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Academic year: 2021

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Il Ricœur politico: non solo Macron

di Paolo Furia

1. Introduzione

C’è da scommettere che l’elezione di Emmanuel Macron, ex dot-torando di François Dosse e da questi suggerito a Paul Ricœur come correttore di bozze del suo La Mémoire, l’Histoire et l’Oubli (2002), a Presidente della République francese sia stata un colpo di fortuna per la fama del celebre filosofo presso il grande pubblico europeo. Ma una cosa è che, grazie al caso, un nome raggiunga maggior po-polarità; altra cosa è che con essa si verifichi maggior comprensione diffusa del suo pensiero. Al contrario, quanto più il nome di Ricœur viene reso noto al grande pubblico, per il tramite della sua affiliazio-ne a quello del ben più popolare Macron, tanto più alto è il rischio di fraintendere il pensiero ricœuriano o di sviluppare verso di esso atteggiamenti preconcetti, ora di tipo apologetico ora di tipo pole-mico, a seconda del favore o della diffidenza con le quali si guarda alla figura del Presidente francese.

Il proposito del presente saggio consiste nel tentativo di restituire non già una completa ricostruzione del pensiero politico ricœuriano, ciò che non è alla portata della nostra ambizione, bensì perlomeno la sua complessità e il suo potenziale, in vista di ulteriori confronti sul terreno della filosofia politica, di quella morale e di quella sociale. Il primo paragrafo è dedicato alla ricostruzione delle ricezioni prevalenti dell’opera del filosofo francese, dando conto della tradizionale sot-tovalutazione per le categorie politiche in essa sviluppate, ma anche del crescente interesse che recentemente sta verso di esse maturando. Nel secondo paragrafo viene presentata la tesi filosofica principale di Ricœur, che consiste nell’affermazione del «tutto etico-politico», o, se si preferisce, nella ricostruzione del legame di senso che unisce la filosofia politica e l’interrogativo sulla libertà. Il terzo paragrafo mostra infine le ragioni della preferenza di Ricœur per la democrazia, nel quadro di un ripensamento della filosofia kantiana.

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2. Il Ricoeur politico: una lenta scoperta

Contribuisce ad una sottovalutazione del pensiero etico-politico di Ricœur il tipo di ricezione prevalente dell’opera del filosofo. Vi sono sfumature diverse a seconda del contesto geografico di ricezione e di sensibilità generazionale degli interpreti. Si deve però rimarcare la prevalenza, nella storia delle ricezioni e interpretazioni dell’opera e del pensiero ricœuriano, di una comprensione strettamente filosofica di Ricœur quale esponente, accanto a Heidegger e a Gadamer, dell’er-meneutica filosofica contemporanea. Di questa corrente di pensiero, Ricœur rappresenta l’espressione meno heideggeriana e più in linea con il presupposto fenomenologico dell’ermeneutica filosofica stessa. A questo riguardo è Ricœur stesso a fornire la precisa collocazione del suo pensiero: «Vorrei caratterizzare la tradizione filosofica alla quale appartengo con tre elementi: è una tradizione posta nel solco della filosofia riflessiva; resta nella prospettiva della fenomenologia husser-liana; vuol essere una variante ermeneutica di questa fenomenologia»1. L’auto-collocazione proposta dal filosofo indvidua già il quadro entro cui sono ricondotti i suoi molteplici interessi nel tempo. Ricœur si è dedicato per decenni all’edificazione di un’ermeneutica riflessiva di stampo fenomenologico, attraverso il commento di classici come Aristotele, Spinoza, Kant, Hegel, Marx, Nietzsche, Husserl. Le più diverse direzioni di ricerca del filosofo, dall’epistemologia delle scienze sociali alla performatività del linguaggio, dall’esperienza psicoanalitica alla narratologia, dalla bioetica alla pedagogia, dalla possibilità della fede ai rapporti tra mito, immaginazione e simbolo, restano debitrici di uno stile di indagine di tipo fenomeologico-ermeneutico. In questa omogeneità di stile e approccio, la dispersività e l’eterogeneità degli oggetti della riflessione ricœuriana ritrova un’unità metodologica.

Le principali ricezioni filosofiche dell’opera di Ricœur sono orien-tate dal tentativo di tracciare un bilancio sulle novità da essa im-presse all’ermeneutica, alla fenomenologia e alla filosofia riflessiva in generale. Ça va sans dire, questo genere di interpretazioni sono le più diffuse tra gli storici della filosofia, tra i fenomenologi e tra gli espo-nenti dell’ermeneutica filosofica. Non potendo qui affrontare la com-plessa e ormai stratificata ricezione filosofica del discorso ricœuriano, ci limiteremo a richiamare alcune opere decisive in questo senso. Uno dei primi autori ad aver colto la portata teoretica del pensiero ricœuriano è stato il filosofo della tecnica Don Ihde2, con un lavoro consacrato al peculiare nesso di fenomenologia ed ermeneutica. La 1 P. Ricœur, Du texte à l’action. Essais d’herméneutique, 1986, trad. it. Dal testo all’azione. Saggi di Ermeneutica, Milano, Jaca Book, 1989, p. 24.

2 Cfr. D. Ihde, Hermeneutics Phenomenology. The Philosophy of Paul Ricoeur, Evanston, Northwestern University Press, 1971.

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filosofia di Ricœur viene annoverata tra le «eresie» fenomenologiche (espressione peraltro mutuata da Ricœur stesso nei confronti dello sviluppo francese della fenomenologia3) dal filosofo Jean Griesch4, che così la accosta ad esperienze di pensiero sotto questo aspetto simili, come quelle di Michel Henry, Emmanuel Lévinas e Jean-Luc Marion. Il tema dell’eredità cartesiana e cogito nel pensiero ricœu-riano caratterizza l’opera degli interpreti ricœuriani, potremmo dire, classici: i veri e propri must per coloro che si approcciano al pensie-ro del maestpensie-ro, quali Domenico Jervolino5 e Olivier Abel6..

Nel V Volume della Storia del pensiero politico e filosofico diretta da Ludovico Geymonat (pubblicato postumo nel 1996) Carlo Sini include Ricœur tra i filosofi che più hanno contribuito al rinnovamento della tradizione fenomenologica nella Francia del XX secolo. Sini afferma che il pensiero del filosofo francese «si caratterizza anzitutto come una fenomenologia del senso che prende in esame più la molteplicità dei fenomeni espressivi che non il loro nucleo teoretico-conoscitivo, come accadeva in Husserl»7. Sini mostra in cosa consista l’eresia fenomeno-logica di Ricœur. Una fenomenologia che si caratterizzi meno come scienza del passaggio dall’esperienza al giudizio e più come indagine sul senso differenziale, soggettivo e intersoggettivo, delle molte espe-rienze che gli uomini vivono, è chiamata a trapassare in un’antropolo-gia filosofica che cerca incessantemente il proprio filo rosso nella plu-ralità di esperienze dell’umano. Emerge così un primo senso della di-mensione politica nel pensiero di Ricœur: come una delle sfere espres-sive dell’umano. C’è da dire che questo primo senso del politico in Ricœur è stato colto dalla più parte dei suoi interpreti: basti pensare al giusto richiamo di Jervolino nei confronti della vocazione pratica della filosofia di Ricœur, risolutamente affermata sin dall’opera del 19848.

L’aspirazione dell’opera ricœuriana a spaziare nei più disparati campi del «mondo della vita» si scontra tuttavia con la differenzia-zione disciplinare del sapere. L’ambidifferenzia-zione di un’antropologia filoso-fica di matrice fenomenologica a tracciare il filo rosso dell’umano a partire dai diversi terreni della sua espressione non può prescindere dal fatto che il mondo della vita non è un terreno vergine in attesa del salvifico intervento della riflessione filosofica. L’enorme quantità 3 Cfr. su questo specifico punto C. Tarditi, Introduzione alla fenomenologia francese. Temi e percorsi, Trento, Tangram Edizioni Scientifiche, 2011.

4 Cfr. J. Greisch, Le cogito herméneutique. L’herméneutique philosophique et l’héritage cartésien, Paris, Vrin, 2000.

5 Cfr. D. Jervolino, Il cogito e l’ermeneutica: la questione del soggetto in Ricoeur, Napoli, Procaccini, 19932 (con prefazione aggiornata rispetto alla prima edizione del 1984).

6 Cfr. O. Abel, Paul Ricœur, la promesse et la règle, Paris, Michalon, 1996.

7 C. Sini, I nuovi scenari filosofici, in Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. 5, Il Novecento, a cura di L. Geymonat, Milano, Garzanti, 1986, p. 57.

8 Cfr. D. Jervolino, Il cogito e l’ermeneutica: la questione del soggetto in Ricoeur, cit., ma anche Id., L’amore difficile, Roma, Studium, 1995.

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di scritti dedicati da Ricœur all’epistemologia delle scienze storiche e sociali9 e al rapporto storico scienza sociale e filosofia è sintomatica della consapevolezza del filosofo sul tema10. L’attitudine di Ricœur a confrontarsi con psicologi, sociologi, linguisti, antropologi, pedago-gisti, politologi, semiotici, di diverse scuole teoriche, ha dato luogo a specifiche ricezioni della sua opera. Esse si devono a interpreti ricœuriani interessati specificatamente al nesso di filosofia e scienze sociali (esemplare in questo senso è il caso del filosofo dell’EHESS Johann Michel11), ma anche a studiosi non filosofi che si sono im-battuti nelle teorie e nei confronti che Ricœur ha realizzato con la loro disciplina di riferimento. Così, si può a buon diritto parlare di un Ricœur degli antropologi culturali12, dei teorici del linguaggio13 e della narratività14, degli psicoanalisti15, dei sociologi16, dei

pedagogi-9 L’attenzione del filosofo francese alle questioni di «metodo» sono valse alla sua ermeneutica la qualifica di «metodica» (cfr. ad esempio Ferdinando Menga: «il filosofo francese propone un itinerario della comprensione che egli stesso chiama “via lunga” e che, a differenza delle prospettive di Heidegger e Gadamer, accetta la sfida di un percorso di comprensione che si misura con i vari momenti esplicativi caratteristici delle scienze dell’uomo. In questi termini, l’ermeneutica “metodica” di Paul Ricoeur assume e valorizza i diversi metodi delle scienze umane», F. Menga, Filosofia del soggetto e mediazione interpretativa: sulla fenomenologia

ermeneutica di Paul Ricoeur, in «Etica & Politica /Ethics & Politics», 2, 2009, p. 335). 10 Cfr. soprattutto i testi di Dal testo all’azione (cit.) e in particolare Spiegare e comprendere (1977). Sulla ricchezza di prospettive aperte dalle scienze sociali per l’ermeneutica filosofica si è concentrato il dibattito degli anni ’70 tra Ricœur e Gadamer. Cfr. Ermeneutica e critica delle

ideologie (1973), confluito in Dal testo all’azione.

11 Michel ha dedicato a Ricœur la monografia Paul Ricœur: une philosophie de l’agir humain, Paris, Editions du Cerf, 2006. Qui viene individuata la categoria dell’azione come ricapitolativa delle svariate sfere nelle quali si deve analiticamente frazionare l’antropologia filosofica. Più recentemente, Michel si è impegnato a studiare i rapporti tra Ricœur e i pensatori post-strutturalisti francesi che hanno stabilito una modalità specifica di relazione tra filosofia e scienze sociali (cfr. J. Michel, Ricoeur et ses contemporains. Bourdieu, Derrida, Deleuze, Foucault,

Castoriadis, Paris, Presses Universitaires de France, 2013).

12 Sono stati commentati in particolare i rapporti difficili tra la posizione fenomenologica di Ricœur e lo strutturalismo di Lévi-Strauss. L’antropologia interpretativa di Clifford Geertz ha tra i suoi principali ispiratori proprio il filosofo francese (cfr. J. Errington, On Not Doing

Systems, in Interpreting Clifford Geertz, a cura di J. C. Alexander, P. Smith, M. Norton, New

York (US), Palgrave Macmillan 2011, pp. 33-41). L’antropologo Francesco Remotti assume invece una posizione critica, muovendo da presupposti post-strutturalisti radicali, nei confronti della teoria dell’identità di Ricœur in L’ossessione identitaria, Roma-Bari, Laterza 2017.

13 La teoria della metafora di Ricœur viene normalmente inclusa negli studi di riferimento sull’argomento. Cfr. ad esempio: G.R. Boys Stones, Metaphor, Allegory, and the Classical

Tradition: Ancient Thought and Modern Revisions, Oxford, Oxford University Press, 2003 e il

più recente A. Martinengo, Filosofie della metafora, Bologna, Guerini e Associati, 2017. 14 La ricezione dei tre volumi di Tempo e racconto (1983-’84-’85) è stata particolarmente vasta. Generalmente acquisita con entusiasmo nell’ambito della svolta post-strutturalista in antropologia e psicanalisi (cfr. F. Affergan, Exotisme et Alterité, Paris, Puf, 1987), essa è oggetto di critiche da parte della filosofia analitica (cfr. G. Strawson, Against Narrativity, in «Ratio», 4, 2004, vol. 17, pp. 428-452).

15 Critico contro l’interpretazione semantica e antinaturalistica di Freud ad opera di Ricœur è lo psicanalista americano Marshall Edelson in Psychoanalysis. A Theory in Crisis, Chicago, University of Chicago Press, 1990. Il dibattito tra psicanalisi «scientifica» e psicanalisi «ermeneutica» è ripreso più recentemente dal filosofo A. Grünbaum in The hermeneutic versus

the scientific conception of psychoanalysis, 10 ottobre 2012, http://www.psychiatryonline.it. 16 Il sociologo Fiorenzo Parziale ha trattato i punti salienti dell’incontro tra Ricœur e la sociologia in Il contributo sociologico di Paul Ricœur, in «Sociologia», 2, 2015, pp. 55-69.

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sti17. Per quanto riguarda la ricezione politica, si tratta di un campo d’indagine esplorato soprattutto da filosofi o interpreti di Ricœur che si sono dedicati ora a aspetti o concetti specifici dell’opera filosofica, ora alla riscoperta dei testi militanti. La ricezione del pensiero poli-tico ricœuriano è stata, al netto di alcune eccezioni, piuttosto tiepida in ambienti extra-filosofici e comunque piuttosto recente, sebbene Ricœur sia stato molto attento ai temi politici sin dall’inizio della sua attività.

Più viva appare la percezione dell’importanza della dimensione politica nell’opera di Ricœur da parte di quella generazione di inter-preti che hanno con lui condiviso un orizzonte valoriale e una pro-spettiva militante. Amici di Ricœur, Olivier Abel e Olivier Mongin18 sono tra quegli intellettuali riuniti intorno alla rivista «Esprit», fonda-ta nel 1932 dal padre del personalismo Mounier, per cui per molto tempo anche il nostro filosofo ha scritto. Il riferimento a «Esprit» non solo mette in luce l’ispirazione personalista e esistenzialista del pensiero ricœuriano, che motiva lo sbocco della sua fenomenologia ermeneutica in un’antropologia filosofica, o, se si vuole, in una filo-sofia dell’azione; ma restituisce anche l’orizzonte politico, potremmo dire militante, in cui il discorso filosofico si inquadra. La rivista «Esprit» ha dato voce, soprattutto a partire dal secondo dopoguer-ra, ad un cospicuo fronte di intellettuali di ispirazione cristiana, ma distanti dal clericalismo, critici verso lo strutturalismo e il positivismo sotto il profilo teorico, verso il capitalismo e il totalitarismo (fascista o comunista) in campo politico. Alla ricerca di una «terza via umani-sta» tra radicalismo rivoluzionario di stampo marxista e conservazione o reazione, gli intellettuali di «Esprit» hanno mantenuto nei confronti dell’attualità un pensiero critico. L’ultimo numero di novembre 2017 ospita vari articoli sul tema delle «istituzioni giuste» a partire dal pensiero di Ricœur19.

Occorre infine sottolineare come recentemente siano stati pubbli-cati numerosi studi sul Ricœur politico, prima in ambito americano, poi in ambito francese e, solo più tardi, in ambito italiano. Se fino all’inizio degli anni Duemila la gran parte dei commentatori prove-nienti dall’ambiente fenomenologico o ermeneutico erano pronti a riconoscere nell’opera ricœuriana il politico come dimensione tra le altre della sua antropologia filosofica, il filosofo Dauenhauer è stato tra i primi ad aver affermato la centralità delle categorie politiche

17 Cfr. ad esempio le pagine di Antonio Bellingreri dedicate a Ricœur in Per una pedagogia dell’empatia, Milano, Vita e Pensiero, 2005.

18 Già direttore della rivista «Esprit» dal 1988 al 2012, Olivier Mongin ha dedicato a Ricœur l’opera Ricœur, Paris, Seuil, 1998.

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per l’intero pensiero di Ricœur20. Una centralità filosoficamente giustificata, considerato che, in Sé come un altro (1990), il percorso di ermeneutica del sé, centrale per l’intero percorso intellettuale del pensatore, è coronato in un’etica e in una politica.

È verosimile che proprio lo sbocco etico e politico dell’opera del filosofo, destinato a esplicitarsi chiaramente nelle ultime pub-blicazioni (cfr. Percorsi del riconoscimento, 2004), abbia stimolato ulteriori riflessioni sul carattere complessivamente politico di Ricœur. Anche il tema dell’utopia, che il filosofo ha trattato negli anni ’70 in quanto parte di una più ampia fenomenologia dell’immaginazio-ne, viene finalmente ripreso a partire dal suo significato politico, come dimostrano soprattutto le ricezioni del pensiero ricœuriano in America Latina21 o da parte degli studi femministi22. La prima Summer School della Society for Ricœur Studies in collaborazione con il Fonds Ricœur si è tenuta a Parigi nel giugno 2017 proprio sul tema dell’utopia. Anche questo è un segnale che si sta estendendo la considerazione per il Ricœur politico, rendendo così dignità a uno degli esiti distintivi, ancorché meno conosciuti, dell’opera del filosofo.

3. Il tutto etico-politico

Ricœur ha pubblicato il primo articolo negli anni ’3023 e l’ultimo nel 200424. Molto si è scritto sulla sostanziale continuità del pensie-ro ricœuriano negli anni25. Ciò non significa che non si registrino variazioni tematiche e di sensibilità nel corso dei decenni. Lo sto-rico Jacques Le Goff ha sostenuto: «Il pensiero di Ricœur evolve dall’adesione a un socialismo comunitario degli anni ’30 verso un riformismo rivendicato sempre di più a partire dagli anni ’50, che 20 Cfr. B. Dauenhauer, The Promise and the Risk of Politics, Oxford, Rowman&Littlefield, 1998.

21 Un entusiastico contributo sul concetto di utopia in Ricœur trova spazio nel volume Feminist Philosophy in Latin America and Spain V (A.M. Bach, M. Roulet, M.I. Santa Cruz, Feminist Philosophy and Utopia: a Powerful Alliance, in Feminist Philosophy in Latin America and Spain, a cura di M.L. Femenias e A.A. Oliver, Amsterdam, Rodopi, 2007, pp. 149-164).

22 Si segnala in proposito A. Halsema e F. Henriques (a cura di), Feminist Explorations of Paul Ricœur Philosophy, London, Lexington, 2006.

23 Il primo articolo pubblicato risale al 1935, prima della prigionia, quando Ricœur aveva solo 22 anni: L’appel de l’action. Réflexions d’un étudiant protestant, in «Terre Nouvelle. Organe des chrétiens révolutionnaires», 2, 1935, pp. 7-9. Il riferimento all’azione presente nel titolo è rivelativo della vocazione che avrebbe ispirato, e mai più abbandonato, tutto il seguito dell’opera di Ricœur.

24 Cfr. P. Ricœur, Considération sur la Triade: le sacrifice, la dette, la grâce selon Marcel Henaff, in Le don et la dette, a cura di M.M. Olivetti, Torino, Cedam, 2004, pp. 37-44. Qui

Ricœur rielabora alcune tesi già perlopiù esposte nei Percorsi del riconoscimento, l’ultima sua opera maggiore.

25 A sostegno della tesi della continuità, in merito soprattutto alle tesi più forti sul soggetto, si veda soprattutto: J.L. Amalric, Affirmation originaire, attestation, reconnaissance. Le cheminement

de l’anthropologie philosophique ricœurienne, in «Études Ricœuriennes / Ricœurian Studies»,

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si traduce per una sorta di sintesi social-democratica tra l’esigenza di giustizia e l’imperativo della libertà»26. Il filosofo Pierre-Olivier Monteil ha però mostrato che il pensiero politico di Ricœur, ispirato da un’interpretazione «di sinistra» del protestantesimo, si è sempre risolto, seppure con tonalità diverse nel tempo, nella ricerca di una conciliazione, ancorché tensionale e mai definitiva, tra libertà e le-game sociale, autonomia e intersoggettività, convinzione personale e responsabilità collettiva:

Una maniera di collocare il suo pensiero politico in relazione alle dottrine istituite sarebbe di considerarlo come un misto di liberalismo politico e di socialismo […] Ma si tratta senza dubbio, per lui, non tanto di riferirsi ad un pensiero preciso, e meno ancora ad una dottrina, quanto piuttosto di stabilire una tensione dialettica tra termini che si chiariscono l’uno a partire dall’altro, come fossero delle figure in dialogo: senso del collettivo, da una parte, nel segno di un’etica democratica con-cepita come debito reciproco; priorità accordata all’autonomia, dall’altra, in nome della salvaguardia dell’identità individuale e dell’audacia del libero pensiero27.

Siamo così guidati verso la posta in gioco propriamente teorica del pensiero politico ricœuriano: la ricostruzione di quello che po-tremmo definire il «tutto etico-politico».

Secondo Ricœur, l’etica consiste nel ricongiungersi del problema della libertà a quello della felicità a livello individuale; la politica invece consiste nel problema del vivere insieme, delle istituzioni, del potere. Con questa distinzione si danno già le virtualità concettuali che forniscono argomenti ora al liberalismo e ora al socialismo. Il tentativo di vedere insieme etica e politica è però molto di più della promozione di una «terza via» tra socialismo e liberalismo; esso è prima di tutto lo sforzo di cogliere lo sfondo dell’etica e della po-litica in un’antropologia filosofica costruita intorno alla categoria di azione.

Naturalmente, tale sfondo non rappresenta un semplice indi-stinto, nel quale le differenze finiscono malamente inghiottite. Gli approcci che Ricœur adotta per rappresentare i rapporti tra la sfera etica e quella politica sono diversi, ma in linea generale procedono argomentativamente da un livello considerato più astratto, dal quale trarre le ragioni stesse per una sintesi che riconduca a unità ciò che è stato precedentemente scomposto. Il saggio scritto nel 1971 per l’Enciclopedia Universalis sulla libertà è esemplare di questo modo di procedere. Secondo Ricœur:

26 J. Le Goff, La pensée du social, in Paul Ricœur: la pensée en dialogue, a cura di J. Porée e G. Vincent, Rennes, Presses universitaires de Rennes, 2010, pp. 237-238.

27 P.P. Monteil, Paul Ricœur: variations et continuité d’un projet politique, in «Études Ricœuriennes / Ricœurian Studies», vol. 4, 2013, n. 1, p. 178.

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A un primo livello, quello del linguaggio ordinario, libero è un aggettivo che caratteriza certe azioni umane che presentano tratti degni di nota: sono azioni inten-zionali, o compiute in una certa intenzione; possono essere spiegate tramite il ricorso a motivi, dando a questo termine il senso di ragioni d’agire piuttosto che di causa; sono ascritte a un agente responsabile, etc […] A un secondo livello, quello della riflessione morale e politica, la libertà non è più solo un carattere che dinstingue certe azioni da altre non libere: il termine designa un compito, un’esigenza, un va-lore, insomma, qualcosa che deve essere ma che ancora non è; riflettere sulla libertà, è riflettere sulle condizioni della sua realizzazione nella vita umana, nella storia, sul piano delle istituzioni28.

L’autore riconosce, dunque, un piano della riflessione nel quale etico e politico sono terreni distinti: ma se questo piano, del tutto pre-politico, deve essere svolto con metodo fenomenologico-descritti-vo29, esso deve considerarsi propedeutico alla maturazione di un pia-no diverso, in cui pia-non sia più in gioco la chiarificazione dei concetti impiegati nel discorso morale, bensì il problema della realizzazione della libertà nel mondo della vita. In questo senso, il discorso filoso-fico indica «il cammino stesso della liberazione»30: la questione etica della libertà assume concretezza e passa così dall’analisi metaetica al vivo del terreno etico solo quando si pone il problema politico della propria realizazione storica. Ecco perché «è nel campo di questa problematica dell’azione sensata che solamente può svilupparsi una filosofia politica. Una filosofia politica si distingue da una scienza politica in quanto essa ha come filo direttore un concetto di realiz-zazione della libertà»31.

Tra i precedenti immediati di Ricœur a proposito del «tutto etico-politico», il più influente è stato sicuramente Eric Weil32, al cui pen-siero il nostro filosofo ha dedicato un lungo articolo nel 195733. Qui Ricœur commenta il rapporto tra etica e politica in questo modo: La filosofia politica è il movimento stesso che parte dalla morale, la ingloba come punto di partenza e la supera in una teoria dello stato […] Bisogna dunque mostrare che la filosofia politica parte dalla morale e deve partire da essa per essere filosofica; ma che il punto di vista della morale deve essere superato in un punto di vista più vasto: quello della comunità storica che lo Stato organizza, affinché questa filosofia sia politica34.

28 P. Ricœur, La liberté (1971), in Id., Anthropologie Philosophique. Écrits et conférences 3, Paris, Seuil, 2013, pp. 201-202.

29 Un metodo che, in realtà, ricorda la struttura di una metaetica, uno studio logico sul linguaggio morale: Ricœur afferma esplicitamente che «è compito di una filosofia nello stesso tempo fenomenologica e linguistica – la chiameremo fenomenologia linguistica – di chiarificare questi concetti e di mettere in luce la loro connessione» (ibidem, p. 215).

30 Ibidem, p. 202. 31 Ibidem, p. 217.

32 Cfr. E. Weil, Philosophie politique, Paris, Vrin, 1956.

33 Per una più completa disamina del rapporto tra il pensiero dei due autori, cfr. G. Marcelo, Paul Ricœur et Eric Weil, in «Cultura. Revista de História e Teoria das Ideas», vol. 31, 2013, pp. 247-266.

34 P. Ricœur, La philosophie politique d’Eric Weil (1957), in Id., Lectures 1 – Autour du politique, Paris, Seuil 1991, p. 96.

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Trascurando le obiezioni che Ricœur muove al modo in cui Weil sviluppa la necessaria transizione dell’etico nel politico, è chiaro che, per entrambi, l’azione assume senso solo nella misura in cui è com-presa dal punto di vista della globalità storica in cui viene compiuta. Chiaramente, il comune riferimento dei due autori è Hegel, il quale ha criticato la concezione astratta della libertà kantiana in nome di una più completa integrazione della sfera della libertà degli individui nel concreto contesto sociale.

Ricœur ricostruisce il filo di una storia del rapporto tra etico e politico, che si presenta stretto in Aristotele35, si scinde con la psicologizzazione del problema della volontà36 e con la nascita della filosofia politica moderna37, e si recupera in maniera più matura con la filosofia dell’eticità hegeliana. Libertà e potere vengono scissi, agli albori della modernità, sulla base di una duplice astrazione, dell’e-tica e della polidell’e-tica. Il problema della libertà viene in primo luogo ricondotto a quello del libero arbitrio individuale: l’essere umano può scegliere di fare il bene oppure di peccare ed in questa scelta egli si afferma come essere morale. Con l’evoluzione della biologia e della psicologia seicentesca, poi, la problematica del libero arbitrio individuale viene ulteriormente psicologizzata: la libertà si manifesta in quanto volontà libera di dare o meno l’assenso alle rappresenta-zioni che il soggetto ha della realtà. In questo modo la volontà si separa dalla dimensione politica, le cui categorie proprie (sovranità, potere, Stato) vengono alla luce al di là di un riferimento alla libertà. Con ciò, viene reciso ogni riferimento della filosofia politica ad un orizzonte morale. Corollario della rottura tra etico e politico, infatti, è che, secondo Ricœur, alla radice della filosofia politica moderna starebbe precisamente la perdita di un riferimento morale per il legame sociale. Ciò è evidente in Hobbes, per il quale a generare il legame sociale e, di lì, quello politico, non sarebbe qualcosa come una «passione per la libertà»: all’origine del legame sociale vi sono le tre passioni originarie di competizione, diffidenza e gloria; e

all’o-35 «Così, il discorso sull’azione intenzionale è solamente un segmento astratto prelevato dal percorso completo del discorso etico-politico, col quale si identifica la problematica della libertà sensata. Quest’ultimo aspetto è quello in cui Aristotele anticipa Hegel nel modo più manifesto» (P. Ricœur, La liberté, cit., pp. 218-219).

36 «A partire dalla fine della Cité greca inghiottita nello Stato macedone e poi dall’Impero romano, questa grande unità di etica e politica è spezzata: ormai, la filosofia della libertà è destinata ad un irrimediabile processo di psicologizzazione; incardinata in una psicologia delle facoltà, si rifugia in una teoria dell’assenso o del consenso, di cui l’analisi cartesiana del giudizio è l’esito più riuscito» (ibidem, p. 219).

37 «Ora, a quel tempo, l’altro frammento distinto dalla grande unione aristotelica, il complemento politico di questa psicologia dell’assenso, continua la sua esistenza dissociata sotto un altro titolo, quello di filosofia politica: tutto quello che viene detto e scritto, con Hobbes e Machiavelli, e fino a Spinoza nel Tractatus, riguardante il potere, la forza, la violenza, appartiene di diritto alla grande filosofia della libertà, percepita una volta nella sua interezza da Aristotele» (ibidem).

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rigine di quello politico, «il calcolo suscitato dalla paura della morte violenta»38.

Nell’articolo del 1971 come nel libro del 2004, a Hobbes replica Hegel. La replica alla prospettiva hobbesiana consiste nella posizio-ne secondo la quale «alla base del vivere insieme esiste un motivo originariamente morale, che Hegel identificherà col desiderio di essere riconosciuto»39. Il merito di Hegel, sostiene Ricœur, è di aver richiamato un orizzonte di conciliazione tra filosofia della libertà e filosofia politica, tramite lo sviluppo progressivo di questa seconda dalla prima: e, più precisamente, tramite il riconoscimento che libertà e ordine necessitano l’uno dell’altra per affermarsi come realtà.

Non per questa ragione si può però fare di Ricœur un hegeliano

tout court. Ricœur convoca accanto a Hegel anche Rousseau. Ricœur

afferma quanto segue:

È la grandezza di Rousseau, prima di Hegel, di aver, se posso osare, rimpatriato presso la filosofia della libertà la questione del potere politico e della sovranità. Non è certo che il contratto possa essere la vera e propria connessione mediante la quale la volontà di ognuno dà origine alla volontà generale; perlomeno, la filosofia del contratto sarà stata utile, prima di Hegel, a richiamare la grande filosofia della libertà: il concetto di volontà generale è qui a testimoniare questo sforzo di de-psicologizzazione del problema della volontà libera e, per così dire, di ripoliticizzarlo secondo il più sicuro disegno dello Stagirita40.

Pur partendo da una concezione del legame sociale pessimistica, come pessimistica era quella di Hobbes, Rousseau giunge a elaborare il concetto di volontà generale come convergenza delle volontà indi-viduali non solo per l’istituzione del contratto sociale, ma anche, di volta in volta, per la pubblica decisione. La dimensione della libertà individuale, così, si ripoliticizza, nella misura in cui è costitutivamente interpellata per la definizione della volontà generale. La politicizza-zione della libertà individuale impedisce di risolvere quest’ultima nell’arbitrio, in nessuno dei suoi sensi: né la libertà negativa, né la vertigine della scelta. La conciliazione che Rousseau opera tra l’io e il noi consiste in una radicale sussunzione dell’io nel noi: una sussunzione che vuole rappresentare la più autentica realizzazione dell’io, conseguente a una decisione sul piano individuale, contro l’amor proprio. Sotto quest’aspetto, la filosofia del contratto sociale 38 P. Ricœur, Parcours de la reconnaissance, 2004, trad. it. Percorsi del riconoscimento, Milano, Raffaello Cortina, 2005, p. 194. Qui Ricœur, seguendo l’interpretazione di Leo Strauss in Hobbes’ politische Wissenschaft (1965), afferma: «Hobbes […] si trova di fronte al compito di ribaltare questo rapporto di omologia tra il bene dell’individuo e il bene della città, che è in certo senso un tratto comune a tutte le filosofie morali e politiche degli Antichi, al punto che Leo Strauss, nel suo libro sulla filosofia politica di Hobbes, potrà designare quest’ultimo come il fondatore della politica dei Moderni» (ibidem, p. 186).

39 Ibidem.

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di Rousseau è davvero l’anticipazione dell’«Io che è noi, Noi che è Io»41 di Hegel.

A un primo sguardo, l’impronta della filosofia politica di Ricœur è dunque antikantiana. Se infatti anche Kant avrebbe colto il fatto che, per essere sensata, la libertà non possa risolversi in semplice arbitrarietà, ma debba esprimersi nell’affermazione di una legge, d’altra parte questa legge, concepita come puramente formale, depura l’esperienza umana da tutti i suoi tratti empirici, finendo col separare ciò doveva essere riunito: il dovere e il desiderio; la volontà oggettiva determinata dalla legge e la volontà soggettiva, caratterizzata in termi-ni di arbitrio e negatività. Con Hegel, Ricœur sostiene che «dire che il discorso sull’azione sensata raggiunge la sua fine in una teoria po-litica, è dire che l’uomo ha doveri concreti, virtù concrete solo se è capace di situarsi entro comunità storiche, nelle quali egli rintraccia il senso della propria esistenza»42. Hegel, insomma, conduce la filosofia politica verso l’orizzonte dell’ermeneutica contemporanea: quella del soggetto storico incarnato, che nella sua gettatezza riscuote il senso concreto dell’esistenza, acquisendo gli schemi cognitivi e le cornici con cui dà significato alle proprie relazioni sociali e alle istituzioni che le regolano.

Ma l’adesione di Ricœur al punto di vista hegeliano si ferma sulla soglia dell’assoluto. L’ermeneutica filosofica è una filosofia della gettatezza, di cui Ricœur offre un’interpretazione originale. Come si connota la relazione che lega l’uomo al proprio mondo? Il debito del soggetto nei confronti della realtà in cui egli è incarnato non va ricusato, pena la ricaduta in una concezione astratta e cartesiana del soggetto universale. Il soggetto di Ricœur è in effetti post-cartesiano, in linea con la posizione ermeneutica cui aderisce:

Il soggetto […] non è più una prima persona autoponentesi, autofondantesi, bensì un sé che nel riflesso dei segni della cultura, in cui letteralmente viene all’e-sistenza, legge la propria situazionalità e vive il proprio esistere come una sorta di veemenza ontologica in cui si attesta quel già là che fa ad un tempo la situazionalità finita del nostro esserci e la ricchezza del mondo che veniamo ad abitare43.

Tuttavia, tra il soggetto incarnato e il contesto che gli fornisce la sua identità storica sussiste ancora uno scarto. Ad attestare lo scarto tra il sé e il suo contesto sociale e storico è l’esperienza della crisi: «Non so più qual è il mio posto nell’universo, non so più quale gerarchia stabile di valori può guidare le mie preferenze, non

distin-41 G.W.F. Hegel, Phänomenologie des Geistes, 1807, trad. it. Fenomenologia dello Spirito, Milano, Bompiani, 2000, p. 273.

42 P. Ricœur, La liberté, cit., p. 226.

43 D. Iannotta, L’alterità nel cuore dello stesso – prefazione all’ed. Italiana di Sé come un altro, in P. Ricœur, Soi-même comme un autre, 1990, trad. it. Sé come un altro, Milano, Jaca

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guo i miei amici dagli avversari, ma c’è per me dell’intollerabile»44. L’essere-gettato del soggetto ricœuriano non significa solo che il soggetto non è più autonomo e auto-sussistente, come lo era stato il soggetto cartesiano o quello trascendentale; e tanto meno significa che il soggetto non è altro che un riflesso deterministico della realtà da cui è circondato. Il modo dell’incarnazione del soggetto in un contesto è semmai quello della crisi: «La personalità è sempre nella crisi; sempre, cioè in ogni istante, si crea creando la propria imma-gine che è il suo essere futuro. Sempre è in conflitto con gli altri, con il passato, con l’inautentico»45. In altre parole, il soggetto può trovarsi in una posizione di rifiuto: dei legami sociali in cui si sente imprigionato, delle norme morali e di costume in cui è cresciuto, nei vincoli giuridici e nelle forme istituzionali della sua società. Il soggetto può, dunque, agire per emendare la posizione che eredita nei rapporti sociali, nonché contribuire ad un’evoluzione complessiva degli stessi in società. Questo è il senso finalmente politico della stes-sa teoria ricœuriana dell’immaginazione, che, come si è rapidamente osservato, sbocca in un peculiare pensiero dell’utopia: nel poter «pensare e agire altrimenti»46.

4. Il kantismo e la democrazia

La possibilità di pensare il nuovo, di cui la stessa struttura del lin-guaggio è testimone47, è precisamente il punto sul quale Ricœur non segue l’Hegel dello spirito oggettivo. Se, da una parte, è necessario pensare alla libertà come a una forza che cerca di realizzarsi concreta-mente in strutture, ad un tempo culturali e normative, pena la scissio-ne dalla concretezza della vita, d’altra parte la libertà può sopravanzare ogni positività. Ciò che di Hegel è attuale non è tanto l’esito della sua filosofia dello spirito, quanto la domanda che il filosofo tedesco ha 44 P. Ricœur, Meurt le personnalisme, revient la personne!, 1983, trad. it. La persona, Brescia, Morcelliana, 19975, p. 30.

45 P. Ricœur, Temps et Récit III, 1985, trad. it. Tempo e racconto III, Milano, Jaca Book, 1988, p. 423.

46 Cfr. P. Ricœur, Le mal. Un défi à la philosophie et à la théologie, 1986, trad. it. Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia, Brescia, Morcelliana, 20156. Sul tema: M. Cinquetti, Ricœur e il male: una sfida per pensare altrimenti, Torino, Seneca Edizioni, 2005.

47 L’intera teoria della metafora di Ricœur ruota intorno alla possibilità, per il linguaggio, di esprimere significati nuovi attraverso combinazioni semanticamente «impertinenti», quali quelle che si realizzano nel linguaggio poetico (cfr. P. Ricœur, La métaphore vive, 1975, trad. it. La metafora viva, 1975; Milano, Jaca Book, 20105). Analogamente, l’uso narrativo del linguaggio testimonia, in Tempo e racconto, la possibilità, garantita dalla struttura temporale dell’esperienza, di tornare produttivamente sul passato, reinterpretandolo alla luce di esigenze esistenziali, culturali e sociali inedite. Perciò è possibile interpretare l’ermeneutica ricœuriana non solo come un richiamo al radicamento del soggetto in un contesto, ma anche come una vera e propria pratica di emersione delle virtualità non ancora dette, rimosse o represse, di una storia, in senso proprio, senza fine, grazie all’azione creativa del soggetto radicato.

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esplicitato e che d’altronde è alla base degli sviluppi più recenti della filosofia sociale francofortese di ispirazione hegeliana, come quella di Axel Honneth48. Ricœur la esprime così: «esiste qualche ragionevole mediazione tra il potere individuale, che noi chiamiamo libera scelta o libero arbitrio, e il potere politico, che noi chiamiamo sovranità?49». Ma a questa domanda, venendo meno il sussidio rappresentato da un compimento razionale della libertà (e dunque di una destinazione asso-luta del suo processo di realizzazione), non può che darsi una risposta aporetica sotto il profilo del fondamento. Tra l’orizzonte della libertà, depositaria della possibilità di generare ciò che ancora non è dato, e la dimensione positiva dell’istituzione, della norma, in una parola, dell’ideologia50, si istituisce infatti una dialettica inesauribile. Lungi dal restare separate, la libertà e la norma sono destinate a incontrarsi, a intricarsi, a compenetrarsi, a dividersi e a contrastarsi, nutrendosi l’una dell’altra e reciprocamente evolvendo verso equilibri sempre nuovi e instabili, nel mondo della vita.

Tanto il polo etico/morale della libertà quanto quello dell’ordine hanno le loro buone ragioni d’essere. La libertà senza realizzazione in un ordine è cieca; l’ordine senza lo sfondo rappresentato dal cammino della libertà è vuoto. Rimossa ogni tentazione totalitaria dalla concilia-zione perseguita da Ricœur, non deve sfuggire semmai la sua implica-zione critica. A questo proposito, è interessante richiamare brevemente l’interpretazione che il filosofo propone della figura di Antigone. Hegel coglie nella tragedia di Antigone soprattutto lo scontro tra due uni-lateraltà: «Sono ben due visioni parziali e univoche della giustizia a contrapporre i due protagonisti»51. Tuttavia, Ricœur accorda la propria preferenza al personaggio di Antigone: «ella ha posto il limite che denuncia il carattere umano, troppo umano, di ogni istituzione»52. Il filosofo ritiene che, nella figura di Antigone debba essere letta una for-ma di resistenza possibile nei confronti dell’ordine positivo. Allo stesso

48 Non deve dunque stupire che Ricœur dedichi numerose pagine della sua ultima opera a Lotta per il riconoscimento di Honneth (1992): cfr. P. Ricœur, Percorsi del riconoscimento, cit., pp. 211-228.

49 P. Ricœur, La liberté, cit., p. 226.

50 Ricœur fornisce una lettura a luci e ombre della nozione di ideologia. In quanto patrimonio simbolico di valori che tengono insieme una società, l’ideologia si ricongiunge al significato di cultura di Clifford Geertz: senza di essa, l’uomo non potrebbe neppure pensare, in quanto la libertà si rende già sempre concreta nell’ambito dei legami sociali simbolicamente intessuti. D’altra parte, il patrimonio simbolico, in cui l’ideologia si risolve, irrigidisce e replica le forme positive del legame sociale, tramandando le strutture di potere e le asimmetrie relazionali. In quanto simbolica, l’ideologia è una produzione dell’immaginazione sociale, il cui contraltare è rappresentato dall’utopia. Quest’ultima, per quanto controversa, rappresenta perlomeno questa caratteristica ermeneutica del soggetto, di non risolversi mai semplicemente nell’ideologia in cui è immerso, potendo immaginare qualcosa di differente; e, da questa differenza, ispirare un’azione di cambiamento sulla realtà. Cfr. P. Ricœur, Lectures on Ideology

and Utopia, 1986, trad. it. Conferenze su ideologia e utopia, Milano, Jaca Book, 1994. 51 P. Ricœur, Sé come un altro, cit., p. 349.

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tempo, non deve sfuggire che la critica e la disobbedienza verso l’or-dine costituito non è fatta, e il caso di Antigone vale come paradigma, nel nome di una mera volontà individuale, bensì nel nome di un altro ordine. Nel nome di una nuova (o antica) legge, di un ordine – ordine reale o immaginario, ordine utopico o pudicamente nascosto, oggetto di un desiderio frustrato e misconosciuto – si sviluppa una funzione critica nei confronti della positività della realtà. Ciò, si badi bene, non significa che il portatore storico del conflitto operi sempre avendo in mente consapevolmente un ordine alternativo a quello esistente; più semplicemente, significa che la libertà non è mai una posizione asso-luta, ma già sempre una figura che sorge dall’interno della non-libertà, della cultura fattasi abitudine e acquisita come seconda natura, e lotta per realizzarsi in un ordine proprio, in cui ciò che era misconosciuto sarà riconosciuto, in cui chi era sottoposto alle regole esteriori di una normatività ideologica sarà liberato.

Ogni istituzione è «umana e troppo umana» e nessuna può per principio incarnare l’ordine della libertà. Emerge così l’immagine di un Ricœur più kantiano che hegeliano. Il nostro, alludendo alla con-ciliazione di libertà e ordine come a un compito senza fine, richiama semmai il regno dei fini della Fondazione della metafisica dei costumi (1785) e della Critica della ragion pratica (1788), che rappresenta l’o-rizzonte regolativo, e come tale non realizzabile nella sua pienezza, di un’umanità completa, riunita nello spontaneo rispetto della legge morale in cui consiste la libertà. In riferimento a questa posa hege-liana senza assoluto, Ricœur si è descritto a buon diritto, alla stregua di Eric Weil, come un «kantiano post-hegeliano»: «il kantismo che vorrei sviluppare è, paradossalmente, più da farsi che non da ripete-re: sarebbe qualcosa come un kantismo post-hegeliano, per prendere in prestito un’espressione che Eric Weil ha applicato a se stesso»53.

Non può dunque stupire che il filosofo prenda posizione in favo-re della democrazia. Beninteso: Ricœur appafavo-re molto lontano dalla tesi postmoderna della «fine della storia»54. Al contrario, egli ritiene che la nuova era globale sia caratterizzata da un’inedita serie di mutazioni, «che riguardano la natura profonda, la qualità dell’agire umano»55. Ricœur riscontra il «carattere problematico della demo-crazia nel momento stesso in cui essa pare vincere la competizione tra sistemi politici a livello mondiale»56. La crisi della democrazia rappresentativa si verifica nel momento stesso in cui l’economia si 53 P. Ricœur, Le conflit des interprétations, 1969, trad. it. Il conflitto delle interpretazioni, Milano, Jaca Book, 19952, p. 402.

54 Cfr. ovviamente F. Fukuyama, The End of History and the Last Man, 1992, trad. it. Fine della storia, Milano, Rizzoli, 1992.

55 P. Ricœur, Postface au Temps de la responsabilité (1991), in Id., Lectures 1 – Autour du politique, cit., p. 271.

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realizza in una dimensione tale da mettere in scacco l’efficacia dello stato-nazione: «è nel momento stesso in cui l’evoluzione dell’econo-mia richiederebbe un sovrappiù di democrazia che quest’ultima entra in crisi»57.

Proprio la crisi della democrazia rappresentativa nel più maturo sviluppo del capitalismo dimostra come ogni facile riduzione di quella a questo vada evitato. Il rapporto storico della democrazia con il capitalismo non è ignorato da Ricœur58; ma le patologie della democrazia nel tempo del cosiddetto turbo-capitalismo mostrano che è possibile fornire della democrazia una definizione che non si riduca alla mera dipendenza dalla struttura economica in cui essa si è affermata:

Ciò che chiamiamo «declino delle ideologie» e «ascesa dell’individualismo» rivela una realtà più profonda [...] ossia che la democrazia, a differenza dei sistemi che traevano la propria autorità da entità predefinite o superiori, deve rifondarsi con-tinuamente […]. La democrazia è il regime per cui il processo di legittimazione è sempre in corso e in crisi.59

La radicale emendabilità della democrazia, la sua costante condi-zione di crisi, è dunque adatta a una filosofia che afferma, da una parte, il necessario rapporto di libertà e ordine e, dall’altra, l’impos-sibile conciliazione degli stessi in uno stato definitivo. La democrazia non è meno «umana, troppo umana» delle altre forme di governo; solo che, della sua radicale umanità, essa è consapevole. La democra-zia precipita nel suo contrario quando produce al suo interno criteri etici di inclusione ed esclusione. Per questo, sul piano della fonda-zione etica, la democrazia deve attenersi a un rigoroso pluralismo. La sfida della democrazia è di far emergere, a partire da giustificazioni etiche differenti, convinzioni comuni su ciò che è necessario fare: e una volta che siano emerse, agire sulla scorta di esse, cosicché l’azione istituzionale incarni il più possibile il «potere in comune». Ricœur fa appello alla distinzione arendtiana di «potere in comune» e «dominio» per attribuire la costituzione delle istituzioni al livello del primo e solo la loro degradazione al livello del secondo60. In questo modo, una volta di più, Ricœur vuole affermare che la libertà, in quanto agita sensatamente dagli uomini, è essenzialmente definita per il suo processo di realizzazione nelle istituzioni fintanto che esse garantiscono pluralità e concertazione61.

57 Ibidem.

58 Cfr. in proposito P. Ricœur, Pour un Christianisme Prophétique, in Les Chrétiens et la Politique, Paris, Temps Présent, 1948, p. 88.

59 P. Ricœur, Préface au Temps de la responsabilité, cit., p. 278. 60 P. Ricœur, Sé come un altro, cit., p. 291.

61 Tanto l’idea di pluralità quanto quella di concertazione provengono da H. Arendt, The Human Condition, 1958, trad. it. Vita Activa, Milano, Bompiani, 1964. Ricœur le commenta in

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Si può affermare che, per Ricœur, la democrazia è quella forma di governo che meglio rappresenta i caratteri del soggetto dopo la crisi della solidità cartesiana. Tutt’altro che impermeabile ai condi-zionamenti, la democrazia, come il soggetto, è portata a replicare, nelle sue determinazioni, le ideologie dominanti, la cultura in essere; ma essa lascia spazio a narrazioni minoritarie, utopie disperse, punti di vista critici, quando essi sorgono in seno ai soggetti che vivono in essa. La democrazia è plurale, proprio come il soggetto è mol-teplice: il lavorio del diverso, dell’irriducibile, dell’inconciliabile è sempre all’opera nel suo seno. Essa, come il soggetto, è pure esposta al rischio della chiusura. Nel caso del soggetto, la chiusura consiste nella sua riduzione all’ideologia di cui è parte. Nella rinuncia al sen-so critico si ha la prima e più fondamentale rinuncia alla libertà: in senso proprio, non si ha più alcun soggetto, ma solo la ripetizione inconsapevole di un habitus. Nel caso della democrazia, la chiusura si verifica quando il potere-in-comune viene surrettiziamente scalzato da poteri non democratici che operano plasmando il senso comune e dunque sottraendo senso critico e responsabilità al soggetto. Ricœur a questo proposito intravede la sfida che in particolare il potere me-diatico e quello economico pongono alla democrazia: poteri che si affermano grazie al vertiginoso sviluppo delle possibilità tecniche e che, nello stesso tempo, scavalcano i tempi e le forme della comuni-cazione intersoggettiva, senza la quale nessun potere-in-comune può effettivamente emergere. La crisi della democrazia, osserva Ricœur, è reale: di fronte alle trasformazioni globali essa può vincere o perdere. Anche qui, Ricœur si conferma kantiano. Secondo Kant:

Poiché gli esseri umani, nelle loro aspirazioni, non agiscono in modo meramente istintivo, come animali, ma neppure interamente secondo un piano stabilito come cittadini del mondo razionali, così non sembra neppure possibile, su di loro, una storia conforme a un progetto (all’incirca come quella delle api e dei castori).62

Così, la possibilità per gli uomini di procedere nel cammino dell’emancipazione è allo stesso tempo una responsabilità, che grava unicamente sulle loro spalle.

Sé come un altro con l’obiettivo di mostrare che la libertà del potere-in-comune non è estranea

all’istituzione, in quanto prodotto diretto dell’azione.

62 I. Kant, Idee zu einer allgemeinen Geschichte in weltbürgerlicher Absicht, 1784, trad. it. Idee per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Sette scritti politici liberi, Firenze, Firenze University Press, 2011, pp. 27-28.

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Abstract: Ricoeur and the Politics: Macron and beyond...

The aim of this paper is to offer an overview of the political and ethical thought of the philosopher Paul Ricoeur. The legacy French President Macron claims from Ricoeur’s teachings has stirred up an unprecedented interest for this part of ricoeurian’s philosophy. This new interest often resulted in superficial assessments on Ricoeur’s political thought, with insufficient consideration of the very thesis the author supported during his productive activity. A short guide to the main reception of ricoeurian complex thought will be offered. Then the connection Ricoeur traces between the exercise of freedom and the political problem of power and institutions will be taken into account. In the last part, we will discuss Ricoeur’s kantianism and how it affects his ideas on democracy nowadays.

Keywords: Ricoeur, Philosophy, Ethics, Politics, Democracy.

Paolo Furia, Università di Torino, Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Edu-cazione, via Sant’Ottavio 20, 10124 Torino, paolo.furia@unito.it

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