• Non ci sono risultati.

Toxoplasmosi: indagine su alcuni casi di morte acuta nei Lemuri Catta

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Toxoplasmosi: indagine su alcuni casi di morte acuta nei Lemuri Catta"

Copied!
85
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Specialistica in Medicina Veterinaria

Toxoplasmosi: indagine su alcuni casi di

morte acuta nei Lemuri catta

Candidato: Benvenuti Agnese Relatore: Prof. Poli Alessandro

Correlatore: Dott. Cavicchio Paolo

(2)

Indice

RIASSUNTO………pag. 1

ABSTRACT………..pag. 2

Capitolo 1 Toxoplasma gondii………..pag. 3

1.1 Storia e ciclo biologico……….pag. 3

1.2 Ultrastruttura……….pag.7

1.3 Vie di strasmissione………pag. 13

1.4 Epidemiologia ………...pag. 17

1.5

Genotipizzazione di T. gondii……….pag. 23

1.6

Interazione tra T. gondii ed il sistema immunitario………pag. 30

1.7 Aspetto anatomopatologico della toxoplasmosi………..pag. 37

1.8

Tecniche diagnostiche per T. gondii………pag. 40

Capitolo 2 La toxoplasmosi nei lemuri catta………pag. 44

2.1

Il Lemur catta……….pag. 44

2.2

La toxoplasmosi nei lemuri catta in cattività……….pag. 59

Capitolo 3 Scopo del lavoro………pag. 52

Capitolo 4 Materiali e metodi……….pag. 53

4.1 Sierologia………..pag.54

4.2 Istopatologia e immunoistochimica……….pag. 57

4.3 PCR e genotipizzazione………pag.58

Capitolo 5 Risultati………..pag. 59

Capitolo 6 Discussione e conclusioni……….pag. 62

BIBLIOGRAFIA………...pag. 67

RINGRAZIAMENTI………pag. 85

(3)

1

RIASSUNTO

Parole chiave: Genotipizzazione, immunoistochimica, Lemure catta, patologia, risposta immune, Toxoplasma gondii,

La toxoplasmosi acuta in forma disseminata è una malattia parassitaria ad esito fatale sostenuta da Toxoplasma gondii, frequentemente descritta nei primati del Nuovo Mondo e nei Lemuri mantenuti in cattività. Queste specie, a differenza invece dei primati del Vecchio Mondo, mostrano un'alta suscettibilità all'infezione, che si sviluppa in una forma acuta portando il soggetto al decesso, preceduto da sintomi clinici aspecifici o del tutto assenti. Lo scopo della nostra indagine è stato quello di indagare gli aspetti anatomopatologici e istopatologici rilevati in tre Lemuri Catta, deceduti al Giardino Zoologico di Pistoia e inviati al Dipartimento di Scienze Veterinarie di Pisa per l'esame autoptico, e confrontarli con quanto riportato in letteratura. È stata in seguito effettuata un'indagine sierologica, prelevando campioni di sangue da altri sette soggetti della medesima specie ospitati a Pistoia. I tre lemuri deceduti nel 2009 non hanno manifestato alcun sintomo clinico di rilievo precedente la morte, l'esame necroscopico ha evidenziato la presenza di lesioni necrotiche a carico di milza, fegato e reni, e polmonite interstiziale. Tutti e tre i soggetti sono risultati sieropositivi per gli anticorpi

anti-T.gondii. Indagini di immunoistochimica hanno consentito di evidenziare la presenza di

tachizoiti negli organi bersaglio, il cui ceppo, mediante test di genotipizzazione, è risultato essere appartenente al Tipo clonale II. Questi risultati concordano con quanto riportato in letteratura. I sette campioni di sangue prelevati nel 2017 dai soggetti vivi sono risultati negativi, a testimonianza che questi animali non sono entrati in contatto con il patogeno.

(4)

2

ABSTRACT

Key-words: Genotyping, immunohistochemistry, Ring-tailed Lemur, pathology,

immune response, Toxoplasma gondii.

Fatal acute disseminated toxoplasmosis is a paasitosis caused by Toxoplasma

gondii frequently described in captive New World Primates and in Lemurs. These

species show high sensitivity to the infection, with acute death preceded by

aspecific or absent clinic signs, unlike the Old World Primates. Our investigation

aims to compare the results obtained by the anatomo-pathological and

histopathological tests performed on three Ring-tailed Lemurs, died in the Zoo of

Pistoia and arrived to the Department of Veterinary Science of Pisa for the

necroscopy, with the cases described in literature. Moreover, blood samples were

collected from seven other ring-tailed lemurs resident in the Zoo, to conduct a

serolo-epidemiological analysis. The three lemurs died in 2009 didn't show any

signs of the disease before death, and the necroscopy demonstrated the presence

of necrotic lesions in spleen, liver and kidney, and interstitial pneumonia. All three

animals were seropositive for anti-T. gondii antibodies, and the

immunohistochemical tests showed the presence of disseminated tachyzoites in

the target organs. Furthermore, clonal Type II was identified from all Lemurs.

These results would agree with the findings reported in literature. The seven blood

samples collected in 2017 by the living ring-tailed lemurs were found negative,

showing that these animals did not have any contact with the pathogen.

(5)

3

Capitolo 1 TOXOPLASMA GONDII

1.1 Storia e ciclo biologico

Storia

Toxoplasma gondii é uno dei parassiti più studiati e conosciuti: diffuso in tutto il mondo, è di

grande importanza sia in medicina veterinaria sia in quella umana, per l'ampia diffusione della malattia nel mondo (Schlüter, 2014). Da un punto di vista tassonomico, Toxoplasma gondii appartiene al Phylum “Protozoa”, Subphylum “Apicomplexa” (Levine,1970), classe “Sporozoasida” (Leukart, 1879), subclasse “Coccidiasina” (Leukart, 1879), ordine

“Eimeriorina” (Leger, 1922), famiglia “Toxoplasmatidae” (Biocca, 1956), unica specie del genere “Toxoplasma”.

La sua scoperta risale al 1908, quando Nicolle e Manceaux isolarono per la prima volta questo protozoo dai tessuti di un roditore nord-africano, il Ctenodactylus gundi, credendo erroneamente che fosse da prima un piroplasma e poi una Leishmania. Quando fu chiaro che si trattava di un nuovo microrganismo, fu nominato Toxoplasma gondii in ragione della sua peculiare morfologia ad arco ("toxon" in Greco significa "arco") e dell'ospite dal quale era stato isolato, che fu, invece, erroneamente identificato come "Ctenodactylus guondi". Nello stesso anno, il medesimo parassita veniva isolato dai conigli dall'italiano Alfonso Splendore. Nel 1917, a seguito di alcuni isolamenti da campioni di sangue, fu ritenuto da Chatton e Blanc un parassita ematico. Diversi studi successivi portarono a chiarire la biologia e la morfologia di questo parassita, e di conseguenza, le sue importanti ripercussioni in ambito di sanità pubblica (Dubey, 2009). Il ciclo vitale é stato definitivamente chiarito nel 1970, più di sessant'anni dopo la sua scoperta, e ciò ha portato ad un fondamentale passo avanti nella scienza medica e veterinariain quanto ha permesso il riconoscimento di nuovi taxa di parassiti simili al Toxoplasma, come Neospora e Sarcocystis. Il riscontro di oocisti in feci di gatto dimostrò come il parassita possedesse un ciclo simil-coccidico nel gatto. Inizialmente tuttavia, a causa di errori condotti durante gli esperimenti di Hutchinson nel 1965, si credette che l'infettività di Toxoplasma fosse legata alla coinfezione da Toxocara cati, in quanto erano state prelevate feci da gatti già infettati dal nematode. Questa teoria fu smentita nel 1969 quando le oocisti di T. gondii furono isolate dalle feci di gatti non infettati da Toxocara (Frenkel et al., 1969; Sheffield and Melton, 1969). Mentre negli anni successivi alla sua scoperta veniva dimostrata la presenza dell'infezione in un numero sempre maggiore di specie, gli studi condotti in territori dove il gatto era assente o scarsamente diffuso, come alcune isole

(6)

4

dell'Oceano Pacifico (Wallace,1969), Australia (Dubey et al., 1997) e USA (Munday,1972), non evidenziarono la presenza di Toxoplasma. Da questi dati emerse chiaramente il ruolo fondamentale del gatto, e dei felidi in generale, nella trasmissione del parassita. Tra la moltitudine di possibili ospiti del parassita, fu scoperta una certa suscettibilità anche tra i mammiferi marini, i quali si infettano per ingestione delle oocisti provenienti da acque dolci che defluiscono da terreni contaminati da feci di gatto (Miller et al., 2002; Dubey et al., 2003b; Conrad et al., 2005; Dubey e Jones, 2008). T. gondii non è invece in grado di infettare organismi a sangue freddo (Dubey e Beattie, 1988), tuttavia i molluschi lamellibranchi possono comportarsi da vettori per le oocisti del parassita (Miller et al., 2002; Arkush et al., 2003; Lindsay et al., 2004).

Ciclo biologico

T. gondii è un parassita dixeno che compie la prima fase sessuata intestinale (intraepiteliale)

nel gatto, la seconda fase asessuata extraintestinale nell'ospite intermedio.

Figura 1.1 Ciclo biologico di Toxoplasma gondii (http://rstb.royalsocietypublishing.org) I gatti e i felini selvatici costituiscono gli ospiti definitivi, nel cui tessuto intestinale si svolgono le fasi schizogonica e gametogonica che terminano con la produzione di una oocisti non

(7)

5

sporulata di circa 10-12 micrometri di diametro, la quale verrà espulsa con le feci nell'ambiente esterno. In funzione delle condizioni atmosferiche, le oocisti completano il processo sporogonico in massimo 5 giorni, portando alla maturazione di una oocisti sporulata con due sporocisti, ciascuna contenente quattro sporozoiti aploidi. Questo stadio del parassita può rimanere vitale per oltre un anno nel suolo o nell'acqua e può infettare una notevole varietà di ospiti intermedi: potenzialmente tutti gli animali a sangue caldo, mammiferi e uccelli. In origine

T. gondii era probabilmente un parassita a ciclo diretto dei gatti e felidi, con trasmissione

orofecale. Con la domesticazione di queste specie si è adattato ed evoluto ad altre forme di trasmissione, come la via transplacentare ed il ciclo indiretto basato sulla predazione di ospiti intermedi ospitanti le forme tissutali del protozoo (Frenkel et al., 1970). Gli ospiti intermedi si infettano per ingestione delle oocisti sporulate. Gli sporozoiti vengono rilasciati nell'intestino, oltrepassano la mucosa ed invadono nei vasi sanguigni infettando le cellule fagiche nelle quali si differenzieranno in tachizoiti. Questi ultimi, il cui nome deriva dal Greco "tachus"= veloce, sono lo stadio a rapida moltiplicazione, scoperto da Nicolle e Manceaux. Sono in grado di infettare praticamente tutte le cellule nucleate dell'organismo ospite, all'interno delle quali penetrano inclusi in un vacuolo intracitoplasmatico, che prende il nome di vacuolo parassitoforo (VP). La specifica funzione di alcuni organuli come il conoide, i rhoptries, i granuli densi e micronemi non è ancora stata pienamente chiarita, sebbene pare siano probabilmente implicati proprio nella fase di invasione delle cellule ospiti e nella creazione di un ambiente vitale per il parassita. All'interno dei VP i tachizoiti iniziano una rapida moltiplicazione endoduogenica, fino a provocare la rottura della cellula ospite da cui si liberano nuovi tachizoiti che vanno ad infettare le cellule adiacenti. La capacità di T. gondii di infettare in questo modo una vasta tipologia di cellule all'interno di una altrettanto vasta gamma di ospiti intermedi, implica che i recettori biochimici coinvolti nella fase di penetrazione cellulare sono comuni alla stragrande maggioranza delle cellule animali. La rapidità di invasione e di crescita dei tachizoiti dipendono dal ceppo del parassita e dalla cellula ospite. La fase parassitemica, o fase acuta, viene contrastata dalla risposta immunitaria dell'ospite che modula la differenziazione dei tachizoiti in bradizoiti, stadio di incistamento del protozoo nei tessuti. Le cisti tissutali negli ospiti intermedi sono state rilevate a livello polmonare, epatico, renale, scheletrico, retinico, ma soprattutto a livello di tessuto nervoso (cervello) e muscolare (scheletrico e miocardico), dove le cisti hanno forma rispettivamente sferoidale ed ellissoidale. I bradizoiti costituiscono uno stadio molto plastico del parassita dato che se rilasciati dalla cisti, sono in grado di riconvertirsi in tachizoiti, riattivando la fase parassitemica. I meccanismi di rilascio dei bradizoiti non sono ancora chiari e del tutto conosciuti. Si ritiene che il fenomeno possa dipendere dall'abbassarsi

(8)

6

della pressione del sistema immunitario dell'ospite sul parassita, come avviene nei soggetti immunodepressi, o in seguito a terapie che determinano immunosoppressione (es. corticosteroidi). L'ingestione delle cisti tissutali rappresenta per gli ospiti intermedi una fonte di infezione: i succhi gastrici determinano la liberazione dei bradizoiti, forme resistenti agli enzimi digestivi che, giunti mucosa enterica, si riconvertono in tachizoiti, dando inizio alla fase parassitemica descritta in precedenza. In queste condizioni i tachizoiti possono essere infettanti anche per via transmucosale e transplacentare. I felini, sia selvatici che domestici, possono comportarsi sia da ospiti definitivi sia da ospiti intermedi, ed eliminano oocisti tramite le feci a seguito dell’ingestione di uno degli stadi di T.gondii: tachizoiti, bradizoiti od oocisti. A seconda dello stadio del parassita cambiano, tuttavia, il periodo prepatente (intervallo di tempo che intercorre tra l'infezione e l'emissione delle oocisti) e la frequenza di emissione delle oocisti. Quando un ospite definitivo ingerisce le cisti tissutali, i bradizoiti si liberano per disgregazione della parete della cisti da parte degli enzimi gastrointestinali e, una volta raggiunto il piccolo intestino, alcuni di essi si moltiplicano come i tachizoiti all’interno della lamina propria per poi disseminarsi, per via ematica o linfatica, ai tessuti extraintestinali. Altri bradizoiti iniziano un ciclo schizogonico all’interno delle cellule epiteliali intestinali, il quale si protrae per alcune generazioni fino allo stato di schizonte (Dubey e Frenkel, 1976). All’interno dello schizonte si formano da 4 a 32 merozoiti, i morfotipi asessuali di T. gondii, i quali, in seguito alla rottura della cellula ospite, vengono rilasciati nel lume dove vanno ad infettare altri enterociti. I merozoiti proseguono nei cicli schizogonici a quando non si differenziano in gamonti, attraverso un meccanismo non ancora conosciuto. Il ciclo sessuale del parassita inizia, infatti, due giorni dopo l'ingestione delle cisti tissutali ed i gamonti compaiono nel piccolo intestino, ma soprattutto a livello dell'ileo, dai 3 ai 15 giorni dopo l'ingresso del parassita nell’organismo. Questi si trovano al di sopra del nucleo della cellula epiteliale ospite, vicino la punta dei villi intestinali, e sono strutturalmente ben differenziati in macrogamonti e microgamonti, rispettivamente corrispondenti ai gameti femminili e maschili. I microgamonti, provvisti di flagelli, attraversano il citoplasma per raggiungere e fertilizzare i macrogamonti. A seguito della fertilizzazione e della formazione della parete della oocisti, si assiste alla rottura della cellula ospite e al rilascio dell’oociste prima nel lume intestinale e poi attraverso le feci nell’ambiente, dove in seguito sporulerà.

(9)

7

1.2 Ultrastruttura Toxoplasma gondii

T. gondii , come precedentemente accennato, appartiene al phylum degli apicomplexa e in

quanto tale è caratterizzato da un “complesso apicale”, un insieme di organelli e granuli densi fondamentali per il ciclo vitale del parassita.

I tachizoiti

Il termine tachizoi è stato coniato da Frenkel in riferimento alla notevole rapidità di moltiplicazione che caratterizza questo stadio del parassita all'interno delle cellule ospiti. Hanno forma semilunare, misurano circa 2-6 micrometri di lunghezza e sono provvisti di una estremità anteriore appuntita e di una posteriore arrotondata.

(10)

8

La loro struttura cellulare é molto complessa e ricca di organelli e corpi inclusi: • anelli apicali • anelli polari • conoide • rhopthries • micronemi • micropori • mitocondrio • microtubuli sottopellicolari

• reticolo endoplasmatico liscio e rugoso • apparato del Golgi

• ribosomi

• granuli densi e granuli di amilopectina • apicoplasto (plastide legato alla membrana)

Il nucleo è generalmente posizionato centralmente e contiene un nucleolo ben definito e ciuffi di cromatina.

Esternamente i tachizoiti sono delimitati da una pellicola, un rivestimento trilaminare dato dal plasmalemma e dal complesso di membrane interno (IMC). L’IMC è una peculiarità del superphylum degli Alveolata e consiste in un doppio strato di membrane costituite da un mosaico di vescicole appiattite (Morrissette et al., 1997; Porchet-Hennere er al., 1985), è discontinuo superiormente all'anello polare, ai micopori (cui è posto lateralmente) e al polo posteriore del tachizoita. L'anello polare è dato da un ispessimento della membrana interna nel polo anteriore e circonda una struttura a forma di tronco di cono definita appunto conoide, formato da 6-8 elementi microtubulari ripiegati a molla compressa. Altri 22 microtubuli sottopellicolari originano dal secondo anello polare e decorrono longitudinalmente sotto l'IMC per quasi tutta la lunghezza della cellula, mentre 2 microtubuli interni terminano nel conoide.

Il complesso di membrane interno, i microtubuli sottopellicolari, gli anelli polari, gli anelli apicali ed il conoide costituiscono il citoscheletro della cellula, una struttura complessa evolutasi per garantire sostegno strutturale e la capacità di “scivolare” attraverso le interfacce cellulari per invadere le cellule ospiti. Al di sotto della pellicola è presente il reticolo

(11)

9

famiglia delle alveoline, proteine strutturali tipicamente conservate in tutti gli appartenenti agli alveolata. È proprio grazie al citoscheletro e alla collaborazione di questi col glideosoma, insieme di proteine varie alcune delle quali occupanti il settore della pellicola e della IMC, che il parassita ha la peculiare abilità di scivolare tra i substrati senza necessità di mutazioni conformazionali. Ne deriva che la compromissione di queste strutture, in particolare della pellicola, porta inevitabilmente ad alterazioni della motilità (Heintzelman, 2015). Il

meccanismo interno responsabile della motilità di T. gondii è stato individuato in un sistema actino-miosinico che genera energia meccanica a partire dall’idrolisi dell’ATP. Questo sistema viene ancorato al citoplasma del protozoo attraverso specifiche proteine, le Gliding Associate Proteins (GAPs), e alla superficie della cellula ospite mediante adesine prodotte dai

micronemi. La persistenza della motilità, seppur ridotta, a seguito della compromissione dei complessi actina-miosina, testimonia tuttavia la presenza di meccanismi alternativi al precedente implicati nel movimento del protozoo (Egarter & Andenmatten, 2014).

Figura1.3: Complesso apicale del tachizoita.(da Dubey JP, Lindsay DS, and Speer CA 1998, Structure of Toxoplasma gondii Tachyzoites, Bradyziotes, and Sporozoites and Biology and Development of Tissue Cyst. Clinical Microbiology Reviews, Apr. 1998, p. 267 -299).

(12)

10

Tra il nucleolo e la parte anteriore della cellula si trovano gli organuli più grandi del protozoo, definiti rhoptries, in numero variabile da 8 a 10 (Sulzer et al., 1974). Questi sono caratterizzati da una doppia membrana, presentano una tipica morfologia piriforme, data dalla presenza di un bulbo ed un collo. Secondo recenti studi questi due compartimenti differiscono non solo per la loro struttura, ma anche per il complesso di proteine da essi secrete e, quindi, per la loro funzione. Le proteine rilasciate dal bulbo basale sono, infatti, essenziali per il processo di formazione e mantenimento del vacuolo parassitoforo oltre che nella manipolazione della cellula ospite, e vengono denominate con la sigla “ROP” seguita da un numero progressivo. Il dotto contiene e rilascia, invece, proteine implicate nell’invasione cellulare attraverso la formazione di tight juctions (Proellocks et al., 2010) denominate “RON”. Il numero dei rostri varia a seconda dello stadio del parassita, coerentemente con il loro ruolo decisivo nella penetrazione nelle cellule ospiti.

I micronemi sono localizzati al polo apicale del protozoo e sono un elemento chiave per il legame alla cellula ospite e, quindi, la sua invasione. Sono più piccoli dei rostri ma come questi ultimi contengono numerose proteine, definite “MIC” (Microneme Protein), tra le quali una gran parte delle quali sono adesine.

I granuli densi sono sparsi nella cellula ma concentrati in prevalenza al polo posteriore, ed il loro numero varia a seconda dello stadio del parassita. Come rostri e micronemi, contengono un complesso di proteine, definite GRA (Granule Protein), essenziali nell’invasione cellulare. In particolare, convertono il vacuolo parassitoforo in una struttura metabolicamente attiva ed interagiscono con la membrana vacuolare per formare un complesso sistema di tubuli di connessione tra la membrana stessa ed il protozoo, o attraversarla per esercitare altre funzioni nel citoplasma ospite (Mercier & Cesbron-Delauw, 2015).

L’apicoplasto è caratterizzato da una membrana a quattro strati fosfolipidici. Analogamente a mitocondri e cloroplasti, si ritiene che sia anch’esso derivante dall’endosimbiosi tra due cellule eucariote e che la cellula inglobata tra le due possedesse un plastidio derivante dall’endosimbiosi con una cellula procariote del tipo dei cianobatteri. L’apicoplasto è infatti dotato di un proprio genoma e del complesso molecolare necessario alla sua trascrizione e traduzione. Tuttavia, il plastidio dipende dalle proteine codificate dal nucleo del parassita, così come dai metaboliti introdotti nell’apicoplasto tramite i traffici cellulari. Questo organulo è di vitale importanza per la sopravvivenza di T. gondii: la compromissione o distruzione

dell’apicoplasto infatti conduce rapidamente all’espulsione del parassita.

Questi complessi organuli che caratterizzano l’ultrastruttura cellulare dei tachizoiti di

(13)

11

parassita, rendendolo abile di invadere le cellule ospiti e permettendogli di penetrare potenzialmente in tutte le cellule nucleate di un organismo.

Bradizoiti e cisti tissutali

Le cisti tissutali hanno dimensioni variabili che dipendono dall'età e dal numero di bradizoiti, possono infatti contenerne da 100 fino a 1000, disposti caratteristicamente a rosetta. Questi, definiti anche cistozoiti, si moltiplicano per endoduogenia ma molto più lentamente rispetto ai tachizoiti, da ciò deriva infatti il termine bradizoita (dal greco “bradus”, che significa lento) coniato da Frenkel nel 1973.

Figura 1.4 Schematizzazione di tachizoita (a sx) e bradizoita (a dx) Dubey JP, Lindsay DS, and Speer CA (1998). Structure of Toxoplasma gondii Tachyzoites, Bradyziotes, and Sporozoites and Biology and Development of Tissue Cyst. Clinical Microbiology Reviews, Apr. 1998, p. 267 -299).

(14)

12

Le cisti tissutali negli ospiti intermedi, come precedentemente evidenziato, sono state rilevate a livello di vari tessuti: polmonare, epatico, renale, scheletrico, retinico. Il maggior numero di cisti è stato riscontrato nei tessuti nervoso (cervello) e muscolare (scheletrico e miocardico), dove le cisti hanno rispettivamente forma sferoidale ed ellissoidale. Esse sono comprese in un vacuolo parassitoforo interno al citoplasma della cellula ospite ed hanno una doppia

membrana: la membrana interna, prodotta dal parassita, e quella esterna, che deriva invece dall'ospite. Questa parete bilaminare misura circa 0,5 micron e la mancanza di colorazione con l'impregnazione argentica indica la mancanza di polisaccaridi nella sua costituzione biochimica (Ferguson e Hutchinson, 1987; Sim et al., 1988).

I bradizoiti sono strutturalmente molto simili ai tachizoiti, ma anziché centralmente il loro nucleo è spostato verso il polo posteriore. I contenuti dei rhoptries varia a seconda dell'età della cisti tissutale: se è giovane i rostri sono labirintici come nei tachizoiti, altrimenti sono elettrondensi. I bradizoiti contengono i granuli di amilopectina che possono invece essere assenti nei tachizoiti, sono più sottili e quindi più sensibili agli enzimi proteolitici (Jacobs, Remington e Melton, 1960). Per questo motivo nei felini il periodo prepatente che segue l'ingestione dei bradizoiti è molto più breve di quello che segue l'ingestione dei tachizoiti (Dubey e Frenkel, 1976).

(15)

13

1.3 Vie di trasmissione di Toxoplasma gondii

Le principali vie di trasmissione di T. gondii sono:

• orizzontale tramite ingestione di oocisti sporulate;

• orizzontale per ingestione deI tachizoiti o dei bradizoiti contenuti nelle cisti tissutali presenti nella carne e derivati (quindi per carnivorismo);

• verticale per trasmissione transplacentare dei tachizoiti dalla madre al feto (Dubey et al., 1998; Dubey, 1991; Jackson e Hutchinson, 1989; Dubey e Beattie, 1988);

(16)

14

Ingestione oocisti sporulate

Nel ciclo di T. gondii le oocisti hanno un ruolo essenziale poiché, come detto precedentemente, possono essere emesse in ambiente dai felini infetti sia selvatici che domestici.

La maggior parte dei gatti, sperimentalmente, sieroconverte durante la seconda o terza settimana post infezione e di solito dopo aver già espulso le oocisti. Dato che la positività per gli anticorpi anti-T. gondii arriva fino al 100% nei campioni di siero di gatto prelevati in varie parti del mondo, e che questa specie è diffusa praticamente ovunque, la contaminazione ambientale da parte delle oocisti di Toxoplasma è ampiamente dilagante. Tuttavia, dai dati ottenuti esaminando le feci è possibile rilevare che i gatti liberano le oocisti in ambiente per circa una sola settimana, mentre la dose emessa dai soggetti naturalmente infettati non è stata ancora quantificata. Inoltre non è stato ancora chiarito se i gatti infettati naturalmente siano in grado di espellere le oocisti per più di una volta nella vita dopo aver acquisito l'immunità o meno. Sperimentalmente, si era giunti alla convinzione che i gatti non emettessero più oocisti dopo la prima infezione, a causa dell’immunizzazione, tuttavia altri studi hanno smentito queste evidenze. Il numero di oocisti emesse durante la seconda infezione è comunque solitamente inferiore rispetto a quello della prima e dipende da numerosi fattori: età del gatto, ceppo di T.

gondii, stato nutrizionale del gatto, dose infettante assunta nella prima infezione e nelle

reinfezioni. Un aspetto interessante è che i soggetti cronicamente infettati da T. gondii riemettono le oocisti in assenza di segni clinici se infettati da Isospora felis. In natura non sappiamo quanto frequentemente si verifichi questo evento e l'interazione tra i due parassiti è sconosciuta, ma sappiamo essere specifica, in quanto lo stesso effetto non si verifica in soggetti infetti da I.rivolta o altre specie di Isospora felina. Inoltre, se un gatto contrae l’infezione da I.

felis prima di contrarre la toxoplasmosi, l’immunizzazione verso il primo parassita impedisce

il ciclo di T. gondii. Non è ancora stato chiarito se coinfezioni di altra natura possano influenzare la re-emissione delle oocisti nei gatti: la coinfezione col visrus dell'immudeficienza felina (FIV), ad esempio, non incide su questo fattore, mentre l'immunosoppressione determinata da alti dosaggi di farmaci corticosteroidei può indurre una nuova espulsione di oocisti.

Per quanto riguarda i felini selvatici, la maggior parte delle loro prede sono risultate sieropositive e gli studi condotti sulle feci di individui appartenenti a queste specie, ospitate in parchi e giardini zoologici, hanno evidenziato la presenza di oocisti, pertanto il ciclo selvatico di T. gondii appare altrettanto efficiente di quello il domestico.

(17)

15

disperse da vettori di trasporto meccanico come gli insetti (Hartley e Munday 1974; Wallace 1971-1972-1973), ma la loro infettività dipende dalla possibilità di sporulare ed essa è fortemente influenzata dalle condizioni ambientali, ma questi aspetti verranno esaminati tuttavia più avanti. Una volta sporulate le oocisti possono essere assunte tramite alimenti e acqua dolce dagli ospiti intermedi determinando infezione.

Ingestione delle cisti tissutali (bradizoiti)

L'altro stadio essenziale per il ciclo vitale di Toxoplasma è rappresentato dalle cisti tissutali, presenti nei tessuti degli animali infetti, le quali possono essere ingerite dagli ospiti definitivi e intermedi, a dimostrazione dell'importanza del carnivorismo per la trasmissione di questo protozoo. L’ingestione dei bradizoiti presenti nei tessuti di prede infette da parte degli ospiti definitivi è la più efficace via di propagazione del ciclo biologico di T.gondii. Quando un ospite definitivo ingerisce le oocisti sporulate il periodo prepatente è di almeno 40 giorni, indipendentemente dalla dose assunta, e non è detto che a seguito dell'infezione l'individuo emetta oocisti; quando vengono ingeriti tachizoiti il periodo prepatente è di 18 giorni; se vengono invece ingeriti stadi di transizione tachizoiti-bradizoiti il periodo prepatente si riduce ulteriormente e meno della metà dei soggetti libererà oocisti in ambiente (Dubey et al., 2005). Cisti tissutali vitali sono state trovate nei tessuti di animali naturalmente infetti ed in particolare in ovini e suini (come vedremo avanti), oltre che in diverse specie selvatiche. Queste persistono nelle parti edibili dei tessuti degli animali vivi per mesi e possono resistere diversi giorni dopo la morte del soggetto, nonostante i fenomeni decompositivi (Work et al., 2000). Gli studi condotti finora incriminano la carne molto più che il gatto come sorgenti di infezione per l'uomo: il ruolo chiave nell’epidemiologia del parassita risiede infatti nella contaminazione degli alimenti da parte delle oocisti o delle cisti tissutali. A dimostrazione di ciò, la prevalenza di T. gondii è notevolmente maggiore nelle persone che svolgono lavori che prevedono il contatto con carne cruda rispetto al resto della popolazione. La convenzionale cottura a 70°C per 10 minuti è sufficiente a neutralizzare le cisti tissutali, è fondamentale che si raggiunga una temperatura di almeno 66°C al cuore del prodotto perchè il rischio di infezione sia certamente scongiurato, ne consegue che la cottura al sangue non è sufficiente (Dubey, 1986). Anche il congelamento a -12°C solitamente è in grado di devitalizzare le forme tissutali, le quali invece possono resistere fino a due mesi nella carne conservata a 4-6°C.

(18)

16

Ingestione dei tachizoiti

I tachizoiti, a differenza degli stati precedenti, sono molto sensibili, non possono sopravvivere esternamente al corpo dell'ospite e solitamente sono distrutti dai succhi gastrici. Possono trasmettersi attraverso trasfusioni di sangue e fluidi corporei e a seguito di incidenti di laboratorio; dal momento che possono penetrare la cornea e la mucosa boccale. T.gondii si può trasmettere anche attraverso il trapianto di organi o midollo osseo da donatori infetti a riceventi non immunocompetenti o immunocompromessi, trapianti da donatori non infetti a riceventi immunocompromessi con infezione latente possono invece riacutizzare l’infezione. In quest'ultima eventualità possono essere coinvolti sia i tachizoiti che le cisti tissutali perchè riattivati dalla terapia citotossica e immunosoppressiva somministrate al ricevente. (Hill et al., 2002). La presenza dei tachizoiti è stata dimostrata anche in numerosi fluidi corporei della maggior parte degli ospiti intermedi (pecore, capre, cammelli, bovini): nella saliva, nelle urine, nelle lacrime, nel seme e nel latte (Tenter et al., 2000; Dekhordi et al., 2012). Anche il latte crudo pertanto può rappresentare una fonte di infezione. Le uova non sembrano invece costituire una fonte di infezione per l'uomo (Dubey, 2010), sebbene i dati circa la presenza dei tachizoiti infettanti ricavati dai vari studi siano contrastanti, la percentuale di positività riscontrata sia bassa e sia stato isolato un tachizoita da un uovo di gallina sperimentalmente infettata (Jacobs e Melton, 1966).

Trasmissione transplacentare

La trasmissione transplacentare prevede la trasmissione del parassita dalla madre al feto. Si verifica prevalentemente nella specie umana, ovina e caprina (Dubey et al., 1981; Masala et al., 2007). I tachizoiti sono attratti dagli ormoni e possono moltiplicarsi nella placenta e nel feto (Cook et al., 2000; Tender et al., 2000) causando aborto, morte neonatale, anomalie fetali (Dubey e Beattie, 1988). Il rischio di trasmissione nella donna aumenta al progredire della gestazione (Hohlfeld et al., 1989; Jenum et al., 1998; Dunn et al., 1999; Foulon et al., 1999; Remington et al., 2005) mentre i sintomi clinici sono tanto più gravi quanto più l'infezione è vicina alla fase di embriogenesi della gravidanza (Hohlfeld et al., 1989; Dunn et al., 1999; Montoya e Liensenfeld, 2004). La trasmissione verticale di T. gondii nel mantenimento del parassita negli ospiti intermedi ha una notevole importanza (Owen e Trees, 1998; de

(19)

Roever-17

Bonnet, 1969; Remington et al., 1961; Beverly, 1959). Nei roditori, per esempio, possono verificarsi infezioni congenite ripetute: soggetti congenitamente infetti possono generare essi stessi prole infetta per più di dieci generazioni.

Anche nei felini può verificarsi la trasmissione congenita ma è decisamente rara. La gravità dell'infezione in queste specie dipende dalla fase di gestazione al momento dell'infezione, come nella specie umana: i sintomi sono maggiori quanto più è precoce. I cuccioli possono infettarsi sia per via transplacentare che per via trans-lattea (Dubey et al., 1995; Dubey e Carpenter, 1993; Sato et al., 1993), tuttavia la prima via è molto più grave rispetto alla seconda poiché può determinare la nascita di feti morti, mortalità presvezzamento. L'incidenza della mortalità per toxoplasmosi acuta contratta per via trans-lattea è invece molto inferiore (Dubey et al., 1995; Dubey e Carpenter, 1993).

1.4 Epidemiologia

Figura 1.6 Sieroprevalenza globale di T.gondii. Rosso scuro:prevalenza: 60%. Rosso chiaro: 40-60%. Giallo: 20-40%. Blue:10-20%. Bianco: assenza (Toxoplasmosis snapshots: Global status of Toxoplasma condii seroprevalence and implications for pregnancy and congenital toxoplasmosis. 2009 International journal parasitology: 1385-1394)

(20)

18

Come detto in precedenza, T.gondii è in grado di infettare tutti gli animali a sangue caldo, mammiferi e uccelli, ed è infatti diffuso in tutto il mondo. Questo vastissimo spettro d’ospiti è frutto dell’evoluzione del ciclo del parassita, che presenta varie forme di trasmissione e della notevole capacità di resistenza delle oocisti nell’ambiente esterno.

Figura 1.7 Spettro d'ospiti di T. gondii (http://rstb.royalsocietypublishing.org)

I gatti possono svolgere il ruolo sia di ospiti definitivi, assumendo le forme tissutali per carnivorismo e liberando in ambiente esterno le oocisti dopo essersi infettati, sia da ospiti intermedi e definitivi, ingerendo essi stessi le oocisti sporulate. La prevalenza di T. gondii nei gatti varia notevolmente tra i diversi paesi, tra regioni diverse di uno stesso stato e persino all'interno di una stessa città, in funzione dello stile di vita, ma soprattutto delle fonti alimentari a cui hanno accesso (DeFeo et al., 2002). Non ci sono ancora dati certi che stabiliscano il ruolo dei differenti tipi di prede come fonti maggiori o minori di infezione per i gatti. Di fatto, in ambiente urbano, il gatto è da sempre stato implicato nella lotta ai roditori, e si sta lavorando all’ipotesi che Toxoplasma abbia sviluppato la capacità di manipolare il comportamento dei ratti a vantaggio della propria sopravvivenza. Il protozoo infatti, infettando i tessuti nervosi di questi animali, induce modificazioni di apprendimento e memoria che esitano in una riduzione

(21)

19

della paura indotta dall’odore dei gatti, aumentando in tal modo la possibilità dei roditori di essere predati (Lamberton et al. 2008). Il gatto è più suscettibile all’infezione tramite ingestione delle forme tissutali presenti nei tessuti di ospiti intermedi che per assunzione diretta delle oocisti sporulate, come detto in precedenza.

Per essere infettanti le oocisti devono sporulare e ciò avviene in funzione di condizioni ambientali e climatiche favorevoli: la maggiore prevalenza dell’infezione da T. gondii si ha nelle regioni a clima caldo umido e pianeggianti, mentre si riduce nelle aree fredde, secche e montane. Probabilmente per queste ragioni, nonostante la larga diffusione mondiale della toxoplasmosi, esistono notevoli differenze di prevalenza tra le diverse aree geografiche in uno stato. Per la diffusione di questa parassitosi sono determinanti anche le differenti abitudini culturali e il grado di igiene dei differenti paesi. Data la capacità delle oocisti di sopravvivere a lungo in opportune condizioni ambientali e la difficoltà di controllare e smaltire le feci dei felini, la contaminazione degli alimenti destinati agli animali zootecnici è frequente e comporta il rischio di trasmissione all’uomo mediante il consumo di carne poco cotta o cruda. Tenendo conto che la seroprevalenza negli animali zootecnici italiani varia dal 13,6% (Sindoni et al 1989) al 78% (Gaffuri et al 2006) nelle pecore, dal 12% (Masala et al 2003) al 77% (Mancianti et al. 2015) nelle capre, dal 10,4%(Villari et al. 2009) al 60,4% (Genchi et al. 1991) nei suini, 92% (Avezza et al 1993) nei bovini, dal 3% (Bartova et al. 2015) al 17,6% (Papini et al.2014) nel cavallo, è evidente quanto importanti siano le tradizioni culinarie, in particolar modo l’uso di cuocere la carne, nel determinare la maggiore o minore prevalenza nella popolazione di un paese. Non a caso, la sieroprevalenza è più alta in Europa ed America, dove si usa consumare carne cruda o poco cotta, mentre è più bassa nei paesi di Africa ed Asia, dove vigono restrizioni al consumo di determinati tipi di carne e dove in ogni caso viene consumata ben cotta.

A differenza dei felini, il cane ha un ruolo epidemiologico totalmente differente: poiché

Toxoplasma non è in grado di completare il ciclo vitale nel suo intestino, questa specie si

comporta come ospite intermedio. La sieropositività è distribuita in tutto il mondo e la prevalenza è maggiore nei soggetti adulti e anziani, ad indicare che l'infezione viene contratta dopo la nascita, e nei cani che vivono in ambienti rurali. Non sono presenti dati epidemiologici recenti in Centro Italia, il 10,6% di essi è risultato positivo al test IFAT per gli anticorpi anti-T.

gondii, testimoniando una prevalenza relativamente alta e sottolineando, quindi, l'importanza

di una corretta gestione di questa specie domestica ai fini di prevenire il rischio di trasmissione all'uomo. Infatti, oltre che come ospite intermedio, secondo uno studio del 1997 il cane si comporterebbe anche come vettore meccanico del parassita: le oocisti infettanti ingerite sarebbero capaci di superare il tratto intestinale per essere così emesse per defecazione in

(22)

20

ambiente esterno, e potrebbero anche contaminare il pelo dell'animale, con conseguente rischio di trasmissione ai proprietari (Lindsay, 1997). Ci sono poche testimonianze di toxoplasmosi primaria nel cane, anche se sono riportati diversi casi di forme cliniche sia in Europa che in Asia e in America. In particolare negli USA la maggior parte dei casi clinici sono soggetti non vaccinati per il virus del cimurro. Non sono stati ancora documentati, invece, casi di toxoplasmosi congenita in questa specie (Dubey&Jones, 2008).

Negli ovini T.gondii è considerato uno delle principali cause di aborto. La sieroprevalenza nelle pecore è più del doppio rispetto a quella degli agnelli: è stato dimostrato che essa incrementa con l'età, raggiungendo il 95% nei soggetti di 6 anni. Questo suggerisce che l'infezione viene contratta prevalentemente nella vita extrauterina, tuttavia, lo studio condotto da Morely nel 2008 contrasta con i dati finora disponibili in letteratura, suggerendo che la trasmissione verticale del parassita sia in realtà più importante di quanto finora ritenuto e che questa possa realizzarsi per via sia esogena sia endogena, nel primo caso per contrazione dell'infezione dall'ambiente, la seconda per riattivazione dei cistozoiti in pecore infette. L'infezione nelle pecore gravide non implica necessariamente l'aborto, poichè ciò dipende dal momento della gestazione in cui l'animale entra a contatto col patogeno: nella prima fase di gestazione, quando il sistema immunitario del feto è immaturo, l'infezione comporta la perdita della gravidanza; a metà gravidanza invece l'infezione può portare alla nascita di un agnello debole o disvitale, eventualmente accompagnato da un feto mummificato. Se l'infezione invece viene contratta nell'ultimo periodo di gestazione, si può assistere alla nascita di agnelli clinicamente normali ma infetti (Buxton, 1990). Attualmente tuttavia è difficile stimare con certezza l'entità degli aborti riconducibili a toxoplasma per la scarsità di feti abortiti sottoposti a diagnosi o per l'inadeguatezza del materiale da sottoporre ad analisi inviato ai laboratori (Dubey, 2009). Trattandosi di erbivori, si ritiene che la maggior fonte di infezione negli ovini sia l'ingestione delle oocisti sporulate, piuttosto che l'assunzione di forme tissutali. Infatti, gli studi dimostrano un'associazione tra infezione e contaminazione dei pascoli e/o dei mangimi (Faull et al. 1986) oltre che tra presenza di felini in azienda e seroprevalenza nei capi (Skierve et al. 1995). La Toxopasmosi nei caprini ha caratteristiche molto simili a quella degli ovini, costituendo anche in questa specie un'importante causa di aborto e nascita di capretti disvitali. Non si può escludere la possibilità di trasmissione del patogeno all'uomo tramite il consumo di latte crudo, a differenza del latte ovino e vaccino, infatti, il latte caprino non viene pastorizzato ed è associato ad alcuni casi fatali di infezione nell'uomo (Chiari&Neves, 1984; Skinner et al. 1990). Poiché è accertata la sensibilità dei tachizoiti agli enzimi proteolitici e ai succhi gastrici, gli studi si sono occupati di far luce sull'evento e hanno dimostrato che alte dosi di tachizoiti ingeriti

(23)

21

posso risultare infettanti perchè questi possono sopravvivere fino a due ore in soluzioni acide di pepsina (Dubey 1998) e che i tachizoiti possono raggiungere la circolazione ematica e linfatica attraversando le mucose prima di arrivare allo stomaco (Sacks et al 1982).

Anche nella specie suina la sieropositività risulta distribuita in tutto il mondo e la prevalenza varia notevolmente tra le diverse classi di animali analizzati. I suini destinati alla produzione di carne allevati in modo intensivo, i quali crescono in ambienti altamente controllati, con scarsi o nulli contatti con l'esterno e adeguati metodi di prevenzione di accesso per gatti e roditori, hanno dimostrato un drastico calo della prevalenza di T. gondii nell'ultimo decennio a differenza dei suini allevati in modo estensivo o brado. Le scrofe utilizzate per la riproduzione mostrano livelli più alti di sieroprevalenza rispetto ai suini destinati alla macellazione, e ciò è importante epidemiologicamente per la trasmissione del parassita: la carne delle scrofe è destinata alla lavorazione di prodotti processati, mentre quella dei suini da ingrasso è destinata a prodotti freschi o non processati. La salubrità effettiva dei prodotti a base di carne suina dopo i trattamenti è una questione dibattuta: alcuni studi suggeriscono che i processi di lavorazione con sale, saccarosio e affumicatura uccidono le cisti tissutali (Lundèn&Uggla, 1992), di fatto però il tempo di sopravvivenza delle cisti varia a seconda della concentrazione della soluzione salina e delle temperature di stoccaggio. Il lavoro di Dubey del 1997 dimostra che le cisti vengono uccise da soluzioni al 6% di cloruro di sodio nel range di temperature comprese tra 4 e 20°C, ma sopravvivono per diverse settimane in soluzioni acquose a concentrazioni di sale inferiori. È stato altresì dimostrato che i salumi prodotti in casa non subiscono un trattamento di salagione adeguato: le cisti sono state disattivate dopo 3-7 giorni dal trattamento con soluzione salina a base di sale da cucina. Questo dimostra che la sola salagione non basta a prevenire la trasmissione negli esseri umani mediante consumo di carne contaminata (Jamra et al. 1991). Oltre all'importanza per la salute umana, Toxoplasma è anche responsabile di forme cliniche nei suini, seppur rare. I soggetti più sensibili sembrano essere lattonzoli e suinetti svezzati.

Nei bovini Toxoplasma è considerato un patogeno di minore importanza seppur dai dati sierologici appare evidente la sua circolazione anche in questa specie. I lavori di Dubey del 1992 e del 2005, così come quello di Freyre del 1990, indicano che, non essendo il bovino un buon ospite del parassita, il consumo di carne bovina ha un'importanza trascurabile nell'epidemiologia di Toxoplasma, nonostante non si possa però negare con certezza, soprattutto tenendo conto dell'insuccesso ottenuto dai tentativi di isolamento del parassita direttamente dai campioni tissutali. Il ruolo marginale di Toxoplasma nella specie bovina è confermato dall'assenza in letteratura di casi clinici accertati di toxoplasmosi, sebbene sia riportata una

(24)

22

bassa frequenza di feti abortiti positivi al parassita (Sager et al. 2001; Ellis 1998). Toxoplasma sembra in grado di infettare i vitelli per via transplacentare, ma è una eventualità rara ed è pertanto ritenuto un agente abortigeno minore (Dubey, 2010).

Per quanto riguarda la specie equina, pochi studi evidenziano infezioni clinicamente importanti nel cavallo. Il DNA del parassita è stato rinvenuto nel coroide, nella retina e nella sclera di un pony (Turne &Savva, 1991), nella placenta equina (Turner&Savva, 1990) e in un feto abortito (Turne&Savva, 1992). Lo studio di Dubey del 1985 suggerisce la possibilità di trasmissione all'uomo mediante ingestione di carne equina, contrastando i risultati ottenuti dal lavoro di Filha del 1992 che indicano la morte del parassita nei tessuti di questi animali entro tre mesi p.i. Ad avvalorare l'ipotesi dell'importanza di Toxoplasma in questa specie per il rischio di trasmissione all'uomo, ci sono alcuni casi riportati di toxoplasmosi umana riconducibili verosimilmente al consumo di carne equina cruda ( Pomares et al. 2011).

Nelle specie selvatiche Toxoplasma è epidemiologicamente importante per le sue ripercussioni sulla salute umana, relativamente al consumo della cacciagione. Per esempio in Italia la sieroprevalenza riportata nei cervi che vivono sulle Alpi varia dal 22% (Rocchigiani et al. 2016) al 40% (Formenti et al. 2015). Poiché i cervi sono strettamente erbivori, la trasmissione in questa specie avviene per assunzione di oocisti disseminate nell'ambiente e per via transplacentare, dalla madre al feto. Per quanto riguarda un'altra importante specie selvatica oggetto di caccia, il cinghiale, la sieroprevalenza varia dal 16,19% in nord Italia (Ferroglio et al. 2014) al 14% in Italia centrale (Ranucci et al. 2013). Toxoplasma è in grado di infettare i cinghiali allo stesso modo in cui infetta i suini domestici, attraverso l'assunzione delle oocisti contaminanti l'ambiente o delle forme tissutali presenti nei tessuti delle carcasse di animali morti, in virtù delle loro abitudini necrofaghe; è segnalata anche la trasmissione transplacentare (Calero-Bernal et al. 2013). Dato lo stretto contatto di questi animali col suolo e le loro abitudini di scavare nel terreno alla ricerca di cibo, i cinghiali sono considerati buoni indicatori del grado di disseminazione del patogeno nell'ambiente. Inoltre, in quanto cacciagione, il ruolo epidemiologico del cinghiale è fondamentale anche per quanto riguarda il rischio di trasmissione all'uomo: sono riportati diversi casi di toxoplasmosi umana conseguente al consumo di carne cruda o altri tessuti di cinghiali infetti (Choi et al. 1997).

Come detto in precedenza, Toxoplasma è in grado di infettare anche gli uccelli. Nei polli i vari studi condotti dimostrano la resistenza della specie alle forme cliniche di toxoplasmosi, ma questa specie ha importanza epidemiologica sia come fonte importante di infezione per i gatti che per l'uomo, conseguentemente al consumo di carne di pollo poco cotta. La sieroprevalenza risulta minore negli animali allevati in modo intensivo, alla stregua di quanto vale per i suini.

(25)

23

I primati sono anch'essi suscettibili a Toxoplasma come tutti gli altri mammiferi, ma con notevoli differenze tra le varie specie. Ci sono informazioni limitate circa la prevalenza di

Toxoplasma nelle scimmie in natura, ma sembra che le specie del Vecchio Mondo siano

resistenti all'infezione (Dubey&Beattie, 1988). Ekanayake et al. hanno trovato anticorpi anti

Toxoplasma nel 12% dei 170 macachi (Macaca sinica) analizzati in Sri Lanka e i soggetti non

manifestavano segni clinici né evidenze di eventuale trasmissione verticale madre feto. Gli esperimenti condotti su queste specie hanno permesso di far luce su alcuni aspetti relativi alla toxoplasmosi umana. Per esempio lo studio di Schoondermark et al. del 1997 è stato condotto sui macachi (Macaca mulatta) che hanno lo stesso tipo di placenta dell'uomo, per studiare la patogenesi della toxoplasmosi congenita (Schoondermark et al., 1997). A differenza dei primati del Vecchio Mondo (catarrhini), invece, i Lemuri ed i Primati del Nuovo Mondo mostrano un'altissima sensibilità alla toxoplasmosi, che in queste specie si manifesta in forma disseminata acuta e fatale. Questo aspetto sarà tuttavia approfondito nel capitolo successivo.

1.5 Genotipizzazione di T. gondii

Di fronte al vastissimo spettro d'ospiti che possono contrarre l'infezione toxoplasmica e alla larga diffusione di questo protozoo, viene spontaneo aspettarsi che nonostante T. gondii sia l'unica specie del genere Toxoplasma, possieda una popolazione di differenti genotipi. In ragione di questo sospetto, intorno al 1992 sia Dardé e colleghi, che Sibley e Boothroyd, usarono l'analisi RFLP nel tentativo di inquadrare la complessa struttura di questa sottopopolazione. Entrambi gli esperimenti portarono alla scoperta che alcuni dei campioni indagati condividevano lo stesso genotipo di T. gondii, mentre gli altri erano caratterizzati da una moderata diversità genetica. Questi risultati delusero le aspettative ed originarono l'ipotesi che più frequentemente della ricombinazione sessuale, il protozoo si moltiplicasse per via clonale. Tale ipotesi fu rafforzata dal successivo esperimento condotto da Sibley e Howe nel 1995. Essi raccolsero ed indagarono 106 campioni provenienti da tre continenti e da diverse specie di ospiti usando sei marcatori RFLP, e scoprirono che l'84% di essi (89 su 106) appartenevano a solo tre tipi clonali (Howe e Sibley, 1995).

Tuttavia, le successive analisi di questi primi pionieristici esperimenti suggerirono altre spiegazioni, diverse dall'immagine di una popolazione strettamente clonale. Ai precedenti lavori fu contestato che una raccolta di campioni sbilanciata verso un numero limitato di specie di ospiti (uomo e animali domestici), oltretutto provenienti prevalentemente dalle stesse aree

(26)

24

geografiche, e/o verso casi clinicamente manifesti dell'infezione, incrementa la probabilità di sovra-campionare un genotipo di T. gondii, distorcendo la struttura della popolazione a favore della moltiplicazione clonale (Feil e Spratt, 2001). Un altro aspetto di cui tener conto è che le limitate capacità dei marcatori usati in quegli esperimenti possano aver tralasciato molta della variabilità genetica presente. Non a caso, l'applicazione dell'analisi di sequenziamento del DNA ad alta risoluzione su sedici isolati, di cui dodici erano quelli tipizzati da Sibley e Howe nello studio del 1995, ha permesso a Lehmann e colleghi di evidenziare un maggiore polimorfismo dei genotipi (Lehman et al., 2000). La conferma della variabilità genetica presente all'interno dei tre archetipi clonali è arrivata anche dai risultati ottenuti dalle successive indagini, che hanno utilizzano la tipizzazione con microsatelliti ad alta risoluzione (Ajzenberg et al., 2002a; Ajzenberg et al., 2002b; Blackston et al., 2001). L'estesa analisi di Boyle e colleghi del 2006 ha confermato anche le ipotesi sul fatto che i membri delle tre linee genomiche clonali definite da Howe e Sibley (1995), sono attualmente la progenie originatasi da uno o pochi incroci genetici. Queste scoperte e gli studi successivi hanno permesso di ritenere definitivamente la ricombinazione sessuale la maggiore forza determinante la struttura della popolazione di T.

gondii, con importanti implicazioni relative all'emergenza di ceppi virulenti (Grigg et al.,

2001a) o di ceppi associati a particolari manifestazioni cliniche della malattia (Grigg et al., 2001b). Appare pertanto evidente quale importante ruolo abbia la tipizzazione di T. gondii per la definizione delle caratteristiche epidemiologiche e di quelle patogenetiche.

Esistono vari metodi per tipizzare i ceppi di T. gondii, la genotipizzazione, per fare un esempio, è altamente sensibile e specifica, adatta alla determinazione del genotipo del parassita. È tuttavia necessario isolare il protozoo dagli ospiti infetti ma tenendo conto che in molte specie l'infezione toxoplasmica decorre in forma latente, è abbastanza difficile isolare l'organismo dal momento che non sono facilmente reperibili i tachizoiti circolanti (Robert-Gangneux e Darde 2012).

I test sierologici che rivelano risposte anticorpali epitopo-specifiche hanno in parte risolto questi inconvenienti, poiché la toxoplasmosi può indurre imponenti risposte immunitarie umorali, indipendentemente dalle manifestazioni cliniche del soggetto (Dubey 2008).

Metodi di genotipizzazione

I metodi che utilizzano l'analisi molecolare basata sulla PCR sono diversi ed i comunemente più usati sono il test PCR-RFLP (restriction fragment lenght polymorphism), il test di sequenziamento basato sull'utilizzo di microsatelliti (MS) ed il test di sequenziamento multi-locus (MLST) (Su et al., 2010).

(27)

25

La genotipizzazione mediante test PCR-RFLP è la tecnica d’elezione per la discriminazione tra le maggiori linee clonali ed i ceppi atipici. Il test consiste nell'uso di enzimi (endonucleasi) di restrizione per il riconoscimento del polimorfismo di singoli nucleotidi (SNPs), i quali vengono poi sottoposti a PCR e successivamente i distinti siti di legame del DNA sono visualizzati mediante elettroforesi su gel di agarosio (Su et al., 2010). Questa è la stessa tecnica utilizzata nell'esperimento di Sibley e Howe nel 1995, ma oggi, invece di usare solo sei alleli come fecero all'epoca, viene utilizzato un protocollo basato sull'analisi di 12 markers: SAG1, 3'SAG2, 5'SAG2, SAG2 new, SAG3. BTUB, GRA6, C22-8, C29-2, L358, PK1 e Apico. Il metodo PCR-RFLP dipende da singole copie di sequenze polimorfiche di DNA, e ciò può compromettere la sensibilità del test (essa è stimata intorno a ≥ 100 equivalenti del genome di T. gondii) (Su et al., 2010). Inoltre, un secondo svantaggio è dato dal fatto che i marcatori RFLP sono limitati al riconoscimento di mutazioni che occorrono sui siti di legame degli enzimi di restrizione, perdendo così il polimorfismo di molti altri loci (Sibley et al., 2009).

L'analisi MS è particolarmente utile nel riconoscimento di mutazioni molto recenti in isolati strettamente connessi all'interno di una stessa linea genomica, poiché i tassi di mutazione dei microsatelliti che sono usati in questa tecnica (10-2-10-5 per locus per replicatzione) sono decisamente più alti rispetto a quelli dei marcatori RFLP (10-9-10-10) (Goldstein e Schloterer, 1999). Il metodo si basa su corte ripetizioni casuali di due fino a sei nucleotidi, il cui polimorfismo è basato proprio sul numero di ripetizioni che si riscontrano negli alleli, esitando in una lunghezza variabile dei segmenti (Blackston et al., 2001; Ajsenberg et al., 2004). Tuttavia anche questo metodo presenta degli inconvenienti, tra cui la sensibilità relativamente bassa, stimata tra 50 e 100 equivalenti di genoma di T. gondii per 5μL di campione di DNA(Ajzenberg et al., 2010), e la vulnerabilità dei marcatori MS all'omoplasia, dovuta al fatto che il numero di ripetizioni può espandersi e contrarsi durante la replicazione (Sibley et al., 2009).

Il test multi-locus MLST è invece basato sull'amplificazione mediante PCR di diversi geni, seguita dal sequenziamento degli ampliconi di DNA, utilizzando gli SNPs, l'inserzione e la delezione dei nucleotidi (Su et al., 2010).

Nonostante i marcatori della multi-locus PCR-RFLP e della MS rivelino variazioni genetiche, non sono ad ogni modo in grado di evidenziare tutto il polimorfismo presente in un determinato locus, come testimoniato ad esempio a livello del locus GRA6 dove utilizzando il sequenziamento sono stati identificati a partire da trenta ceppi del protozoo nove differenti alleli contro i tre rivelati mediante il metodo PCR-RFLP (Fazaeli et al, 2000). Pertanto, l'analisi basata sul sequenziamento risulta notevolmente superiore agli altri metodi di tipizzazione perché permette di evidenziare completamente il polimorfismo genetico delle regioni genomiche, ma

(28)

26

i costi ed il tempo necessari all'esecuzione della tecnica la rendono scarsamente fruibile allo screening genetico di un largo numero di isolati (Ajsenberg et al., 2010).

Metodi di sierotipizzazione

La sierotipizzazione si basa sull'evidenza che le linee clonali di T. gondii differiscono non solo geneticamente ma anche nelle sequenze amminoacidiche di molte proteine del parassita, con la conseguenza che anche la risposta immunitaria umorale dell'ospite sarà ceppo specifica, in funzione del polimorfismo degli epitopi (Parmley aet al., 1994; Maksimov et al., 2012; Kong et al., 2003). Questa tecnica ha il vantaggio di non utilizzare il parassita isolato dagli ospiti infetti, ma di discriminare il ceppo del protozoo in funzione della specifica risposta anticorpaleche si scatena indipendentemente dalle manifestazioni cliniche della malattia. Come visto analizzando l'ultrastruttura cellulare di T. gondii, i granuli densi hanno la funzione di secernere il complesso delle GRA proteine coinvolte nei meccanismi di invasione delle cellule ospiti, hanno proprietà immunogeniche e polimorfiche diverse fra i vari ceppi del parassita e sono quindi utilizzati per i test di sierotipizzazione (Fazaeli et al., 2000; Pietkiewicz et al., 2007; Sousa et al., 2009). In uno studio di Vaudaux et al. del 2010 una serie di peptidi GRA derivati da sequenze multiple di loci sono stati efficacemente utilizzati per la discriminazione di ceppi non archetipici, laddove era assente il DNA del parassita per la genotipizzazione (Vaudaux et al., 2010). Nel 2003 il lavoro pionieristico di Kong e colleghi ha dimostrato che i peptidi sintetizzati a partire da antigeni polimorfici hanno il potere di predire il tipo clonale di Toxoplasma che ha infettato un uomo o un topo (Kong et al., 2003). Negli anni successivi sono stati condotti numerosi studi in questa direzione, testando tecniche sierologiche varie, i quali hanno portato a suggerire che sia possibile distinguere tra le infezioni causate dal tipo II e quelle causate dai tipi non-II, mentre è estremamente difficile fare una discriminazione tra la toxoplasmosi del tipo I e quella del tipo III, poiché questi tipi condividono molti alleli identici in diversi loci (Kong et al., 2003; Peyron et al., 2006; Sousa et al., 2008; Maksimov et al., 2012, 2013). Tuttavia, Xiao et al. nel 2009 hanno identificato i peptidi che permettono di risolvere questo problema e hanno elaborato un protocollo basato su due fasi di sierotipizzazione. Nella prima fase vengono usati cinque peptidi per differenziare la toxoplasmosi di tipo II da quella di tipo I/II; nella fase successiva viene invece utilizzato il peptide GRA7-III per distinguere l'infezione di tipo I da quella di tipo III (Xiao et al., 2009). Purtroppo, le tecniche di sierotipizzazione, nonostante i buoni risultati ottenuti nei vari studi, hanno significative limitazioni: non sono in grado di discriminare inequivocabilmente le tre

(29)

27

linee clonali tra loro; una parte dei sieri testati non ha reagito con questi peptidi polimorfici (Kong et al., 2003; Xiao et al., 2009); questi test funzionano per fare distinzione tra le tre linee clonali (Sousa et al., 2008; Xiao et al., 2009) e non per discriminare altri ceppi.

Nell'arco dei venticinque anni che sono passati dal primo tentativo fatto dai ricercatori nel 1992, sono stati raggiunti enormi risultati sullo studio della popolazione di T. gondii, culminati con l'istituzione di “Toxodb.org”, un portale online in cui è depositato l'intero genoma del ceppo ME49(genotipo II), si stanno raccogliendo informazioni sugli altri ceppi e dove è possibile consultare, comparare e scaricare gratuitamente sequenze di DNA, RNA e proteine di questo parassita. Tuttavia, uno dei problemi che tutt'oggi persiste in molti degli studi è la mancanza di una nomenclatura standard adatta a designare i vari genotipi. Infatti, le prime linee genetiche scoperte da Sibley e Howe furono definite Tipo I, II e III, e quando iniziarono ad essere scoperti i nuovi genotipi, questi nomi si confusero con quelli dei nuovi ceppi esotici o atipici, creando confusione. Come soluzione, è stato adottato uno schema in cui ciascun genotipo è designato come 'ToxoDB PCR RFLP genotype' seguito da uno specifico numero. Ad oggi, sono stati identificati 138 ToxoDB PCR RFLP genotipi a partire da un totale di 1457 campioni, la maggior parte dei quali prelevati da animali selvatici e domestici con infezione cronica. Questi campioni sono stati da prima sottoposti al test per verificare la presenza di anticorpi anti-Toxoplasma nei sieri, poi i soggetti sieropositivi sono stati impiegati per il saggio biologico in gatti o topi. Sugli isolati ottenuti dai gatti e topi infettati sperimentalmente è stata successivamente eseguita la genotipizzazione mediante test PCR-RFLP. Dai dati raccolti sul sito “Toxodb.org” fino alla fine del 2012, emerge che dei 189 genotipi identificati in 1457 campioni di siero raccolti in tutto il mondo, i dieci più frequentemente riscontrati sono il #2, #3, #1, #5, #4, #9, #6, #7, #8 e #10. Dall'analisi della distribuzione geografica di questi genotipi emerge che, mentre nell'emisfero Boreale dominano pochi di essi, nell'emisfero Australe coesistono centinaia di genotipi diversi, pochi dei quali con frequenza maggiore degli altri, a testimonianza che a nord prevale una popolazione a struttura clonale e a sud una popolazione a struttura epidemica. Probabilmente, le profonde trasformazioni che i territori del Nord America, dell'Europa e dell'Asia Orientale hanno subito nel corso dei decenni a causa dell'antropizzazione, e la sostituzione di molte specie selvatiche con animali domestici geneticamente più uniformi, hanno contribuito all'espansione di pochi genotipi di T. gondii che si sono adattati al nuovo ambiente (Shwab et al., 2013). L'elevata diversità genetica dimostrata nel Sud e Centro America lascia invece supporre che questo protozoo si sia originato proprio in queste regioni, e che si sia diffuso negli altri continenti grazie allo scambio di merci, al trasporto di animali domestici, in particolare di gatti,

(30)

28

ed al trasporto accidentale di roditori infetti negli ultimi cinquecento anni (Lehmann et al., 2006). Inoltre, in queste regioni a clima tropicale e subtropicale vivono molte specie diverse di animali selvatici che possono aver favorito la selezione di genotipi diversi di T. gondii e le stesse condizioni climatiche favoriscono la sopravvivenza delle oocisti in ambiente esterno, molto più che nelle regioni del nord, offrendo una maggiore possibilità di trasmissione del parassita (Shwab et al., 2013).

L'importante ruolo delle specie selvatiche nel favorire una maggiore diversità genetica della popolazione di T. gondii appare evidente dai risultati ottenuti in alcuni studi, secondo i quali sembrerebbe che i ceppi ottenuti dai campioni degli animali selvatici possiedano genotipi diversi. In particolare, questo varrebbe per la fauna selvatica non proveniente da determinate aree europee nelle quali sono stati prevalentemente isolati i ceppi archetipici, soprattutto il Tipo II (Richomme et al., 2009; Aubert et al., 2010; Prestrud et al., 2008). L'alto tasso di variabilità evidenziato negli isolati della fauna selvatica non europea, rispetto agli isolati degli animali domestici, ha suscitato domande in merito alla possibilità che possa esistere un gruppo di geni distinti tra di essi. L'importanza di fare chiarezza in proposito deriva dal fatto che quando distinti gruppi di geni di un parassita si sovrappongono, specialmente in conseguenza dell'interferenza umana sull'ambiente, possono svilupparsi focolai epidemici sia nell'uomo, sia negli animali domestici e in quelli selvatici, a causa dell'esposizione degli ospiti a nuovi genotipi del parassita. Poiché probabilmente la risposta a questa domanda potrebbe variare in funzione della località geografica, della specie d'ospite, della frequenza di variazione del genotipo nel tempo, sarebbe necessario un lavoro di campionamento e genotipizzazione sistematico e longitudinale tra diverse specie di ospiti di aree urbane e rurali in differenti località geografiche per far luce sulla questione e portare ad una conclusione definitiva (Wendte et al., 2011).

Figura 1.8 Distribuzione geografica dei genotipi di Toxoplasma gondii. I punti neri indicano le aree geografiche dalle quali sono stati ottenuti gli isolati di T. gondii e sono stati genotipizzati utilizzando il metodo PCR-RFLP. I numeri intorno agli spicchi dei grafici indiano i genotipi ToxoDB PCR-RFLP. In alcuni casi, le denominazioni dei ceppi di tipi alternativi sono sovrapposti alle fette dei grafici in grassetto. L'area delle fette è correlata al numero (n) di isolati

(31)

29

(32)

30

1.6 Interazione tra T. gondii ed il sistema immunitario

Nonostante l'interazione tra T. gondii ed il sistema immunitario degli ospiti sia stata indagata sin dalla scoperta del parassita, più di cento anni fa, ancora oggi essa non è stata pienamente delucidata (Boothroyd 2009; Tait and Hunter 2009). La moltitudine di studi condotti e la conseguente abbondanza di dati raccolti sono, infatti, tra loro difficilmente correlabili a causa sia delle differenze con cui sono stati svolti i vari esperimenti sia per la difficoltà pratica dovuta al dover traslare da studi ed esperimenti condotti su roditori alla grande varietà di ospiti da studiare e confrontare. Tuttavia, è stato ampiamente dimostrato che nelle cellule infettate da T.

gondii più di 1000 geni vengono modulati dal parassita, tra cui quelli che codificano per le varie

proteine implicate nei processi infiammatori, apoptotici, metabolici, di differenziazione e crescita cellulare (Blader and Saeij 2009). Sappiamo che nella risoluzione della toxoplasmosi acuta intervengono sia la risposta immunitaria umorale che cellulo mediata, ma è quest'ultima la principale responsabile dei meccanismi di difesa dell'ospite contro il protozoo (Däubener and Hadding 1997; Innes 1997).

Una volta entrato nell'ospite, T. gondii incontra la prima barriera biologica dell'organismo: la mucosa intestinale. Gli enterociti che vengono infettati dal parassita subiscono modificazioni morfologiche e fisiologiche, di conseguenza iniziano a produrre chemochine e citochine che richiamano per chemiotassi i neutrofili, macrofagi e cellule dendritiche che a loro volta rilasciano citochine proinfiammatorie (Buzoni-Gatel and Werts 2006). Nella prima fase della toxoplasmosi le cellule sopracitate vengono attivate dagli antigeni solubili dei tachizoiti e producono altissimi livelli di IL-12 (Gazzinelli et al. 1993; Johnson and Sayles 1997). In risposta alla produzione di IL-12, le cellule Natural Killer (NK) rilasciano INF-γ, il quale induce la differenziazione dei linfociti T nel fenotipo Th1 e stimola i macrofagi a produrre ROI (reactive oxygen intermediates), i quali conducono alla morte di T.gondii (Nathan et al. 1983). Infatti, IFN-γ è la citochina essenziale per la resistenza all'infezione acuta e cronica del protozoo (Suzuki et al. 1988; Gazzinelli et al. 1993). Insieme a IFN-γ altre citochine fondamentali che lavorano in sinergismo contro l'infezione del parassita sono il TNF-α, IL-6, IL-1 (Lang et al. 2007), IL-2 e linfotossina α. L'IL-2 viene prodotta dai CD4+ ed è un importante mitogeno per le cellule T (Tait e Hunter 2009). Le cellule CD4+ e CD8+ attivate prevengono la riattivazione dell'infezione attraverso la produzione di IFN-γ (Gazzinelli et al. 1992). I CD8+ giocano un ruolo cruciale nell'impedire al parassita di penetrare nelle cellule attraverso l'induzione dell'apoptosi delle cellule infettate (Däubener e Hadding 1997) e la neutralizzazione diretta di

Riferimenti

Documenti correlati

La consapevolezza di essere riusciti a raggiungere il nostro scopo ci rende soddisfatti, perché per il nostro laboratorio risulta importante sapere di essere in grado

Faccio un esempio: per una attività organizzativa-direttiva di traffi- co di droga si rischiano 24-30 anni - qua- si come per un omicidio - , ma attraver- so tutta una serie

La disidratazione ipovolemica legata alla perdita di li- quidi con il vomito e la diarrea associati alla riduzione della pressione oncotica intravascolare

1,2,3,4 Le neoplasie nella maggior parte dei casi si caratterizzano per la presenza di tessu- to neoformato, sebbene in alcuni casi possano presentarsi in forma pri-

Schiavi_imp_ok autore:Schiavi imp 16-06-2010 8:54 Pagina 59.. Nella fase in cui insorgono le lesioni secondarie i segni sistemici della malattia si osser- vano raramente a meno

Il ruolo dell’infezione da Toxoplasma gondii e dell’in- sufficienza renale cronica nel quadro neurologico del gatto in esame può essere escluso sulla base delle seguenti

Nell’infarto bianco, in fase acuta e subacuta si rico- nosce un focolaio midollare di ampiezza variabile (da pochi millimetri a qualche centimetro d’estensione) di ipo-isointen- sità

Proprio l’apertura di uno shop di proprietà rappresenta un passo di grande importanza per Fantoni, che inaugura una nuova fase di sviluppo in cui un ruolo fondamentale sarà