AGOSTINO
La vita di un santo filosofo
Agostino nasce a Tagaste (Algeria orientale) nel 354 da una coppia di piccoli possidenti, formata dal padre Patrizio e dalla madre Monica, quest’ultima di fede cristiana.
Morto il padre, si reca a Cartagine dove compie i suoi studi superiori e conosce una donna, di cui non si sa il nome, che gli dà un figlio , Adeodato nel 372.
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• Durante il soggiorno a Cartagine aderisce al manicheismo (da Mani di Babilonia, 216-277), dottrina religioso filosofica a carattere sincretistico – mette assieme cristianesimo, marcionismo, gnosi valentiniana, zoroastrismo - che pone all’origine del mondo due principi avversi: un dio del bene (Buon principio o Padre della maestà) e un dio del male (il Dio dell’Antico Testamento), il cui luogo di confronto e di conflitto sarebbe il nostro mondo e i cui due elementi opposti sarebbero lo spirito-bene e la materia-male. Il credente manicheo doveva così impegnarsi a far prevalere lo spirito sulla materia, liberandosi dai vincoli delle tenebre per rivolgersi al mondo della luce.
• In questo periodo la lettura dell’Ortensio ciceroniano suscita in lui la curiosità per la filosofia (quella greca sarà da Agostino sempre approcciata in traduzione)
• Dopo un breve periodo passato nuovamente a Tagaste, torna a Cartagine nel
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• Tra il 382 e il 383 si trasferisce a Roma alla ricerca di un luogo più adatto per insegnare – gli studenti cartaginesi erano particolarmente turbolenti – ma fallisce l’obiettivo, visto che alcuni studenti romani spariscono senza averlo pagato.
• Nel 384 è a Milano, allora capitale dell’impero, città nella quale ottiene una cattedra di retorica grazie ad alcuni amici manichei
• L’ascolto delle prediche di Ambrogio, vescovo di Milano, lo convince circa la profondità delle Scritture cristiane, comprese nel loro senso allegorico e morale, quindi alla ricerca dello spirito del testo oltre il puro significato letterale. Raggiunto dalla madre, matura una sincera adesione al cristianesimo. Ciò avviene anche per merito del prete
Simpliciano, che gli racconta della conversione di Mario Vittorino,
filosofo platonico grazie alla cui opera di traduzione egli aveva potuto avvicinarsi ai testi di Platone e dei neoplatonici, e dell’amico
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• Subito dopo la conversione si ritira con la madre a
Cassiciaco (Cassago Brianza), forse per un
problema di salute che lo costringe ad abbandonare l’insegnamento e qui compone i primi dialoghi – Contro gli accademici, La vita
felice, L’ordine e i Soliloqui – in cui emerge
accanto alla nuova prospettiva cristiana, la passione filosofica.
Nella Pasqua del 387 (25 aprile) riceve a Milano da Ambrogio il battesimo.
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• Tornato a Roma e poi a Cartagine, è ordinato sacerdote nel 391 a Ippona (Algeria nord orientale) e, per acclamazione popolare, vescovo della stessa città nel 395.
• Già nel 392 aveva affrontato una disputa contro il manicheo Fortunato, e nello stesso anno aveva cominciato a schierarsi contro i donatisti, cioè i seguaci di Donato di Case Nere, vescovo di Numidia, che anni prima si era opposto alle decisioni del concilio di Elvira del 305-306. In tale concilio si era deciso di riaccogliere nella Chiesa coloro (i cosiddetti lapsi = perduti, dal labor = scivolare) che durante le persecuzioni avevano tradito (da tradere = consegnare) cioè avevano consegnato le Scritture alle autorità romano-pagane per aver salva la vita. Secondo i donatisti tali persone non potevano essere riammesse (a meno che non fossero state nuovamente battezzate) e men che meno assumere cariche importanti come era accaduto al vescovo di Cartagine Ceciliano, ex traditore. A tale impostazione rigida e intransigente si era opposta la Chiesa di Roma e con lei Agostino, che affronta i donatisti con numerosi scritti e giunge ad ottenere un notevole successo contro di loro in una disputa pubblica nel 411. Come afferma l’Esposito, le opere contro i donatisti soggiaciono ad una singolare contraddizione: da
un lato Agostino sostiene che nessuno può decidere chi deve stare nella Chiesa e chi no,
perché lo stesso Gesù aveva detto che sarebbe stato suo compito separare il grano dalla zizzania; dall’altro il vescovo di Ippona invoca contro gli stessi donatisti un provvedimento di esclusione dalla Chiesa da attuare anche con la forza dell’esercito romano, da lui stesso chiamato ad intervenire.
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• L’ultima grande disputa fu contro i seguaci del monaco britannico
Pelagio (360 ca-427) secondo cui gli uomini non erano predestinati
(concetto di Sant'Agostino elaborato da una sua interpretazione del pensiero di San Paolo), ma potevano, invece, solamente con la propria volontà (liberum arbitrium) e per mezzo di preghiere ed opere buone, evitare il peccato e giungere alla salvezza eterna: non era necessario l'intervento della Grazia divina…Il pelagianismo inoltre negava la trasmissione del peccato originale, che aveva danneggiato solo Adamo e non tutto il genere umano (cfr. www.eresie.it, s.v. Pelagio). La disputa contro Pelagio e i semipelagiani – che ammettevano la necessità della grazia divina ma ritenevano che essa fosse concessa solo a coloro che con le proprie forze avessero già deciso di vivere in modo virtuoso - tenne impegnato Agostino fino alla morte,
sopravvenuta nel 430, mentre Ippona era sotto l’assedio dei Vandali.
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• La sua opera di polemista manifesta un indefettibile amore per la Chiesa e per il deposito della fede da essa custodito. Tale attaccamento, unito ad un’opera instancabile di annuncio e pratica del Vangelo, lo rese amatissimo dal suo popolo e da tutti i cristiani, che presto ne sancirono la santità. Dal punto di vista strettamente filosofico e teologico, il suo contributo non si limitò agli scritti polemici, ma indagò tutti i grandi temi relativi al senso della vita e del mondo e produsse la monumentale sintesi della Città di Dio (413-427), le Confessioni (397-401, primo scritto di genere autobiografico), numerosi testi di commento alle Scritture (per es. il De Genesi ad litteram, 401-414), di teologia (come il De
Trinitate, iniziato nel 399 e finito dopo il 420) e di morale (tra gli altri il De bono coniugali e De sancta virginitate – entrambi del 401 – e il De patientia del 417),
non mancando pure di intervenire su temi oggi diremmo pedagogici (De magistro del 388 e De catechizandis rudibus del 399-400). Insomma si tratta di un grande sforzo di intelligenza della fede e di costruzione di una visione complessiva della realtà, in un felice connubio di tradizione platonica e rivelazione cristiana, che rimane nella memoria d’Occidente come un pilastro di civiltà e di sapienza ancora capace di stimolare l’uomo a muoversi sulla via che conduce alla realizzazione più piena di sé in Dio.
Una filosofia “coinvolgente”
Per Agostino, che aveva conosciuto da vicino le scuole filosofiche neoplatoniche, e il concetto di filosofia come esercizio spirituale, la filosofia, in
strettissimo rapporto con la teologia, tratta della destinazione ultima dell’uomo, di un uomo che
vive fino in fondo il dramma della vita in questo mondo e che, facendo esperienza del mondo, anela ad una perfetta realizzazione e felicità. Ma questo uomo non è l’Uomo in generale, bensì è l’uomo-Agostino con le sue inquietudini, con la tendenza alla dispersione e con la sua voglia di redenzione.
Il soggetto
Non c’è dunque problema filosofico che non coinvolga direttamente il soggetto che parla, vive e fa filosofia. Da questa impostazione proviene anche, al di là del suo più noto scritto, Le confessioni, il tono appunto di confessione, di apertura della propria anima a Dio e al prossimo che possiede la gran parte dei suoi scritti, apportatori anche per questo di una significativa novità stilistica nel panorama della storia della filosofia.
Una filosofia polemica 1 (contro i
manichei)
Tre grandi polemiche hanno attraversato la vita di Agostino:
La prima è quella contro i manichei, a favore dell’unità e
spiritualità del principio divino e contro ogni idea di
malignità del mondo sensibile. In opposizione a quel gruppo di seguaci del saggio persiano Mani che lo aveva affascinato in gioventù, Agostino affronta anche il
problema della consistenza ontologica del male: il
male non ha un suo principio perché non ha essere, ma esiste solo in quanto privazione di essere. Laddove manca il bene, lì c’è male:
Il male
“Il male di cui cercavo l’origine non è una
sostanza, perché se fosse una sostanza,
sarebbe un bene. E invero o sarebbe una
sostanza incorruttibile e perciò senz’altro
un bene grande, o una sostanza corruttibile
e perciò un bene, perché altrimenti non
potrebbe andare soggetta a corruzione.
Perciò vidi chiaramente come Tu facesti
buone tutte le cose” (Confessioni, VII, 12).
Mali fisici e morali
In realtà i mali possono essere distinti in fisici e morali
1)I fisici o derivano dalla struttura gerarchica dell’universo, in cui v’è il superiore e l’inferiore (laddove quest’ultimo, lungi dal corrompere la creazione, la completa infatti “si possono giudicare migliori le cose superiori che non le inferiori, ma, con giudizio ben più sano, c’è da affermare migliore l’universo che non le cose superiori - Confessioni, VII, 13), oppure sono necessari all’armonia cosmica come le ombre lo sono per far risaltare la luce e dunque fanno parte di una totalità che è in sé bene.
2)I morali derivano dal peccato, che è un errore della volontà la
quale si volge a ciò che è inferiore (aversio a Deo, conversio ad
Una filosofia polemica 2 (contro i
donatisti)
La polemica contro i donatisti si mostra a favore di una Chiesa pellegrina e misericordiosa nei confronti di chi aveva sbagliato. Essa tuttavia determina, come sua conseguenza ulteriore, l’idea di una possibile collaborazione tra Chiesa e Stato per stroncare
l’eresia. Infatti, in alcune loro frange, i donatisti si facevano
portatori di un’escatologia intransigente che sosteneva l’assoluta purezza della città divina e la sua assoluta separazione, anche in questo mondo, dalla città umana con un conseguente atteggiamento ribellistico nei riguardi delle autorità costituite.
Agostino invece, facendo leva sulla commistione dei due ambiti nella concreta vita mondana, sosteneva la possibilità di una convergenza di fini nella realtà effettuale, pur rimanendo chiara la superiorità della comunità ecclesiale nei confronti di ogni altro consesso civile.
Una filosofia polemica 3 (contro i
pelagiani)
La polemica contro i pelagiani fu invece in
opposizione ad ogni presunzione di
autosufficienza dell’uomo e a favore del
riconoscimento della grazia divina quale
vero e indispensabile perno della
redenzione umana.
Contro Pelagio
La lotta antipelagiana caratterizza la
parte finale della vita di Agostino e
contribuisce ad una soluzione definitiva
del problema del rapporto tra libertà e
Una filosofia (neo) platonica
La lettura dei neoplatonici nella traduzione di Mario Vittorino darà una connotazione fondamentale alla riflessione Agostiniana. Avvenuta nello stesso periodo della conversione al cristianesimo, consoliderà nel vescovo di Ippona la convinzione nella distinzione tra due mondi – sovrasensibile e sensibile – e nella destinazione dell’anima umana al sovrasensibile, che nell’aderirvi avrebbe dovuto compiere un cammino di purificazione nel quale sarebbe venuta via via in primo piano l’iniziativa di Dio e avrebbero progressivamente perso di importanza la capacità e l’impegno umano.
Due fasi della riflessione agostiniana
• In particolare possiamo distinguere nella biografia filosofica del santo due periodi:
• 1) 386-397: il primo periodo, influenzato dalle letture neoplatoniche, e contraddistinto da un grande fiducia nella filosofia. La vera filosofia coincide con la vera religione.
• 2) 397-430 è il periodo della svolta che si gioca attorno al tema della grazia, in cui filosofia e religione tendono a prendere strade diverse e si accentua il ruolo della teologia nel cammino della salvezza umana.
Salvezza e felicità
• Il tema della felicità in Agostino viene sempre più a sovrapporsi a quello della salvezza, che non è altro che la felicità concepita sub
specie aeternitatis (dal punto di vista dell’eternità).
• Nella prima fase della sua riflessione – cfr. soprattutto il De vita beata del 386 - del tale questione viene affrontata nella tradizione delle filosofia stoica e neoplatonica, che affida propriamente alla filosofia il compito di
• A) emancipare l’uomo dai desideri e dai beni che non si possono conseguire e che si ha timore di perdere
• B) raggiungere l’ideale della vita filosofica ritirata dal mondo alla ricerca ell’unico bene che non può essere sottratto: la sapienza
• C) essa ci da la misura di noi stessi, di ciò che possiamo avere e deisiderare e di ciò che dobbiamo abbandonare, secondo l’ideale greco del “nulla di troppo.
L’unico difetto della filosofia
• E’ quello di essere eccessivamente elitaria e dunque di non raggiungere la gran massa delle persone che rimangono costrette nella prigione dell’infelicità.
• Qui entra in gioco il cristianesimo, il cui messaggio non differisce sostanzialmente da quello filosofico (“insegnare l’esistenza di un principio imprincipiato del mondo”, la vastità del suo intelletto e tutto ciò che da esso proviene per la nostra salvezza; insegnare la necessità di distaccarsi dal sensibile e di purificare l’anima con la virtù), ma che ha la capacità di essere appreso e accolto da interi popoli.
• Dunque se la filosofia salva qualcuno, la fede cristiana salva le moltitudini, cioè permette loro di raggiungere –
Dopo il 397
• La prospettiva muta radicalmente attorno al 397. alla radice vi è un mutamento della concezione della felicità, ora legata più intimamente alla visione biblica. Di fronte alla promessa del
Regno divino, la felicità filosofica, incentrata sull’autodominio in vista di un disciplina del desiderio (desiderare solo ciò che si può avere) appare estremamente riduttiva. Nel De Trinitate
(399) il “vivere come si vuole” della tradizione stoica e neoplatonica, appare un “sopportare volontariamente” ciò che non si può evitare.
La felicità vera
In questo periodo emerge una concezione molto più esigente della felicità. Il desiderio non deve essere disciplinato, se non
si vuole cadere in una mistificazione. Non il desiderio deve
essere misurato sulla felicità possibile, ma la felicità si misura sulla soddisfazione del desiderio, per quanto impossibile possa essere. E tale desiderio non può fermarsi alla soglia della morte, dell’errore e della sofferenza, ma vuole vincerle e superarle. Per tale motivo la vita terrena non basta più, così come la filosofia e il suo orgoglio di fornire una via di salvezza centrata sull’uomo diventano inservibili. Solo Dio può realizzare a fondo tutti i desideri umani, e solo la vita promessa può raggiungere le mete che ora ci sono precluse. In conclusione nessuno è felice se non è salvo e nessuno è salvo se Dio non lo ha salvato.
Felicità e corpo
Che la felicità alberghi nell’animo del sapiente è una pia illusione della filosofia pagana, che non tiene conto dell’ostacolo rappresentato dalla corruttibilità del corpo, dalla sua ribellione ai giusti insegnamenti dell’anima. Ma da dove viene tale corruttibilità e intrattabilità? Dal peccato che ha degradato la natura umana. Il peccato è innanzitutto quello dei protoparenti (peccato
originale) che si è trasmesso attraverso la
generazione biologica a tutta l’umanità. Con il peccato l’uomo ha perso l’immortalità.
Peccato e libertà
Con il peccato l’uomo ha perso anche la sua
libertà. Prima del peccato egli disponeva della
libertà di poter non peccare; dopo il peccato
egli si trova nella condizione di non poter
non peccare; nella redenzione finale egli
acquisirà la libertà di non poter peccare. Tale
libertà è acquisibile solo per grazia.
Libertà e grazia
Resi schiavi dal peccato, abbiamo perso la nostra libertà. Tuttavia «laddove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia» (Rm 5,20). Gesù è proprio venuto per
ricostituire l’integrità dell’uomo rovinata dal peccato.
Ma ciò è possibile solo mediante un suo dono gratuito (grazia) contro le opinioni di Pelagio che invece esaltava l’autonomia della libertà umana. Infatti con il peccato non abbiamo perso la nostra libertà in modo così radicale da non poter essere considerati responsabili, ma in modo sufficiente a non poterla riottenere pienamente con le nostre forze.
Come ci salviamo?
La conclusione di Agostino è che ci salviamo
se abbiamo fede nel Dio di Gesù Cristo
perché in tal modo ci apriamo alla sua grazia.
Tuttavia anche la stessa fede non è un merito
nostro: la grazia di Dio inizia dandoci la fede
stessa e aprendoci agli ulteriori suoi doni (tutti
riassumibili nella carità che ci salva).
Dunque qual è il ruolo della
grazia?
È un ruolo preponderante. Non possiamo fare
niente senza di essa. Tanto che la decisione
sulla nostra salvezza compete in ultimo a Dio.
Allora l’uomo è solo un burattino nelle mani di
Dio?
Dio ti ha fatto senza la tua partecipazione ma
non ti salva senza la tua partecipazione
Dio decide, ma «se Dio ha fatto te quale uomo e tu fai di te un giusto, fai qualcosa di meglio di quello che ha fatto Dio. Ma Dio ti ha fatto senza di te. In realtà non sei intervenuto con un qualche assenso perché Dio ti facesse. Come consentivi tu che non esistevi? Perciò chi ti ha formato senza di te, non ti renderà giusto senza di te. Perciò ha creato chi non c'era a saperlo, fa giusto chi c'è a volerlo. Nondimeno da lui è la giustizia perché non sia la tua, perché tu non ti riduca a ciò che è danno, perdita, spazzatura. Non dovendo trovare in lui una tua giustizia, derivante dalla
legge, ma la giustizia che deriva dalla fede in Cristo, che deriva da Dio; basata sulla fede, perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione e la partecipazione alle sue sofferenze 62. E questa sarà la tua
potenza; la partecipazione alle sofferenze di Cristo sarà la tua potenza. (Sermo CLXIX, 13)
La mente di Dio
Non possiamo sapere perché alcuni si salvano e altri no (è un dato delle scritture). Sappiamo solo che la decisione di Dio è sempre ottima e giusta.
Chi non si salva rimane condannato in virtù del peccato originale e dei suoi peccati attuali dei quali non si è pentito (decisione giusta)
Chi si salva è oggetto del perdono di Dio (decisione
misericordiosa).
Noi non possiamo sapere con quale criterio si applichi la giustizia piuttosto che la misericordia, ma Dio sì.
Nonostante la preponderanza
divina…
Nonostante il ruolo preponderante di Dio nella nostra salvezza, un ruolo che non si deve sottovalutare perché altrimenti si sottovaluterebbe il supremo sacrificio di Cristo, ad Agostino preme sottolineare che l’uomo
rimane sempre in certa misura libero.
Infatti anche la libertà è un dato affermato in modo inequivocabile dalla Bibbia.
Come conciliare
1) il ruolo di Dio che, dando la grazia, decide la destinazione degli uomini sin dall’inizio dei tempi (li pre-destina, predestinazione alla salvezza o alla dannazione),
con
L’uomo rimane libero e
responsabile
Dio attiva la libertà umana come se fosse un enzima che attiva una reazione chimica senza entrare nella reazione stessa.
Ottenere la grazia significa che Dio rende capaci di fare liberamente il bene.
E ciò non può avvenire a seguito di un’azione compiuta dall’uomo perché altrimenti la grazia non sarebbe «gratuita». Quindi gratuitamente Dio sceglie di liberare l’uomo affinché l’uomo possa liberamente aderire a Dio e liberamente, sebbene con il suo aiuto, operare il bene.
La salvezza
La salvezza è effetto di una grazia che Dio ha concesso sin dall’inizio dei tempi e di cui conosce gli effetti sin dall’inizio dei tempi.
L’uomo, ricostituito dalla grazia nella sua libertà, vi collabora fattivamente partecipando docilmente all’azione della divinità.
Questo mantiene
1)Il ruolo di Dio e il suo primato 2)La dignità umana e la sua libertà.
Filosofia e teologia; ragione e fede
Il disincanto sulle possibilità della filosofia in ordine al raggiungimento della felicità, non fa tuttavia cadere Agostino nell’irrazionalismo. Anzi, malgrado venga rifiutata ogni erudizione fine a se stessa, il sapere viene ritenuto necessarioper comprendere meglio la Rivelazione, le Scritture e il
messaggio di Dio, oltre che per confutare le eresie e le dottrine dei pagani. Dunque bisogna comprendere perché la ragione come facoltà distintiva dell’uomo, ci pone delle domande e vuol spiegazioni. Ma il fondamento in base al quale chiedere e
comprendere rimane la fede, l’adesione profonda al messaggio
di Cristo, diremmo, la passione per il Vangelo senza la quale non vi può nemmeno essere cultura: “Se non avrete creduto non comprenderete” (Isaia 7,9 nella versione dei Settanta in Agostino, De libero arbitrio, 4).
La scienza umana e la sapienza
divina
Il valore del sapere umano è quello di essere
strumento da mettere al servizio della fede e
della caritas che hanno come oggetto
privilegiato Dio. Quindi la scienza non è da
rifiutarsi, salvo che nelle situazioni in cui
pretende di essere autosufficiente, genera
De doctrina christiana: il linguaggio
e la realtà
Il De doctrina christiana (iniziato nel 397 e
concluso nel 427) approfondisce il tema
della conoscenza e di ciò che noi possiamo
sapere.
Ogni conoscenza ha per oggetto o COSE o
SEGNI.
Le COSE e i SEGNI
Le cose sono conosciute tramite i segni. Posso cioè conoscere un albero solo se dispongo della parola albero o di un qualsiasi altro segno per indicarlo.
I segni però sono a loro volta delle cose.
Ma sono delle cose speciali, poiché hanno la facoltà di RIMANDARE a qualcos’altro, cioè alla cosa che essi significano. Il segno “albero” rimanda all’albero che ho vedo qui in giardino.
Segni e segni
Vi sono segni che rimandano ad altro in modo naturale e non intenzionale: per esempio il fumo rimanda al fuoco, senza che qualcuno abbia avuto bisogno di dirmi che dove c’è fumo c’è qualcosa che brucia.
Altri segni invece sono intenzionali, cioè vi è una volontà precisa che ha stabilito che la parola albero rimandi all’albero concreto che vedo. Con questi segni gli uomini elaborano e si scambiano conoscenze, emozioni e pensieri.
Studiare i segni
Lo studio dei segni è importante, perché
Dio si è rivelato per mezzo di questi segni
intenzionali nelle Scritture. Conoscere
dunque i linguaggi e le loro sfumature è
indispensabile
per
comprendere
correttamente un messaggio vitale per noi e
la nostra salvezza.
Le nostre conoscenze
Pertanto le nostre conoscenze vanno ricondotte a Dio e tutti i nostri studi hanno come fine il supremo dei beni: la comprensione del messaggio divino della salvezza.
Se nel primo Agostino cultura e filosofia erano finalizzate al raggiungimento della sapienza, che di per sé garantiva realizzazione e felicità,
successivamente cultura e filosofia perdono la loro
autonomia diventando esclusivamente strumenti indiretti per rispondere alla chiamata divina della salvezza.
L’anima
Il fine della conoscenza è Dio, ma a Dio si giunge attraverso la possibilità di rientrare in se stessi e di valorizzare le facoltà della nostra anima.
Dio è l’oggetto privilegiato della conoscenza, è il fine ultimo del processo conoscitivo perché è la realtà somma, il bene assoluto. Tuttavia è vero che il processo della conoscenza inizia con il rapporto che noi abbiamo con le cose sensibili.
La conoscenza sensibile
La conoscenza sensibile, cioè quegli atti
conoscitivi che colgono attraverso i nostri cinque sensi le cose esterne, non garantisce mai la sua
verità. Infatti nulla che è in continuo movimento è
percepibile nella sua verità. Ciò che muta non è mai qualcosa ma è sempre qualcos’altro da ciò che uno ha conosciuto in un dato momento: da quel momento è sempre già cambiata.
La ragione
Se la conoscenza fosse fatta di organi corporei
che conoscono oggetti corporei nulla sarebbe
conosciuto. Platonicamente la conoscenza
deve giungere all’essenza non corporea
delle cose, al loro essere stabile, tramite la
ragione, che è organo non sensibile. E la
L’anima vigila
L’anima, attraversando il corpo, vigila sui
quanto accade nei sensi, vigila sulle
modificazioni dei sensi date dagli oggetti
esterni, ed elabora da sé le immagini degli
oggetti sensibili. L’anima, cioè, trova in sé
immagini corrispondenti alle modificazioni
sensibili, che corrispondono alla verità
Criteri
Le verità razionali corrispondono alle idee platoniche e rappresentano i criteri con cui l’anima
valuta e giudica la realtà. Ma da dove provengono tali verità stabili ed eterne (come per esempio quelle matematiche) con cui giudicare la realtà?
Non dall’anima stessa perché essa non è completamente immutabile (è immutabile nello spazio ma muta nel tempo).
Illuminazione (De magistro, 388-90)
I criteri ultimi della conoscenza provengono da Dio,
che è sede delle idee (le idee di Platone sono per
Agostino i pensieri di Dio). È quindi Dio che
illumina la nostra anima fornendole i parametri per conoscere la realtà al di là della sua continua incessante mutevolezza. Dio è luce per l’intelletto
umano che permette di illuminare razionalmente i dati della sensibilità che, dal canto suo, non è altro che uno stimolo per la ragione a ritrovare in sé la verità delle cose.
Conoscono solo i credenti?
Dio illumina costitutivamente l’anima umana,
anche quella degli atei o dei fedeli di culti
non cristiani, che ben possono giungere a
verità matematiche e anche oltre, come fece
Platone. I credenti fanno però un passo in più,
non solo passano dalla sensibilità alle idee
razionali, ma da queste giungono alla loro
fonte, cioè a Dio.
Perché dall’anima si può passare a
Dio?
Noli foras ire, in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas. Et si tuam naturam mutabilem inveneris, trascende et teipsum. Illuc ergo tende,
unde ipsum lumen rationis accenditur.
Non uscire fuori, rientra in te stesso: nell'uomo interiore abita la verità. E se scoprirai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso. Tendi là dove si accende la stessa luce della ragione. (De vera
religione 39, 72)
L’anima può trascendere se stessa fino a Dio perché è a immagine di Dio.
Anima e Trinità
L’anima è immagine della Trinità divina (De
Trinitate), infatti essa è unica ma si articola in tre
funzioni:
La memoria – luogo dove si trova la verità – come il Padre che ne è l’origine assoluta;
L’intelletto – che esprime la verità e la conosce – come il Figlio, Verbo che, generato dal Padre, è l’espressione del Padre;
La volontà – che vuole/ama la verità che è nella memoria e che è espressa dall’intelletto.
De Trinitate X, 11,18
La «memoria, intelligenza, volontà, non sono tre vite, ma una vita sola; né tre spiriti, ma un solo spirito; di conseguenza esse non sono tre sostanze, ma una sostanza sola […] Infatti non soltanto ciascuna è contenuta in ciascuna, ma anche tutte sono contenute in ciascuna». E ciò perché ogni uomo nella sua anima 1) ricorda di pensare e volere;
2) pensa di ricordare e volere; 3) vuole ricordare e pensare.
Così che le diverse facoltà si intrecciano e si armonizzano nell’unica sostanza dell’anima come le diverse Persone si relazionano nell’unica sostanza divina: il Padre genera il Figlio, il Figlio è generato dal Padre, lo Spirito Santo è amore che procede dal Padre e dal Figlio.
L’unica rilevante differenza è che l’anima è mutevole e quindi imperfetta, mentre Dio è immutabile e perfetto.
Dio in noi
Da queste ed altre analogie, Agostino deduce che Dio è in noi stessi, cioè ha lasciato in noi tracce indelebili di sé che noi possiamo rinvenire. Questo ritrovare Dio in noi, ci riconduce da noi a Dio.
Tu autem eras interior intimo meo et superior summo meo. «Tu eri più dentro in me della mia parte più interna e più alto della mia parte più alta». (Confessioni 3, 6, 11).
Dio creatore
Ricondurre tutto a Dio è un’operazione
che non si limita a trovare la causa e il
fine ultimo della nostra esistenza, ma di
tutto l’universo.
Dio è creatore di tutte le cose, questa è la
conclusione di Agostino in linea con il
dettato della Genesi.
Obiezione scettica
Se la creazione è connotata dal divenire, lo
può essere anche il Creatore? No di certo,
risponde Agostino. Ma lo scettico potrebbe
obiettare che almeno un mutamento in Dio vi
è stato, poiché Dio ha deciso di creare
l’universo che PRIMA non c’era. Di qui la
domanda ironica: “Che cosa faceva Dio prima
della creazione?”.
La risposta ironica e quella seria
Agostino potrebbe altrettanto ironicamente
rispondere: “Preparava la geenna per chi
scruta i misteri profondi”, ma preferisce
prendere seriamente la questione.
In realtà, dice Agostino, la domanda è mal
posta, perché il tempo è un modo di essere
delle creature, dunque è creatura esso
stesso.
Il tempo creato
Pertanto il tempo inizia ad esistere con la
creazione e insieme alla creatura, e nulla ha a
che fare con l’essenza di Dio che è fuori dal
tempo, immutabile ed eterna (essendo
l’eternità diversa da un tempo infinito, e
coincidendo piuttosto con la totale assenza di
tempo).
Che cosa è il tempo?
Ma allora che cos’è il tempo? È un
problema assai difficile per Agostino:
“Se nessuno mi interroga lo so; se
volessi spiegarlo a chi mi interroga, non
lo so…” (Confessioni, XI,14,17).
Qual è il problema “tempo”?
Il problema è che non ci sarebbe tempo senza un mutamento delle cose, ma le categorie con cui lo misuriamo implicano sempre la loro (delle cose) inesistenza.
- Infatti il passato non è più - Il futuro non è ancora
- Il presente è l’impalpabile istante in cui il futuro si trasforma in passato.
Come facciamo a misurare allora qualcosa di così sfuggente e che mai è presente, ha consistenza davanti a noi?
La misura interiore del tempo
Se noi lo misuriamo, esso deve essere a noi
presente, deve avere una sua consistenza.
Ebbene, tale consistenza esso la trova nella
nostra anima.
È la nostra anima che trattiene il passato
attraverso la memoria, attende il futuro
attraverso l’attesa e vede il presente
nell’attenzione o visione.
Una distensione dell’anima
Dunque il tempo è misurato nella anima che ha la capacità di “distendersi” nel passato e nel futuro, mantenendo la sua consapevolezza presente. È l’anima che raccoglie i dati del passato impedendo loro di disperdersi nel non-essere; si pensa nel futuro facendo a sé presenti le cose che ancora non sono, e infine pone attenzione alle cose del presente fissandole di fronte a sé. Quindi il tempo è propriamente una distensio animi. Di qui la possibilità che abbiamo di misurarlo negli oggetti esterni che mutano incessantemente.
Creazione e mutamento
Come si rapporta l’atto della creazione con lo sviluppo successivo del creato? Agostino è ben lontano dal pensare ad un’evoluzione della natura e delle cose in senso moderno, tuttavia egli intende da un lato giustificare la linea razionale del mutamento delle cose, che pur essendo indice di una mancanza di essere, non può essere fuori dal piano voluto da Dio, dall’ altro giustificare le novità che intervengono nel creato dopo la creazione e in particolare quelle, di notevole rilevanza religiosa, relative ai miracoli.
Rationes seminales
Ebbene, Dio nell’atto della creazione, ha inserito nel mondo della “ragioni seminali”, dei semi, o modelli embrionali di tutte le cose che compariranno successivamente, garantendone così un’ordinata successione. In tal modo Dio non solo è creatore, ma governa e amministra il mondo che da lui ha preso ad essere. Tali semi hanno appunto il carattere di modello, cioè discendono direttamente dai pensieri di Dio (le idee platoniche), sono i pensieri di Dio nel creato.
I miracoli
I miracoli non mutano nulla nella volontà di
Dio, e non sono contro la natura e le sue
leggi volute da Dio, sono semplicemente delle
ragioni
seminali
che
si
attivano
successivamente alle altre che hanno dato vita
al mondo, ma pur sempre in modo
preordinato dall’universale prescienza divina.
Tempo e storia: la città di Dio
Accanto ad una riflessione sul tempo, Agostino dà vita ad una monumentale opera sulla storia, stimolata dagli eventi epocali che egli si trova a vivere (il sacco di Roma del 410 ad opera di Alarico, episodio che fece grandissima impressione sui contemporanei e che li indusse a percepire con preoccupazione l’imminenza della fine di una civiltà). Tale opera è intitolata La città di Dio.