• Non ci sono risultati.

Il processamento delle emozioni in bambini con Disturbo della Condotta

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il processamento delle emozioni in bambini con Disturbo della Condotta"

Copied!
72
0
0

Testo completo

(1)

1

UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di patologia chirurgica, medica, molecolare e dell’area critica

Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e della Salute

Tesi di Laurea

Il processamento delle emozioni in bambini con Disturbo

della Condotta

Relatore:

Candidato:

Dott. Pietro Muratori

Marina Papini

(2)

2 RIASSUNTO

I disturbi del comportamento in età evolutiva sono problematiche molto frequenti, che costituiscono una fonte di disagio per numerose famiglie. Essi rappresentano uno dei principali motivi di consultazione presso i servizi per la salute mentale, in cui spesso vengono effettuate diagnosi di disturbo della condotta, disturbo oppositivo-provocatorio o disturbo da deficit d’attenzione e iperattività. Un corretto approfondimento delle problematiche e delle difficoltà del bambino, insieme ad una corretta diagnosi, rappresenta la base per il miglioramento della qualità della vita all’interno del contesto familiare, scolastico e sociale, per l’intero nucleo familiare. Appare fondamentale riuscire a definire quali caratteristiche del bambino hanno condotto allo sviluppo del disturbo, per poter intervenire. In letteratura sono presenti numerosi studi che hanno individuato il ruolo di diversi fattori eziologici: fattori biologici, genetici e temperamentali; fattori cognitivi; fattori ambientali; fattori legati agli stili genitoriali. Molti studi hanno approfondito come avviene il processamento delle emozioni, ovvero come il nostro cervello elabora e risponde agli stimoli emozionali. Nei disturbi del comportamento si può evidenziare un’alterazione dei processi che determinano la percezione dello stimolo e l’attivazione autonomica ad esso conseguente, che ha effetti a cascata su tutto il comportamento. Il riconoscimento delle emozioni dalle espressioni facciali altrui, ad esempio, è un processo di fondamentale importanza per permettere la regolazione del proprio comportamento in relazione al contesto sociale. I bambini con disturbo della condotta con elevati e bassi tratti calloso-anemozionali presenterebbero alterazioni nel processamento emozionale diverse. I primi mostrerebbero un minor riconoscimento della paura e della tristezza, legato all’inattenzione per la regione degli occhi e ad un’ipoattivazione dell’amigdala; i secondi dimostrerebbero un bias di attribuzione ostile. Lo studio presentato in questo elaborato si propone di evidenziare, mediante un sistema di eye tracking, come avviene l’esplorazione del volto di fronte ad un compito di riconoscimento emozionale di diverse espressioni facciali (neutra, arrabbiata, triste, felice, disgustata, impaurita). Lo scopo è quello di individuare eventuali alterazioni specifiche per i tratti psicopatici, in modo da suggerire strategie di trattamento più efficaci per questo tipo di soggetti.

Parole chiave: Eye tracking – Processamento emozionale – Disturbo della condotta –

(3)

3 INDICE

Introduzione 5

1. I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO IN ETÀ EVOLUTIVA 6

1.1 Il disturbo oppositivo-provocatorio 6

1.2 Il disturbo della condotta 8

1.3 I tratti calloso-anemozionali 11

1.4 Fattori eziologici 12

1.4.1 Fattori genetici e biologici 12

1.4.2 Fattori ambientali e parenting 13

1.4.3 Fattori protettivi e moderatori 15

1.4.4 Il ruolo dell’aggressività 17

2. IL PROCESSAMENTO EMOZIONALE 19

2.1 I processi cognitivi coinvolti nel processamento emozionale 19

2.2 Lo sviluppo della morale 20

2.2.1 L’empatia 22

2.2.2 La teoria della mente 23

2.3 Fattori che influenzano lo sviluppo morale ed il processamento emozionale 24

2.3.1 Il ruolo del temperamento e del parenting 24

2.3.2 L’influenza dei coetanei 25

2.3.3 Il Violent Inhibition Mechanism 26

2.4 Il riconoscimento emozionale 27

2.4.1 Il riconoscimento emozionale nel corso dello sviluppo 28

2.4.2 Fattori che influenzano il riconoscimento emozionale 28

2.5 I sistemi neurali coinvolti nel processamento emozionale 29

2.6 Alterazioni nel processamento emozionale 30

2.6.1 Alterazioni nel disturbo della condotta 31

2.6.2 Alterazioni nei tratti CU 34

3. I SISTEMI DI EYE TRACKING 38

3.1 I movimenti oculari e il sistema visivo 38

(4)

4

3.2.1 Lo SMI RED 500 41

3.3 Campi di applicazione del sistema di eye tracking 43

3.4 L’eye tracking in psichiatria dell’età evolutiva 44

3.4.1 Eye tracking e disturbi della condotta 45

4. LO STUDIO CLINICO 48

4.1 Metodo 48

4.1.1 Partecipanti 48

4.1.2 Strumenti 49

4.1.3 Procedura 51

4.2 Analisi dei dati 54

4.3 Risultati 54

4.4 Discussione 56

4.5 Prospettive future e implicazioni cliniche 58

(5)

5 Introduzione

Con il DSM-5 (APA, 2014) è stato introdotto uno specificatore che distingue i bambini con disturbo della condotta tra quelli con elevati e bassi tratti calloso-anemozionali. Questo sottotipo di bambini dimostra caratteristiche diverse, seppur condividendo la maggior parte dei sintomi. In particolare i soggetti con tratti psicopatici presenterebbero un’aggressività fredda o predatoria, emozioni prosociali limitate, mancanza di empatia, senso di colpa o rimorso, indifferenza rispetto ai propri risultati o alle conseguenze del proprio comportamento e anaffettività. Il processamento emozionale in questi bambini sembra essere alterato, in momenti e con modalità diverse rispetto ai bambini che non presentano questi tratti di personalità. La letteratura sul processamento emozionale è ampia, sono state evidenziate numerose varianti di sviluppo atipico, conseguenti a specifiche alterazioni nel riconoscimento o nella risposta alle diverse emozioni. Le innovazioni tecnologiche hanno permesso di indagare in modo sempre più preciso le diverse possibilità, ottenendo le evidenze scientifiche di processi fino a quel momento solo ipotizzati. Basti pensare alla mole di ricerche scientifiche e psicologiche che si avvalgono dell’utilizzo della risonanza magnetica funzionale (fRMI). L’eye tracking è un sistema capace di individuare con precisione, ed in modo non invasivo, la direzione dello sguardo del soggetto che vi è posto davanti. Attraverso questo dispositivo è stato possibile condurre numerose ricerche in ambiti diversi, dal marketing, alle neuroscienze, alla psicologia. Riuscire a capire come un bambino con disturbo della condotta esplora gli stimoli emozionali, è un ottimo inizio per arrivare a comprendere come tali stimoli vengano processati e come si generi la risposta comportamentale. Lo studio che verrà presentato in questo elaborato si è proposto di valutare proprio questo primo momento del processo, analizzando, mediante l’eye tracker, l’esplorazione di fotografie di volti che esprimono emozioni diverse, da parte di bambini con disturbo della condotta. In un secondo momento verrà analizzata separatamente la presenza di elevati o bassi tratti calloso-anemozionali, in modo da poter definire l’influenza che essi hanno sul processamento delle emozioni di base.

(6)

6

1. I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO IN ETA’ EVOLUTIVA

Sempre maggiore attenzione viene data ai disturbi del comportamento in età evolutiva, viste le ampie implicazioni che hanno a livello familiare, scolastico e sociale. Con la nuova classificazione del DSM-5 il disturbo da deficit di attenzione e iperattività è stato inserito nella categoria dei disturbi del neurosviluppo, mentre il disturbo oppositivo-provocatorio (DOP) e il disturbo della condotta (DC) sono stati inseriti nei disturbi dirompenti, del controllo degli impulsi e della condotta. Questa categoria comprende inoltre il disturbo esplosivo intermittente, il disturbo di personalità antisociale, la piromania, la cleptomania e i disturbi da comportamento dirompente, del controllo degli impulsi e della condotta con altra specificazione o senza specificazione (APA, 2014); tutti disturbi caratterizzati dalla mancanza di controllo del proprio comportamento o delle proprie emozioni e dalla violazione più o meno marcata dei diritti altrui o delle norme sociali.

1.1 Il disturbo oppositivo-provocatorio

È un disturbo caratterizzato da un comportamento frequentemente collerico/irritabile, polemico/provocatorio o vendicativo, in più ambienti (la pervasività del disturbo è un indice della sua gravità). Questo tipo di comportamento è comune tra fratelli, perciò dovrà essere riscontrato anche in altri contesti. Inoltre non è raro che i bambini in età prescolare presentino scoppi di ira, si considererà tale eccesso come sintomatico solo se inserito in un quadro problematico che includa altri dei sintomi sotto elencati, se la durata e la frequenza sono quelle descritte dal DSM-5 e se il livello di compromissione derivante da essi è alto. Spesso questi comportamenti disturbati vengono vissuti come egosintonici, poiché giustificati dalla reazione a situazioni sociali o relazionali. Frequentemente il disturbo oppositivo-provocatorio si presenta in comorbidità con il disturbo da deficit d’attenzione e iperattività o con il disturbo della condotta. La prevalenza è stimata intorno al 3,3%, con una maggiore frequenza di espressione nei maschi rispetto alle femmine nel periodo pre-adolescenziale.

I criteri diagnostici del DSM-5 sono:

A. Un pattern di umore collerico/irritabile, comportamento polemico/provocatorio o vendicativo che dura da almeno 6 mesi evidenziato dalla presenza di almeno 4 sintomi di qualsiasi tra le seguenti categorie, e manifestato durante l’interazione con almeno un individuo diverso da un fratello.

(7)

7 1. Va spesso in collera.

2. È spesso permaloso/a o facilmente contrariato/a. 3. È spesso adirato/a e risentito/a.

Comportamento polemico/provocatorio:

4. Litiga spesso con figure che rappresentano l’autorità o, per i bambini e gli adolescenti, con gli adulti.

5. Spesso sfida attivamente o si rifiuta di rispettare le richieste provenienti da figure che rappresentano l’autorità o le regole.

6. Spesso irrita deliberatamente gli altri.

7. Spesso accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo comportamento. 8. È stato/a dispettoso/a o vendicativo/a almeno due volte negli ultimi 6 mesi. Nota: la persistenza e la frequenza di questi comportamenti dovrebbero essere usate per distinguere un comportamento che è entro i limiti della normalità da quello che rappresenta un sintomo. Per i bambini di età inferiore ai 5 anni, il comportamento deve verificarsi quasi tutti i giorni per un periodo di almeno 6 mesi, se non diversamente specificato (Criterio A8). Per gli individui di 5 anni o maggiori, il comportamento dovrebbe verificarsi almeno una volta alla settimana per almeno 6 mesi, se non diversamente specificato (Criterio A8). Mentre questi criteri forniscono indicazioni sul livello minimo di frequenza per definire i sintomi, anche altri fattori devono essere considerati, come per esempio se la frequenza e l’intensità dei comportamenti sono al di fuori dei limiti considerati normali per il livello di sviluppo, il genere e la cultura dell’individuo.

B. L’anomalia del comportamento è associata a disagio dell’individuo o di altre persone nel suo immediato contesto sociale (per es. famiglia, coetanei, colleghi di lavoro), oppure ha un impatto negativo sul funzionamento in ambito sociale, educativo, lavorativo o in altre aree importanti.

C. I comportamenti non si manifestano esclusivamente durante il decorso di un disturbo psicotico, da uso di sostanze, depressivo o bipolare. Inoltre, non vengono soddisfatti i criteri per il disturbo da disregolazione dell’umore dirompente.

Specificare la gravità attuale:

Lieve: i sintomi sono limitati a un unico ambiente (per es. a casa, a scuola, a lavoro, con i coetanei).

Moderata: alcuni sintomi sono presenti in almeno due ambienti. Grave: alcuni sintomi sono presenti in tre o più ambienti.

(8)

8 1.2 Il disturbo della condotta

Bambini con disturbo della condotta si caratterizzano per comportamenti di violazione dei diritti altrui o delle principali norme sociali che causano compromissione significativa del funzionamento in più ambiti. Il ricorso all’uso della violenza, in modo più o meno dannoso per gli altri, è frequente, sia come reazione alle situazioni percepite come avverse, che come mezzo per ottenere i propri fini. Violazione di proprietà, furto, violenza su persone o animali, comportamenti sessuali a rischio o coercitivi, distruzione di cose, incendi, allontanamento da casa o marinare la scuola, sono tutti comportamenti che possono essere manifestati con gravità variabile da bambini o adolescenti con questo tipo di disturbo, in relazione all’età del soggetto. Questa disregolazione si associa spesso ad abuso di sostanze, soprattutto nelle femmine, o, con esiti prognostici peggiori, a disturbo da deficit d’attenzione e iperattività e disturbo oppositivo-provocatorio. Con minore frequenza è in comorbidità con disturbo specifico dell’apprendimento, disturbi d’ansia, depressione o disturbo bipolare. La prevalenza si attesta intorno al 4% con una probabilità maggiore di interessamento per il sesso maschile. L’esordio è tipico tra la media infanzia e la media adolescenza, la sua precocità si associa ad una prognosi peggiore, ed è raro dopo i 16 anni; spesso infatti il disturbo regredisce con l’età adulta. Non è invece raro che i soggetti con questo disturbo entrino in contatto con il sistema della giustizia penale, che vengano allontanati da scuola o addirittura dalla famiglia, che si trovino di fronte a gravidanze indesiderate o che abbiano problemi di salute legati a comportamenti eccessivi, come il fumo o l’uso di droghe.

I criteri del DSM-5 sono:

A. Un pattern di comportamento ripetitivo e persistente in cui vengono violati i diritti fondamentali degli altri oppure le principali norme o regole sociali appropriate all’età, che si manifesta con la presenza nei 12 mesi precedenti di almeno tre dei seguenti 15 criteri in qualsiasi fra le categorie sotto indicate, con almeno un criterio presente negli ultimi 6 mesi:

Aggressione a persone e animali

 Spesso fa il/la prepotente, minaccia o intimorisce gli altri.

 Spesso da il via a colluttazioni.

 Ha usato un’arma che può causare seri danni fisici ad altri (per es. un bastone, un mattone, una bottiglia rotta, un coltello, una pistola).

(9)

9

 È stato/a fisicamente crudele con gli animali.

 Ha rubato affrontando direttamente la vittima (per es. aggressione, scippo, estorsione, rapina a mano armata).

 Ha costretto qualcuno ad attività sessuali. Distruzione della proprietà

 Ha deliberatamente appiccato il fuoco con l’intenzione di causare seri danni.

 Ha deliberatamente distrutto proprietà altrui (in modo diverso dall’appiccare il fuoco).

Frode o furto

 È penetrato/a nell’abitazione, nel caseggiato o nell’automobile di qualcun altro.

 Spesso mente per ottenere vantaggi o favori o per evitare dei doveri (cioè raggira gli altri).

 Ha rubato articoli di valore senza affrontare direttamente la vittima (per es. furto nei negozi, ma senza scasso; contraffazione).

Gravi violazioni di regole

 Spesso, già prima dei 13 anni di età, trascorre la notte fuori, nonostante le proibizioni dei genitori.

 Si è allontanato/a da casa di notte almeno due volte mentre viveva nella casa dei genitori o di chi ne faceva le veci, o una volta senza ritornare per un lungo periodo.

 Spesso, già prima dei 13 anni di età, marina la scuola.

B. L’anomalia del comportamento causa una compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.

C. Se l’individuo ha 18 anni o più, non sono soddisfatti i criteri di disturbo antisociale di personalità.

Specificare quale:

312.81 (F91.1) Tipo con esordio nell’infanzia: gli individui presentano almeno un sintomo caratteristico del disturbo della condotta prima dei 10 anni di età.

312.82 (F91.2) Tipo con esordio nell’adolescenza: gli individui non mostrano alcun sintomo caratteristico del disturbo della condotta prima dei 10 anni di età.

312.89(F91.9) Esordio non specificato: sono soddisfatti i criteri per la diagnosi di disturbo della condotta, ma non sono disponibili informazioni sufficienti per

(10)

10

determinare se l’esordio del primo sintomo si è verificato prima o dopo i 10 anni di età.

Specificare se:

Con emozioni prosociali limitate: Perché gli venga assegnato questo specificatore, un individuo deve aver mostrato in modo persistente per almeno 12 mesi e in diversi tipi di relazioni e ambienti, almeno due delle seguenti caratteristiche. Queste riflettono i tipici pattern di funzionamento interpersonale ed emotivo dell’individuo in un determinato periodo e non solo in eventi occasionali in alcune situazioni. Pertanto, per valutare i criteri dello specificatore sono necessarie più fonti di informazione. Oltre a ciò che riferisce l’individuo, è necessario prendere in considerazione le testimonianze di altre persone che sono state in contatto con lui per lunghi periodi di tempo (per es. genitori, insegnanti, colleghi, altri parenti, coetanei).

Mancanza di rimorso o senso di colpa: Non prova rimorso o senso di colpa quando compie qualcosa di sbagliato (escludere il rimorso se questo viene espresso solo dall’individuo in arresto e/o messo di fronte a una punizione). L’individuo mostra una generale mancanza di preoccupazione per le conseguenze negative delle sue azioni. Per esempio, l’individuo non è pentito dopo aver ferito qualcuno o non si preoccupa delle conseguenze derivanti dall’infrangere le regole.

Insensibilità-mancanza di empatia: Disprezza ed è incurante dei sentimenti degli altri. L’individuo è descritto come freddo e indifferente. Appare preoccupato più per gli effetti che le sue azioni hanno su di lui che per quelli sugli altri, anche quando comportano un grave danno per gli altri.

Indifferenza per i risultati: Non mostra preoccupazione per lo scarso/problematico rendimento a scuola, a lavoro o in altre attività importanti. L’individuo non mette l’impegno necessario per una buona riuscita, anche quando le aspettative sono chiare, e tipicamente incolpa gli altri per i suoi scarsi risultati.

Affettività superficiale o anaffettività: Non esprime sentimenti né mostra emozioni verso gli altri, se non in modi che sembrano poco profondi, insinceri o superficiali (per es. le azioni contraddicono l’emozione mostrata; può ”accendere” o “spegnere” in fretta le proprie emozioni) o usando espressioni emotive per il proprio vantaggio (per es. emozioni mostrate per manipolare o intimidire gli altri).

(11)

11

Lieve: Pochi o nessun problema di condotta oltre a quelli richiesti per porre la diagnosi, e questi problemi causano agli altri danni relativamente minori (per es. bugie, assenze ingiustificate, stare fuori fino a tardi senza permesso, altre infrazioni delle regole).

Moderata: Il numero dei problemi di condotta e i loro effetti sugli altri sono intermedi tra quelli definiti “lievi” e quelli “gravi” (per es. rubare senza affrontare direttamente la vittima, vandalismo).

Grave: Numerosi problemi di condotta oltre a quelli richiesti per porre la diagnosi, oppure questi problemi causano danni notevoli agli altri (per es. sesso forzato, crudeltà fisica, uso di armi, rubare affrontando direttamente la vittima, furto con scasso).

1.3 I tratti di personalità callous-unemotional (CU)

I bambini con disturbi del comportamento sono un gruppo estremamente eterogeneo, la ricerca nell’ambito della psicopatia ha permesso di evidenziare un sottogruppo omogeneo di bambini con disturbo della condotta caratterizzati da tratti di personalità psicopatici o calloso-anemozionali (Frick & Ellis, 1999). Essi sono caratterizzati da scarsa empatia o senso di colpa, freddezza emotiva, superficialità, anaffettività, incapacità di provare rimorso, non curanza delle proprie prestazioni; come descritto nel DSM 5 (APA, 2014). Essi manifestano una forma di aggressività strumentale “fredda” (pro-attiva), veicolata dal desiderio di dominare gli altri e perseguire i propri scopi, differentemente dai soggetti con disturbo della condotta e bassi tratti calloso-anemozionali che sono caratterizzati da un’aggressività “calda” reattiva, più impulsiva.

Questi tratti sembrano essere associati ad un’eziologia geneticamente determinata, hanno un esordio precoce, risultano meno sensibili alle strategie educative e si sviluppano con una prognosi più sfavorevole. Infatti i bambini con tratti calloso-anemozionali presentano uno specifico temperamento, fearless o low temperamental fear, caratterizzato da ridotta sensibilità alle punizione e ai segnali di distress (Pardini & Frick, 2013), dalla ricerca della novità e da interesse in attività pericolose (Frick et al., 2014). Sembrano esperire bassi livelli di deviation anxiety (Kochanska, 1991), ovvero non provano quelle sensazioni spiacevoli che dovrebbero seguire un comportamento inadeguato o una punizione. Il temperamento fearless si associa quindi ad alterazioni dello sviluppo della coscienza e rende i bambini meno responsivi a qualsiasi tecnica di socializzazione basata sulla punizione o sugli stimoli negativi, favorendo lo sviluppo di precoci problemi della

(12)

12

condotta con comportamenti delinquenziali in giovane età (Frick & White, 2008). Generalmente questi tratti rimangono stabili, determinando condotte antisociali anche in età adulta (Frick et al., 2014), soprattutto se si verifica la presenza di molteplici dei fattori di rischio elencati precedentemente.

Dal punto di vista neuropsicologico è stato riscontrato che i soggetti con elevati tratti CU presentano diverse alterazioni funzionali cerebrali: l’amigdala risulta meno attivata in risposta a stimoli paurosi (Jones et al., 2009); la corteccia prefrontale ventromediale ha una risposta anormale alla punizione (Finger, Marsh, & Mitchell, 2008); la corteccia orbitofrontale e il caudato hanno una minor attivazione di fronte ai rinforzatori (Finger et al., 2011). Da studi di risonanza magnetica emerge come questi soggetti presentino anomalie strutturali a livello della sostanza grigia e della sostanza bianca cerebrale in aree sovrapponibili a quelle dei soggetti psicopatici (Gao et al., 2009).

1.4 I fattori eziologici

Gli elementi che entrano in gioco nel determinare il rischio di sviluppare comportamenti antisociali nel bambino sono molteplici, ma nessuno di essi è determinante di per sé. L’azione di ciascun fattore di rischio viene mediata dall’interazione con gli altri fattori sia di rischio che modulatori o protettivi: dalla specifica interrelazione di tutti questi deriverà il comportamento del bambino. Essi possono appartenere a diversi contesti: da quello familiare, a quello temperamentale e biologico, da quello abitativo, a quello del gruppo dei pari o a quello della regolazione emotiva e cognizione sociale.

1.4.1 Fattori genetici e biologici

L’impulsività è un aspetto fondamentale di questi disturbi, insieme all’aggressività. Entrambe le dimensioni hanno una forte componente biologica: alterazioni a livello del sistema dopaminergico, noradrenergico e serotoninergico, sia direttamente, attraverso alterazioni di geni che codificano per i trasportatori e per i recettori dei neurotrasmettitori; che indirettamente, attraverso l’alterazione di geni che interessano gli enzimi che dovrebbero degradarli, come le monoammino ossidasi (MAO) e le catecol-O-metiltransferasi (COMT). Ciascuno di questi fattori correla con lo sviluppo di comportamenti impulsivi, aggressivi o antisociali, unicamente in presenza di fattori ambientali negativi scatenanti, come l’abuso, l’abbandono o la violenza in età precoce come previsto dal modello diatesi-stress (Caspi et al., 2002) e deve essere considerato nell’ottica di un’interazione “geni x ambiente” (Mendes et al., 2009).

(13)

13

Il polimorfismo del gene 5-HTTLPR che codifica per il trasportatore della serotonina correla con alti livelli di impulsività se si ha l’espressione dell’allele “s” (short), rispetto all’allele “l” (long). 5-HTTLPR-s determina una diminuzione nella trasmissione della serotonina, con conseguente incremento dell’attività dell’amigdala e della reattività agli stimoli negativi. Il soggetto si presenta così in uno stato di ipervigilanza che lo porta ad un’interpretazione negativa di stimoli anche neutri ai quali reagisce con comportamenti disadattivi (Hariri et al., 2002). Alcuni autori hanno sottolineato il ruolo svolto da 5-HTTLPR-l come fattore di rischio nella genesi dei tratti callous-unemotional (CU), (Sadeh et al., 2010), il quale si associa ad una minore attivazione dell’amigdala (Munafo, Brown & Hariri, 2008). Anche l’espressione del gene che codifica per le MAO-A (monoammino ossidasi di tipo A) è implicata nella modulazione del livello di serotonina: l’attività di questo tipo di enzima è legata all’inattivazione dei neurotrasmettitori amminergici, in particolare della serotonina. Un individuo che presenti la variante genotipica L (low) delle MAO-A ha maggiori probabilità di sviluppare un comportamento violento mediato dall’aumento corticale della serotonina. Questo determina ipersensibilità di fronte ad esperienze sociali negative e un incremento dell’aggressività in seguito a provocazione (Pellegrini & Pietrini, 2010). Il polimorfismo del gene che codifica per il recettore D4 della dopamina che presenta 7 ripetizioni determina una disregolazione del circuito legato alla gratificazione: il soggetto va alla continua ricerca di nuove sensazioni ed è più facilmente impulsivo, aumentando il rischio di comportamenti violenti o di iperattività (Pellegrini & Pietrini, 2010). Infine la sostituzione dell’allele Valina con l’allele Metionina nel gene che codifica per l’enzima COMT, implicato insieme alle MAO nella degradazione delle catecolamine (dopamina, noradrenalina e adrenalina), causa un aumento della noradrenalina disponibile con conseguente attivazione dell’amigdala e inibizione della corteccia prefrontale. Ciò è associato ad una riduzione del controllo degli impulsi in favore di comportamenti aggressivi e antisociali (Charney, 2004).

Altri fattori biologici intervengono al momento della gravidanza: nella vita intrauterina si hanno potenti fattori di rischio legati ad abitudini scorrette e pericolose della madre, come la malnutrizione o l’esposizione a sostanze quali tabacco (Liu, 2004a), alcool o cocaina (Roebuck et al., 1999 ).

1.4.2 Fattori ambientali e parenting

Numerosi sono i fattori ambientali che possono avere un ruolo nella genesi di tali disturbi; tra le varie possibilità si possono evidenziare la povertà, la criminalità in famiglia, gli

(14)

14

insuccessi scolastici, un basso livello di accettazione dei pari, la residenza in luoghi ad alto tasso di criminalità. Il ruolo centrale è comunque determinato dallo stile di parenting. I genitori, infatti, svolgono un ruolo di fondamentale importanza per lo sviluppo tipico o atipico del bambino: essi rappresentano sia un fattore scatenante del disturbo, che un fattore protettivo o modulatore di altri rischi. I genitori sono i primi a fornire ai figli le competenze per le interazioni sociali, per l’espressione e la regolazione delle emozioni, per l’adozione di un comportamento adatto al contesto. Nei disturbi comportamentali in età evolutiva si possono riscontrare quadri familiari tipici: psicopatologia nei genitori, sintomi depressivi nella madre, strategie educative incoerenti o inconsistenti, eccessiva intrusività di un genitore, uno stile genitoriale coercitivo (Lambruschi & Muratori, 2013).

Il ruolo del parenting è strettamente collegato al temperamento del bambino, questi due fattori si influenzano profondamente a vicenda. Il temperamento è biologicamente determinato, innato nel bambino, e comprende il livello emozionale e di attività motoria di base, il livello di reattività agli stimoli, la tolleranza della frustrazione e la prevedibilità del comportamento (Lahey et al., 2008). Indubbiamente i bambini capaci di regolare la frustrazione facilmente riescono a relazionarsi più positivamente con la madre, che sarà anche maggiormente spinta alla ricerca dell’interazione con loro. Al contrario bambini incapaci di tollerare la frustrazione presenteranno livelli di attivazione emotiva maggiore, rendendo l’interazione più difficile e meno gratificante per la madre, che sarà meno propensa a ricercarla (Lambruschi & Muratori, 2013). Fin dalla nascita i genitori provvedono alla soddisfazione dei bisogni primari del piccolo, insegnandogli progressivamente a gestire il proprio comportamento e distress emotivo. La relazione positiva con la madre è un fattore necessario perché questo “passaggio” di competenze avvenga in modo adattivo: madri responsive e sensibili cercano di aiutare i figli nello sviluppo di strategie regolatorie e socialmente appropriate; madri invadenti o ostili invece possono contribuire ad aumentare la frustrazione e l’attivazione emotiva disregolata (Degnan et al. 2008). Spesso però proprio il comportamento disregolato dei bambini porta all’istaurarsi di relazioni coercitive, punitive o rifiutanti che determinano un incremento dei sintomi. Uno studio longitudinale di Lahey et al. (2008) ha evidenziato come fin dal primo anno di vita si possano individuare fattori temperamentali del bambino e di comportamento materno che correlano positivamente con lo sviluppo di problemi di condotta. Lahey individua due componenti temperamentali con alto valore prognostico: il livello di attività-agitazione e la prevedibilità. Un temperamento difficile (alta attività-agitazione e poca prevedibilità) predispone allo sviluppo di disturbi comportamentali, mentre un

(15)

15

temperamento facile (bassa agitazione e alta prevedibilità) ne è un fattore protettivo, come lo è la stimolazione cognitiva materna. Nel caso della stimolazione non è chiaro se l’effetto modulatore sia diretto sul comportamento del bambino oppure mediato dall’effetto della facilitazione dell’acquisizione di abilità linguistiche. Appare evidente la necessità di lavorare sullo stile di parenting nell’ambito del trattamento di questi disturbi anche se è stata dimostrata un’efficacia ridotta di questi interventi in bambini con elevati tratti calloso-anemozionali (Caldwell et al. 2012, Haas et al. 2011): uno stile genitoriale caratterizzato da affetto e calore sembra in alcuni casi associarsi ad un calo dei tratti calloso-anemozionali (Pardini et al., 2007), mentre uno stile incoerente e rigido ne favorisce l’aumento (Frick, Kimonis et al., 2003).

Esistono evidenze dell’impatto dello status socioeconomico (SSE) sullo stile di parenting e sulle condizioni di crescita del bambino: un basso status correla maggiormente con l’evoluzione di disturbi della condotta mentre un alto status consentirebbe maggiori opportunità di ricevere stimoli essendo verosimilmente un ambiente arricchito (Bornstein et al., 2003). L’effetto dello SSE potrebbe anche essere mediato dall’effetto del contesto abitativo: un contesto sub-urbano o con una forte componente delinquenziale può contribuire allo sviluppo di comportamenti aggressivi soprattutto se si aggiunge a famiglie poco presenti o non supportive. In tal caso i bambini vengono lasciati molto più a lungo liberi di stare fuori casa, spesso senza la supervisione di un adulto, esponendoli ad eventuali situazioni diseducative. Contesti di criminalità, bassi livelli di coesione sociale o povertà a livello del quartiere influenzeranno inevitabilmente la condotta dei ragazzi che vi abitano, favorendo lo sviluppo di comportamenti aggressivi, soprattutto di tipo proattivo (Fite et al., 2009).

È ormai evidente che l’esposizione alla violenza genera l’apprendimento di violenza (Mendes et al., 2009): uno stile di parenting punitivo determina un aumento dell’ipervigilanza con l’aspettativa di trovare negli altri segni di minaccia (Pardini & Frick, 2013) con conseguente difficoltà nella regolazione emotiva. Al contrario una disciplina inconsistente non permette al bambino di poter apprendere alcun tipo di strategia, dal momento che non si hanno modelli a cui fare riferimento.

1.4.3 Fattori protettivi e moderatori

Le abilità linguistiche si sono rivelate un ottimo predittore per l’evoluzione dei disturbi evolutivi, appartenenti sia allo spettro internalizzante che esternalizzante. In particolare è stato dimostrato che l’effetto sui disturbi del comportamento è indipendente da altri fattori

(16)

16

e si somma agli effetti delle variabili individuali, come sesso, etnia, status socioeconomico e abilità in altri domini accademici (Petersen et al., 2013). Questa correlazione è legata alla capacità del linguaggio interno di migliorare le abilità di problem solving, in quanto consente di riflettere e di analizzare le alternative comportamentali prima di agire, ed alla sua potente funzione di regolatore emotivo. Al contrario le scarse abilità linguistiche interferiscono con la socializzazione e rendono più difficile l’espressione dei propri bisogni elicitando una risposta genitoriale coercitiva. Infine è emersa una relazione tra capacità attenzionali e linguistiche che risulta critica per lo sviluppo di questi disturbi.

Il gruppo dei pari è un’altra importante risorsa per lo sviluppo tipico del bambino: può modulare l’effetto negativo di altri fattori se ho una relazione positiva; oppure precipitare situazioni già compromesse. L’accettazione dei pari può agire come moderatore tra l’effetto negativo di famiglie problematiche e l’evoluzione di un disturbo vero e proprio: i bambini che hanno una vasta rete di amicizie (che comprenda anche persone adulte da usare come riferimento in sostituzione del genitore) e un’interazione positiva con i pari tendono ad essere più “resilienti” nei confronti delle esperienze negative avute in famiglia (Criss et al., 2002). La relazione coi pari è influenzata molto anche dal temperamento preesistente del bambino, che può creare difficoltà relazionali sia con la famiglia che con gli altri: un bambino con disturbi dirompenti del comportamento si troverà spesso ad essere rifiutato dai pari per il suo modo di agire impulsivo e spesso aggressivo, questo peggiorerà ancora il problema, impedendogli di acquisire modalità di relazione corrette. Quando poi entrerà nel periodo adolescenziale tenderà ad interagire con altri ugualmente devianti, ottenendo addirittura un rinforzo dai pari per le proprie disregolazioni (Pardini et al., 2006).

Il senso di colpa e lo sviluppo dell’effortful control sono altri fattori che inibiscono le condotte distruttive (Kochanska et al., 2009). Il primo è definito come l’attivazione emozionale, percepita come negativa, che si ha in seguito ad una trasgressione ed è collegato all’attività autonomica e dell’amigdala; il secondo è invece la capacità di inibire e controllare volontariamente il proprio comportamento, ed è collegato ad aree prefrontali come il cingolato anteriore. È stato dimostrato che l’inibizione dei comportamenti disadattavi è operata in primo luogo dal senso di colpa, con un’attivazione emozionale automatica e involontaria, come previsto dalla teoria dei marcatori somatici di Damasio (Damasio, 1995). In secondo luogo, solo se i meccanismi emozionali predisposti geneticamente sono inefficaci, ho l’uso del meccanismo inibitorio esecutivo (Kochanska et al., 2009) che comporta una serie di valutazioni cognitive sulle conseguenze della

(17)

17

trasgressione, il richiamo delle regole imparate e la valutazione delle alternative. Ne consegue che i bambini che provano senso di colpa più raramente manifesteranno disturbi del comportamento, mentre tra quelli che non ne sono influenzati, l’inefficacia dell’effortful control rappresenti un forte fattore predittivo dell’evoluzione di un disturbo. Questo fattore risulta particolarmente importante nel caso di bambini che presentano elevati tratti calloso-anemozionali.

1.4.4 Il ruolo dell’aggressività

L’aggressività è una caratteristica saliente in questo tipo di disturbi. Definita come la generazione di un comportamento che causi un danno fisico o psicologico a qualcun altro (Mendes et al., 2009), oppure come l’insieme di comportamenti fisici o verbali che causino o minaccino di causare un danno a qualcuno (Liu, 2004b), è un comportamento comune nell’età prescolare. Compare intorno ai 3 anni e mezzo, manifestandosi con morsi, calci e colpi (Staniloiu & Markowitsch, 2012); regredisce poi con l’ingresso a scuola e col tempo, grazie anche allo sviluppo della corteccia prefrontale e delle capacità di autocontrollo (Degnan, 2008), all’aumento delle competenze sociali e all’acquisizione delle facoltà linguistiche (Staniloiu & Markowitsch, 2012).

Si possono distinguere fondamentalmente due manifestazioni dell’aggressività legate a caratteristiche personali, situazionali e di espressione profondamente diverse: una di tipo reattivo o una di tipo proattivo. L’aggressività di tipo reattivo o emotivo è legata ad una “provocazione”, è espressa in risposta ad una situazione sperimentata come minacciosa o come offensiva da parte del bambino, ed è legata a meccanismi di incapacità di inibizione e di organizzazione del comportamento; è quella tipica dei bambini con disturbo oppositivo-provocatorio o disturbo della condotta. Questo discontrollo emotivo è vissuto negativamente dal bambino che avrà maggiori probabilità di sviluppare disturbi d’ansia o depressione (Mathias et al., 2007). Il tipo proattivo o strumentale è invece legato ad una premeditazione dell’azione aggressiva, per conseguire scopi o obiettivi personali attraverso la coercizione degli altri. Infatti implica alti livelli di competenza sociale che permettono ai bambini di prevedere e sfruttare le reazioni altrui per ottenere vantaggi ed è legata principalmente a meccanismi deficitari a livello di empatia e senso di colpa. Pertanto è tipicamente espressa dai bambini con disturbo della condotta e tratti calloso-anemozionali. I deficit a livello delle funzioni cognitive sono strettamente correlati con il comportamento antisociale (Ellis et al., 2009) in quanto sono presenti distorsioni nella valutazione e nel processamento delle informazioni sociali, con biases nel recupero delle

(18)

18

informazioni e nell’interpretazione degli eventi. Le ricerche hanno dimostrato che l’aggressività reattiva è legata ad uno stile attributivo ostile e ad un numero limitato di possibilità pensate nel problem solving (Ellis et al., 2009); quella proattiva sembra invece interessare altri tipi di meccanismi, come una ridotta empatia o un alterato sviluppo morale. Le difficoltà cognitive dei bambini con aggressività di tipo reattivo si evidenziano per un alto livello di comportamenti ostili che appaiono come automatici, incontrollabili e che causano un rifiuto da parte dei pari e fenomeni di vittimizzazione (Mathias et al., 2007).

Il trattamento dei comportamenti aggressivi è un nodo centrale per la cura dei disturbi della condotta e da comportamento dirompente, è importante perciò distinguere il tipo di aggressività mostrata dal bambino per poter definire al meglio un programma di intervento mirato.

(19)

19 2. IL PROCESSAMENTO EMOZIONALE

Il termine “processamento emozionale” si riferisce ad una graduale diminuzione dell’attivazione emotiva in risposta ad uno stimolo elicitante (Dolan, 2002). Rachman lo definisce come “un processo mediante il quale i disturbi emozionali sono assorbiti o ripiegati in modo che le altre esperienze e comportamenti possano procedere senza interruzioni” (Rachman, 1980); il processamento emozionale viene evidenziato, quindi, da un’alterazione del comportamento causata da un emozione. Questa definizione sottolinea solamente l’aspetto oggettivo, visibile e quantificabile, ignorando l’aspetto cognitivo, che è un elemento cruciale. Con il termine processamento si intendono, infatti, tutti quei processi e meccanismi psicologici che consentono di convertire uno stimolo sensoriale in uno stato mentale con un significato: sono coinvolti tutti i meccanismi cognitivi, fisiologici e neurologici tramite cui le reazioni emozionali attivanti vengono convertite in reazioni non attivanti. Rachman evidenziò come il non completamento di questi processi conducesse allo sviluppo di problematiche comportamentali o disturbi come le ossessioni, i disturbi del sonno, i flashbacks, le fobie e le allucinazioni; ma notò anche che “la maggior parte delle persone è fortunatamente capace di elaborare la maggioranza degli eventi disturbanti che capitano nella loro vita” (Rachman, 1980, p. 51). Infatti i soggetti che non sono capaci di “assorbire” il perturbamento causato dall’emozione tenderebbero a operare ad un livello di arousal costantemente elevato, con intrusioni delle emozioni nelle loro attività. Questo renderebbe difficile il proseguimento della propria routine. I fattori che possono influenzare il processamento sono le credenze personali, la valutazione dell’evento e gli schemi della persona: errori nell’interpretazione o credenze sbagliate possono ostacolare il processo; valutazioni accurate e credenze corrette possono facilitarlo (Rachman, 2001). Come evidenziato anche nel modello eziopatogenetico dei disturbi dirompenti di Lochman e Wells i fattori cognitivi svolgono un ruolo fondamentale di modulazione del comportamento: la risposta comportamentale appare determinata dalla relazione tra valutazione cognitiva del problema, lo sforzo per pensare a possibili soluzioni e l’attivazione fisiologica del bambino (Lochman & Wells, 2002).

2.1 I processi cognitivi coinvolti nel processamento emozionale

Le emozioni rappresentano un fenomeno psicofisiologico determinato da stimoli interni o esterni rilevanti. L’attivazione che ne deriva promuove la mobilitazione di risorse attentive e cognitive per generare una risposta adattativa. Tale processo richiede una

(20)

20

categorizzazione dello stimolo in base alla sua valenza, positiva o negativa, e una conseguente attivazione di comportamenti verso lo stimolo (approccio, acquisizione, consumo) oppure via da lo stimolo (evitamento, fuga, rifiuto, repulsione) (Cacioppo et al., 1993). Non è pertanto possibile separare i processi cognitivi-attentivi da quelli emozionali, seppure i substrati neurali da cui originano siano diversi è evidente la loro connessione ed integrazione.

Per quanto riguarda i processi cognitivi, il modello di Lazarus (Lazarus & Folkman, 1984) consente di descrivere la valutazione o appraisal dello stimolo. Essa è articolata in due step: la valutazione primaria, che comprende la categorizzazione, l’attribuzione e la percezione del problema come tale (stress percepito); e quella secondaria, che riguarda la pianificazione della propria risposta al danno che è stato percepito, in base alle proprie risorse di coping (controllo percepito). Il neuropsicologo LeDoux (1987) conferma l’esistenza di una trasformazione dello stimolo antecedente all’esperienza emotiva (Lazarus, & Folkman, 1984), ma non la considera frutto di un’elaborazione cognitiva consapevole. Pertanto vi integra la teoria di Zajonc (1980), secondo cui il processamento di stimoli rilevanti affettivamente è il frutto di un’elaborazione a livello subcorticale e quindi non consapevole. In particolare, LeDoux ha ipotizzato l’esistenza di due processi separati: quelli cognitivi di valutazione, a livello corticale, e quelli di elaborazione precoce dell’informazione emozionale, che corrisponderebbero ad elaborazioni affettive compiute dall’amigdala in modo inconsapevole (LeDoux & Phelps, 1993). L’elaborazione delle informazioni sociali risente anche dell’influenza degli schemi che caratterizzano ogni individuo. Lo schema è il modo in cui il soggetto costruisce attivamente le proprie esperienze e percezioni, è un pattern coerente di pensiero che organizza le nostre conoscenze, è il centro dell’interpretazione degli eventi che comprende credenze e biases (De Rubeis & Beck, 1988). Più uno schema è rigido e radicato, più si dimostra essere causa di patologia: la flessibilità e la capacità di variare il proprio pensiero sono fondamentali per adattarsi.

2.2 Lo sviluppo della morale

La conoscenza dei meccanismi e delle tappe della formazione della moralità, oltre che dei fattori che la influenzano, consente di comprendere i comportamenti altrui e i propri. La morale comprende i giudizi morali e i comportamenti morali, e si sviluppa all’interno del processo di socializzazione fin dalla primissima infanzia.

(21)

21

Piaget (1932) distinse due forme di moralità diverse, una più precoce ed egocentrica, denominata realismo morale; una più legata al contesto, denominata relativismo morale. Nel realismo morale i principi morali vengono considerati rigidi, immutabili e validi in virtù dell’autorità che li ha imposti, tipicamente il genitore. I comportamenti vengono giudicati giusti o sbagliati mediante il confronto con questi principi e in base alle capacità dell’autorità di farli rispettare, sanzionando le trasgressioni. Nel relativismo morale, invece, divengono cruciali l’intenzione e il ruolo del contesto: ciascun principio deriva la propria correttezza dal consenso che ottiene in quel contesto ed è pertanto modificabile. Inoltre, Piaget evidenzia come una vita sociale che soddisfi i bisogni di simpatia e cooperazione, favorisca nel bambino una morale fondata su reciprocità e obbedienza: l’esperienza con il gruppo dei pari favorisce infatti lo sviluppo del senso di giustizia. Nel realismo morale la giustizia è immanente, ovvero è una conseguenza naturale e necessaria alla trasgressione: i bambini ne fanno esperienza con le punizioni usate dai genitori. Con il relativismo morale, la sanzione assume un carattere riparatorio del danno e la spinta al rispetto delle regole è maggiormente legata all’osservanza di un obbligo reciproco.

Kolhberg (1976) elabora una teoria stadiale più ampia, che comprende anche l’età adulta, con una maggiore definizione dei criteri di ogni stadio: lo sviluppo della morale si basa su acquisizioni nello sviluppo cognitivo che risultano necessarie ma non sufficienti per la formazione di un giudizio morale. Egli ritiene che lo sviluppo derivi da un ampliamento della comprensione delle azioni sociali a livello cognitivo, e non da un apprendimento sociale. Nel livello preconvenzionale i bambini acquisiscono le norme in funzione dell’autorità che le ha emesse e al rischio di ricevere una punizione per la trasgressione. A livello convenzionale il rispetto dei principi morali non dipende più esclusivamente dalle conseguenze immediate dell’azione, ma assumono importanza i principi del gruppo a cui si appartiene. Successivamente, le norme sono orientate al mantenimento dell’ordine sociale. Nel livello post-convenzionale le norme derivano da un sistema di principi e valori astratti ed universali, non più legati alla società.

Nell’ambito del comportamentismo, lo sviluppo morale è stato considerato come un aspetto dell’apprendimento: l’individuo impara le norme morali attraverso l’esperienza di rinforzi positivi o di punizioni conseguenti al proprio comportamento. Assume particolare importanza la prospettiva del Social Learning: i bambini apprenderebbero i comportamenti moralmente rilevanti attraverso l’osservazione e l’imitazione di modelli e solo ad un livello di sviluppo successivo l’applicazione di questi apprendimenti dipenderebbe dal rinforzo ricevuto. Bandura (1991) considera lo sviluppo morale all’interno di un processo

(22)

22

cognitivo-sociale in cui si ha l’interazione tra fattori individuali e ambientali-contestuali. Assumono in tal modo importanza le disposizioni temperamentali in relazione con le risposte della figura di riferimento e i fattori cognitivi, come controlli interni e auto-sanzioni, che possono anticipare e prevenire comportamenti contrari ai propri modelli. Bandura (1977) ha approfondito i meccanismi che determinano la disattivazione dei controlli morali interni nel corso della socializzazione, generando un comportamento immorale: la giustificazione morale, che ristruttura cognitivamente o ideologizza la violazione; la dislocazione della responsabilità, in cui si ha l’attribuzione delle responsabilità a persone o a circostanze esterne; la diffusione della responsabilità, dove le decisioni del gruppo o le esigenze del sistema diminuiscono o eliminano le responsabilità individuali; la distorsione delle conseguenze, in cui si ha una minimizzazione o una selezione strumentale delle conseguenze positive o negative dell’atto; la svalutazione, realizzata attraverso il biasimo o la negazione di caratteristiche umane di altre persone. 2.2.1 L’empatia

Con il termine empatia si intende la capacità di immedesimarsi con gli stati d’animo e con i pensieri delle altre persone, sulla base della comprensione dei loro segnali emozionali, dell’assunzione della loro prospettiva soggettiva e della condivisione dei loro sentimenti (Bonino, 1994). Lo sviluppo di questa capacità si articola in più fasi nel corso dello sviluppo: dal contagio emotivo tipico dei neonati, a stadi in cui è fondamentale la componente sociale-cognitiva, fino alla consapevolezza che è l’altro a provare quell’emozione (Hoffman, 1991). Questa capacità ci consente di provare un dispiacere simpatetico, di partecipare alla sofferenza altrui senza esserne sopraffatti e promuove comportamenti di aiuto, consolazione e senso di colpa (quando ci si rende conto di essere la causa del sentimento negativo altrui). Comprendere come l’altro pensa in una determinata situazione facilita la possibilità di mettersi dal punto di vista altrui, prevederne il comportamento e regolare il proprio di conseguenza; in altre parole permette al soggetto di orientarsi all’interno del nostro ambiente sociale.

Si possono distinguere due componenti diverse dell’empatia, una affettiva ed una cognitiva. La prima corrisponde all’esperienza soggettiva delle emozioni degli altri, in cui è fondamentale la consapevolezza della separazione tra sé e l’altro, per la comprensione di ciò che si sta provando. La componente affettiva ha come substrato neurale l’insula (Bernhardt & Singer, 2012). Quella cognitiva corrisponde alla capacità di capire le

(23)

23

motivazioni degli altri, attribuendo stati mentali all’altro e identificandosi con esso. La base neurale di questa componente corrisponde alla corteccia prefrontale dorso mediale e alla giunzione temporo-parietale (Bernhardt & Singer, 2012). Inoltre, risulta fondamentale il coinvolgimento del sistema dei neuroni specchio, un gruppo di neuroni in grado di attivarsi sia quando si osserva l’altro compiere un azione finalizzata, sia quando siamo noi a compierla. Questa attività di scarica neuronale consente di avere esperienza diretta di cosa l’altro fa o prova ed è alla base del meccanismo dell’imitazione (Rizzolatti et al., 2008)

2.2.2 La teoria della mente

Il termine teoria della mente indica la capacità di attribuire stati mentali agli altri, in modo da poter capire e predire il loro comportamento (Sempio et al., 2005). Il concetto di stato mentale comprende emozioni, credenze, desideri, intenzioni e pensieri; essi vengono inferiti dai comportamenti altrui, che vengono rappresentati ed interpretati in un sistema esplicativo e unitario. Questa abilità viene acquisita nel corso dello sviluppo del soggetto, fin dai primi anni di vita, grazie ad una positiva interazione con le figure di attaccamento. In particolare è stata evidenziata l’importanza dell’attenzione condivisa, dell’imitazione facciale e del gioco di finzione (Sempio et al., 2005). Il bambino riesce a produrre modelli di rappresentazione del funzionamento di se stesso e dell’altro grazie all’interazione con l’adulto (Fonagy & Target, 2001). L’uomo è naturalmente in grado di “leggere la mente” altrui (Baron-Cohen, 1995): è capace di interpretare l’interazione tra due diverse menti mediante un linguaggio degli occhi universale, compreso da qualsiasi membro della specie umana. La teoria della mente rappresenta un elemento chiave per il social learning poiché permette di spiegare, predire e agire sul comportamento proprio e altrui. Questa capacità è alla base dell’interazione positiva e della comunicazione tra le persone, ma anche della possibilità di manipolare o mentire: quando un bambino acquisisce correttamente questa funzione è in grado di dare un senso al comportamento e prevedere le reazioni emotive che ne derivano, in relazione al contesto sociale specifico.

Le interazioni sociali appaiono come il trionfo dei moduli cognitivi automatici e dell’evoluzione della cognizione. L’alterazione di specifici moduli cognitivi che concorrono a determinare la theory of mind determina un’impoverimento dell’esperienza del mondo: Baron-Cohen (1995) paragona questa esperienza a quella di un individuo incapace di percepire i colori. Nei casi più gravi, l’assenza di questa capacità può determinare lo sviluppo di un disturbo dello spettro autistico (Baron-Cohen et al., 1985).

(24)

24

La teoria della mente si sviluppa a partire dalla capacità di percepire gli stati emotivi altrui e da essa deriva anche l’abilità di ragionare sugli stati mentali degli altri. Questa evoluzione avviene con il passaggio dall’attivazione di regioni sottocorticali, filogeneticamente più antiche, a quella delle cortecce frontali, in particolare quella orbitofrontale e quella cingolata anteriore. È stato dimostrato come senza lo sviluppo di questa abilità di base, e l’integrità delle aree che ne sono il substrato, lo sviluppo della teoria della mente sia ritardato e più soggetto ad errori di attribuzione (Shaw et al., 2004). L’integrità delle strutture sottocorticali, in particolare dell’amigdala, appare quindi una condizione necessaria, ma non sufficiente, per la corretta maturazione delle funzioni cognitive superiori.

2.3 Fattori che influenzano lo sviluppo morale ed il processamento emozionale

Lo sviluppo della morale è un processo che risente dell’influenza di molti fattori, sia interni che esterni al bambino, e che inizia a delinearsi precocemente. Il processamento emozionale comprende tutti i processi cognitivi, attenzionali, fisiologici ed affettivi che entrano in gioco di fronte ad uno stimolo elicitante, pertanto risulta fondamentale per capire come i soggetti rispondono all’ambiente. Le emozioni sono eventi psicofisiologici che influenzano il nostro comportamento rendendo alcune attività desiderabili e altre spiacevoli, in relazione alla ricompensa o alle conseguenze più o meno piacevoli che ne derivano (Dolan, 2002). La varietà di emozioni a cui siamo sensibili varia individualmente ed è la base per lo sviluppo individuale: la capacità di processamento di tali emozioni ha infatti un forte effetto sul comportamento sociale, ed ogni alterazione di tale processo ha conseguenze negative sull’adattamento sociale.

2.3.1 Il ruolo del temperamento e del parenting

In linea con le teorie della Social Learning la morale si sviluppa nell’ambito della relazione con le figure di riferimento fin dalle prime interazioni (Bandura, 1977). Al fine di sviluppare una relazione positiva è necessario il bilanciamento delle disposizioni biologiche e temperamentali del bambino con lo stile di relazione e le strategie di parenting adottate dai genitori. Kochanska (1991) ha evidenziato due tipi di disposizioni temperamentali significative ai fini dello sviluppo della coscienza morale: il disagio affettivo e l’autocontenimento. La prima è la propensione a sviluppare arousal, a rispondere con emozioni di paura, ansia, senso di colpa o rimorso ad una trasgressione delle regole morali. L’altro è la capacità di resistere all’impulso di compiere un’azione

(25)

25

proibita o non considerabile come morale: lo sviluppo di un’attivazione spiacevole e di ansia in seguito ad una trasgressione hanno la funzione di inibire il successivo ripetersi di tale comportamento anche in assenza di punizioni esterne. La diversa disposizione temperamentale interagisce con lo stile genitoriale e l’ambiente in cui cresce il bambino determinando poi un outcome più o meno positivo. Appare evidente come entrambi i tipi di temperamento, determinati biologicamente, abbiano un impatto forte sulla capacità del bambino di processare le emozioni: nel primo caso la risposta emozionale abnorme favorirà lo sviluppo di emozioni negative prolungate e di strategie più complesse o poco funzionali per regolarsi; nel secondo caso la risposta comportamentale nei confronti dello stimolo sarà pressoché automatica, quindi non facilmente adattabile ai diversi contesti o relazioni. Nel corso dello sviluppo entreranno in gioco numerosi altri fattori che potranno favorire l’acquisizione di strategie più funzionali o precipitare questa disregolazione. Fin dalla prima infanzia appare determinante la qualità della relazione con le figure parentali: se non sono in grado di esercitare un buon controllo educativo o di favorire una comunicazione efficace ed efficiente col bambino non verranno favoriti i processi di internalizzazione delle regole morali. Questi sono fondamentali per sostituire l’imposizione da parte di autorità esterne a seguire i principi morali, con la propria volontà di non compiere trasgressioni. Il genitore deve pertanto impegnarsi nello spiegare le ragioni sottostanti al principio e al comportamento del bambino: uno stile di parenting punitivo non favorisce l’internalizzazione né la comprensione di tali principi (Fonagy & Target, 2001). Il ruolo dei genitori è quello di guidare il bambino, con il proprio esempio e con la comunicazione, in modo da promuovere lo sviluppo delle sue abilità cognitive. Le figure di riferimento forniscono i mezzi e i suggerimenti utili per aumentare l’autocontrollo e la regolazione delle emozioni, permettendo al bambino una scelta consapevole del comportamento da adottare in relazione al contesto.

2.3.2 L’influenza dei coetanei

In età prescolare inizia ad avere un ruolo importante anche il gruppo dei pari, promuovendo la cooperazione e la solidarietà tra coetanei si ha il passaggio da un’impostazione edonistica ad un orientamento verso i bisogni dell’altro (Piaget, 1972). Nell’adolescenza il ruolo dei coetanei diventa fondamentale: l’approvazione degli altri o l’appartenenza a gruppi devianti possono determinare alterazioni nello sviluppo della coscienza: le dinamiche di gruppo possono favorire la disattivazione dei controlli interni, come la diffusione della responsabilità (Bandura, 1991); oppure si possono trovare modelli

(26)

26

disfunzionali da imitare (Fonagy & Target, 2001). In questa fase appare fondamentale l’apprendimento per osservazione: osservare il rinforzo di un comportamento immorale o aggressivo compiuto da un’altra persona favorisce l’apprendimento di quello stesso comportamento (Bandura, 1977). L’imitazione degli altri ha basi biologiche innate, che rappresentano i fondamenti per lo sviluppo di comportamenti più o meno adattivi in relazione alle variabili psicologiche e sociali in cui si agisce (Rizzolatti et al.,2008). Gli altri rappresentano pertanto un importante fonte di apprendimento, di stimolazione e di regolazione dei propri processi cognitivi e emozionali.

2.3.3 Il Violent Inhibition Mechanism

Gli etologi hanno proposto l’esistenza di un meccanismo che inibisca l’aggressività di fronte all’espressione di comportamenti di sottomissione in alcune specie di animali. Blair (1995) suggerì che anche nell’uomo potesse essere presente un simile processo funzionale, un sistema di inibizione della violenza (Violent Inhibition Mechanism, VIM). Questo meccanismo cognitivo sarebbe attivato da segnali non verbali di distress e genererebbe una risposta di ritiro: Camras (1977) ha osservato come l’espressione triste o le lacrime generassero il termine del comportamento aggressivo in bambini di 4-7 anni. I segnali di distress attiverebbero automaticamente il meccanismo di inibizione della violenza in qualunque osservatore che li codifichi; in particolare ad una maggiore intensità del segnale corrisponderebbe una maggiore attivazione del VIM (Blair, 2001). Questo meccanismo interagirebbe con gli altri processi cognitivi, come le funzioni esecutive o attentive, nel determinare la risposta finale: l’attenzione posta sullo stimolo e la soglia di attivazione del VIM sarebbero determinati da esse. Quando il Violence Inhibition Mechanism viene attivato si ha un aumento dell’attività autonomica, dell’attenzione e dei sistemi di risposta a schemi comportamentali, che portano l’aggressore a ritirarsi dall’attacco. Blair (1995) suggerisce che questo meccanismo sia il prerequisito per lo sviluppo di alcuni aspetti della morale: le emozioni “morali” come il senso di colpa, il rimorso o l’empatia; l’interruzione di un’azione violenta; la distinzione tra trasgressioni morali e convenzionali. Per quanto riguarda le prime, l’ipotesi è che l’arousal indotto dall’attivazione del VIM venga interpretato come un’emozione morale spiacevole. La ripetuta associazione tra i segnali di distress e l’attivazione genera l’apprendimento, per condizionamento classico, dell’inibizione dell’aggressività: nel corso dello sviluppo, i bambini esperiscono la sofferenza altrui come spiacevole e, grazie alla socializzazione, il solo pensiero di compiere un’azione aggressiva nei confronti di un altro diventa un trigger per l’attivazione

(27)

27

del VIM. Per questo, i bambini tenderanno ad inibire i comportamenti aggressivi (Blair 1995). Infine, per quanto riguarda la distinzione fra trasgressioni morali e convenzionali, Blair (1995) sostiene che le trasgressioni morali generino un senso di avversione che può attivare il Violence Inhibition Mechanism. Le trasgressioni delle convenzioni, invece, non determinerebbero nessun sentimento avversivo, essendo definite esclusivamente dalle regole esterne dipendenti dal contesto.

Appare evidente come l’assenza o una compromissione di questo meccanismo possa avere conseguenze importanti nel processamento emozionale, determinando l’assenza delle emozioni morali e lo sviluppo di caratteristiche psicopatiche. Questi soggetti infatti, oltre a non provare rimorso o ad avere difficoltà a capire il distress della vittima, regolerebbero il proprio comportamento solo in base a regole convenzionali (Blair, 1995).

2.4 Il riconoscimento emozionale

A differenza della maggior parte dei processi psicologici, le emozioni vengono manifestate in pattern riconoscibili, specifici e stereotipati di espressioni facciali, comportamenti e attivazione autonomica (Dolan, 2002). Le emozioni forniscono la motivazione di base che guida il miglioramento, o il peggioramento, del comportamento. Esse esercitano, infatti, una forte influenza sul pensiero e sul ragionamento.

Il volto è l’elemento centrale attraverso cui viene espressa l’emozione: attraverso la contrazione di circa 50 diversi muscoli facciali siamo in grado di generare un vasto numero di espressioni, più o meno volontariamente. Questi segnali sono quelli tipicamente usati per decifrare le emozioni o le intenzioni dell’altro durante qualsiasi interazione (Fridlund, Ekman & Oster, 1987). La sua visibilità e la possibilità di generare numerosi pattern diversi di espressioni facciali, rendono il volto il mezzo principale per la comunicazione e per molti processi sociali e emozionali, come l’empatia o il comportamento pro-sociale. La capacità di “leggere” queste espressioni consente di rispondervi in maniera appropriata, e guida lo sviluppo sociale e morale del soggetto: l’identificazione delle espressioni facciali della persona con cui si interagisce è un’informazione fondamentale per regolare il proprio comportamento in modo funzionale. Deficit in tale riconoscimento possono generare, peggiorare o mantenere problemi comportamentali durante lo sviluppo. Appare evidente come il corretto riconoscimento emozionale sia il primo passo del processamento. Secondo Philips e colleghi (2003a) il processamento emozionale si articolerebbe in tre fasi: l’identificazione dei segnali importanti, l’attivazione di uno stato affettivo e di un comportamento di risposta, e la regolazione dell’arousal e del comportamento generato.

(28)

28

L’ultima fase si esplicherebbe attraverso l’inibizione dei processi attivati nelle fasi precedenti. Le informazioni necessarie per poter attivare una risposta emotiva possono derivare da diversi canali, tra cui le informazioni semantiche, la prosodia, la postura del corpo e le espressioni facciali; o molto più spesso da una combinazioni di tutti questi. Biases cognitivi nella prima fase, come quello di attribuzione ostile, possono compromettere l’intero processo. Sia il rispecchiamento empatico che l’attribuzione di stati mentali all’altro, infatti, dipendono da una corretta codifica e interpretazione dello stimolo. 2.4.1 Il riconoscimento emozionale nel corso dello sviluppo

Dal punto di vista evolutivo appare adattivo essere sensibili alla direzione dello sguardo e all’espressione degli altri, in modo da poter individuare eventuali comportamenti di attacco o di interesse (Baron-Cohen, 1995). Per quanto riguarda il riconoscimento delle espressioni facciali, la ricerca di Batki e colleghi (2000) ha dimostrato come già i neonati dimostrino una preferenza nel guardare la regione degli occhi, passando più tempo a osservare foto di volti con gli occhi aperti rispetto a foto con gli occhi chiusi. Era già stato ampiamente rilevato come i neonati avessero una preferenza verso gli stimoli face-like, ma appare interessante il dato della selettività rispetto agli occhi, così precocemente. Inoltre, è stato dimostrato come i bambini già a pochi mesi siano in grado di distinguere espressioni tristi o felici da quelle di sorpresa e di discriminare tra le diverse intensità di espressione (Nelson & De Haan, 1997). I risultati di numerosi studi hanno confermato come l’abilità nel riconoscimento migliori con l’aumentare dell’età in modo graduale, a partire da quello della felicità, a quello della tristezza e della rabbia e poi a quello di sorpresa e paura (Herba et al., 2004). Le espressioni neutre difficilmente vengono identificate correttamente (Gross & Ballif, 1991). È stato dimostrato come, crescendo, i bambini facciano sempre meno affidamento sull’esplorazione del volto in favore dell’utilizzo di cues situazionali per il riconoscimento (Hoffner & Badzinski, 1989). Inoltre, con l’aumentare dell’età, i bambini diventano sempre più coscienti e competenti rispetto al proprio vissuto emotivo e, parallelamente, divengono anche più capaci di interpretare le emozioni complesse negli altri (Izard & Harris, 1995).

2.4.2 I fattori che influenzano il riconoscimento emozionale

Numerosi fattori influenzano l’acquisizione della capacità di riconoscere le emozioni altrui in modo corretto. Nello studio di Herba & Philliphs (2004) vengono presi in considerazione: lo status socio-economico, il Quoziente Intellettivo (QI), le abilità verbali

Riferimenti

Documenti correlati

A seguito della legge sui DSA, dieci Regioni hanno emanato una propria normativa in materia (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Puglia,

Sapere come identificare le difficoltà associate a questi sintomi, che hanno un grande impatto sulla vita dei bambini con ADHD, sulle loro famiglie e nell’ambiente scolastico,

I genitori, gli insegnanti e gli stessi coetanei concordano che i ragazzi con ADHD presentano alcune difficoltà in ambito sociale, in particola- re nelle relazioni

Questa tesi esplora il mondo dell’italiano come lingua seconda negli istituti penitenziari in Italia e propone un breve percorso di apprendimento dell’italiano L2 rivolto

Il presente lavoro intende fornire una rassegna della letteratura relativa alla competenza emotiva in età evolutiva, focalizzandosi sulla capacità di produzione facciale delle

• La letteratura specialistica conferma nell’ADHD la presenza, il più delle volte, anche di difficoltà di riconoscimento e gestione efficace delle emozioni.. • In

✓ Impulsività porta la persona ad agire prima di pensare quale potrebbe essere il risultato della sua azione, ad esempio attraversare una strada trafficata senza controllare

▼ L’attività fisica può inoltre migliorare le capacità di socializzazione intesa non solo come capacità di interagire con gli altri ma come sforzo comune per