• Non ci sono risultati.

Sintesi di agenti pleiotropici per il trattamento di patologie neurodegenerative

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Sintesi di agenti pleiotropici per il trattamento di patologie neurodegenerative"

Copied!
47
0
0

Testo completo

(1)

Dipartimento di Farmacia

Corso di Laurea in Farmacia

Tesi

Sintesi di agenti pleiotropici per il trattamento di patologie

neurodegenerative

Relatori

Prof.ssa Simona Rapposelli

Dott. Massimiliano Runfola

Candidata

Alice Passalacqua

ANNO ACCADEMICO 2018/2019

CHIM/08

(2)

2

INTRODUZIONE GENERALE 3

Capitolo 1: La Malattia di Alzheimer 4

Capitolo 2: Meccanismi molecolari nell’Alzheimer 6

2.1 Formazione aggregati proteici 6

2.2 Autofagia 7

2.3 Metabolismo 11

2.4 Neuroinfiammazione 15

Capitolo 3: Approcci terapeutici 17

3.1 Terapie disponibili 17

3.2 Nuovi approcci terapeutici: il multi-target 19

INTRODUZIONE ALLA PARTE SPERIMENTALE 21

PARTE SPERIMENTALE 29

Materiali e metodi 30

(3)
(4)

4

Capitolo 1

La Malattia di Alzheimer

Le malattie neurodegenerative rappresentano un insieme diversificato di entità nosografiche distinte, accomunate tra loro da processi cronici e selettivi di morte cellulare dei neuroni. L'eziologia alla base di questo processo non è ancora chiara. Sebbene in qualche caso sporadico siano state individuate alcune mutazioni genetiche responsabili dello sviluppo della malattia, la maggior parte dei disturbi neurodegenerativi sono a carattere multifattoriale, presentano cioè diversi fattori di rischio sia di origine genetica che ambientale. A seconda del tipo di deterioramento neuronale si può osservare l’insorgenza di deficit cognitivi, demenza, alterazioni motorie, disturbi comportamentali e psicologici. Tra le patologie neurodegenerative più rilevanti ci sono: la malattia di Alzheimer, la malattia di Parkinson, la malattia di Huntington e la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA).1

La malattia di Alzheimer è una delle malattie neurodegenerative più comuni ed è caratterizzata dalla degenerazione progressiva dei neuroni con perdita globale di tutte le funzioni cognitive ed intellettuali. Il processo di degenerazione nelle sue prime fasi coinvolge soprattutto le aree del lobo temporale mesiale, come l’ippocampo e la corteccia entorinale, ed infine la corteccia cerebrale.1

I sintomi più frequenti del morbo di Alzheimer sono:

1. Difficoltà a ricordare eventi recenti 2. Afasia

3. Disorientamento

4. Cambiamenti repentini d’umore 5. Depressione

6. Problemi comportamentali

7. Incapacità di prendersi cura di sé stesso2

La malattia può essere suddivisa in tre fasi principali:

- Fase iniziale: Perdita della memoria con evidente disorientamento spazio-temporale e perdita di proprietà di linguaggio;

(5)

5

- Fase tardiva: Paziente con visibile perdita dell’autonomia a cui possono aggiungersi episodi di tipo psicotico, comportamenti inappropriati ed alterazioni motorie.

L’evoluzione della malattia è molto soggettiva, soprattutto per quanto riguarda il tempo di insorgenza dei primi sintomi e la velocità di progressione della malattia.3

Il morbo di Alzheimer è determinato dalla degenerazione dei neuroni dell'ippocampo, della corteccia frontale e delle strutture coinvolte nei processi cognitivi e mnemonici. È una malattia che si presenta in età senile (oltre i 65 anni) e le cause non sono ancora note, ma è stato dimostrato il coinvolgimento di accumuli neurotossici di aggregati della proteina β-amiloide, di grovigli neurofibrillari e dell’iperfosforilazione della proteina τ. Alcuni studi post-mortem intrapresi su pazienti affetti da AD hanno dimostrato che l’accumulo di questi aggregati proteici, dello stress ossidativo, e di alterazioni delle concentrazioni del Ca2+ inducono un blocco degli impulsi nervosi, soprattutto di quelli colinergici nelle aree corticali e ippocampali, con conseguente morte neuronale di una certa rilevanza.

La neurodegenerazione dei neuroni dell’ippocampo, struttura encefalica avente un ruolo fondamentale nell’apprendimento e nei processi di memorizzazione, è ritenuta la causa principale dei sintomi della patologia.

In poco meno del 5% dei casi di AD sono state individuate mutazioni autosomiche ereditarie dominanti in uno dei tre geni che codificano la proteina amyloid precursor protein (APP), la

presenilina 1 (PS1) o la presenilina 2 (PS2). L’ APP è una proteina di membrana con la

funzione di favorire la crescita cellulare. Le mutazioni di APP portano ad una maggiore generazione di forme neurotossiche di Aβ (Aβ42), preponderante nelle placche amiloidi. PS1 è invece una proteasi integrale facente parte del gruppo della γ-secretasi che taglia l'APP. Alterazioni a carico di PS1 portano ad aumentare la produzione di Aβ42, e possono anche sconvolgere il meccanismo di omeostasicellulare, causando un eccessivo accumulo di Ca2+ nel reticolo endoplasmatico.

(6)

6

Capitolo 2

Meccanismi molecolari nell’Alzheimer

2.1 Formazione aggregati proteici

Una delle principali caratteristiche dell’AD è la presenza di strutture extracellulari definite

placche senili o placche amiloidi costituite da depositi peptidici che si accumulano in alcune

aree del SNC quali ippocampo, paraippocampo, amigdala e i lobi temporali inferiore e superiore. Le placche presentano una zona centrale formata da aggregati fibrillari di un peptide di 4-kDa chiamato peptide β-amiloide (Aβ). La Aβ è il risultato del processo di degradazione della proteina precursore dell'amiloide (APP), ed è circondata da neuriti distrofici con prolungamenti assonali sinuosi e dilatati. A circondare le placche sono presenti, inoltre, due tipi di cellule gliali attivate: gli astrociti e le cellule microgliali. Gli astrociti sono le cellule che costituiscono la neuroglia e si trovano nel SNC. Queste cellule possiedono varie funzioni tra cui quella di costituire la barriera ematoencefalica (BEE), grazie alla presenza di pedicelli che riescono a relazionarsi con i vasi sanguigni circostanti che irrorano il SNC. Inoltre, gli astrociti modulano lo sviluppo cerebrale sia perché, servendo da impalcatura, consentono il corretto sviluppo dei neuroni sia perché secernono fattori di crescita neuronale capaci di stimolare il neurone ed aiutare la crescita dell’assone. Infine, regolano l’omeostasi del SNC dal momento che sono coinvolti nel ciclo metabolico del GABA e del glutammato.1 Le cellule microgliali invece costituiscono la microglia che ha come funzione primaria la difesa immunitaria del SNC. Le singole cellule della microglia sono ripartite nel cervello e nel midollo spinale. 2

La malattia di Alzheimer è caratterizzata anche dall’accumulo di strutture neurofibrillari

intracellulari (NFT, neurofibrillary tangles). La diminuzione del numero di sinapsi,

accompagnata da una ridotta concentrazione del neurotrasmettitore acetilcolina (ACh), è strettamente correlata con il decorso e con l’entità della malattia. Gli NFT sono fasci di filamenti elicoidali appaiati, formati da una proteina citoscheletrica τ iperfosforilata, che si accumula nel corpo cellulare dei neuroni nell’ippocampo, nella corteccia entorinale, nell’amigdala e nei nuclei del proencefalo basale.3 Il corretto funzionamento di τ dipende da un

meccanismo di fosforilazione/defosforilazione in siti specifici, ad opera di chinasi come GSK-3β e Cdk-5. L’iperfosforilazione all’interno della regione di legame ai microtubuli inibisce completamente l’interazione di τ con i microtubuli, mentre la fosforilazione in siti adiacenti riduce questa interazione. L’iperfosforilazione di τ causa la perdita di capacità della stessa di

(7)

7

interagire con i microtubuli, i quali si destabilizzano di conseguenza ed alla fine depolimerizzano, portando a morte neuronale.1

2.2 Autofagia

L’autofagia è un processo citoprotettivo che provvede al riutilizzo di nutrienti, attraverso la degradazione lisosomiale di componenti citoplasmatici danneggiati o superflui per il mantenimento dell’omeostasi cellulare. Questo processo di fondamentale importanza per la regolazione della cellula eucariota si accentua in stato di privazione dei nutrienti. L’autofagia svolge un ruolo cruciale in alcune fasi della vita cellulare: ad esempio, impedisce la perdita dello stato di quiescenza e di differenziazione precoce 4 e attraverso lo smaltimento dei mitocondri funge da trigger per la morte cellulare programmata di secondo tipo (non

apoptotica). Mutazioni dei geni o alterazioni nell’efficacia del processo sono correlate con

alcune patologie umane, quali cancro, malattie neurodegenerative, malattie autoimmuni e disordini metabolici. 4

Meccanismo

All’interno del processo autofagico possiamo evidenziare più fasi: iniziazione e nucleazione, seguite dall’allungamento e individuazione del carico (cargo), e chiusura delle membrane che si fondono con il lisosoma per poter degradare le molecole e riciclare i monomeri. Ogni fase autofagica è regolata da specifiche proteine chiamate autophagy-related genes (ATG) 5

La rimozione del materiale citoplasmatico inizia con l’assemblaggio del fagoforo, una struttura a doppia membrana che può originarsi dalla membrana cellulare, dal Golgi, dal reticolo endoplasmatico oppure dai mitocondri. Nella fase successiva, il fagoforo si allunga in modo tale da poter accumulare il carico di materiale citoplasmatico contenente tutte le sostanze di scarto o danneggiate, per poi chiudersi a formare un vacuolo definito autofagosoma. A questo punto, avendo isolato il materiale da degradare, la membrana dell’autofagosoma si fonde con quella dei lisosomi in modo tale che quest’ultimi possano riversare i loro enzimi idrolitici all’interno del vacuolo autofagico. Il materiale all’interno dell’autolisosoma viene degradato dagli enzimi lisosomiali e liberato nella cellula per poter essere riutilizzato.6

(8)

8 Figura 17Formazione autofagosoma e autolisosoma. Diversi cambiamenti morfologici si verificano durante

l'autofagia, che viene regolata gradualmente. Nelle fasi di Nucleazione (1) e Allungamento (2), il fagoforo proviene da membrane di organelli (RE, Golgi, mitocondri) e racchiude i carichi citosolici, comprese le proteine di

lunga durata (long-lived) e mal piegate e gli organelli danneggiati, portando al completamento dell’autofagosoma (3). La fase di maturazione (4) consiste nella fusione dell'autofagosoma con il lisosoma per formare l'autolisosoma. Infine, durante la degradazione (5), le idrolasi lisosomiali digeriscono il contenuto autolisosomiale

e rilasciano prodotti nel citosol. PAS: sito di assemblaggio fagoforo; ER: reticolo endoplasmatico.

Il controllo del processo autofagico è regolato da diverse proteine. Una di queste è la

mammalian target of rapamycin (mTOR) che svolge il principale ruolo inibitorio. Quando la

cellula si trova in uno stato di forte stress la protein-chinasi mTOR viene disattivata, favorendo l’attivazione della proteina Unc-51-like kinase 1 (ULK1), responsabile del processo di formazione dell’autofagosoma. Step di fondamentale importanza è inoltre la dissociazione di

Beclin1 da Bcl-2 (B-cell lymphoma/leukemia-2).

Bcl-2 è una proteina anti-apoptotica che, in condizioni fisiologiche, sequestra Beclin1 bloccando la funzione catalitica e conseguentemente il processo autofagico. Beclin1 ha la caratteristica di poter influenzare significativamente due meccanismi importanti per la cellula, l’autofagia o l’apoptosi: l’iniziazione autofagica viene regolata se Beclin1 è libera da legami, mentre se risulta legata nel complesso Bcl-2 tramite il dominio BH3, modula l’apoptosi.

L’allungamento e la chiusura del pre-fagosoma sono regolamentati da sistemi di coniugazione simili a quelli dell’ubiquitina, poiché coinvolgono delle ligasi che attivano dei substrati ed altre che stimolano la loro coniugazione.5 In particolar modo, il complesso LC3-II gioca un ruolo chiave in questi processi. Infatti LC3-II si intercala nella membrana dell’autofagosoma come se fosse un componente strutturale, tanto che può essere utilizzato come marker autofagico poiché la sua concentrazione è legata al numero di autofagosomi.

Gli autofagosomi, una volta formati, grazie ai microtubuli del citoscheletro migrano nel citoplasma raggiungendo i lisosomi che, per mezzo della proteina di membrana

lysosome-associated membrane protein 2 (LAMP-2) e alla piccola GTPasi Rab7, si fondono insieme

(9)

9

Figura 2: meccanismo molecolare del processo autofagico8

Questo processo di degradazione è irreversibile ed altamente controllato: proprio per questo motivo sono presenti degli agenti regolatori che inibiscono il meccanismo autofagico disattivando alcune proteine. Il più importante e il più studiato è il complesso TOR (TORC) costituito da mTOR - una chinasi controllata dal livello dei nutrienti e di energia - e da altre proteine modulatorie.6

Controllo metabolico del processo autofagico

Come già descritto in precedenza, l’autofagia è un processo necessario per la vita cellulare e il controllo dell’omeostasi della cellula. Risulta evidente pertanto che ci sia un sistema di controllo capace di evitare eventuali alterazioni che potrebbero creare danni irreversibili all’ambiente cellulare.

L’autofagia presenta un meccanismo a feedback negativo, ovvero le concentrazioni dei prodotti nel citosol - come ad esempio gli amminoacidi - inibiscono il processo stesso. Studi condotti su

(10)

10

epatociti murini evidenziano come in assenza di amminoacidi aggiunti, il flusso autofagico non risulta alterato (0% inibizione) e che, invece, all’aumentare degli amminoacidi aggiunti si osserva un aumento dell’inibizione del processo.9

Svariati studi hanno confermato che vi è una correlazione tra le concentrazioni amminoacidiche nel citoplasma e il grado di fosforilazione della proteina ribosomiale S610 Questa proteina è il trigger per la proteolisi: S6, in presenza di alte concentrazioni amminoacidiche, viene fosforilata causando l’inibizione della proteolisi. Questa azione inibitoria è determinata dalla presenza degli amminoacidi, ma risulta potenziata dalla sinergia che si crea con l’azione dell’insulina. L’insulina è stimolata dalla fosforilazione di IRS-1 (insulin receptor substrate 1), che attivandosi stimola la chinasi di classe I PI3K, con produzione di PI(3,4,5)P3 e PI(3,4)P2 10.

Questi prodotti bloccano il sistema autofagico.

Oltre agli amminoacidi, il processo autofagico risulta sensibile ai valori di ATP e ADP. La proteina mTOR è una serina-treonina chinasi appartenente alla famiglia delle PI3K, ed è costituita da due complessi: mTORC1 (mTOR complex 1) e mTORC2 (mTOR complex 2). mTORC1 regola il processo autofagico modulando ULK1, ATG13, FIP200, proteine coinvolte nella formazione dell’autofagosoma. Studi recenti hanno evidenziato che mTORC1 blocca l’autofagia per mezzo della fosforilazione e inattivazione di ULK1 e ATG13.10 Inoltre, questo

complesso è regolato dal livello di energia intracellulare attraverso la proteina-chinasi AMPK (AMP-activated protein kinase). Quando il rapporto tra ATP e ADP è basso, AMPK viene attivata e fosforilata da tsc2, con aumento dell’attività del GAP (GTPase-activating proteins) di terminazione della trasmissione del segnale. L’AMPK riduce l’attività di mTORC1 fosforilando la Regulatory-Associated Protein of mTOR (Raptor) in caso di riduzione dell’energia intracellulare11. Inoltre, AMPK contribuisce all’assemblaggio del fagoforo, favorendo la

dissociazione di Beclin1 da Bcl2, grazie alla stimolazione di JNK1(c-Jun N-terminal kinase 1) che fosforila Bcl-2 con conseguente dissociazione.

Autofagia e Alzheimer

Analisi ultrastrutturali hanno rilevato in soggetti affetti da AD la presenza di numerose vescicole autofagiche, che risultano invece più rare nei cervelli di soggetti sani. Questo dato suggerisce che l’aumento quantitativo dei vacuoli autofagici possa rappresentare una strategia cellulare per bilanciare la riduzione qualitativa del processo, ovvero la perdita dell’efficienza autofagica12. L’aumento delle vescicole è stato evidenziato soprattutto in zone citoplasmatiche ricche di presenilina-1 (PS1), una proteina ubiquitina transmembrana la cui forma dissociata fa parte della porzione catalitica del complesso γ-secretasi, responsabile della dissociazione di

(11)

11

APP. Questa dissociazione crea un frammento detto β-C-terminale (βCTF), che a sua volta viene convertito in Aβ ad opera della PS1. Si ipotizza che le alterazioni di PS1 possano influire significativamente sulla patogenesi di AD. Recenti studi hanno infatti dimostrato il suo coinvolgimento nella fusione tra autofagosoma e lisosoma: ad esempio, la mancata fosforilazione del residuo Ser397 nella PS1, con conseguente blocco della fusione, porta ad una riduzione della degradazione di βCTF, con successivo accumulo di Aβ nel cervello.12

PS1 esercita, inoltre, una funzione cruciale nell’acidificazione e nella degradazione del substrato: è uno chaperone del reticolo endoplasmatico che prende parte nella maturazione e nell’avvicinamento della subunità v-ATPasiV0a1 ai lisosomi. PS1 modula l’omeostasi del Ca2+

per la regolazione dell’acidità del lisosoma, indispensabile per favorire la fusione tra lisosoma e autofagosoma, arrestando l’accumulo di autofagosomi. Alterazioni delle funzioni lisosomiali causano, inoltre, un deficit a carico del trasporto assonale portando a distrofia neuritica simile a quella dell’AD.

In modelli murini affetti da AD, la degradazione degli aggregati amiloidi nei lisosomi è promossa dall’eliminazione della cistina B che blocca un enzima proteolitico coinvolto nella degradazione autofagica, la Cistein Proteasi lisosomiale. Tra le proteine correlate sia all’autofagia che all’AD, ritroviamo anche il gruppo delle clatrine che legano il

fosfatidilinositolo e che favoriscono l’endocitosi delle SNAREs (SNAP

(Soluble NSF Attachment Protein Receptor, una famiglia di proteine che permette la fusione

vescicolare) per aumentare il processo autofagico al fine di eliminare gli aggregati tau.

Altra proteina coinvolta nel processo autofagico è Beclin1 che è soppressa a livello trascrizionale nei cervelli affetti da AD.12 Beclin1 svolge un ruolo importantissimo nell’assemblaggio dell’autofagosoma, ma in condizioni patologiche può essere degradata per mezzo di una proteasi, la Caspasi 3, importante nell’apoptosi: il risultato finale è un blocco del processo autofagico. Per questo motivo Beclin1 è spesso considerata un valido biomarker apoptico per la patogenesi di AD in vitro.12

2.3 Metabolismo

I processi metabolici atti a fornire energia all’organismo consistono nella degradazione di carboidrati o acidi grassi, in base alle condizioni in cui l’organismo stesso si trova. Durante periodi di digiuno o esercizio fisico protratto, le riserve di glicogeno epatico si riducono e l’organismo utilizza gli acidi grassi come fonte energetica primaria, mentre, dopo il consumo di

(12)

12

un pasto o in condizioni di riposo, le cellule tornano ad impiegare principalmente carboidrati e glucosio. Questo switch metabolico è correlato ad adattamenti cellulari e molecolari della rete neuronale che concorrono a determinare un potenziamento della funzionalità cerebrale e della resistenza a stress, danni e malattie. In particolare, le vie di trasduzione del segnale coinvolte nello switch del metabolismo da glucidico a lipidico (G-to-K switch) portano ad un aumento della resistenza allo stress cellulare, mentre le vie di trasduzione del segnale correlate alla transizione del metabolismo lipidico verso quello glucidico (K-to-G switch) sono coinvolte nella crescita cellulare e nella neuroplasticità.

Si definisce Switching Metabolico Intermittente (IMS) il modello comportamentale, per quanto riguarda alimentazione ed esercizio fisico, che un individuo dovrebbe seguire per determinare periodici switch metabolici di tipo G-to-K in modo tale da sottoporre il proprio fisico a cicliche fasi di stress metabolico sufficienti ad esaurire le riserve di glicogeno e ad elevare i livelli di corpi chetonici circolanti, a cui seguono fasi di riposo e alimentazione13 I protocolli IMS impiegati più spesso includono il digiuno intermittente (o intermittent fasting, IF), il digiuno a giorni alterni (o alternate-day fasting, ADF) e l’alimentazione giornaliera a tempo limitato (o

daily time-restricted feeding, TRF).

Studi condotti su modelli animali hanno evidenziato gli effetti benefici di questa strategia sulla salute cerebrale, quali aumento della memoria e delle capacità cognitive. Questo fa ipotizzare che l’alternanza tra periodi di tempo a bilancio energetico negativo (digiuno e/o esercizio) e positivo (mangiare e/o dormire) possa incrementare la salute generale e, in particolar modo, quella cerebrale.14

Il cervello e il corpo preferiscono utilizzare i chetoni come fonte energetica primaria durante i periodi di digiuno o di esercizio fisico prolungato. Lo shift metabolico causa un passaggio dalla sintesi ed accumulo dei lipidi alla mobilitazione degli acidi grassi liberi (o free fatty acids, FFAs), sintetizzati all’interno degli adipociti tramite la lipolisi di triacilgliceroli e diacilgliceroli. Questo cambiamento avviene tra le 12 e le 36 ore dopo il consumo di un pasto, in base al contenuto di glicogeno epatico iniziale e all’ammontare della spesa energetica durante il digiuno.

I FFAs, rilasciati nel sangue, vengono trasportati negli epatociti dove verranno metabolizzati, grazie alla β-ossidazione, in acetilCoA, il quale a sua volta verrà usato per la sintesi dei corpi chetonici, quali acetoacetato (AcAc) e β-idrossibutirrato (BHB).

Per mezzo del flusso sanguigno AcAc e BHB, raggiungono il cervello e vengono trasportati all’interno dei neuroni tramite i trasportatori di acidi monocarbossilici (MCT), presenti sulla membrana dei neuroni e delle cellule dell’endotelio vascolare.

(13)

13

Parallelamente, altri tipi di cellule possono produrre chetoni, come ad esempio gli astrociti nel cervello, assicurando un’importante fonte locale di BHB ai neuroni.

All’interno dei neuroni, i chetoni sono convertiti in acetilCoA, che entra nel ciclo dell’acido tricarbossilico (TCA) nei mitocondri, generando ATP. Attraverso questa trasformazione i chetoni daranno all’organismo l’energia necessaria al mantenimento delle sue funzioni durante i periodi di stress metabolico16

BHB è anche in grado di promuovere l’espressione del fattore neurotrofico che deriva dal cervello (o brain-derived neurotrophic factor, BDNF), la biogenesi dei mitocondri, la plasticità delle sinapsi e la resistenza allo stress cellulare. L’IMS, inoltre, aumenta la sensibilità all’insulina, rafforzando l’assorbimento e l’uso del glucosio neuronale. Dopo il consumo di un pasto, i carboidrati e il glucosio assorbiti stimolano il rilascio nel sangue dell’ormone GLP1 per mezzo delle ghiandole gastriche presenti nello stomaco. Il GLP1 concorre all’assorbimento del glucosio rilasciando l’insulina da parte delle cellule β del pancreas ed aumentando la sensibilità delle cellule all’insulina stessa. Nello specifico, il GLP1 riesce ad attraversare la barriera ematoencefalica (BEE), e può svolgere la sua funzione direttamente sui neuroni. Questo effetto è importante se consideriamo che durante i processi di invecchiamento si denota una rilevante riduzione sia dell’assorbimento che dell’utilizzo di glucosio. Questo effetto, che risulta marcato in pazienti che presentano patologie neurodegenerative, sembra contribuire in modo preponderante alla perdita delle capacità cognitive e allo stress ossidativo che caratterizza il fenomeno della degenerazione. L’azione diretta di GLP1 sui neuroni può ridurre i processi di invecchiamento favorendo la plasticità sinaptica, potenziando le capacità cognitive e la resistenza allo stress cellulare. 13

Switch metabolico e Alzheimer

Gli enzimi mitocondriali coinvolti nei processi metabolici come il citocromo C ossidasi, il

complesso α-chetoglutarato deidrogenasi e il complesso piruvato deidrogenasi, si presentano

alterati nei soggetti affetti da AD.. Studi condotti su modelli animali e cervelli di pazienti affetti da AD mostrano ridotte concentrazioni di ATP nelle cellule cerebrali e una disfunzionalità a carico del complesso IV della catena di trasporto degli elettroni 17. Inoltre, i risultati ottenuti

fanno intendere che la biogenesi mitocondriale sia diminuita all’interno dei neuroni, dove i mitocondri danneggiati si accumulano, con la conseguenza di avere una mitofagia alterata. 18 Mediante tomografia ad emissione di positroni (PET) è stato possibile ottenere immagini sull’assorbimento regionale del glucosio cerebrale, evidenziando che la riduzione del metabolismo energetico ha luogo nelle regioni cerebrali vulnerabili all’ AD19. L’utilizzo del

(14)

14

glucosio in modo sregolato può essere dovuto sia ad un effetto avverso esercitato dalle Aβ sul trasporto del glucosio nei neuroni, dal momento che lo stress ossidativo da loro causato può danneggiare la funzionalità del trasportatore del glucosio neuronale GLUT3, sia dalla funzionalità mitocondriale compromessa.

Non è chiaro tuttavia se le alterazioni mitocondriali siano eventi precoci e fondamentali nel processo neurodegenerativo del AD, o si verifichino in fasi successive.

Considerando che il principale fattore di rischio per l’AD è da imputare all’età, si può dedurre che le alterazioni molecolari e cellulari legate all'invecchiamento possano promuovere il metabolismo incontrollato di APP e della proteina τ, innescando le cascate neurodegenerative che si traducono nei deficit cognitivi associati all’AD. Un altro fattore non trascurabile e che può contribuire al danneggiamento della funzione mitocondriale nell’AD è l’alterazione delle risposte adattative (come riduzioni della segnalazione dei fattori neurotrofici, della riparazione del DNA o del meccanismo autofagico), dovuta principalmente al fisiologico processo di invecchiamento cellulare..20

Ad avvalorare questa ipotesi è stato osservato che:

1) L'espressione di BDNF e del fattore di crescita nervosa sono ridotti nel cervello dei pazienti con AD;16

2) Durante il normale invecchiamento, i livelli di DNA polimerasi β, enzima di riparazione del DNA, sono diminuiti nel cervello, esponendo i neuroni alla tossicità di Aβ e Tau mutate;16

3) la disfunzione lisosomiale è associata ai livelli di Aβ e Tau in AD;

4) La stimolazione del processo autofagico migliora i deficit cognitivi in modelli murini di AD.16

Queste scoperte dimostrano che interventi terapeutici in grado di rafforzare la resistenza allo stress cellulare possono avere un potenziale ruolo nel trattamento della AD. Diversi studi hanno messo in evidenza che l’IMS è capace di contrastare le caratteristiche neuropatologiche in modelli murini di AD, e può quindi rappresentare un potenziale meccanismo per lo sviluppo di terapie efficaci contro la malattia. Ad esempio, TRF e ADF si sono dimostrati in grado di migliorare i deficit cognitivi. È interessante notare che, nel caso di TRF, i depositi di Aβ nel cervello sono significativamente ridotti, suggerendo che la funzione sinaptica sia preservata anche in presenza di accumuli di Aβ.21

I meccanismi attraverso i quali IMS può contrastare la neuropatologia e migliorare i deficit cognitivi nei topi con AD includono una riduzione del processo enzimatico amiloidogenico di APP, la soppressione dell’infiammazione e l’attivazione delle vie coinvolte nella risposta

(15)

15

adattativa dei neuroni allo stress (ad esempio, fattori neurotrofici, difese antiossidanti, sirtuine mitocondriali e nucleari).

L'attività fisica diminuisce lo sviluppo della patologia e preserva la plasticità sinaptica e la funzione cognitiva in diversi modelli murini di AD. L’esercizio fisico può sopprimere la patologia riducendo lo stress ossidativo e stimolando l'attività dipendente dall’espressione di BDNF (Brain-derived neurotrophic factor)22. Topi APP/PS1, sono stati trattati con 20 settimane di corsa, hanno mostrato miglioramenti della capacità cognitive, con ridotti livelli di Aβ42, ROS e danni al DNA mitocondriale nel tessuto cerebrale, e conseguente aumento dell’attività del complesso mitocondriale I e IV e dell’ATP sintetasi23.

I dati epidemiologici suggeriscono che le persone che mantengono un livello moderato di attività fisica durante la loro vita presentano un ridotto rischio di sviluppare AD. Inoltre, è stato riportato che le quantità di Aβ sono inversamente correlate all’esercizio fisico del soggetto, e questo significa che l'attività fisica è in grado di ridurre l’accumulo di Aβ o aumentarne i tassi di clearance.

I chetoni svolgono un ruolo importante nel contrastare la patogenesi dell’AD. È stato rilevato che la somministrazione di BHB o di precursori dei corpi chetonici prodotti in conseguenza alla lipolisi degli acidi grassi sia in grado di migliorare i deficit comportamentali24. Uno studio di Yin et al. ha dimostrato che i topi APP alimentati con chetoni presentavano un miglioramento della memoria e della funzionalità mitocondriale mediante il ripristino delle funzionalità del complesso mitocondriale I e la riduzione dei livelli di Aβ4225. Un altro studio condotto da

Castellano et al. ha dimostrato che un allenamento aerobico di 3 mesi (camminata veloce) determina un aumento dell'utilizzo di chetoni da parte delle cellule cerebrali in pazienti con AD26. Un altro studio ha mostrato invece come, nonostante l'assorbimento di glucosio neuronale

sia gravemente compromesso nei pazienti con AD, le cellule mantengono la capacità di utilizzare i prodotti chetonici.27

Trattamenti farmacologici in grado di indurre un lieve stress metabolico cellulare, come il 2-deossiglucosio, hanno mostrato effetti benefici in modelli murini di AD.28

2.4 Neuroinfiammazione

Il concetto di neuroinfiammazione è un concetto relativamente recente, ma che si è evoluto molto negli ultimi due decenni. Nonostante ciò, il nesso tra infiammazione e patologie neurodegenrative risulta ancora un concetto piuttosto controverso, ed esposto ancora a diversi

(16)

16

dibattiti. Negli ultimi anni è stato dimostrato che l'infiammazione è uno dei fattori cruciali nella patogenesi dell'AD.29

La neuroinfiammazione può infatti aggravare le lesioni cerebrali e portare alla degenerazione neuronale e alla disfunzione sinaptica.30 31. Può essere scatenata da risposte a vari stress come:

lesioni cerebrali traumatiche, infezioni, autoimmunità, presenza di metaboliti tossici.32

La citopatologia infiammatoria delle aree cerebrali comprende le reazioni microgliali, attuate da cellule cerebrali di tipo macrofago, e le reazioni astrocitiche. 33

Proteine mal ripiegate e aggregate sono segnali chemiotattici per la microglia, che si accumula nell'area danneggiataavviando la risposta immunitaria. La cellula microgliale si lega all'oligomero Aβ solubile e alle fibrille attraverso i recettori della superficie cellulare, compreso SCARA1,

CD36, CD14, α6β1 integrina, CD47, e recettori tipici dell’infiammazione (TLR2, TLR4, TLR6 e TLR9).3435

Dopo l'attivazione della microglia, le fibrille Aβ extracellulari vengono rimosse attraverso la via lisosomiale.3637

Con l'avanzare dell'età, l'attivazione microgliale aumenta. La microglia nel cervello invecchiato è responsabile dell’aumento della produzione dei ROS e citochine ma sembra anche facilitare la stimolazione della fagocitosi, almeno nelle prime fasi della patologia dell’AD.Su questa base è stato ipotizzato che, l’iniziale attivazione della microglia eserciti una funzione protettiva sul SNC attraverso la riduzione dei livelli tossici di β-amiloide38 . Recenti studi hanno però

evidenziato che, a seguito della sua attivazione, la microglia può avere effetti nocivi nelle fasi più avanzate della patologia dell’ AD, perché rappresenta la fonte di fattori infiammatori che danneggiano le sinapsi neuronali con conseguente peggioramento dello stato patologico.E’ quindi evidente che anche la microglia svolge un ruolo cruciale nella patogenesi dell’AD anche se i meccanismi alla base della perdita neuronale devono essere ancora chiariti.

(17)

17

Capitolo 3

Approcci terapeutici

Al momento la terapia farmacologica per la malattia di Alzheimer non prevede un trattamento relativo alla causa, ma soltanto l’impiego di farmaci destinati ad attenuare i sintomi legati a questa patologia. Appartenenti a questa classe troviamo gli inibitori dell’acetilcolinesterasi (donepezil, galantamina e rivastigmina), la memantina e gli antiossidanti (selegilina e vitamina E).

3.1 Terapie disponibili

Inibitori di AChE

Gli inibitori dell’acetilcolinesterasi (AChE) sono utilizzati come farmaci di prima scelta nel trattamento dell’AD dal momento che i pazienti con questa patologia presentano una diminuzione della concentrazione di ACh all'interno del vallo sinaptico. Contemporaneamente è stata anche evidenziata una diminuzione dell'attività di colina O-acetiltrasferasi (ChAT), ed un’iperattività dell’acetilcolinaesterasi (AChE) e della butirrilcolinesterasi (BuChE.) La perdita della funzione colinergica è strettamente correlata alla disfunzione cognitiva. Questo ha portato allo sviluppo della prima generazione di farmaci per AD, gli inibitori dell’acetilcolinaesterasi (AChEIs). L'inibizione della AChE aumenta la concentrazione di ACh a livello del vallo sinaptico, aumentando in questo modo la neurotrasmissione colinergica centrale. Gli inibitori dell’AChEIs approvati dalla FDA per il trattamento di AD sono: tacrina (1), donepezil (2), galantamina (3) e rivastigmina (4) (Fig. 7). La tacrina a causa della sua epatotossicità manifestata in circa il 50% dei pazienti è stata ritirata dal mercato occidentale. Ad oggi gli altri tre AChEIs in uso offrono scarsi benefici che consistono in un piccolo miglioramento dei sintomi (senza un effetto ben definito sulla progressione della malattia) ed effetti collaterali come confusione, allucinazioni, cambiamenti improvvisi nel comportamento, nausea o dolore allo stomaco. Tali farmaci sono indicati nella malattia di Alzheimer in fase lieve e moderata; possono migliorare alcuni sintomi cognitivi (come memoria e attenzione) e comportamentali (quali apatia, agitazione e allucinazioni), ma questa loro capacità si riduce con l’avanzare della malattia.

(18)

18

1) Tacrina 2) Donepezil

3) Rivastigmina 4) Galantamina

Figura 3: Inibitori delle Acetilcolinesterasi (AChEI), farmaci comunemente impiegati nel trattatamento del morbo di Alzheimer

Antagonisti NMDA

Un'altra classe di farmaci impiegata nel trattamento dell’AD è costituita dagli antagonisti non

competitivi del glutammato. Il blocco del recettore NMDA con antagonisti non competitivi

dovrebbe avere un effetto neuroprotettivo. Tra questi, la memantina (5) rappresenta il primo farmaco non AChEI approvato dalla FDA per il trattamento di AD. E’ indicata nella malattia di Alzheimer in fase moderatamente severa e severa, ed agisce compensando gli effetti tossici derivanti dall’eccessiva eccitazione delle cellule nervose causata dal glutammato che, in situazioni patologiche, produce una quantità sovrabbondante di Ca2+ nelle cellule nervose

provocandone la morte.

Memantina

(19)

19

3.2 Nuovi approcci terapeutici: il multi-target

Oltre alle terapie in uso, sono in corso studi inerenti a strategie terapeutiche innovative per contrastare la ridotta efficacia dei farmaci attualmente disponibili. L’approccio one-drug-one-target, paradigma per molti anni nella ricerca farmaceutica, si è dimostrato spesso fallimentare nel produrre farmaci efficaci per malattie complesse come l’Alzheimer. In questo contesto, è evidente la necessità di sviluppare nuovi agenti terapeutici dotati di attività pleiotropica, capaci cioè di agire su più bersagli farmacologici coinvolti nella patologia (approccio multi-target). Una di queste strategie è l’approccio multitarget che si basa sulla combinazione appropriata di porzioni farmacoforiche per generare molecole dotate di attività farmacologiche distinte e/o complementari (farmaco multitarget), al fine di garantire una migliore efficacia terapeutica rispetto ai farmaci attualmente in uso.

Analoghi di sintesi delle tironammine

Negli ultimi anni è stata sviluppata una nuova classe di analoghi delle tironamine (T1AM), denominati composti SG, in cui il linker etereo di T1AM è stato sostituito con un ponte metilenico. Queste molecole sono state ottenute apportando alcune modifiche strutturali per sostituire con bioisosteri i gruppi soggetti a possibili degradazioni enzimatiche e allo scopo di semplificare il processo sintetico come mostrato in fig.5. 39

Figura 5: principali modifiche strutturali apportate nello sviluppo di nuovi analoghi sintetici delle tironamine

(20)

20

Il composto SG-2 ha mostrato un’attività analoga a T1AM endogeno; nello specifico, la somministrazione di una singola dose nei topi da laboratorio (1,32 e 3,4 μg / kg) ha determinato un aumento della glicemia plasmatica con una potenza similare a quella delle tironamine endogene. Inoltre, questo composto è in grado di causare un effetto inotropo negativo a livello cardiaco.39 Successivamente nell’ottica di ampliare gli studi SAR relativi a questi sono state analizzate: la sostituzione della catena laterale ossietilamminica di SG2 con una catena etilamminica o ossietilcarbossilica, l'introduzione di piccoli sostituenti alchilici (Me, i-Pr) su entrambi gli anelli aromatici e il recupero della funzione fenolica come in T1AM. Sono stati così ottenuti dei nuovi composti con attività del tutto analoga a SG-2.40Recentemente, gli studi inerenti l’attività biologica di questi composti sono stati ampliati. In particolar modo, è stata indagata la capacità di T1AM e SG2 di migliorare i processi di apprendimento e memorizzazione quando sistematicamente somministrati a topi in dosi simili ai livelli fisiologici di T1AM (μg/kg).41

Nello specifico, è stato evidenziato che molti degli effetti neurologici osservati dopo la somministrazione di entrambi i composti sono ridotti o inibiti dal pretrattamento con clorgilina, un inibitore MAO-A, suggerendo che i derivati tiroacetici TA1 e SG-6, metaboliti ottenuti rispettivamente da T1AM e SG2, concorrano direttamente o indirettamente all’azione farmacologica, attivando il sistema istaminergico.41

Inoltre, è stato dimostrato che SG-2, così come T1AM, promuove la fosforilazione delle p-ERK1/2 e l’aumento dell’espressione del fattore di trascrizione c-fos: eventi associati al miglioramento delle funzioni cognitive sopra descritte.

La somministrazione di una dose pari a 1μM di SG-2 in linee cellulari di glioblastoma umano (U-87MG), caratterizzate da una sovraespressione di mTOR, ha dimostrato di promuovere il processo autofagico tramite l’inibizione della fosforilazione della proteina AKT; infatti questa proteina fosforilata provoca un aumento dell’attività di mTOR con conseguente inibizione.41

Sulla base delle considerazioni appena discusse i composti SG rappresentano una nuova classe di derivati sintetici in grado di mimare, se non incrementare, gli effetti determinati dalle tironamine. Inoltre data l’attività pleiotropica di questi derivati, potrebbero rappresentare un valido tool farmacologico nel trattamento di patologie neurodegenerative. Attualmente ulteriori studi sono stati intrapresi con l’obiettivo di migliorare le proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche di questi composti.

(21)

INTRODUZIONE ALLA PARTE

SPERIMENTALE

(22)

22

Il morbo di Alzheimer (AD) è una patologia neurodegenerativa caratterizzata dalla perdita progressiva e irreversibile delle funzioni cerebrali con conseguente alterazione della personalità e del comportamento. Ad oggi, questa complessa patologia multifattoriale rappresenta la causa più comune di demenza ed è responsabile di enormi sofferenze per gli individui, le famiglie e la società. Circa 47 milioni di persone nel mondo risultano affetti da AD e il numero è destinato a crescere drasticamente fino a superare i 100 milioni entro il 2050.

I soggetti affetti da Alzheimer presentano a livello cerebrale le placche amiloidi o senili, costituite da aggregati proteici del peptide beta-amiloide (Aβ) prodotto dal metabolismo della proteina APP (Amyloid Precursor Protein). La funzione di questa proteina non è ancora del tutto chiara, ma è noto che durante il ciclo di smaltimento dei suoi metaboliti porta alla formazione dei grovigli

neurofibrillari (ANF), fasci elicoidali appaiati costituiti dalla proteina tau (τ) iperfosforilata.3 La

proteina τ è un elemento fondamentale per la formazione dei microtubuli, importanti strutture costituenti il citoscheletro della cellula e che hanno come funzione principale l’organizzazione e il trasporto intracellulare.4 Questi aggregati anomali, quando non vengono processati correttamente,

tendono ad accumularsi in alcune aree cerebrali provocando un’iperattivazione della microglia. Si osserva pertanto l’instaurarsi di un severo stato di neuro-infiammazione cronica capace di indurre lesioni cerebrali fino ad evolvere in un quadro clinico di degenerazione neuronale e disfunzione sinaptica.

Diversi studi hanno dimostrato che alterazioni a carico di importanti pathways coinvolti nella regolazione e nella sopravvivenza cellulare hanno un ruolo chiave nello sviluppo di questa patologia. In particolare, alterazioni del processo autofagico sono state associate a diversi disturbi neurodegenerativi, tra cui l’AD. L'autofagia è un processo fisiologico che regola la degradazione del carico citosolico, comprese le proteine ripiegate erroneamente e gli organelli danneggiati, al fine di mantenere l'omeostasi cellulare. Il target chinasico è quello della rapamicina (mTOR), principale modulatore autofagico e regolato a sua volta dal pathway PI3K/AKT.5 Tale pathway risulta alterato

nelle malattie neurodegenerative; in particolare, nella demenza si ha una marcata up-regolazione di mTOR, che porta alla soppressione delle ATG (autophagy related genes), coinvolte nella formazione dell’autofagosoma.

Recenti evidenze hanno inoltre confermato l'esistenza di una stretta relazione tra le patologie metaboliche, tra cui l’obesità, e l'insorgenza di malattie neurodegenerative. Il tessuto adiposo è infatti un organo endocrino altamente attivo, capace di secernere importanti mediatori coinvolti nella regolazione del metabolismo e nei meccanismi infiammatori. I risultati di una recente meta-analisi, effettuata su 4 studi e più di 16.000 partecipanti, hanno indicato un rischio di demenza 1,4

(23)

23

volte maggiore nei soggetti obesi, evidenziando così una forte correlazione tra disfunzione metabolica e neurodegenerazione. In aggiunta, recenti studi hanno identificato nella promozione dello switch metabolico, ovvero il passaggio metabolico da consumo di glucosio a consumo di lipidi, un’interessante strategia per il trattamento di disturbi neurodegenerativi. Lo switch metabolico è infatti accompagnato da adattamenti cellulari e molecolari della rete neuronale volti a potenziare la funzionalità cerebrale e la resistenza a stress, danni e malattie. Le vie di trasduzione del segnale coinvolte nel passaggio del metabolismo lipidico a quello glucidico sono implicate nella crescita cellulare e nella neuro-plasticità. L’equilibrio tra i due metabolismi risulta quindi avere un ruolo di spicco nella modulazione dell’attività e dello sviluppo neuronale.

Date la multifattorialità e la complicata eziopatogenesi dei disturbi neurodegenerativi, l’identificazione di una valida strategia terapeutica capace di trattare efficacemente queste patologie risulta molto complicata e dispendiosa in termini di tempo e denaro. I farmaci presenti oggi in commercio e indicati per il trattamento di queste patologie non si sono infatti dimostrati efficaci nel curare la patologia, ma si limitano purtroppo ad attenuarne i sintomi. Inoltre, l’approccio one-drug-one-target, paradigma per molti anni nella ricerca farmaceutica, si è dimostrato spesso fallimentare nel produrre farmaci efficaci per malattie complesse come l’Alzheimer. In questo contesto, è evidente la necessità di sviluppare nuovi agenti terapeutici dotati di attività pleiotropica, capaci cioè di agire su più bersagli farmacologici coinvolti nella patologia (approccio multi-target).

Presso i laboratori dove ho svolto la mia tesi di laurea, era stata precedentemente sintetizzata una nuova classe di composti, chiamati SG, disegnati come analoghi sintetici della 3-iodotironamina (T1AM).

Tra le principali modificazioni strutturali apportate a T1AM per ottenere i composti SG ci sono:

 Sostituzione del ponte etereo tra i due anelli aromatici con un ponte metilenico

 Sostituzione dell’OH fenolico con un suo bioisostero (-NH2, -NHAc, etc)

 Sostituzione della catena laterale etilamminica con una catena ossietilamminica o ossietilcarbossilica

(24)

24

Figura 6: Composto T1AM ed SG-2

Tra i derivati sintetizzati, SG-2 si è rivelato un promettente hit-compound capace di imitare, e spesso incrementare, gli stessi effetti metabolici e neuro-protettivi indotti da T1AM. Nello specifico, SG-2 in seguito a somministrazione intraperitoneale ha indotto un significativo miglioramento delle capacità cognitive e mnemoniche in animali da laboratorio.41 L’analisi Western-blot di lisati di specifiche regioni cerebrali (ipotalamo, ippocampo e corteccia prefrontale), ottenuti da topi trattati con SG2 hanno inoltre mostrato un significativo aumento dei fattori

p-ERK1/2 e c-fos, entrambi coinvolti nella modulazione delle capacità mnemoniche e cognitive.41

Inoltre, in cellule U87-MG di glioblastoma umano, caratterizzate da una sovraespressione di mTOR e quindi da una marcata riduzione del flusso autofagico, trattati con T1AM e SG2 alla concentrazione 1µM è stato osservato, mediante microscopia confocale, un incremento nella formazione dei vacuoli autofagici. Successive analisi di Western-blot hanno confermato questo risultato e individuato nella modulazione nel pathway mTOR/Akt il processo coinvolto nella promozione autofagica indotta da SG-2. 41

(25)

25

Figura 7: Espressione di LC3 in cellule U87MG trattate con T1AM, SG1 e SG2

Infine, studi preliminari hanno dimostrato che SG-2 condivide con T1AM anche la capacità di riprogrammare il metabolismo energetico favorendo il consumo di lipidi rispetto al consumo di glucosio, sia in vivo che in vitro.

Su queste basi, data la capacità di SG-2 di interferire in più pathways coinvolti nel processo di neurodegenerazione, in questa tesi di laurea mi sono occupata della sintesi di SG-2 e di alcuni suoi analoghi strutturali, al fine di permettere nuovi approfondimenti biologici.

(26)

26

Schema di Sintesi

I prodotti finali 1 e 2 sono stati ottenuti seguendo la via sintetica riportata nello Schema 1.

Reagenti e condizioni:

(a): p-nitrobenzilbromuro, K2CO3, PdCl2, Acetone/H2O, t.a., 10 min a 130 °C MW ; (b): BBr3,

CH2Cl2, 0°C, 90'; (c): 2-bromoacetonitrile, DMF, Cs2CO3, t.a., 30'; (d): LiAlH4, AlCl3, THF,

riflusso, 12 h; e: anidride acetica, NaHCO3, t.a., 60';

La reazione di cross-coupling tra il p-nitrobenzilbromuro e l’acido

2-metil-4-metossibenzenboronico in presenza di PdCl2, come catalizzatore, e K2CO3 come base

(Suzuki-Miyaura cross-coupling) ha fornito il composto 5. La successiva reazione di demetilazione ha

portato all’ottenimento del fenolo 6 che è stato poi sottoposto a reazione di alchilazione con bromoacetonitrile fornendo il cianoderivato 7. La reazione di riduzione con LiAlH4/AlCl3 ha fornito

il prodotto amminico 1 che a seguito del trattamento con anidride acetica ha fornito il prodotto finale 2.

(27)

27

Il prodotto finale 3 è stato ottenuto seguendo la via sintetica riportata nello Schema 2.

Reagenti e condizioni:

(a): p-Nitrobenzilbromuro, K2CO3, PdCl2, Acetone/H2O, t.a., 72 h; (b): BBr3, CH2Cl2, 0°C, 90'; (c):

2-bromoacetonitrile, DMF, Cs2CO3, t.a., 30'; (d): HCl conc./H2O, riflusso per 4h; e: NH2-NH2,

riflusso per 24h.

La reazione di cross-coupling tra il p-benzilbromuro e l’acido 4-metossibenzenboronico ha fornito il composto difenilmetanico 8, il quale è stato demetilato utilizzando BBr3 fornendo il derivato

fenolico 9. Tale derivato è stato quindi sottoposto a reazione di alchilazione con bromoacetonitrile per fornire il cianoderivato 10 che è stato idrolizzato utilizzando una soluzione di HCl conc./H2O

per fornire l’acido carbossilico 11. Infine, la reazione di riduzione del gruppo nitro con l’utilizzo di idrazina ha portato al composto finale 3.

(28)

28

Il prodotto finale 4 è stato ottenuto seguendo la via sintetica riportata nello Schema 3.

Reagenti e condizioni:

(a): K2CO3/PdCl₂, acetone/H₂O t.a. 72h; (b): BBr3, CH2Cl2/ -10 °C 1h; (c): acido bromoacetico,

DMF/CS2CO3 t.a. 1h

.

La reazione di cross-coupling tra il benzilbromuro e l’acido boronico in presenza di PdCl2 come

catalizzatore e K2CO3 come base (Suzuki- Miyaura cross-coupling ha portato alla formazione del

composto 12. La successiva reazione di demetilazione ottenuta con l’uso di BBr3/CH2Cl2 ha

condotto al composto 13 che per trattamento con acido bromoacetico in presenza di DMF/CS2CO3

(29)
(30)

30

Materiali e metodi

La struttura dei composti è stata verificata per mezzo della spettrometria 1H-NMR. Degli spettri 1H -NMR sono stati riportati i particolari più significativi. Tutti i composti sintetizzati presentano dati spettrali in accordo con le strutture assegnate. Gli spettri di risonanza magnetica nucleare sono stati eseguiti con uno spettrometro Bruker TopSpin 3.2 400 MHz; le soluzioni sono circa al 5% in CDCl3, CD3OD. I chemical shift sono stati espressi in ppm (scala δ).

Le evaporazioni sono state eseguite in evaporatore rotante e le disidratazioni delle fasi organiche sono state eseguite usando Na2SO4. Le TLC analitiche sono state effettuate utilizzando lastre

MERCK di gel di silice (G60) con indicatore di fluorescenza 20 x 20.2 mm. Le macchie sono state evidenziate per mezzo di lampada UV (256nm). Per le cromatografie su colonna è stato usato gel di silice 70-230 mesh. Per la filtrazione su celite è stata usata celite® 521.

(31)

31

SCHEMA 1

Sintesi del composto 4-metossi-2-metil-1-(4-nitrobenzil)benzene (5)

Ad una soluzione dell’acido 4-metossi-2-metilbenzenboronico (400 mg, 2.42 mmol) in una miscela acetone/H2O (rapporto 9:1) e in ambiente saturo di azoto, viene aggiunto p-nitrobenzilbromuro (521

mg, 2.42 mmol), K2CO3 (831 mg, 6.014 mmol) ed una quantità catalitica di PdCl2. La soluzione

così ottenuta viene posta a reagire in reattore a microonde per 10 minuti a 130 °C. Al termine della reazione, il solvente è stato evaporato ed il composto estratto con CH2Cl2, e la fase organica è stata

anidrificata, filtrata ed evaporata, fornendo il grezzo 5 che è stato purificato mediante colonna cromatografica impiegando una miscela eluente costituita da EP/AcOEt (98:2).

Resa: 15.41%

1H NMR (CDCl

3): δ 2.17 (s, 3H, CH3); 3.80 (s, 3H, OCH3); 4.02 (s, 2H, CH2); 6.72

(dd, J = 2.7, 8.3 Hz, 1H, Ar); 6.76 (d, J = 2.7 Hz, 1H, Ar); 7.02 (d, J = 8.3 Hz, 1H, Ar); 7.25 (d, J = 8.8 Hz, 2H, Ar); 8.12 (d, J = 8.8 Hz, 2H, Ar) ppm.

(32)

32

SCHEMA 1

Sintesi del composto 3-metil-4-(4-nitrobenzil)fenolo (6)

Ad una soluzione di 4-metossi-2-metil-1-(4-nitrobenzil)benzene (91 mg, 0.373 mmol) in CH2Cl2, in

atmosfera satura di azoto e alla temperatura di -10 °C, è stato aggiunto BBr₃ (1.18 ml) goccia a goccia e la reazione è stata lasciata sotto agitazione per circa 2h.

Trascorso il periodo necessario, la reazione viene addizionata di acqua ed estratta in CH2Cl2. La

fase organica viene anidrificata, filtrata ed evaporata.

Resa: 99%

1H NMR (CDCl3): δ 2.16 (s, 3H, CH

3); 4.03 (s, 2H, CH2); 6.68 (dd, J = 2.4, 8.0 Hz, 1H, Ar); 6.71

(d, J = 2.4 Hz, 1H, Ar); 6.99 (d, J = 8.0 Hz, 1H, Ar); 7.27 (d, J = 8.4 Hz, 2H, Ar); 8.14 (d, J = 8.4 Hz, 2H, Ar) ppm.

(33)

33

SCHEMA 1:

Sintesi del composto 2-(3-metil-4-(4-nitrobenzil)fenossi)acetonitrile (7)

Una soluzione di 3-metil-4-(4-nitrobenzil)fenolo (91 mg, 0.3736 mmol) viene solubilizzata nella minima quantità di DMF anidra e viene aggiunto Cs2CO3 (617mg, 1.89 mmol) in contemporanea

con il BrCH2CN (0.03 ml, 0.3736 mmol). La reazione viene lasciata sotto agitazione magnetica per

circa 40 minuti. Trascorso il tempo opportuno il prodotto di reazione viene estratto con CH2Cl2, e

sono vengono effettuati un paio di lavaggi con H2O distillata. La fase organica è stata poi

anidrificata, filtrata ed evaporata fornendo il composto 7 che è stato sottoposto alla successiva reazione senza ulteriori purificazioni.

Resa: 99%

1H NMR (CDCl

3): δ 2.19 (s, 3H, CH3); 4.03 (s, 2H, CH2); 4.76 (s, 2H; CH2CN); 6.80 (dd, J = 2.8,

8.2 Hz, 1H, Ar); 6.83 (d, J = 2.8 Hz, 1H, Ar); 7.07 (d, J = 8.2 Hz, 1H, Ar); 7.24 (d, J = 8.8 Hz, 2H, Ar); 8.13 (d, J = 8.8 Hz, 2H, Ar) ppm

(34)

34

SCHEMA 1

Sintesi del derivato 4-(4-(2-aminoetossi)-2-metilbenzil)anilina (1)

In ambiente anidro, una soluzione di AlCl3 (952mg, 5.2335 moli) e LiAlH4 (7.15 mL) in THF viene

lasciata sotto agitazione per 5 minuti, trascorsi i quali viene aggiunto goccia a goccia una soluzione del composto 7 (0.5815 mmol, mg). La soluzione così ottenuta viene posta a reflusso alla temperatura di 66 °C per 12h. Trascorsi tale periodo, la reazione viene lasciata raffreddare fino a 0 °C, viene aggiunta H2O e acidificata fino a pH acido. La soluzione viene quindi estratta con Et2O

La fase acquosa viene poi alcalinizzata con KOH 2N fino a pH basico e addizionata di CH2Cl2.

L’emulsione così formata viene filtrata su celite, e la fase organica anidrificata, filtrata ed evaporata.

Resa: 59.11%

1H NMR (CDCl

3): δ 2.18 (s, 3H, CH3); 3.35 (t, J = 5.0 Hz, 2H, CH2NH2); 4.00 (s, 2H, CH2); 4.20

(t, J = 5.0 Hz, 2H, OCH2); 6.82 (dd, J = 2.6, 8.3 Hz, 1H, Ar); 6.75 (d,

J = 2.6 Hz, 1H, Ar); 6.72 (d, J = 8.3 Hz, 1H, Ar); 7.26-7.31 (m, 4H, Ar) ppm.

13C NMR (CD3OD): δ 158.32, 143.87, 139.32, 132.78, 132.22, 131.27, 129.71, 124.01, 117.86,

(35)

35

SCHEMA 1

Sintesi del composto N-(2-(4-(4-acetammidobenzil)-3-metilfenossi)etil)acetammide (2)

Una soluzione del composto 1 (41 mg, 0.3125 mmol) in NaHCO3 soluzione satura (0.22 ml) viene

addizionata di Ac2O (0.06 ml) elasciata per 3h sotto agitazione magnetica. Al termine del tempo

necessario, è stata eseguita un’estrazione con CH2Cl2 e la soluzione organica è stata anidrificata,

filtrata ed evaporata.

Il grezzo così ottenuto è stato purificato utilizzando mediante precipitazione in IprOH/Et2O.

Resa: 52.02%

1H NMR (CDCl

3): δ 1.95 (s, 3H, CH3); 2.09 (s, 3H, CH3CO); 2.16 (s, 3H, CH3CO); 3.53 (t, J=

5.4 Hz, 2H, CH2NH); 3.87 (s, 2H, CH2); 3.40 (t, J = 5.4 Hz, 2H, OCH2); 6.70 (dd, J = 2.2, 8.2 Hz, 1H, Ar); 6.74 (d, J = 2.3 Hz, 1H, Ar); 7.00 (d, J = 8.2 Hz, 1H, Ar); 7.02 (d, J = 8.0 Hz; 2H, Ar); 7.40 (d, J = 8.0 Hz; 2H, Ar) ppm.

13C NMR (CD

3OD): δ 173.60, 171.53,158.78, 139.01, 138.27, 137.66, 132.85, 131.94, 129.83,

(36)

36

SCHEMA 2

Sintesi del composto 1-metossi-4-(4nitrobensil)benzene (8)

Ad una soluzione dell’acido 4-metossi-2-metilbenzenboronico (250 mg, 1.66 mmol) in una miscela acetone/H2O (rapporto 9:1) e in ambiente saturo di azoto, viene aggiunto p-nitrobenzilbromuro (358

mg, 1.66 mmol), K2CO3 (1.7 g, 12.422 mmol) ed una quantità catalitica di PdCl2. La soluzione così

ottenuta viene posta a reagire in reattore a microonde per 10 minuti a 130 °C. Al termine della reazione, il solvente è stato evaporato ed il composto estratto con CH2Cl2, e la fase organica è stata

anidrificata, filtrata ed evaporata, fornendo il grezzo 5 che è stato purificato mediante colonna cromatografica impiegando una miscela eluente costituita da EP/AcOEt (98:2).

Resa: 33.83%

1H NMR (CDCl

3): 3.79 (s, 3H, CH3); 4.01 (s, 2H, CH2); 6.85 (d, J= 8.4 Hz, 2H, Ar); 7.08 (d, J=

(37)

37

SCHEMA 2

Sintesi del composto 4-(4-nitrobenzil)fenolo (9)

Ad una soluzione di 1-metossi-4-(4nitrobensil)benzene (136 mg, 0.5606 mmol) in CH2Cl2, in

atmosfera satura di azoto e alla temperatura di -10 °C, è stato aggiunto BBr3 (1.90 ml) goccia a

goccia e la reazione è stata lasciata sotto agitazione per circa 2h.

Trascorso il periodo necessario, la reazione viene addizionata di acqua ed estratta in CH2Cl2. La

fase organica viene anidrificata, filtrata ed evaporata

Resa: 90.51%

1H NMR (CDCl3): δ 4.00 (s, 2H, CH2); 6.81 (d, J = 8.4 Hz, 2H, Ar); 7.03 (d, J = 8.4 Hz, 2H, Ar);

(38)

38

SCHEMA 2:

Sintesi del composto 2-(4-(4-nitrobenzil)fenossi)acetonitrile (10)

Una soluzione di 4-(4-nitrobenzil)fenolo (116 mg, 0.5074 mmol) viene solubilizzata nella minima quantità di DMF anidra e viene aggiunto Cs2CO3 (0.837 mg, 2.57 mmol) in contemporanea con il

BrCH2CN (0.04 ml, 0.5074 mmol). La reazione viene lasciata sotto agitazione magnetica per circa

40 minuti. Trascorso il tempo opportuno il prodotto di reazione viene estratto con CH2Cl2, e sono

vengono effettuati un paio di lavaggi con H2O distillata. La fase organica è stata poi anidrificata,

filtrata ed evaporata fornendo il composto 7 che è stato sottoposto alla successiva reazione senza ulteriori purificazioni.

Resa: 69.38%

1H NMR (CDCl3): δ 4.05 (s, 2H, CH2); 4.76 (s, 2H, CH2CN); 6.94 (d, J = 8.8 Hz, 2H, Ar); 7.15

(39)

39

SCHEMA 2:

Sintesi del composto acido 2-(4-(4-nitrobenzil)fenossi)acetico (11)

Una soluzione del derivato 10 (94 mg, 0.3520 mmol) in H2O (1 mL) e HCl concentrato (4mL), è

stata posta sotto agitazione a riflusso per 4h a 100 °C. Al termine del tempo necessario, la soluzione è stata estratta con CH2Cl2. La fase organica è stata anidrificata, filtrata ed evaporata.

Resa: 63.57%

1H NMR (CDCl3): δ 4.02 (s, 2H, CH2), 4.66 (s,2H, CH2), 6.88 (d, 2H, J = 8.4 Hz, Ar), 7.11 (d,

(40)

40

SCHEMA 2

Sintesi del composto acido 2-(4-(4-amminobenzil)fenossi)acetico (3)

Ad una soluzione del derivato 11 (64 mg, 0.2237 mmol) in MeOH, in ambiente anidro, è stato aggiunto carbone (11.73 mg, 0.2237 mmol) e FeCl3 in quantità catalitica. La reazione è stata posta

sotto agitazione a riflusso ad una temperatura di 70 °C per 5 minuti, dopo i quali è stata aggiunta NH2-NH2 idratata (0.118 ml, 3.8029 mmol) ed è stata lasciata per una notte a riflusso. Il composto

ottenuto è stato filtrato su celite ed il solvente evaporato, per ottenere il composto 3 pulito.

Resa: 70%

1H NMR (CDCl

3): δ 3.82 (s, 2H, CH2), 4.54 (s, 2H, CH2), 6.62 (d, 2H, J = 8.4 Hz, Ar), 6.81 (d,

2H, J =8.4 Hz, Ar), 6.95 (d, 2H, J = 8.4 Hz, Ar), 7.11 (d, 2H, J = 8.4 Hz Ar) ppm.

13C NMR (CDCl

3): δ 168.76, 155.34, 144.52, 135.92, 131.22, 130.04, 129.65, 115.34, 114.49,

(41)

41

SCHEMA 3:

Sintesi del composto N-(2-isopropil-4-(4-metossi-2,6-dimetilbenzil)fenil)acetammide (12)

In una fiala vengono aggiunti i composti N-(4-(bromometil)-2-isopropilfenil)acetamide (400 mg, 1.481 mmol), K2CO3 (511 mg, 3.7 mmol) e acido boronico (266 mg, 1.48 mmol) e si solubilizza in

acetone e qualche goccia d’acqua. Infine, sotto corrente di azoto è stato aggiunto il PdCl2 in quantità

catalitiche. La miscela si lascia così sotto forte agitazione per 72h a temperatura ambiente. Al termine del tempo prestabilito il solvente è stato evaporato ed è stata effettuata una estrazione in CH2Cl2. La soluzione organica è stata anidrificata, filtrata ed evaporata per fornire il grezzo 12 che

è stato purificato su mediante cromatografia flash (CHCl3/AcOEt 9:1)

Resa: 60%

1H NMR (CDCl

3):ẟ 1.18 (d, J = 6.8 Hz, 6H, CH3); 2.17 (s, 3H, CH3CO); 2.21 (s, 6H, CH3); 2.95

– 3.02 (m, 1H, CH); 3.79 (s, 3H, OCH3); 3.95 (s, 2H, CH2); 6.62 (s, 2H, Ar);6.74 (dd, J = 1.6, 8.2 Hz, 1H, Ar); 6.96 (brs, 1H, NH); 6.99 (d, J = 1.6 Hz, 1H, Ar); 7.37(d, J = 8.2 Hz, 1H, Ar) ppm.

(42)

42

SCHEMA 3

Sintesi del composto N-(4-(4-idrossi-2,6 dimetilbenzil)-2-isopropilfenil)acetammide (13)

Ad una soluzione del composto 12 (141 mg, 0.433 mmol) in CH2Cl2, portata alla temperatura di -10

°C, è stato aggiunto BBr3 (1,40 ml, mmol) goccia a goccia. La reazione è rimasta sotto agitazione

per 1h. Trascorso tale periodo, è stata aggiunta H2O per bloccare la reazione ed è stata effettuata

un’estrazione con CH2Cl2. La soluzione organica è stata anidrificata, filtrata ed evaporata per

fornire il composto 13 che è stato utilizzato per la successiva reazione senza ulteriori purificazioni.

Resa: 82.31%

1H NMR (CDCl3):ẟ 1.12 (d, J = 6.8 Hz, 6H, CH3); 2.12 (s, 3H, CH3CO); 2.14 (s, 6H, CH3);

3.05-3.08 (m, 1H, CH); 3.95 (s, 2H, CH2); 6.51 (s, 2H, Ar); 6.77 (dd, J = 1.8,8.0 Hz, 1H, Ar); 7.01 (d, J = 1.8Hz, 1H, Ar); 7.03 (d, J = 8.0 Hz, 1H, Ar) ppm.

(43)

43

SCHEMA 3

Sintesi del composto acido N-(4-(4-acetammido-3-isopropilbenzil)-3,5 dimetilfenossi)acetico (4)

Ad una soluzione del composto 13 in DMF è stata aggiunto Cs₂CO₃ (0.588 mg, 1,807 mmol) e BrCH₂COOH (49.44 mg,0.356 mmol). La miscela è lasciata sotto agitazione magnetica per 1h. Trascorso il tempo necessario, la soluzione viene diluita con acqua ed estratta in CH2Cl2. La fase

acquosa è viene quindi acidificata con HCl 10% ed estratta con CH2Cl2. La soluzione organica è

stata anidrificata, filtrata ed evaporata fornendo il composto 4 che è stato purificato mediante triturazione in Et2O.

Resa: 58.80%

1H NMR (CDCl3):δ 1.12 (d, J = 6.8 Hz, 6H, CH3); 2.12 (s, 3H, CH3CO); 2.18 (s, 6H, CH3); 3.05

– 3.08 (m, 1H, CH); 3.98 (s, 2H, CH2); 4.35 (s, 2H, CH2); 6.67 (s, 2H, Ar); 6.76 (dd, J = 2.0, 8.0 Hz, 1H, Ar); 7.00-7.08 (m, 2H, Ar) ppm.

13C-NMR (CD3OD-d4): δ 180.44 (COOH); 172.91 (CH3CO); {158.17, 145.59,

140.71, 139.23, 132.96, 130.42, 128.55, 126.41, 126.32, 115.34} Ar;

68.49 (OCH2); 34.84 (CH2); 29.06 (CH); 24.18 (CHCH3); 23.70 (CH3); 22.81 (CH3CO;); 20.52 (CH3)

(44)

44

Bibliografia

(1) Selkoe, D. J. Alzheimer’s Disease: Genes, Proteins, and Therapy. Physiol. Rev. 2001, 81 (2), 741–766.

(2) Gehrmann, J.; Matsumoto, Y.; Kreutzberg, G. W. Microglia: Intrinsic Immuneffector Cell of the Brain. Brain Res. Rev. 1995, 20 (3), 269–287.

(3) Holtzman, D. M. Role of ApoE/Aβ Interactions in the Pathogenesis of Alzheimer’s Disease and Cerebral Amyloid Angiopathy. J. Mol. Neurosci. 2001, 17 (2), 147–155.

(4) Towers, C. G.; Thorburn, A. Therapeutic Targeting of Autophagy. EBioMedicine 2016, 14, 15–23.

(5) Sarsour, E. H.; Kumar, M. G.; Kalen, A. L.; Goswami, M.; Buettner, G. R.; Goswami, P. C. MnSOD Activity Regulates Hydroxytyrosol-Induced Extension of Chronological Lifespan. Age

2012, 34 (1), 95–109.

(6) Kaushik, S.; Singh, R.; Cuervo, A. M. Autophagic Pathways and Metabolic Stress. Diabetes

Obes. Metab. 2010, 12, 4–14.

(7) Aredia, F.; Guamán Ortiz, L. M.; Giansanti, V.; Scovassi, A. I. Autophagy and Cancer. Cells

2012, 1 (3), 520–534.

(8) Gianchecchi, E.; Delfino, D. V.; Fierabracci, A. Recent Insights on the Putative Role of Autophagy in Autoimmune Diseases. Autoimmun. Rev. 2014, 13 (3), 231–241.

(9) Blommaart, E. F.; Luiken, J. J.; Blommaart, P. J.; van Woerkom, G. M.; Meijer, A. J. Phosphorylation of Ribosomal Protein S6 Is Inhibitory for Autophagy in Isolated Rat Hepatocytes.

J. Biol. Chem. 1995, 270 (5), 2320–2326.

(10) Codogno, P.; Meijer, A. Autophagy and Signaling: Their Role in Cell Survival and Cell Death. Cell Death Differ. 2005, 12 (2), 1509.

(11) Laplante, M.; Sabatini, D. M. MTOR Signaling at a Glance. J. Cell Sci. 2009, 122 (20), 3589–3594.

(12) Guo, F.; Liu, X.; Cai, H.; Le, W. Autophagy in Neurodegenerative Diseases: Pathogenesis and Therapy. Brain Pathol. 2018, 28 (1), 3–13.

(13) Mattson, M. P.; Moehl, K.; Ghena, N.; Schmaedick, M.; Cheng, A. Intermittent Metabolic Switching, Neuroplasticity and Brain Health. Nat. Rev. Neurosci. 2018, 19 (2), 63.

(14) Mattson, M. P. Energy Intake and Exercise as Determinants of Brain Health and Vulnerability to Injury and Disease. Cell Metab. 2012, 16 (6), 706–722.

(15) Baier, P. C.; May, U.; Scheller, J.; Rose-John, S.; Schiffelholz, T. Impaired Hippocampus-Dependent and-Independent Learning in IL-6 Deficient Mice. Behav. Brain Res. 2009, 200 (1), 192–196.

(16) Pedersen, B. K.; Febbraio, M. A. Muscles, Exercise and Obesity: Skeletal Muscle as a Secretory Organ. Nat. Rev. Endocrinol. 2012, 8 (8), 457.

Riferimenti

Documenti correlati

I Paesi dell’Unione Europea possono essere considerati dipendenti dalle esportazioni di gas naturale dalla Federazione Russa, in quanto principale fornitore di questa

The Υ(1S) production at forward rapidity presents good agreement with models including energy loss and nuclear modification of PDFs, while at backward rapidity some tension is

In particolare sono stati condotti una serie di studi clinici in pazienti con diagnosi di carcinoma della mammella metastatica dove il trattamento

Conoscere le applicazioni della citogenetica convenzionale e molecolare alla diagnostica e gestione delle malattie del sangue.. Conoscere le applicazioni dei test molecolari

Lo studente deve essere in possesso dell’eziopatogenesi, del trattamento e delle complicanze delle più importanti patologie. Lo studente deve acquisire i principi

Santolli Stefania (sede di Alessandria) Zulberti Bibiana (sede di Biella) Vecchio Consuelo (sede di Novara) Giorcelli Laura (sede di Tortona) Bussi Isabella (sede

Santolli Stefania (sede di Alessandria) Zulberti Bibiana (sede di Biella) Vecchio Consuelo (sede di Novara) Freggiaro Enrica (sede di Tortona) Bussi Isabella (sede

Le forme più frequenti, in tal modo rilevate, sono state l’anemia normocitica, la leucocitosi neutrofila e, staccate in ordine di rilevanza, le alterazioni della conta