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Contaminazioni culturali e letterarie nella Hrólfs saga kraka. La traduzione del testo inglese di Jesse L. Byock

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Academic year: 2021

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2 INTRODUZIONE

«The legendary sagas are a curious mixture of the brutal and the romantic, the adventurous, the supernatural and the chival-rous, as often as not depicting supposedly ancient northern kings transported to a high medieval chivalric setting» (Á. Jakobsson 2003: 173)

Le contaminazioni riferite dal passo in epigrafe di Ármann Jakobsson risultano evidenti negli oltre cinquanta manoscritti che a partire dal sec. XVII trasmettono la Hrólfs saga kraka [= HSK], una delle “Saghe del tempo antico” (fornaldarsögur) più conosciute. Nel testo norreno, queste molteplici ibridazioni esibiscono un’ampia gamma di relazio-ni. Occorre innanzitutto menzionare la presenza di materiale della tradizione eroica germanica, che si ricollega all’Edda poetica (sec. XIII), all’Edda (sec. XIII) di Snorri Sturluson e ad altre fonti germaniche quali Beowulf (secc. VIII-XI) e Widsith (sec. X). Il complesso rapporto tra eventi narrati, periodo di composizione e successiva trasmissio-ne manoscritta dell’opera consente inoltre di far rientrare in quest’ambito anche il note-vole tessuto culturale e leggendario che esiste intorno alla figura di re Hrólfr Kraki e che include i Gesta Danorum (sec. XIII) di Saxo Grammaticus, Ynglinga saga (sec. XIII) e Óláfs saga ins helga (sec. XIII) di Snorri, oltre alla sua già citata Edda, i Rerum Dani-carum Fragmenta (sec. XVI) di Arngrímur Jónsson e le Bjarkarímur (sec. XV?). Di conseguenza risulta difficoltoso avere piena comprensione del grado di interdipendenza fra tali testi, benché sia evidente una loro connessione.

Peculiare del sottogenere delle fornaldarsögur, ma ravvisabile in una qualche misura anche in altre opere collegate alla saga, risulta l’impiego del Soprannaturale e del Fanta-stico. In questa pur imprecisa distinzione si dimostra cruciale prendere atto della diversa percezione che gli Islandesi del Medioevo esprimevano riguardo ciò che consideravano esistente o quantomeno possibile e ciò che non lo era, in quanto parte del mondo imma-ginario. Se da un lato risulta necessario tralasciare le moderne concezioni, inevitabil-mente condizionate dal trascorrere dei secoli, dall’altro occorre tener presente la distan-za intercorrente fra il periodo degli eventi narrati ed epoca di composizione della saga, soprattutto quando si analizza l’elemento magico: la presunta visione della magia in epoca precristiana (periodo narrato nella HSK) recepisce infatti la posizione dottrinaria esibita da tardi testi cristiani e ciò che emerge riguarda quindi la percezione medioevale di pratiche esecrabili – siano esse antiche o coeve. Tale visione non è esente da stereoti-pi narrativi (ad es. l’equiparazione dei Sami con la stregoneria) e da influenze di na- tura fiabesca.

A complicare il quadro finora descritto si aggiunge l’introduzione delle “Saghe dei cavalieri” (riddarasögur) a partire dal sec. XIII. Tale sottogenere di saga si sviluppa dapprima sotto forma di traduzioni norrene (o più probabilmente adattamenti) di roman-zi cavallereschi importati dalla Francia e in seguito a livello di versioni locali largamen-te influenzalargamen-te dalle prime produzioni. Le riddarasögur originali in particolare esibisco-no numerose affinità con le fornaldarsögur e esibisco-non casualmente fiesibisco-no agli ultimi decenni del sec. XX i due generi sono stati raggruppati sotto varie etichette volte a evidenziare

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in termini negativi la commistione di elementi cortesi e fantastici presente in tali opere. A partire dagli anni ’90 del secolo scorso, una serie di studi ha potuto ‘riabilitare’ in chiave positiva i due tipi di saga, cogliendone finalmente la complessità e la ricchezza dei riferimenti intertestuali e culturali. In tale contesto è interessante rilevarne la reci-proca influenza, per la quale Bampi (2014: 100) utilizza il termine cross-fertilization: i motivi cortesi presenti nella HSK – e più in generale nelle fornaldarsögur – sono debi-tori delle riddarasögur tradotte, tanto che queste ultime hanno innestato nel primo gene-re lo sviluppo di un sottotipo più ‘cavallegene-resco’, mentgene-re le sögur del tempo antico paio-no aver contribuito alla creazione delle originali Saghe dei cavalieri, ad esempio per la presenza di figure come i tröll, i berserkir o altri elementi soprannaturali e fantastici.

Subire la forte influenza di un gruppo di testi non significa tuttavia condividerne e ri-proporne in toto l’ideologia di fondo, come paiono dimostrare taluni studiosi propensi a vedere riddarasögur originali e fornaldarsögur come trasgressioni – talvolta comiche – dei romanzi cavallereschi continentali: in tale contesto la figura della meykóngr (“fan-ciulla-re”) presente nei due sottogeneri di saga e in particolar modo nella HSK (dove ta-le immagine viene ulteriormente sovvertita) ne risulterebbe l’embta-lema. Nella saga presa in esame tale motivo non viene dunque meramente riproposto ma si arricchisce a sua volta di altri apporti culturali e letterari, andando in parte a modificare il precedente ma-teriale della tradizione germanica che funge in un certo qual modo da punto di partenza. Nell’analizzare le varie ibridazioni culturali e letterarie riscontrabili all’interno della HSK la presente tesi mira a proporre la traduzione italiana della versione inglese di Jesse L. Byock1 (The Saga of King Hrolf Kraki, 1998), pur rimanendo in dialogo con

l’origi-nario testo norreno della saga.

Il primo capitolo ha lo scopo di introdurre i principali aspetti che riguardano le saghe nel complesso, per poi concentrarsi sulle fornaldarsögur, genere al quale appartiene la HSK, che qui viene presentata a fianco di testi della tradizione germanica che menzio-nano o alludono in qualche modo al leggendario re Hrólfr. Un breve riferimento riguar-derà inoltre la complessa vicenda manoscritta che connota la saga norrena, la cui com-posizione risale probabilmente al tardo Medioevo.

Il secondo capitolo si apre con un esame del complicato rapporto tra realtà e finzione nelle fornaldarsögur e in particolare nella HSK, mostrando che questi due aspetti, appa-rentemente visti in contrapposizione agli occhi moderni, erano in realtà percepiti in mo-do diverso sia dagli ‘autori’ medioevali che dal loro pubblico. Ciò risulta non privo di interesse, poiché riguarda un genere, come quello delle Saghe del tempo antico, a lungo ritenuto dagli studiosi esclusivamente finzionale. Tale analisi si rivela inoltre utile a comprendere come poter interpretare le restanti porzioni della tesi. Partendo da una bre-ve contestualizzazione delle riddarasögur, il capitolo prosegue con la discussione dei vari rapporti fra questo genere e le fornaldarsögur, per poi concentrarsi sull’analisi de-gli elementi cortesi – vale a dire ciò che si deve all’influenza delle Saghe dei cavalieri – che risultano presenti nella HSK, fornendo una comparazione con le opere

precedente-1 Le sezioni 1 e 3 (capp. 1-4, 14-16), meno significative, sono state omesse dalla traduzione senza

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mente introdotte. In questo senso particolarmente interessante si rivela lo studio del mo-tivo della meykóngr.

Il terzo capitolo riguarda un altro tipo di contaminazioni, più propriamente insite nel-le fornaldarsögur. Dopo aver marcato l’importanza del Soprannaturanel-le e del Fantastico e la funzione della magia in quest’ultimo genere, viene analizzata la figura di uno dei più coraggiosi campioni di re Hrólfr, ossia Böðvarr Bjarki. Dapprima vengono prese in considerazione le presunte connessioni con Beowulf, protagonista dell’omonimo poema antico inglese, e in seguito dall’esame dei principali aspetti della vita di Böðvarr vengo-no portati alla luce alcuni tratti fiabeschi e talune correlazioni con la limitrofa cultura sami. Il capitolo si conclude con l’analisi dei vari esseri soprannaturali e fantastici af-frontati da re Hrólfr e dai suoi campioni nel corso del racconto. Tale approfondimento da un lato si rivela utile per rendere conto della complessità delle figure magiche rap-presentate nella saga – tutto sommato dei veri e propri ibridi in sé – mentre dall’altro funge da ausilio per la comprensione del testo della saga presentato nella versio- ne italiana.

Il quarto capitolo è incentrato sull’analisi e sul commento della proposta di traduzio-ne. Partendo da alcune considerazioni concernenti la traduzione di saghe e le più oppor-tune strategie traduttorie che fanno parte dei Translation Studies, viene analizzata la versione di J. L. Byock in rapporto al testo norreno di partenza per esaminare successi-vamente gli aspetti principali emersi nella traduzione dell’opera inglese, mettendo so-prattutto in evidenza il trattamento di elementi propri della cultura scandinava soggia-cente: si tratta di nomi che in qualche modo vengono attenuati o non restituiti in toto nel testo inglese di Byock ma che in un certo senso riescono a riaffiorare nella versione qui proposta.

Infine dopo aver delineato le conclusioni emerse dall’analisi dei principali aspetti della HSK e dal lavoro di traduzione, viene presentata la proposta italiana della saga.

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