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Effetto di oli essenziali sulla produzione di biofilm in Pseudomonas fluorescens di origine casearia

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Academic year: 2021

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(1)

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie delle Produzioni

Animali

Tesi di Laurea

Effetto di oli essenziali sulla produzione di

biofilm in Pseudomonas fluorescens di origine

casearia

Candidato Relatore

Marco Mastrostefano Dott. Francesca Pedonese

Correlatore

Dott. Roberta Nuvoloni

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RIASSUNTO

Il biofilm batterico è costituito da una matrice formata da sostanze extracellulari che ingloba la comunità batterica che l’ha formata, fungendo sia da protezione che da nutrimento. Tali strutture, oltre a sviluppare su matrici organiche, sviluppano anche su superfici abiotiche come plastiche o acciaio. I materiali in questione sono tra quelli più usati negli impianti e nelle attrezzature delle industrie alimentari. L’eliminazione del biofilm è una necessità per l’industria alimentare, in quanto i batteri che possono svilupparvi possono appartenere sia a specie alteranti che patogene. Negli ultimi anni la ricerca si è focalizzata sullo sviluppo di sempre nuove modalità di inibizione della formazione o di rimozione dei biofilm microbici. Gli oli essenziali (OE) rappresentano in questo ambito una possibile risposta alternativa alle modalità chimiche e fisiche di lotta contro il biofilm ed ultimamente la loro azione è stata ampiamente studiata, in particolare, al fine di sostituire i disinfettanti chimici convenzionali con sostanze naturali che hanno senz’altro un minore impatto sulla salute e l’ambiente. Gli OE sono infatti estratti ottenuti da organismi vegetali che possiedono delle componenti ad attività antimicrobica ed antibiofilm.

Il lavoro di tesi è stato incentrato sulla valutazione dell’azione inibente sulla produzione di biofilm di Pseudomonas fluorescens di origine casearia, specie nota per la sua importante azione alterante sui prodotti, operata da quattro diversi OE utilizzati a concentrazioni sub-inibenti: timo bianco (Thymus vulgaris), manuka (Leptospermum scoparium), bergamotto (Citrus bergamia) e cannella (Cinnamomum zeylanicum). Allo scopo sono stati utilizzati 9 Pseudomonas

fluorescens isolati da mozzarelle del commercio con difetti di pigmentazione

anomala, oltre ad un ceppo di referenza ATCC. Su di essi è stata preliminarmente determinata la capacità di produrre biofilm su piastre di polistirene.

Per stabilire la concentrazione sub-inibente degli OE, è stata preventivamente determinata la minima concentrazione inibente (MIC) di ciascun OE nei confronti degli isolati in esame con metodo di microdiluizione su piastra. Successivamente sui batteri sviluppati in presenza di una concentrazione di MIC/2 dei singoli OE è stata valutata la riduzione della produzione di biofilm in rapporto alla produzione degli stessi batteri non trattati.

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I risultati hanno evidenziato per gli isolati in esame, tutti medi o forti produttori di biofilm, valori di MIC molto diversi per i diversi OE testati: la maggiore sensibilità è stata espressa nei confronti del timo, la minore verso manuka e bergamotto. Gli isolati hanno inoltre dimostrato una notevole variabilità di comportamento riguardo all’azione inibente esercitata dagli OE sulla produzione di biofilm. Una percentuale di riduzione di sviluppo superiore al 50% è stata riscontrata in particolare in 4 su 10 degli Pseudomonas fluorescens in esame nel caso di utilizzo di OE di timo, che è risultato quindi il migliore, anche in relazione ai favorevoli valori di MIC.

ABSTRACT

Bacterial biofilm is a self-produced matrix of extracellular polymeric substances that absorbs the bacterial communities and protect them. These microbial structures can develop both on organic substances and on abiotic surfaces, such as plastic or stainless steel, that are among the most used materials in the food industry.

Biofilm eradication is crucial for the food industry, because within the microbial biofilm both spoilage and pathogenic species can survive. Among the different tools proposed to eradicate microbial biofilms, essential oils (EO) can represent an efficient and alternative way, particularly aimed to replace the conventional chemical disinfectants with natural substances showing a minor impact on human health and environment. EO are vegetal extracts that possess components with different antimicrobial and antibiofilm activity.

This thesis work has focused on evaluating the inhibiting action on biofilm production of spoiling Pseudomonas fluorescens of dairy origin, a spoiling species very important for these products, by four EO used at sub-inhibitory concentrations: thyme (Thymus vulgaris), manuka (Leptospermum scoparium), bergamot (Citrus bergamia) and cinnamon (Cinnamomum zeylanicum). Nine

Pseudomonas fluorescens, isolated from commercial mozzarella with pigmentation

defects, and a reference ATCC strain were examined, by preliminary evaluation of their biofilm production on polystirene plates. Then, the minimal inhibitory concentration (MIC) of each EO on the tested bacterial isolates was determined by a microdilution method and, subsequently, the reduction of biofilm production of the isolates submitted to a MIC/2 concentration of each EO in comparison with the

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untreated controls was evaluated. On the basis of the results obtained, the tested isolates, which resulted intermediate or strong biofilm-producers, showed a wide variability with regard to the MIC values of the four EO: thyme evidenced the highest antimicrobial activity, while bergamot and manuka the lowest. With regard to the antibiofilm activity, the different isolates resulted differently inhibited by the same EO. A reduction percentage higher than 50% was registered in 4 of the 10 tested Pseudomonas fluorescens in presence of a MIC/2 concentration of thyme EO; thus, this EO resulted the best in the tested conditions, also considering the favourable values of MIC.

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INDICE

INTRODUZIONE ... 1

1. Gli Pseudomonas alteranti nell’industria alimentare ... 3

1.1. Tassonomia e classificazione ... 3 1.2. Caratteristiche generali ... 7 1.2.1. Siderofori ... 10 1.2.2. Chitinasi ... 11 1.2.3. Pigmenti ... 12 1.3. Pseudomonas patogeni ... 14

1.4. Pseudomonas negli alimenti di origine animale ... 15

2. La produzione di biofilm microbico ... 19

2.1. Formazione del biofilm e caratteristiche strutturali ... 20

2.2. Meccanismi di regolazione del biofilm ... 22

2.3. Parametri condizionanti la formazione del biofilm sulle superfici ... 24

2.4. Antibiotico-resistenza nei batteri contenuti nel biofilm ... 25

2.5. Il biofilm negli ambienti di lavorazione degli alimenti ... 27

2.6. Microrganismi produttori di biofilm ... 28

2.7. Controllo e rimozione del biofilm ... 30

2.7.1. Sistemi di rimozione chimici ... 30

2.7.2. Sistemi di rimozione fisici ... 33

2.7.3. Sistemi di rimozione biologici ... 34

2.8. Il biofilm di Pseudomonas spp. ... 36

3. Oli essenziali: proprietà antibatteriche ed antibiofilm ... 41

3.1. Proprietà chimico-fisiche degli oli essenziali ... 42

3.2. Attività antibatterica ed antibiofilm degli oli essenziali ... 46

3.3. Prospettive future per gli oli essenziali ... 50

3.4. Olio essenziale di timo (Thymus vulgaris) ... 51

3.5. Olio essenziale di manuka (Leptospermum scoparium) ... 53

3.6. Olio essenziale di bergamotto (Citrus bergamia) ... 57

3.7. Olio essenziale di cannella (Cinnamomum zeylanicum) ... 60

(6)

4.1. Isolati di Pseudomonas fluorescens utilizzati ... 63

4.2. Protocollo utilizzato per la valutazione della formazione del biofilm ... 64

4.3. Classificazione degli Pseudomonas fluorescens in base alla produzione di biofilm ... 65

4.4. Gli oli essenziali selezionati ... 66

4.5. Determinazione della concentrazione minima inibente (MIC) ... 67

4.6. Valutazione della formazione del biofilm da parte di Pseudomonas fluorescens trattati a dosi sub-inibenti degli oli essenziali ... 68

4.7. Criterio di quantificazione dell’azione degli oli essenziali sul biofilm di Pseudomonas fluorescens trattati a dosi sub-inibenti. ... 68

5. Risultati e discussione ... 69

5.1. Categorizzazione degli Pseudomonas fluorescens ... 69

5.2. Caratterizzazione degli oli essenziali ... 70

5.3. Risultati relativi alla minima concentrazione inibente (MIC) ... 73

5.4. Valutazione dello sviluppo di biofilm di Pseudomonas fluorescens sottoposti al trattamento con concentrazioni sub-inibenti di oli essenziali ... 74

5.4.1. Sviluppo di biofilm a seguito del trattamento con l’olio essenziale di timo . 75 5.4.2. Sviluppo di biofilm a seguito del trattamento con l’olio essenziale di manuka ... 75

5.4.3. Sviluppo di biofilm a seguito del trattamento con l’olio essenziale di bergamotto... 76

5.4.4. Sviluppo di biofilm a seguito del trattamento con l’olio essenziale di cannella ... 77

6. CONCLUSIONI ... 81

Bibliografia ... 83

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1

INTRODUZIONE

Pseudomonas fluorescens è un batterio bastoncellare Gram-negativo, strettamente

aerobio, catalasi positivo, trovato frequentemente nel suolo, nelle acque superficiali e nella vegetazione. Ѐ una specie batterica che può appartenere alla flora del cavo orofaringeo umano e viene isolata con una certa frequenza in ambiente ospedaliero, da soggetti debilitati e da infezioni post-trasfusionali e respiratorie (Gershman et

al., 2008; Po-Ren et al.1998), anche se la specie Pseudomonas aeruginosa rimane

la più importante a questo riguardo. Il germe ha una grande capacità di adattamento che gli consente di potersi adattare a diverse situazioni ambientali e di resistere ai comuni disinfettanti che vengono impiegati, in modo tale da sopravvivere e moltiplicarsi negli ambienti di lavorazione degli alimenti. Oltre ad essere veicolato dall’acqua, P. fluorescens si trova in tutti quegli alimenti che presentano elevati valori di acqua libera (Aw), come latte, vegetali e carne. Molte specie di

Pseudomonas sono in grado di produrre pigmenti idrosolubili che possono

provocare alterazioni cromatiche sui prodotti. A questi si associa una biovariante di

Pseudomonas fluorescens capace di produrre un pigmento non idrosolubile

intensamente blu.

Benché casi sporadici di pigmentazioni di mozzarelle ed altri formaggi freschi ad opera di Pseudomonas fossero stati registrati più volte in passato, nel 2010 si è verificato un vero e proprio caso mediatico da “mozzarelle blu”, a causa della numerosità dei riscontri del difetto al consumo. In particolare nel maggio 2010 è stato segnalato il primo caso italiano di mozzarella blu, peraltro prodotta in Germania. Le prime analisi condotte presso gli Istituti Zooprofilattico Sperimentali hanno consentito di individuare Pseudomonas fluorescens come responsabile della colorazione anomala. Tuttavia uno studio successivo ha dimostrato che la colorazione blu non è strettamente correlata con la presenza del microrganismo sul prodotto, in quanto sono state riscontrate alte concentrazioni di Pseudomonas

fluorescens anche in prodotti organoletticamente normali (Cibotti et al., 2011). Ѐ

infatti necessaria la presenza di ceppi dotati di un’attività pigmentante.

Un altro problema degli impianti di trasformazione correlato alla presenza di

Pseudomonas alteranti è legato alla loro capacità di produrre enzimi extracellulari

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2 nel latte e nei prodotti lattiero-caseari. Inoltre, anche se i batteri sono eliminati con la pastorizzazione, gli enzimi prodotti sono termoresistenti e quindi in grado di agire nonostante la pastorizzazione, causando fenomeni di irrancidimento e proteolisi in latte o prodotti derivati (Rajmohan et al., 2002).

Un’altra caratteristica negativa di P. fluorescens risiede nella sua capacità di formare biofilm su superfici abiotiche quando si trovi in presenza di adatti nutrienti (O’Toole e Kolter, 1998). Solitamente i membri del genere Pseudomonas formano prontamente il biofilm e nell’industria alimentare, così come in medicina, questo rappresenta un problema. Tra le varie soluzioni volte a combattere la presenza del biofilm, sono stati proposti anche dei rimedi naturali, di origine vegetale, come estratti acquosi ed oli essenziali, in grado di influenzare diversi meccanismi batterici ed in particolare i sistemi di quorum-sensing deputati a svariate attività, come ad esempio al movimento batterico o alla formazione del biofilm. Queste molecole di origine naturale hanno anche il vantaggio di rappresentare una possibile alternativa agli antibiotici classici, verso i quali aumentano sempre di più i fenomeni di antibiotico-resistenza (Masak et al., 2014).

Diversi studi hanno focalizzato la loro attenzione sugli effetti degli oli essenziali nei confronti dei batteri produttori di biofilm, come nel caso del genere Pseudomonas, che peraltro non rappresenta uno dei più studiati, per cui i dati in proposito sono abbastanza scarsi. Tale argomento ha quindi definito lo scopo di questa tesi di laurea, che si basa sulla valutazione dell’azione antibiofilm di P. fluorescens di origine alimentare, ed in particolare casearia (mozzarelle con difetti di pigmentazione) da parte di 4 oli essenziali utilizzati a concentrazioni sub-inibenti.

(9)

3

1. Gli Pseudomonas alteranti nell’industria alimentare

1.1. Tassonomia e classificazione

I batteri del genere Pseudomonas presentano il seguente inquadramento tassonomico: Famiglia Pseudomonadaceae, Ordine Pseudomonadales, Classe

γ-Proteobacteria, Phylum γ-Proteobacteria, Regno Bacteria, Dominio Prokaryota

(Silby et al., 2011).

Il genere comprende un gran numero di batteri bastoncellari, dritti o lievemente curvi, Gram-negativi (Figura 1 e 2), di dimensioni comprese tra 0,5-1,0 µm di diametro e 1,5-5 µm di lunghezza (Moore et al., 2006), dotati di uno o più flagelli polari che permettono loro di muoversi, privi di rivestimenti esterni o capsula. Sono batteri aerobi e psicrofili, inoltre non producono spore e non sono resistenti al calore. Con un pH inferiore a 5 il loro sviluppo è ostacolato (Cantoni e Chiappa, 2011).

Figura 1- Pseudomonas aeruginosa al microscopio ottico (http://www.wikiwand.com/fr/Pseudomonas)

Figura 2- Pseudomonas aeruginosa

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4 La classificazione di piante ed animali cominciò nell’antica Grecia con Aristotele, ma la moderna tassonomia si fa iniziare nel 1753 con la pubblicazione della prima edizione del Systema Naturae di Carlo Linneo.

Per ovvie ragioni gli studi a riguardo non poterono esplicarsi più di tanto a causa delle limitazioni tecniche, fino a che il microscopio non raggiunse una potenza di risoluzione tale da permettere di osservare i microrganismi (Palleroni, 2003).

Con la pubblicazione del suo sistema di classificazione nel 1872, basato sulla morfologia delle cellule batteriche, Ferdinand Cohn fu considerato il padre della tassonomia batterica.

Anche se la data di pubblicazione del genere Pseudomonas è stata riconosciuta nel 1894, il genere è stato presentato per la prima volta nel 1895 da Walter Migula in una sua pubblicazione dove descrisse e comparò tutti i batteri conosciuti. L’iniziale descrizione di Pseudomonas da parte di Migula si basò sulle sole caratteristiche morfologiche (Moore et al., 2006).

Anche se il principio della morfologia batterica fu universalmente accettato in quel periodo e molti tassonomisti lo seguirono, all’inizio del XX secolo Orla-Jensen propose di usare un altro criterio per la classificazione batterica che riguardava le caratteristiche fisiologiche. Questa nuova teoria, che pure apportò un notevole contributo nella comunità scientifica per le conoscenze assunte riguardo le diversità metaboliche dei procarioti, e la precedente teoria di Cohn, non riuscirono tuttavia a dare delle risposte soddisfacenti ad alcuni aspetti contrastanti (Palleroni, 2003). Agli inizi del Novecento intanto il genere Pseudomonas includeva già 75 specie, tra cui Pseudomonas aeruginosa, precedentemente descritto come “Bacterium

aeruginosum” da Schroeter nel 1872 (Moore et al. 2006).

Intanto anche l’America era sulla strada di adottare un suo sistema di classificazione batterica, che cominciò nel 1923 con la pubblicazione della prima edizione del Bergey’s Manual of Determinative Bacteriology, in cui non si presero in considerazione solo la morfologia e la fisiologia dei batteri ma anche la patogenicità che i microrganismi presentavano nei confronti di uomo, animali e piante.

A metà del XX secolo partì un progetto per lo sviluppo della tassonomia dello

Pseudomonas, grazie al riesame del microbiologo Roger Stanier che cercò di far

luce sulla definizione e la classificazione delle diverse specie. Successivamente, tra il 1966 ed il 1973 la sua iniziativa fu supportata da ulteriori dettagli forniti da altri

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5 studiosi come Redfearn, Ballard, Palleroni, Doudoroff, Ralston, Barrett, Champion e Johnson (Palleroni, 2003).

Nell’ottava edizione del Bergey’s Manual of Determinative Bacteriology del 1974, furono incluse 29 specie ben caratterizzate, con altre 206 meno descritte incluse come aggiuntive. Nel 1980 sull’International Journal of Systematic Bacteriology, venne pubblicata una lista che includeva 87 specie di Pseudomonas.

Precedentemente, negli anni ‘70, il più grande contributo alla tassonomia dello

Pseudomonas fu la presentazione della suddivisione del genere in gruppi sulla base

delle similarità dell’rRNA e la stima della relazionalità filogenetica. Furono distinti in questo modo 5 gruppi (Palleroni et al., 1973):

- Gruppo I - P. aeruginosa, P. fluorescens, P. putida, ed altre specie correlate, definiti i “veri” Pseudomonas (Pseudomonas sensu stricto), appartenenti alla suddivisione γ dei Proteobacteria (Moore et al., 2006).

La specie P. fluorescens è stata poi ulteriormente suddivisa in 5 diverse biovar e 7 biotipi:

-Biotipo A (I): P. fluorescens tipico -Biotipo B (II): P. marginalis, P tolaasii -Biotipo C (III)

-Biotipo D: P. chlororaphis -Biotipo E: P. aureofaciens -Biotipo F (IV): P. lemmonieri

-Biotipo G (V): ceppi miscellanei di P. genicolata – incertae sedis, batteri eterogenei per le necessità nutrizionali (Cantoni e Chiappa, 2011)

- Gruppo II - P. cepacia, P mallei e specie correlate (riclassificate come

Burkholderia), P. solanacearum, P. picketti e specie correlate (riclassificate come Burkholderia e successivamente Ralstonia). Questo gruppo appartiene alla

suddivisione β dei Proteobacteria.

- Gruppo III – P. testosteroni e specie correlate (riclassificate come Comamonas),

P. acidovorans e specie correlate (riclassificate come Comamonas e

successivamente Delftia), P. facilis e specie correlate (riclassificate come

Acidovorax), P. palleronii e specie correlate (riclassificate come Hydrogenophaga)

e P. saccharophila, ad oggi non riclassificata. Questo gruppo include specie osservate all’interno della suddivisione β dei Protebacteria.

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6 - Gruppo IV – P. diminuta e P. vesicularis (riclassificate come Brevundimonas). Questo gruppo include specie osservate nella suddivisione α dei Proteobacteria. - Gruppo V – P. maltophilia (riclassificata come Xanthomonas e successivamente

Stenotrophomonas); questo gruppo include specie osservate nella suddivisione γ dei

Proteobacteria, ma chiaramente distinto dagli Pseudomonas.

In questo modo si è stabilita la struttura della moderna tassonomia del genere

Pseudomonas.

Uno studio recente eseguito da Anzai et al. (2000) (Figura 3), basato sull’analisi della subunità del 16S di 128 specie del genere Pseudomonas, ha permesso di suddividere ulteriormente il gruppo Pseudomonas sensu stricto in sette subcluster:

Pseudomonas syringae group, Pseudomonas chlororaphis group, Pseudomonas fluorescens group, Pseudomonas putida group, Pseudomonas stutzeri group, Pseudomonas aeruginosa group e Pseudomonas pertucinogena group.

Tuttavia l’analisi delle sequenze del 16S non sempre porta a discriminare tutte le specie, dato che è presente in tutti gli organismi con un basso tasso di evoluzione. Per questo sono stati affiancati studi su alcuni geni housekeeping: gyrB e rpoD (Yamamoto et al., 2000), atpD, carA, recA (Hilario et al., 2004) e rpoB (Mulet et

al., 2009). Si è inoltre affiancata l’analisi delle sequenze ITS (Internally Transcribed Spacer), che altro non sono che RNA non funzionale con dimensioni e

composizione nucleotidica molto diverse anche in organismi filogeneticamente vicini.

Attualmente sono riconosciute 231 specie diverse all’interno del genere

Pseudomonas (www.bacterio.net/pseudomonas.html, data ultima consultazione: 25

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7

Figura 3- Ricostruzione filogenetica delle specie di Pseudomonas, all’interno di sette subcluster, basata sull’analisi dell’RNA ribosomiale 16S (Anzai et al., 2000)

1.2. Caratteristiche generali

Si tratta di microrganismi mobili, bastoncellari, non sporigeni, Gram-negativi, con un contenuto di guanina-citosina (GC) del 58-69%, chemio-organotrofi, con uno stretto meccanismo respiratorio, potendo usare ossigeno, ed in alcuni casi azoto, come accettore terminale di elettroni (Couillerot et al., 2009). Escludendo alcune eccezioni, la motilità è una caratteristica distintiva nelle specie di Pseudomonas, in quanto essa stessa è una risposta ad alcuni stimoli chimici (chemiotassi). La maggior parte degli Pseudomonas aeruginosa hanno un unico flagello, tranne alcuni che ne possiedono anche due o tre. Anche P. alcaligenes, P. mendocina, P.

pseudoalcaligenes e P. stutzeri sono provvisti di un unico flagello per cellula,

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8 possiede flagelli multipli. Inoltre sono stati isolati diversi ceppi anche privi di motilità. L’ubiquitarietà degli Pseudomonas è data dalle loro semplici richieste nutrizionali, dalla serie di composti carboniosi che utilizzano, dalla genetica e dalla loro adattabilità metabolica. In sostanza ogni habitat che abbia una temperatura dai 4 ai 42°C (con un optimum di 25-35°C), un pH tra 4 e 8 e contenente composti organici semplici o complessi è potenzialmente un ambiente favorevole per

Pseudomonas. Essendo batteri aerobi, la richiesta di ossigeno sembra essere il

maggior fattore vincolante.

Gli Pseudomonas si ritrovano nel suolo ed in ambienti acquatici, a livelli di pH neutri. Possono essere saprofiti o parassiti. Generalmente non sono presenti in ambienti anaerobi, in condizioni estreme di termofilia o in ambienti acidi. Sulla base delle loro caratteristiche, gli Pseudomonas sembrano occupare una posizione prominente in natura.

I batteri del genere Pseudomonas sono tradizionalmente studiati come “forme planctoniche” in brodi di coltura. D’altra parte per sopravvivere in svariati ecosistemi, essi, come altri microrganismi, sono in grado di crescere in biofilm, a volte contenuti, altre piuttosto estesi. Il quorum-sensing sembra giocare un ruolo fondamentale nello sviluppo del biofilm attraverso la percezione della densità di popolazione e l’azione di controllo nell’espressione di geni deputati alle varie fasi dello sviluppo del biofim (Moore et al., 2006). Gli Pseudomonas sono batteri aerobi obbligati, ma in certi casi possono anche fissare azoto atmosferico. Inoltre presentano alcune proprietà peculiari, come l’aumento dei cromosomi una volta raggiunta la fase stazionaria di crescita e la formazione di “cisti” all’esaurimento del carbonio che aiutano il batterio a resistere alla disidratazione. In queste formazioni l’alginato è una componente strutturale importante e l’accumulo di poli-betaidrossibutirrato rappresenta una forma di stoccaggio di carbonio e di energia una volta raggiunta la fine della crescita esponenziale (Özen e Ussery, 2012). Anche se ubiquitari, per lo più diffusi in ambienti mesofili, i batteri del genere

Pseudomonas fanno parte dei batteri psicrotolleranti, in grado di sviluppare a

temperature di refrigerazione. La loro moltiplicazione in fase di stoccaggio refrigerato può essere causa di difetti in diversi alimenti, ed in particolare in latte e prodotti lattiero-caseari. Infatti un momento delicato che riguarda il processo di lavorazione del latte crudo risiede nella fase di stoccaggio a temperatura di refrigerazione, in cui gli Pseudomonas, provenienti soprattutto dal suolo o dalle

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9 acque contaminate, raggiungono e colonizzano i tank di deposito. Gli Pseudomonas sono in grado di ostacolare la crescita di altri batteri, come Aeromonas, Listeria,

Staphyloccocus, Enterococcus ed Enterobacteriaceae, così da rappresentare la

componente dominante nel latte crudo refrigerato, con una concentrazione che va dal 70 al 90% dell’intera popolazione psicrofila totale. D’altra parte sono facilmente inattivati attraverso la pastorizzazione o il trattamento UHT, ma i loro enzimi termoresistenti persistono nel latte (De Jonghe et al., 2011).

Il genere Pseudomonas generalmente ha richieste nutritive semplici e molte specie sono state isolate da una grande varietà di ambienti. In laboratorio sviluppa bene in mezzi colturali contenenti diverse sostanze organiche in soluzione, a pH neutro e a temperature mesofile. La temperatura ottimale di crescita per P. aeruginosa è di 37°C. Generalmente, le altre specie di Pseudomonas crescono bene a 28-30°C. Spesso, come è stato descritto precedentemente, gli Pseudomonas tendono ad ostacolare la crescita di altri generi batterici. Molte specie di Pseudomonas sviluppano con facilità in terreni colturali, come Tryptic Soy Broth (TSB), Tryptic Soy Agar (TSA) e altri mezzi colturali ricchi di peptidi. Specie saprofite di

Pseudomonas possono essere isolate strisciando il campione in agar nutritivi o in

piastre contenenti TSA. Specie denitrificanti sono isolate con procedure di arricchimento specifiche in terreni contenti nitrato (NO3), in assenza di ossigeno, a

30-40°C.

La maggior parte delle specie cresce in terreni definiti chimicamente senza l’aggiunta di fattori di crescita. Inoltre non è necessario alcuno apporto minerale o vitaminico per supportare la crescita di Pseudomonas sensu stricto.

Nel caso di terreni colturali utilizzati per l’arricchimento selettivo di Pseudomonas, la carenza di ferro può favorire lo sviluppo di pigmenti e quindi svelare lo sviluppo di specie fluorescenti. Infatti la fluorescenza è dovuta alla produzione di siderofori, in risposta alla carenza di ferro. Anche terreni colturali selettivi con antibiotici, come la penicillina G e la novobiocina, sono in grado di supportare lo sviluppo delle specie di Pseudomonas fluorescenti.

Per gli Pseudomonas fluorescenti si usano anche mezzi selettivi come il terreno di King A e B, che contengono sali di potassio e magnesio per aumentare la produzione dei pigmenti piocianina e pioverdina. Altri terreni selettivi che supportano la crescita degli Pseudomonas includono Pseudosel agar, Cetrimide agar, Pseudomonas isolation agar e Pseudomonas agar F, anche se i microrganismi

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10 in questione sono isolati in minor numero e diversità sui più potenti terreni selettivi. Difatti i terreni selettivi sono raccomandati per campioni provenienti da suolo, acqua e materiali organici che contengono molti altri microrganismi, mentre i terreni di crescita generici sono più utili al fine di ottenere un più largo numero e una più ampia diversità degli isolati da fonti che già esibiscono una forte pressione selettiva (Moore et al., 2006).

1.2.1. Siderofori

I siderofori (dal greco: “trasportatori di ferro”) sono sostanze a basso peso molecolare (< 1KDa) prodotte da diversi tipi di microrganismi e dalle piante, in grado di legare il Fe3+ e facilitarne il trasporto intracellulare in funzione della loro idrosolubilità e di specifici recettori di membrana. Vista la loro affinità con il ferro, sono considerati agenti chelanti, poiché attraverso l’atomo di ossigeno legano e trasportano il ferro formando un composto stabile. Strutturalmente queste sostanze sono suddivise in catecolati, idrossamati, fenolati e carbossilasi, sebbene esistano forme più complesse, come la pioverdina, prodotta da alcune specie di

Pseudomonas fluorescenti, definite idrossicatecolati visto che possiedono sia il

gruppo funzionale degli idrossamati che quello dei catecolati. La loro sintesi è controllata da una cascata di regolatori trascrizionali positivi e negativi, che determinano l’espressione dei geni da cui deriverà la produzione dei siderofori. I siderofori sono secreti in risposta ad una bassa biodisponibilità di ferro nell’ambiente, recepita da proteine sensori presenti a livello dello spazio periplasmatico, dove, mediante la scissione di ATP, si attivano i meccanismi genetici che producono tali sostanze. Il complesso ferro-sideroforo, sia nei funghi che negli altri eucarioti, può essere ridotto a Fe2+ a livello extracellulare, oppure, più frequentemente, attivamente trasportato attraverso la membrana cellulare. Nei batteri Gram-negativi, il complesso è successivamente trasportato nel citoplasma mediante trasportatori ABC (ATP-binding cassette transporters). Nel citoplasma il complesso rilascia Fe3+ che viene ridotto enzimaticamente, dalla ferro-chelato reduttasi, a Fe2+ per poi divenire disponibile per le funzioni cellulari. Secondo lo stesso criterio, il meccanismo si ripete anche per il trasporto di altri microelementi, come il cobalto ed il molibdeno.

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11 Attraverso diversi studi è stato possibile comprendere che i siderofori possono dimostrare una capacità inibente nei confronti di varie specie microbiche, in quanto tali sostanze, prodotte da un batterio, sono in grado di sottrarre ferro ad altri batteri inibendone i sistemi enzimatici utili allo sviluppo, soprattutto in caso di batteri Gram-negativi. In questo senso è stata dimostrata l’attività inibente di alcune

Pseudomonadaceae nei confronti di altri batteri alteranti o anche patogeni, come

nel caso di Pseudomonas fluorescens verso Escherichia coli O157:H7 (Giarratana

et al., 2012).

Gli Pseudomonas sensu stricto sono in grado di produrre siderofori che emettono una fluorescenza giallo-verde, visibile con l’esposizione delle colonie ai raggi UV. Questo è possibile poiché i siderofori contengono un cromoforo, oltre ad una catena peptidica formata da un numero di aminoacidi che varia da 6 a 12 (Cornelis e Matthijs, 2002). La differenziazione del peptide e della composizione aminoacidica permettono di mettere in relazione queste molecole con il ceppo produttore, ad esempio Pseudomonas aeruginosa secerne principalmente pioverdine o piochelatine, mentre Pseudomonas fluorescens produce pseudomonine e quinolobactine (Faraldo-Gomez e Sansom, 2003).

1.2.2. Chitinasi

La chitina è un omopolimero di β-1,4-N-acetil-D-glucosammina, uno dei più importanti polimeri presenti in natura. Il riciclaggio di chitina è dato principalmente da materiali od organismi morti processati dall’attività chinolitica dei microganismi (Folders et al., 2001).

La chitinasi è un enzima che idrolizza il legame glicosidico β-1,4 della chitina, componente strutturale di diversi parassiti da un punto di vista agronomico, come funghi fitopatogeni, l’esoscheletro ed il tratto digerente di alcuni insetti, nematodi ed il tegumento degli artropodi. Le chitine si trovano infatti comunemente in una vasta gamma di organismi come batteri, funghi, piante, insetti, crostacei ed alcuni vertebrati. Il ruolo della chitinasi può essere suddiviso in diverse categorie. Nei funghi, l’attività enzimatica ha un ruolo fisiologico per quanto riguarda la crescita e la morfogenesi delle ife. Nei batteri sembra avere un ruolo nutrizionale nella decomposizione di chitina insolubile e nella sua utilizzazione come fonte di carbonio ed energia. Nelle piante svolge un’azione di difesa dalle infezioni fungine.

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12 La produzione di chitinasi batteriche, ed in particolare di chitinasi da Pseudomonas, può avere un ruolo nella lotta biologica verso alcuni agenti di malattie delle piante. Ad esempio, in uno studio del 1994, fu evidenziato come un ceppo di Pseudomonas

stutzeri potesse lisare un fungo, il Fusarium solani, causa della marcescenza delle

radici di diverse piante in produzione. Il ceppo in questione era in grado di liberare chitinasi extracellulari e β-1,3-glucanasi, che sono enzimi essenziali per la decomposizione della parete fungina delle ife (Lim e Kim, 1994).

L’attività chitinolitica microbica è stata evidenziata in diversi generi batterici del suolo Gram-positivi, come Bacillus. Tra i Gram-negativi è stata studiata in

Serratia spp., Enterobacter spp., Vibrio spp. e Alteromonas spp., svelando la

produzione di differenti enzimi chitinolitici. Esaminando in maniera specifica batteri del genere Pseudomonas è stata valutata l’attività chitinolitica di

Pseudomonas stutzeri, Pseudomonas fluorescens e Pseudomonas aeruginosa. Di

quest’ultima specie in dettaglio si conoscono due differenti isoenzimi ad attività endochitinasica (Nielsen e Sørensen, 1999). Il gene chiC di Pseudomonas

aeruginosa codifica per un enzima chitinolitico extracellulare composto da un

polipeptide di 483 amminoacidi, sprovvisto della tipica sequenza N-terminale che permette il trasporto dell’enzima fuori dalla cellula ed ha una certa similarità con la corrispondente Chic chitinasi di Serratia marcescens (Folders et al., 2001).

1.2.3. Pigmenti

I pigmenti batterici, in genere uniti alle proteine con legame non covalente, si distinguono in:

Pigmenti fenazinici: pigmenti idrosolubili prodotti da diversi generi batterici

comprendenti più di 50 varietà, ognuno con uno specifico anello fenazinico in grado di riprodurre ogni colore dello spettro visibile. Derivano metabolicamente dall’acido shikimico tramite l’acido fenazin 1-6 dicarbossilico. Due delle diverse fenazine hanno un colore blu, la piocianina, o metilfenanzin-1-one, e la N-metil-1-idrossifenazina.

Carotenoidi: pigmenti che proteggono i microrganismi dalle radiazioni ionizzanti.

Formano elettroni, radicali idrossilici e radicali idridici in grado di alterare i biopolimeri, come proteine, DNA e RNA.

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13 Alcuni microrganismi, tra cui Pseudomonas, producono due caratteristici colori blu, meno frequenti rispetto ai due gruppi precedenti, la glaucotalina e la indigoidina. Le indigoidine non sono solubili in acqua e la loro produzione è un fattore variabile, influenzato dalla composizione del terreno di crescita (Cantoni e Chiappa, 2011). Una caratteristica degli Pseudomonas fluorescenti è la produzione di pigmenti che si illuminano se colpiti da luce ultravioletta a breve lunghezza d’onda (254 nm), in condizioni di limitazione di ferro. Alcuni di questi pigmenti e i loro derivati sono dei siderofori. Generalmente questi pigmenti sono visualizzabili ricorrendo a specifici terreni di coltura, come il terreno di King B, che non contiene aggiunte di ferro. Il medesimo terreno è usato per ottenere in particolare la produzione di un pigmento non fluorescente blu, la piocianina, prodotto dalla maggior parte dei ceppi di P. aeruginosa (Moore et al., 2006). La piocianina (5-metilfenazin-1-one) è un pigmento antibiotico, un fattore di virulenza di P.aeruginosa, in grado di uccidere le cellule dell’ospite, contrastare il movimento delle cilia, inibire la proliferazione dei linfociti ed alterare la fagocitosi. I pigmenti blu sono prodotti solo da ceppi di

Pseudomonas aeruginosa e da ceppi di Pseudomonas fluorescens di alcune biovar

(Tabella 1). I batteri principalmente coinvolti nelle alterazioni cromatiche blu di alimenti di origine animale sembrano appartenere a P. fluorescens, di cui un ceppo appartenente alla biovar IV è in grado di produrre un pigmento blu identificabile come indigoidina, chimicamente 5-5’-diamino-4-4’diidrossi-3-3diazochinone 2-2 (Cantoni e Chiappa, 2011).

Tabella 1- Pigmenti fluorescenti in diverse biovar di Pseudomonas fluorescens (Cantoni e Chiappa, 2011)

I pigmenti possono essere distinti anche in base alla loro solubilità-insolubilità, come la pioverdina, idrosolubile, dal caratteristico colore giallo-verde fluorescente, che è un importante sideroforo di diverse specie di Pseudomonas. Lo Pseudomonas

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14 color arancio ed è prodotta dallo Pseudomonas aureofaciens e dallo Pseudomonas

chlororaphis e la clororafina, di colore verde, è prodotta dallo Pseudomonas chlororaphis (Moore et al., 2006). Inoltre, tra i più noti, ritroviamo anche la

fluorescina, di colore giallo dorato, e la piomelanina dal caratteristico colore nero (Cibotti et al., 2011).

1.3. Pseudomonas patogeni

Pseudomonas aeruginosa, batterio versatile ed ubiquitario, è identificato come un

patogeno opportunista, difatti può infettare un’ampia scelta di ospiti, dalle amebe agli umani, e viene isolato frequentemente in pazienti con gravi ustioni, fibrosi cistica, AIDS e cancro. Questo agente patogeno dispone di diversi gradi di virulenza, per cui si hanno ceppi debolmente virulenti, ceppi intermedi che infettano solo alcuni organismi, fino a ceppi molto virulenti con un ampio spettro di ospite (He et al., 2003). La specie Pseudomonas aeruginosa è una delle cause principali di infezioni del tratto urinario (UTI), che sono tra le principali infezioni batteriche che colpiscono l’uomo. Queste infezioni sono molto più comuni nelle donne che negli uomini, in un’età compresa tra i 20 ed i 40 anni. I fattori di predisposizione possono essere difetti anatomici, reflusso vescico-uretrale, ostruzioni, chirurgia, malattie metaboliche come il diabete mellito e immunosoppressioni generalizzate, specialmente in pazienti con organi trapiantati. La cateterizzazione può danneggiare lo strato mucosale che distrugge la barriera naturale e permettere la colonizzazione batterica. I microrganismi possono guadagnare il loro sito d’azione entrando o per via extraluminare, ovvero muovendosi dalla parte più esterna del dispositivo, o intraluminare, localizzandosi direttamente nel catetere. Pseudomonas aeruginosa ha la capacità di formare biofilm sulla superficie dei cateteri urinari. Infatti all’inizio cresce formando delle microcolonie che successivamente si fondono e formano il biofilm. Nonostante i vantaggi ottenuti grazie alla terapia antimicrobica, Pseudomonas aeruginosa, rappresenta il terzo patogeno più comune associato alle infezioni del tratto urinario nell’ambiente ospedaliero. La virulenza multifattoriale di P. aeruginosa che causa l’uropatogenicità è data da diversi fattori come produzione di alginato, lipopolisaccaridi (LPS), adesine localizzate sui pili, isoenzimi o fattori di virulenza secretori come proteasi, elastasi, fosfolipasi, piocianina, esotossina A, esoenzima S,

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15 emolisine e siderofori (Mittal et al., 2009). Un’altra specie coinvolta come responsabile di patologie umane è Pseudomonas fluorescens: naturalmente resistente ad un ampio spettro di antibiotici e disinfettanti, questo batterio si trova comunemente negli ospedali come contaminante di soluzioni di lavaggio o di materiale iniettabile ed ha una forte adattabilità alle variazioni ambientali grazie al suo complesso genoma. Anche se psicrofilo, anch’esso è stato individuato nell’ambiente ospedaliero e può colonizzare le vie aeree, il tratto urinario, il sangue di pazienti immunocompromessi e più raramente di pazienti in salute. Anche nel caso di P. fluorescens i lipopolisaccaridi sono implicati in meccanismi di citotossicità, con il supporto di altri fattori di virulenza rilasciati durante la citoadesione, come proteasi, lipasi e fosfolipasi C (Rossignol et al., 2008).

1.4. Pseudomonas negli alimenti di origine animale

Il genere Pseudomonas costituisce un raggruppamento di germi ubiquitari che si trovano liberi nell’ambiente, come in terreni coltivati, nel pulviscolo atmosferico e nelle acque di scorrimento superficiali. Da questi habitat naturali il passo agli alimenti è breve con contaminazioni e conseguenti alterazioni.

Le alterazioni più comuni consistono in modificazioni dell’aroma e del sapore di un determinato prodotto, che può diventare amaro o assumere odori di sapone, frutta, patata o cherosene. Alcuni ceppi, come abbiamo visto, sono in grado di produrre dei pigmenti conferenti all’alimento colori innaturali, che non hanno nulla a che fare col prodotto, come giallo, rosso, verde fluorescente e blu-viola (Cantoni e Chiappa, 2011). Specie diverse del genere Pseudomonas possono rappresentare gli agenti determinanti che causano il deterioramento di molti prodotti alimentari refrigerati, come latte, carni rosse e bianche, pesce. Come detto in precedenza, spesso rappresentano la componente dominante nella carica microbica totale durante lo stoccaggio della materia prima in condizioni di refrigerazione. Il motivo è dato dall’attitudine psicrofila che porta ad una rapida crescita a basse temperature (Gram, 1993).

Non è raro che Pseudomonas spp. pregiudichi la shelf-life del latte pastorizzato durante lo stoccaggio refrigerato, in virtù della produzione di lipasi, proteasi e lecitinasi termostabili e quindi non inattivate dalla pastorizzazione, che contribuiscono al deterioramento del latte. Un grande problema è dato proprio dal

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16 fatto che molti enzimi prodotti rimangono anche dopo il trattamento termico, che si limita al solo abbattimento dei microrganismi, e proseguono la loro attività degradativa sul substrato. In particolare le proteasi che agiscono sulla caseina possono conferire sapori amari e determinare coagulazione e gelificazione del latte. Le lipasi idrolizzando il grasso del latte generano acidi grassi liberi, che provocano sapori rancidi, amari e saponosi. Le lecitinasi degradano la membrana del globulo di grasso ed aumentano così la sua sensibilità alle lipasi (Dogan e Boor, 2003). Nei prodotti lattiero-caseari inoltre gli Pseudomonas possono conferire al latte anormali colori gialli o blu (Sechi et al., 2011).

In conclusione tutti gli enzimi nominati concorrono ad un decadimento organolettico del latte. Uno studio sull’ambiente di trasformazione lattiero-caseario ha analizzato 338 ceppi di Pseudomonas spp. isolati da latte crudo, trasformato e da campioni ambientali, successivamente caratterizzati con API 20 NE. I risultati hanno evidenziato che il 51% degli isolati era P. fluorescens mentre il 14% era rappresentato da P. putida, indicando una prevalenza del primo (Dogan e Boor, 2003). Dal 2010 è emersa la problematica delle mozzarelle blu, che è risultata determinata da Pseudomonas alteranti ed in particolare da Pseudomonas

fluorescens, presente nelle acque di lavorazione. Diversi studi infatti hanno

confermato che la causa della colorazione anomala nelle mozzarelle fu dovuta alla presenza di P. fluorescens accumulatisi nel liquido di governo. In particolare è stato studiato il rapporto tra contaminazione del liquido di governo con ceppi diversi di

Pseudomonas fluorescens e condizioni di conservazione delle mozzarelle dopo il

confezionamento (eventuale abuso termico) fino al consumatore (Sechi et al., 2011).

Nel muscolo di bovino, ovino e suino la contaminazione secondaria rappresenta una via di contatto molto frequente per microrganismi patogeni o deterioranti, tra cui gli

Pseudomonas spp., soprattutto nella fase di post-macellazione, preparazione e

lavorazione della carne. I coltelli non sterilizzati possono raggiungere cariche di 109 ufc/cm2, che contamineranno la carne durante il sezionamento. Infatti il tessuto muscolare costituisce una fonte di energia prontamente disponibile per lo sviluppo microbico. Si avvertono odori sgradevoli in presenza di cariche di 107 ufc/cm2, con patina viscida a 108 ufc/cm2. Il genere Pseudomonas rappresenta il batterio che si trova più frequentemente negli alimenti proteici, come le carni stoccate a bassa temperatura, seguito da altri Gram-negativi, come Acinetobacter e Psychrobacter.

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17 Ha una predominanza superiore agli altri generi a temperature comprese tra 0 e 4°C, soprattutto nella carne di agnello. Altri microrganismi costituiscono invece una parte minoritaria della popolazione microbica.

(Cattaneo,http://amaltea.vete.unimi.it/docenti/pcattaneo/AGRVET6Contaminazione carni.pdf). Anche la carne di coniglio può presentare alterazioni di colore da

Pseudomonas. In particolare sono state studiate lesioni caratterizzate da

colorazioni bluastre in carcasse di coniglio che prendevano origine dalla regione dorsale per poi estendersi sulla totalità della superficie muscolare. Il fenomeno avveniva dopo diversi giorni in frigorifero, fattore indicativo della presenza di batteri psicrofili. Nel caso particolare è risultato responsabile P. gessardii. La colorazione bluastra appariva sulla carcassa dopo 36-48 ore dal contatto con l’agente eziologico (Sarale et al., 2011).

La carne dei pesci costituisce un ottimo substrato per la crescita di molti batteri eterotrofi e l’abbassamento del pH del substrato è ostacolato dal basso contenuto di carboidrati. Il pH di tonno e halibut è intorno a 5,4 mentre nel merluzzo non scende al di sotto di 6-7. I molluschi hanno un pH più basso a causa della degradazione degli zuccheri da parte degli enzimi tissutali. Generalmente la flora batterica di pesci e molluschi che provengono da acque temperate, anche con livelli inferiori ai 10 °C, è per lo più psicrofila. I batteri che si trovano più frequentemente su pelle e branchie sono aerobi o anaerobi facoltativi, in primo luogo il genere Vibrio. Tra gli altri generi altrettanto presenti troviamo anche il genere Pseudomonas spp. Un ritardo nella refrigerazione del prodotto ittico può avere degli effetti importanti sul deterioramento del pesce, soprattutto in pescherecci presenti in aree calde, sprovvisti di celle frigorifere e ghiaccio. La flora dominante che dà avvio al processo di deterioramento è rappresentata fondamentalmente da

Pseudomonadaceae (Toti, 2004), che possono costituire l’80% della flora presente.

Il momento più delicato consiste nella fase di manipolazione del pesce. Infatti la scelta, il lavaggio, l’eviscerazione ed il dissanguamento possono essere la causa di una contaminazione secondaria da parte del microrganismo che dall’esterno guadagna le masse muscolari (Croci e Suffredini, 2003).

Oltre ad essere microrganismi alteranti, i batteri del genere Pseudomonas possono venire considerati anche patogeni opportunisti nelle specie ittiche, come nel caso di

Pseudomonas aeruginosa e Pseudomonas fluorescens. Oltre alle specie citate,

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18 nell’anguilla, Pseudomonas chlororaphis nelle trote, Pseudomonas pleocoglossicida nell’ayu e in Oncorhyncus rhodurus, un salmonide. Nella trota

iridea anche Pseudomonas putida può provocare delle ulcerazioni sulla superficie della pelle (Altinok et al., 2006).

Pseudomonas aeruginosa può rappresentare un problema di una certa entità anche

negli incubatoi, infatti spesso viene isolato in uova non schiuse ed è tra le cause della mortalità dei pulcini nel periodo neonatale e perinatale. Per questo motivo l’igiene dell’impianto, sia durante l’incubazione che nella schiusa rappresenta un aspetto importante al fine di prevenire la mortalità embrionale e le infezioni batteriche del primo periodo di vita del pulcino (Casadio et al., 2014).

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19

2. La produzione di biofilm microbico

Inizialmente nella storia della microbiologia i microrganismi furono caratterizzati come cellule planctoniche e liberamente sospese, descritte sulla base delle loro caratteristiche di crescita in mezzi di coltura nutritivi. Successivamente van Leeuwenhoek fu il primo a descrivere come alcuni microrganismi fossero in grado di aderire e crescere su superfici diverse formando biofilm. Nella produzione di biofilm i microrganismi mostrano un meccanismo che si ripete ciclicamente, iniziando dall’adesione alla superficie di singole cellule e continuando con lo sviluppo di strutture più complesse fino a formare un ecosistema che racchiude i batteri, con successivo distaccamento e dispersione del biofilm (Donlan, 2002). Ѐ stato stimato che i biofilm microbici siano associati al 65% delle infezioni nosocomiali e certamente essi rappresentano un grande problema per la sanità pubblica (Mah e O’Toole, 2001). Possono essere formati da comunità batteriche sessili facenti parti di una singola o di più specie. Al microscopio è possibile vedere delle microcolonie incluse in una matrice polisaccaridica extracellulare (EPS). Inoltre la struttura non è compatta, ma presenta dei canali che consentono l’entrata di nutrienti, il rilascio dei cataboliti e la diffusione di molecole segnale intercellulari per i microrganismi.

I principali vantaggi per i microrganismi contenuti all’interno del biofilm sono: - protezione dagli agenti antimicrobici;

- incremento della disponibilità di nutrienti per la crescita;

- incremento del binding alle molecole d’acqua, al fine di evitare la disidratazione; - prossimità con gli altri batteri per un buon trasferimento di materiale genetico o mediatori chimici.

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2.1. Formazione del biofilm e caratteristiche strutturali

Figura 4- Formazione del biofilm (Colavita, 2008)

Il biofilm è un assemblaggio di cellule microbiche associate irreversibilmente su una superficie, non rimovibili con tecniche blande di pulizia, racchiuse all’interno di una matrice principalmente polisaccaridica. I materiali non cellulari, come cristalli minerali, particelle derivate dalla corrosione di argilla o limo oppure componenti ematiche, dipendono anche dall’ambiente in cui sviluppa il biofilm. Ad esempio, il biofilm può formarsi sui dispositivi medici o nelle tubazioni dei sistemi idrici industriali o dell’acqua potabile.

I biofilm sono composti principalmente da cellule microbiche ed EPS. La matrice polisaccaridica può contenere dal 50 al 90% del carbonio organico totale e può variare molto le sue proprietà chimiche e fisiche, ma è principalmente costituita da polisaccaridi (Donlan, 2002). Cresce in spessore fino a 50 µm e in vitro spesso sono osservate strutture a fungo o a torre nella fase in cui il biofilm è maturo (Høibi et

al., 2010).

La formazione del biofilm (Figura 4) è un evento che può concretizzarsi su ogni superficie, inclusi i tessuti viventi. L’adesione è preceduta da un avvicinamento con moto rallentato da parte dei batteri, che stabiliscono un’associazione temporanea con la superficie, la quale, una volta divenuta stabile, inizia la formazione del biofilm vero e proprio.

La fase successiva, rappresentata dall’adesione, può essere attiva o passiva e dipende dalla motilità dei batteri, dal trasporto gravitazionale delle cellule planctoniche, dalla diffusione o dalle forze dinamiche del fluido che costituisce la componente fluida (Colavita, 2008). L’interfaccia solido-liquida tra una superficie ed un mezzo acquoso (come acqua o sangue) provvede ad un ambiente ideale per l’adesione e la crescita dei microrganismi (Donlan, 2002). Inoltre l’adesione è

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21 influenzata anche dalla presenza di nutrienti nel medium. Questa fase è divisa in due momenti, corrispondenti rispettivamente ad un’adesione reversibile e ad un’adesione irreversibile.

Inizialmente infatti le forze che si sviluppano tra le cellule batteriche sono deboli e di conseguenza reversibili, ad esempio forze di Van der Waals, forze elettrostatiche e interazioni idrofobiche. In questa fase i microrganismi si trovano in una situazione di moto browniano e possono essere facilmente rimossi con una forza trasversale come un flusso d’acqua di risciacquo. Successivamente per contrastare l’effetto delle forze repulsive tra batteri e superfici, i microrganismi cominciano a formare flagelli, fimbrie, pili e fibrille esopolisaccaridiche (EPS) ed entrano in gioco legami più potenti, come interazioni dipolo-dipolo, legami idrogeno, ionici e covalenti, nonché interazioni idrofobiche. L’associazione irreversibile con la superficie è data da fibrille polimeriche che formano un ponte tra la cellula batterica ed il substrato e per rimuovere la struttura microbica non è più sufficiente un flusso liquido trasversale, ma occorrono forze più consistenti, come spazzolamento o strofinamento.

Il pH e la temperatura sono parametri determinanti al fine dell’adesione dei microrganismi. Infatti Pseudomonas fragi, ad esempio, aderisce in maniera ottimale ad un pH tra 7 e 8, ideale per il suo metabolismo.

Una volta che le cellule batteriche sono adese irreversibilmente alla superficie comincia la moltiplicazione dei batteri, che si servono dei nutrienti presenti nel film condizionante e nel fluido presente nell’ambiente circostante. Le piccole microcolonie si espandono e si fondono tra di loro formando un rivestimento continuo sulla superficie e la continua produzione di EPS fornisce un maggiore ancoraggio alla struttura che altrimenti fluttuerebbe nell’ambiente.

La continua coesione batterica al substrato e la produzione di EPS portano ad una sovrapposizione di diversi strati batterici che formano il biofilm. La composizione del biofilm non è omogenea, soprattutto se i microrganismi presenti sono diversi, inoltre il biofilm sviluppa con la deposizione o l’inclusione di altri soluti organici o inorganici o di materiale particolato proveniente dalla fase liquida circostante. La specie che inizialmente colonizza il substrato può favorire lo sviluppo di microrganismi con caratteristiche comuni, mentre può inibirne altri. I biofilm costituiti da più specie generalmente sono più spessi e più stabili di un biofilm monospecie.

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22 Infine quando il biofilm è completamente formato, alcuni frammenti possono staccarsi e disperdersi per colonizzare nuove posizioni. Il distacco dei frammenti può essere dovuto alle dinamiche del fluido, alla presenza di alcune sostanze chimiche o all’alterazione della proprietà dei microrganismi o del substrato. Da quel frammento di biofilm può formarsi una nuova matrice uguale a quella che lo ha rilasciato.

L’intera matrice esternamente è coperta dal glicocalice, chiamato anche slime o capsula, composto sia da polisaccaridi fibrosi che da proteine globulari e che, in condizioni di idratazione, contiene più del 90% d’acqua. Componente fondamentale del glicocalice è l’EPS associato al biofilm. L’EPS grazie alla sua capacità di trattenere l’acqua protegge i batteri dalla disidratazione con una perdita idrica molto lenta. I polisaccaridi sono molto importanti per varie motivazioni, infatti, oltre ad intrappolare i nutrienti circostanti, fungono anche da sistema di difesa per gli agenti antimicrobici (Colavita, 2008).

2.2. Meccanismi di regolazione del biofilm

Nei batteri esiste un importante sistema di comunicazione tra cellule attraverso la produzione di piccole molecole segnale. Molte di queste molecole sono state identificate e risultano coinvolte in una forma di regolazione conosciuta come

quorum sensing (QS), che permette ai batteri di monitorare la loro densità di

popolazione in risposta a determinate concentrazioni extracellulari della molecola segnale da loro prodotta. La concentrazione aumenta proporzionalmente alla densità batterica fino a che non raggiunge una concentrazione critica. Infatti quando si raggiunge un numero sufficiente di cellule, si ha un’alterazione nell’espressione del gene target. Questo tipo di risposta cellulare è dato al fine di fornire dei vantaggi alla popolazione batterica, come accedere a nuove nicchie ambientali o difendersi contro altri microrganismi o meccanismi di difesa degli eucarioti. Il QS nei batteri regola l’espressione genetica di fattori di virulenza, come la sporulazione, la formazione di biofilm, il movimento, la biosintesi antibiotica e la bioluminescenza.

Nei Gram-negativi la molecola segnale più utilizzata è l’AHL (acil-omoserina-lattone), che fu descritta per la prima volta nel batterio marino bioluminescente

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23 Una serie di sistemi quorum sensing AHL-dipendenti sono stati identificati nel genere Pseudomonas, in particolar modo in Pseudomonas aeruginosa, oggetto di numerosi studi (Tabella 2).

Tabella 2 – Sistemi quorum sensing AHL-dipendenti in Pseudomonas (Venturi, 2006)

P. aeruginosa presenta due sistemi separati di QS: il sistema las ed il sistema rhl.

I sistemi QS las e rhl in Pseudomonas aeruginosa sono intimamente connessi tra loro ed è stato visto come essi regolino la produzione di diversi fattori di virulenza: elastasi, proteasi alcalina, esotossina A, ramnolipidi, piocianina, lectine, superossido-dismutasi e la formazione del biofilm (Venturi, 2006). Con il quorum

sensing, i batteri possono indurre la produzione di EPS oppure di altre adesine o

inibire la motilità cellulare, interferendo con la sintesi del biofilm. Il QS può anche causare la dispersione del biofilm, infatti in Pseudomonas aeruginosa è coinvolto nella trascrizione dei geni responsabili della sintesi della matrice (Sakuragi e Kolter, 2007).

Ultimamente in Pseudomonas fluorescens è stata valutata in vitro la potenzialità di sue cellule libere producenti segnali quorum-sensing su crescita, sviluppo del biofilm e potenziale di deterioramento di Shewanella baltica (Zhao et al., 2016). Il genere Shewanella, affine al genere Pseudomonas, è rappresentato da batteri deterioranti specifici del pesce refrigerato (Gram e Huss, 1996). I dati dimostrano che il declino del tasso di crescita di S. baltica è effettivamente causato dall’azione delle cellule di P. fluorescens. Tra gli effetti c’è: un’inibizione dello sviluppo del

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24 biofilm, una grande decrescita della produzione di trimetilammina (TMA) e della produzione di ammine biogene in S. baltica. Sono state identificate diverse molecole segnale in P. fluorescens tra cui sette N-acil-L- omoserina lattoni (AHLs), l’autoinduttore-2 (AI-2) e due dichetopiperazine (DKPs) (Zhao et al., 2016).

Di conseguenza si può affermare che questi dati potrebbero essere utili al fine di sfruttare determinate sostanze, per contrastare la contaminazione ed il deterioramento degli alimenti.

2.3. Parametri condizionanti la formazione del biofilm sulle superfici

In base alle risposte ambientali, i batteri possono svilupparsi come forme di vita planctoniche o come comunità adese su una superficie, definite biofilm. Se presenti gli opportuni nutrienti, i microrganismi formano nell’ambito del biofilm strutture tridimensionali composte da una matrice esopolimerica. Anche se batteri come

Pseudomonas aeruginosa sono particolarmente noti per colonizzare superfici

abiotiche come impianti biomedici, ancora non si sa molto sull’influenza dei nutrienti e delle caratteristiche chimico-fisiche delle superfici su cui aderiscono. Ѐ stato notato che l’adesione su substrati polimerici chimicamente modificati può favorire notevolmente la formazione del biofilm da parte di Pseudomonas

aeruginosa. Infatti alcune proteine sono soggette a fenomeni di upregulation o downregulation, in seguito all’attivazione di un regulone al contatto con le diverse

superfici.

Anche presenza e quantità di sali minerali sono influenti. La carenza di fosforo può portare ad esempio ad una perdita di vitalità non compatibile con la formazione del biofilm, mentre la carenza di carbonio, pur permettendo la vitalità delle cellule, può compromettere la formazione del biofilm. Infatti è stato visto come la carenza di carbonio inibisca la formazione di biofilm su PVC e polistirene, mentre in carenza di azoto è ugualmente possibile lo sviluppo del biofilm.

Di conseguenza è stata avanzata l’ipotesi che non sempre i nutrienti siano un fattore determinante, ma che anche le superfici giochino un ruolo fondamentale, ovvero l’innesco di una regolazione precoce superficie-dipendente. Le caratteristiche chimico-fisiche della superficie possono avere ad esempio un ruolo attivo

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25 nell’espressione di geni coinvolti nello sviluppo di biofilm strutturati (Gioffré et al,. 2005).

Ѐ stato evidenziato anche come i cationi possano influire sull’adesione di

Pseudomonas fluorescens. Infatti è stata misurata la capacità di diminuzione della

distanza tra batteri ed una superficie di vetro ed è emerso che l’accorciamento della distanza è dato dalla neutralizzazione ad opera dei cationi presenti delle cariche negative che causano la repulsione tra superficie e microrganismo (Fletcher, 1988). Molti studi hanno dimostrato che i microrganismi aderiscono più rapidamente su superfici idrofobiche non polari come Teflon o altre plastiche rispetto a materiali idrofili come vetro o metalli (Prakash et al., 2003). Le superfici di nylon e Teflon sono lisce e i microrganismi vi aderiscono molto bene, mentre quelle di acciaio possono presentare un aspetto più ruvido a causa di crepe e di fenditure. A causa di questa problematica, la forza trasversale dei liquidi e i metodi meccanici di pulizia potrebbero risultare poco efficaci.

Anche alcune proteine possono giocare un ruolo importante nella fase di adesione batterica. In particolar modo sembra che alcune di esse siano in grado di inibire l’adesione mentre altre invece la facilitano, come nel caso delle proteine del latte caseina e β-lattoglobulina. Queste due proteine possono ad esempio inibire l’adesione di Listeria monocytogenes e Salmonella Typhimurium (Colavita, 2008).

2.4. Antibiotico-resistenza nei batteri contenuti nel biofilm

La crescita del biofilm è associata anche ad un aumento del livello di mutazioni, che possono esprimersi in produzione di meccanismi di resistenza come: produzione di β-lattamasi, pompe d’efflusso e mutazioni nei confronti della sensibilità verso altre molecole antibiotiche. La massima resistenza agli antibiotici si ottiene nella fase di piena maturazione del biofilm.

La minima concentrazione inibente (MIC) e la minima concentrazione battericida (MBC) degli antibiotici nei confronti dei batteri che crescono nel biofilm può essere 100-1000 volte superiore rispetto ai batteri planctonici. L’AmpC-cefalosporinasi è ad esempio una β-lattamasi considerata il principale meccanismo di difesa di P.

aeruginosa, contro gli antibiotici β-lattamici. Il ruolo delle β-lattamasi è molto

importante soprattutto per la resistenza nei confronti dei β-lattamici (carbapenemi, come l’imipenem). Nel meccanismo di resistenza essi agiscono da induttori: infatti

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26 prima che i β-lattamici raggiungano le cellule batteriche, P. aeruginosa produce una grande quantità di β-lattamasi che, trovandosi nella matrice, idrolizzerà l’antibiotico. Ѐ stato appurato che le β-lattamasi presenti nel biofilm vengono prodotte dalle cellule batteriche esposte all’antibiotico, tramite il rilascio di enzimi difensivi nello spazio extracellulare (Høiby et al., 2010).

Un altro aspetto che sembra agevolare la resistenza agli antibiotici è la lenta crescita batterica nei biofilm maturi. Infatti condizioni nutritive limitate possono generare dei cambiamenti fisiologici che inducono una resistenza maggiore agli agenti antimicrobici. Ad esempio Mah e O’Toole (2001) citano una ricerca in cui sono stati esaminati gli effetti di antibiotici in relazione al tasso di crescita sia in colture planctoniche che in biofilm di P. aeruginosa, Escherichia coli e

Staphylococcus epidermidis. In Pseudomonas aeruginosa ad un un lento tasso di

crescita sia le forme planctoniche che quelle nel biofilm hanno dimostrato la stessa resistenza, ma se il tasso di crescita aumentava allora le forme planctoniche diventavano più sensibili rispetto a quelle nel biofilm nei confronti della ciprofloxacina. Ma non è sempre così, infatti ad un lento tasso di crescita sembra che il biofilm di Pseudomonas aeruginosa sia resistente alla tetraciclina ma non alla tobramicina.

In generale diversi studi si sono concentrati a confrontare la resistenza verso gli antibiotici tra le forme planctoniche e quelle nel biofilm a diversi stadi di crescita ed è emerso che la resistenza aumenta nella fase stazionaria in entrambe le forme cellulari. Nel biofilm inoltre le cellule sono mediamente 15 volte più resistenti delle forme planctoniche (Mah e O’Toole, 2001).

In questo ambito, la matrice esopolisaccaridica ha diversi compiti, in quanto funge da barriera alla diffusione, filtro molecolare e da legante di sostanze antimicrobiche. Inoltre la struttura tridimensionale favorisce la resistenza microbica che può venir meno nella fase finale di disgregazione del biofilm.

Gli agenti microbici sono normalmente più attivi nelle cellule in fase di crescita, ciò significa che non sempre i disinfettanti usati per le cellule planctoniche siano efficaci in egual misura anche per il biofilm (Colavita, 2008).

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2.5. Il biofilm negli ambienti di lavorazione degli alimenti

La formazione di biofilm è una problematica che riguarda diversi settori dell’industria alimentare come i processi di produzione di latte e derivati, la lavorazione del pollame e la lavorazione delle carni. I microrganismi adesi, immersi nel biofilm, nascosti tra le crepe o le fessure, possono sfuggire alle procedure di lavaggio e disinfezione e possono essere fonte di ricontaminazione dei prodotti alimentari durante il processo di lavorazione. Per questo motivo è importante che le buone pratiche igieniche negli impianti di produzioni alimentari siano rispettate adeguatamente, in maniera tale che il biofilm non si formi o che sia rimosso efficacemente. Una valutazione igienica relativa alla presenza di biofilm nelle superfici più a rischio dovrebbe essere parte integrante nello sviluppo del piano di autocontrollo così che venga controllata la sua presenza soprattutto nelle aree di lavorazione.

Nell’industria lattiero-casearia le classiche operazioni di lavaggio e disinfezione sono parte essenziale dei cicli di produzione e l’efficienza con cui sono svolte influenza molto la qualità del prodotto finale (Menon, 2016). Sempre nell’industria casearia, le superfici a maggior rischio di contaminazione, coinvolte quindi nello sviluppo di biofilm sono: pavimenti, canaline di scolo delle acque, guarnizioni in Buna-N o in Teflon e nastri trasportatori (Colavita, 2008).

Le proprietà delle superfici d’attacco sono fattori che influenzano e determinano il potenziale di formazione del biofilm. La scelta del materiale è molto importante per le superfici di lavorazione e di contatto con l’alimento. Proprietà come rugosità, lavabilità, disinfettabilità, bagnabilità e la vulnerabilità all’adesione da parte delle cellule batteriche, determinano lo status igienico del materiale. Inoltre il materiale a diretto contatto con l’alimento deve possedere alcune specifiche caratteristiche ed essere soggetto a procedure di approvazione prima di essere usato. Tra i materiali principalmente usati nell’industria alimentare abbiamo plastiche, gomma, vetro ed acciaio inossidabile. Altri fattori come la temperatura o la disponibilità dei nutrienti oltre alle proprietà fisico-chimiche come idrofobicità/idrofilicità e la carica delle superfici d’adesione, possono influenzare la capacità di adesione, come emerso da uno studio su Listeria monocytogenes sviluppata su cloruro di polivinile, gomma buna-N ed acciaio inossidabile (Van Houdt e Michiels, 2010).

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