti in questione esistono finiti, abbiamo per definizione: f0(x0) = lim x→x0 f (x) − f (x0) x − x0 (5.1) f+0 (x0) = lim x→x+0 f (x) − f (x0) x − x0 (5.2) f−0 (x0) = lim x→x−0 f (x) − f (x0) x − x0 (5.3) Ovviamente:

Una funzione f `e derivabile in x0 se e solo se esistono, nel punto x0, sia la derivata destra sia la

derivata sinistra, e sono uguali tra loro.

Infatti, per una qualunque funzione g(x) vale lim

x→x0

g(x) = L se e solo se il limite da sinistra lim

x→x−0

g(x) e il limite da destra lim

x→x+0

g(x) esistono entrambi e sono entrambi uguali a L. (Nel nostro caso, la funzione g(x) `e il rapporto incrementale relativo a x0).

(42)

1. Se esiste finito il limite da destra lim

x→x+0

f0(x), allora esiste la derivata destra f+0 (x0) e

f+0 (x0) = lim x→x+0

f0(x) (5.4)

2. Se esiste finito il limite da sinistra lim

x→x−0

f0(x), allora esiste la derivata sinistra f−0 (x0) e

f−0 (x0) = lim x→x−0

f0(x) (5.5)

3. Di conseguenza: se esistono finiti sia lim

x→x+0

f0(x)(= f+0 (x0)) sia lim x→x−0

f0(x)(= f−0 (x0)) e sono uguali

tra loro – vale a dire, se esiste il lim

x→x0

f0(x) – allora f `e derivabile in x0 e

f0(x0) = lim x→x0

f0(x) (5.6)

Osservazione 5.2. L’ipotesi che f sia continua in x0non si pu`o eliminare, ossia l’affermazione “Se esiste

il limite di f0(x) quando x → x0, allora esiste f0(x0)” non `e corretta. Ad esempio, si consideri la funzione

f (x) =  0 se x 6= 0 1 se x = 0 (5.7) Il limite lim x→0f

0(x) esiste e vale 0 (perch´e f0(x) = 0 per ogni x 6= 0), ma f non `e derivabile in x 0 = 0

(perch´e non `e continua in x0= 0).

Dimostrazione.

1. Supponiamo che esista (finito) il limite da destra lim

x→x+0

f0(x); dimostriamo che esiste la derivata destra, e che essa coincide con tale limite. A tale scopo, usiamo la definizione e calcoliamo il limite del rapporto incrementale da destra:

lim

x→x+0

f (x) − f (x0)

x − x0

(5.8) Si noti che sono soddisfatte le ipotesi del teorema di de L’Hospital. Si ha dunque:

lim x→x+0 f (x) − f (x0) x − x0 = lim x→x+0 f0(x) (5.9)

e cos`ı la tesi (5.4) `e dimostrata.

Se si preferisce, per studiare il limite (5.8) si pu`o utilizzare direttamente il teorema di Lagrange, del quale sono soddisfatte le ipotesi su ogni intervallo del tipo [x0, x]. Per ogni x, esiste un γ tra x0 e x per

il quale vale

f (x) − f (x0)

x − x0

Figura

Figure 1: Interpretazione geometrica del teorema di Cauchy. Data una curva piana parametrizzata [a, b] −→ R 2 , t 7−→ ~ r(t) = (g(t), f (t)), esiste almeno un γ ∈ (a, b) tale che il vettore velocit` a ~r 0 (γ) = (g 0 (γ), f 0 (γ)) sia parallelo alla corda
Figure 2: Grafico di x 2 sin 1
Figure 3: Il grafico di g(x) = x sin 1
Figure 4: Funzione concava: la corda sta tutta al di sotto dell’arco.
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