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Correlati corticali per la denominazione di oggetti-viventi e oggetti-non viventi: studio clinico delle funzioni linguistiche tramite Stimolazione Magnetica Transcranica navigata (nTMS) in pazienti affetti da tumore cerebrale in aree eloquenti.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MESSINA

DIPARTIMENTO DI MEDICINA CLINICA E SPERIMENTALE XXX CICLO DI DOTTORATO IN SCIENZE BIOMEDICHE CLINICHE E SPERIMENTALI _____________________________________________________________________

Correlati corticali per la denominazione di oggetti-viventi e oggetti-non viventi:

studio clinico delle funzioni linguistiche tramite Stimolazione Magnetica

Transcranica navigata (nTMS) in pazienti affetti da tumore cerebrale in aree

eloquenti.

COORDINATORE: Ch.mo Prof. Edoardo Spina TUTOR/SUPERVISORE: Ch.mo Prof. Antonino Francesco Germanò TESI DI DOTTORATO: SSD- MED/27 Dott. ssa Sindorio Carmela ______________________________________________________________________ ANNO ACCADEMICO 2016/2017

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2 INDICE INTRODUZIONE

CAP. 1 NEUROPSICOLOGIA E NEUROCHIRURGIA: LA NUOVA FRONTIERA DI GESTIONE CLINICA DEL PAZIENTE NEURO-ONCOLOGICO………..pag.6

Ø Neuro-oncologia funzionale

Ø Odotopia: nuova intuizione in neuroscienze cognitive Ø Assessment neuropsicologico preoperatorio

Ø Mapping corticale preoperatorio tramite nTMS

Ø Mapping intraoperatorio delle funzioni cognitive durante chirurgia da svegli Ø Plasticità cerebrale

Ø Conclusioni

CAP. 2 NEUROBIOLOGIA DEL LINGUAGGIO E METODI DI BRAIN MAPPING.pag.19

Ø Neuroanatomia dei processi linguistici: produzione, percezione, comprensione Ø La produzione linguistica

Ø Percezione e comprensione del linguaggio

Ø Connessioni sottocorticali importanti per le funzioni linguistiche: una visione d’insieme Ø Stimolazione Magnetica Transcranica navigata (nTMS) per lo studio ed il mapping

preoperatorio delle funzioni linguistiche in pazienti neurochirurgici: un nuovo metodo clinico

Ø Studi scientifici sul linguaggio condotti tramite nTMS in ambito neurochirurgico Ø Conclusioni

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CAP. 3 CORRELATI CORTICALI PER LA DENOMINAZIONE DI OGGETTI-VIVENTI E

OGGETTI-NON VIVENTI: STUDIO CLINICO DELLE FUNZIONI LINGUISTICHE

TRAMITE STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA NAVIGATA (nTMS) IN

PAZIENTI AFFETTI DA TUMORE CEREBRALE IN AREE

ELOQUENTI……….pag.32 Ø Introduzione Ø Materiali e metodi Ø Pazienti Ø Disegno di ricerca Ø Mapping tramite nTMS

Ø Analisi offline del mapping del linguaggio tramite nTMS

Ø Planning preoperatorio e valutazione del rapporto rischio/beneficio della chirurgia Ø Trattamento neurochirurgico

Ø Assessment neuropsicologico postoperatorio Ø Analisi statistica

Ø Risultati Ø Discussione Ø Conclusione Ø Limiti dello studio

CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA

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4 INTRODUZIONE

Il trattamento moderno dei tumori cerebrali si basa sul concetto di trattamento chirurgico secondo limiti funzionali (neurooncologia funzionale, functional neuro-oncology), in cui la resezione chirurgica ha come limite l'individuazione sulla superficie del cervello (a livello corticale) ed entro al cervello (a livello sottocorticale) delle aree funzionali e dei loro collegamenti (tratti sottocorticali). Grazie a questa metodica (brain mapping e monitoring), è possibile rimuovere in modo esteso vaste neoplasie cerebrali, localizzate in punti critici del cervello, mantenendo l'integrità funzionale del paziente.

Alla base di questa metodica è lo studio, nel periodo pre operatorio ed intraoperatorio, del funzionamento del cervello del singolo paziente attraverso l'uso della neuropsicologia e di metodiche di mapping preoperatorie ed intraoperatorie. Il cervello di ogni paziente è unico e la sua organizzazione funzionale (il suo funzionamento) dipende dalla storia del paziente, ed è frutto di una serie di circuiti (network) che collegano varie aree cerebrali tra loro in entrambi gli emisferi cerebrali. Questi network funzionano in serie e ogni funzione dipende dal loro grado di organizzazione funzionale. Quando un tumore si sviluppa nel cervello, esso perturba il funzionamento del sistema, e il cervello si adatta alla presenza del tumore e alla sua crescita, variando il grado di organizzazione funzionale dei vari sistemi di network. Questa capacità di adattamento e di compenso si chiama plasticità cerebrale. La neuropsicologia attraverso un esame raffinato ed esteso (valutazione neuropsicologica) fornisce al chirurgo informazioni sullo stato di funzionamento ed organizzazione dei vari network funzionali del cervello e quindi del suo grado di plasticità. Le informazioni ottenute con la neuropsicologia, vengono integrate con quelle ottenute dalle metodiche di mapping per individuare funzioni come il linguaggio sulla superficie del cervello e dunque preservarle. Inoltre, attraverso questi stessi metodi è possibile studiare diversi aspetti che caratterizzano il linguaggio e le

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altre funzioni cognitive. Il presente lavoro è suddiviso in tre capitoli. Nel primo sono esposti i concetti base legato all’approccio neuro-oncologico funzionale, al ruolo della neuropsicologia in contesto neurochirurgico ed alla plasticità cerebrale. Nel secondo sono descritti i principali meccanismi neurobiologici sottesi alle funzioni linguistiche secondo le più moderne teorie e dati scientifici, inoltre, sono attenzionati i metodi di brain mapping per le funzioni linguistiche in neurochirurgia. Nel terzo capitolo è presentato il lavoro di ricerca su alcuni aspetti semantici del linguaggio svolto, per la prima volta, tramite nTMS ripetuta coinvolgendo pazienti affetti da tumore cerebrale in aree eloquenti.

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NEUROPSICOLOGIA E NEUROCHIRURGIA: LA NUOVA FRONTIERA DI GESTIONE CLINICA DEL PAZIENTE NEURO-ONCOLOGICO.

Neuro-oncologia funzionale

Il cervello umano è il più complesso, affascinate e ancora oggi poco conosciuto organo del corpo umano. La corteccia cerebrale è organizzata in corteccia primaria e sensoriale, che costituisce il 10% della superficie del cervello, e corteccia associativa, che costitusce il restante 90% della superficie cerebrale. La corteccia associativa è coinvolta nella modulazione ed evoluzione di tutte le funioni mentali e cognitive dell’uomo. Essa partecipa ad una complessa rete, forse la più complessa in natura, di afferenze ad efferenze cortico-corticali e cortico-sottocorticali che dà vita al nostro sentire, percepire, pensare, memorizzare, parlare ed emozionarci. Il cervello umano, dunque, con la sua straordinaria complessità, è l’organo che controlla tutte le nostre funzioni sensoriali e motorie e che, contestualmente, presiede alla più nobile delle funzioni umane: la mente. Il dilemma storico della chirurgia cerebrale in generale, e della chirurgia dei tumori cerebrali in particolare è ottimizzare l’estenzione della resezione delle lesioni tumorali preservando le funzioni neurologiche, cognitive e mentali (Duffau, 2010). Questa la ragione cardine della rivoluzione della chirurgia dei tumori cerebrali cui si assiste negli ultimi decenni e che rappresenta la prospettiva futura di clinica e ricerca in questo ambito. La neuro-oncologia funzionale si pone l’obiettivo di trattare i pazienti affetti da tumore cerebrale secondo le più moderne strategie chirurgiche e contestualmente valutare, preservare, riabiltare e studiare le funzioni cognitive, affettettive e mentali. Discipline apparentemente lontane tra loro, come la neurochirurgia e la neuropsicologia, lavorano sinergicamente per la presa in carico globale del paziente neuro-oncologico e per garantire il più alto livello di Qualità di Vita (QdL) possibile.

Questo è particolarmente utile quando le lesioni coinvolgono network corticali e sottocorticali cosiddetti “eloquenti”, ovvero sottesi alla genesi e controllo di funzioni motorie e cognitive di vitale

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importanza come il linguaggio (Duffau, Capelle, 2004). Le conoscenze neuroanatomiche del neurochirurgo sono cruciali ma non sufficienti per comprendere l’organizzazione anatomo-funzionale individuale, pertanto, l’utilizzo dei metodi di brain mapping e la valutazione standardizzata neurocognitiva dei processi mentali si affermano sempre di più nel contesto di protocolli sistematici per la gestione clinica del paziente neuro-oncologico in fase pre-operatoria, intra-operatoria e post-operatoria. La lente del neurochirurgo è quella di un neuroscienziato che ha l’obiettivo di intervenire sul cervello del paziente trattandolo come organo pensante; la neuropsicologia e le neuroscienze cognitive aiutano ed indirizzano la mano del neurochirurgo tramite una profonda comprensione del funzionamento cognitivo e mentale del paziente.

Odotopia: nuova intuizione in neuroscienze cognitive

Lo studio della connettività corticale e cortico-assonale rappresenta la nuova frontiera delle neuroscienze cognitive per la comprensione del divenire del pensiero e della mente. Preservare la connettività corticale e assonale, inoltre, è obiettivo della chirurgia dei tumori cerebrali al fine di evitare l’insorgere di deficit neuropsicologici permanenti post-operatori. Solo negli ultimissimi anni la connettività è oggetto di interesse dei neuroscienziati. Gli studi scientifici sulle connessioni corteccia e fasci assonali per la comprensione del funzionamento neurologico e cognitivo degli uomini sono stati di recente eseguiti su pazienti post-stroke. Combinando funzionalità corticale e connettività assonale ci si è mossi da classici modelli localizzazionistici delle funzioni cerebrali e cognitive a paradigmi “odotopici” (Catani, 2007). Con il termine odotopia ci si riferisce sia ad aspetti “topos”, ovvero classicamente localizzazionistici della corteccia, per indicare la rete neurale di primaria importanza per specifica funzione e, in caso di lesione cerebrale, disfunzione, sia ad aspetti “hodos”, ovvero strade-sentieri, che connettono i network corticali ai fasci sottocorticali e che analogamente spiegano funzionalità fisiologiche e patologiche (connessioni, disconnessioni o iperconnessioni) nei pazienti (Catani, Ytche, 2005). In altre parole, questo nuovo modello e

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approccio allo studio delle funzioni cerebrali e, soprattutto, delle lesioni cerebrali, permette di comprendere maggiormente la correlazione anatomo-funzionale della sintomatologia dei pazienti, di correlare la natura e severità del deficit all’estenzione della lesione ed alla specificità di essa (se solo corticale, se solo sottocorticale o entrambe). Il gold standard per lo studio scentifico della connettività cortico-sottocorticale in chiave odotopica è rappresentato dai metodi di mapping intraoperatorio, attualmente significativamente meno utilizzati rispetto ai metodi di mapping preoperatorio (per ragioni pratiche, etiche e metodologiche), ma rappresenta la direzione futura delle neuroscienze cognitive (Duffau, 2006, 2008). Esemplificativo uno studio eseguito nel 2001 (Duffau, Lopes, Denville, Capelle) su pazienti affetti da lesioni coinvolgenti l’area supplementare motoria (SMA) e trattati chirurgicamente da svegli. La SMA, infatti, è coinvolta in processi di pianificazione e controllo dei movimenti e la resezione di essa causa la cosiddetta “sindrome da SMA”, caratterizzata da acinesia e mutismo. Tramite utilizzo di fMRI in questo studio si è dimostrato che la comparsa e la severità di tale sindrome non è correlata all’estensione della resezione chirurgica della SMA ma alla resezione di specifiche strutture sottocorticali collegate alla SMA. In altre parole, la severità e persistenza di un quadro sintomatologico non dipende tanto da quanto si asporta ma da cosa si asporta o si lesiona durante un intervento neurochirurgico.

Assessment neuropsicologico preoperatorio

L’organizzazione anatomo-funzionale dei complessi network corticali e cortico-sottocorticali, di cui si è parlato precedentemente, varia da persona a persona. Essa dipende, infatti, dalla storia di vita di ognuno di noi e da particolari caratteristiche anatomo-biologiche che ci appartegono; diversi sono gli studi che mostrano tramite tecniche di brain-imaging tale variabilità interindividuale (Ojemann, Ojemann et al., 1989). Conseguentemente, la valutazione neuropsicologica sia preoperatoria, intraoperatoria e postoperatoria dei pazienti affetti da tumori cerebrali e trattati neurochirurgicamente è entrata a far parte dei protocolli clinici; essa, infatti, permette di valutare la

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presenza di eventuali deficit neuropsicologici e la loro severità, fornisce delle attendibili indicazioni rispetto alla tollerabilità da parte del paziente di un intervento in awake surgery, esamina lo status cognitivo ed emotivo motivazionale del paziente in fase postoperatoria fornendo indicazioni al trattamento riabilitativo ed al livello di QdV; si pone secondo un processo clinico-relazionale individualizzato volto ad esplorare gli interessi, i gusti, le abitudini, le caratteristiche temperamentali e personologiche di ogni paziente per una adeguata comprensione delle differenze interindividuali di cui sopra. Un completo e obiettivo assessment neuropsicologico, inoltre, valuta il funzionamento di una vasta gamma di funzioni cognitive: linguaggio, memoria, apprendimento, working memory, abilità visuo-spaziali, abilità attentive ed esecutive, abilità prassiche, motivazione, regolazione emotiva e comportamentale. Purtroppo, in ambito neurochirurgico, ad oggi, si è prestata molta attenzione alle sole abilità linguistiche, modulando le tecniche di resezione chirurgica e di mapping preoperatorio e intraoperatorio durante chirurgia da svegli, per evitare l’insorgere di deficit linguistici e afasici dopo la chirurgia, ma molto poco è stato fatto rispetto alle altre funzioni cognitive altrettanto importanti per un adeguato livello di QdV e gravemente invalidanti se deficitarie. Molti studi condotti grazie a protocolli sistematici di assessment neuropsicologico evidenziano, infatti, la presenza costante di problematiche cognitive relative a funzioni diverse dal linguaggio in pazienti affetti da tumori cerebrali o epilettici trattati chirurgicamente (Anderson et al., 1999; Andrewes et al., 2003; Braun et al., 1994; Braun et al., 2006; D’Angelo et al., 2008; Du Boisgueneuc et al., 2006; Dulay et al., 2009; Goldstein et al., 2003; Hornak et al., 2003; Hornak et al., 2004; Irle et al., 1994; Kessels et al., 2000; Litofsky et al., 2009; Mainio et al., 2005; Mainio et al., 2006; Miller et al., 1992; Miotto et al., 1998; Owen et al., 1990; Peper et al., 1997; Petrides et al., 1997; Rowe et al., 2001; Spiers et al., 2001; Thaphoorn et al., 2004; Teixidor et al., 2007, Vendrel et al., 1995) correlando tali dati con basso livello di QdV dei pazienti. Inoltre, nonostante la stimolazione elettrica intraoperatoria (DCS) durante interventi di chirurgia da svegli rappresenti il

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gold standard in ambito neuro-oncologico funzionale, diversi studi neuropsicologici mostrano che non tutti i pazienti sono potenzialmente candidabili e tolleranti a tale tipo di chirurgia e che, sfortunatamente, esistono solo studi su pazienti affetti da lesioni cerebrali che invadono i classici network ritenuti responsabili delle funzioni linguistiche (Dunks et al., 1998; Whittle et al., 2005). Forse questo perchè, non essendo immediatamente rintracciabili ed evidetenti alla classica valutazione clinica ma indagabili tramite valutazione cognitiva standardizzata, i deficit neuropsicologici non linguistici sono stati sottostimati in campo neurochirurgico. Altra considerazione altrettanto veritiera è che l’approccio neuro-oncologico funzionale e neuropsicologico in neurochirurgia muovono i primi passi negli ultimi anni e molto ancora si dovrà lavorare per lo studio e la standardizzazione di protocolli clinici e di metodi di brain mapping che abbraccino l’articolato ventaglio delle funzioni cognitive ed emotivo-motivazionali dell’uomo e non solo il linguaggio. Prendendo in considerazione, infatti, il solo assessment neurospicologico-clinico standardizzato in neurochirurgia non è ancora prassi che lo si esegua in modo sistematico e completo, pre-intra-post-operatorio, ma questa la prospettiva futura che si sta delineando negli ultimi anni.

Mapping corticale preoperatorio tramite nTMS

L’ultimo decennio per la neurochirurgia dei tumori cerebrali, come già sopra, è stato rivoluzionario per molti aspetti: l’approccio del neurochirurgo è quello del neuroscienziato, che non considera il cervello solo come un organo sul quale intervenire chirurgicamente ma come sede delle funzioni mentali ed emotive, la clinica neuropsicologica dei pazienti neurochirurgici avanza verso la definizione di protocolli standard per il management dei pazienti neuro-oncologici, i metodi di brain mapping preoperatori e intraoperatori si stanno affinando e articolando sempre più.

Rispetto a questi ultimi, l’obiettivo principale è comprendere il più possibile l’organizzazione funzionale dei network corticali e sotto-corticali del singolo paziente affetto da tumore così da

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correlare questi dati con la sede e l’estensione della lesione in modo da orientare la strategia chirurgica prevenendo l’insorgere in fase post-operatoria di simtomatologia neurocognitiva. I metodi di brain-mapping sono diversi ed alcuni riguardano la fase pre-operatoria (risonanza magnetica funzionale (fRM); stimolazione magnetica transcranica navigata (nTMS), trattografia (DTI), magnetoencefalografia (MEG)) altri la fase intraoperatoria (DCS). Rispetto ai metodi preoperatori, la TMS negli ultimi anni in ambito neurochirurgico è stata rivalutata come affidabile e sensibile strumento di brain mapping pre-operatorio in grado di fornire al neurochirurgo importanti dati per modulare la strategia chirurgica. La TMS, infatti, introdotta nel 1980 si afferma come indispensabile strumento in ambito neurologico ma gode di poca considerazione in ambito neurochirurgico, solo due i lavori pubblicati nel decennio 1990 che vedono la TMS in ambito neurochirurgico (Asakura et al., 1994; Krings et al., 1997). Ad oggi, invece, la situazione sembra capovolgersi e la TMS si afferma sempre di più come metodica standard di mapping corticale preo-peratorio sia per le funzioni motorie sia per le funzioni cognitive. Due sono fondamentalmente le condizioni in cui l’utizzo della TMS per il mapping preoperatorio rappresenta un grosso vantaggio ed ausilio per il neurochirurgo che si appresta all’intervento: i casi in cui l’esatta relazione spaziale tra il tumore e la presunta area motoria o associativa essenziale per la funzione che si vuole preservare rimane poco definita nonostante le immagini antomiche; nei casi in cui esiste una discrepanza tra i risultati delle immagini e la valutazione clinica del paziente, per esempio, la presenza di un grosso tumore in area rolandica e nessun sintomo clinicamente rilevante motorio e/o linguistico. L’esame con la TMS è in grado di fare chiarezza rispetto alle discrepanze di cui sopra e di fornire dati corticali che suggeriscono eventuale plasticità funzionale così da ridurre le incertezze rispetto ai dati neuroanatomici e funzionali con l’obiettivo di prevenire la comparsa di deficit postoperatori.

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Essenzialmente, il mapping tramite TMS si conduce attraverso la stimolazione multipla di diversi punti della corteccia del paziente e registrando le risposte sia motorie sia linguistiche o di altro genere (dipende da quale funzione si vuole indagare e preservare). Negli ultimissimi anni in neurochirurgia si è affermato l’utilizzo di TMS navigata, ovvero di strumenti di stimolazione transcranica basati su immagini di risonanza magnetica (MRI) del paziente (Fig. 1).

In altre parole, si procede a stimolare diversi punti della superficie corticale

del cervello del paziente “navigando” sulle immagini in 3D di MRI che il computer della TMS acquisisce. Il paziente sta sdraiato su una poltrona o sul letto dell’ospedale, se presenti gravi deficit motori, e ad egli si collegano degli elettrodi per registrare le risposte elettromiografiche dei muscoli della faccia, della mano e della gamba. Si procede con una serie di stimolazioni su diversi punti della corteccia motoria del paziente e si registrano gli output ottenuti; a questo punto si selezionano le migliori risposte e si calcola la soglia minima di attivazione motoria (Resting Motor Threshold, RMT) diversa da paziente a paziente. Una volta ottenuto il RMT si passa alla stimolazione della corteccia motoria per il mapping delle funzioni motorie o alla stimolazione delle aree perisilviane se si vuole eseguire un mapping delle aree del linguaggio. In quest’ultimo caso la procedura si compone di altri step. Il paziente viene preventivamente addestrato a eseguire un task linguistico, solitamente object naming, ovvero deve denominare delle immagini di oggetti che gli si mostrano

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tramite il monitor postogli di fronte; dopodichè si esegue un baseline del task eliminando tutti gli items che il paziente non riesce correttamente e velocemente a denominare, infine si passa alla stimolazione ripetuta in diversi punti dei network corticali ritenuti importanti per la funzione oggetto d’esame. Finita la stimolazione si esegue una analisi degli errori commessi dal paziente durante la stimolazione, risposte linguistiche, generalmente eseguita da un neuropsicologo, comparando le risposte date durante la fase di baseline con le risposte date durante la fase di stimolazione, entrambe le sessione videoregistrate, agli stessi items. Le risposte linguistiche, che concretamente si elicitano in errori linguistici vengono classificati in tre macrocategorie: errori semantici; errori fonologici; errori di performance.

Mapping intraoperatorio delle funzioni cognitive durante chirurgia da svegli

La resezione chirurgica dei tumori cerebrali che coinvolgono network cosiddetti “eloquenti”, ovvero sottesi a funzioni motorie e cognitive specifiche e indispensabilili per un buon livello di QdV, richiede l’identificazione, come già evidenziato precedentemente, pre e intraoperatoria delle aree funzionali corticali e sottocorticali interessate per ottenere la più estesa resezione possibile mantenendo al massimo l’integrità del paziente. I gliomi, specialmente i gliomi di alto grado (LGG), insorgono nei giovani adulti nel pieno della vita professionale e sociale. Molto spesso la sintomatologia che fa da “campanello” di allarme è cognitiva e la stragrande maggioranza di questi pazienti soffre di disturbi che riguardano soprattutto la working memory e le funzioni esecutive (Teixidor et al., 2007).

Questa la ragione, come già discusso, per cui ad oggi è raccomandata una sistematica valutazione neuropsicologica dei pazienti neuro-oncologici: per identificare deficit cognitivi non riscontrabili attraverso la sola valutazione clinica neurologica, per adattare la metodologia chirurgica, per poter comparare i risultati cognitivi preoperatori con quelli postoperatori, per selezionare il task più appropriato al paziente per il mapping intraoperatorio. A tal proposito, un recente lavoro di Coello

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(2013) propone uno schema riassuntivo di tutti i task cognitivi da utilizzare durante awake mapping in relazione al lobo invaso dal tumore. La Fig. 2 è proposta dall’autore con i task preferibilmete da selezionare per regioni interessate.

Figura 2 selezione di compiti intraoperatori per lobo

Ovviamente, le considerazioni più importanti suggerite da questo lavoro rigurdano la necessità di condurre un mapping intraoperatorio individualizzato selezionando dei task che siano utili e pertinenti alle specifiche esigenze e condizioni neuropsicologiche preoperatorie del paziente. Le importanti novità introdotte dalle ricerche neuroscientifiche più recenti rigurdano, per l’appunto, le differenze interindividuali da un cervello all’altro, sia in termini morfologici sia in termini funzionali, e il superamento dei classici modelli localizzazionistici delle funzioni cognitive. Recenti ricerche dimostrano che le funzioni linguistiche non sono riconducibili alle classiche aree neuroanatomiche (Broca Wernicke dell’emisfero sinistro) ma che il linguaggio umano è spiegabile considerando una vasta rete di aree corticali-sottocorticali che interessa entrambi gli emisferi (Ackermann et al., 2004; Dronkers et al., 1996; Hilli et al., 2004; Ogar et al., 2006; Joanette et al., 2008; Hickock, 2004). Allo stesso modo, le funzioni motorie, per lungo tempo ricondotte alla semplice capacità di muoversi per esempio tramite meccanismi di contrazione muscolare, rappresentano una complessa e integrata rete di funzioni coordinata non solo dalla capacità di muoversi di per sè ma dal controllo e adattamento delle azioni grazie a continui feedback

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provenienti dal sistema somatosensoriale, visivo e vestibolare così come dalla programmazione intenzionale del movimento (Lafargue et al., 2008).

Pertanto, la programmazione di un intervento in awake e la scelta dei task per il mapping e, contestualmente, la tutela delle funzioni cognitive va fatta secondo le più moderne e accrediate teorie neuroscientifiche che spiegano l’organizzazione cerebrale delle funzioni cognitive e secondo le caratteristiche peculari di ogni singolo paziente valutabili in modo attendibile e affidabile, ancora una volta, attraverso assessment neurocognitivo.

Plasticità cerebrale

Un altro importante fattore da tenere in considerazione durante l’assessment neuropsicologico ed il mapping preoperatorio ed intraoperatorio del funzionamento cognitivo e neurologico dei pazienti affetti da gliomi cerebrali è la possibilità, quasi sitematica come la pratica clinica suggerisce, che il cervello sia andato incontro a fenomeni di riorganizzazione delle reti funzionali tramite processi di plasticità cerebrale. Questo, tra le altre cose, spiegherebbe l’eterogeneità delle manifestazioni sintomatologiche cognitive e neurologiche tra pazienti affetti da gliomi che interessano le stesse aree cerebrali; per esempio non tutti i pazienti affetti da gliomi che invadono le aree perisilviane presentano disturbi del linguaggio, così come non tutti i pazienti affetti da gliomi che interessano la corteccia motoria presentano necessariamente disturbi del movimento.

La plasticità cerebrale, che possiamo definire come un continuo processo di rimodellamento e di riorganizzazione delle sinapsi neuronali nel breve-medio e lungo termine, durante lo sviluppo filogenetico, ontogenetico e in presenza di lesioni cerebrali, rafforza ancora di più la moderna concezione neuroscientifica del cervello di un organo complesso e dinamico, non fisso, e sottolinea l’appropriatezza dell’approccio neuro-oncologico funzionale e neuropsicologico al paziente affetto da glioma cerebrale. Le conseguenze cognitive e comportamentali dei fenomeni di plasticità neuronale in questi pazienti sono stati ampiamente studiati (Duffau, 2006) e giustificano la

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disomogeneità dei dati preoperatori e intraoperatori ottenuti alle valutazioni neurocognitive e dai metodi di mapping; in altre parole, non c’e molto da stupirsi se, per sempio, al mapping preoperatorio delle funzioni linguistiche di un paziente affetto da glioma in aree tipiche del linguaggio e che non presenta deficit linguistici alla valutazione neurocognitiva otteniamo dei risultati che interessano aree della corteccia non ritenute propriamente responsabili delle funzioni linguistiche e distanti, o addirittura controlaterali alla lesione. I fenomeni di plasticità neuronale sono, inoltre, quasi sistematici nei pazienti affetti da gliomi, rispetto per esempio ai pazienti colpiti da stroke, per la natura stessa della malattia che si sviluppa nel tempo: nel tempo cresce il glioma ed al tempo stesso si riorganizza il cervello (Desmurget et al., 2007). Anche durante mapping tramite stimolazione intraoperatoria si può osservare e confermare la riorganizzazione cortico-sottocorticale indotta dalla presenza di tumore cerebrale. Per esempio, si è osservato in molti pazienti affetti da lesione frontale che durante il mapping preoperatorio la stimolazione del giro frontale precentrale produceva risposte motorie limitatamente a pochi siti corticali ben definiti, ma immediatamente dopo la resezione della lesione si poteva osservare una significativa ri-elicitazione di risposte motorie stimolando le stesse aree corticali che prima non producevano risposte e stimolando anche quelle contigue ad esse (Duffau, 2001). Meccanismi di riorganizzazione plastica sono inoltre osservabili anche in fase postoperatoria. Uno studio condotto su pazienti affetti da gliomi interessanti l’area supplementare motoria esaminati preoperativamente tramite fMRI, e che mostravano sindrome da SMA transiente in fase postoperatoria, ha evidenziato tramite comparazione dei risultati ottenuti alla fMRI preoperatori e postoperatori l’attivazione della SMA controlaterale durante il recupero funzionale postoperatorio (Krainik et al, 2004). Pertanto, l’osservazione dei fenomeni di riorganizzazione dei circuiti corticali tramite i vari metodi di mapping e la valutazione neuropsicologica standardizzata in neurochirurgia comporta diverse implicazioni terapeutiche fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi che l’approccio

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oncologico funzzionale vuole raggiungere: permette di estendere le indicazioni al trattamento chirurgico anche alle aree considerate classicamente “inoperabili”; massimizza la resezione chirurgica della lesione; minimizza i rischi di sequele neuropsicologiche e neurologiche post-operatorie migliorando il livello di QdV dei pazienti (Duffau et al., 2008, 2003). A tal proposito è stato dimostrato che la resezione della parte posteriore del lobo parietale di sinistra è stata possibile senza evidenti deficit post-operatori grazie allo studio della plasticità indotta dalla lesione tramite la convergenza di adeguate valutazioni neurologiche e neuropsicologiche pre e intra operatorie e un’accurata selezione del task intraoperatorio (Desmurget et al., 2007). In conclusione, alla luce di quanto argomentato fino ad ora, il cervello di ogni essere umano è organizzato in modo differente da tutti gli altri in condizioni di normalità, questo è supportato dalle più recenti ricerche scientifiche in neuroscienze che suggeriscono l’esistenza di differenze interindividuali nell’organizzazione dei network neuronali a livello corticale e sottocorticale tra un cervello e l’altro e oltrepassano significativamente le classiche concezioni localizzazioniste della cognizione ed emozione umana aprendo le porte ad approcci e modelli dinamici, complessi e “odotopici”. Il cervello dei pazienti affetti da gliomi cerebrali, a causa della presenza della malattia che si sviluppa in un lasso di tempo non breve, va inoltre incontro a fenomeni di neuroplasticità funzionale che lo rendono ancora più diverso e complesso rispetto alla norma. Il trattamento chirurgico di tali pazienti, pertanto, è ad oggi plausibile se si avvale, per la modulazione delle tecniche di resezione, dei dati provenienti dalla valutazione neuropsicologica e dai metodi di mapping che non prescindono dalla singolarità del cervello e della personalità del paziente.

Conclusioni

Il cervello umano è l’oggetto di studio più complesso che l’uomo conosca. Svelare e comprendere i meccanismi e le dinamiche di funzionamento è uno degli obiettivi più interessanti e ardui che le scienze moderne si pongono. Quello che è ormai certo è che il cervello funziona attraverso

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connessioni tra reti di neuroni, capire la dinamica di queste connessioni rappresenta la condizione necessaria per avazare nella comprensione della cognizione; alla stesso modo aiuta a spiegare meglio l’interazione tra le malattie cerebrali (come i gliomi) e i sintomi. La ricerca focalizzata sulla spiegazione di queste articolate interazioni ha compiuto passi da gigante nell’ultimo decennio, sia per quel che riguarda il funzionamento fisiologico sia per quello patologico grazie ai metodi di brain imaging sempre più sofisticati, trovando importanti applicazioni in ambito clinico.

La combinazione di metodi di studio delle connessioni neuronali on-line, come la stimolazione magnetica transcranica e la stimolazione corticale diretta intraoperatoria, e dei metodi di assessment standardizzati neuropsicologici possono condurre alla comprensione della modalità individuale di funzionamento dei circuiti neurosinaptici. Gli stessi metodi possono meglio valutare la riorganizzazione sinaptica e le potenzialità di recupero tramite i meccanismi di plasticità neuronale. L’obiettivo attuale è passare da un utilizzo “statico” dei metodi di brain-imaging ad un approccio dinamico, multidisciplinare e longitudinale dei pazienti affetti da tumore cerebrale, così da orientare le strategie neurochirurgiche e massimizzarne la resezione. Sulla base delle nuove scoperte neuroscientifiche il prossimo obiettivo nella clinica e trattamento dei pazienti affetti da gliomi sarà quello di realizzare una “neuro-oncologia funzionale preventiva“.

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NEUROBIOLOGIA DEL LINGUAGGIO E METODI DI BRAIN MAPPING

Da sempre il linguaggio è la funzione cognitiva più complessa e celebrata delle funzioni mentali umane. Tutto quello che noi percepiamo, produciamo e comprendiamo tramite il linguaggio rappresenta il fulcro della nostra vita sociale, professionale e relazionale quotidiana. I processi neurobiologici sottesi alle funzioni linguistiche sono già da diversi decenni oggetto di studio di molte discipline che ne hanno spiegato i meccanismi principali anche se ancora molto è rimasto da comprendere. Con la rivoluzione apportata dalle scienze cognitive nello scorso secolo si è giunti ad una visione condivisa del linguaggio come di un sistema complesso caratterizzato da diversi moduli di competenze segregati da altri sistemi funzionali facenti parte del sistema nervoso. Queste acquisizioni teoriche combinate ai dati provenienti dagli studi di neuropsicologia clinica su pazienti cerebrolesi hanno condotto ad una concezione dei moduli linguistici come localizzati in diverse aree della corteccia cerebrale. Grazie agli studi clinici condotti nel XIX secolo da Broca, per esempio sui pazienti Leborgne e Lelong, il modello che ne scaturisce, cui fa riferimento ancora oggi la tassonomia dei principali disturbi afasici, è il modello Broca-Wernicke-Geschwind il quale include anche il coinvolgimento di diversi fasci di sostanza bianca, come il fascicolo arcuato (AF) che connette la parte posteriore del giro temporale superiore dell’emisfero sinistro (area di Wernicke) ritenuta responsabile dei processi di comprensione del linguaggio con la parte posteriore del giro frontale inferiore (IFG) dell’emisfero sinistro (area di Broca) ritenuta responsabile dei processi di produzione del linguaggio Fig 3. Negli ultimi decenni, però, tramite le nuove tecniche di brain imaging queste consolidate teorie e modelli di spiegazione della sintomatologia clinica dei pazienti con disturbi del linguaggio stanno attraversando una profonda crisi; per fare solo qualche esempio i cervelli dei pazienti studiati da Broca, che hanno segnato la nascita e la storia dell’afasiologia classica, sono stati ristudiati tramite MRI ed i risultati ottenuti rivelano che in realtà le lesioni si

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estendono sino all’insula e a buona parte dei fasci sottocorticali (Cabanis et al., 1994; Dronkers et al., 2007).

Figura 3 Modello del linguaggio introdotto da Broca-Geschwind

Alla luce di questi nuovi risultati ci si rende conto che i disturbi linguistici presentati dai pazienti non sono automaticamente riconducibile ad una lesione delle classiche aree Broca-Wernicke, inoltre, risulta maggiormente comprensibile la differenza tra un paziente e l’altro nella manifestazione dei sintomi. Pertanto, gli studi scientifici su cervelli lesionati tramite le diverse tecniche di brain imaging e di brain lesion hanno dato, e continuano a dare, un significativo apporto alla comprensione della neurobiologia del linguaggio e alla comprensione dell’eziologia dei disturbi linguistici anche se, come già discusso precedentemente, bisogna tenere in considerazione i fattori di plasticità neuronale che intervengono diminuendo la possibilità di generalizzazione dei risultati di questi studi su popolazione normale. Allo stato attuale tre sono i punti su cui la comunità scientifica concorda: (i) il cervello non è organizzato in regioni dissociabili per aspetti che riguardano la produzione e la comprensione del linguaggio ma queste funzioni sono distribuite all’interno di un complesso network corticale-sottocorticale; (ii) ci si interroga su come queste parti del network interagiscano tra di loro a livello cortico-corticale e cortico-sottocorticale (connettoma-odologia); (iii) il network cortico-sottocorticale è a sua volta coinvolto in altre funzioni cognitive e

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sensori-motorie classicamente ritenute dissociate dalle funzioni linguistiche ed, infine, in continua interazione con il resto del corpo (embodied cognition).

Neuroanatomia dei processi linguistici: produzione, percezione, comprensione

L’identificazione delle regioni cerebrali coinvolte nelle funzioni linguistiche e dei fasci sottocorticali interessati rappresenta uno degli obiettivi fondamentali delle moderne neuroscienze cognitive. Come già sottolineato, la concettulizzazione secondo il classico modello Broca-Wernicke è ormai ampiamente superata in quanto insufficiente rispetto alla evidente eterogeneità nelle manifestazioni sintomatologiche dei pazienti e alla non diretta e automatica relazione tra sede della lesione e sintomo clinico. La neuroanatomia del linguaggio si è andata via via sempre più articolando rispetto alle tre componenti principali che lo caratterizzano: produzione, percezione, comprensione, di seguito trattati uno ad uno.

La produzione linguistica

La produzione linguistica è un processo complesso e composto da più fasi. Innanzitutto bisogna partire da ciò che muove l’intero processo: l’ntenzione comunicativa. Il soggetto che ha intenzione e motivazione a comunicare un messaggio deve tradurre questo messaggio in una serie di suoni che compongono le parole, a loro volta generate grazie ad uno specifico processo di codifica in suoni che devono essere ordinate secondo delle regole ben precise (Levelt, 1999). La produzione di ogni singola parola prevede la coordinazione di diverse component sensori-motorie, come il sistema respiratorio (dal quale si genera l’energia necessaria per poter produrre le parole) il sistema laringeo (che converte l’aria in suoni trasformando le emissioni vocali in vibrazioni) il sistema articolatorio (che converte l’output laringeo in sequenze di vocali e consonanti). Parallelamente è altrettanto articolata l’architettura neuronale sottesa al processo di produzione linguistica includendo centri di controllo corticali e sottocorticali, sei nervi cranici (facciale, ipoglossale, trigeminale, glossofaringeale, vago e accessorio), un numero sostanziale di muscoli che convergono all’addome,

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collo, faccia, bocca e laringe, e molti altri recettori sensoriali delle articolazioni, tendini e muscoli. Tutta questa straordinaria complessità per la produzione di una parola che avviene nell’arco di qualche centinaio di millisecondi (Kent, 2000). Rispetto ai circuiti corticali implicati nella produzione linguistica recenti studi mostrano, oltre al coinvolgimento delle classiche aree Broca-Wernicke, un sostanziale coinvolgimento dell’insula (Price et al 1996; Riecker et al., 2005; Riecker et al., 2008; Bohland et al., 2006). Altre regioni corticali sono inoltre coinvolte in specifici compiti di ripetizione, denominazione per classi semantiche, generazione di parole, nello specifico: aree primarie sensoriale e motoria, giro precentrale e giro postcentrale ed i relativi solchi, giro frontale inferiore, corteccia premotoria ventrale, area motoria mediale (area motoria cingolata, corteccia motoria supplementare e pre-supplementare), gangli della base e cervelletto (Wise et al., 2001; Fu et al., 2002; Abrahams et al., 2003; Tremblay et al., 2006; Tremblay et al., 2009; Alario et al., 2006). Il modello teorico che riflette questa complessità è dunque un modello estremamente articolato e distribuito ma allo stesso tempo “specializzato”, ovvero diverso è il peso ed il ruolo che ogni area della corteccia e ogni specifica rete neuronale che si costituisce dà per specifico compito di produzione linguistica, per esempio produrre sillabe o parole, denominare oggetto o verbi, differenziare le classi semantiche (Lieberman et al., 1985; Ziegler et al., 2003).

Inoltre, l’architettura neuronale riflette la complessità del processo di produzione linguistica che oltre alla già nota area di Broca si estende in molte altre aree della corteccia a loro volta connesse da vie sottocorticali.

Percezione e comprensione del linguaggio

Analogamente alla produzione linguistica, la percezione e comprensione linguistica sono descritti come due processi articolati che prevedono una serie di sub-step e il coinvolgimento di diverse aree del cervello e del resto del corpo con l’obiettivo ultimo di comprendere e comunicare il linguaggio. Quando qualcuno parla, il primo segnale neuronale che il nostro cervello riceve origina

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dall’apparato vestibulo-cocleare a livello del tronco cerebrale, quindi arriva al collicolo inferiore della parte mediale del cervello, coinvolgendo il nucleo genicolato mediale ed il talamo, infine, alla corteccia motoria primaria, che occupa la parte mediale del lobo temporale. I dati elettrofisiologici dimostrano che la percezione del segnale uditivo avviene, nonostante il coinvolgimento di queste differenti strutture, nell’arco di 50-200 ms dall’emissione dello stimolo. Dalla corteccia uditiva primaria il segnale uditivo passa alla corteccia associativa uditiva. Rispetto alle modalità di processamento del segnale sensoriale uditivo, ad oggi, la teoria maggiormente accreditata e condivisa dalla comunità scientifica è quella proposta da Rauschecker e colleghi (2000; 2009) che prevede due vie di elaborazione del suono, una “dorsale” e una “ventrale”. La via ventrale include la corteccia uditiva primaria, la parte anteriore del giro superiore temporale (aSTG) che sembrerebbe essere particolarmente sensibile ai suoni vocali (Belin et al., 2002; Belin et al., 2003; Obleser 2006) la parte opercolare e triangolare del giro frontale inferiore; secondo tale modello è coinvolta nell’elaborazione degli aspetti gnosici del percetto “what” “che cosa” si sta percependo-identificazione dello stimolo. La via dorsale, invece, include anch’essa la corteccia uditiva primaria, il planum temporale, l’area parietale posteriore, corteccia premotoria e corteccia prefrontale (Pulvermuller et al., 2006) e si occupa dell’elaborazione degli aspetti spaziali del percetto, per questo denominate via del “where” ovvero del “dove”. Analogamente Hickok e Poeppel (2000; 2004; 2007) propongono un modello linguistico detto delle “due vie”, che rafforza e aggiunge dati di evidenza empirica a quanto già precedentemente esposto. Il modello prevede che tutti gli imput linguistici siano sottoposti ad una prima elaborazione fonologica che avviene nella parte dorsale e posteriore del giro temporale superiore (STG), a questo punto il segnale segue parallelamente i due percorsi che divergono, la via dorsale si occupa della trasformazione del segnale da uditivo a motorio e dei processi articolatori; questa via include diverse connessioni tra PT e PMv pIFG e insula e, dunque, riveste un ruolo di primaria importanza nei processi di trasformazione

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motoria. La via ventrale, invece, secondo il modello, è indispensabile per i processi di attribuzione semantica allo stimolo uditivo e di comprensione. Riassumendo, il modello linguistico “dorsale-ventrale” proposto da Rauschecker e colleghi si focalizza sull’identificazione e localizzazione dei percorsi di elaborazione che a livello neuronale compiono gli imput sensoriali linguistici, il modello “dorsale-ventrale” di Hickock e Poeppel differenzia le due vie in quella specifica per la percezione linguistica (dorsale) e quella specifica per la comprensione linguistica (ventrale). Un’ampio filone di ricerca sulle basi cerebrali del linguaggio negli ultimissimi anni supera anche quest’ulteriore dicotomia suggerendo una sostanziale sovrapposizione e quasi indifferenziazione delle reti corticali e sottocorticali deputate all’elaborazione percettiva ed ai processi di comprensione linguistica. Per esempio è stato dimostrato che un compito di ascolto passivo di sillabe e fonemi attiva la regione motoria frontale corrispondente ed intorno al solco ventrale precentrale, in corrispondenza dell’area dell’area della bocca (Wilsona et al., 2004; Pulvermuller et al., 2006; Wilson et al., 2006). Allo stesso modo, la visione passiva di un video in cui dei soggetti raccontano una storia attiva la corteccia premotoria ventrale (PMv), più del solo ascolto della stessa storia senza però la visione del soggetto che la racconta, suggerendo un effetto mirroring rispetto al riconoscimento dei gesti articolatori del parlante (Skipper et al., 2005). Gli studi condotti tramite utilizzo di stimolazione magnetica transcranica (TMS) hanno, inoltre, rilevato che la stimolazione della corteccia motoria primaria dell’emisfero sinistro in corrispondenza dell’area che controlla i movimenti bucco-facciali durante un compito di ascolto passivo genera delle risposte motorie a livello della bocca e della lingua (Fadiga et al., 2002; Sundara et al., 2001; Watking et al., 2004; Watkins et al., 2003). Allo stesso modo, la stimolazione tramite TMS in are PMv interferisce con la discriminazione dei suoni linguistici mescolati ad altri suoni (Meister et al., 2007). Tutti questi risultati suggeriscono un parallelo coinvolgimento di ampie reti neuronali sia nei processi di percezione e produzione linguistica sia di comprensione e superano di gran lunga le classiche teorizzazioni dicotomiche e

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localizzazioniste, suggerendo l’opportunità di approcciarsi allo studio del linguaggio secondo una prospettiva connettomica e olistica. Sintetizzando le diverse teorizzazioni attuali e i diversi filoni di ricerca si può concludere dicendo che tutti gli imput linguistici sono sottoposti ad una analisi fonologica a livello dorsale e mediale della scissura silviana. Questa analisi è a sua volta possibile grazie all’accesso alle conoscenze e rappresentazioni semantiche cui sarebbero preposte la parte posteriore del giro temporale mediale ed il giro temporale inferiore. Il giro temporale medio, inoltre, e la parte anteriore del giro temporale superiore sembrerebbero essere coinvolti nei processi sia sintattici sia semantici; la parte anteriore del giro frontale inferiore (aIFG), contrariamente al classiche teorie a partire da Broca-Wernicke, svolge anch’essa un ruolo cruciale nei meccanismi di elaborazione semantica. Uno studio tramite TMS ha dimostrato che la stimolazione del aIFG ritarda la performance dei soggetti ad un compito di decisione semantica e non a quelli di percezione linguistica (Devlin et al., 2003). In aggiunta a questa straordinaria complessità di processi di elaborazione linguistica e circuiti neuronali preposti a tali compiti già sopra descritti, sono sempre di più i dati in letteratura scientifica che supportano l’ipotesi “dell’embodied semantics” che dice che la comprensione di parole o frasi che indicano azioni o movimento attivano i circuiti neuronali richiesti per l’esecuzione dei movimenti stessi, confermando ancora di più il ruolo cruciale svolto per i processi semantici e di comprensione dal aIFG e rafforzando il legame tra corteccia motoria e linguaggio e movimento e linguaggio (Mahon BZ, Caramazza A, 2008).

I suoni linguistici formano parole che a loro volta formano frasi, che a loro volta permettono lo scambio e contestualmente la comprensione di messaggi, pensieri e idee tra gli esseri umani. Come ampiamente descritto, molto ad oggi sappiamo di questi processi e le neuroscienze continuano facendo passi da gigante ma, allo stesso tempo, molto poco difatto è stato compreso rispetto a dove comincia la percezione delle parole, come si passa alla comprensione linguistica e dove essa finisce. Quello che si può sicuramente affermare è che il linguaggio rappresenta la più complessa funzione

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cognitiva e coinvolge una larghissima rete di parti della corteccia e neocorteccia, a loro volta connesse a fasci sotto-sorticali. Inoltre, il legame con tutto il resto del corpo, e con il movimento in particolare, è ormai innegabile rispetto alla genesi ed evoluzione, ma anche alle problematiche, dei processi linguistici.

Connessioni sottocorticali importanti per le funzioni linguistiche: una visione d’insieme

Quanto esposto fino ad ora fornisce una sintesi dell’organizzazione corticale del linguaggio umano. Di seguito una descrizione d’insieme dei fasci sottocorticali che svolgono funzioni linguistiche o, meglio ancora, connettono le reti corticali preposti ai diversi processi perettivi, produttivi e di comprensione, favorendo lo scambio e l’integrazione degli esiti di queste elaborazioni senza il quale non si darebbe vita ai fenomeni linguistici così come li conosciamo. Due i principali metodi di studio delle connessioni sottocorticali coinvolti nei fenomeni linguistici: trattografia (DTI) e stimolazione elettrica intraoperatoria in pazienti trattati chirurgicamente da svegli. In generale, gli studi condotti utilizzando queste metodologie suggeriscono che sono sei i fasci di fibre che potenzialmente assolvono a compiti linguistici: il fascicolo longitudinale superiore (SLFIII), il fascicolo arcuato (AF), il fascicolo longitudinale mediale (MdLF), il fascicolo longitudinale inferiore (ILF), il fascicolo uncinato (UF) e la capsula estrema (EC). Anche per quanto riguarda i fasci sottocorticali è possibile operare una distinzione secondo la loro collocazione in vie “dorsali” e vie “ventrali”, le prime coinvolte in processi di elaborazione e rappresentazione uditivo-motoria, le seconde coinvolte nell’elaborazione dei contenuti semantici. Le ricerche in chiave odotopica sul ruolo delle connessioni sottocorticali nei fenomeni linguistici sono notevolmente aumentate soprattutto negli ultimi anni grazie alla neuro-oncologia funzionale e agli interventi neurochirurgici con pazienti svegli (condition sine qua non per gli studi tramite stimolazione elettrica intraoperatoria). Nonostante i progressi, però, molti i limiti legati a questi metodi, soprattutto alla DTI. In primis, affinchè si possa eseguire una trattografia si può selezionare solo l’area di interesse;

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questo metodo si basa su delle conoscenze neuroanatomiche derivate da studi post-mortem e funziona ipotizzando a priori il corso del tratto di fibre. È fondata su un assunto che non può essere valido dove la sostanza bianca/grigia o la sostanza bianca/fluido cerebrospinale si sovrappongono e coincidono (Assof et al., 2008; Tourmer et al., 2002; Lazar et al., 2003; Tench et al., 2002). Questi limiti potenzialmente possono comportare diversi problemi come: indicare la fine di un tratto di fibre laddove ancora il fascio non è finito, identificare dei tratti che non esistono o misidentificare due o più tratti come un unico tratto.

In aggiunta ai dati apportati dall’utilizzo della DTI, e nonostante i limiti pocanzi descritti, lo studio del ruolo dei tratti di fibre nelle funzioni linguistiche procede anche grazie al metodo di stimolazione elettrica intraoperatoria che consiste in una stimolazione tramite elettrodi dei fasci di fibre esposti ed anche delle porzioni corticali durante l’esecuzione di uno specific task compiuta dal paziente che rimane sveglio durante l’intervento neurochirurgico (Szelenyi et al., 2010). Se la stimolazione elettrica determina un errore nella performance del paziente si deduce che quel particolare fascio è verosimilmente deputato al controllo della funzione linguistica che il task richiede e valuta. Anche in questo caso le deduzioni vanno fatte ed interpretate con molta cautela, ma è necessario continuare in questo senso con gli studi che prevedono l’adozione di questa metodologia in quanto molto ancora si dovrà studiare del ruolo svolto dai fasci sottocorticali per le funzioni linguistiche. La stimolazione elettrica intraoperatoria, difatti, presenta notevoli vantaggi ma anche svantaggi. Sicuramente la precisione del metodo in termini spaziali e funzionali, è l’unico modo per studiare in vivo il cervello degli esseri umani durante l’esecuzione di compiti specifici, rappresenta un grosso vantaggio in ambito neuroscientifico. Il principale svantaggio riguarda, invece, che non può attingere a precisi punti di riferimento per stabilire dove comincia e dove finisce il fascio di fibre, inoltre, solo in pochi casi è possibile adottare questa metodologia in quanto affinchè un paziente possa sostenere un intervento in awake deve possedere alcune caratteristiche

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cognitive, emotive e personologiche che gli permettano di reggere il carico di stress emotivo che sicuramente la situazione comporta.

A fronte di tutti i vantaggi e svantaggi che ogni metodo porta con sè, l’integrazione di queste metodologie con i metodi di studio e mapping preoperatorio delle funzioni linguistiche (di seguito una descrizione della nTMS), laddove possibile, nei prossimi anni contribuirà significativamente alla comprensione della neurobiologia dei processi cognitive in oggetto.

Stimolazione magnetica transcranica navigata (nTMS) per lo studio ed il mapping preoperatorio delle funzioni linguistiche in pazienti neurochirurgici: un nuovo metodo clinico

Come già anticipato precedentemente la nTMS in ambito neurochirurgico per lo studio pre-operatorio dell’organizzazione funzionale corticale delle funzioni linguistiche dei pazienti affetti da tumori cerebrali che interessano le aree perisilviane e, più in generale, i network principalmente coinvolti nei processi di interesse, si sta sempre di più affermando come affidabile e attendibile metodo che fornisce dati decisivi per il planning preoperatorio. Il motivo di tale diffusione e attendibilità riguarda il fatto che il principio di funzionamento della nTMS è simile a quello della stimolazione elettrica intraoperatoria, che rappresenta il gold standard ma, come detto, non sempre eseguibile. La nTMS, infatti, scarica una corrente magnetica che interferisce con una precisa area corticale durante l’esecuzione di un task. Se il paziente commette degli errori è possibile dedurre che quell’area è coinvolta in quel processo linguistico che il task si propone di indagare; l’area corticale è virtualmente e transitoriamente danneggiata come a voler simulare quello che accadrebbe durante la stimolazione elettrica intraoperatoria ma attraverso un metodo non invasivo e secondo una logica di causa-effetto. Gli errori elicitati possono essere speech-arrest, parafasie fonologiche o semantiche, anomie, neologismi, ecc. La più possibile precisione spaziale è garantita dal modello in 3D del cervello del paziente in oggetto che il sistema genera dai dati di RMI acquisiti. La stimolazione a singolo impulso si esegue per il mapping preoperatorio delle funzioni

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motorie (corteccia motoria), il mapping di aspetti linguistici si esegue tramite stimolazione ripetitiva, la procedura è descritta nel cap.1.

A fronte dei vantaggi e del crescente utilizzo della nTMS in ambito neurochirurgico, anche questo metodo presenta alcuni limiti e svantaggi che il clinico che la utilizza deve tenere in considerazione. I pazienti generalmente faticano a rilassarsi e questo può comportare rumore al segnale elettromiografico che a sua volta può essere causa di falsi positivi. I pazienti molte volte risultano essere poco collaboranti o non collaboranti pertanto l’esame è nullo. Per ovviare a questo problema è indispensabile condurre un colloquio prima, durante e dopo l’esame con il paziente per cercare di stabilire un ottimale livello di collaborazione e di fiducia nei confronti del clinico. Inoltre, l’esame ha ragione di essere eseguito solo se il paziente è stato precedentemente sottoposto a valutazione neuropsicologica che escluda la presenza di deficit cognitivi. Generalmente l’esame risulta essere, con i dovuti accorgimenti come esposto, fattibile e non particolarmente lungo o stressante. Anche in questo caso va sottolineato che le variabili individuali dei pazienti giocano un ruolo fondamentale. Rispetto ai risultati ottenuti, come precedentemente esposto tramite una analisi degli errori che esegue il clinico esperto di linguaggio comparando la performance del paziente durante la fase di baseline con quella durante la fase di stimolazione ripetitiva corticale, va inoltre sottolineato che sono, in definitiva, il risultato di una valutazione ed interpretazione del clinico e pertanto non verità assoluta; inoltre, gli errori elicitati possono non essere diretta conseguenza della stimolazione ma di altri fattori come la stanchezza del paziente o più semplicemente delle disartrie. L’esperienza e una accurata formazione del clinico possono ridurre le problematicità legate a questo metodo.

Studi scientifici sul linguaggio condotti tramite nTMS in ambito neurochirurgico

Nel 2011 è stato pubblicato il primo lavoro scientifico sull’utilizzo della nTMS per il mapping delle abilità linguistiche (Lioumis et al., 2011). Gli autori presentano e descrivono la metodologia, il device ed il setting proponendo al contesto una prima classificazione degli errori linguistici

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utlizzabile per questa metodologia. Lo studio vede solo quattro soggetti sani come partecipanti ma propone per la prima volta la procedura per l’utilizzo clinico di questo strumento per il mapping preoperatorio dell’abilità di denominazione in pazienti neurochirurgici. La nTMS per il mapping neurochirurgico mostra una significativa affidabilità ed attendibilità se confrontata con la DCS (Picht et al., 2013); inoltre, il mapping funzionale preoperatorio delle capacità motorie e abilità linguistiche condotto tramite la combinazione nTMS e DTI aumenta il numero e l’attendibiltà di dati corticali-sottocorticali utilizzabile per una migliore progettazione del piano chiarurgico e per una resezione massima della lesione tumorale (Raffa et al., 2017), inoltre, i pazienti sottoposti a mapping preoperatorio mostrano un outcome funzionale migliore rispetto a quelli non sottoposti (Frey et al., 2014). Il mapping preoperatorio del linguaggio condotto su pazienti affetti da tumore cerebrale che invade le aree perisilviane se confrontato con quello eseguito su soggetti volontari mostra una significativa riorganizzazione funzionale dei network corticali (Rosler et al., 2014) e se eseguito su entrambi gli emisferi dei pazienti con tumore cerebrale mostra un recrutamento significativo delle aree linguistiche omologhe controlaterali suggerendo uno shift delle abilità di denominazione (Krieg et al., 2011). È stata indagata la rappresentazione corticale delle funzioni linguistiche in soggetti mancini (Tussis et al., 2016) e i network coivolti nelle funzioni linguistiche dell’emisfero destro di soggetti sani destrimani (Sollman et al., 2014). Diversi studi sono stati condotti tramite nTMS utilizzando tasks semantici differenti dimostrando il coinvolgimento di aree corticali differenti per la denominazione di oggetti versus la denominazione di azioni (Hernandez-Pavon et al., 2014); La combinazione del mapping tramite nTMS e tramite fMRI aumenta la sensibilità e l’attendibilità dei risultati preoperatori e correla significativamente con la DCS (Ille et al., 2015). Ed ancora, uno studio recentissimo condotto tramite nTMS e DTI in soggetti sani mostra la significativa relazione tra le aree corticali essenziali per il linguaggio ed il fascicolo arcuato (Lin et al., 2017); la nTMS via via si comincia ad utilizzare anche per il mapping preoperatorio di

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funzioni cognitive diverse da quelle linguistiche, come il riconoscimento di volti (Maurer at al., 2017) l’attenzione visuo-spaziale (Giglhuber et al., 2017) abilità di calcolo (Maurer et al., 2016) la scrittura (Vidakovic et al., 2015) memoria visiva immediata (Kraft et al., 2015).

Conclusioni

Nonostante alcuni limiti precedentemente descritti, la nTMS si mostra, ad oggi, un valido ed affidabile strumento per il mapping preoperatorio delle funzioni linguistiche in pazienti affetti da tumore cerebrale che interessa le aree perisilviane, ovviamente buoni risultati in termini clinici e di ricerca si possono ottenere solo se dietro ci sta un pensiero critico e metodologicamente corretto e coerente di chi ne fa utilizzo. Anche la sovrapponibilità dei dati ottenuti con quelli che si ottengono tramite DCS, senza essere invasivo, fa della nTMS uno strumento in crescente uso nei contesti neurochirurgici. Inoltre, il crescente uso combinato nTMS e DTI fa di questo protocollo un metodo promettente per la comprensione future in chiave connettomica del linguaggio. Queste connessioni sono suscettibili di crescente comprensione se attraverso la nTMS si passa via via da uno studio globale del linguaggio (inteso solo in termini di capacità di denominazione; come già visto nella stragrande maggioranza degli studi si utilizza solo object naming task) ad uno studio delle sub-componenti dei fenomeni linguistici, come i vari aspetti della semantica, dell’elaborazione fonologica, della lettura, della scrittura e così via. Si dovrà ancora molto lavorare per migliorare questa metodologia in termini sia di parametri di stimolazione sia di costruzione ed implementazione di nuovi tasks cognitivi e linguistici che permettano una maggiore e più fine comprensione dei processi indagati. Gli obiettivi futuri riguardano, infatti, un utilizzo della nTMS in combinazione con altri metodi di brain mapping che permetta maggiore precisione e affidabilità della metodologia per la pianificazione preoperatoria e la tutela delle funzioni linguistiche e maggiore comprensione delle connessini cortico-sottocorticali sottese ai diversi aspetti, o sub-componenti, del linguaggio.

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CORRELATI CORTICALI PER LA DENOMINAZIONE DI OGGETTI-VIVENTI E

OGGETTI-NON VIVENTI: STUDIO CLINICO DELLE FUNZIONI LINGUISTICHE

TRAMITE STIMOLAZIONE MAGNETICA TRANSCRANICA NAVIGATA (nTMS) IN PAZIENTI AFFETTI DA TUMORE CEREBRALE IN AREE ELOQUENTI.

Introduzione

Le attuali teorie che spiegano i processi di produzione e comprensione linguistica coinvolgono dei network corticali e sottocorticali davvero molto complessi soprattutto dell’emisfero sinistro del cervello (Hickok and Poeppel, 2004). Questi complessi correlati anatomici si occupano sia della primaria integrazione di informazioni uditive, motorie e visive per poi passare ad un livello maggiormente complesso di elaborazione dei simboli linguistici; la rete di connessioni corticali- sottocorticali può intendersi rappresentata da due vie: la “via ventrale” che si occupa primariamente dei processi di elaborazione semantica e la “via dorsale” che si occupa dei processi di elaborazione fonologica e articolatori del linguaggio. Posizioni altrettanto moderne suggeriscono una sostanziale sovrapposizione e quasi indifferenziazione delle reti corticali e sottocorticali deputate all’elaborazione percettiva ed ai processi di comprensione linguistica e che la parte anteriore del giro frontale inferiore (aIFG), contrariamente al classiche teorie a partire da Broca-Wernicke, svolge anch’essa un ruolo cruciale nei meccanismi di elaborazione semantica. Uno studio tramite TMS ha infatti dimostrato che la stimolazione del aIFG ritarda la performance dei soggetti ad un compito di decisione semantica e non a quelli di percezione linguistica (Devlin et al., 2003). Inoltre, sono sempre di più i dati in letteratura scientifica che supportano l’ipotesi “dell’embodied semantics” che dice che la comprensione di parole o frasi che indicano azioni o movimento e la denominazione di esseri viventi in grado di compiere movimenti attivano i circuiti neuronali richiesti per l’esecuzione dei movimenti stessi, confermando ancora di più il ruolo cruciale svolto per i processi semantici e di comprensione dal aIFG e rafforzando il legame tra corteccia motoria e linguaggio e

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movimento e linguaggio (Mahon BZ, Caramazza A, 2008). Ed ancora, diversi dati in letteratura scientifica evidenziano che le conoscenze semantiche categoria-specifica per diverse entità sono organizzate in strutture di reti neuronali e anatomiche dedicate del cervello umano (Damasio et al., 1996, 2004). Infatti, diversi autori hanno mostrato dei deficit specifici nella ricognizione e denominazione visiva di alcuni oggetti come animali, frutta, vegetali ed esseri umani, che rientrano nella categoria cosiddetta degli “oggetti-viventi” e deficit specifici per la ricognizione e denominazione visiva di oggetti costruiti dall’uomo ed utelsili di vario uso, come posate, vestiti, mezzi di locomozione, facenti parte della categoria “oggetti-non viventi” (Damasio, 1990; De Renzi and Lucchelli, 1994; Hillis and Caramazza, 1991; Sartori et al., 1993; Silveri and Gainotti, 1988; Warrington and McCarthy, 1994; Warrington and Shallice, 1984). Ciò sta a significare che le conoscenze rispetto alle cose viventi e non viventi sono anatomicamente segregati in dei moduli indipendenti che attraverso lo sviluppo filogenetico ed ontogenetico si differenziano attraverso le modalità motorie e sensoriali che di volta in volta servono per apprendere il significato di un oggetto sia esso vivente o non vivente che viene codificato in regioni corticali separate (teoria sensori-funzionale) (Warrington and Shallice, 1984). In altre parole, filogeneticamente i correlati neuro-anatomici del cervello umano rispetto alle conoscenze semantiche si sono organizzati e specializzati in domini-specifici in relazione alla modalità alle volte preminentemente sensoriale ed alle volte preminentemente motoria che l’oggetto stesso richiede per poter assumere un significato ed essere riconosciuto. Damasio più di ogni altro autore si è occupato degli studi scientifici e sperimentali in ambito neuroscientifico sui correlati neuroanatomici delle categorie semantiche; in particolare egli suggerisce, sulla base dei risultati di studi di neuroimaging funzionale condotti con soggetti normali e con pazienti cerebrolesi che i livelli lessicale e semantico delle parole sono organizzati in categorie specifiche e dipendono da porzioni segregate e distinte della corteccia del lobo temporale dell’emisfero sinistro (Damasio et al., 1996). In uno studio recentissimo condotto in

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ambito neurochirurgico attraverso l’utilizzo della stimolazione elettrica corticale diretta (DCS) durante interventi di asportazione di tumore con pazienti svegli ci si è posti l’obiettivo di indagare i correlati neuroanatomici ed i fasci di fibre coinvolti nella denominazione di oggetti-viventi e oggetti-non viventi (Giussani et al., 2011). I risultati dimostrano un significativo coinvolgimento delle aree posterolaterali della corteccia temporoparietale dell’emisfero sinistro per la denominazione di oggetti appartenenti alla categoria non viventi.

La stimolazione magnetica transcranica navigata (nTMS) è stata utilizzata per la prima volta per studiare attraverso mapping preoparatorio di pazienti affetti da tumori delle aree eloquenti per il linguaggio le aree corticali specifiche per la denominazione di oggetti-viventi e oggetti-non viventi. L’ipotesi di ricerca è che le aree frontali e motorie siano maggiormente coinvolte nella denominazione di oggetti-viventi, in quanto, la modalità di apprendimento e riconoscimento è prevalentemente motoria (teoria sensori-funzionale) (Warrington and Shallice, 1984) e che le aree posterolaterali della corteccia temporoparietale dell’emisfero sinistro siano maggiormente coinvolte nella denominazione di oggetti-non viventi, come già dimostrato precedentemente (Giussani et al., 2011), aspettandoci dunque una dissociazione tra aree corticali anteriori e motorie e quelle posteriori e temporali.

Per testare questa ipotesi sono stati sottosposti a mapping preoperatorio delle aree corticali dell’emisfero sinistro pazienti affetti da tumori cerebrali ricoverati presso la Clinica Neurochirurgica del Policlinico di Messina.

Inoltre, i risultati del mapping sono stati utilizzati intraoperatoriamente per ottimizzare la resezione chirurgica e prevenire l’insorgenza di deficit linguistici post-operatori; per tale ragione è stato anche eseguito un assessment neuropsicologico pre e post-operatorio.

Figura

Figura	1	Stimolazione	magnetica	transcranica	navigata	(Nexstim)
Tabella	1	dati	socio-demografici	e	clinici	dei	pazientI
Figura	5	Aree	corticali	che	elicitano	un	maggior	numero	di	errori	linguistici	(performance,	semantici,	fonologici)
Figura	10	Aree	corticali	coinvolte	nell'elicitazione	del	maggior	numero	di	errori	di	denominazione	per	oggetti-viventi	e	oggetti- Figura	10	Aree	corticali	coinvolte	nell'elicitazione	del	maggior	numero	di	errori	di	denominazione	per	oggetti-viventi	e	ogget
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