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Min nello Wadi Hammamat fino alla fine del Nuovo Regno

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di laurea magistrale in Orientalistica

Min nello Wadi Hammamat fino alla fine del Nuovo Regno

Relatore: Candidato:

Maria Carmela Betrò Matteo Henning Galli

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1 INDICE

Introduzione……….… 2

Capitolo 1: Prime attestazioni di Min nel Deserto Orientale e arrivo nello Wadi Hammamat………...5

1.1 Interpretazione delle immagini rupestri……….….6

1.2 La figura fallica nel Deserto Orientale del periodo di Badari e Naqada………..11

1.3 L’emblema di Min nelle rappresentazioni del Predinastico………..15

1.4 Wadi Hammamat e Copto………...…..18

Capitolo 2: Iscrizioni con Min nello Wadi Hammamat (re e privati)….25 2.1 I graffiti dello Wadi Hammamat………...25

2.2 Formazione del panorama culturale………..26

2.3 Iscrizioni di membri delle spedizioni………31

2.4 Il faraone e i suoi rappresentanti nelle iscrizioni………...41

Capitolo 3: Clero di Min nelle iscrizioni dello Wadi Hammamat e ritualità effettuata nei confronti del dio………78

Conclusioni……….103

Appendice………...105

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2 INTRODUZIONE

Lo scopo di questo studio è l’analisi del materiale proveniente dal Deserto

Orientale, per quanto riguarda le rappresentazioni con datazione al Predinastico, e dallo Wadi Hammamat nello specifico, per quanto riguarda le iscrizioni che vanno fino alla fine del Nuovo Regno, che attesta la presenza e ci parla del dio Min. Questa divinità è tra le più antiche del pantheon egiziano, fortemente attestata sin dal periodo che precede l’unificazione dell’Egitto e l’inizio dell’Epoca Storica. Si mostrerà come questo dio sia fin dalle sue prime apparizioni caratterizzato da due aspetti fortemente dicotomici: uno legato alla sua iconografia fallica, simbolo di virilità e chiaro richiamo alle caratteristiche proprie della Valle del Nilo, e uno connesso invece al ruolo che questa divinità gioca nelle aree desertiche, le quali saranno poste sempre più sotto la sua egida a partire dall’Epoca Arcaica.

Attraverso lo studio di tutto il materiale menzionato ci si prefigge di ottenere uno studio sul dio Min visto con gli occhi e con le motivazioni di chi ci ha lasciato le numerose attestazioni che lo menzionano.

Si vedrà quindi come possano essere plurime le cause che possono spingere un ipotetico scrivente a menzionare e, talora, a raffigurare il dio Min nel deserto. In uno studio come questo non può che rientrare, e giocare una parte importante in tutti e 3 i capitoli in cui si articola questo elaborato, la concezione egiziana del deserto, con le sue insidie e il timore che esso suscitava nell’antico egiziano. Il primo capitolo si articola quindi in una serie di paragrafi che mirano ad analizzare le prime, presunte apparizioni del dio in varie località del Deserto Orientale. Dopo aver trattato in modo generale il tema delle rappresentazioni rupestri, cercando di motivarle e inquadrandone alcune caratteristiche fondamentali, il capitolo si occupa dell’iconografia tipica del dio, riconoscibile in questa sua prima forma, e

dell’emblema che andrà a caratterizzare il nome del dio. Si è scelto di confrontare brevemente questo materiale proveniente dal deserto con la sua controparte, proveniente dalla Valle e attestata in tombe e su ceramiche.

La parte finale del capitolo dimostra a livello archeologico la presenza di contatti tra gruppi umani provenienti dalla Valle del Nilo e altri provenienti da est (area del Mar Rosso) nello Wadi Hammamat. Tramite una breve analisi del materiale inciso sui colossi di Copto, che testimoniano la forte presenza del culto di questo dio nella

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località sin dal Predinastico, si mostrerà come il dio Min sia “entrato in contatto” insieme agli antichi egiziani con queste genti provenienti da est.

Va sottolineato che questo capitolo è l’unico a mostrare e analizzare, per quanto brevemente, materiale proveniente dalla Valle del Nilo e non dal Deserto Orientale. A partire dall’inizio dell’Epoca Storica la tratta dello Wadi Hammamat nello specifico si pone sotto l’egida e la protezione del dio Min.

Il secondo capitolo prende quindi in considerazione e analizza la gran parte delle iscrizioni, tradotte, che menzionano il dio Min o lo ritraggono a fianco. Saranno escluse da questo studio iscrizioni brevi, prive di valore informativo relativo allo scopo che la tesi si prefigge, e quelle fatte iscrivere da membri, o presunti tali, del clero del dio, che saranno analizzate nel capitolo successivo.

Come prima cosa si esporranno alcune caratteristiche, ritenute importanti, dei graffiti dello Wadi Hammamat, poi si procederà con l’inquadramento del panorama culturale che ha reso possibile l’iscrizione continuativa di testi in quest’area

desertica per millenni. Tramite l’analisi di questo panorama sociale si mostrerà come esso sia prevalentemente costituito da frequentatori abituali, provenienti in gran parte dalla regione coptita, e da visitatori di altro tipo che tramite nuove iscrizioni si vogliono accostare ai primi. Tale panorama culturale avrà un ruolo di primo piano nella promulgazione del culto di Min nella tratta dello Wadi

Hammamat nel corso dei secoli.

Il capitolo procede poi con l’analisi, una per una, delle iscrizioni che rispondono ai requisiti sopra menzionati, procedendo prima con un’analisi dei testi redatti dai membri delle varie spedizioni egiziane e poi di quelli fatti inscrivere dal faraone o dai suoi emissari. Proprio in relazione al sovrano si vedrà come l’appoggio del dio Min, esplicitato nei testi ospitati nel deserto, possa persino giocare una funzione legittimante ed essere, quindi, usato con funzione propagandistica.

Il terzo e ultimo capitolo riguarda, invece, quelle iscrizioni che menzionano membri del clero del dio. Si mostrerà quindi come la presenza nel corpo di spedizione di un membro del clero del dio possa aver giocato un ruolo decisivo ingraziandosi la divinità e praticando cerimonie di un qualche tipo. Si mostrerà anche come sacerdoti, provenienti dall’area coptita e membri del clero del dio, dispongano talora di conoscenze particolari riguardo alle cave di Hammamat e all’estrazione di pietra.

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La parte finale del capitolo prende in considerazione le cerimonie e la particolare ritualità effettuata nel deserto, in onore di divinità diversificate, primo fra tutti il dio Min. Si cercherà di analizzare questi riti e di confrontarli, brevemente, con la loro controparte nella Valle.

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CAPITOLO 1: Prime attestazioni del dio Min nel Deserto Orientale e arrivo nello Wadi Hammamat

Per poter fornire ipotesi riguardanti la nascita del culto del dio Min, così come per la genesi di alcuni elementi tipici della sua iconografia, e per descrivere l’arrivo di questo nello Wadi Hammamat, bisogna prendere in considerazione la parte terminante della preistoria e concentrarsi sulle aree desertiche che circondano la valle del Nilo. Le informazioni provenienti da questo periodo e da questi luoghi saranno utili a comprendere anche l’origine della natura ambivalente, e allo stesso tempo dicotomica, di questo dio.

Il culto di Min è riconosciuto come uno dei più antichi, sulla base delle attestazioni a noi pervenute. In modo particolare si fa riferimento ai leggendari colossi raffiguranti il dio che Petrie scoprì nella sua campagna di scavo, presso i resti dell’area principale del tempio appartenente all’antica città di Coptos1.

L’articolazione di questa sezione prevede dunque l’analisi degli elementi propri della divinità che fanno la loro prima apparizione nel periodo Predinastico, nel Deserto Orientale, con particolare riferimento alla posa fallica del dio e all’emblema che si andrà a contraddistinguere anche come il geroglifico designante il suo nome.

Mediante lo studio, inizialmente separato, di questi elementi potremo provare a comprendere in maniera approfondita il significato più ancestrale di questa divinità e fornire proposte adeguate per quanto riguarda la sua origine.

A proposito di quest’ultima molto è stato scritto durante lo scorso secolo e non si può non notare l’imponente numero di pubblicazioni che hanno cercato di postulare un’origine straniera della divinità2, prevalentemente dovuta alle caratteristiche e alle associazioni proprie di Min in età dinastica. Faccio particolare riferimento in questo caso ai testi riguardanti la sua connessione con la lontana e celebre Terra di Punt, dove gli egiziani si recavano per ottenere materie prime esotiche, e con il termine Medjay, ospitati nei templi tolemaici3.

Gli elementi e le iconografie che si andranno a studiare saranno anche dovutamente contestualizzati e si cercherà, per comprenderli meglio, di trovare confronti per essi nella Valle. Per fare questo nel modo più opportuno è necessario affrontare

1 PETRIE 1894, 28; PETRIE 1896, 17; MANZANO 1999; MANZANO 2002 2 Come ad esempio GAUTHIER 1931 (2), 183 et sgg.

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brevemente il tema dell’arte rupestre predinastica nella sua interezza, esponendo le varie interpretazioni e trattando alcune delle scene più diffuse. Facendo infatti parte del corpus di scene su roccia, la figura fallica e l’emblema del dio Min sono compresi e costituiscono un elemento rilevante in numerose ipotesi, volte a spiegare la ragion d’essere di queste immagini.

Il Deserto Orientale, con i suoi numerosi wadi che costituiscono, di fatto, vie di penetrazione e di spostamento, si mostrerà aver avuto un’importanza decisiva nella nascita del culto del dio Min e riguardo la sua successiva sedimentazione nell’area dello Wadi Hammamat.

Proprio a causa della diffusa presenza della figura fallica, che supponiamo essere una prima comparsa della forma del dio, nelle rappresentazioni del periodo, insieme al suo emblema, Min è frequentemente considerato il principale dio del periodo Naqada II. Durante la parte finale del periodo Naqada III Min e Horus sono simbolicamente identificati con il sovrano, che arriva ad incarnarne specifiche qualità4.

Diffuse negli wadi del Deserto Orientale sono le numerose scene che coinvolgono animali, spesso rappresentati con caratteristiche piuttosto insolite, e uomini in scene di caccia e inseguimento. Frequentemente associate a queste immagini sono altre che rappresentano imbarcazioni. Su di esse nella maggior parte dei casi vi sono figure umane con le braccia sollevate, in un atteggiamento che riconosciamo indicativo di un qualche tipo di danza rituale, e talvolta figure in atteggiamento fallico. Mentre le seconde sono ovviamente da intendersi come figure maschili, le prime, per la modalità di rappresentazione delle gambe, mostrate unite e di forma conica, sono da intendersi come figure femminili5.

Figure umane come quest’ultime sono anche trovate in associazione con altri gruppi di rappresentazioni animali.

1.1 Interpretazioni delle immagini rupestri

La storia degli studi di queste rappresentazioni è legata inizialmente alla figura di Sir Arthur Weigall6, primo a raccogliere e copiare le immagini incise su roccia. Il suo

4 MACFARLANE 1995, 157 5 HENDRICKX 2018, 434 6 WEIGALL 1909

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“successore” fu Hans Winkler che portò avanti per decenni, dopo visite di natura privata nel 1932 e nel 1934, una sistematica esplorazione e catalogazione delle scene mostrate nel Deserto Orientale. Lo studioso non fu in grado di datare i petroglifi da lui rinvenuti e, anche a causa delle idee razziali legate al periodo, postulò la loro realizzazione da parte di una civiltà maggiormente avanzata e proveniente da est7, che avrebbe conquistato e “civilizzato” l’Egitto8. Alcuni anni dopo il termine della Seconda Guerra Mondiale lo studioso Resch smontò le tesi formulate da Winkler9, collegando le immagini rupestri con popolazioni provenienti dalla Valle e non con ipotetici invasori orientali.

Ciò che risulta chiaro a uno studioso moderno di queste rappresentazioni rupestri è l’inequivocabile conoscenza, da parte di colui che incise queste immagini su roccia, dell’ambiente naturale tipico della valle del Nilo. L’attuale fase climatica secca cominciò intorno a 4500 anni fa10, permettendoci quindi di postulare la crescita spontanea di piante nel deserto e la presenza di una fauna diversa rispetto ad oggi. Ma la presenza di una fase climatica maggiormente umida nel corso del periodo che stiamo trattando, non giustificherebbe comunque la presenza di barche o persino di ippopotami, come rappresentati su roccia, negli wadi del deserto, data la mancanza di acqua in maniera permanente11.

Coloro che hanno realizzato le scene descritte dovevano far parte dei gruppi umani stanziati lungo le sponde del fiume Nilo e che per qualche ragione si erano spinti nel deserto e lì avevano scelto di ricoprire le pareti rocciose di immagini.

L’analisi di queste scene rappresentate è proceduta con lentezza, soprattutto se paragonata allo studio dell’immensa quantità di materiale proveniente dalla valle del Nilo e giudicata di importanza maggiore. Nel corso degli ultimi decenni sono però emersi studi più comprensivi, come quello di Judd12, che oltre ad aver collezionato estensivamente numerosi petroglifi in una vasta area del Deserto Orientale ha anche contribuito riconoscendone la loro unicità13.

7 WINKLER 1938, 26/29 8 LANKESTER 2012, 11/12 9 RESCH 1967 10 WILKINSON 2003 (1), 60/61 11 WINKLER 2003 (1), 86 12 JUDD 2009 13 LANKESTER 2012, 2

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Anche Wilkinson14 ha scelto di dedicare uno studio alla grande importanza che queste immagini rupestri hanno avuto per la nascita della cultura faraonica, con la sua riconoscibile e tipica iconografia, oltre che per la sua storia.

L’occupazione da parte di gruppi umani della Valle del Nilo, all’altezza di quello che diverrà l’Alto Egitto durante il periodo Dinastico, e dei deserti adiacenti divenne significativa a partire dal periodo Badariano (4400-3900 a.C.)15. Questo risulta particolarmente evidente nel momento in cui si analizza la cultura materiale del tardo V millennio a.C., la quale mostra anche di essere stata soggetta a pesanti influenze dalle aree adiacenti, compreso il Deserto Orientale e la costa del Mar Rosso16. Parzialmente contemporanea all’ultima parte del periodo di Badari, ma di essa comunque generalmente accettata come evoluzione, è la società del periodo Naqada I, che prosegue la penetrazione nel Deserto Orientale.

Per comprendere tale penetrazione diviene necessaria a questo punto la comprensione dei mutamenti in corso propri della società che ha prodotto queste scene. La società di Badari, così come la successiva cultura di Naqada, mostra, a fianco di un notevole avanzamento tecnologico, un’ineguale distribuzione della ricchezza17. Accanto al fenomeno della specializzazione del lavoro colleghiamo tutto questo con l’emergere di gruppi elitari, presso i quali, alla fine del periodo Predinastico, inizierà a prendere forma il concetto di regalità. La penetrazione nel deserto da parte prima degli uomini di Badari e poi della società Naqada è legata a questo processo di stratificazione sociale. Da una parte possiamo vedere il deserto come un punto di contatto e di scambio tra gruppi umani, fatto reso evidente dalle già citate influenze esterne cui la cultura materiale di Badari e Naqada è stata sottoposta.

Inoltre possiamo riconoscere il Deserto Orientale, così come la costa del Mar Rosso al di là, come il luogo di provenienza di materiali e oggetti “esotici”, il cui possesso da parte delle nascenti élite egiziane era una riprova dello status sociale di cui essi disponevano e che ostentavano anche all’interno delle proprie sepolture.

14 WILKINSON 2003 (1) 15 LANKESTER 2012, 153 16 KOHLER 2010, 29 17 KOHLER 2010, 29

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Si pensi ad esempio al ritrovamento in una tomba presso la Valle, con datazione Naqada IIa/b, di uova di struzzo e conchiglie provenienti dalla costa del Mar Rosso18. Scavi archeologici e analisi di materiali condotte dallo Wadi Hammamat Project19 hanno ad esempio dimostrato come l’estrazione di grovacca nello Wadi Hammamat risalga proprio all’epoca di Badari, per poi proseguire nel corso dell’intero Predinastico e poi per tutta la storia egiziana fino all’Epoca Romana compresa20. A partire dal periodo Naqada I l’utilizzo di questa pietra si mostra più variegato e con essa vengono realizzati numerosi utensili come braccialetti, perline e palette21. Il possesso di oggetti prodotti con materie prime esotiche è riconosciuto unanimemente come una delle modalità di legittimazione e mantenimento del potere da parte delle élite. Si capisce quindi come lo spostamento di gruppi umani presso quest’area possa essere stato incitato o comandato da parte degli esponenti più importanti delle varie località.

Tornerò più avanti sul caso dello Wadi Hammamat per quanto riguarda l’incontro di popolazioni, per ora mi limito ad utilizzare questo esempio per motivare la penetrazione di gruppi umani nei vari wadi del Deserto Orientale. In quest’ottica bisogna anche tenere in considerazione il fatto che la grovacca è presente unicamente presso le cave di questo wadi, dimostrandone quindi l’importanza indiscussa, oltre che come via di comunicazione, a partire da questo periodo in poi.

Un’interpretazione interessante per quanto riguarda l’ingresso di piccoli gruppi nel deserto e la realizzazione di scene rupestri riguarda ancora una volta le élite.

Si potrebbe identificare con l’ingresso e il soggiorno nel deserto tappe fondamentali che di fatto costituivano riti di passaggio per più o meno giovani membri della nascente classe dominante. Grande importanza avrebbe a questo punto il concetto di “zona liminale”22, come percepita dagli antichi gruppi umani che conducevano una vita ormai quasi completamente sedimentaria lungo i margini della Valle. Confluisce in questa percezione del deserto un collegamento con il sovrannaturale e magari già

18 LANKESTER 2016, 84 19 BLOXAM 2014, 11 20 BLOXAM 2014, 11/12 21 BLOXAM 2014, 12 22 LANKESTER 2016, 83

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con il concetto di divino, forse dovuto alla percezione dell’ambiente così dicotomico rispetto alla valle del Nilo sotto tutti i punti di vista sensoriali.

Il periodo trascorso nel deserto permetterebbe a coloro che ne ritornano di subire una trasformazione previo reingresso nella società. Si tratta di un vero e proprio rito di passaggio con funzione legittimante. In quest’ottica l’arte rupestre si andrebbe a costituire come parte integrante e rappresentazione di questa trasformazione. Che si tratta di membri dell’élite, all’interno delle scene di caccia, e non veri e propri cacciatori specialisti si evince dal loro indossare piume di struzzo23, dall’associazione con barche, dalle loro dimensioni e posizione nella scena. Inoltre si sottolinea la completa mancanza di scene dove sia presente un animale morto, colpito da una freccia magari, segno che la caccia è andata a buon fine.

Ciò che sembra contare di più è la nozione di inseguimento e controllo del selvaggio24, evidentemente rappresentato nelle scene di arte rupestre. Proprio legate a queste forme di controllo sono le scene che mostrano le figure danzanti con braccia sollevate, che attraverso il potere della danza operano un’azione di questo tipo sui poteri caotici risiedenti nel deserto.

Il ritorno a casa con prodotti come piume e uova di struzzo, conchiglie e pietre poteva contribuire al concetto di legittimazione25 e suscitare meraviglia presso coloro che li attendevano.

Sempre collegata al potere delle immagini è l’interpretazione di Wilkinson, che vede nelle rappresentazioni rupestri un forte desiderio dei gruppi umani coinvolti di “confrontarsi con il mondo naturale e sovrannaturale, per ottenere parte dei loro poteri a beneficio degli uomini”26. Lo studioso collega anche con decisione i petroglifi del Deserto Orientale, e l’importanza in essi evidente che l’allevamento aveva per questi gruppi umani, con la nascita di alcuni dei simboli e delle insegne più note del mondo faraonico27, come ad esempio proprio il flagello. Così la tavolozza di Narmer, icona dell’Egitto a cavallo tra il Predinastico e l’età faraonica, mostrerebbe proprio il prevalere di un immaginario legato al mondo degli animali da allevamento, con

23 LANKESTER 2016, 86 24 LANKESTER 2016, 86/87 25 LANKESTER 2016, 91 26 WILKINSON 2003 (1), 186 27 WILKINSON 2003 (1), 193/194

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numerosi elementi come questi al suo interno. Infatti, secondo lo studioso, intorno al 4000 a.C. i gruppi umani, residenti per parte dell’anno sulle sponde del Nilo, conducevano di fatto un’esistenza semi-nomade, praticando estensivamente l’allevamento nell’adiacente savana28. Come si può notare quest’ultima tesi è basata su una concezione dei gruppi umani stanziati presso le sponde del Nilo ben meno sedentaria, rispetto all’ipotesi precedente.

Le supposizioni mostrate sono diverse tra loro e pongono l’accento su caratteristiche diverse del periodo, a volte anche in netta contrapposizione tra loro. Alcune di esse, d’altro canto, possono risultare allo stesso tempo vere.

1.2 La figura fallica nel Deserto Orientale del periodo di Badari e Naqada

Ora che si è fornita una serie di ipotesi riguardanti il ruolo che le scene rupestri in generale potevano aver giocato nell’immaginario collettivo dei gruppi umani che le realizzavano, ci si concentrerà più nello specifico sulle figure umane con atteggiamento fallico. Come già menzionato essa è una delle caratteristiche iconografiche, tipiche del dio oggetto di questo studio, che ritroviamo in questo periodo remoto e che ci permettono di proporre un’identificazione con lui.

Tra queste immagini concentrate negli wadi del Deserto Orientale troviamo, a partire dal periodo Naqada II inoltrato, e per tutto Naqada III, rappresentazioni di figura fallica. Validi confronti per raffigurazioni come queste sono stati anche ritrovati sulle caratteristiche ceramiche dipinte di rosso del periodo Naqada II, insieme a elementi di carattere naturale come colline, animali, piante e navi29.

Le rappresentazioni di figure umane sono particolarmente diffuse tra i siti nel deserto (83%) dove sono collocati questi petroglifi e sono seconde per quantità solo al numero di rappresentazioni di animali30, spesso coinvolte nelle già menzionate scene di inseguimento. Si noti che nella maggior parte dei casi le scene che mostrano animali, quale che sia l’attività in cui essi sono coinvolti, comportano la presenza di

28 WILKINSON 2003 (1), 96 29 MACFARLANE 1995, 157 30 LANKESTER 2012, 142

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almeno un uccello31, frequentemente uno struzzo. L’importanza di questa ultima considerazione diviene evidente data la presenza sul capo di numerose figure umane, anche con atteggiamento fallico, di piume riconosciute proprio come appartenenti a questo animale. Possiamo ipotizzare la volontà di raggiungere caratteristiche e abilità ambite proprie di questo animale, come la velocità, tramite l’applicazione delle sue piume sul capo. Confronti nella concezione che sottende questa volontà umana di accostarsi al mondo animale, per carpirne il potere e le innate caratteristiche ambite, si possono riscontrare nelle scene poste su diversi reperti e documenti predinastici, dove in molte occasioni il leader vittorioso viene rappresentato come un animale (ad esempio un toro, un leone o uno scorpione) mentre il nemico sconfitto mantiene la sua forma umana32. È questo il caso ad esempio della celebre paletta detta del “Tributo Libico”, le cui scene mostrano un falco, un leone e uno scorpione in veste di distruttori di villaggi fortificati.

Tornando alle piume che ornano il capo delle figure di cui ci stiamo occupando, esse saranno inoltre inequivocabile attributo divino nel corso del periodo faraonico, come attestato per esempio nel caso di Min e di Amun.

Accanto a questi due tipi di rappresentazione si nota la frequente presenza di barche, spesso con prua e poppa leggermente arrotondate, con al di sopra differenti combinazioni di figure.

Una figura fallica come queste compare ad esempio nel Deserto Orientale a qualche distanza da Armant, raffigurata stante su barca con due bastoncini sul capo, e nello Wadi Hammamat, dove in due occasioni ricorre un personaggio con copricapo di forma incerta e con piume (Fig. 1)33. In uno dei casi la figura fallica cui facciamo riferimento tiene per il capo un nemico sconfitto (Fig. 2)34, iconografia che ritroviamo puntualmente sulla celebre paletta di Narmer. Emblematico è anche il caso delle incisioni rupestri presenti presso il sito di El-Kanais, dove sarà costruito nel Nuovo Regno un celebre tempio rupestre. Presso questa località possiamo vedere, incisa sulle rocce circostanti al tempio, una scena che mostra un’imbarcazione dalla tipica forma a banana (Naqada II) con sopra quelle che possiamo riconoscere come tre cabine. Sulla prima troviamo una strana figura che sembra indossare una corona, sulla

31 WILKINSON 2003 (1), 142 32 SALEH 1986, 234

33 GOYON 1957, 159, n° 221 34 GOYON 1957, 168, n° 237

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seconda possiamo vedere un toro, mentre davanti alla terza vediamo una figura che mostra chiaramente l’aspetto del dio Min (Fig. 3)35 o, perlomeno, mostra alcuni dei suoi attributi caratteristici. In questo caso, oltre al pene eretto e alla consueta posizione, il personaggio regge anche quello che possiamo interpretare con relativa sicurezza come un flagello. Questa diverrà una delle insegne del dio stesso in età storica, oltre che del sovrano naturalmente.

La presenza del toro e della sua connessione con la figura fallica è facilmente interpretabile quando si considera l’animale e la sua importanza per la riproduzione nell’allevamento. Questo animale è destinato ad essere collegato strettamente con il dio Min e qui ne comprendiamo una ragione.

Tra gli esempi che voglio menzionare si conta anche un graffito presente nello Wadi Abu Wasil, ospitato nel Sito 26 di Winkler36. La scena mostra ancora una volta un’imbarcazione, con prua e poppa rialzata, con al di sopra figure di piccole dimensioni accanto a personaggi in scala ben maggiore. Questi ultimi indossano sul capo quelli che possiamo interpretare come bastoncini o piume e sono rappresentati con il fallo eretto. Con le mani queste figure reggono quello che interpretiamo come un arco, qualificandosi quindi probabilmente come cacciatori o, seguendo l’ipotesi menzionata precedentemente, come giovani uomini in un rito effettuato nel deserto. Ulteriori esempi che mostrano chiaramente alcuni elementi dell’iconografia di Min sono ritrovabili nello Wadi Gash37, dove possiamo vedere incise su roccia raffigurazioni di barche con al di sopra una figura fallica con piume sul capo (Fig. 4). Figure in atteggiamento fallico sono anche rappresentate nella scultura della tradizione Preformale38, di cui gli esempi più particolari e insoliti sono i 3 colossi di Copto.

A fianco delle ipotesi proposte per spiegare le scene rupestri descritte negli scorsi paragrafi si deve inquadrare anche un altro fenomeno. Propria della mentalità egiziana, che proprio ora stiamo vedendo essersi originata sempre più in questo remoto periodo, è il rifiuto e il timore dell’”inconoscibile”.

35 WILKINSON 2003 (1), 191/192 36 WINKLER 1938, 26/28 37 ESPINEL 2012, 95 38 MANZANO 2002, 27

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Possiamo associare questa visione alle aree desertiche, dove prevale timore per ciò che non corrisponde ad un esito chiaro e dove ogni esperienza è permeata da sensazioni differenti rispetto a casa. La necessità di conforto porta a specifiche strategie. Parlo di un fenomeno che possiamo designare con il termine di “niloticizzazione”. Tramite la rappresentazione di scene anche legate all’ambiente cui essi erano maggiormente familiari, i gruppi umani coinvolti in spedizioni di varia natura nel deserto potevano sentirsi meno sperduti.

La figura fallica costituisce un evidente richiamo alla fertilità, indiscutibilmente legata alle condizioni favorevoli per l’agricoltura presso la Valle, e si traspone nel deserto dove probabilmente gruppi umani andavano a compiere diversificate attività. Il richiamo ad una potenza generatrice potrebbe essere stato per coloro che realizzavano le scene oggetto di venerazione e/o per le élite che qui si recavano di identificazione. Legata a quest’ultima affermazione è una vera e propria problematica di tipo metodologico, vale a dire l’impossibilità, talora riscontrata nell’analisi delle scene menzionate, di comprendere se la figura indossante piume sia da intendersi come una divinità, quindi un superpotere, o invece come un essere umano appartenente ad un qualche retaggio sociale.

Sia che si supporti maggiormente l’ipotesi di Lankester, che come già accennato vedeva nelle scene rupestri una parte di quel fenomeno che coinvolgeva la legittimazione delle élite, sia che si aderisca prevalentemente all’ipotesi di Wilkinson, che colloca nel deserto una parte importante dell’attività dei gruppi umani predinastici, riconosciamo la figura fallica come proveniente dalla valle del Nilo. La sua presenza sulle imbarcazioni rappresentate nel deserto, insieme alla figura femminile danzante, e il fatto che entrambe le figure indossano piume, ha addirittura portato Wilkinson a ipotizzare che si possa trattare questa della prima coppia divina della religione egiziana39. Le due figure, una legata al controllo del selvaggio attraverso il potere della danza e l’altra legata forse al potere generativo associato con le caratteristiche della Valle, potrebbero essere le prime divinità egiziane ad assumere una forma antropomorfa.

Infine, seguendo la teoria di Wilkinson, possiamo anche spiegare in modo convincente uno degli attributi fondamentali tanto di Min quanto del faraone in età

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dinastica: il flagello. Tale insegna si ricollegherebbe alle rappresentazioni che ci indicano l’importanza dell’allevamento in questo periodo della storia egiziana. Anche l’associazione di Min, tanto quanto del sovrano, con il toro ha trovato spiegazione. Fin dall’alba della civiltà faraonica infatti era riconosciuta l’estrema importanza, legata alla sua virilità, del toro. Essa era manifestata e resa evidente in alcune scene rupestri del deserto dove, come nel caso sopra citato, alla rappresentazione di un toro poteva essere associata quella della figura in posa fallica. Appare necessario sottolineare ancora una volta come resti incerta l’identificazione di alcune delle figure in atteggiamento fallico descritte sopra con il dio oggetto di questo studio. La natura fallica, simbolo di potere virile e protezione, potrebbe essere collegata al dio oppure anche ad un leader nell’atto di partecipare ad un’occasione rituale40.

Un’interpretazione come quest’ultima si ricollegherebbe alle proposizioni di Lankester, che riconosce il capo ornato di piume, dove presente, come una caratteristica distintiva di leader o comunque di élite.

1.3 L’emblema di Min nelle rappresentazioni del Predinastico

Proprio come la posa fallica appena trattata, anche l’emblema del dio Min fa la sua prima comparsa nel periodo Predinastico su un certo numero di supporti. Compare ad esempio su marchi di ceramiche con datazione Naqada II, provenienti principalmente da località come Ballas, Diospolis Parva e la stessa Naqada. Il simbolo si trova anche frequentemente su ceramica Naqada II, dove il tema principale è la processione cerimoniale di imbarcazioni41. Quest’ultime sono spesso sormontate da una lunga asta, alla cui estremità si possono riconoscere uno o più emblemi. Petrie, nel suo studio comprensivo delle ceramiche predinastiche, distinse 32 di questi differenti segni42.

L’emblema del dio è anche presente nelle rappresentazioni rupestri, ad esempio nello Wadi Hammamat, nell’area di una cava presso la quale l’attività nel periodo Predinastico è estensivamente attestata43.

40 MACFARLANE 1995, 166 41 MACFARLANE 1995, 160 42 PETRIE 1920, 19/20 43 WINKLER 1938, 25/26

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Ancora incerta in ambito accademico è l’identificazione di questi segni con divinità specifiche o distretti regionali. A proposito di quest’ultima considerazione è opportuno menzionare la distinzione compiuta da Jéquier, riguardante le varie fasi di venerazione del divino che si sono succedute nel corso della storia dei gruppi umani che sarebbero confluiti nella società egiziana.

Jéquier riconosce un primo stadio che consisterebbe nella venerazione di feticci, incarnanti il ruolo di divinità o comunque di un “superpotere”. Il secondo passo sarebbe quello della zoolatria, molto evidente nella religione egiziana, e infine sarebbe sopraggiunta una tendenza all’antropomorfizzazione, peraltro anche responsabile dei caratteri misti di molte divinità egiziane44.

Hornung è critico con questa antiquata visione e ritiene che, sulla base dell’evoluzione della scrittura geroglifica, non ci sia motivo di postulare un’anteriorità della venerazione di feticci rispetto al fenomeno della zoolatria45. L’ipotesi che prende in considerazione gli emblemi come divinità o “superpoteri”, rappresentati gli uni a fianco agli altri, potrebbe combaciare con un quadro storico come quello Predinastico, dove comunità sparse lungo le rive del Nilo, all’altezza di quello che diverrà l’Alto Egitto, ognuna con una o più divinità caratteristiche, procedono nella seconda parte del periodo Naqada verso una sempre maggiore unità politica e culturale.

In un’ottica come questa, come si è visto, riveste grande importanza la penetrazione nel deserto, compiuta dalle élite o comunque a loro principale vantaggio.

Contrariamente a questa ipotesi Newberry cercava di identificare gli emblemi rappresentati sopra queste imbarcazioni con i simboli che identificavano gli antichi distretti, destinati a confluire nell’Egitto dinastico46.

Si sottolinea qui il fatto che entrambe le ipotesi potrebbero corrispondere a verità, tenendo presente il fatto che ogni città egiziana tendenzialmente aveva una propria divinità e che un simbolo identificante una località o un gruppo umano, in un’epoca così remota, poteva forse allo stesso tempo indicarne anche la divinità principale47. Vale allo stesso tempo però la pena sottolineare il rischio di tentare di identificare con questi emblemi arcaici i nomoi dell’Età Dinastica. Riconoscendo per i gruppi

44 JEQUIER 1946 45 HORNUNG 1996, 40 46 NEWBERRY 1913, 132/136 47 SALEH 1986, 227/228

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umani predinastici una probabile condizione di semi-nomadismo, sarebbe estremamente rischioso associare un determinato nomo ad un gruppo umano che nel periodo Predinastico viveva una vita diversa da quella sedentaria48.

Verso la fine del periodo Naqada II, un segno che rassomiglia molto da vicino all’emblema del dio Min per come lo conosciamo dall’età storica, fa la sua comparsa, insieme ad un’appendice verticale che lo sovrasta, su una delle più antiche palette predinastiche, decorate con la tecnica del rilievo, a noi pervenute. Essa è stata trovata nella località di El-Amrah49 e rappresenterebbe la prima comparsa in assoluto dell’emblema del dio Min.

L’evoluzione dell’emblema di Min, che raggiunge la sua forma definitiva durante la VI Dinastia50, nel corso della storia egiziana è stata studiata estensivamente, già a partire dai primi decenni dello scorso secolo51. Allo stesso modo molte sono state le ipotesi su quale fosse l’oggetto rappresentato da questo simbolo. Esso viene il più delle volte convenientemente chiamato “fulmine”52, causando l’associazione del dio alla sfera celeste, insieme alle piume simbolo siderale per eccellenza53. Altre ipotesi di identificazione hanno preso in considerazione la possibilità che si tratti di un oggetto per praticare la circoncisione54, un fossile (belemnita), una freccia dalla doppia punta, uno gnomone55, un raggio di luce56, l’oggetto per sigillare le porte del suo santuario57.

Una considerazione interessante riguardo il problema dell’identificazione del simbolo di Min è stata portata avanti da Manzano, nel suo studio dettagliato dei colossi di Copto. Lo studioso ritiene di maggior importanza non lo stabilire l’identità dell’oggetto quanto le sue caratteristiche e la forma insolita, quasi astratta, che lo renderebbero idoneo ad essere davvero un feticcio58, privo quindi di qualsiasi valore pratico e pervaso unicamente da sentimento magico-religioso.

48 SALEH 1986, 228 49 MACFARLANE 1995, 162/163 50 WILKINSON 1991, 114 51 WAINWRIGHT 1931 52 KEMP 2006, 137 53 BELLUCCIO 1995, 29 54 GOEDICKE 2002, 251 55 ISLER 1991 56 WAINWRIGHT 1931, 187 57 WILKINSON 1991, 113/114 58 MANZANO 2002, 36

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La presenza del simbolo su di una paletta proveniente dalla località di Abido, su di una testa di mazza da Hierakonpolis e infine sui celebri colossi di Copto, i quali portano inscritto anche il nome del primo leggendario sovrano Narmer59, portano ad una forte associazione del simbolo con il nascente concetto di regalità nel periodo Naqada III.

Il caso dei colossi di Copto è particolarmente rivelatorio per questa sezione poiché oltre a collegare fortemente il dio Min, evidentemente rappresentato nelle statue, e il suo simbolo alla regalità, senza il cui coinvolgimento la realizzazione di statue di tali dimensioni sarebbe stata impensabile, ci permette di connettere con sicurezza il dio a questo luogo. Prima di questo momento né il simbolo né la figura in atteggiamento fallico possono essere collegati con certezza ad alcuna località, ma si riconosce che essi siano da essere collegati con cerimonie e rituali, validi per un’ampia area geografica60.

1.4 Wadi Hammamat e Copto

Ora che si è mostrato come la figura fallica e l’emblema del dio Min compaiano estensivamente in contesti predinastici e come quest’ultimi siano prevalentemente legati al processo di stratificazione sociale e all’emergere sempre più forte di élite, possiamo analizzare con più precisione il caso dello Wadi Hammamat. Nonostante si siano già descritte le rappresentazioni di figure falliche qui presenti, un’analisi a livello archeologico dei materiali rinvenuti nelle cave e nei workshop predinastici ci permetterà di postulare questo wadi come un punto di contatto nevralgico tra popolazioni. Per quanto riguarda il dio Min questa sezione ci permetterà di comprendere le ragioni del suo arrivo qui e di spiegare alcune delle immagini presenti sui colossi di Copto.

Un’analisi dei materiali provenienti dalle cave predinastiche dell’area del Bir Hammamat si è concentrata sugli oggetti in pietra modellati nella forma dei tipici prodotti del periodo: recipienti, braccialetti e palette. Questi oggetti sono stati rinvenuti in apposite aree di lavorazione sul sito. In questo modo, anche in assenza di un indicatore cronologico affidabile come la ceramica, si è potuto operare una

59 WILLIAMS 1988

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datazione al Predinastico. Queste antiche cave assumono una forma allungata, fino a 30 metri di lunghezza, oppure una forma circolare o ovale con profondità fino a 1/2 metri61.

L’importanza di quest’area era legata alla presenza di una fonte d’acqua sotterranea nelle vicinanze, inoltre la sua locazione a metà strada della tratta che conduce fino al Mar Rosso deve aver giocato un ruolo molto importante nel mettere in contatto gruppi umani di regioni differenti.

Ci si concentra ora prevalentemente sugli utensili in pietra rinvenuti sul luogo di cave e workshop, datati a questo periodo. Gli utensili in grovacca dovevano essere realizzati nel Workshop 1 ed erano utilizzati nelle cave a nord e nord-est di questo62. A circa 1,2 chilometri ad ovest del Workshop 1 scavi hanno portato alla luce una seconda area di lavorazione, più piccola ma meglio preservata poiché riparata dal vento data la sua posizione.

L’analisi comparata dei materiali provenienti da questi luoghi ha mostrato la presenza, a fianco degli utensili prodotti con i materiali presenti in loco, di chert e arenaria silicea (quarzite), la cui provenienza è sicuramente estranea al sito di Bir Hammamat63. Nel caso del chert, esso potrebbe provenire dal Gebel Duwi, nei pressi della costa del Mar Rosso.

Poiché un arrivo per vie naturali dei materiali nell’area risulterebbe molto difficile da spiegare, si prende in considerazione l’ipotesi di scambi e contatti tra gruppi umani provenienti dalla Valle e dalle regioni più ad est. Questo ci permette di comprendere sia la presenza di materiali estranei allo Wadi Hammamat tra i ritrovamenti sia una delle vie di penetrazione delle influenze di cui ho parlato precedentemente in questo capitolo, il cui impatto sulla società Naqada è stato già evidenziato.

Il contatto con popolazioni e gruppi umani diversi deve aver toccato in primo luogo coloro che si spingevano fino ai siti del Bir Hammamat e solo in secondo luogo coloro che conducevano una vita di carattere maggiormente sedentario lungo le sponde del Nilo.

Ora che si è mostrata la presenza di rappresentazioni in atteggiamento fallico nello Wadi Hammamat, che si è mostrata la presenza di intensi contatti tra gruppi umani

61 BLOXAM 2014, 16/17 62 BLOXAM 2014, 18 63 BLOXAM 2014, 20/21

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diversi in questo luogo, si è in grado di fornire ipotesi riguardanti i misteriosi simboli incisi, insieme all’emblema del dio, sui colossi di Copto.

Queste statue vennero rinvenute da Petrie nella sua campagna di scavo a Copto nell’anno 1894 presso i resti del tempio tolemaico della località. Le 3 statue colossali e frammentarie rinvenute sono considerate arcaiche rappresentazioni del dio Min e le prime statue di simili dimensioni nella storia egiziana.

Proprio queste immagini hanno provocato in ambito accademico un dibattito riguardante tanto l’identificazione del dio rappresentato quanto la sua origine64. Anche riguardo alla datazione delle statue molto si è discusso negli ultimi decenni, prevalentemente a causa dell’aspetto assolutamente non tipico, da parte delle imponenti statue, rispetto ai confronti del periodo Predinastico e dell’Età Arcaica. Come ho già menzionato il ritrovamento del nome del leggendario Narmer65, oltre al loro aspetto fortemente rassomigliante alle figure falliche diffuse sui supporti menzionati nel corso del Predinastico e la rozza manifattura, sembra aver permesso di dare una svolta alla questione66. Questo ci condurrebbe a datare i colossi alla transizione tra il periodo Predinastico e l’inizio dell’età storica.

Una riflessione che merita attenzione è quella di Kemp, che mette in relazione le statue alla menzione sulla celebre Pietra di Palermo della “Nascita di Min” in almeno tre occasioni nel corso delle prime due dinastie67. Poiché sussiste con forza la possibilità che il termine “nascita” di fatto implichi il concetto di “creazione” di un’immagine divina, è interessante notare come questo possa essere collegato e supportare una realizzazione dei colossi nel corso dell’Epoca Arcaica.

Un altro punto importante consiste nelle differenze esistenti tra la posa e l’iconografia dei colossi e quella tradizionale del dio Min in Età Dinastica.

Si nota ad esempio che mentre nel corso di quest’ultima il dio Min è rappresentato con il braccio destro alzato, ad impugnare il flagello, nei colossi questo scende lungo il fianco. L’atteggiamento del braccio è, insieme alla posa fallica che il dio assume, uno dei tratti in assoluto più tipici e riconoscibili dell’iconografia del dio. Si è ipotizzato e cercato di spiegare questa gestualità con un’origine apotropaica, e quindi benigna, della divinità, che solo successivamente, a causa della sua natura fallica,

64 MANZANO 2002, 26

65 KEMP 2000, 211, specifica come la lettura del nome di Narmer non sia univocamente accettata 66 MACFARLANE 1995, 164

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sarebbe stata invece collegata alla fertilità68. In favore di quest’ultima ipotesi Wilkinson interpreta, come già menzionato tra le varie ipotesi, l’emblema del dio Min come il catenaccio o sigillo che chiudeva le porte del suo santuario, spesso rappresentato dietro di lui come attributo iconografico del dio. La porta e il sistema di chiusura di quest’ultima rappresentano simboli di natura difensiva nell’Antico Egitto69.

Altre differenze riguardanti le statue sono l’assenza di barba posticcia, delle piume sul capo e le estremità inferiori70, oltre che la presenza di un corpo nudo al posto dell’aspetto mummiforme. Per quanto riguarda la questione delle piume bisogna tener presente che sul lato sud del tempio, dove non erano presenti depositi di fondazione, erano posti reperti con varia datazione e tra questi anche una piuma d’argento71, che possiamo ipotizzare appartenente a una delle tre statue ritrovate. Nonostante questo, il loro aspetto, l’atteggiamento fallico che mostrano, la presenza del suo emblema tra i rilievi presenti sui colossi e la località di ritrovamento sono tutti fattori che puntano verso un’identificazione piuttosto sicura del dio rappresentato72. Andrò ora a descrivere le immagini incise su queste imponenti statue in calcare e per alcuni dei quali ora possiamo fare delle ipotesi.

Complessivamente le tre statue mostrano una gran quantità di immagini incise, oltre agli emblemi del dio Min in cima a lunghe aste e sormontati da una piuma: sei conchiglie Lambis truncata (Pteroceras), le estremità del muso a sega di due pesce spada, la testa di uno stambecco, un quadrupede accucciato riconosciuto come un leone, un cane73, o forse una iena, un toro con alle spalle un altro leone e un elefante. L’analisi di queste immagini ci permetterà di comprendere meglio la connessione di Min con il Deserto Orientale e la costa del Mar Rosso, fin da prima dell’Età Dinastica. Una prima ipotesi che possiamo proporre, relativa alla realizzazione di queste immagini così diverse tra loro, è quella che vede tali rappresentazioni., tra cui l’emblema di Min, come i nomi o comunque i simboli legati ai primi gruppi umani in cui era suddivisa la società nell’Alto Egitto precedentemente all’unificazione74.

68 WILKINSON 1991, 110 69 WILKINSON 1991, 115 70 MANZANO 2002, 27 71 BELLUCCIO 1995, 37 72 MACFARLANE 1995, 165 73 KEMP 2000, 216 74 KEMP 2006, 129

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Questa prima ipotesi rimette ancora una volta la figura del dio Min in contatto con la nozione di élite e l’espansione dei gruppi umani pre-unificazione, i cui emblemi, se questa ipotesi si dimostrasse esatta, si troverebbero l’uno a fianco all’altro sulle prime statue di natura monumentale della storia egiziana.

Un'altra interpretazione prende in considerazione il fatto che queste immagini incise rappresentino il nome di sovrani e capi predinastici e molte di esse ricorrono insieme anche nella celebre Tomba U-j di Abido75. In questo contesto funerario sembrano essere attestati nomi di sovrani predinastici nelle iscrizioni che mostrano lo scorpione, l’elefante che incede su una montagna e il canide. A causa della frequenza con cui è attestato il nome, attribuiamo questa tomba a Scorpione e identifichiamo gli altri nomi menzionati come quelli di suoi predecessori76.

La menzione di questi nomi sulle statue da Copto potrebbe essere messa in relazione con donazioni, opere edilizie o svolgimento del culto nei confronti del tempio di Min77, performate dai sovrani menzionati.

Revisioni recenti di quest’ultima ipotesi rifiutano la lettura di segni geroglifici con aspetto animale come nomi regali, preferendo invece la loro interpretazione come toponimi78.

Un’ulteriore tesi è quella di Roth che, nel suo studio riguardante le philae egiziane dell’Antico Regno, insieme ai loro geroglifici distintivi, ipotizza un’origine predinastica della loro concezione, legata ad un’organizzazione della società in clan su base totemica, e connessa forse alla presenza di una parentela reale o immaginaria che sia79.

Molto sarebbe forse spiegato se si accettasse l’idea che gli animali predinastici rappresentavano emblemi di forze o superpoteri di natura spirituale e che potessero allo stesso tempo essere utilizzati per designare gruppi di persone80.

Va infine considerato che si nota facilmente come queste creature rappresentate facciano prevalentemente parte di una fauna desertica, o comunque parzialmente estranea alla valle del Nilo. Detto questo possiamo accostare le rappresentazioni sui colossi di Copto ad alcune delle scene rupestri studiate sopra, che abbiamo visto

75 KEMP 2000, 232/233 76 DREYER 1998, 56 77 DREYER 1998, 54 78 REGULSKI 2010, 17 79 ROTH 1991, 205/206 80 KEMP 2000, 236

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essere così importanti, quale che sia l’ipotesi maggiormente valida sulla loro ragione di essere.

Si è visto come la figura fallica, sia che essa si debba identificare con una divinità, con un superpotere, o in alcuni casi con una figura legata alla leadership nell’atto di compiere un’azione di natura cerimoniale e/o rituale, rappresenti un fenomeno connesso con l’espansione egiziana nel Deserto Orientale adiacente alla Valle. Le scene rupestri hanno accompagnato i gruppi umani provenienti dalle regioni adiacenti le sponde del Nilo nella loro penetrazione nel deserto e hanno giocato il ruolo di supporto ideologico con una varietà di funzioni, dove quelle che sono state trattate principalmente sono la nozione di controllo del caos, il fenomeno della “niloticizzazione” (rendere maggiormente familiare l’inconoscibile) e la questione dei riti di passaggio.

L’evidenza archeologica dello Wadi Hammamat ha mostrato chiaramente come gruppi umani provenienti dalla Valle siano entrati in contatto, presso questa tratta, con individui provenienti da altre regioni, come quella del Mar Rosso. Questo contatto ha permesso ai gruppi provenienti dal futuro Egitto di ottenere beni e materie prime esotiche, oltre che i materiali per lavorarle. Le immagini incise sui colossi potrebbero trarre ispirazione proprio da alcuni degli animali visti, dei prodotti con cui si è entrati in contatto (come ad esempio le conchiglie del Mar Rosso) e delle esperienze vissute dai gruppi umani che sono stati coinvolti in questo scambio culturale che ha principalmente riguardato il Deserto Orientale, come via di penetrazione e di passaggio, piuttosto che come barriera, con al suo epicentro lo Wadi Hammamat.

Sembra del tutto ragionevole pensare che una tipica rappresentazione predinastica, come la figura fallica, diffusa estensivamente nel Deserto Orientale presso gruppi umani dalla Valle che entrano in contatto con altri provenienti da est, subisca l’influenza e le conseguenze di questo contatto.

I colossi e i loro simboli attestano, alle soglie dell’Età Dinastica, la natura già fortemente collegata al mondo esterno di un dio che sembra quasi essere nato per accompagnare i gruppi umani egiziani fuori dalla Valle. D’altra parte il suo aspetto fallico lo collega alla potenza virile e alla fertilità, rendendolo un dio incarnante le qualità aspirate dal sovrano e simbolo delle favorevoli condizioni ambientali della Valle.

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Con la nascita definitiva della società faraonica prenderà anche forma quel canone artistico e culturale, tipicamente egiziano, cui tutte le espressioni di pensiero precedenti si sono dovute adeguare o altrimenti scomparire.

Se da una parte i colossi di Copto ci mostrano l’aspetto del dio Min nel corso del periodo Preformale, dall’altra ci potrebbero anche mostrare una serie di emblemi associati con il suo culto. La sistematizzazione religiosa operata dalla “cultura di corte” scelse l’emblema che noi abbiamo descritto e che ormai conosciamo come simbolo del dio, escludendo tutto il resto81. Nonostante questa esclusione però, come vedremo ripetutamente nei capitoli successivi, la natura del dio Min rimane fortemente ancorata alle regioni ad est della valle del Nilo.

Infatti comprendiamo la ragione di essere di entrambi gli aspetti, dicotomici l’uno nei confronti dell’altro, del dio: quello di potenza della fertilità con una probabile origine apotropaica e quello di divinità connessa all’altrove. Ed è proprio questo secondo aspetto che più ci interessa e che vedremo essere rilevante nei successivi capitoli, riguardanti le iscrizioni dello Wadi Hammamat che coinvolgono Min e il suo clero.

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CAPITOLO 2: Iscrizioni con Min nello Wadi Hammamat (re e privati)

Prima di scendere nel dettaglio e analizzare le iscrizioni dove si palesa la presenza del dio oggetto di questo studio, sarà utile fornire alcune indicazioni più generali. Tali informazioni saranno importanti per la ricostruzione del panorama culturale in cui questi testi sono inseriti, di cui hanno anche costituito una parte, e dei contesti sociali che mediante essi si sono espressi. Questa sarà una procedura preliminare allo studio delle interazioni di questi individui, con provenienze così diverse, nei confronti del dio Min.

2.1 I graffiti dello Wadi Hammamat.

Appare necessario notare fin da ora le caratteristiche essenziali di queste iscrizioni. Esse rappresentano uno dei più vasti corpus di incisioni rupestri associate ad antiche cave e miniere al mondo. Sono attestati tutti i periodi storici, dal Protodinastico fino alle iscrizioni di Età Romana82.

Esse si incontrano in modo piuttosto disordinato83, principalmente disperse lungo i 4 chilometri che separano i pozzi di El-Hammamat dal corso dello Wadi Atalla84. Si tratta questo del settore sud-orientale della valle. Non possiamo ancora dire con certezza se la quasi esclusiva collocazione della maggior parte delle iscrizioni in questa parte sia dovuta a specificità del paesaggio, come ad esempio una particolarmente liscia e quindi favorevole superficie rocciosa, o se lavori di natura estrattiva possano aver cancellato testi situati altrove85.

Le iscrizioni dei più differenti periodi storici sono poste le une accanto alle altre. Oltre a questo fenomeno se ne può notare un altro, di maggior rilievo per lo studio che si affronterà: non sono solo epoche lontane tra loro ad essere attestate a pochi metri di distanza (se non anche meno) ma persino le provenienze sociali più disparate degli individui che qui iscrivono. Non traspare infatti nessuna deliberata intenzionalità nel separare le maggiori e più elaborate iscrizioni regali rispetto a quelle, decisamente più modeste, di individui intenzionati semplicemente a registrare il proprio nome e il

82 BLOXAM 2015, 789 83 MONTET 1912, 5 84 GOYON 1957, 11 85 NIETO 2014, 36

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proprio titolo86. Nonostante il focus di questa ricerca sia principalmente di carattere religioso, si specifica l’utilità del contenuto di molte iscrizioni per ricostruzioni in ambito storico e di carattere economico. Ciò diventerà subito palese quando saranno menzionati alcuni dei numerosi ruoli, laici e non, attestati nei testi che si è tradotto e studiato.

Sembra lecito a questo punto domandarsi quali possano essere le peculiarità da cui derivano alcune delle potenzialità informative di questa tipologia di testi rupestri. A questo proposito si può allora sottolineare il carattere relativamente libero da costrizioni sociali di questo tipo di iscrizioni, altrimenti fortemente attive nel limitare e influenzare l’espressività di coloro che lasciano traccia della propria presenza, che, in primo luogo, ci forniscono materiale per uno studio dell’antico egiziano e del suo modo di interagire con un’area liminale come questa87.

2.2 Formazione del panorama culturale

Naturalmente la grande varietà di contesti sociali rappresentati qui nel corso degli oltre 3000 anni di storia egiziana non è sempre rimasta costante. Si nota ad esempio che nel corso dell’Antico Regno solo una minima parte dei membri delle spedizioni appariva nelle iscrizioni88. Come si noterà tipiche dell’Età Arcaica sono alcune brevi iscrizioni che menzionano unicamente nome e titolo del dedicatario. La presenza di figure di divinità, siano esse del dio Min o altri dei, nell’Antico Regno è esclusivamente prerogativa delle iscrizioni regali e non si trova su monumenti di privati89.

La situazione sembra cambiare a seguito del Primo Periodo Intermedio. Nelle iscrizioni attestate al Medio Regno si nota infatti cambiamenti nella lunghezza dei testi e nel tipo di scrittura; in modo particolare appaiono a fianco alle iscrizioni monumentali, proprie di emissari regali, anche piccole stele o testi appartenenti ad individui di rango più basso90. Propri di questi testi sono geroglifici più piccoli e più numerosi che, in contrasto con la documentazione dell’Antico Regno, mostrano una

86 BLOXAM 2015, 805 87 PEDEN 2001, xxi 88 SWEENEY 2014, 277 89 MCFARLANE 1995, 194 90 GOYON 1957, 16

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scrittura più libera ed evidentemente anche un diverso comportamento da parte di fasce più ampie dei membri delle spedizioni. A partire da questo periodo, parallelamente alla comparsa sulla scena sociale di una più larga cerchia di individui, fa la sua apparizione un più esteso panorama di scene di devozione alla divinità. A seguito della crisi sociale e spirituale del Primo Periodo Intermedio, in cui il declino della regalità portò anche ad una diversa percezione del divino e del suo ruolo, uno dei vari risultati fu la maggiore possibilità di appellarsi in maniera diretta, da parte dei comuni mortali, alle varie divinità del deserto91. La diversa percezione del possibile contatto con il divino si rende manifesta in M19992. Basti dire per il momento che in questo testo si attesta il favore del dio Min, concesso ad Antef, ufficiale a capo della spedizione menzionata, che grazie a esso riesce a ribaltare le sorti di quest’ultima. Centrale in questo processo è il suo appellarsi tramite preghiere e offerte di incenso a Min, Mut e altre divinità associate al deserto93.

Parallelamente a questo cambiamento nella percezione e nell’accessibilità al divino si riscontra la formulazione di iscrizioni sempre più simili a quelle delle biografie, proprie dei contesti funerari, da parte dei privati94.

Va anche notato che la presenza del geroglifico del dio in un certo numero di iscrizioni è dovuta alla sua presenza all’interno del composto che rappresenta il nome del dedicatario; non un vero e proprio appello alla divinità quindi, ma comunque una forma di devozione, perlomeno da parte del nucleo familiare dell’individuo. Su questo punto saranno fatte considerazioni più avanti.

A partire dalla fine dell’Antico Regno, quindi, in un’area liminale e profondamente abitata dalla divinità come questa, si presenta ai nostri occhi quella caratteristica che è così peculiare e rivelatoria della mentalità egizia, ossia quella sorprendente facilità e immediatezza attraverso cui essi comunicano e si mettono in contatto con i propri dei per le ragioni più disparate95.

91 LEBEDEV 2014, 184 92 MONTET 1912, 100 93 LEBEDEV 2014, 187 94 SWEENEY 2014, 286 95 TEETER 2011, 77

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Le motivazioni alle spalle di queste iscrizioni possono essere varie. Ci si poteva appellare alla divinità per cercare di assicurare un esito proficuo alla spedizione di cui si faceva parte96, oppure iscrizioni particolarmente brevi potevano rispondere semplicemente all’esigenza di lasciare una traccia del proprio passaggio. Data la natura e la percezione del deserto da parte degli antichi egiziani (come mostrato nel Capitolo X) non sorprende la loro volontà di realizzare iscrizioni commemorative, per quanto modeste, prima di abbandonare il luogo.

Si può anche ipotizzare che, almeno nell’Antico Regno, quando questa pratica era come già detto meno diffusa, la possibilità per un ufficiale di lasciare una commemorazione di sé durante la spedizione fosse un incentivo a partecipare o persino una ricompensa ottenuta per un buon lavoro97. La menzione della divinità o la rappresentazione della sua immagine, davanti cui il dedicante dell’iscrizione è quasi sempre mostrato in atto di adorazione, potevano solo accrescere il valore della commemorazione, tanto agli occhi del committente quanto di coloro che successivamente potevano soffermarsi davanti ad essa.

Si può, infine, comparare il fenomeno delle iscrizioni con quello che nel capitolo dedicato al Predinastico abbiamo chiamato “niloticizzazione” del deserto. Attraverso la costruzione di un “contesto (o panorama) sociale” in questi luoghi, tanto abitati dalla divinità quanto pericolosi, si cercava di porre rimedio alle paure e alle incertezze che erano suscitate nell’antico egiziano di fronte all’ignoto.

Un’interpretazione molto interessante del fenomeno delle iscrizioni viene fornita da Bloxam98. Partendo dall’assunto che cave e miniere sono “luoghi socialmente costruiti”99, essa pone l’accento sulla ripetuta frequentazione della valle di Hammamat da parte di lavoratori locali o regionali, impiegati in modo più stabile rispetto ad altri sul posto. Tale “abituale” frequentazione si innesta nel corso di varie generazioni. Da questi egiziani derivava la trasmissione di conoscenze relative all’area e alle tecniche impiegate nell’estrazione di blocchi in pietra di dimensioni ragguardevoli 100. L’autrice afferma che il passaggio all’estrazione di pietra di

96 LEBEDEV 2014, 184 97 SWEENEY 2014, 5 98 BLOXAM 2015 99 BLOXAM 2015, 793 100 BLOXAM 2015, 807

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dimensioni maggiori coincide con il concentrarsi dell’attività delle varie spedizioni nell’area della così detta “montagna Bekhen”, nel corso dell’Antico Regno101. Questo termine che identifica la località però, sebbene si definisca la pietra da estrarre come “bḫnw” già dal Medio Regno, non compare che nei testi del Nuovo Regno102.

La pietra Bekhen, più volte menzionata nei testi che si andranno ad analizzare, è stata erroneamente definita nel corso del tempo come una tipologia di basalto, mentre oggi si ritiene che essa sia da identificarsi con la grovacca. Si tratta questa di una roccia sedimentaria, principalmente formata mediante frammenti di rocce preesistenti. Insieme alla siltite verde e alla roccia cui ci si definisce con il termine di “conglomerato”, la grovacca è estensivamente diffusa nella parte centrale e settentrionale dello Wadi Hammamat e appartiene alla formazione rocciosa risalente all’Età Precambriana103. Tale pietra era il focus principale delle spedizioni faraoniche nell’area data la sua apprrezzata durezza e il colore tendente al verde. In quanto obbiettivo delle missioni nel deserto, essa è stata sempre più associata al dio Min e alla sua essenza nel corso delle varie epoche.

Tornando alla trasmissione di conoscenze da parte di lavoratori regionali, essa si innesta non solo sulla ripetuta frequentazione del luogo da parte di questi individui ma anche attraverso la costruzione di un panorama culturale peculiare della valle di Hammamat. Come si vedrà nelle iscrizioni tradotte, i legami di parentela specificati giocano un loro ruolo in questo processo e mostrano collegamenti tra differenti generazioni di individui. Al sottolineare legami familiari si affianca, talora, il porre l’accento da parte del dedicante sui suoi rapporti con i colleghi104.

L’identità di questi egiziani che trascorrono buona parte della loro vita lavorativa in questo ambiente non può naturalmente coincidere con la maggioranza degli uomini impiegati come cavatori o minatori nelle spedizioni dello Stato, ma piuttosto forse con un ristretto numero di uomini provenienti dalla regione di Copto (l’iscrizione

101 BLOXAM 2015, 798 102 BLOXAM 2015, 794 103 NICHOLSON 2000, 57 104 SWEENEY 2014, 284

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G65105, ad esempio, ci menziona esplicitamente un “cavatore di pietra di Copto” che potrebbe costituire un perfetto esempio di questa categoria di “specialisti” regionali). Il corposo nucleo di forza lavoro impiegato nelle spedizioni doveva essere infatti composto da una miscela etnica e sociale troppo complessa per analizzarne la composizione in questo studio. La stragrande maggioranza di egiziani impiegati come forza lavoro era costituita da giovani uomini, privi forse di qualunque preparazione tecnica e tecnologica, sottratti al lavoro dei campi106.

Le principali occupazioni dell’immensa forza lavoro non addestrata dovevano riguardare il trasporto dei blocchi estratti, la costruzione di rampe e lo sgombero dei detriti risultanti dalle operazioni107.

L’interazione degli ufficiali e dei membri delle spedizioni maggiormente legate alla regalità con questo panorama culturale doveva presentare ovviamente dei vantaggi. Permetteva infatti l’accesso a quelle conoscenze di estrema utilità riguardanti il luogo e le tecnologie alla base dello sfruttamento della pietra. Oltre a ciò, si può pensare che l’apprendimento di determinate conoscenze da parte dei non abituali frequentatori dello wadi potesse rivelarsi utile anche al loro ritorno nei principali centri della Valle, dove esse potevano essere impiegate nei cantieri delle opere monumentali maggiori. Questo tipo di informazioni si traduceva sostanzialmente, nel deserto, con l’accesso dei rappresentanti del re alla fonte diretta da cui proveniva la pietra108, risorsa importante e apprezzata. Le conclusioni tratte dalla studiosa ci permettono, da una parte di ipotizzare un minore controllo da parte dello Stato egiziano, rispetto a quanto rilevato in precedenza, sullo sfruttamento delle risorse di questa tratta nel deserto, e dall’altra di individuare la costituzione di un già citato panorama culturale di cui potremo studiare le interazioni con il dio patrono della regione.

Va sottolineato che questo scenario di documentazione testuale e iconografica è quindi la risultante tanto delle iscrizioni di coloro che frequentano abitualmente lo wadi, e che possiamo supporre abitano temporaneamente a periodi alterni, tanto di

105 GOYON 1957, 88 106 SHAW 1998, 255 107 NIETO 2014, 53 108 BLOXAM 2015, 807

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quelle di chi a quest’ultimi si vuole associare per trarne vantaggio e probabilmente anche ispirazione.

Inoltre la presenza di precedenti graffiti/iscrizioni, oltre che peculiarità topografiche, poteva contribuire ad incrementare la sacralità di un luogo come questo109. Stabilita questa relazione, che si dispiega nel corso delle generazioni, tra chi iscrive e chi a queste iscrizioni si ispira per qualsivoglia ragione, è ragionevole pensare che questo fenomeno abbia avuto importanti ripercussioni sul culto di Min nell’area. Chi infatti prendeva parte alle spedizioni ed era in grado di leggere, o riconoscere, le testimonianze della devozione nei confronti del dio, poteva da esse trarre ispirazione e, in questo modo, portare avanti tale “tradizione”110.

Possiamo concludere quindi dicendo che al panorama sociale che si viene a costruire corrisponde un panorama religioso, strettamente interconnesso, che permetteva ai visitatori di riconoscere questo luogo come abitato dalla divinità.

2.3Iscrizioni di membri delle spedizioni

Saranno di seguito analizzate brevi iscrizioni di personaggi con ruoli molto diversi tra loro. Esse rappresentano la maggior parte delle iscrizioni tradotte e analizzate, riguardanti figure laiche. L’intero corpus dei testi affrontati in questo studio è compreso in limiti cronologici che arrivano fino alla fine del Nuovo Regno. Ho scelto di omettere un piccolo numero di iscrizioni in virtù della mancanza di datazione, difficoltà di lettura e presenza di lacune. Sono tralasciati in questo paragrafo anche testi dove compaiono faraone, suoi diretti emissari o membri di un qualsiasi clero (quest’ultimo trattato in un capitolo a parte). Unico legame certo individuato tra queste iscrizioni è la menzione e/o la rappresentazione del dio Min. Procederò elencando e analizzando i vari testi in ordine cronologico, trattando alla fine della sezione quelli per cui non è disponibile una datazione precisa. Tale difficoltà sorge nel momento in cui non è presente alcuna titolatura di faraoni o altri elementi utili a questo scopo. L’unico metodo proposto per fornire una qualche indicazione cronologica a questo punto è un’analisi stilistica della scrittura geroglifica,

109 ESPINEL 2012, 94

110 Intendo in tale contesto questo termine come “il complesso di memorie e testimonianze

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