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Il ruolo dell'eme ossigenasi-1 nella riduzione del danno cardiaco a lungo termine in un modello di infarto cronico nel ratto.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Corso di Laurea Magistrale in Biologia Molecolare e

Cellulare

IL RUOLO DELL’EME OSSIGENASI-1 NELLA RIDUZIONE

DEL DANNO CARDIACO A LUNGO TERMINE IN UN

MODELLO DI INFARTO CRONICO NEL RATTO

Relatore Secondo relatore

Dott.ssa Claudia Kusmic Dott.ssa Cristina Barsanti

Candidato

Domenico Montalbano

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INDICE

RIASSUNTO...1

SUMMARY ...4

1.INTRODUZIONE...7

1.1 L’infarto del miocardio...7

1.1.1 Dati epidemiologici...7

1.1.2 Basi eziologiche e meccanismi fisiopatologici...8

1.1.2.1. Alterazioni del processo bioenergetico cellulare...9

1.1.2.2. Apoptosi nel cuore...12

1.1.2.3. Timing dei processi cellulari nell'infarto del miocardio...15

1.1.2.4. Complicanze tardive dell’infarto...20

1.2 L’eme-ossigenasi...23

1.2.1. Regolazione genica dell’espressione di HO-1...28

1.3. Modelli sperimentali di infarto...31

1.3.1. Diverse strategie per lo studio della stimolazione del sistema dell’eme-ossigenasi nel danno ischemico del miocardio...32

1.3.2. Esperienza precedente del laboratorio...36

2 SCOPO DELLA TESI...39

3 MATERIALI E METODI...41

3.1 Animali...41

3.2 Procedura chirurgica di induzione di infarto del miocardio e trattamenti farmacologici...42

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3.4 Studio ecocardiografico...46

3.5 Raccolta dei campioni tessutali per le analisi biochimiche...47

3.6 Preparazione degli omogenati cardiaci...49

3.7 Quantificazione proteica tramite BCA...50

3.8 Analisi dell’espressione proteica di HO-1 mediante Western Blot...51

3.9 Preparazione delle frazioni microsomiali per la determinazione dell’attività enzimatica di HO...56

3.10 Dosaggio dell’attività enzimatica di HO...58

3.11 Saggio di attività della caspasi-3...61

3.12 Saggio ELISA per la quantificazione di Bcl-W...62

3.13 Analisi statistica...64

4 RISULTATI...65

4.1 Studio del time-course di attivazione di HO-1 in seguito alla somministrazione di CoPP...65

4.2 Studio della specificità di azione dell’enzima HO-1 nella modulazione del danno cardiaco a lungo termine nell’infarto...70

4.2.1 Analisi della mortalità post-infarto nei vari gruppi di trattamento...70

4.2.2 Analisi dei parametri ecocardiografici a 4 settimane dall’infarto...71

4.2.3 Analisi morfometrica macroscopica...74

4.2.4 Analisi dell'espressione proteica di HO-1 nelle diverse regioni del cuore a 4 settimane dall’infarto...77

4.2.5 Analisi dell'attività enzimatica di HO nel fegato nei diversi gruppi sperimentali a 4 settimane dall’infarto...79

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4.3 Studio del possibile ruolo della stimolazione di HO-1 nella modulazione di fenomeni apoptotici nelle fasi precoci

post-ischemia...81

4.3.1 Analisi dell'espressione proteica di HO-1 nelle diverse regioni del cuore...81

4.3.2 Analisi dell'attività enzimatica di HO...83

4.3.3 Saggio dell’attività di caspasi-3 nelle fasi precoci post-ischemia...84

4.3.4 Quantificazione di Bcl-W...85

5 DISCUSSIONE...88

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1

RIASSUNTO

L'eme ossigenasi (HO) è un enzima antiossidante e citoprotettivo coinvolto nella conversione dell'eme in biliverdina (poi trasformata in bilirubina) con il contemporaneo rilascio di FeII e CO. L'attività e l'espressione dell'isoforma inducibile HO-1 possono essere modulate da diversi fattori come metalli pesanti, metalloporfirine, ossido nitrico, ipossia, radiazioni UV e calore.

In modelli sperimentali di infarto del miocardio (MI) è stato dimostrato che la sovraespressione di HO-1 prima dell’evento ischemico riduce notevolmente il danno funzionale e tessutale del cuore. Questi dati, sebbene molto promettenti, hanno però il limite di non riprodurre la reale situazione clinica in cui la modulazione dell’espressione di HO-1 può solo seguire l’evento ischemico.

Il laboratorio presso il quale ho svolto il tirocinio di tesi ha già precedentemente dimostrato che anche l’induzione farmacologica di HO-1 post-infartuale è efficace nel ridurre l’area dell’infarto e il rimodellamento ventricolare in un modello di infarto cronico nel ratto. Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di approfondire alcuni aspetti dello studio in questione per la comprensione di come, nonostante il tessuto miocardico direttamente colpito dall’ischemia venga danneggiato in modo irreversibile, l’induzione di HO-1 dopo l’evento ischemico possa comunque limitare il danno associato ai processi che si innescano nelle fasi successive all’ischemia, e ridurre le

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modificazioni a carico del miocardio vitale responsabili della progressione verso lo scompenso.

A questo scopo, è stato effettuato uno studio per la determinazione del time-course di aumento dell’espressione e dell’attività enzimatica di HO-1 a seguito della somministrazione di cobalto protoporfirina IX (CoPP), un forte induttore trascrizionale.

La specificità dell’azione di HO-1 nel determinare gli effetti benefici osservati è stata inoltre studiata in un gruppo di ratti infartuati e sottoposti a trattamento con CoPP combinato con la stagno mesoporfirina (SnMP), un potente inibitore dell’attività di HO.

Gli esperimenti sono stati condotti su ratti Wistar maschi di 10-12 settimane, a cui l’infarto cronico del miocardio è stato indotto mediante legatura permanente dell'arteria coronarica discendente sinistra (LAD). Gli animali sono stati suddivisi in 3 gruppi di trattamento: soluzione salina (MI-controllo), CoPP (MI-CoPP) e CoPP+SnMP (MI-CoPP+SnMP). I trattamenti venivano somministrati per via intraperitoneale 10 minuti dopo la legatura dell’arteria e, successivamente, una volta alla settimana per un periodo di 4 settimane di studio per valutare gli effetti a lungo termine. Come controllo dello stress da intervento chirurgico, un gruppo di ratti è stato sottoposto alle stesse procedure chirurgiche ad eccezione della legatura finale dell’arteria (gruppo “sham”).

Alcuni animali sono stati inoltre studiati a tempi brevi (8-48 ore dalla somministrazione di CoPP) per un monitoraggio temporale dell’attivazione di HO mediante analisi dell'espressione proteica, con

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Western Blot, e dei livelli di attività enzimatica in frazioni microsomiali isolate da tessuto epatico e cardiaco.

I risultati ottenuti dimostrano che il trattamento con CoPP induce un evidente aumento dell’espressione della proteina e dell’attività enzimatica a partire dalle 16 ore. Il ruolo specifico dell’induzione di HO-1 nella riduzione del danno tessutale e funzionale a lungo termine è confermato dall’abolizione degli effetti benefici dopo somministrazione di SnMP.

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SUMMARY

Heme oxygenase (HO) is a cytoprotective and antioxidant enzyme involved in the conversion of heme into biliverdin (subsequently converted to bilirubin) with the simultaneous release of CO and FeII. The activity and the expression of the inducible isoform HO-1 can be modulated by several factors such as heavy metals, metalloporphyrins, nitric oxide, hypoxia, UV radiation and heat.

In experimental models of myocardial infarction (MI), overexpression of HO-1 before the ischemic event has been shown to greatly reduce the functional and structural damage in the myocardial tissue. However, although very promising, these data are not able to reproduce the actual clinical situation in which a pharmacological intervention to modulate the expression of HO-1 can only follow the ischemic event. Previous studies, performed in the laboratory in which I attended my internship thesis, have shown that even a post-infarctual pharmacological induction of HO-1 could be effective in reducing infarct size and ventricular remodeling in a rat model of permanent ligation of the left descendant anterior coronary artery (LAD).

Aim of this thesis was to investigate some aspects of this study for understanding how, in spite of an irreversible loss of the myocardial tissue that is directly triggered by ischemia, the induction of HO-1 following MI initiation may reduce tissue damage associated with the processes occurring in the later stages of ischemia, and so attenuate

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the long-term ventricular modifications determining the progression towards heart failure.

To this purpose, a study was carried out to analyze the time-course of the increase in the expression level and enzymatic activity of HO-1 following administration of its strong transcriptional inducer cobalt protoporphyrin IX (COPP).

Moreover, the specificity of HO-1 induction in determining the beneficial effects observed was studied in a group of infarcted rats undergoing treatment with CoPP in combination with tin mesoporphyrin (SnMP), a potent inhibitor of HO activity.

The experiments were performed in male Wistar rats, 10-12 weeks old, in which the chronic myocardial infarction was induced by permanent LAD ligation. Animals were divided into 3 treatment groups: saline (control-MI), CoPP (MI-CoPP) and CoPP + SnMP (MI-CoPP + SnMP). The treatments were administered intraperitoneally 10 minutes after the artery ligation, and thereafter once a week for an overall study period of 4 weeks to assess long-term effects. A group of rats subjected to the same surgical procedures except for the final ligation of the artery was used as control group for surgical stress (“sham” group).

In addition, temporal activation of HO-1 was monitored in a group of animals at 8-48 hours following CoPP treatment, by Western blot analysis of cardiac protein expression, and quantification of HO enzymatic activity in microsomal fractions isolated from heart and liver tissue.

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The results demonstrated that CoPP induced a clear increase in HO-1 protein expression and HO enzymatic activity starting up from 16 hours after treatment. Moreover, the specific role of HO-1 induction in reducing long-term heart remodeling and functional alterations was confirmed by the abolition of the beneficial effects after administration of the inhibitor SnMP.

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1 INTRODUZIONE

1.1 L’infarto del miocardio

1.1.1 Dati epidemiologici

Le malattie cardiovascolari rappresentano la principale causa di mortalità nei paesi occidentali. Malgrado nell'ultimo decennio si sia osservata una riduzione dei decessi legata a trattamenti medici e chirurgici più efficaci, la mortalità e la morbidità associate alle cardiopatie di tipo ischemico sono in aumento, soprattutto nei paesi dell'Est Europa e dell'Africa, per le scelte di stili di vita simili a quelle dei paesi industrializzati (Schinella et al, 2001). In Italia, oggi, la mortalità causata da infarto del miocardio è dell'8% nella popolazione di età 35-74 anni ed è maggiore negli uomini rispetto alle donne, anche se il tasso di mortalità è comunque diminuito in maniera lenta e graduale a partire dagli anni '80 per entrambi i sessi (Perugini et al, 2010). L'ISTAT nel 1994 ha effettuato una indagine accurata sulle condizioni di salute della popolazione, valutando anche la diffusione delle malattie cardiovascolari (ipertensione arteriosa, infarto del miocardio, ecc.). Ne è emerso che in Italia le percentuali più elevate di persone con infarto del miocardio sono state rilevate in Friuli-Venezia Giulia, Liguria e Umbria. Inoltre, l’incidenza di infarto miocardico nella fascia di età al di sotto dei 60 anni è da 2 a 4 volte più elevata negli uomini rispetto alle donne, mentre dai settanta anni in poi, la mortalità e la morbidità per malattie cardiovascolari tendono ad eguagliarsi nei due sessi (http://www.cuorevivo.it).

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1.1.2 Basi eziologiche e meccanismi fisiopatologici

L’infarto del miocardio è un evento fisiopatologico che si instaura a seguito dell’occlusione di un’arteria coronarica, con conseguente riduzione o cessazione dell’apporto di sangue e ossigeno alla regione del tessuto miocardico che si trova a valle dell’occlusione (Fig. 1). Si tratta di un processo dinamico, in cui l’evento ischemico iniziale, se non risolto in breve tempo, innesca una serie di fenomeni sia apoptotici che necrotici che determinano la morte dei cardiomiociti nell’area colpita e la loro successiva sostituzione con tessuto cicatriziale, risultando quindi in un danno tessutale irreversibile.

Figura 1. Infarto del miocardio in seguito ad ostruzione dell'arteria coronaria sinistra, in un cuore umano.

(tratta da: http://www.chirurgiatoracica.org/per_pazienti/malattie_ comuni/infarto.htm)

Il danno conseguente all’evento infartuale non si limita però alla fase acuta che interessa la regione miocardica direttamente colpita dall’ischemia, ma comporta, nel tempo, una serie di modificazioni

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anche nel restante miocardio vitale nella regione non colpita da ischemia (“zona remota”). Queste serie di modificazioni, che va sotto il nome di “rimodellamento ventricolare”, può determinare, a lungo termine, disfunzioni morfo-funzionali, disturbi della frequenza cardiaca, del ritmo e della conduzione elettrica nel tessuto miocardico, e spesso progredire verso l'insufficienza cardiaca cronica nei pazienti sopravvissuti all’infarto.

1.1.2.1. Alterazioni del processo bioenergetico cellulare A seguito dell'occlusione di un vaso, il flusso sanguigno nei tessuti a valle dell'occlusione si arresta con l'eccezione, in alcuni casi, di un modesto flusso collaterale proveniente dai vasi circostanti. Ogni minuto il ventricolo sinistro, in condizioni di riposo, richiede circa 9 ml di

sangue ossigenato per 100 grammi di tessuto

(http://cvphysiology.com). Si comprende quindi come le fibre muscolari cardiache colpite dall’ischemia possano consumare rapidamente l’ossigeno presente nel sangue ristagnante a valle dell’occlusione, provocando la completa deossigenazione dell'emoglobina. L'area infartuata acquisisce così un colore marrone, tendente al viola, e i vasi sanguigni dell'area infartuata appaiono congestionati. Nelle fasi successive le pareti dei vasi diventano molto permeabili ed il tessuto miocardico circostante diventa edematoso. Entro poche ore dalla cessazione, o anche dalla riduzione, della perfusione il cardiomiocita

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inizia processi cellulari irreversibili che conducono alla morte. La riduzione a livello cellulare della tensione di ossigeno, che si verifica durante l'ischemia, provoca infatti la perdita della funzione della fosforilazione ossidativa mitocondriale e determina quindi la diminuzione della sintesi di Adenosina Trifosfato (ATP). La riduzione dell'ATP innesca a sua volta una cascata di effetti che alterano profondamente il metabolismo cellulare. In primo luogo, si riduce la funzionalità della pompa ATPasica Na+/K+, con accumulo di Na+

intracellulare e fuoriuscita di K+, aumento della pressione osmotica

cellulare e conseguente rigonfiamento dei cardiomiociti. Inoltre, la cellula miocardica risponde alla carenza energetica utilizzando fino all’esaurimento i depositi di glicogeno mediante la glicolisi anaerobica, il che determina la riduzione del pH intracellulare (Kumar et al, 2013). Questi fenomeni sono molto precoci e si verificano a partire dai primi secondi successivi all'ischemia. Contemporaneamente a queste alterazioni metaboliche e cellulari, si verifica la riduzione e la perdita della contrattilità. Il danno morfo-strutturale dei cardiomiociti si evidenzia con la distruzione del sarcolemma e con la presenza di piccole strutture ultra-condensate del mitocondrio, riscontrabili già dopo 2-4 minuti dall’inizio del processo ischemico (Kumar et al, 2013) (Fig. 2).

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11 Figura 2. Progressione del danno morfo-strutturale del cardiomiocita fino alla morte cellulare. Il miocardio con danni reversibili presenta alterazioni funzionali e rigonfiamento cellulare e mitocondriale.

(tratta e modificata da Kumar et al, 2013)

I processi post-ischemici predominanti di perdita di cardiomiociti avvengono a partire dai 20-40 minuti successivi all'evento, tramite necrosi coagulativa e apoptosi. Nel primo caso la fuoriuscita nell'ambiente esterno del contenuto intracellulare porta all'attivazione del processo infiammatorio con infiltrazione del tessuto da parte di leucociti e macrofagi e rappresenta un evento molto importante per la fase riparativa della regione del miocardio infartuato che ha luogo nei giorni successivi all’evento ischemico (Kumar et al, 2013).

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1.1.2.2. Apoptosi nel cuore

Numerosi studi sull'apoptosi nel cuore hanno dimostrato che questo processo contribuisce alla perdita di cardiomiociti in presenza di infarto del miocardio (Itoh et al, 1995; Kajstura et al, 1996). In un modello di infarto nel topo, l'apoptosi è stata evidenziata nel miocardio colpito da ischemia e in prossimità della zona infartuata (“border zone”) (Bialik et al, 1997). Tuttavia, in altri studi in vitro sia nell'uomo che nel ratto, sono stati osservati cardiomiociti in apoptosi anche nella regione remota oltre che nella zona di confine del territorio infartuato (Olivetti et al, 1994; Cheng et al, 1996). Il cuore infartuato presenta, infatti, un profilo contenente tutta una serie di stati di stress caratterizzati dalla riduzione dell'apporto di ossigeno, seguita dall’attivazione di risposte infiammatorie e stimoli di natura meccanica nel miocardio in rimodellamento, che possono tutti indurre l’apoptosi.

Nelle fasi precoci post-ischemiche (4-12 h) l’apoptosi rappresenta la forma di morte prevalente per i cardiomiociti, rispetto alla necrosi che invece raggiunge il picco alle 24 h. L’apoptosi potrebbe inoltre contribuire alla progressiva perdita di cardiomiociti anche nelle fasi più tardive del rimodellamento post-infarto (Abbate et al, 2002).

Una delle vie principali per l’innesco dell’apoptosi nelle cellule di mammifero è l’attivazione di recettori di membrana appartenenti alla famiglia del recettore del tumor necrosis factor (TNF), come Fas o TNF-R1, che sono stimolati da mediatori infiammatori (Fig. 3). Il legame del loro ligando determina la trimerizzazione del recettore con successivo

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reclutamento di proteine apoptotiche a livello del dominio intracellulare. L’accumulo di tali proteine consente l’attivazione delle caspasi apoptotiche a monte della via di signaling che, a loro volta, determinano l’attivazione a cascata delle caspasi effettrici a valle. Le caspasi, enzimi appartenenti alla famiglia delle proteasi a cisteina ed acido aspartico, sono le principali responsabili della demolizione delle varie componenti cellulari nel corso del processo apoptotico (Bennett, 2002).

Figura 3. Via di attivazione del segnale apoptotico mediante recettori di membrana. L'interazione ligando-recettore causa il legame del trimero con proteine adattatrici come FADD (FAS Associated protein with Death Domain), che trasducono il segnale a livello intracellulare e attivano la cascata delle caspasi. (tratta e modificata da Bennett, 2002)

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Una proteina pro-apoptotica che svolge invece un ruolo essenziale nell’apoptosi mitocondriale, è Bax-2. Una volta attivata essa è in grado, insieme ad altre proteine mitocondriali, di aprire un poro nella membrana mitocondriale che permette il rilascio del citocromo c nel citoplasma ed il successivo legame di quest’ultimo al complesso multiproteico dell’apoptosoma, costituito da Apaf1, ATP e pro-caspasi 9. In tal modo si consente la dimerizzazione di Apaf1 in seguito ad idrolisi di ATP e l’attivazione della pro-caspasi 9 che, una volta rilasciata dal complesso, può innescare la cascata delle caspasi (Bennett, 2002; Whelan et al, 2010) (Fig. 4).

In aggiunta al complesso di proteine pro-apoptotiche, esistono anche proteine anti-apoptotiche, come Bcl-2 e Bcl-xL: queste si trovano sulla membrana mitocondriale esterna, sito in cui si producono i radicali dell’ossigeno, e rappresentano quindi un sistema cellulare di protezione intrinseca. Molti dati sperimentali indicano, infatti, che le specie reattive dell’ossigeno (ROS) possono indurre l’attivazione del processo apoptotico (Simon et al, 2000); ciò ha portato ad ipotizzare che Bcl-2 svolga un’attività antiossidante. La suscettibilità di una cellula all’apoptosi può essere considerata proporzionale al rapporto Bax/Bcl-2 (Chao & Korsmeyer, 1998).

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15 Figura 4. Modulazione della via apoptotica mitocondriale. (tratta e

modificata da Placzek et al, 2010)

1.1.2.3. Timing dei processi cellulari nell'infarto del miocardio La morte dei cardiomiociti in seguito a necrosi interessa in genere un arco temporale che si estende fino a 48 h dall’evento ischemico (Abbate et al, 2002). Il danno miocardico irreversibile inizia nella regione subendocardica e, se l'ischemia è estesa, la necrosi cellulare avanza fino ad interessare l’intero spessore della parete (infarto transmurale). La sede e l'estensione dell'infarto dipendono dalla localizzazione del distretto miocardico irrorato dal vaso compromesso, dalla presenza ed

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estensione del circolo collaterale e dal grado di richiesta di ossigeno del miocardio ischemico. Il danno ischemico cronico si traduce in danno morfo-funzionale, le cui conseguenze immediate e tardive dipendono da numerosi fattori che interferiscono tra loro, talora in modo complesso. Le prime alterazioni osservate sono disturbi della conduzione o della eccitabilità cardiaca e si manifestano sotto forma di aritmie (James, 1997); queste rappresentano una delle principali complicazioni post-infartuali e causa di mortalità nei pazienti affetti da cardiomiopatia ischemica.

Tra i fattori biologici che intervengono nelle modificazioni strutturali e funzionali che caratterizzano il cuore infartuato, l'infiammazione e lo stress ossidativo giocano un ruolo fondamentale durante l'intero decorso della patologia stessa. Evidenze suggeriscono come la via mediata dai recettori di morte cellulare (TLR), la cascata del complemento e le specie reattive dell'ossigeno (ROS) giochino un ruolo significativo nei processi infiammatori post-ischemici (Frangogiannis, 2008).

La porzione del tessuto cardiaco andata incontro a necrosi stimola una reazione infiammatoria acuta, evidente soprattutto nella seconda e terza giornata dall'ischemia in modelli sperimentali (Abbate et al, 2002). A questa segue una serie di eventi biochimici e cellulari che portano alla sostituzione della regione danneggiata con tessuto di granulazione altamente vascolarizzato che progressivamente diviene fibroso ed evolve in tessuto cicatriziale (Kumar et al, 2013).

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In breve, il fenomeno attraverso il quale il tessuto infartuato va incontro ai processi riparativi può essere suddiviso in tre fasi: la fase infiammatoria, la fase proliferativa e la fase di maturazione (Frangogiannis, 2006; Dobaczewski et al, 2010) (Fig. 5).

Figura 5. Fasi del processo riparativo post-infarto. (tratta e modificato

da Dobaczewski et al, 2010)

La necrosi coagulativa dei cardiomiociti provoca la rapida attivazione di una risposta infiammatoria. Le piastrine sono le prime cellule reclutate nel sito di danno e giocano un ruolo importante nel rilascio di chemochine, citochine, fattori di crescita e nell'attivazione della cascata del complemento. Su azione di specifiche citochine e chemochine si ha poi l'attivazione delle metallo-proteasi della matrice (MMP) che degradano la maggior parte dei componenti della matrice extracellulare, terminando la loro attività proteolitica in concomitanza con l'aumentata espressione degli inibitori tissutali delle metallo-proteasi (TIMP) (Dobacewski et al, 2010). Questi eventi favoriscono la migrazione dei leucociti nella zona infartuata. L'accumulo dei leucociti facilita a sua

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volta l'infiltrazione nel miocardio infartuato delle cellule mononucleate circolanti, seguito dalla maturazione e dal differenziamento di questi in macrofagi maturi, i quali giocano un ruolo importante nella fagocitosi dei detriti delle cellule morte. I macrofagi inoltre sono importanti per la secrezione di citochine e fattori di crescita che regolano l'angiogenesi e la proliferazione dei fibroblasti, inducendo la formazione di un tessuto di granulazione altamente vascolarizzato.

In seguito ad infarto del miocardio i fibroblasti sono indotti a differenziarsi in miofibroblasti. Questi ultimi durante la fase di proliferazione aumentano la sintesi di proteine della matrice extracellulare, come il collagene di tipo I e di tipo III che andranno a sostituire il tessuto danneggiato. Questo processo è morfologicamente evidente nell'uomo circa una settimana dopo l'infarto miocardico.

Dopo 2-3 settimane, il tessuto di granulazione formatosi è caratterizzato da un tessuto ricco di cellule, contenente collagene interstiziale, macrofagi, vasi sanguigni di nuova generazione e miofibroblasti. A mano a mano che il processo riparativo procede, il numero di cellule endoteliali proliferanti e di fibroblasti diminuisce. I fibroblasti depositano progressivamente quantità maggiori di collagene fibrillare nella matrice extracellulare, il quale andrà a costituire la gran parte del tessuto connettivo nella sede della cicatrice. La sintesi del collagene ha inizio dopo 3 - 5 giorni dal momento in cui è avvenuto il danno e continua per varie settimane, in base alle dimensioni della zona danneggiata. Molti degli stessi fattori di crescita che regolano la

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proliferazione dei fibroblasti stimolano anche la sintesi di matrice extracellulare (ECM). Entro un paio di settimane, il tessuto di granulazione viene infine sostituito da una regione cicatriziale scarsamente vascolarizzata, costituita da fibroblasti di forma affusolata, collagene denso, frammenti di tessuto elastico e altre componenti della ECM (Fig. 6).

Figura 6. Fasi della riparazione tessutale per cicatrizzazione. Il danno in un tessuto che ha capacità rigenerative limitate dapprima induce infiammazione che elimina, se presenti, le cellule morte. Questo processo è seguito dalla formazione di tessuto di granulazione vascolarizzato e quindi dalla deposizione di ECM per formare la cicatrice.

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1.1.2.4. Complicanze tardive dell’infarto

Il processo di rimodellamento che fa seguito ad un evento di infarto del miocardio non si conclude però con la formazione di una cicatrice matura nell'area di danno. Inizia infatti una sequenza dinamica di eventi che alterano in modo permanente la geometria e la funzione del ventricolo e che può progredire sino all'insufficienza o scompenso cardiaco (Kusmic et al, 2014). Nel considerare questo fenomeno è necessario separare gli eventi che riguardano la regione cardiaca interessata dal danno ischemico (area di miocardio infartuato) e quelli che coinvolgono le regioni non interessate dall'evento ischemico (zona remota). La presenza di una cicatrice matura è una sorta di impronta morfologica del sito dove è avvenuta precedentemente necrosi dei cardiomiociti. Non essendo quello miocardico un tessuto rigenerante, la formazione di una cicatrice fibrosa al posto del miocardio ischemico svolge un ruolo indispensabile nel processo riparativo che permette di preservare la struttura del cuore. La progressiva perdita di fibre muscolari contrattili, insieme con l'avanzamento del tessuto fibroso, porta però ad una rigidità in corrispondenza di questa regione, che altera la funzione cardiaca, contribuendo alla progressiva insufficienza funzionale della pompa sia durante la fase sistolica che nella fase diastolica del ciclo cardiaco (Desmoulière & Gabbiani, 1996). Nel processo di rimodellamento anche le regioni del miocardio non

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direttamente coinvolte dall'evento sono interessate da fenomeni di fibrosi interstiziale (Cleutjens et al, 1995). Questa si manifesta inizialmente come fibrosi perivascolare per estendersi successivamente al parenchima miocardico.

La compromissione della funzione ventricolare può essere aggravata dal rimodellamento strutturale del ventricolo, che si sviluppa e progredisce nelle settimane e nei mesi successivi all’evento infartuale e si manifesta con un assottigliamento della parete nella zona colpita dall’evento e con la dilatazione della camera ventricolare. La forma più estrema di rimodellamento è la formazione di un aneurisma ventricolare, ossia una dilatazione della parete nella regione infartuata con perdita completa di funzione contrattile (Grieve & Shah, 2003). La parte di miocardio non contrattile porta ad un sovraccarico di lavoro per il muscolo restante, il che può contribuire ad una generale insufficienza ventricolare, con ipertrofia del miocardio vitale. Ulteriori rischi derivanti dalla presenza di aneurismi ventricolari sono la possibilità di gravi aritmie e la formazione di trombi sulla parete della cavità ventricolare con conseguente embolizzazione sistemica.

I pazienti colpiti da infarto del miocardio sono inoltre vulnerabili sia ad un'estensione dell'infarto originario, sia ad un nuovo infarto, per cui si parla di “infarto ricorrente”. In questi pazienti è anche maggiore il rischio di re-occlusione di un vaso coronarico in precedenza ricanalizzato.

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Negli ultimi anni la ricerca si è dedicata a risolvere il problema della rivascolarizzazione del territorio colpito da ischemia, sia con interventi farmacologici (trombolisi mediante sostanze fibrinolitiche) che meccanici (interventi di dis-ostruzione coronarica mediante angioplastica), al fine di minimizzare la necrosi ischemica e le dimensioni dell'area dell’infarto, riducendo la mortalità precoce.

Tuttavia, come visto, oltre agli eventi iniziali, l’infarto del miocardio è caratterizzato da una lunga serie di processi biologici anche a lungo termine, che da un lato modulano la perdita e la riparazione del tessuto miocardico nel territorio infartuato, e dall'altro coinvolgono il rimodellamento della zona remota con una progressiva perdita di funzione.

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1.2. L’eme-ossigenasi

Negli ultimi anni, è stato riservato particolare interesse allo studio del sistema dell’eme-ossigenasi (HO), ed in particolare alla sua forma inducibile HO-1, in virtù della sua funzione anti-ossidante e citoprotettiva.

L’eme-ossigenasi, enzima appartenente alla classe delle ossido-reduttasi, catalizza la degradazione della molecola dell’eme con formazione di biliverdina, monossido di carbonio (CO) e FeII (cofattore essenziale di molti enzimi cellulari e proteine riducenti) (Fig. 7).

Figura 7. Reazione di degradazione dell’eme con produzione di biliverdina, CO e Fe, catalizzata dalle diverse isoforme di eme-ossigenasi. La biliverdina prodotta è poi convertita in bilirubina ad opera della biliverdina reduttasi, mentre il ferro libero è legato dalla ferritina.

Il sistema dell’eme-ossigenasi consiste di tre isoforme: HO-1, HO-2 e HO-3. Di queste soltanto HO-1 e HO-2 manifestano attività catalitica,

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mentre la forma HO-3, finora isolata solamente nel cervello di ratto, pur contenendo la tipica sequenza di legame per l’eme (“heme-binding pocket”) non mostra attività catalitica ed è perciò di scarso interesse biochimico (Maines & Gibbs, 2005).

Le proteine HO-1 e HO-2, prodotte da due geni differenti, hanno poco in comune se si considera la struttura primaria, la regolazione e la distribuzione tessutale (Maines, 1997). Sia la forma HO-1 che la HO-2 risultano espresse in un’ampia varietà di tessuti, ma mentre la forma HO-2 è prevalentemente espressa in maniera costitutiva o al più stimolata dai corticosteroidi, l’espressione della proteina HO-1 può essere invece regolata in modo inducibile da vari stimoli (Choi & Alam, 1996).

Da qui risulta il maggiore interesse della ricerca per le sue potenziali proprietà antiossidanti e citoprotettive. L'attività e l'espressione di HO-1 possono infatti essere modulate da diversi fattori come metalli pesanti, metalloporfirine, ossido nitrico, ipossia, radiazioni UV e calore (Choi & Alam, 1996).

Circa i prodotti della reazione catalizzata da HO-1, è ormai accertato che la bilirubina ha proprietà antiossidanti e citoprotettive. Al CO proveniente dalla degradazione dell’eme sono state invece riconosciute varie funzioni fisiologiche, che sembrano avere marcata somiglianza con quelle dell’ossido nitrico (NO). E’ stato osservato un suo ruolo regolatorio sul tono cardiovascolare promuovendo la vasodilatazione, inoltre sembra possedere anche spiccate proprietà anti-infiammatorie,

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antiapoptotiche ed antiproliferative (Kaczorowski & Zuckerbraun, 2007).

Il significato funzionale dell’induzione di HO-1 a seguito dello stress acquista, quindi, importanza nella protezione da danni ossidativi sia mediati dall’eme che da altri fattori (Choi & Alam, 1996). La possibilità che l’induzione di HO-1 possa rappresentare una risposta citoprotettiva è stata ipotizzata fin dal 1989, quando l’enzima è stato identificato come una proteina di 32 kDa, indotta comunemente nelle cellule danneggiate (Keyse & Tyrrell, 1989). Per spiegare il meccanismo di azione, si è ipotizzato che esso attivi una risposta antiossidante protettiva che rende capaci le cellule non solo di rimuovere l’eme pro-ossidante, ma anche di rimpiazzarlo con la bilirubina, potente antiossidante (Nath, 2006). Il preciso meccanismo con il quale HO-1 conferisce protezione contro lo stress cellulare non è comunque ancora del tutto chiarito.

Tra i vari meccanismi, potrebbe essere coinvolta l’induzione della sintesi di ferritina che va a legare immediatamente il ferro liberato in seguito alla degradazione dell’eme. Ci sono infatti ampie prove che la presenza di ferro possa stimolare la formazione di radicali liberi, come l’anione superossido e l’H2O2 (Nath, 2006). Il pool intracellulare di ferro libero

può reagire sia con l’H2O2 che con il superossido, dando origine al

radicale idrossilico tossico. Poiché la catalisi dell’eme da parte dell’HO rilascia ferro libero, la ferritina potrebbe essere indotta dal rilascio di questo ferro e servire come una riserva per impedire al metallo di

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partecipare alla reazione di formazione dei radicali tossici. L’accumulo di ferritina, indotta in queste condizioni, si associa al sequestro di ferro e alla conseguente protezione da danni ossidativi (Nath, 2006).

La bilirubina, un altro metabolita della degradazione dell’eme, è esso stesso un potente antiossidante. Già nel 1987 Stocker e colleghi avevano osservato che in vitro la bilirubina intrappola i radicali perossilici tanto efficacemente quanto il tocoferolo che è considerato il più potente antiossidante della perossidazione lipidica (Stocker et al, 1987). Inoltre, l’aggiunta diretta di bilirubina al terreno di coltura è in grado di proteggere le cellule endoteliali e altri tipi di cellule da fattori ossidanti e dalla citotossicità indotta in vitro (Clark et al, 2000; Baranano et al, 2002). In molti studi in vivo, i livelli aumentati di bilirubina sierica sono stati correlati con la protezione vascolare e la resistenza allo stress ossidativo (Ryter et al, 2007).

Un altro prodotto proveniente dal catabolismo dell’eme è il monossido di carbonio (CO). Sebbene l’ossidazione delle molecole organiche contribuisca alla produzione endogena di CO, la principale fonte di CO nell’organismo è la degradazione dell’eme mediante HO. Il monossido di carbonio, in passato classificato solamente come gas tossico e scarto biologico, è attualmente considerato come membro di una nuova classe di messaggeri cellulari gassosi che includono anche l’ossido nitrico (NO) (Maines, 1997; Durante, 2002). In maniera analoga a NO, il CO è in grado di incrementare i livelli intracellulari di cGMP mediante l’attivazione della guanilato ciclasi. Tra le altre risposte fisiologiche,

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l’aumento di cGMP causa rilasciamento della muscolatura liscia, provocando così vasodilatazione (Morita et al, 1995). Questo effetto vasodilatatore del CO potrebbe essere critico nel mantenimento di un’adeguata ossigenazione e perfusione tessutale durante il danno acuto generato dagli stimoli dello stress ossidativo. Alcuni studi suggeriscono che il CO endogeno, prodotto via HO-1, possa regolare il tono vascolare in condizioni fisiopatologiche, quali quelle derivanti da stress ossidativo. Ulteriori studi, utilizzando sistemi in co-cultura, hanno dimostrato che il CO prodotto via HO-1 dalle cellule muscolari lisce esercita effetti paracrini sulle cellule endoteliali, promuovendo l’aumento del cGMP endoteliale e la diminuzione di espressione di endotelina-1 e PDGF (Ryter et al, 2007). Inoltre, il CO può anche contribuire al mantenimento dell’integrità delle pareti vascolari, bloccando direttamente l’apoptosi cellulare attraverso l’inibizione del rilascio delle citochine infiammatorie pro-apoptotiche dalla parete dei vasi, agendo sui canali del potassio e/o inibendo l’aggregazione piastrinica (Durante, 2002; Ryter et al, 2007). Perciò, il CO prodotto dalla reazione catalizzata da HO-1 potrebbe anche modulare le interazioni intercellulari e la proliferazione cellulare nelle pareti vasali dopo stress di varia natura, contribuendo a mantenere l’omeostasi cardiovascolare (Ohta & Yachie, 2004; Ryter et al, 2007).

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1.2.1. Regolazione genica dell’espressione di HO-1

Il fattore NF-E2 related factor-2 (Nrf-2) svolge un ruolo critico nella regolazione della trascrizione positiva di HO-1 e di altri geni antiossidanti, attraverso il legame a specifici domini di attivazione della trascrizione detti “antioxidant response element” (ARE) nella regione del promotore di questi geni (Alam & Cook, 2003; Jaiswal, 2004). Nrf2 forma eterodimeri stabili con i cofattori MafK, MafF e MafG e la formazione di questi complessi è stata associata all'attivazione trascrizionale di HO-1.

Nella cellula, in condizioni normali, Nrf2 ha una emivita breve (10-30 min) ed è continuamente soggetto ad un rapido ciclo di sintesi e degradazione. Infatti, in assenza di stress cellulare, Nrf2 è sequestrato nel citosol dal legame con la proteina repressore Keap1, che lo indirizza verso l’ubiquitinazione e la degradazione da parte del complesso del proteasoma. In presenza di vari segnali di stress, tra cui condizioni di stress ossidativo, la conformazione del complesso Nrf2-Keap1 si modifica attraverso meccanismi che possono coinvolgere sia l’ossidazione di residui di cisteina su Keap1 che la fosforilazione di Nrf2 da parte di proteine chinasi. La modificazione conformazionale del complesso inibisce l’ubiquitinazione di Nrf2, il quale rimane legato a Keap1 senza essere più diretto verso la degradazione proteasomale. A questo punto Keap1 diventa saturato, e il fattore Nrf2 di nuova sintesi può così traslocare nel nucleo per promuovere la trascrizione genica (Copple et al, 2008) (Fig. 8).

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29 Figura 8. Nrf-2 legato a Keap-1 viene ubiquitinato e quindi degradato. In presenza di stress, si ha un parziale rilascio di Nrf2 che entra nel nucleo, formando eterodimeri stabili con le proteine MaF. Il legame del complesso alle sequenze ARE attiva la trascrizione di geni antiossidanti e detossificanti richiesti per la protezione cellulare, tra i quali HO-1.

(tratta da Kobayashi et al, 2013)

Nella regolazione della trascrizione di HO-1 interviene poi anche un altro fattore, Bach-1, che agisce invece da repressore trascrizionale, sempre attraverso il legame con gli elementi ARE presenti sul promotore e l’interazione con le proteine Maf (Oyake et al, 1996; Ogawa et al, 2001). L’attivazione della trascrizione di HO-1 richiede quindi sia la traslocazione di Nrf2 nel nucleo che il rilascio di Bach-1 dal promotore del gene (Reichard et al, 2007). Anche il rilascio di Bach-1 può essere stimolato dall’azione di ossidanti a livello di residui di

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cisteina. É interessante inoltre notare che Bach-1 possiede siti di legame per l’eme (Ogawa et al, 2001).

Tra i principali induttori della sintesi di HO-1 ci sono il suo stesso substrato, cioè l’eme, ed altre metalloporfirine, originate dalla complessazione di metalli come Sn, Zn e Co con la protoporfirina IX, precursore naturale dell'eme (Ryter et al, 2006).

Sia l’eme che altri attivatori di HO-1, come la cobalto protoporfirina IX (CoPP), sembrano agire da un lato mediante la stabilizzazione di Nrf2, inibendo la sua degradazione da parte del proteasoma, e dall’altro favorendo il rilascio di Bach-1 dal promotore, la sua esportazione dal nucleo e aumentando la sua degradazione (Ogawa et al, 2001; Shan et al, 2006; Zenke-Kawasaki et al, 2007).

La CoPP (IX) è un potente induttore della trascrizione e dell'attivazione di HO-1, ed è perciò stata utilizzata frequentemente in modelli sperimentali per la sovra-espressione farmacologica di questo enzima. Viceversa, le metalloporfirine SnMP (IX), SnPP (IX) e ZnPP (IX) possono indurre la trascrizione genica di HO-1, ma allo stesso tempo agiscono da inibitori competitivi dell’attività dell’enzima sia in vitro che in vivo (Sardana & Kappas, 1987; Ryter et al, 2006).

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1.3. Modelli sperimentali di infarto

Per comprendere meglio l'evoluzione di fenomeni ischemici, sperimentare nuovi composti e mettere a punto nuove strategie terapeutiche, nasce l'esigenza di realizzare modelli sperimentali adeguati a riprodurre tali fenomeni e su cui indagare approfonditamente per ampliare le attuali conoscenze. I modelli animali impiegati nello studio delle patologie umane possono essere suddivisi essenzialmente in due categorie: modelli indotti, nel quale il processo patologico è indotto sperimentalmente, e modelli spontanei, nei quali il processo patologico è sviluppato spontaneamente, spesso perché codificato geneticamente nell'animale (Van Zupthen et al, 1996). Limitando il nostro interesse ai modelli indotti, la scelta della specie animale viene fatta valutando molteplici aspetti: compatibilità dei processi biologici, analogie e/o omologie anatomiche, facilità di reperimento e di manipolazione del modello e, non ultimo, l’impatto economico. Negli ultimi decenni si è sempre maggiormente affermato l'impiego sperimentale di animali di piccola taglia, per lo più roditori, quali modelli per lo studio dell'ischemia e, in particolare dell'infarto del miocardio. L’impiego di topi o ratti presenta il vantaggio di lavorare con popolazioni molto omogenee, se non addirittura colonie o famiglie di animali. In parte anche in virtù di questo motivo, è possibile raggiungere una discreta riproducibilità chirurgica, ed i costi di gestione dell'esperimento sono senza dubbio più contenuti. La tecnica più impiegata, soprattutto negli animali di piccola taglia, per realizzare

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l'ischemia è l'occlusione di un'arteria coronaria mediante legatura (Pfeffer et al, 1979; Hodsman et al, 1988; Tarnavski et al, 2004). Questa tecnica permette di ottenere un infarto cronico, dove l'area ischemica è identificabile con quella a valle della legatura.

1.3.1. Diverse strategie per lo studio della stimolazione del sistema dell’eme-ossigenasi nel danno ischemico del miocardio

Uno degli aspetti più indagati in questi ultimi anni è stato il ruolo del sistema dell'eme ossigenasi nella modulazione del danno tessutale miocardico, ovvero come un’aumentata stimolazione dell'espressione e dell'attività dell'enzima (in particolare della sua forma inducibile HO-1) possa svolgere importanti azioni regolatorie, sotto diversi profili, nel contesto della cardiomiopatia ischemica.

Nei vari studi descritti in letteratura sono state utilizzate diverse strategie per indurre l’espressione dell’enzima HO-1 su modelli sperimentali di infarto cronico del miocardio o di ischemia/riperfusione, sia in vivo che su cuore isolato. Per verificare l'azione di protezione da parte dell' HO-1 nei confronti del danno ischemico nel cuore, in alcuni studi la sovra-espressione della proteina è stata stimolata mediante pre-trattamento farmacologico con CoPP (Lakkisto et al, 2010), mentre altri ricercatori hanno utilizzato topi transgenici che sovraesprimessero in maniera costitutiva la proteina HO-1 in tutti i tessuti (Juhasz et al, 2011) o specificamente nella linea cellulare cardiaca (Yet et al, 2001;

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Wang et al, 2010). In altri studi, sono stati infine usati approcci di terapia genica mediante l'impiego di vettori adenovirali per la trasfezione del gene HO-1 a livello del miocardio (Melo et al, 2002; Liu et al, 2006; Liu et al, 2007; Lin et al, 2008).

Gli studi sulle linee di topi transgenici che sovraesprimono stabilmente il gene HO-1 hanno mostrato un significativo recupero della funzione contrattile post-ischemica, legato in maniera dose-dipendente ai livelli di HO-1. In questo caso il modello era l'ischemia/riperfusione su cuore isolato (Yet et al, 2001; Chen et al, 2003; Juhasz et al, 2011). Inoltre, in studi in vivo su animali sottoposti a legatura della LAD per 1 h, seguita da 24 h di riperfusione, le dimensioni dell’area dell'infarto rispetto all’area ischemica totale risultavano considerevolmente ridotte al 14,7% nei topi transgenici per HO-1, rispetto al 56,5% nei topi wild-type (Yet et al, 2001). Il tessuto cardiaco degli animali transgenici mostrava inoltre un livello ridotto di infiltrazione di cellule infiammatorie e di danno ossidativo (Yet et al, 2001).

In un altro studio, topi transgenici sovraesprimenti HO-1 sono stati sottoposti a legatura permanente della coronaria e seguiti per 4 settimane dall’intervento per valutare gli effetti a lungo termine sul rimodellamento cardiaco post-infarto (Wang et al, 2010). Questo studio ha evidenziato un miglioramento significativo nella sopravvivenza post-infartuale degli animali transgenici (94% vs. 57%), insieme ad una riduzione della dilatazione ventricolare, della disfunzione meccanica,

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dell’ipertrofia, della fibrosi interstiziale e del danno ossidativo (Wang et al, 2010).

Tuttavia, mentre i modelli transgenici di sovraespressione o delezione genica (ceppi nulli) hanno utilità soprattutto in campo sperimentale per evidenziare gli effetti della stimolazione di particolari vie molecolari in un contesto patologico, maggiore interesse clinico hanno però quei modelli in cui la modulazione di una particolare via può essere ottenuta mediante un intervento esterno, di tipo farmacologico o con tecniche di “gene delivery”.

Anche in questo ambito in letteratura sono presenti vari studi che hanno indagato gli effetti della stimolazione del sistema dell’eme-ossigenasi come possibile terapia preventiva per la protezione del miocardio dal danno conseguente ad un evento ischemico.

In uno dei primi studi di questo tipo, è stato utilizzato un virus adeno-associato ricombinante (rAAV) come vettore per la trasfezione del gene umano dell'HO-1 nel miocardio di ratto, mediante una singola iniezione intramiocardica (Melo et al, 2002). Questa trasfezione AAV-mediata del gene HO-1, effettuata 8 settimane prima di un evento di ischemia/riperfusione in vivo, ha portato ad una notevole riduzione della zona infartuata a 24 h, accompagnata da una diminuzione della perossidazione lipidica, dei livelli di interleuchina-1β e del pro-apoptotico Bax e ad un concomitante aumento della proteina anti-apoptotica Bcl-2. Questo suggerisce che la transgenia possa esercitare la sua attività cardioprotettiva, riducendo lo stress ossidativo,

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l'infiammazione e la morte cellulare per apoptosi nelle fasi precoci post-ischemiche (Melo et al, 2002). In studi successivi, è stato poi valutato l'effetto della trasfezione del gene HO-1 sul rimodellamento e sulla funzione cardiaca a lungo termine dopo ischemia/riperfusione (Liu et al, 2006; Liu et al, 2007). I dati hanno indicato che la trasfezione a livello cardiaco di HO-1 riduce marcatamente la fibrosi, il rimodellamento ventricolare e ripristina la funzione ventricolare sinistra a 3 mesi dall’ischemia (Liu et al, 2006). I benefici permangono anche ad un anno dall’evento ischemico, in termini di maggiore sopravvivenza e migliore funzionalità cardiaca negli animali transfettati con HO-1 (Liu et al, 2007).

Ancora, in un altro studio, l’induzione di HO-1 era ottenuta mediante somministrazione di CoPP 24 ore prima della legatura permanente della LAD nel ratto. L’aumento di espressione di HO-1 era in grado di determinare un aumento della densità capillare e vascolare nell’area infartuale a 4 settimane (Lakkisto et al, 2010).

Finora, comunque, soltanto un lavoro ha documentato gli effetti benefici dell’induzione di HO-1 dopo un evento di infarto del miocardio, mostrando che la trasfezione di un vettore ricombinante AAV-HO-1 nella regione ischemica del cuore di topo successivamente alla legatura della coronaria attenuava la disfunzione ventricolare e la fibrosi e promuoveva la neovascolarizzazione a 4 settimane dall’infarto (Lin et al, 2008).

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1.3.2. Esperienza precedente del laboratorio

Già da tempo nel nostro laboratorio era in uso un modello di infarto cronico di ratto ottenuto mediante l'occlusione permanente della coronaria discendente anteriore sinistra (LAD) (Vesentini et al, 2012; Menichetti et al, 2013; Forini et al, 2014). Inoltre, la stimolazione dell'espressione di HO-1 era stata utilizzata in uno studio sulla regolazione del microcircolo coronarico in cuori isolati in un modello di topi diabetici (Kusmic et al, 2010). In analogia con quanto presente in letteratura, abbiamo quindi ritenuto interessante testare l'effetto della sovra-espressione di HO-1 in un modello di infarto cercando però di riprodurre una reale situazione clinica. Infatti, sebbene sia oramai chiaro l'effetto benefico esercitato dalla sovra-espressione di HO-1 al momento dell'evento ischemico, questa condizione sperimentale è lontana dalla realtà clinica in cui il paziente è ovviamente trattato solo dopo l'insorgenza dell'infarto.

La nostra ipotesi di lavoro era che in questa condizione, nonostante il tessuto miocardico direttamente colpito dall’ischemia venga danneggiato in modo irreversibile, l’induzione di HO-1 (mediante somministrazione dell’induttore CoPP) possa comunque limitare il danno tessutale associato ai processi ossidativi, infiammatori e apoptotici che si innescano nelle fasi successive all’ischemia, e ridurre le modificazioni strutturali e funzionali a carico del miocardio vitale che determinano la progressione verso lo scompenso.

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I risultati ottenuti sono a sostegno di un ruolo benefico della sovra-espressione farmacologica di HO-1, non solo in funzione preventiva ma anche nelle fasi che seguono la comparsa dell’infarto, e promuovono un interesse clinico verso la ricerca di possibili nuovi induttori di HO-1, utilizzabili anche in campo umano (Kusmic et al, 2014). In particolare, i principali dati ottenuti possono essere così riassunti:

1) negli animali infartuati il trattamento con CoPP si associava ad una riduzione significativa della mortalità a 4 settimane;

2) a 4 settimane, gli animali trattati con CoPP presentavano un tracciato ECG più simile a quello dei controlli “sham”, compatibile con una minore estensione dell’area infartuata, mentre l’esame ecocardiografico rivelava una minore dilatazione della cavità del ventricolo sinistro ed un ridotto assottigliamento della parete anteriore, indicando un’attenuazione dei processi di rimodellamento ventricolare; 3) i livelli di BNP circolante degli animali infartuati (indice di disfunzione ventricolare) si riducevano significativamente in presenza del trattamento con CoPP;

4) studi sulla reattività microvascolare condotti su cuore isolato in configurazione Langendorff mostravano che il trattamento con CoPP determinava un minore incremento delle resistenze microvascolari coronariche rispetto agli animali infartuati non trattati;

5) le analisi istologiche rivelavano una riduzione della dimensione dell’area infartuata in associazione con l’induzione di HO-1 a 4 settimane dall’infarto. Inoltre, il trattamento con CoPP riduceva

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l’assottigliamento della parete ventricolare nella regione dell’infarto ed impediva l’aumento di spessore nella parete opposta;

6) il trattamento con CoPP preservava l’espressione e l’organizzazione della connessina 43 nelle gap-junctions che, invece, risultava significativamente ridotta a seguito di infarto sia nella zona remota che nella zona più vicina all’infarto;

7) il trattamento con CoPP induceva un aumento significativo nella densità capillare e arteriolare, in particolare nella zona border.

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2 SCOPO DELLA TESI

Lo studio appena descritto, sebbene abbia fornito evidenze sperimentali che la sovra-espressione di HO-1, iniziata dopo l’induzione dell’infarto e protratta anche nelle fasi riparativa e cronica, sia efficace nel ridurre la mortalità, l’area infartuale, la disfunzione ventricolare e il rimodellamento geometrico del ventricolo sinistro, ha lasciato aperti alcuni importanti punti che richiedono un approfondimento proprio nell’ottica di una possibile traslazione in ambito clinico e che rappresentano lo scopo di questo lavoro di tesi.

Nell’ottica di una migliore comprensione di come l’induzione di HO-1 dopo l’evento ischemico possa comunque limitare il danno associato ai processi irreversibili che si innescano nelle fasi successive all’ischemia, gli obiettivi del progetto sono stati:

1) determinare il time-course di aumento dell’espressione e dell’attività enzimatica di HO-1 a seguito della somministrazione di cobalto protoporfirina IX (CoPP). A questo scopo è stato dedicato un gruppo sperimentale di ratti di controllo nei quali è stata valutata l’espressione di HO-1 cardiaca a diversi tempi successivi ad una singola somministrazione di CoPP;

2) saggiare la specificità dell’azione di HO-1 nel determinare gli effetti benefici osservati a lungo termine (4 settimane dopo l’infarto). A questo scopo è stato previsto un esperimento con gli stessi gruppi sperimentali dello studio precedente (sham, infarto, infarto+CoPP) e con l’aggiunta di un gruppo trattato con CoPP in combinazione con la stagno

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mesoporfirina (SnMP), un potente inibitore dell’attività di HO (esperimento di “perdita di funzione”);

3) valutare l’effetto della sovra-espressione di HO-1 sull’apoptosi nelle fasi precoci post-infarto. A questo obiettivo è stato dedicato un gruppo sperimentale di ratti infartuati con e senza trattamento con CoPP, i cui cuori sono stati fermati ed analizzati a 16 e 24 ore dopo l’infarto.

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3 MATERIALI E METODI

Le procedure e i protocolli sperimentali descritti ed utilizzati nel presente studio sono stati eseguiti seguendo le linee guida D.L.gs 116 (1992) e in modo conforme ai “Guiding Principles for Research Involving Animals and Human Beings”, documento approvato dal Consiglio della Società Fisiologica Americana (The American Physiological Society, 2002). Il presente studio è stato autorizzato dal Ministero della Salute con decreto n.135/2008-B.

3.1 Animali

Sono stati impiegati ratti adulti del ceppo Wistar di sesso maschile, a 10-12 settimane di età e di peso corporeo di circa 300 g (Fig. 9).

Figura 9. Ratti di ceppo Wistar utilizzati nel protocollo sperimentale.

I ratti sono stati allevati e mantenuti in gabbie di plexiglass individuali presso lo stabulario dell'Area di Ricerca CNR di Pisa. Gli animali erano sottoposti a regime alimentare libero e ad un ciclo luce/buio di 12 ore. La temperatura delle stanze di allevamento e di quelle di stabulazione era mantenuta a 21±2°C, con umidità relativa del 50%.

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3.2 Procedura chirurgica di induzione di infarto del

miocardio e trattamenti farmacologici

Le procedure chirurgiche di seguito riportate sono state eseguite in anestesia generale indotta mediante iniezione intraperitoneale di Zoletil® 100 e Xylazina, rispettivamente alla dose di 50 mg/kg e 3 mg/kg di peso corporeo e previa somministrazione di antidolorifico (tramadolo 100 mg/kg). Prima di procedere alla fase chirurgica vera e propria, il livello di anestesia raggiunto dall'animale veniva verificato in termini di ritmo cardiaco, di profondità degli atti respiratori e di perdita di alcuni dei più comuni riflessi: riflesso di raddrizzamento e riflesso podale. Successivamente venivano posizionati agli arti elettrodi per la registrazione in continuo dell'elettrocardiogramma (ECG, derivazioni standard) per tutta la durata della procedura chirurgica. La funzione cardiaca di controllo era valutata con ecocardiografia 2D. I ratti venivano intubati con un catetere endotracheale (inserito per via orofaringea) e ventilati con aria mediante respiratore (70 cicli/min, volume 1,2 ml/100 g di peso corporeo, Harvard Apparatus Co., Inc). Il torace era aperto per incisione nel quarto spazio intercostale e il pericardio rimosso in modo da visualizzare l'arteria coronaria discendente anteriore (LAD) e il suo primo ramo diagonale. Un sottile filo da sutura in seta (6-0, Ethicon) veniva fatto passare intorno alla LAD a circa 2 mm dalla sua emergenza al di sotto dell'atrio sinistro e annodato intorno al vaso con un doppio nodo (occlusione permanente). Gli strati muscolari e la cute venivano quindi suturati e la cannula

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endotracheale rimossa per consentire la ripresa della respirazione spontanea.

Un gruppo di ratti “sham”-operati, cioè sottoposti a tutte le procedure chirurgiche con l’eccezione della legatura del filo di sutura passato intorno alla LAD, è stato utilizzato come gruppo di controllo per lo stress da intervento chirurgico.

Sulla base dell’esperienza precedente e per valutare la specificità degli effetti della stimolazione del sistema dell’eme-ossigenasi sul danno cardiaco conseguente all’infarto già osservati (Chen et al, 2003, Kusmic et al, 2008; Kusmic et al, 2014), sono stati valutati gruppi sperimentali sottoposti a diversi trattamenti farmacologici. In particolare, un gruppo di animali infartuati era trattato con la cobalto protoporfirina IX (CoPP), noto induttore di HO-1 (Kappas & Drummond, 1986; Smith et al, 1993), mentre la specificità di azione dell’enzima era verificata in un gruppo sottoposto a trattamento con la stagno mesoporfirina IX (SnMP). La SnMP è infatti un induttore della sintesi proteica di HO-1 (Sardana & Kappas, 1987), ma allo stesso tempo anche un potente inibitore dell'attività sia per l'enzima già presente che per l'enzima di nuova sintesi (Delaney et al, 1988; De Sandre et al, 2005).

Lo schema adottato per il trattamento è stato scelto in modo da riprodurre le condizioni cliniche di un intervento farmacologico dopo l'inizio dell'infarto miocardico.

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In breve, subito dopo la chiusura del torace, i ratti a cui era stato indotto l’infarto erano suddivisi in 3 gruppi, che 10 minuti dopo l’occlusione della LAD ricevevano rispettivamente una iniezione intraperitoneale di solo veicolo (tampone TRIS, gruppo MI, n=12) solo cobalto protoporfirina (gruppo MI-CoPP, n=9) o CoPP in associazione con SnMP (gruppo MI-CoPP + SnMP, n=8). Gli animali “sham” ricevevano un’iniezione intraperitoneale di pari volume di veicolo (n=8). Dopo l’intervento gli animali erano riscaldati e mantenuti in osservazione per le successive 4-6 ore. Nel periodo post-operatorio, tutti i ratti venivano idratati con una soluzione fisiologica e veniva somministrato loro un antibiotico (Baytril® 2 mg/kg) una volta al giorno per i tre giorni successivi alla procedura chirurgica e un antidolorifico (tramadolo 100mg/kg) in presenza di evidenti segni di sofferenza. Dopo questo periodo tutti gli animali operati presentavano buone condizioni cliniche senza mostrare stress respiratori o asciti, edemi periferici o versamenti pleurici.

Per i trattamenti, la CoPP (Frontier Scientific Inc., Logan, UT, USA) era preparata in una soluzione madre alla concentrazione di 5 mg/ml in tampone TRIS (pH 8,0), conservata a 4°C e al buio a causa della sua sensibilità alla luce. La dose iniettata era di 5 mg/kg di peso dell’animale. La SnMP, già disponibile in soluzione (26,5 mM, Rockfeller University, New York, NY, USA), era somministrata alla dose di 8 mg/kg di peso.

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Al fine di mantenere alti livelli di HO-1 per tutta la durata dello studio, dopo la prima somministrazione nelle fasi immediatamente successive all’occlusione della LAD, ulteriori dosi di CoPP intraperitoneale erano iniettate una volta la settimana per un periodo totale di 4 settimane. Nel

gruppo MI-CoPP + SnMP, la SnMP era somministrata

intraperitonalmente ogni due giorni (Kim et al, 2008).

Il numero e i tempi delle morti spontanee avvenute durante le quattro settimane sono stati accuratamente registrati.

Inoltre, è stato dedicato un gruppo aggiuntivo di ratti (n=18, 6 sham, 6 MI e 6 MI-CoPP) allo studio dell’effetto del trattamento con CoPP sull’apoptosi cardiaca. I ratti erano sacrificati a 16 e a 24 h (n=3 per ciascun tempo in ciascuna condizione).

3.3 Time-course dell’espressione di HO-1

Allo scopo di una migliore valutazione ed interpretazione dei risultati derivanti dallo studio sugli animali infartuati, abbiamo verificato i tempi di espressione di HO-1 a seguito dell’induzione con CoPP. In particolare, l'andamento temporale della sintesi proteica di HO-1 nel tessuto cardiaco dopo una singola iniezione di CoPP (5 mg/kg) è stato determinato in un gruppo di animali composto da 10 ratti di controllo che sono stati sacrificati a 5 tempi differenti (0, 8, 16, 24 e 48 h) dal trattamento con CoPP (n=2 per ciascun tempo). Inoltre, per verificare il

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livello di attività del sistema HO nel cuore in tempi considerati critici per gli eventi post-ischemici irreversibili, è stata determinata l'attività enzimatica a due differenti tempi (0 e 8 h) dal trattamento con CoPP (n=3 per ciascun tempo).

3.4 Studio ecocardiografico

La funzione cardiaca, in particolare la funzione diastolica e sistolica del ventricolo sinistro (LV) è stata valutata mediante ecocardiografia transtoracica bidimensionale (2D), in condizioni basali e ad un mese dalla legatura della LAD. Le sedute di ecocardiografia venivano eseguite in lieve anestesia generale con Zoletil® 100 (12 mg/kg di peso corporeo) per mantenere gli animali sedati durante le registrazioni e previa depilazione della superficie toracica. Sono state ottenute immagini in asse corto del LV a livello dei muscoli papillari utilizzando un trasduttore lineare a 12 MHz (MyLab 25, sonda 523, Esaote). Dalle immagini sono state misurate le dimensioni della camera ventricolare sinistra (sia in diastole che in sistole), la frazione di eiezione, la frazione di accorciamento, gli spessori parietali telediastolici del LV e la frequenza cardiaca. I valori sono stati calcolati come media delle misure ottenute in 3 cicli cardiaci consecutivi in configurazione “M-mode” (Fig. 10).

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47 Figura 10. Esempio di immagine ecocardiografica di un cuore di ratto. In alto è riportata un’immagine bidimensionale ottenuta in asse lungo e in basso il profilo M-mode riferito al piano indicato dalla linea verde nel pannello superiore.

3.5 Raccolta dei campioni tessutali per le analisi

biochimiche

Sono state eseguite analisi biochimiche volte a valutare il livello di espressione della proteina HO-1 e alla quantificazione della sua attività enzimatica su campioni di tessuto raccolti rispettivamente a tempi precoci (8-48 h) dall’evento ischemico e/o dalla somministrazione di CoPP, oppure al termine del periodo di 4 settimane per i gruppi di studio sul rimodellamento cardiaco a lungo termine.

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In particolare, il tessuto cardiaco del ventricolo sinistro (LV) è stato suddiviso in 3 aree distinte (Fig. 11), congelate in azoto liquido e analizzate separatamente:

1. Parete posteriore del ventricolo sinistro, opposta alla regione perfusa dalla LAD (“remote zone”, RZ);

2. Zona periferica dell'infarto (“border zone”, BZ); 3. Zona centrale dell'infarto (“infarct zone”, IZ).

Figura 11. Sezione traversa di un cuore di ratto infartuato in cui viene schematizzata la suddivisione del tessuto cardiaco nelle varie regioni: RV, ventricolo destro; RZ, territorio remoto all’ischemia; BZ, regione di confine; IZ, parte centrale dell’infarto.

Nel gruppo degli animali “sham”-operati non sarebbe appropriato utilizzare termini come “zona border” o “zona infartuale”, in quanto non vi è stata alcuna occlusione della coronaria. Tuttavia, in analogia con gli animali infartuati, è stata utilizzata la stessa nomenclatura, dove BZ e RZ corrispondono rispettivamente ai territori pertinenti o remoti alla perfusione della LAD.

RZ IZ BZ R V RZ IZ BZ R V

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