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L'esito delle analisi condotte sui tre Lemur catta deceduti ha confermato il sospetto di una morte iperacuta causata dall'infezione di Toxoplasma gondii. I reperti anatomopatolgici riscontrati alla necroscopia e quelli istopatologici ottenuti dai successivi test sono in accordo con i dati riportati in letteratura. Gli studi condotti sulla toxoplasmosi nei lemuri in cattività, riportano l'assenza di manifestazioni cliniche patognomoniche, la presenza di sintomi aspecifici se non addirittura assenti, e morte acuta. Nella maggior parte dei casi, i lemuri hanno manifestato depressione, anoressia, dispnea, letargia (Dubey et al., 1985; Spencer et al., 2004; Borst e van Knapen, 1984; Juan-Sallés et al., 2011; Junge, 2003). Le lesioni macroscopiche che si evidenziano più frequentemente all'esame autoptico sono megalia e pallore di fegato e milza, talvolta reni con punteggiature biancastre a capocchia di spillo da localizzate a diffuse, megalia ed aspetto emorragico dei lnfonodi mesenterici ed infine focolai generalizzati di polmonite acuta (Dubey et al., 1985; Borst e van Knapen, 1984). Le analisi istopatologiche mostrano la presenza di necrosi da focale a diffusa a livello soprattutto di fegato, milza, polmoni, linfonodi, reni, con focolai emorragici ed infiammatori e tachizoiti sparsi a livello di questi organi (Dubey et al., 1985; Borst e van Knapen, 1984; Spencer et al., 2004).

Sia nello studio di Borst e van Knapen, che in quello di Dubey e colleghi, sono stati raccolti campioni di sangue dai soggetti sopravvissuti ed è stata eseguita la sierologia. I primi hanno eseguito il test di agglutinazione in lattice (Toxoreagent 'Eiken' test kit, Gist Brocades, Olanda), i secondi invece hanno applicato il Sabin-Feldman dye test, ma in entrambi i casi i risultati sono stati negativi, a suggerimento del fatto che i lemuri sani sopravvissuti non siano entrati affatto in contatto col patogeno. Invece, solo un lemure dei tre deceduti è risultato sieropositivo nello studio di Borst e van Knapen e ciò è stato ricondotto al carattere fulminante dell'infezione, aseguito del quale gli individui che muoiono in modo acuto non riescono a sviluppare una risposta immunitaria valutabile (Huldt et al., 1973). Come citato nei capitoli precedenti, nel 2006 Yabsley et al. hanno condotto uno studio sierologico sulla prevalenza di T. gondii, Sarcocystis neurona ed Encephalitozoon cuniculi, in tre specie di lemuri ospitati al centro di conservazione per specie selvatiche dell'Isola di Santa Caterina in Georgia (USA), che smentisce in parte le considerazioni precedenti. Per l'indagine sono stati raccolti 62 campioni di siero, di cui 52 appartenenti alla specie Lemur catta, ed è stato eseguito il MAT test per quantificare gli anticorpi anti-T. gondii (Dubey e Desmonts, 1987). Il 5,8% degli animali testati è risultato sieropositivo per T.

gondii al titolo di 1:50, ma sieronegativo a diluizioni più alte, indicando una precedente esposizione

al protozoo e contraddicendo la conclusione che la toxoplasmosi si presenti solo in forma acuta e fatale in queste specie di ospiti. Inoltre, nessuno dei lemuri risultati sieropositivi aveva esibito alcun

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segno clinico, a suggerimento che l'infezione non evolve sempre nella forma clinica della malattia. Tuttavia, dal momento che nei pochi studi condotti la maggior parte degli esemplari ospitati in cattività hanno sviluppato la parassitosi in forma acuta e fatale, e non sono descritti altri casi di sieropositività in assenza di morte acuta, il caso dei lemuri della Georgia meriterebbe ulteriori indagini per la sua eccezionalità: se si riuscisse a comprendere come questi lemuri si siano immunizzati, sarebbe plausibile immaginare di poter lavorare ad un sistema di vaccinazione? L'aspetto comune che tutti questi studi condividono tra loro sono le ipotesi circa la via di trasmissione dell'infezione. Infatti, sia le lesioni riscontrate a livello dei linfonodi mesenterici e dell'intestino in alcuni soggetti, sia il tipo di alimentazione e le caratteristiche dello habitat dei lemuri in cattività, hanno sempre giustificato la via orale come fonte di infezione toxoplasmica. Eppure, come già detto precedentemente, anche questa certezza è stata contraddetta dalla descrizione del primo caso documentato di toxoplasmosi localizzata e trasmissione transplacentare con placentite, infezione disseminata fetale e nascita di feti morti nel Lemur catta, di Juan-Sallés e colleghi del 2011. L'eccezionalità del caso è dovuta al fatto che non sono mai stati precedentemente riportati in letteratura altri casi di toxoplasmosi a trasmissione verticale, non solo in questa specie, ma anche in tutte le altre specie di primati dimostratisi altamente suscettibili all'infezione. L'esame anatomopatologico della placenta ha evidenziato la presenza di edema diffuso, infiltrati multifocali di linfociti, macrofagi e rari neutrofili, con marginazione leucocitica a livello dei vasi e dei villi corionici. In alcuni degli infiltrati sono stati visualizzati tachizoiti. Tutti e quattro i feti, inoltre, hanno manifestato le lesioni tipiche della toxoplasmosi disseminata ed in uno di essi sono stati rinvenuti due aggregati di tachizoiti nel tessuto cerebrale. Questo lavoro quindi, introduce una nuova forma di trasmissione per T. gondii in queste specie di ospiti, che si affianca alla via di trasmissione orale solitamente documentata. Pertanto, per quanto ancora evento raro, la toxoplasmosi dovrebbe essere annoverata nelle diagnosi differenziali di placentite e incapacità riproduttiva nei lemuri.

Tenendo conto di quanto riportato in letteratura e delle nuove scoperte, i risultati ottenuti in questa indagine e l'analisi delle condizioni di vita dei Lemur catta di Pistoia lasciano pensare che l'infezione sia stata contratta per via orale da tutti e tre i soggetti deceduti, mentre gli animali sani a tutt'oggi ospitati allo zoo non sarebbero ancora entrati in contatto con T. gondii. Infatti, secondo quanto riportato dal Dott. Palo Cavicchio, direttore del Giardino Zoologico di Pistoia, i lemuri erano stati visti entrare in contatto diretto con alcuni gatti vaganti per il parco: i catta praticavano il grooming sui felini attraverso la rete divisoria della loro area. Pertanto è plausibile dedurre che una possibile fonte di infezione possano essere stati questi felini, a seguito della raccolta delle oocisti da loro emesse durante la toelettatura e la conseguente ingestione da parte dei lemuri, così come Yabsley et al. hanno presunto che una probabile fonte di infezione pregressa per i casi da loro analizzati sull'Isola di Santa

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Caterina negli USA potessero essere stati felidi precedentemente ospitati (Yabsley et al., 2007). Di fatto per saperlo con certezza, sarebbe stato interessante prelevare campioni di feci e di sangue dai gatti in questione, per verificare se essi fossero infetti o meno. Le oocisti potrebbero essere state portate nell'area dei lemuri anche dai guardiani dello zoo: questi potrebbero aver raccolto T. gondii con le scarpe e gli indumenti nelle aree dove sono ospitati i felidi selvatici, ed averlo veicolato meccanicamente ai catta durante la somministrazione dei pasti o le routinarie attività di gestione e manutenzione dei ricoveri. La fonte di infezione potrebbe anche ricercarsi negli alimenti somministrati agli animali, poiché la loro dieta è di tipo vegetariano e la frutta e verdura potrebbero essere state contaminate. Ad ogni modo, a seguito di questi episodi, sono state prese misure di prevenzione dell'infezione per impedire il contatto diretto dei catta con i gatti randagi e per assicurare la corretta disinfezione degli alimenti ad essi somministrati. Per la gestione del rischio sono infatti raccomandati l'applicazione di una distanza appropriata tra tutte le specie di primati gravemente sensibili alla toxoplasmosi e le possibili fonti di infezione, come felini e spettatori del pubblico, (Spencer et al., 2004), e la disinfezione accurata della frutta e verdura somministrate come razione (Yabsley et al., 2007). In molti parchi zoologici queste misure sono state attuate realizzando vere e proprie isole artificiali in cui ospitare le specie di ospiti sensibili. Invece a Pistoia queste aree sono state fisicamente separate dai sentieri del parco attraverso opportune recinzioni, che impediscono il contatto diretto con l'esterno, soprattutto con i gatti randagi. L'efficacia di questi miglioramenti è testimoniata dal fatto che dopo i tre casi di morte acuta non ci sono stati altri decessi, ed i catta attualmente presenti che sono stati monitorati quest’anno sono risultati negativi alla sierologia, giustificando la conclusione che non ci siano stati altri contatti con T. gondii.

Dai risultati della genotipizzazione eseguita sugli isolati ottenuti dai tessuti dei tre catta deceduti, è emerso che il genotipo parassitario responsabile dell'infezione è il Tipo II, il ceppo più frequentemente isolato in Europa. Purtroppo, le informazioni circa la popolazione di T. gondii in Africa sono ancora scarse e prevalentemente relative a campioni prelevati dall'Egitto, nel quale sembra essere presente un alto livello di diversità genetica, con scarsa frequenza dei genotipi più comuni (Shwab et al., 2013). Non è possibile quindi elaborare ipotesi che riescano a correlare la sensibilità dei lemuri al protozoo in funzione del genotipo parassitario. Sarebbe interessante, pertanto, raccogliere ed ottenere maggiori informazioni circa la diffusione di questo parassita nel continente africano, soprattutto nelle sue regioni tropicali.

Per quanto riguarda l'elevata sensibilità mostrata dai lemuri nei confronti dell'infezione toxoplasmica, ad oggi, come detto in precedenza, l'ipotesi più accreditata sostiene che questo fenomeno sia l'effetto della mancata esposizione di queste specie a T. gondii durante il loro percorso evolutivo, in ragione dell'assenza di sieroreattività nei lemuri liberi endemici del Madagascar (Dutton et al. 2003; Britt et

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al. 2004; Junge&Louis, 2005). Infatti, l'evoluzione del sistema immunitario è legato alla storia evolutiva delle specie ed è connesso all'evoluzione delle funzioni fisiologiche oltre che alla fase di sviluppo di un organismo. Tra i fattori che possono intervenire nell'indurre la differenziazione interspecifica della risposta immunitaria, il principale è sicuramente la selezione naturale mediata dai patogeni. Essa influisce soprattutto nell'aumentare la frequenza della resistenza di una popolazione di ospiti ad un microrganismo patogeno. Fattori invece come le condizioni ambientali, la dieta, il comportamento posturale e la socialità intervengono più che altro nel modulare l'esposizione e la frequenza di contatto tra le differenti specie di ospiti e i differenti patogeni. Tuttavia, il preciso meccanismo evolutivo patogeno-diretto che contribuirebbe alla divergenza dei sistemi immunitari tra le specie di primati rimane ancora del tutto ipotetico: il perché si assista a così differenti strategie immunitarie d'interazione coi patogeni, ad esempio T. gondii, tra la specie umana e le proscimmie non è ancora chiaro. Il quadro delle differenze interspecifiche dell'immunità rimane ad oggi decisamente incompleto a causa delle disconnesse ricerche circa l'interazione molecolare primate- patogeno, studi condotti su numero limitato di patogeni e mancata correlazione tra gli studi della filogenesi molecolare e della fisiologia dei primati (Brinkworth e Pechenkina, 2013). Di certo, sappiamo che le vie attraverso cui il sistema immunitario si è evoluto per interagire con i differenti patogeni sono le più diverse (Mandl et al., 2008; Pandrea et al., 2007; Sawyer et al., 2004; Song et al., 2005; Soto et al., 2010). Le divergenze interspecifiche relative all'evoluzione del sistema immunitario però non dipendono solo dal rapporto ospite-patogeno, ma sono fortemente influenzate anche da una complessa rete di interazioni tra ospite, simbionti, commensali, e patogeni. Questi organismi tra loro associati e le loro specifiche relazioni costituiscono un'unità evolutiva definita “olobionte” (Zilber-Rosenberg e Rosenberg, 2008). Ogni cambiamento che colpisce uno dei componenti dell'olobionte comporta effetti sull'intera unità, mentre fattori esterni come dieta e condizioni ambientali possono causare modificazioni al microbiota specie-associato, che risultano nella comparsa di nuovi patogeni o nuovi simbionti. Per quanto riguarda i primati, una delle vie documentate, attraverso cui i patogeni hanno influito sulla speciazione è la diretta integrazione del loro stesso genoma, soprattutto virale, nelle cellule germinali degli ospiti, portando a modificazioni delle sequenze genomiche e colpendo numerose funzioni biologiche (Arnaud e al., 2007; Hunter, 2010). A seguito della diversa esposizione ai microrganismi, il genoma dei primati varia tra le specie in termini di tipo e numero di sequenze virali integrate (Horie et al., 2010; Kim et al., 2008). Allo stesso tempo, alcuni loci dei genomi di queste specie sembrano essersi evoluti sotto la pressione diretta della selezione di una moltitudine di patogeni, oggi per la maggior parte identificati. I geni, le proteine e le cellule immunitarie dei primati mostrano differenze strutturali e funzionali a testimonianza di questi fenomeni. Gli Strepsirrhini infatti, sottordine dei primati a cui appartengono

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i Lemuri, mostrano differenti recettori delle cellule Natural Killer (NK) rispetto al sottordine degli Haplorrhini (a cui appartengono le scimmie). Questa divergenza e la conseguente specifica diversificazione di tali recettori hanno presumibilmente avuto effetto sulle interazioni tra le cellule NK e le molecole MHC. Gli Strepsirrhini sembrano avere un sistema attivo di recettori/ligandi delle cellule NK differente, con recettori CD94 della lectina e KRLC1/NKG2 come principali recettori NK, e l'assenza di equivalenti funzionali delle molecole MHC-E, che negli haplorrhini funzionano da ligandi dei recettori lectina (Averdam et al., 2009). Inoltre, i recettori CD94 e NKRC1 sembrano diversificarsi funzionalmente per ricombinazione, piuttosto che per duplicazione come fanno i recettori NK degli haplorrhini. Un'altra peculiarità che interessa i lemuri è che questi, così come i loris e i mammiferi non primati, sembrano non produrre l'isoforma lunga delle immunoglobuline IgE, a differenza dei platyrrhini (scimmie del Nuovo Mondo) che producono solo l'isoforma corta e dei catarrhini (scimmie del Vecchio Mondo) che produco entrambe le isoforme, corta e lunga. Ciò suggerisce che la condizione ancestrale delle IgE fosse l'isoforma corta e quindi che l'isoforma lunga sia stata acquisita ad un certo punto dopo la divergenza degli haplorrhini dagli strepsirrhini circa 77 milioni di anni fa, ma prima della differenziazione dei platyrrhini dai catarrhini 43 miioni di anni fa (Steiper and Young 2006; Wu et al., 2012).

Partendo da queste ipotesi e considerando che il Madagascar si è separato dall'Africa continentale circa 65 milioni di anni fa, e che i Lemuri naturalmente vivono solo su quest'isola, è verosimile supporre che la loro esacerbata suscettibilità all'infezione toxoplasmica derivi sia dalla mancata selezione patogeno-diretta sul sistema immunitario, poiché T.gondii non era in origine presente sull'isola, sia dai differenti meccanismi di risposta immunitari che li differenziano dagli altri primati, in particolare dai catarrhini e dall'uomo. Quest'ultimo aspetto è ancora tutto da indagare e confermare attraverso gli studi di immunologia comparativa, la quale finora si è concentrata maggiormente sullo studio delle differenze proprio tra la specie umana ed i catarrhini. La prima ipotesi invece, che suggerisce la mancata selezione di individui resistenti per mancata precedente esposizione a T.gondii, è oggi quella più accreditata.

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