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Il decreto legislativo n. 87 del 1992 impone di valutare i crediti applicando il criterio del

presumibile valore di realizzo, ossia un valore non certo. Infatti bisogna tener presente

che, se da un lato i crediti costituiscono la maggiore fonte di utili per gli enti creditizi, dall’altro possono determinarne anche la crisi a causa del fattore rischio connaturato alle

operazioni creditizie22.

Due sono le metodologie utilizzabili per determinare il presunto valore di realizzo: • Stima diretta di ciascuna categoria di credito: secondo questa procedura, tutti i

crediti in evidente stato di difficoltà, vengono suddivisi in classi omogenee. Sulla base della definizione di una soglia minima al di sotto della quale non v’è più convenienza a tentare il recupero, quelli che presentano un importo modesto o un incasso particolarmente oneroso, possono essere complessivamente svalutati o messi a perdita;

• Stima indiretta della generalità dei crediti: la procedura rimane la stessa, ma la sua applicazione viene estesa anche a quei crediti che risultano essere apparentemente

22 D.lgs. 27 gennaio 1992, n. 87 recante “Attuazione della direttiva n. 86/635/CEE relativa ai conti annuali ed ai conti

consolidati delle banche e degli altri istituti finanziari, e della direttiva n. 89/117/CEE relativa agli obblighi in materia di pubblicità dei documenti contabili delle succursali, stabilite in uno Stato membro, di enti creditizi ed istituti finanziari con sede sociale fuori di tale Stato membro”, in GU n.37 del 14-2-1992 - S.O. n. 27.

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certi, in virtù della manifestazione di eventi rischiosi relativi alla probabilità che

si verifichino insolvenze o contestazioni tardive23.

Come le altre banche Europee, anche quelle italiane applicano i principi contabili IAS/IFRS, i quali prevedono che gli strumenti di debito, di capitale, i crediti, i debiti, e i contratti derivati, siano classificati in base alle finalità per le quali sono detenuti.

Le categorie di classificazione previste sono le seguenti:

• attività finanziarie al fair value (valore equo) rilevato a conto economico; • attività finanziarie disponibili per la vendita;

• attività finanziarie detenute fino a scadenza;

• finanziamenti e crediti (in cui rientrano quelli deteriorati).

I principi contabili di riferimento richiedono una particolare attenzione per le diverse fasi del procedimento di impairment (ossia di deterioramento), la cui valutazione può essere effettuata sia su singoli strumenti finanziari (si parla in questo caso di valutazione analitica), sia su interi portafogli (valutazione collettiva). Per i crediti significativi, per quelli non significativi, per i quali sono disponibili informazioni più veritiere circa l’esistenza di perdite, e per i crediti sui quali non è stato interamente liberato il capitale accantonato per la svalutazione, è obbligatorio procedere alla valutazione su base analitica. In assenza di evidenza individuale di deterioramento, ossia relativamente ai crediti in bonis, il creditore deve essere inserito nella procedura di valutazione collettiva. Quest’ultima riguarda i portafogli di attività per i quali, seppur non siano stati riscontrate perdite oggettive, è attribuibile una perdita latente, misurabile anche tenendo conto dei fattori di rischio usati ai fini di Basilea 2.

Al contrario, in presenza di un’oggettiva evidenza di impairment, ossia di credito deteriorato, la valutazione deve essere effettuata a livello individuale per i crediti significativi, mentre per quelli non significativi a livello individuale o collettivo.

Il processo di valutazione analitica consiste nell’attualizzazione dei flussi finanziari attesi per capitale e interesse al tasso di interesse effettivo originario, tenendo conto delle eventuali garanzie che assistono il credito, e di eventuali mutazioni economico- finanziarie del debitore. Nel caso in cui al termine di tale procedimento, i flussi di cassa assumono valori più bassi rispetto a quelli previsti dal contratto o i momenti di pagamento

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sono più lontani di quanto previsti, il valore del credito dovrà essere svalutato24: la

differenza negativa tra il valore attuale del credito e il valore contabile del medesimo al momento della valutazione, rappresenta il costo ammortizzato e va rettificata in conto economico. La normativa civilistica stabilisce l’obbligatorietà della svalutazione attraverso la costituzione al passivo di un apposito fondo “rischi su credito”, o, in alternativa, riducendo il valore dei crediti operando direttamente sull’attivo.

Il valore originario dei crediti viene ripristinato negli esercizi successivi solo nel caso in cui siano venute meno le cause che hanno determinato la rilevazione della relativa perdita; qualora invece un credito fosse recuperato quando già passato a perdita, andrebbe

considerato come sopravvenienza attiva ed imputato direttamente a conto economico25.

Le riprese di valore possono essere rilevate fino a concorrenza di un importo tale da attribuire all’attività finanziaria un valore non superiore al valore che la stessa avrebbe avuto in quel momento per effetto dell’applicazione del costo ammortizzato in assenza di precedenti rettifiche.

L’attualizzazione dei flussi di cassa futuri stimati lungo la vita attesa del credito tiene conto del valore temporale del denaro. In base a quanto disposto dallo IAS 39, il tasso di rendimento effettivo che le banche devo utilizzare per attualizzare i flussi di cassa attesi, è fissato al 4%, la media riscontrata nell’esercizio di revisione della qualità degli attivi (asset quality review, AQR) del 2014.

In generale il valore di un prestito al lordo delle rettifiche di valore (Gross Book Value, GBV), è uguale a tale somma scontata:

dove f denota i flussi di cassa attesi. Questo metodo vale anche per determinare il valore netto dei crediti deteriorati.

Tale valutazione implica una nuova stima dei flussi di cassa attesi, che di norma si traduce in una “rettifica di valore” (un abbattimento del valore della posizione), da appostare nel conto economico dell’anno.

24 R. RUOZI, “Economia e gestione della banca”, p. 264.

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Il valore di un NPL al netto delle rettifiche (Net Book Value, NBV) è pari alla differenza tra il GBV e le rettifiche stesse:

dove f′ rappresenta il nuovo flusso di cassa, rivisto al ribasso, alla luce della mutata

condizione finanziaria dell’impresa, e t′ rappresenta il nuovo tempo di incasso, rivisto al

rialzo tenendo conto, tra l’altro, della durata prevista delle procedure esecutive per il realizzo delle garanzie. La rettifica di valore è dunque la differenza tra GBV e NBV. Con il passare del tempo è possibile che la posizione torni in bonis e nel qual caso la banca scriverà in bilancio una ripresa di valore; oppure può verificarsi che essa si deteriori ulteriormente e nel qual caso la banca dovrà effettuare ulteriori rettifiche di valore. In ogni periodo la differenza tra GBV e NBV è data dalla cumulata delle rettifiche (e delle eventuali riprese di valore) effettuate nel corso del tempo.

Il rapporto tra la consistenza delle rettifiche di valore e l’ammontare lordo delle posizioni

deteriorate, misura il tasso di copertura (coverage ratio)26. Tale copertura derivante dalla

presenza di rischi di deterioramento dello stato del credito, grava sulla banca che si vedrà costretta ad attingere dal capitale sociale. Di conseguenza, a fine esercizio, gli azionisti si vedono obbligati a concedere nuovo capitale per tornare al livello previsto per quella determinata società (banca in questo caso). Ad ogni modo, rimanendo ad un livello prettamente contabile, la copertura delle posizioni a sofferenza si sostanza nella creazione di un fondo apposito.

26 L. G. CIAVOLIELLO, F. CIOCCHETTA, F. M. CONTI, I. GUIDA, A. RENDINA, G SANTINI, “Quanto valgono i crediti deteriorati?” in Note di stabilità finanziaria e vigilanza, N. 3 aprile 2016, Banca d’Italia.

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3 - Il processo di recupero dei NPLs

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