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Analisi dei costi del processo di gestione e smaltimento dei non-performing loans

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Academic year: 2021

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Università degli Studi di Pisa

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e

Controllo

Anno Accademico 2016-2017

TESI DI LAUREA

Analisi del processo di gestione e smaltimento dei

non-performing loans.

CANDIDATO RELATORE

Nicolò Santi

Prof. Riccardo Giannetti

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3 A mio zio Luigino

“Fare un altro round quando pensi di non farcela è una cosa che può cambiare tutta la tua vita”

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4 Sommario

Introduzione ... 6

1 - Il contesto di riferimento... 8

1.1 Crisi economica ed analisi dei crediti deteriorati ... 8

1.2 Nuovi scenari della regolamentazione: Basilea 2 ... 11

1.3 Ultimo intervento della BCE: le linee guida sulla gestione dei NPLs ... 13

2 - I non-performing-loans (NPLs) ... 16

2.1 Classificazione dei crediti deteriorati ... 16

2.2 Il calcolo del rischio e i requisiti patrimoniali ... 22

2.2.1 Sistema STANDARD (Standard Rate Base Approach - SRB ... 25

2.2.2 Sistemi IRB (Internal Rating-Based Approach) ... 27

2.3 Le rettifiche di valore ... 31

3 - Il processo di recupero dei NPLs ... 35

3.1 Definizione di processo e contestualizzazione ... 35

3.2 La fase stragiudiziale ... 37

3.3 La fase giudiziale ... 39

3.4 Le attività, le risorse, i vincoli e l’output. ... 41

3.5 Un’opzione alternativa: la vendita nel mercato dei NPLs ... 54

3.5.1 Il processo di determinazione del prezzo di vendita ... 61

4 - La gestione strategica dei costi ... 64

4.1 Il modello di Shank-Govindarajan ... 64

4.2 Contestualizzazione del modello per una gestione strategica dei costi del processo di recupero dei NPLs. ... 74

5 - Applicazione del modello al processo di recupero dei NPLs ... 83

5.1 La deal preparation ... 84

5.2 La fase stragiudiziale ... 87

5.3 La fase giudiziale ... 93

5.4 La vendita ... 97

6 - Il caso WID project ... 101

Introduzione ... 101

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5 6.2 La deal preparation ... 103 6.3 Il portafoglio WID ... 113 Conclusioni ... 131 BIBLIOGRAFIA ... 133 SITOGRAFIA ... 134

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Introduzione

In qualsiasi tipo di attività, i crediti vantati verso la clientela sono da sempre oggetto di attenzioni significative. In particolar modo, nel caso in cui questi diventino “insoluti” manifestando un’effettiva difficoltà nel recupero di quanto dovuto, l'azienda dovrà attuare una serie di analisi e valutazioni volte a definire politiche di gestione degli stessi per evitare il manifestarsi di una perdita. L’importanza rivestita di tali entità trova fondamento nell’attuale crisi finanziaria che dal 2007 pervade l’economia mondiale. Infatti l’origine di tale recessione è da identificarsi nella concessione superficiale dei cosiddetti mutui subprime da parte delle banche alle famiglie americane, implicando una serie di conseguenze ormai note. Con il passare degli anni, molte autorità sono intervenute per cercare di mitigare gli effetti dannosi; tuttavia solamente negli ultimi periodi si è iniziato ad intravedere la “luce in fondo al tunnel”. Infatti, quella che si identifica come difficoltà economica rappresenta solamente un effetto collaterale di una crisi ben più profonda che colpisce il settore dell’intermediazione finanziaria. Le banche, soprattutto quelle italiane, stanno scontando gli effetti di gestioni inadeguate, al mutare dei tempi e degli scenari, nell’attività di concessione di finanziamenti rilevando a bilancio un ammontare di crediti insoluti di dimensioni spropositate che ha portato, in alcuni casi, alla cessazione dell’attività di molti intermediari. Il peso enorme che rilevano i non-performing loans ha causato l’arenamento dell’ingranaggio societario e di conseguenza il blocco pressoché totale dell’attività di molti istituti creditizi. Non potendo più assolvere pienamente alle attività principali di concessione di finanziamenti, finanza, pagamenti e incassi, tutto il sistema economico si è bloccato di riflesso. Di conseguenza l’attenzione degli Organi di Vigilanza, nazionali ed europei, si è focalizzata sul processo di recupero dei crediti deteriorati.

Questo lavoro si propone come obiettivo quello di analizzare tale processo e, tramite l’applicazione del modello di Shank e Govindarajan basato su un’analisi strategica dei costi, di proporre alcune soluzioni volte a massimizzarne efficacia ed efficienza.

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In particolare nel capitolo 1, verrà proposta una breve analisi del contesto di riferimento in cui si trovano ad operare le banche. Si effettuerà l’excursus che dalla nascita della crisi ha condotto alla situazione economico-finanziaria attuale; in seguito verranno descritti i due interventi più significativi a livello internazionale, in ambito di regolamentazione del settore di intermediazione finanziaria.

Nel capitolo 2, verranno analizzati i non-performing loans (crediti deteriorati) fornendone una descrizione in linea con la nuova direttiva di Banca d’Italia. Unitamente si procederà all’identificazione delle due tipologie di costi generati con riferimento ad accantonamenti a fronte della copertura e delle rettifiche di valore concernenti i singoli crediti identificati. Il capitolo 3 riporta il processo di gestione e recupero dei non-performing loans. Oltre a descrivere le varie attività previste distinguendo tre macro-fasi, verrà identificata un’opzione alternativa riferita alla vendita di portafogli di crediti deteriorati a società terze. Infine si effettuerà un’analisi dei costi del processo identificando le attività che non creano valore ai fini della formulazione di soluzioni migliori in linea con un approccio basato sull’SCM.

Nel capitolo 4 viene descritto il modello di Shank e Govindarajan nella sua formulazione originaria identificando tre pilastri su cui tale logica trova fondamento: analisi della catena del valore, analisi del posizionamento strategico, analisi delle determinanti di costo. Successivamente si provvederà ad effettuare una contestualizzazione dello stesso al processo di recupero dei non-performing loans, sulla base di quanto identificato nel capitolo 3.

Il capitolo 5 rappresenta il cuore di questa tesi. A tal proposito si provvederà ad applicare il modello descritto alle attività previste dal processo, procedendo a strutturare un’analisi strategica dei costi e a definire soluzioni alternative in un’ottica di massimizzazione di efficienza ed efficacia.

Infine nel capitolo 6 si effettuerà un’analisi di un caso pratico di gestione di crediti deteriorati, unitamente alla formulazione di soluzioni alternative in linea con il modello proposto, evidenziando e quantificando gli effetti positivi derivanti.

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1 - Il contesto di riferimento

1.1 Crisi economica ed analisi dei crediti deteriorati

La recessione dovuta alla crisi, iniziata nel 2007, ha provocato una contrazione che ha avuto ripercussioni in tutte le principali economie, evidenziando il crollo nel commercio internazionale ed il peggioramento dei portafogli di crediti delle banche che hanno

continuato a deteriorarsi negli anni successivi1.

Le cause della crisi sono analizzabili sotto tre aspetti: • economico;

• finanziario; • bancario.

Il primo squilibrio mondiale si evidenzia con il crollo dei prezzi degli immobili negli Stati Uniti, dovuto sostanzialmente alla forte dipendenza dei più grandi centri economici dai consumi delle famiglie americane. Negli ultimi venticinque anni negli Stati Uniti si registra un risparmio privato decrescente fino ad assumere talvolta valori negativi e questo ha fatto sì che le famiglie consumassero più di quanto guadagnassero a causa (o grazie) al credito al consumo. La crisi è andata accentuandosi nel 2008 con il fallimento

della banca d’investimento Lehman Brothers2.

1 BECK R., JAKUBIK P., PILOIU A., “Non-performing loans: What matters in addition to the economic cycle?”,

Febbraio 2013.

2 Lehman Brothers: era una società per i servizi finanziari di fama mondiale. La sua attività si concretizzava

nell’investment banking, nell’equity e fixed-income sales, nelle ricerche di mercato e nel trading, nell’investment

management, nel private equity e nel private banking. Era uno dei primari operatori del mercato dei titoli di stato

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La crisi bancaria affonda le proprie radici nell’elargizione sconsiderata di mutui

subprime3, prestiti immobiliari concessi a soggetti caratterizzati da un alto rischio di

insolvenza, sul mercato americano. Inoltre successivamente alla crisi finanziaria dei mutui subprime è seguita quella del debito sovrano come conseguenza degli interventi

pubblici che miravano alla soluzione della prima4. Un altro fattore che ha portato alla

grande crisi è stato il crollo dei prezzi degli immobili. Tale caduta ha avuto ripercussioni importanti in tutto l’ambito macroeconomico e si è riflesso in molti paesi dell’Eurozona. In breve tempo la crisi colpisce l’economia reale abbattendosi principalmente sulla

produttività, causando la caduta del commercio mondiale5.

La conseguenza principale di questa crisi, si manifesta maggiormente nel calo del tasso di occupazione. Dato il minor reddito, la BCE fa registrare nel maggio del 2009 i tassi d’interesse più bassi dall’introduzione dell’Euro, con il fine ultimo di non arrestare i flussi di credito verso l’economia, frenando la minaccia del cosiddetto credit crunch.

Nell’area valutaria dell’Euro, la BCE continua le politiche economiche definite non convenzionali, e mediante operazioni di mercato aperto, continua ad immettere liquidità sul mercato. Ne segue una restrizione del divario delle oscillazioni del tasso d’interesse, nei rapporti con gli altri paesi, per le operazioni di credito dell’Eurosistema e per le

operazioni di rifinanziamento6. Ad ogni modo la principale conseguenza negativa

derivante dalla crisi economica è stata la sfiducia di qualsiasi soggetto verso i mercati. L’Italia a fine 2007 già aveva un debito pubblico molto elevato, ma la vera recessione è stata scatenata da diversi fattori:

• aumento eccessivo del debito pubblico in rapporto al PIL; • lenta crescita economica;

• scarsa fiducia nel sistema politico italiano.

Questi fattori, insieme al forte apprezzamento dell’Euro e al deficit della bilancia commerciale, hanno arrestato l’attrattività verso i mercati nazionali rispetto ad altri mercati o ad economie emergenti da parte degli investitori stranieri. Tale effetto è dovuto al fatto che questi ultimi hanno cominciato a nutrire una forte sfiducia nel grado di solvibilità dell’Italia.

3 TABELLINO G., “Il mondo dopo la prima crisi globale”, Il Sole 24 Ore, Maggio 2009. 4 COLOMBINI F., CALABRÒ A., “Crisi finanziare. Banche e stati”, Utet, 2011.

5 CAIVANO M., RODANO L., SIVIERO S., “La trasmissione della crisi finanziaria globale all’economia italiana. Un’indagine contro fattuale, 2008 – 2010”. Aprile 2010, n. 64

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Il problema reale si è riscontrato in politiche monetarie inadeguate che hanno pervaso il Paese. Ciò è dovuto al fatto che, non potendo fare riferimento al solo governo italiano, in quanto si dovevano considerare tutti i paesi facenti parte della Comunità Europea, si è optato per politiche di compromesso e non mirate al singolo problema. Sono state quindi le politiche fiscali a doversi adeguare a quelle monetarie adattate dalla BCE.

I settori reali maggiormente colpiti sono stati quelli automobilistico e tessile, mentre quelli che hanno subito in modo minore gli effetti della crisi sono stati quelli dei beni di lusso.

La situazione ha influito relativamente sul sistema bancario in quanto quest’ultimo non risultava molto esposto ai rischi di mercato, non avendo nel tempo elargito mutui subprime e non avendo un elevato grado di indebitamento. Tuttavia, nel settembre 2011 l’agenzia americana di rating Standard & Poor’s ha reso nota la decisione di declassare l’Italia e perciò, di palesare il calo di fiducia nel rimborso del debito pubblico italiano. Tale atto ha implicato un ulteriore perdita di fiducia dei creditori, in quanto ha reso ancora

più deboli le prospettive di crescita del paese7.

Nell’anno successivo Standard & Poor’s declassa ulteriormente il rating italiano, collocandolo in una posizione medio-bassa relativamente al grado di solvibilità del paese.

Insieme all’Italia nel “processo” di declassamento, sono giunte anche Francia ed Austria8.

In risposta arrivò la manovra attuata da Mario Monti9 per un valore di € 20 miliardi, con

l’obiettivo di consolidare le finanze dello stato, che ha comportato un’inversione di rotta sulle opinioni del mercato; questo giudizio, ora non pessimo, ha portato un abbassamento dei costi dell’indebitamento italiano ed una serie di vendite di titoli di stato con buone adesioni.

Per ciò che riguarda l’economia reale, la situazione continuava ad essere negativa e, se possibile, in continua discesa con un ulteriore calo dei consumi con conseguente riduzione degli investimenti, della produttività ed effetti drastici sul tasso di disoccupazione.

7 LIGAMMARI P., “Debito, S&P boccia (a sorpresa) l’Italia”, Corriere della Sera, 20 Settembre 2011. 8 FRANCESCHI A., “Declassati nove rating sovrani Ue. Francia ed Austria addio tripla A. L’Italia retrocede a BBB+” Il Sole 24 Ore, 13 Gennaio 2011.

9 Mario Monti è un economista e politico italiano. Eletto senatore a vita il 9 Novembre 2011. Presidente del Consiglio

dei Ministri della Repubblica Italiana dal 16 Novembre fino al 28 Aprile 2013, conserva l’incarico di ministro dell’economia e delle finanze dello stesso governo fino all’11 Luglio 2012, lasciando successivamente l’incarico al dicastero economico a Vittorio Grilli. Il 21 Dicembre dello stesso anno rassegna le sue dimissioni da premier, rimanendo in carica per la gestione degli affari correnti fino al 26 Marzo 2013. Fonte: wikipedia

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11 1.2 Nuovi scenari della regolamentazione: Basilea 2

Nel giugno del 2004 il Comitato Basilea per la vigilanza Bancaria ha reso pubblico il testo rivisto di un nuovo schema di regolamentazione, denominato “Convergenza Internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali”, comunemente conosciuto come Basilea 2, entrato poi in vigore nel 2007. Lo schema, oggetto di una lunga e complessa fase preparatoria, si propone fondamentalmente di creare le condizioni affinchè le banche siano incentivate a rafforzare i sistemi di risk management e a migliorare le loro strategie in materia di capitale proprio. Una prima domanda a cui bisogna dare risposta è perché le banche debbano essere soggette a requisiti di livello minimo di capitale proprio. Rappresentando il capitale un indicatore circa la capacità di crescita futura di una banca, in un certo senso identifica una sorta di tutela a fronte di perdite inattese. Ne deriva che una capitalizzazione adeguata consente anche di rafforzare la fiducia del pubblico nel grado di solvibilità degli istituti creditizi. La seconda domanda attiene a quanto capitale è opportuno che una banca detenga a fronte dei rischi in essere. Non c’è naturalmente una risposta unica; dipende molto dal tipo di attività svolta e dal livello dei rischi assunti. Rimane il fatto che un capitale troppo basso aumenta la probabilità di insolvenza, mentre un eccesso di capitale può rappresentare un uso inefficiente delle risorse. Infine è doveroso chiedersi perché si è reso necessario rinnovare radicalmente le regole in materia di capitalizzazione delle banche. Le regole precedentemente in vigore (Basilea 1, 1988) si sono dimostrate insufficienti a fronteggiare il nuovo contesto. In materia di rischio di credito si limitano a distinguere tra grandi classi di debitori applicando a ogni classe uno specifico fattore di ponderazione. Tuttavia all’interno della classe tutti i debitori sono considerarti sullo stesso piano. In sostanza non si tiene conto delle inevitabili differenze che esistono per esempio tra un’impresa e un’altra. Oggi, con l’enorme sviluppo delle tecniche gestionali e le innovazioni introdotte nell’attività finanziaria, la situazione è interamente cambiata. La ricerca di un’adeguata capitalizzazione delle banche unitamente allo sviluppo di sistemi di risk management rappresentano invece gli obiettivi di fondo di Basilea 2. Il raggiungimento di questi due obiettivi viene perseguito attraverso tre diverse linee di azione, cosiddetti pilastri, complementari tra di loro e, idealmente, destinate a rinforzarsi a vicenda10:

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1. I requisiti patrimoniali minimi; 2. Il processo di controllo prudenziale; 3. La disciplina di mercato.

Per quanto riguarda i requisiti patrimoniali minimi, l’innovazione fondamentale consiste nello stabilire una correlazione tra capitale necessario e livello di rischio di credito di ogni singola posizione. La capitalizzazione complessiva della banca risulta quindi dalla somma delle allocazioni di capitale misurate per le posizioni individuali. E’ chiaro che, in questa prospettiva, uno degli aspetti chiave delle nuove regole è rappresentato dai sistemi di misurazione del rischio di credito che verranno approfonditi nel capitolo successivo.

Nel nuovo schema, il calcolo dei requisiti minimi ruota attorno al concetto di rischio

operativo11. Si stabilisce un determinato accantonamento di capitale a fronte

dell’esposizione della banca al rischio di perdite dovute a inefficienza relative ai sistemi e processi operativi, a errori umani o a fattori esterni. Anche per il rischio operativo è possibile adottare approcci di calcolo più o meno sofisticati che riflettono il grado di sviluppo dei controlli interni.

In conclusione, l’aspetto che rileva fa riferimento ad un maggior grado di qualità che i sistemi di risk management presentano con Basilea 2 rispetto a Basilea 1. L’impostazione del secondo schema è statica, nel senso che il fabbisogno di capitale che la banca dovrà accantonare deriva dal calcolo dell’attivo ponderato per il rischio. Non fa alcuna differenza, ad esempio, in relazione alla qualità e affidabilità dei sistemi di valutazione dei rischi di credito e non fa differenza se il portafoglio di crediti alle imprese è costituito da posizioni di qualità primaria, ossia con un basso rischio di insolvenza, o al contrario, da posizioni ad alto rischio. Con Basilea 2, si cerca di legare più strettamente il fabbisogno di capitale della banca alle misure di rischio di credito e di rischio operativo determinate attraverso modelli e sistemi gestionali interni. La logica si fonda, da un lato nell’identificare il capitale sulla base del rischio effettivamente assunto, misurato per singole posizioni; dall’altro lato nell’ attivare un incentivo esplicito a sviluppare sistemi di misura e controllo del rischio sempre più accurati ed efficaci. L’incentivo è

11 Il rischio operativo è definito come il rischio di subire perdite derivanti dalla inadeguatezza o dalla disfunzione di

procedure, risorse umane e sistemi interni, oppure da eventi esogeni. Fonte: Banca d’Italia, “RECEPIMENTO

DELLA NUOVA REGOLAMENTAZIONE PRUDENZIALE INTERNAZIONALE (NUOVO ACCORDO SUL CAPITALE DI BASILEA E NUOVA DIRETTIVA C.E. SUI REQUISITI DI CAPITALE DELLE BANCHE E DELLE IMPRESE DI INVESTIMENTO)”, 2006.

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naturalmente costituito dal fatto che la qualità dei sistemi, con misure più precise e affidabili, consente di “risparmiare” capitale proprio.

1.3 Ultimo intervento della BCE: le linee guida sulla gestione dei NPLs

La Banca Centrale Europea sin dal 2014, con il Comprehensive Assessment, ha avviato un percorso di revisione della qualità degli attivi delle banche europee che ha comportato un’attenta attività di supervisione sui livelli di crediti deteriorati negli Istituti di credito europei. In tale contesto, nel Luglio del 2015, la BCE ha dato mandato a un gruppo di esperti composto da membri della BCE e delle Autorità nazionali (cosiddetta NPLs Task

Force), di avviare una significativa attività di supervisione sui Non-Performing Loans

(NPLs). Questi fanno riferimento all’insieme dei crediti deteriorati detenuti dalle banche, ossia quelle posizioni vantate che presentano delle difficoltà relativamente al recupero delle stesse secondo le modalità previste dal contratto.

Come riporta il comunicato stampa della BCE, redatto in data 12 settembre 2016, il 7 novembre 2016, alle ore 15:00, la BCE ha avviato una consultazione pubblica concernente le linee guida per le banche su come far fronte ai crediti deteriorati presso la sua sede a Francoforte. Tali direttive vertono sui “principali aspetti riguardanti la strategia, la governance e le operazioni che rivestono importanza cruciale per la risoluzione dei NPLs. Il documento fornisce raccomandazioni alle banche e illustra una serie di best practices che la Vigilanza bancaria della BCE ha individuato e che costituiranno le aspettative di vigilanza della BCE per il futuro. Le linee guida raccomandano alle banche che presentano un livello elevato di NPLs, cosiddetti

significant institutions, di stabilire una chiara strategia allineata al rispettivo sistema di

gestione dei rischi e piano industriale.” Il fine ultimo del modello proposto è quello di gestire efficacemente, e quindi ridurre, gli stock di NPLs tramite una metodologia che sia credibile, attuabile e tempestiva. Abbiamo detto che i destinatari di tale documento sono gli istituti definiti significant. Questi ultimi si distinguono dagli altri per l’elevato ammontare di NPLs detenuto. In particolare è stato definito un valore soglia tale per cui al di sopra dello stesso, le linee guida assumono un carattere pressoché obbligatorio. Per

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le realtà che presentano un ammontare di sofferenze al di sotto di tale valore di riferimento, la vincolatività è minore. Il valore cui si fa riferimento è la media degli stock detenuti da tutte le realtà a livello di eurozona. In linea generale, tali direttive non hanno carattere obbligatorio. Difatti la regola di base che permea tutto il sistema è che in caso di mancato rispetto di tali pratiche, l’istituto in oggetto dovrà dimostrare di aver provveduto in modo efficace ed efficiente, alla pianificazione ed implementazione di sistemi di gestione e smaltimento dei NPLs.

Analizzando il contenuto del documento, si individuano sei macro campi12:

1. Strategie di gestione dei NPLs;

2. Governance e assetto operative della gestione dei NPLs; 3. Misure di concessione (forbearance);

4. Rilevazione dei NPLs;

5. Politiche di accantonamento e cancellazione dei NPLs; 6. Valutazione delle garanzie immobiliari.

In linea generale, la strategia dovrebbe contemplare, oltre la definizione di politiche di gestione in base all’evoluzione del contesto sia esterno che interno, anche la definizione di obiettivi quantitativi per portafoglio e di un piano di attuazione dettagliato. Le linee guida esortano inoltre le banche a predisporre adeguate strutture operative e di governance per un efficace recupero dei crediti a sofferenza. Questi interventi dovrebbero essere realizzati coinvolgendo strettamente il management delle banche stesse, creando delle unità di risoluzione dei NPLs specializzate e formulando politiche chiare connesse al recupero delle stesse posizioni. Inoltre il documento presenta opzioni di breve e di lungo termine relative a misure attuabili di concessione, cosiddette pratiche di

forbearance, finalizzate a far rientrare le esposizioni ad una situazione di rimborso

sostenibile (in gergo tecnico in bonis). In aggiunta, indicano alle banche come definire le politiche di accantonamento e cancellazione degli stessi NPLs in linea con le raccomandazioni a livello internazionale. Inoltre, tracciano le politiche, le procedure e i flussi informativi che le banche dovrebbero adottare per la valutazione delle garanzie immobiliari assistenti le esposizioni deteriorate.

Per l’autorità di vigilanza le linee guida costituiranno uno strumento per valutare la gestione di tali realtà da parte degli istituti finanziari. Fronteggiare l’elevato livello di

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NPLs in alcuni istituti e in alcuni paesi dell’area-euro, è un processo iniziato con la valutazione approfondita del 2014 (BRRD). Questo esercizio ha portato ad accantonamenti più adeguati, fornendo alle autorità di vigilanza una solida base per trattare più a fondo tale problematica.

In conclusione, le linee guida fanno seguito al processo di riduzione dell’ammontare di stock e flussi di NPLs, riconoscendo che occorrerà del tempo finché non avranno raggiunto livelli ragionevoli, ma spostando anche gradualmente l’enfasi sulla tempestività degli accantonamenti e delle cancellazioni. In tale sede si è provveduto a darne una descrizione generale; per visionare il dettaglio delle attività indicate, si rinvia al documento stesso.

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2 - I non-performing-loans (NPLs)

2.1 Classificazione dei crediti deteriorati

Dopo aver delineato il contesto di riferimento che caratterizza il mondo finanziario e, indirettamente quello economico generale, entriamo nel merito del presente studio andando a definire l’oggetto di analisi: i non-perfoming loans (NPLs).

I non-performing loans sono le attività finanziarie riferite a crediti verso clientela per le quali, a seguito del verificarsi di eventi occorsi dopo la loro iscrizione, sia intervenuta un’inadempienza (c.d. Default), ovvero mostrino oggettive evidenze indicative del loro probabile verificarsi. In altre parole, sono quelle attività per le quali i debitori non riescono più a ripagare il finanziamento ricevuto dalla banca, sia per la quota capitale che per la quota interessi. La nuova normativa di Banca d’Italia classifica tali attività in tre

macro-classi (c.d. status del credito deteriorato)13:

• Esposizioni scadute e/o sconfinanti (c.d. Past Due): ovvero trascorsi 90 giorni di ritardo nei pagamenti;

• Inadempienze probabili (c.d. Unlikely to Pay): ovvero trascorsi 180 giorni di ritardo nei pagamenti o in caso di posizioni per le quali la banca ritiene difficile recuperare le somme prestate, come liquidazione e/o scioglimento della ditta, sofferenze rilevate a sistema, ecc;

13Fonte: Banca d’Italia, Circolare n. 272 del 30 luglio 2008 (Fascicolo «Matrice dei conti») – 7° aggiornamento del 20 gennaio 2015.

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• Sofferenze: ossia posizioni per cui, a prescindere dalle valutazioni fatte dalla banca, lo status di insolvenza è ormai accertato. Ciò si traduce sostanzialmente in perdite per l’istituto di credito.

In realtà, la nuova normativa introduce, in aggiunta alla classificazione sopra citata, una nuova macro-categoria di crediti: i forborne. Essi rappresentano quei crediti, in bonis o deteriorati, oggetto di concessioni o ritrattazioni (c.d. misure di forbearance) da parte della banca. Si tratta in genere di esposizioni per le quali una banca modifica le condizioni contrattuali, in ragione dell’evidenza da parte del debitore di uno status di complessiva difficoltà nella restituzione del finanziamento. Il cambiamento è dettato quindi da un deterioramento delle condizioni finanziarie del debitore. Le misure di forbearance si sostanziano in una ristrutturazione del credito con conseguente modifica delle condizioni contrattuali. Per esempio la banca può concedere al cliente una riduzione del tasso di interesse del finanziamento oppure può disporre un allungamento della durata del finanziamento o di un suo ri-scadenziamento. Tali misure possono riguardare:

• clienti performing in difficoltà finanziaria (forborne performing exposures); • clienti classificati in stato di deterioramento (non performing exposures with

forbearance measures).

Infine, a seguito delle nuove disposizioni, le nozioni di crediti incagliati e di crediti

ristrutturati sono state abrogate.

In generale, i cluster sopra citati (Past Due, Unlikely to pay e Sofferenze) sono oggetto di un processo di valutazione che ha il fine ultimo di identificare in maniera puntuale, l’ammontare della perdita di valore da essi derivante.

Le posizioni classificate tra quelle scadute e/o sconfinanti (c.d. Past Due) fanno riferimento all’intera esposizione verso quei debitori che presentano crediti scaduti, non rimborsati e/o sconfinati da più di 90 giorni consecutivi, soglia di esposizione stabilita dall’Organo di Vigilanza. Per alcuni crediti di questo tipo le disposizioni di vigilanza fissano in 90 giorni soltanto il termine massimo entro il quale un credito rimane classificato come past due. Tali posizioni sono valutate analiticamente sulla base di specifiche previsioni di perdita forfetarie determinate centralmente in modo standardizzato (c.d Modalità Forfetaria). In sostanza la determinazione della previsione di perdita viene effettuata tramite l’applicazione automatica di specifici tassi di perdita, centralmente elaborati e periodicamente aggiornati in funzione di modelli econometrici,

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basati sulle evidenze di serie storiche e gestiti dalla funzione di Risk Management. L’ammontare della perdita di valore derivante dall’analisi, viene attribuito a rettifica analitica (svalutazione) dell’attinente esposizione e rilevato.

Per quanto riguarda le controparti classificate come Inadempienze Probabili (c.d.

Unlikely to Pay), si fa riferimento a quelle esposizioni creditizie per le quali la banca

giudica improbabile che, senza il ricorso ad azioni quali ad esempio l’escussione delle garanzie, il debitore adempia integralmente, ossia per quota capitale e interessi complessivamente, alle sue obbligazioni creditizie. In sostanza, gli unlikely to pay sostituiscono le posizioni precedentemente classificate come incagli e rappresentano l’insieme di esposizioni vantate nei confronti di soggetti in situazione di difficoltà obiettiva, ma temporanea. Per questi, la soglia massima definita dall’Organo di Vigilanza è pari a 180 giorni. In sostanza, un’esposizione classificata come unlikely to pay rappresenta lo stadio evolutivo successivo ai past due. A differenza delle sofferenze, gli unlikely to pay rappresentano dei crediti che, in un congruo periodo di tempo, si suppongono recuperabili. In una scala del rischio dunque si pongono un gradino al di sotto delle sofferenze e richiedono pertanto accantonamenti inferiori nelle riserve contro il rischio.

Per tale categoria, al fine di stabilire il criterio di valutazione più congruo, viene solitamente effettuata una distinzione sulla base di un threshold internamente identificato14:

• Controparti la cui esposizione di cassa è inferiore al "valore soglia" (in genere, per le banche che utilizzano un sistema di determinazione del rischio standard, la soglia è pari a 50.000 €, mentre le banche di dimensioni maggiori si avvalgono di sistemi evoluti di calcolo del rischio – c.d. evoluto – che pesano analiticamente tutte le posizioni). Tali esposizioni sono valutate utilizzando la modalità forfetaria, prevista per l’analisi delle posizioni past due;

• Controparti la cui esposizione di cassa è superiore al “valore soglia”. Tali esposizioni sono valutate tramite sistemi automatici – c.d. procedure di

provisioning,- analizzando i valori delle perizie degli immobili oppure di altri beni

a garanzia, come fondi e titoli oppure consorzi di garanzia, e calcolando il valore del rischio residuo.

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Relativamente alle esposizioni classificate ad Inadempienza Probabile “sopra soglia”, viene distinta un’ulteriore classificazione ai fini del calcolo di attualizzazione distinguendo le posizioni per cui è previsto un piano di rientro dalle altre.

Infine le controparti classificate a sofferenza rappresentano il complesso delle esposizioni per cassa e fuori bilancio, ad esempio garanzie rilasciate, nei confronti di un soggetto in stato di insolvenza o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dalla banca. In sostanza sono tutte quelle posizioni per cui, a prescindere dalle valutazioni fatte dalla banca, la probabilità di default è pari a 1, traducendosi sostanzialmente in perdite per l’istituto di credito. Anche per queste, vale la distinzione tra:

• Controparti la cui esposizione di cassa è inferiore al "valore soglia" (ad esempio 50.000 €) che vengono valutate analiticamente tramite la modalità forfettaria; • Controparti la cui esposizione di cassa è superiore al “valore soglia” che vengono

valutate manualmente su base individuale.

La Tabella 1.1 riporta le varie tipologie di crediti deteriorati individuati, accompagnate da una breve descrizione.

Tabella 3.2 – Classificazione dei crediti deteriorati

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Entrando maggiormente nel dettaglio, andiamo a vedere quanto valgono effettivamente gli NPLs, ossia come vengono contabilizzati a bilancio.

Tutte le banche italiane adottano i principi contabili internazionali (IAS-IFRS)15,

valutando in bilancio i crediti secondo il criterio del costo ammortizzato16. In sostanza si

provvede all’attualizzazione dei flussi di cassa futuri stimati relativi all’ammontare di credito ancora dovuto. L’attualizzazione tiene conto anche del valore temporale del denaro, di conseguenza gli IAS impongono che venga utilizzato il tasso d’interesse

effettivo originario, i, del credito stesso17. In generale il valore di un prestito al lordo delle

rettifiche di valore, viene definito con il termine gross book value (GBV), ed è pari a:

dove f denota i flussi di cassa attesi e i, il tasso di interesse. Questo metodo risulta essere il punto di partenza per la determinazione del valore netto dei crediti deteriorati. Quando il debitore (ad es. un’impresa) incontra difficoltà nel rimborsare il prestito, la banca deve valutare:

• la probabilità di non riuscire a recuperare l’intero importo, comprensivo della quota interessi, nei tempi stabiliti;

• l’ammontare effettivamente recuperabile, sul quale gioca un ruolo determinante il ruolo delle garanzie;

• i tempi entro i quali avverrà il recupero, generalmente diversi da quelli stabiliti contrattualmente.

Di conseguenza si richiede una nuova stima dei flussi di cassa attesi, f’, che di norma si traduce in una “rettifica di valore” da appostare nel conto economico dell’anno. In questo caso la rettifica, dato il peggioramento delle condizioni di solvibilità del debitore e un aumento del rischio di insolvenza, identifica un abbattimento del valore della posizione.

15 Il Regolamento (CE) N. 1606/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio richiede l’applicazione dei principi

contabili internazionali nei bilanci consolidati delle società che emettono titoli negoziati in mercati regolamentati. Il legislatore italiano, esercitando un’opzione prevista dal suddetto regolamento, ha esteso l’applicazione dei principi contabili internazionali a tutte le banche e gli intermediari vigilati nella redazione dei bilanci individuali e consolidati.

16Salvo che i crediti non siano classificati nei portafogli contabili valutati al fair value. 17

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Il valore di un NPL al netto delle rettifiche (Net Book Value, NBV) è pari alla differenza tra il GBV e le rettifiche stesse:

dove f’ rappresenta il nuovo flusso di cassa stimato, minore in virtù della mutata condizione finanziaria dell’impresa e n’ rappresenta il nuovo tempo di incasso, rivisto al rialzo dato che si considera anche la durata prevista delle procedure esecutive per il realizzo delle garanzie.

La rettifica di valore è dunque pari alla differenza tra il valore contabilizzato inizialmente, GBV, e il nuovo valore formulato in base alle mutate condizioni, NBV:

Con il passare del tempo è possibile che la posizione torni in bonis. In questo caso, la banca riporterà in bilancio una ripresa di valore pari a R; in generale il valore potrà essere anche inferiore a R, ma ovviamente mai superiore. Viceversa, vi è poi la possibilità che la posizione si deteriori ulteriormente con la conseguente necessità, da parte della banca, di effettuare ulteriori rettifiche di valore al ribasso. In ogni periodo di riferimento, la differenza tra GBV e NBV è data dalla cumulata delle rettifiche e delle eventuali riprese di valore, effettuate nel corso del tempo. I due valori sopra identificati sono utili per la definizione del tasso di copertura (c.d. coverage ratio) il quale è dato dal rapporto tra la

consistenza delle rettifiche di valore e l’ammontare lordo delle posizioni deteriorate18.

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Nella nota integrativa del bilancio le rettifiche di valore possono essere rappresentate mediante due diverse modalità, che comportano entrambe l’indicazione del medesimo valore dei crediti nello stato patrimoniale, vale a dire al netto delle retti-fiche apportate. La prima modalità consiste nella svalutazione della parte dell’esposizione ritenuta non più recuperabile (c.d. write down); la seconda, qualora il recupero non sia più ritenuto ragionevolmente atteso, comporta lo “stralcio” diretto della componente di perdita (c.d. write off parziali), con conseguente riduzione del valore lordo iniziale del prestito. Nel calcolo dei tassi di copertura è necessario considerare anche gli stralci parziali (write off), in quanto si determinerebbe altrimenti una sottostima dell’indicatore. Per maggiori dettagli si veda il riquadro: I tassi di

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22 2.2 Il calcolo del rischio e i requisiti patrimoniali

Il credito bancario continua a rappresentare la principale fonte di finanziamento esterna delle piccole e medie impreseTuttavia negli ultimi anni le condizioni caratterizzanti i sistemi di finanziamento hanno subito mutamenti consistenti. In virtù dell’esperienza maturata con le politiche che hanno condotto alla crisi finanziaria, tutti gli istituti di credito hanno introdotto procedure di valutazione relativamente ai propri clienti al fine di poter valutare meglio i rischi relativi ai contratti stipulati con gli stessi. In tale contesto si fa riferimento ai nuovi standard di patrimonializzazione imposti da Basilea 2, i quali prevedono un accantonamento di capitale tanto maggiore, quanto più elevato è il rischio che il credito concesso non venga restituito. Per stimare l’entità di tale rischio, le banche effettuano valutazioni molto più analitiche circa lo status e le caratteristiche dei singoli clienti affidati. Il risultato di tali procedure, comunemente conosciute come “sistemi di rating”, si traduce nell’identificazione di un valore specifico associato al singolo cliente. Di conseguenza, il rating permette alla banca di identificare elementi dannosi che potrebbero rendere difficoltoso il rimborso del credito e, di conseguenza, di intraprendere iniziative mirate a mitigare la probabilità che si verifichi quest’ultima ipotesi.

Il fine ultimo di tale processo è quello di identificare la probabilità di insolvenza che indica, in termini percentuali, la probabilità che il cliente affidato si venga a trovare in mora o fallisca nel corso dell’anno. Maggiore sarà la probabilità di insolvenza, peggiore sarà il risultato di rating. L’affidato viene quindi classificato ed inserito nelle cosiddette

classi di rating (o “livelli di rating”) sulla base del risultato della valutazione. Ogni istituto

di credito stabilisce individualmente il numero e la denominazione delle classi di rating. Di norma si utilizzano dei valori numerici, ma sono frequenti anche lettere o valori alfanumerici.

Riassumendo quindi, la banca che accorda la concessione di un credito deve effettuare una preventiva valutazione della qualità/affidabilità del cliente nonché quantificare la qualità/rischiosità del credito stesso. A tal proposito sono stati ideati specifici sistemi di calcolo e di valutazione definiti metodi di ponderazione del rischio, che tengono conto del livello di affidabilità del cliente, della eventuale presenza di garanzie e delle caratteristiche dell’operazione. Tale calcolo risponde all’esigenza che ha la banca di costituire un Capitale di Vigilanza che garantisca una maggiore solidità della propria attività.

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La previsione di tale riserva patrimoniale è frutto del primo accordo stipulato a Basilea nel 1988, nel quale è stato istituito un coefficiente patrimoniale pari all’8%, da calcolare sul valore del credito erogato. L’evoluzione normativa avuta con l’accordo di Basilea 2, ha portato alla trasformazione del calcolo del Capitale di Vigilanza: pur rimanendo invariata all’8% la percentuale da accantonare, è stata introdotta una più stretta correlazione tra patrimonio e rischi. Sono cambiate significativamente le modalità di valutazione del rischio, ora più sofisticate ed oggettive. “Con il nuovo accordo, il totale degli impieghi che deve essere preso a base di calcolo, si ottiene moltiplicando preventivamente ciascuno dei finanziamenti per un fattore di ponderazione che tiene conto delle caratteristiche di rischio della specifica operazione. Al totale impieghi

ponderato si applica quindi il coefficiente patrimoniale dell’8%”19.

Le attività ponderate per il rischio (c.d. Risk-Weighted Assets) sono le attività dell'intermediario (es. crediti a clientela, titoli obbligazionari o di stato, crediti nei confronti di altre banche, ecc.) e gli impegni che questo ha assunto verso altri soggetti. Queste ultime vengono ponderate in funzione della diversa solvibilità dei clienti debitori, ossia della loro attitudine a rispettare il proprio impegno contrattuale.

Sulla base di evidenze riscontrate in vari progetti seguiti presso istituti finanziari di rilievo, la banca impronta le politiche di pricing, tenendo conto di:

1. rischio di credito, ossia delle perdite derivanti dall’insolvenza della controparte; 2. rischio di mercato, che dipende dalla variazione dei fattori di mercato;

3. rischio operativo, che riguarda le possibili perdite dovute a malfunzionamenti o a procedure inadeguate dipendenti dal personale o dai sistemi interni.

Queste trasformazioni implicano notevoli modifiche del sistema organizzativo degli istituti di credito. Il Comitato ha infatti considerato che non tutte le banche riusciranno a modificare con tempestività i propri sistemi informativo-gestionali nel breve termine, prevedendo pertanto differenti sistemi di valutazione, più o meno avanzati, a seconda delle esigenze dell’istituto.

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Due sono i “metodi di ponderazione” del rischio previsti: un metodo Standard ed un metodo IRB, a sua volta distinto in: base e avanzato. Secondo quanto riportato nel documento della Camera di Commercio, “I fattori di ponderazione su cui si basano i sistemi di valutazione sono:

• Rating: è il giudizio sul merito creditizio (qualità/rischiosità) ed esprime la valutazione del grado di solvibilità del soggetto finanziato sulla base di informazioni quantitative, qualitative ed andamentali. Il soggetto verrà identificato in una specifica classe di rating, a cui è associata automaticamente una determinata PD (probabilità di inadempienza);

• Probabilità di inadempienza (PD = Probability of default): è la probabilità che il soggetto finanziato si trovi nella situazione di impossibilità di restituire quanto dovuto (c.d. default) nel corso dei 12 mesi successivi;

• Perdita in caso di inadempienza (LGD= Loss given default): è la percentuale presunta di perdita in caso di inadempienza con riferimento al valore complessivo del credito al netto degli eventuali recuperi;

• Esposizione in caso di inadempienza (EAD= Exposure at default): è la probabile quota di esposizione al momento in cui si evidenzia lo status di insolvenza; • Scadenza (M = Maturity): è la durata residua del finanziamento.”

In virtù di tali fattori di ponderazione, a parità di capitale investito - ossia di credito concesso - una banca può trovarsi ad accantonare a capitale di vigilanza quote superiori rispetto all’esposizione, nel caso di rischio elevato (l’impiego ponderato per il moltiplicatore risulterà superiore rispetto allo stesso valore dell’impiego), o inferiori rispetto all’esposizione, nel caso di rischio basso (l’impiego ponderato per il moltiplicatore risulterà inferiore rispetto allo stesso valore dell’impiego). Un più elevato patrimonio di vigilanza implica minori risorse per la banca da dedicare agli impieghi e, conseguentemente, una diminuzione della redditività bancaria e, al contempo, un peggioramento delle condizioni di accesso al credito per le imprese (pricing).

Lo schema sottostante agevola la comprensione dell’evoluzione organizzativa a cui le banche sono chiamate, che considera il calcolo dei diversi rischi e giunge alla definizione del Capitale di Vigilanza che devono accantonare.

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Schema 2.1 – Processo di calcolo del Capitale di Vigilanza

Fonte: www.mc.camcom.it, Doc-04-Basilea 2, “I metodi di ponderazione del rischio”.

2.2.1 Sistema STANDARD (Standard Rate Base Approach – SRB)

Il sistema standard prevede che i fattori di ponderazione del rischio siano tutti formulati da soggetti esterni all’istituto di credito. Il rating viene valutato da agenzie indipendenti (External Credit Assessement Institutions), mentre PD, LGD, EAD e M sono fissati dall’Autorità di Vigilanza sulla base del tipo di impresa richiedente il finanziamento, delle sue dimensioni aziendali, delle caratteristiche tecniche della operazione di finanziamento, ecc. Le banche che adottano questo sistema, ossia tutte quelle che hanno fino a 500 sportelli, segmentano i loro crediti in categorie prudenziali e ad ognuna corrisponde una ponderazione del rischio fissa. A tal proposito si illustra lo schema predisposto dalle due maggiori agenzie esterne, Standard e Poor’s e Moody’s, nel quale sono riportate le

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categorie di rischio che vanno da AAA (bassi livelli di rischio) a BB/B3 (elevati livelli di rischio).

Tabella 2.1 - Coefficienti di ponderazione prefissati correlati al rating assegnato alle imprese da società esterne

Fonte – materiale interno Deloitte

A seconda del tipologia di appartenenza, al soggetto che ha richiesto il prestito viene assegnata una determinata categoria di rischio. Schematicamente la metodologia standard funziona nel modo seguente:

Il Comitato di Basilea ha predisposto anche un “metodo standard semplificato” che prevede semplificazioni ai fini del calcolo della ponderazione del rischio. Tra le diverse innovazioni apportate dal nuovo accordo di Basilea, risultano particolarmente importanti gli strumenti di mitigazione del rischio che consentono di ridurre la probabilità di default, migliorando così il rating del cliente e, conseguentemente, le condizioni di accesso al credito. Nell’accordo viene inoltre specificata la ponderazione delle singole esposizioni che hanno subito una modifica rispetto a Basilea 1.

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27 2.2.2 Sistemi IRB (Internal Rating-Based Approach)

Come riportato precedentemente, la valutazione circa il merito creditizio viene effettuata attraverso l’analisi della probabilità di inadempienza, della perdita in caso di inadempienza, dell’esposizione in caso di inadempienza e della scadenza delle controparti ma, a differenza dell’approccio standardizzato, alcune di esse, o tutte, vengono ora calcolate dalla banca, e non più identificate dall’Autorità di Vigilanza. Gli elementi necessari per calcolare i coefficienti patrimoniali della banca sono il risultato di una combinazione tra input quantitativi, forniti dalle banche stesse, e formule indicate dal Comitato. Questo approccio ha due versioni, una di base e una avanzata. La banca che ha adottato l’approccio base del sistema IRB utilizzerà sistemi di calcolo interni per determinare il giudizio di merito creditizio del cliente ed individuare la classe di rating da assegnare, a cui è associata automaticamente una determinata PD. Le restanti componenti del rischio saranno invece determinate dall’Autorità di Vigilanza. Affinché le banche possano valutare coloro che richiedono un prestito, devono predisporre un sistema di rating oggettivo, affidabile e che contenga criteri determinati. Innanzi tutto devono prevedere delle classi di rischio, dalla più affidabile alla più rischiosa (di solito il range va da un valore pari a 1 ad uno pari a 8), inoltre devono assegnare ai clienti una classe alla quale deve essere associata una soglia minima e massima di probabilità di default. Questo sistema non si discosta molto da quello standard poiché alcune opzioni sono prefissate (ad es. LGD, EAD e M). Per quanto riguarda il sistema IRB di base, l’Accordo Basilea 2 riconosce una categoria più ampia di strumenti di mitigazione del rischio. La loro presenza consente la riduzione della PD e quindi migliora la classe di rating da assegnare al soggetto garantito.

L’Internal Ratings-Based Advanced (IRB” avanzato), per contro, è strutturato come metodo del tutto autonomo nel quale la valutazione del rischio del cliente viene totalmente effettuata dall’istituto di credito. La banca dovrà dotarsi di sistemi piuttosto complessi che le permetteranno di calcolare al proprio interno tutte le variabili di rischio: PD, LGD, EAD e M. Affinché le banche possano svolgere le azioni previste da questo sistema di calcolo devono ottenere una certificazione, che sarà loro concessa dall’Autorità di Vigilanza del Paese di appartenenza. Anche nel sistema IRB avanzato si riconosce una categoria più ampia di strumenti di mitigazione del rischio. Tuttavia la loro presenza consente alla banca, oltre ad effettuare una riduzione della PD, di optare per una eventuale riduzione della LGD. Variano anche alcuni requisiti richiesti per la loro ammissione,

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lasciando alla banca stessa una maggiore flessibilità nell’ambito di criteri validati dall’Autorità di Vigilanza.

La differenza dei due sistemi IRB delineati, consiste nel fatto che l’approccio di base determina al proprio interno solo la PD (attraverso il rating), invece, nell’approccio avanzato l’istituto di credito calcola tutti gli elementi di rischio

In linea di principio si distinguono due tipi di rating:

• I rating interni sono valutazioni del merito creditizio dei propri clienti calcolate direttamente dalle banche. In genere questi rating costituiscono un presupposto fondamentale per la concessione del credito;

• I rating esterni vengono attribuiti dalle agenzie di rating. L’impiego di rating esterni ha senso di solito solo nel caso di aziende relativamente grandi.

Le informazioni che le banche raccolgono sui propri clienti affidati o da affidare comprendono generalmente sia i fattori quantitativi, sia quelli qualitativi. Ad ogni modo, il processo di rating è uno degli elementi fondamentali per andare a definire il tasso di interesse richiesto dalla banca per un determinato finanziamento. Tale spread dipende da una serie di fattori: da una parte è necessario garantire la remunerazione del capitale investito dalla banca, dall‘altra bisogna appunto considerare il rischio di default relativo ad ogni finanziamento. Non è possibile dare indicazioni universalmente valide sul modo in cui vengono determinati gli spread. Ciascuna banca ha le proprie regole in virtù del fatto che ognuna è organizzata in maniera diversa e ha un portafoglio crediti con una propria struttura del rischio. In linea di massima, sullo spread applicato ad un

finanziamento, incidono i seguenti parametri, suddivisi tra20:

• Fattori “Hard”:

- costo della provvista: ossia quanto deve pagare la banca per finanziarsi, tenendo conto anche della durata del credito;

- costi di gestione sostenuti dalla banca: ossia quanto costa alla banca l’istruttoria, la concessione e la gestione del fido, quanto costa il personale, quanto costa il software, ecc;

- costo del rischio: definito in base al merito creditizio del cliente affidato; - attese di guadagno della banca.

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• Fattori “Soft”:

- garanzie offerte;

- fedeltà del cliente: a supporto vengono i dati storici relativi a contratti precedentemente conclusi con lo stesso;

- possibilità di concludere contratti aggiuntivi.

Per quanto riguarda le garanzie, la banca distingue principalmente tre tipologie differenti: reali, personali e atipiche. La Tabella 3.1 mostra le tre macro-classi contenenti le singole tipologie di garanzie.

Tabella 2.2 – Classi di garanzie

Fonte – Elaborazione propria

L’esame delle garanzie riguarda in primo luogo la verifica della loro possibilità di realizzo sul mercato, visto che in caso di insolvenza del debitore il recupero dell’importo prestato avverrà mediante la liquidazione volontaria o coatta delle stesse. Ovviamente la banca attribuisce maggior valore alle garanzie reali, in base alle quali essa può servirsi del bene in oggetto con precedenza sugli altri creditori. Le garanzie personali, invece, si riferiscono all’intero patrimonio del garante ma non “riservano” una specifica parte dello stesso alla soddisfazione degli impegni verso la banca. Anche le garanzie reali, comunque, sono valutate diversamente in base alla loro possibilità di realizzo. Il pegno

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di titoli di stato o di obbligazioni bancarie, ad esempio, proprio per via del facile realizzo è preferito ad un pegno di azioni non quotate. Le garanzie rappresentano un fattore importante nella concessione del credito, ma non quello principale. A stare in primo piano è l’imprenditore e la sua capacità di rimborso risultante dalla propria attività.

Come ormai noto perciò, le garanzie rappresentano un “strumento assicurativo” a tutela della banca contro l’inadempienza del debitore. Ma quando si può definire un debitore inadempiente?

I sintomi di una crisi aziendale sono vari e molteplici. Vi possono essere ad esempio dei motivi di ordine economico o finanziario, ma anche un cambio generazionale in vista. Di

seguito si riporta una breve panoramica sui possibili sintomi di una crisi aziendale21:

• fatturato in calo; • ordinativi in calo; • difficoltà di incasso; • indebitamento in crescita; • risultato economico in calo; • patrimonio netto negativo; • carenza di liquidità; • investimento sbagliato;

• arretrati presso banche, fornitori, istituti previdenziali, dipendenti, ecc.

Quando si va delineando una crisi aziendale, anche la gestione del conto ovviamente ne risente. Infatti, in presenza dei seguenti rilevazioni, dovrebbero scattare i campanelli di allarme:

• utilizzo poco elastico del fido in conto corrente; • continui sconfinamenti del fido in conto corrente;

• elevata incidenza degli insoluti in caso di effetti anticipati; • rimborso poco puntuale delle rate di mutuo in banca.

Le difficoltà economiche, accompagnate da una gestione irregolare del conto, determinano un graduale peggioramento del merito creditizio. Di conseguenza, dopo approfondita analisi da parte dei reparti competenti, la posizione creditizia viene collocata tra le posizioni a rischio. Ai fini della classificazione tra le posizioni a rischio l‘autorità

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di vigilanza (Banca d’Italia) ha rilasciato disposizioni chiare, integrabili con ulteriori parametri da parte di ciascuna banca. Quando un cliente viene inquadrato tra quelli a

rischio, in genere il primo passo consiste nel trasferire la gestione della posizione

creditizia ad un ufficio centrale della banca. Conseguentemente, la banca fa il punto della situazione per chiarire le cause della crisi e per impostare le possibili soluzioni. In questa fase l’istituto di credito cerca, per quanto possibile, di rafforzare le garanzie e/o di ridurre la propria esposizione. Se vi è possibilità di risanamento, il cliente a rischio viene assistito durante il processo di ristrutturazione da un team di specialisti. La banca persegue l’obiettivo di riportare quanto prima l’azienda tra le posizioni non a rischio (c.d. In bonis) per tornare a gestire il rapporto finanziario nei modi consueti.

2.3 Le rettifiche di valore

Il decreto legislativo n. 87 del 1992 impone di valutare i crediti applicando il criterio del

presumibile valore di realizzo, ossia un valore non certo. Infatti bisogna tener presente

che, se da un lato i crediti costituiscono la maggiore fonte di utili per gli enti creditizi, dall’altro possono determinarne anche la crisi a causa del fattore rischio connaturato alle

operazioni creditizie22.

Due sono le metodologie utilizzabili per determinare il presunto valore di realizzo: • Stima diretta di ciascuna categoria di credito: secondo questa procedura, tutti i

crediti in evidente stato di difficoltà, vengono suddivisi in classi omogenee. Sulla base della definizione di una soglia minima al di sotto della quale non v’è più convenienza a tentare il recupero, quelli che presentano un importo modesto o un incasso particolarmente oneroso, possono essere complessivamente svalutati o messi a perdita;

• Stima indiretta della generalità dei crediti: la procedura rimane la stessa, ma la sua applicazione viene estesa anche a quei crediti che risultano essere apparentemente

22 D.lgs. 27 gennaio 1992, n. 87 recante “Attuazione della direttiva n. 86/635/CEE relativa ai conti annuali ed ai conti

consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari, e della direttiva n. 89/117/CEE relativa agli obblighi in materia di pubblicità dei documenti contabili delle succursali, stabilite in uno Stato membro, di enti creditizi ed istituti finanziari con sede sociale fuori di tale Stato membro”, in GU n.37 del 14-2-1992 - S.O. n. 27.

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certi, in virtù della manifestazione di eventi rischiosi relativi alla probabilità che

si verifichino insolvenze o contestazioni tardive23.

Come le altre banche Europee, anche quelle italiane applicano i principi contabili IAS/IFRS, i quali prevedono che gli strumenti di debito, di capitale, i crediti, i debiti, e i contratti derivati, siano classificati in base alle finalità per le quali sono detenuti.

Le categorie di classificazione previste sono le seguenti:

• attività finanziarie al fair value (valore equo) rilevato a conto economico; • attività finanziarie disponibili per la vendita;

• attività finanziarie detenute fino a scadenza;

• finanziamenti e crediti (in cui rientrano quelli deteriorati).

I principi contabili di riferimento richiedono una particolare attenzione per le diverse fasi del procedimento di impairment (ossia di deterioramento), la cui valutazione può essere effettuata sia su singoli strumenti finanziari (si parla in questo caso di valutazione analitica), sia su interi portafogli (valutazione collettiva). Per i crediti significativi, per quelli non significativi, per i quali sono disponibili informazioni più veritiere circa l’esistenza di perdite, e per i crediti sui quali non è stato interamente liberato il capitale accantonato per la svalutazione, è obbligatorio procedere alla valutazione su base analitica. In assenza di evidenza individuale di deterioramento, ossia relativamente ai crediti in bonis, il creditore deve essere inserito nella procedura di valutazione collettiva. Quest’ultima riguarda i portafogli di attività per i quali, seppur non siano stati riscontrate perdite oggettive, è attribuibile una perdita latente, misurabile anche tenendo conto dei fattori di rischio usati ai fini di Basilea 2.

Al contrario, in presenza di un’oggettiva evidenza di impairment, ossia di credito deteriorato, la valutazione deve essere effettuata a livello individuale per i crediti significativi, mentre per quelli non significativi a livello individuale o collettivo.

Il processo di valutazione analitica consiste nell’attualizzazione dei flussi finanziari attesi per capitale e interesse al tasso di interesse effettivo originario, tenendo conto delle eventuali garanzie che assistono il credito, e di eventuali mutazioni economico-finanziarie del debitore. Nel caso in cui al termine di tale procedimento, i flussi di cassa assumono valori più bassi rispetto a quelli previsti dal contratto o i momenti di pagamento

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sono più lontani di quanto previsti, il valore del credito dovrà essere svalutato24: la

differenza negativa tra il valore attuale del credito e il valore contabile del medesimo al momento della valutazione, rappresenta il costo ammortizzato e va rettificata in conto economico. La normativa civilistica stabilisce l’obbligatorietà della svalutazione attraverso la costituzione al passivo di un apposito fondo “rischi su credito”, o, in alternativa, riducendo il valore dei crediti operando direttamente sull’attivo.

Il valore originario dei crediti viene ripristinato negli esercizi successivi solo nel caso in cui siano venute meno le cause che hanno determinato la rilevazione della relativa perdita; qualora invece un credito fosse recuperato quando già passato a perdita, andrebbe

considerato come sopravvenienza attiva ed imputato direttamente a conto economico25.

Le riprese di valore possono essere rilevate fino a concorrenza di un importo tale da attribuire all’attività finanziaria un valore non superiore al valore che la stessa avrebbe avuto in quel momento per effetto dell’applicazione del costo ammortizzato in assenza di precedenti rettifiche.

L’attualizzazione dei flussi di cassa futuri stimati lungo la vita attesa del credito tiene conto del valore temporale del denaro. In base a quanto disposto dallo IAS 39, il tasso di rendimento effettivo che le banche devo utilizzare per attualizzare i flussi di cassa attesi, è fissato al 4%, la media riscontrata nell’esercizio di revisione della qualità degli attivi (asset quality review, AQR) del 2014.

In generale il valore di un prestito al lordo delle rettifiche di valore (Gross Book Value, GBV), è uguale a tale somma scontata:

dove f denota i flussi di cassa attesi. Questo metodo vale anche per determinare il valore netto dei crediti deteriorati.

Tale valutazione implica una nuova stima dei flussi di cassa attesi, che di norma si traduce in una “rettifica di valore” (un abbattimento del valore della posizione), da appostare nel conto economico dell’anno.

24 R. RUOZI, “Economia e gestione della banca”, p. 264.

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Il valore di un NPL al netto delle rettifiche (Net Book Value, NBV) è pari alla differenza tra il GBV e le rettifiche stesse:

dove f′ rappresenta il nuovo flusso di cassa, rivisto al ribasso, alla luce della mutata

condizione finanziaria dell’impresa, e t′ rappresenta il nuovo tempo di incasso, rivisto al

rialzo tenendo conto, tra l’altro, della durata prevista delle procedure esecutive per il realizzo delle garanzie. La rettifica di valore è dunque la differenza tra GBV e NBV. Con il passare del tempo è possibile che la posizione torni in bonis e nel qual caso la banca scriverà in bilancio una ripresa di valore; oppure può verificarsi che essa si deteriori ulteriormente e nel qual caso la banca dovrà effettuare ulteriori rettifiche di valore. In ogni periodo la differenza tra GBV e NBV è data dalla cumulata delle rettifiche (e delle eventuali riprese di valore) effettuate nel corso del tempo.

Il rapporto tra la consistenza delle rettifiche di valore e l’ammontare lordo delle posizioni

deteriorate, misura il tasso di copertura (coverage ratio)26. Tale copertura derivante dalla

presenza di rischi di deterioramento dello stato del credito, grava sulla banca che si vedrà costretta ad attingere dal capitale sociale. Di conseguenza, a fine esercizio, gli azionisti si vedono obbligati a concedere nuovo capitale per tornare al livello previsto per quella determinata società (banca in questo caso). Ad ogni modo, rimanendo ad un livello prettamente contabile, la copertura delle posizioni a sofferenza si sostanza nella creazione di un fondo apposito.

26 L. G. CIAVOLIELLO, F. CIOCCHETTA, F. M. CONTI, I. GUIDA, A. RENDINA, G SANTINI, “Quanto valgono i crediti deteriorati?” in Note di stabilità finanziaria e vigilanza, N. 3 aprile 2016, Banca d’Italia.

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3 - Il processo di recupero dei NPLs

3.1 Definizione di processo e contestualizzazione

Il passaggio di una posizione a sofferenza, rappresenta l’atto con il quale si ufficializza la mancanza di ogni probabilità di recupero del credito e tantomeno di un suo ritorno in bonis. Sostanzialmente si ufficializza la perdita, fino a quel momento solo potenziale, relativa ad una determinata posizione. Si può facilmente intuire l’importanza di tale valutazione e le conseguenze che essa comporta sia per il cliente debitore, sia internamente per la banca la quale dovrà contabilizzare una perdita a conto economico. Proprio per questo motivo, normalmente la valutazione ed attuazione di tale sentenza viene affidata a senior managers con un elevato grado di esperienza e capacità analitiche27.

Ufficialmente, il passaggio a sofferenza determina l’insorgere della cosiddetta decadenza

del beneficio del termine, tramite la quale si delinea la chiusura del contratto

precedentemente stipulato. A questo punto l’intermediario “traccia una riga in fondo all’operazione” e determina il saldo di quanto non è stato restituito, sia per la quota capitale sia per quella interessi. L’ammontare determinato rappresenta la perdita derivante da una specifica posizione. Tuttavia, parlare di perdita effettiva è ancora prematuro. La banca infatti non lascerà nulla di intentato ai fini di recuperare il capitale ancora dovutogli. Tradotto in altre parole, con la chiusura del contratto di finanziamento, “si chiude una porta e si apre un portone”. Infatti, da questo momento in poi prendono

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avvio una serie di attività che nel loro complesso e, secondo specifiche procedure, determinano il processo di gestione delle sofferenze.

In generale quando si parla di processo si fa riferimento ad “una sequenza di attività, tra loro indipendenti e finalizzate al perseguimento di un obiettivo comune, il quale, per il singolo processo si identifica nella creazione di valore per il destinatario dell’output, ma che, per la rete dei processi che compongono l’azienda, in ultima analisi coincide con i valori e gli obiettivi dell’azienda. Esso riceve un certo input (materiali, istruzioni e specifiche del cliente), vi apporta delle trasformazioni che aggiungono valore utilizzando risorse aziendali, ossia persone, mezzi e strutture ed infine trasferisce all’esterno l’output

richiesto, prodotto/servizio e/o informazioni”28. Nel caso dei NPLs l’obiettivo aziendale

in questione è il recupero della perdita subita dal contratto di finanziamento originario. Questo aspetto è molto importante e va tenuto bene a mente perché, ciò che normalmente viene indicato come profitto o ricavo di un’operazione o di un processo, in questo caso è rappresentato da una minor perdita.

In generale, il processo standard di recupero dei NPLs si suddivide in due macro-fasi29:

• fase stragiudiziale; • fase giudiziale.

Siamo quindi in presenza di due tipologie di gestione caratterizzate da attività differenti ma accomunate da una stessa finalità. Il coinvolgimento di figure giuridiche (giudici, avvocati, ecc) dipende dal peso, inteso come ammontare di GBV, del credito vantato, nonché dalle condizioni che hanno portato all’inadempienza e delineano la situazione del debitore. Questo implica che, per alcune tipologie di sofferenze si fa ricorso alla sola fase stragiudiziale, mentre per altre anche a quella giudiziale. Infatti, prima di procedere con la fase legale, viene sempre adottato un approccio stragiudiziale al fine di trovare un accordo con il debitore riducendo notevolmente i costi di gestione in termini sia monetari che relativi alle tempistiche. Tuttavia, se il recupero del credito risulta particolarmente travagliato, si opta per la fase giudiziale, dove si coinvolgono tribunali ed avvocati, con un conseguente aumento dei costi e dei tempi, ma anche della probabilità del recupero del credito, sia sotto forma di flusso che di stock.

28 DE RISI – “La gestione per processi ed i suoi riflessi organizzativi in azienda” – Roma, nuovo studio Tecna,

1999.

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