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Nel capitolo precedente abbiamo rappresentato e descritto il funzionamento e le caratteristiche del processo di gestione dei crediti deteriorati. A tal proposito, l’obiettivo ultimo è quello di depurare la banca da elementi che, se mantenuti internamente, generano un notevole ammontare di costi. La fonte di questi ultimi è da ricercarsi nei vincoli patrimoniali imposti da Basilea 2, nella difficoltà del recupero totale delle posizioni classificate come “sofferenze”, nei costi di gestione e mantenimento di assets oggetto di garanzia (ad es. immobili) a cui si legano inoltre spese aggiuntive per le perizie, nei costi del personale dedicato alla gestione, del sistema informatico, nei tempi richiesti per l’esecuzione di determinate attività ecc. In un contesto simile, l’ottimizzazione di tale processo, intesa come massimizzazione dell’efficienza e dell’efficacia, risulta di fondamentale importanza. Tuttavia, come si evince dal capitolo precedente, la logica di costruzione nonché la struttura del processo di recupero risultano diverse rispetto ad un processo pensato per la produzione di un bene. Infatti, mentre quest’ultima tipologia viene analizzata e modificata in base ad analisi di cost e process management volte all’ottimizzazione dello stesso, il processo di recupero dei NPLs risulta in un certo senso obbligato. Infatti alcune attività sono definite ad esempio in conseguenza del risultato dell’attività precedente, altre invece derivano da attività decisionali che prevedono normalmente due alternative contrapposte. Per un’analisi più puntuale, si rimanda al capitolo 3. Ne consegue che, dal momento in cui le fasi del processo sono standardizzate

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e pressoché definite, ai fini di una massimizzazione dell’efficienza dello stesso, sarà utile e doveroso procedere con un’analisi puntuale dei costi.

Nel 1993, John K. Shank e Vijay Govindarajan hanno proposto un modello di “gestione strategica dei costi” che ritengo utile e se applicato al contesto oggetto di analisi. I due autori infatti, differenziano la gestione strategica dei costi dall’analisi degli stessi sulla base del fatto che la prima viene “effettuata in un contesto più ampio, dove gli elementi

strategici diventano più consapevoli, chiari e formali…Un’analisi e una comprensione profonda della struttura dei costi di un’azienda può portare molto lontano nella ricerca di un vantaggio competitivo sostenibile”53. Secondo gli autori infatti, un’analisi dei costi,

effettuata con particolare attenzione alla contabilità gestionale, pone eccessiva enfasi sul concetto di valore aggiunto. Sulla base di quest’ottica, il fine ultimo si sostanzia nella massimizzazione della differenza tra acquisti e vendite con la conseguente generazione, secondo gli autori, di due problemi rilevanti: “parte troppo tardi e si ferma troppo presto”. Tale affermazione verrà ripresa ed analizzata nello specifico più avanti. Tornando alla gestione strategica dei costi, analizzando il processo di recupero dei NPLs, è facile comprendere i risvolti strategici derivanti dall’implementazione della stessa. Infatti, oltre a cercare di recuperare il maggior valore possibile relativamente al credito vantato, una volta gestito, si provvederà alla “liberazione” del capitale accantonato secondo i vincoli previsti nonché delle riserve da rettifica. Di conseguenza tali risorse potranno essere re- impiegate nelle attività principali della banca le quali, se bene gestite, condurranno al raggiungimento di un vantaggio competitivo forte e sostenibile nel settore di riferimento. Passiamo ora ad analizzare nello specifico il modello proposto da Shank e Govindarajan. I due autori sostengono che il controllo strategico dei costi trovi una base solida sulla fusione di tre elementi fondamentali derivanti dagli studi in materia di gestione strategica delle imprese:

1. Analisi della catena del valore;

2. Analisi del posizionamento strategico; 3. Analisi delle determinanti di costo.

In sostanza i due autori affermano che una gestione strategica dei costi necessita di un’analisi della catena del valore, intesa come insieme di rapporti che l’azienda intrattiene con i suoi fornitori, a valle con i clienti, rapporti di processo all’interno della catena del

53 JOHN K. SHANK, VIJAY GOVINDARAJAN, “La gestione strategica dei costi: contabilità direzionale e vantaggio competitivo”, Il Sole 24 Ore, 1996

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valore di un’unità di business e i rapporti tra le catene del valore delle unità di business all’interno dell’azienda; da un’analisi del posizionamento strategico, partendo dalla definizione dei due principali indirizzi strategici identificati da Porter; ed infine da un’analisi delle determinanti di costo promuovendo una visione del tutto innovativa rispetto alla tradizionale identificazione delle stesse nel volume di produzione. Tutti e tre rappresentano degli elementi fondamentali da considerare per ottenere un vantaggio competitivo.

Lo studio effettuato dai due autori fonda le proprie radici nelle due tipologie di vantaggio competitivo proposta da Porter nel 1980: la leadership di costo e la differenziazione. Entrambe queste alternative non si escludono a vicenda e, dalla diversa tipologia di posizionamento relativo promosso, si possono identificare quattro diverse aree, riportate nella tabella seguente.

Tabella 4.1 – Lo sviluppo di un vantaggio competitivo

Fonte – JOHN K. SHANK, VIJAY GOVINDARAJAN, “La gestione strategica dei costi: contabilità direzionale e vantaggio competitivo”, Il Sole 24 Ore, 1996

I quadranti relativi al vantaggio da differenziazione e a quello da basso livelli di costi, rappresentano i casi “estremi”, mentre gli altri due si sostanziano in due mix dei precedenti caratterizzati da diversi livelli di posizionamento relativo: superiore o inferiore. Secondo Porter, un’impresa presenta un vantaggio competitivo di leadership di costo quando rileva dei costi sostanzialmente inferiori rispetto ai suoi competitors. A tal proposito, sono stati individuati alcuni approcci sui quali è possibile fare leva per ottenere un vantaggio competitivo da basso livello di costi:

• Economie di scala;

Posizionamento relativo in

termini di differenziazione Superiore

Vantaggio da differenziazione

Vantaggio da differenziazione e da

costi

Inferiore Aziende "bloccate a

metà"

Vantaggio da basso livello di costi

Inferiore Superiore

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• Effetti da curva di esperienza; • Controllo serrato di tutti i costi;

• Minimizzazione dei costi in aree come ricerca e sviluppo, servizi di assistenza,

forze di vendita e pubblicità.54

Per contro, una strategia volta all’ottenimento di un vantaggio competitivo da differenziazione, trova fondamento nell’offerta di prodotti diversificati caratterizzati da elementi che appaiono come distintivi e a cui clienti e consumatori associano un maggior valore in termini di utilità. Ciò permette al produttore di poter vendere i prodotti ad un prezzo maggiore chiamato premium price. Anche in questo caso, i due autori riportano alcuni approcci utili per poter perseguire un vantaggio competitivo da differenziazione:

• Fedeltà alla marca;

• Ottimo servizio di assistenza al cliente; • Rete di vendita;

• Design e caratteristiche del prodotto;

• Tecnologia.55

Una volta definite le due strategie di base proposte da Porter, Shank e Govindarajan affermano che “la possibilità che un’azienda riesca a sviluppare, e a mantenere, la

differenziazione, o il vantaggio nei costi, o il vantaggio sia nella differenziazione che nei costi dipende fondamentalmente dal modo in cui l’azienda gestisce e tiene sotto controllo la sua catena del valore in rapporto a quella dei concorrenti”. In altre parole essi

pongono come uno degli elementi cardine per il raggiungimento di uno dei due vantaggi competitivi identificati da Porter, o entrambi, la catena del valore, sostenendo che un’analisi della stessa sia fondamentale per capire in quale punto sia possa aumentare il valore per il cliente oppure promuovere una riduzione dei costi.

Quattro sono le aree individuate sulle quali è possibile intervenire per poter migliorare la redditività dell’azienda:

1. Rapporti con in fornitori; 2. Rapporti con i clienti;

54JOHN K. SHANK, VIJAY GOVINDARAJAN, “La gestione strategica dei costi: contabilità direzionale e vantaggio competitivo”, Il Sole 24 Ore, 1996, pag. 57

55JOHN K. SHANK, VIJAY GOVINDARAJAN, “La gestione strategica dei costi: contabilità direzionale e vantaggio competitivo”, Il Sole 24 Ore, 1996, pag 57-58

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3. Rapporti di processo all’interno della catena del valore di una particolare unità di business;

4. Rapporti tra le catene del valore delle specifiche unità di business all’interno dell’azienda.

Per quanto riguarda l’analisi dei primi, come detto all’inizio di questo capitolo, trova giustificazione nel fatto che “il concetto di valore aggiunto inizia troppo tardi”. In sostanza, far partire l’analisi dei costi dalle semplici operazioni di acquisto, esclude tutta una serie di possibilità di sfruttamento dei rapporti con in fornitori per poter dare vita a condizioni vantaggiosa di più ampio respiro. In altre parole, è necessario porre l’attenzione al legame con il fornitore (e non alla semplice operazione di acquisto) in modo tale da poter dar vita ad un contesto dal quale traggono vantaggio sia l’azienda che il provider. I due autori riportano l’esempio di un’azienda americana che ha ristrutturato

il processo produttivo seguendo la logica del Just In Time (JIT)56. La riorganizzazione del

processo produttivo aveva portato ad una differente domanda di prodotti finiti in termini di quantità, tempi di riordino ecc. unitamente ad un abbassamento consistente dei costi di assemblaggio. Tuttavia, contemporaneamente, emersero problemi rilevanti nei rapporti con i fornitori che iniziarono ad offrire le materie prima ad un prezzo più elevato, annullando totalmente i risparmi dell’azienda derivanti dalla politica di JIT. La motivazione principale risiedette nel fatto che quest’ultima trascurò completamente l’impatto che la nuova metodologia di produzione ebbe sui costi sostenuti dai fornitori, ignorando il fatto che una politica di JIT implica necessariamente la creazione di una partnership con i fornitori. Risulta perciò fondamentale un’analisi attenta dei rapporti con i fornitori ai fini del raggiungimento di un vantaggio competitivo, sia esso di differenziazione che di leadership di costo o entrambi.

Il secondo punto, per contro, fa riferimento ai rapporti con i clienti evidenziando quello che, in un’analisi del valore aggiunto, rappresenta il difetto di “fermarsi troppo presto”. Il ragionamento è lo stesso previsto per i fornitori: fermarsi ad analizzare la rilevanza

56 Dizionario di economia e finanza Treccani – Il JIT è l’insieme delle tecniche industriali di derivazione giapponese

applicato alla gestione della produzione, delle scorte e della catena di fornitura. Il termine JIT è talvolta erroneamente usato per indicare la produzione snella. Nella sua accezione più ristretta, significa produrre solo quanto richiesto dal cliente nei tempi voluti dal cliente; nella versione più estesa, l’applicazione del JIT è finalizzata alla riduzione, nonché all’eliminazione, di tutte le forme di spreco che si realizzano all’interno della fabbrica e nei rapporti di fornitura.

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della sola operazione di vendita risulta altamente limitante in un’ottica di rafforzamento e sfruttamento dei rapporti con i clienti. Gli autori evidenziano inoltre come la valorizzazione dei rapporti tra azienda e clienti è alla base del concetto di valutazione dei

costi del ciclo di vita, caratterizzato da un’analisi del rapporto tra il prezzo che il cliente

paga per l’acquisto di un prodotto e il costo totale che il cliente sostiene durante tutto il ciclo di vita utile del prodotto stesso. Infatti, come affermano Forbis e Mehta (1981),

“l’attenzione esplicita ai costi del prodotto sostenuti post-acquisto da parte del cliente può permettere una segmentazione del mercato a un posizionamento del prodotto molto più validi, così come l’ideazione e la progettazione del prodotto, in modo tale da ridurre i costi post-acquisto da parte del cliente, possono trasformarsi in un’arma primaria per ottenere vantaggi competitivi”57.

Per quanto riguarda il terzo punto, esso fa riferimento al fatto che le singole attività che creano valore in un’azienda sono interdipendenti e collegate tra di loro. Tale considerazione si oppone all’approccio della contabilità gestionale che tende, per contro, a promuovere riduzioni indifferenziate di costi in tutte le fasi della catena del valore. In un’ottica di gestione strategica dei costi, proprio considerando le varie interrelazioni esistenti tra le varie attività di un processo, è possibile giungere ad una riduzione dei costi totali tramite, ad esempio, un aumento deliberato dei costi di un’attività che crea valore. Ciò che conta perciò non è la sommatoria dei costi sostenuti per lo svolgimento delle singole attività, quanto piuttosto il valore che le stesse aggiungono, la rilevanza che hanno all’interno del processo e soprattutto, quali effetti comporta una modifica di un’attività sulle altre in termini di costi sostenuti, valore aggiunto creato e rilevanza per lo svolgimento del processo da un punto di vista strategico.

Infine gli autori evidenziano come non siano da trascurare neppure le possibilità di un amento potenziale dei profitti grazie allo sfruttamento delle relazioni intercorse tra le attività creatrici di valore aggiunto relativa a diverse unità di business. In altre parole, è necessario considerare le possibilità di sfruttamento di un’attività comune a più unità di business (ad es. la distribuzione) in un’ottica di condivisione dei costi sostenuti.

In linea con i tre elementi di base, il modello prevede tre fasi successive:

1. Identificazione della catena del valore dello specifico settore industrial e attribuzione dei costi, ricavi e capitale investito alle attività che creano valore;

57JOHN K. SHANK, VIJAY GOVINDARAJAN, “La gestione strategica dei costi: contabilità direzionale e vantaggio competitivo”, Il Sole 24 Ore, 1996, pag 17

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2. Sviluppo di un vantaggio competitivo sostenibile, o controllando le determinanti

di costi meglio dei concorrenti, o riconfigurando la catena del valore58;

3. Identificazione delle determinanti di costo che regolano ognuna delle attività che creano valore.

La prima di queste tre fasi parte dal presupposto che la catena del valore identifichi una certa quantità di attività strategiche, distinte l’una dalle altre, che nel loro insieme ed in base a specifiche relazioni, vanno a formare l’attività complessiva di un settore. Inoltre, una volta identificate, una gestione strategica dei costi implica l’effettuazione di un’analisi dettagliata delle stesse in termini di allocazione dei costi, ricavi e capitale investito. In base a ciò, i due autori riportano dei vincoli in base ai quali, le attività che creano valore, devono essere isolate rispetto alle altre:

• Se rappresentano una quota percentuale significativa dei costi operativi; • Se l’andamento del costo dell’attività (o delle determinanti di costo) è diverso; • Se vengono svolte dai concorrenti in modo diverso;

• Se possiedono un elevato potenziale per la creazione di differenziazione.

In conclusione, si può affermare che una mancata considerazione dell’impatto che scelte strategiche e/o operative hanno sulla catena del valore, comporta un’errata comprensione delle difficoltà relative alla gestione dei costi e, unitamente, alla perdita di opportunità rilevanti da cui può dipendere il raggiungimento di un vantaggio competitivo forte e sostenibile.

Il secondo pilastro fa riferimento al posizionamento strategico che l’azienda mira ad ottenere tramite l’implementazione di una o entrambe le strategie individuate da Porter: leadership di costo e differenziazione. Secondo Shank e Govindarajan infatti, una gestione strategica dei costi viene strutturata sulla base dell’utilizzo che l’azienda intende fare delle informazioni provenienti dalla contabilità analitica. Difatti, impostazioni strategiche differenti implicano una forma mentis differente e, di conseguenza, prospettive di analisi dei costi, nonché rappresentazione degli stessi, differenti. La tabella seguente riporta alcune delle differenze prodotte dall’utilizzo di principi strategici diversi relativamente all’analisi dei costi.

58JOHN K. SHANK, VIJAY GOVINDARAJAN, “La gestione strategica dei costi: contabilità direzionale e vantaggio competitivo”, Il Sole 24 Ore, 1996, pag. 68

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Tabella 4.2 – Le differenze nella gestione dei costi provocate da differenze nella strategia.

Fonte - JOHN K. SHANK, VIJAY GOVINDARAJAN, “La gestione strategica dei costi: contabilità direzionale e vantaggio competitivo”, Il Sole 24 Ore, 1996

Lo schema proposto da Govindarajan ci mostra come l’impostazione di un sistema di analisi e controllo dei costi sia strettamente legato al tipo di strategia perseguita. A tal proposito, il testo redatto dai due autori riporta un confronto tra un approccio basato sul SCM e quello prevalente nella pratica contabile odierna. Un primo contributo in materia viene da Simon il quale, nel 1954, coniò tre espressioni che identificano l’essenza della contabilità direzionale: score keeping, problem solving e attention directing. Si riporta tale considerazione in ragione del fatto che, nonostante il tema sia stato ripreso durante gli anni successivi, questa impostazione è rimasta sostanzialmente immutata. L’SCM fonda la propria rilevanza facendo perno sul fatto che ognuno dei tre ruoli individuati da Simon presuppone l’assunzione secondo cui tutta una serie di concetti e tecniche siano applicabili universalmente ad ogni azienda, anche con grado diverso di rilevanza. Di conseguenza, data la forte indipendenza dei tre ruoli dalla strategia adottata, anche gli

Differenziazione del

prodotto Leadership di costo

Ruolo dei costi di produzione programmati nella valutazione

dei risultati

Non molto importante Molto importante

Importanza di concetti come il budget flessibile per il controllo

dei costi di produzione

Da discreta a scarsa Da alta a molto alta

Importanza del rispetto del

budget Da discreta a scarsa Da alta a molto alta

Importanza dell'analisi dei costi di marketing

Determinante per il successo

Spesso non condotta in termini formali Importanza dei costi di

produzione come input delle decisioni dei prezzi

Scarsa Alta

Importanza dell'analisi dei costi

della concorrenza Scarsa Alta

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strumenti utilizzati per l’analisi dei costi saranno svincolati dalla stessa e ritenuti universalmente applicabili indipendentemente dall’azienda. Il modello proposto da Shank e Govindarajan confuta e dimostra l’insussistenza di tale considerazione affermando che “la contabilità direzionale può essere adattata alle reali esigenze gestionali di un’azienda,

se queste esigenze vengono chiarite ed evidenziate distintamente”59.

L’ultimo pilastro su cui si basa il modello di SCM, consiste nell’identificare le determinanti di costo, ossia “quegli elementi che spiegano le variazioni dei costi di ogni

attività che crea valore”60. Sotto questo aspetto si rileva un elemento di innovazione molto

importante; infatti basandosi sulla contabilità gestionale, l’approccio tradizionalmente indentificava un’unica determinante di costo: il volume di produzione. Secondo l’approccio dello strategic cost management (SCM) invece, tale elemento non risulta essere sufficiente a spiegare il comportamento dei costi e la complessità delle relazioni intercorrenti tra gli stessi. Attraverso l’analisi delle determinanti di costo, gli autori hanno cercato di rispondere a tre domande fondamentali che ogni azienda deve porsi relativamente alle singole attività che creano valore individuate:

1. Si possono ridurre i costi di questa attività, mantenendone costante il valore (i ricavi)?

2. Si può aumentare il valore (i ricavi) di questa attività, mantenendone costanti i costi?

3. Si può ridurre il capitale investito in questa attività, mantenendo costanti i costi e i ricavi?61

A tal proposito, i due autori riprendono dal lavoro di Riley (1987) identificando due macro-categorie in cui si possono dividere le determinanti di costo:

• Strutturali; • Operative.

Le prime fanno riferimento alla struttura economica di base di un’azienda. A tal proposito, il modello identifica cinque scelte strategiche che determinano la situazione di costo per

59JOHN K. SHANK, VIJAY GOVINDARAJAN, “La gestione strategica dei costi: contabilità direzionale e vantaggio competitivo”, Il Sole 24 Ore, 1996, pag. 23.

60JOHN K. SHANK, VIJAY GOVINDARAJAN, “La gestione strategica dei costi: contabilità direzionale e vantaggio competitivo”, Il Sole 24 Ore, 1996, pag 69.

61JOHN K. SHANK, VIJAY GOVINDARAJAN, “La gestione strategica dei costi: contabilità direzionale e vantaggio competitivo”, Il Sole 24 Ore, 1996, pag. 71.

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un prodotto o gruppo di prodotti analizzato:

1. Dimensioni per economie di scala: ossia le dimensioni dell’investimento da effettuare in impianti produttivi, ricerca e sviluppo, marketing ecc.;

2. Campo di attività: si fa riferimento al grado di integrazione verticale (quello orizzontale fa riferimento alle economie di scala);

3. Esperienza: ossia il numero di volte che l’azienda ha già fatto in passato quello che sta di nuovo facendo;

4. Tecnologia: si fa riferimento alle tecnologie di processo utilizzate in ogni passo della catena del valore dell’azienda;

5. Complessità: si fa riferimento all’ampiezza della gamma di prodotti o di servizi offerta ai clienti62.

Ognuna delle cinque determinanti strutturali di costo determina una serie di scelte da parte dell’azienda le quali implicano il sostenimento di un costo di prodotto. Nel corso degli anni, tale classificazione è stata oggetto di numerose considerazioni e rivisitazioni da parte di studiosi ed economisti. Dapprima infatti venne posta l’attenzione su tre delle cinque determinanti individuate, ritenute di maggior rilevanza: economie di scala, campo di attività ed esperienza. Successivamente, soltanto una tra queste attirò l’attenzione del

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