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Chirurgia delle complicanze Linfatiche e dei vasi Chiliferi: l'esperienza della Scuola Genovese.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI PATOLOGIA CHIRURGICA, MEDICA, MOLECOLARE E DELL'AREACRITICA Scuola di Specializzazione in Chirurgia dell’ Apparato Digerente

Confederata con Genova, Firenze e Siena Direttore: Prof. F. Filipponi (Università di Pisa) Coordinatore per la Sede di Genova: Prof. C. Campisi

Tesi di Specializzazione

“ Chirurgia delle complicanze linfatiche e dei vasi chiliferi:

l’esperienza della Scuola genovese ”

Relatore: Chiar.mo Prof. Corradino Campisi

Specializzando: Dott. Stefano Spinaci

Dipartimento di Chirurgia - DISC -

Sezione di Chirurgia dei Linfatici, Linfologia e Microchirurgia IRCCS San Martino – IST, Genova

Università degli Studi di Genova

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INDICE

Capitolo 1

PATOLOGIA DEI VASI LINFATICI

1.1 Cenni di epidemiologia...Pag.3 1.2 Classificazione e stadiazione...Pag.3 1.3 Aspetti eziopatogenetici e diagnosi...Pag.5 1.4.Terapia chirurgica del Linfedema...……….Pag.6

Capitolo 2

COMPLICANZE LINFATICHE IN CHIRURGIA

2.1 Epidemiologia ed eziopatogenesi...……… Pag.20 2.2 Prevenzione delle lesioni linfatiche in chirurgia (Ly.M.P.H.A)...Pag.21

2.3Tecniche chirurgiche preventive in chirurgia tradizionale………Pag.23

Capitolo 3

PATOLOGIA DEI VASI CHILIFERI, DELLA CISTERNA CHYLI E DEL DOTTO TORACICO

3.1 Definizione, classificazione ed eziopatogenesi...………….…………Pag.24 3.2 Fisiopatologia, Clinica e Diagnostica, di Laboratorio e Strumentale…...Pag.25 3.3 Terapia...………...Pag.27 3.4 Trattamento dei traumi delle strutture linfatiche………. Pag.29 3.5 Esperienza clinica………..Pag.33

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Capitolo1

PATOLOGIA DEI VASI LINFATICI

1.1 Cenni di epidemiologia

I dati ricavabili dalla Letteratura internazionale, corrispondenti a quelli ufficiali dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, riportano un'incidenza del linfedema nel mondo pari a 300 milioni di casi (circa una persona ogni 20). Quasi la metà dei linfedemi è di origine primaria, caratterizzati da una base congenita linfangio-adeno-displasica, ossia dovuta ad una malformazione e conseguente malfunzionamento dei linfonodi e/o vasi linfatici. Altri 70 milioni sono di origine parassitaria (le forme più frequenti sono rappresentate dall'infestazione da Filaria Bancrofti), particolarmente presenti nelle aree tropicali e subtropicali (India, Brasile, Sud-Africa). Altri 50 milioni sono post-chirurgici e specialmente secondari al trattamento del carcinoma mammario. Gli altri 30 milioni sono essenzialmente causati da problemi funzionali di sovraccarico del circolo linfatico (particolarmente, in esiti di flebotrombosi profonda dell'arto inferiore, insufficienza epatica, sindrome nefrosica, fistole artero-venose).

1.2 Classificazione e stadiazione

L’edema da stasi linfatica, per abnorme accumulo di linfa nello spazio interstiziale, ad insorgenza spesso subacuta, talora acuta, ma con peculiare evoluzione cronica negli anni, può localizzarsi, a seconda dei casi, a uno o ad entrambi gli arti inferiori, oppure a uno o (più raramente) ad entrambi gli arti superiori, nonché ai genitali esterni, caratterizzandosi per la sua progressiva ingravescenza, sino all’ispessimento e all’indurimento fibro-sclerotico, nelle maggior parte dei casi, della cute e del sottocute del distretto interessato (pachidermite scleroindurativa), alla verrucosi cutanea vesciculo-papillomatosa linfostatica ed alla notevole deformazione dell’area somatica colpita (nell’arto inferiore, tale condizione morbosa viene anche classicamente indicata come “elefantiasi”), la cui compromissione funzionale si accompagna ad una disabilità di grado sempre più elevato, con il conseguente proporzionale deterioramento della qualità di vita del paziente.

La classificazione dei linfedemi comprende forme primarie o congenite e forme secondarie o acquisite (Tab.I).

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4 Tab.I – Classificazione dei linfedemi

Primari o congeniti

- Connatali (presenti già alla nascita)

Sporadici Eredo-familiari

- Precoci (compaiono prima dei 35 anni) - Tardivi (compaiono dopo i 35 anni) Secondari o acquisiti - Post-chirurgici - Post-attinici - Post-traumatici - Post-linfangitici - Parassitari

La stadiazione comprende 3 stadi, suddivisi ciascuno in A e B (Tab.II).

Tab.II – Stadiazione dei linfedemi

Stadio IA – Linfedema “latente”, assenza di segni clinici di edema, ma in presenza di una capacità di trasporto linfatico alterata (dimostrabile alla linfoscintigrafia) e con iniziali alterazioni immuno-istochimiche dei linfonodi, linfatici e matrice extracellulare.

IB – Linfedema “iniziale”, totalmente o parzialmente reversibile con il riposo e la posizione declive, con progressivo peggioramento della capacità di trasporto linfatico e delle alterazioni immuno-istochimiche dei collettori linfatici, dei linfonodi e della matrice extracellulare.

Stadio IIA – Linfedema “ingravescente”, con minima capacità di trasporto linfatico,attacchi ricorrenti di linfangite, alterazioni cutanee fibro-sclerotiche e progressiva disabilità.

IIB – Fibrolinfedema con arto a “colonna”, con alterazioni cutanee su base linfostatica, assente capacità di trasporto linfatico e progressiva disabilità.

Stadio IIIA – Elefantiasi pr. d.,conpachidermitescleroindurativa, verrucosi linfostatica papillomatosa, assente capacità di trasporto linfatico con grave disabilità.

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1.3 Aspetti eziopatogenetici e diagnosi

Per quanto riguarda il linfedema, il disturbo centrale, da un lato, può essere rappresentato da una insufficienza a bassa portata (low output failure) del sistema linfatico: si ha, cioè, una riduzione generale del trasporto linfatico. Un’alterazione di questo tipo può essere causata da displasia linfatica congenita – linfedema primario– oppure da obliterazione anatomica, quale quella che si ha a seguito di resezione linfonodale radicale o a seguito di ripetute linfangiti con linfangiosclerosi – linfedema secondario. Dall’altro lato, l’insufficienza ad alta portata (high output failure) della circolazione linfatica si ha quando una capacità di trasporto normale oppure aumentata è sopraffatta da un eccessivo carico di filtrato ematico capillare: ad esempio, la cirrosi epatica (ascite), la sindrome nefrosica (anasarca) e l’insufficienza venosa profonda degli arti inferiori (sindrome post-tromboflebitica).

Nella maggior parte dei pazienti, sulla base dell’anamnesi e dell’esame obiettivo, si può agevolmente porre diagnosi di linfedema: edema generalmente di consistenza aumentata, assenza del segno della fovea, presenza del segno di Stemmer, lesioni distrofiche cutanee, frequenti complicanze dermato-linfangio-adenitiche.

In alcuni casi, inoltre, la presenza di condizioni sovrapposte quali l’obesità patologica, l’insufficienza venosa, il trauma più o meno evidente e ricorrenti infezioni possono complicare il quadro clinico.

La Linfoscintigrafia è l’esame di prima scelta per la definizione diagnostica dell’edema, per confermarne la natura linfostatica, per l’individuazione della causa (da ostacolo o da reflusso), per valutare l’estensione della malattia (dermal back flow), la compromissione maggiore o minore del circolo linfatico profondo rispetto a quello superficiale, il drenaggio attraverso le stazioni linfonodali. Utile, pertanto, lo studio della circolazione linfatica sia superficiale che profonda, mediante l’opportuna iniezione del tracciante nelle sedi specifiche di drenaggio dei due sistemi. L’esame non è invasivo, facilmente ripetibile, eseguibile anche in età neonatale. Consente, inoltre, di individuare lo stadio 1A della linfostasi, ancora clinicamente non manifesta, svolgendo così un ruolo fondamentale nella prevenzione del linfedema secondario. Utile, infine, per lo studio nel follow-up dei diversi metodi terapeutici del linfedema e, in particolare, delle tecniche di microchirurgia linfatica.

La Linfografia rappresenta modernamente un’indagine indispensabile per lo studio delle complesse patologie congenite o acquisite dei vasi chiliferi, della cisterna chyli e del dotto toracico. Viene più modernamente eseguita in sala operatoria, in anestesia locale e con preparazione dei vasi linfatici mediante tecnica microchirurgica.

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6 L’Ecografia, la TC e la RM rappresentano strumenti diagnostici utili per la definizione delle complesse sindromi in cui si associano quadri di angiodisplasia e linfedema, oltre che per lo studio della eventuale natura organica ostruttiva del linfedema secondario a malattia tumorale.

La Linfangio-RM, in particolare, eseguita con la metodica di sottrazione del tessuto adiposo, può fornire informazioni importanti nei quadri avanzati di natura ostruttiva, in cui le vie linfatiche si presentano dilatate e ripiene di linfa.

Più recentemente è stata proposta la linfangiografiafluoresceinica al verde di indocianina (PDE, Photo DynamicEye) che consente di visualizzare le vie linfatiche molto superficiali, sino ad una profondità di circa 5 mm. e che viene impiegata per la tecnica del linfonodo sentinella, per la realizzazione delle anastomosi linfatico-venulari e per la valutazione dell’efficacia delle terapie fisiche (tipo linfodrenaggio manuale).

Indispensabile è lo studio della circolazione venosa mediante Eco-Color-Doppler (indagine costantemente impiegata nella valutazione strumentale di un arto edematoso), Fleboscintigrafia e Flebografia (se necessarie sulla base dell’esame Eco-Doppler).

1.4 Terapia chirurgica del linfedema

La terapia del linfedema periferico viene suddivisa nel trattamento medico (a base di benzopironi, come la Cumarina, i Bioflavonoidi e derivati), fisico-riabilitativo (che comprende la cura della pelle, linfodrenaggio manuale, bendaggio, esercizi fisici, pressoterapia) e chirurgico.

Le tecniche chirurgiche impiegate in passato per la cura dei linfedemi miravano alla riduzione

volumetrica degli arti mediante interventi sintomatici di tipo demolitivo-resettivo

(cutolipofascectomia, linfangectomia totale superficiale). Più recentemente, sono state proposte tecniche di liposuzione del tessuto fibro-linfedematoso(Brorson) negli stadi più avanzati della malattia. Si tratta di interventi di tipo sintomatico, che richiedono l’uso costante della contenzione elastica elastica per il mantenimento del risultato. E’ stata inoltre proposta una tecnica di fibro-lipo-linfo-aspirazione (FLLA) con preservazione linfatica (C.C.Campisi,2014 - Fig.1).

L’avvento della Microchirurgia ha consentito di studiare e realizzare soluzioni terapeutiche funzionali e causali del linfedema con lo scopo di drenare il flusso linfatico o di ricostruire le vie linfatiche ove ostruite o mancanti mediante tecniche fini, riparatrici, intervenendo direttamente sulle strutture linfatiche stesse.

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7 Fig.1: Linfedema dell’arto inferiore destro trattato mediante MLVA e FLLA

Le tecniche microchirurgiche hanno fornito risultati positivi e duraturi nel tempo sia per il trattamento di linfedemi primari, compresi quelli in età pediatrica, che secondari ad interventi di tipo oncologico, che comportano l’exeresi linfonodale in sedi “critiche” quali l’ascella, l’inguine e la pelvi.

Le tecniche microchirurgiche adottate per la terapia chirurgica “conservativa e funzionale” del linfedema vengono distinte in derivative e ricostruttive.

Le metodiche derivative mirano al ripristino del flusso linfatico nella sede dell’ostruzione mediante la realizzazione di un drenaggio linfatico-venoso, con l’impiego direttamente dei linfatici, anastomizzati a una collaterale della vena satellite principale: anastomosi linfatico-venosa multipla(MLVA).

Le anastomosi linfatico-venose multiple (Campisi, 1973) vengono realizzate con tecnica telescopica mediante un singolo punto ad U e alcuni altri punti di ancoraggio dei linfatici all’interno del segmento venoso (Figg.2-4). I tempi d’intervento sono variabili da 75 a 120 minuti in media. In questi casi viene utilizzata una collaterale continente della vena principale.

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8 Fig.2: Anastomosi linfatico-venosa multipla (MLVA) eseguita con tecnica telescopica

Fig.3: MLVA per il trattamento di un linfedema dell’arto superiore eseguita in sede brachiale. Si noti il buon apparato valvolare del segmento venoso utilizzato per l’anastomosi.

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Fig.4: MLVA per il trattamento di un linfedema dell’arto inferiore. E’ stata utilizzata una collaterale venosa continente.

I risultati a distanza sono tanto migliori quanto più precocemente si applica tale tecnica chirurgica. Si tratta di un intervento funzionale che mira al trattamento della causa ostruttiva del linfedema. Una volta eseguito, non è più necessario ripeterlo nel tempo (Figg.5-11).

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10 Fig.6: Risultato clinico dell’intervento di MLVA per linfedema primario dell’arto inferiore

sinistro

Fig.7: Marcata riduzione di volume del linfedema dell’arto inferiore destro in pz con fibrolinfedemalocalizzato alla coscia ( e voluminoso linfocele inguinale), trattato mediante

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11 Fig.8: Risultato clinico del caso della figura 7, a lunga distanza dall’intervento.

Fig.9: Linfedema dell’arto superiore sinistro secondario al trattamento di un ca. mammariotrattato mediante MLVA.

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12 Fig.10: Linfedema secondario dell’arto superiore destro trattato mediante MLVA.

Fig.11: Buon risultato clinico a distanza dopo trattamento con MLVA di linfedema primario dell’arto inferiore sinistro.

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13 Autori giapponesi (Koshima) hanno proposto tecniche di anastomosi linfatico-venulare, più superficiali, anastomizzando un linfatico subdermico a una piccola venula dello stesso calibro del linfatico. In questo caso, devono essere eseguite più anastomosi lungo l’arto, con diverse cicatrici chirurgiche e con tempi chirurgici molto più lunghi rispetto all’anastomosi linfatico-venosa multipla sopra descritta. Si tratta di interventi che interrompono le vie linfatiche lungo l’arto e può essere necessario anche ripetere l’intervento nel tempo in rapporto alla chiusura di queste minime comunicazioni linfatico-venulari soggette al possibile reflusso di sangue nel linfatico e al coinvolgimento della microanastomosi nel tessuto cicatriziale da guarigione della ferita chirurgica. Le tecniche microchirurgiche ricostruttive consentono di ripristinare una continuità di flusso del circolo linfatico, superando la sede del blocco con l’impianto di segmenti autologhi linfatici o venosi tra i collettori a valle e a monte dell’ostacolo: autotrapianto segmentale di linfatico (Baumeister) e linfatico-veno-linfatico-plastica o anastomosi linfatico-veno-linfatiche (LVLA, Campisi, 1982). Autori francesi hanno proposto l’autotrapianto linfatico-linfonodale (Becker) senza però eseguire alcuna anastomosi linfatica e determinando il rischio di linfedema secondario nella sede di prelievo del lembo linfonodale.L’intervento di interposizione di innesti venosi autologhi tra i collettori linfatici a monte e valle dell'ostacolo al flusso linfatico rappresenta una metodica, alternativa alle tecniche derivative, di facile esecuzione. Gli innesti venosi vengono agevolmente prelevati dalla stessa sede dell'intervento, dalla superficie volare del braccio o dalla gamba (rami collaterali delle safene) per una lunghezza variabile da 7 a25 cm. ed un calibro di 1,5-5 mm. Questa metodica è utilizzata soprattutto per l’arto inferiore e la sede dell’intervento è tra le regioni sopra e sottoinguinale, utilizzando un'anastomosi telescopica, per inosculamento, con un punto ad U in materiale non riassorbibile, nylon, monofilamento, 8/0 (Fig.12).

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14 Fig.12: LVLA per il trattamento microchirurgico ricostruttivo di linfedema dell’arto inferiore

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15 L'intervento di linfatico-veno-linfatico-plastica (LVLA) ha una durata media di 2 ore e mezza e viene impiegata quando ci si trova in presenza di una patologia venosa (ad es. ipertensione venosa, insufficienza valvolare) non correggibile chirurgicamente.

L’impiego delle tecniche microchirurgiche per il trattamento della linfostasi consente di raggiungere risultati positivi, con riduzione in consistenza e volume dell’edema dell’arto colpito variabile dal 50% al 75%, sino al 100% rispetto alle condizioni precedenti il trattamento a seconda dell'edema. Nel “follow-up” di pazienti trattati con Microchirurgia Linfatica per linfedema degli arti, a distanza di oltre 15 anni dall’intervento, tali risultati si sono dimostrati stabili e duraturi(Figg. 13, 14).

Fig.13: Controllo linfoscintigrafico pre e post-operatorio di linfedema dell’arto superiore sinistro trattato mediante MLVA

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Fig.14: Linfoscintigrafia pre e post-operatoria in pz sottoposto a MLVA per linfedema dell’arto inferiore destro. Si noti la precoce captazione epatica del tracciante.

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17 I criteri di valutazione dei risultati sono rappresentati dalla volumetria ad acqua e dalla scintigrafia linfatica eseguiti prima del trattamento e a distanza variabile dall’intervento.

La scintigrafia linfatica, condotta a distanza di tempo variabile dall'intervento consente di dimostrare la pervietà delle anastomosi microchirurgiche derivative o ricostruttive mediante 1) la dimostrazione di una riduzione del "dermalbackflow", 2) la "scomparsa" del tracciante in corrispondenza delle microanastomosi per il passaggio nel circolo ematico, 3) la precoce "captazione" epatica del tracciante indicativa di un più rapido passaggio del tracciante nel circolo sistemico, 4) il ripristino di vie linfatiche preferenziali di risalita del tracciante, 5) visualizzazione del segmento venoso interposto.

Le tecniche microchirurgiche sono molto vantaggiose soprattutto negli stadi più precoci della malattia, per i quali la Microchirurgia è capace di fornire, grazie al ripristino di vie di drenaggio linfatico preferenziali dell'arto colpito, risultati che possono raggiungere anche la guarigione. Anche negli stadi più avanzati, tuttavia, le tecniche microchirurgiche consentono di raggiungere una rapida e significativa riduzione dell'edema (in rapporto alla componente liquida dello stesso), che viene mantenuta nel tempo e migliorata mediante procedure medico-fisiche, atte ad ottimizzare le vie di scarico realizzate chirurgicamente, così come si può evidenziare dall’analisi della nostra casistica complessiva e dei risultati registrati nel “follow-up” a lungo termine ( Figg. 15,16 A-B).

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18 Fig.15: Protocollo CLyFT di trattamento completo funzionale del linfedema per gli stadi più

avanzati. .

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Figg.16 A-B: Casistica complessiva (A) e “follow-up” a lungo termine (B).

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Capitolo2

COMPLICANZE LINFATICHE IN CHIRURGIA

2.1 Epidemiologia ed etiopatogenesi

Le lesioni linfatiche in chirurgia rappresentano un’evenienza non rara basti pensare all’incidenza delle complicanze linfatiche dopo linfoadenectomia inguinale: linfocele (6-40%), deiscenza di ferita (17-65%), infezione di ferita con linfangite (6-20%) e linfedema (22-80%); e dopo linfoadenectomia ascellare: linfedema secondario dell’arto superiore omolaterale dopo dissezione ascellare completa (7-77%) o anche dopo solo linfonodo sentinella (0-13%).

Di un certo rilievo clinico, sul piano epidemiologico, sono le lesioni del dotto toracico, più frequentemente (>50%) iatrogene, correlate a interventi chirurgici (0,2-0,5% degli interventi cardiotoracici, 3% delle esofagectomia a torace chiuso). Anche nel corso di altri interventi cervicali, sovraclaveari o toracici possono verificarsi lesioni iatrogene del dotto toracico (linfadenectomie, resezione di gozzi retroclaveari, resezione della I costa o della clavicola, correzione di aneurisma della succlavia, scalenotomia, ecc.).

Pertanto, uno dei più rilevanti meccanismi patogenetici di lesione dei linfatici è rappresentato da interventi chirurgici quali la linfoadenectomia, soprattutto se realizzata per motivi oncologici ma anche solo a scopo bioptico; poi anche la chirurgia venosa, l’ernioplastica inguinale o crurale, l’asportazione di tumefazioni (ad es. lipomi) in sedi critiche (ascella, inguine). Dopo tali interventi, in particolare su pazienti costituzionalmente predisposti (insufficienza circolatoria linfatica latente), possono verificarsi complicanze quali la linfangite, la linforrea, il linfocele, infezioni della ferita chirurgica che possono, altresì, favorire la comparsa del linfedema secondario dell’arto corrispondente. In chirurgia venosa sono riportate complicanze linfatiche, come infezioni della ferita, linfocele e linfedema nel 3,2% dei casi e la linfangite, 4-6% dei casi, dopo safenectomia per by-pass aorto-coronarico. In chirurgia arteriosa, la causa dell’edema è l’ampia dissezione condotta in sede inguinale e poplitea nei by-pass femoro-poplitei che provoca un danno linfatico con associato o meno linfocele, trattandosi così di linfedema più che di edema da rivascolarizzazione su base microvascolare.

Per quanto riguarda le lesioni del dotto toracico, queste in oltre il 50% dei casi sono correlate ad interventi di tipo cardio-polmonare, esofageo, a linfoadenectomie, interventi sulla tiroide, sull’arteria succlavia, ecc.. Nel 15-25% le lesioni del dotto toracico possono verificarsi nei politraumi.

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21 In ambito urologico, non infrequenti sono le complicanze linfatiche correlate alla estesa linfoadenectomia in ambito oncologico e in particolare si tratta di linfoceli, ascite chilosa, linfangite e linfedema.

In chirurgia ginecologica oncologica, importanti complicanze linfatiche sono rappresentate da linfoceli pelvici, linfangite e linfedema.

Anche in ambito chirurgico generale, dobbiamo considerare le complicanze linfatiche correlate al trattamentodei melanomi e, seppur eccezionalmente, casi di ascite chilosa dopo colecistectomia ed emicolectomia destra in rapporto ad una particolare predisposizione anatomo-funzionale linfatica.

2.2 Prevenzione chirurgica delle lesioni linfatiche (Ly.M.P.H.A)

La prevenzione del linfedema dell’arto superiore secondario a chirurgia e/o radioterapia per cancro della mammella si basa sulla possibilità offertaci oggi, soprattutto, dalla linfoscintigrafia, di studiare, preliminarmente all’intervento alla mammella ed al cavo ascellare, oppure subito dopo, l’assetto anatomo-funzionale del circolo linfatico dell’arto superiore omolaterale. Sarebbe così possibile individuare, nella popolazione femminile affetta da cancro della mammella e candidata al trattamento chirurgico e/o radioterapico, categorie di pazienti a rischio(basso, medio ed elevato) per la comparsa del linfedema secondario. A queste pazienti potrebbero opportunamente, così, essere applicati in prima istanza, e non tardivamente, i provvedimenti terapeutici da caso a caso ritenuti più idonei, a seconda dell’entità del danno individuato a carico del circolo linfatico. E’ stata recentemente proposta la tecnica LY.M.P.H.A. (Lymphatic Preventive Healing Approach, Boccardo 2008, Fig.17) che consiste nell’eseguire anastomosi linfatico-venose multiple tra i linfatici brachiali e una collaterale della vena brachiale, nella dissezione linfonodale ascellare, e tra i linfatici dell’arto inferiore e una collaterale della safena interna, nella dissezione inguinale, nel trattamento del carcinoma mammario, della vulva e del melanoma cutaneo maligno del tronco. Tale metodica chirurgica preventiva rappresenta una tecnica di prevenzione primaria del linfedema secondario in pazienti a rischio di comparsa di linfedema candidati ad interventi di tipo oncologico.

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22 Fig.17: Tecnica Ly.M.P.H.A. per la prevenzione chirurgica primaria del linfedema secondario

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2.3Tecniche di prevenzione chirurgica tradizionale

I cardini di una chirurgia preventiva del linfedema e delle complicanze linfatiche sono rappresentati da:

- preservazione delle strutture linfatico-linfonodali

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Capitolo3

PATOLOGIA DEI VASI CHILIFERI, DELLA CISTERNA CHYLI E DEL

DOTTO TORACICO

3.1 Definizione, classificazione ed eziopatogenesi

Si tratta di quadri relativamente rari che, quando su base primaria o congenita, si manifestano, nella maggioranza dei casi, già in età neonatale o infantile, in rapporti all’estensione ed alla gravità delle malformazioni linfangio-adeno-chilo-displasiche, che stanno alla base di assai complessi quadri clinici, con collettori linfatici e chiliferi displasici ed ectasici, insufficienza parieto-valvolare degli stessi, reflusso chiloso gravitazionale ed asociata grave displasia linfonodale. Quando, invece, su base secondaria od acquisita, possono rappresentare le complicanze di lesioni post-traumatiche o iatrogene (v.specifico paragrafo), conseguenti, queste ultime, per solito, ad interventi chirurgici oncologici con estese linfoadenectomie retroperitoneali, oppure a legatura o lacerazione accidentale del Dotto Toracico, lungo il suo decorso, a partire dalla “Cisterna Chyli” sino al suo sbocco, in fossa sovraclaveare sinistra, nell’angolo venoso succlavio-giugulare.

Tali complesse condizioni cliniche (Tab. A), che possono manifestarsi con quadri di chiloperitoneo,

chiledema degli arti inferiori, dei genitali esterni, chiluria, chilotorace, chilometrorrea, chilartro,

variamente associati tra loro, comportano un impegnativo iter diagnostico e terapeutico. Una grave ipoproteinemia rappresenta la conseguenza principale, sul piano metabolico generale, di tale patologia, potendosi manifestare una enteropatia essudativa protido-disperdente, con gravi episodi diarroici, che spesso contraddistinguono le esacerbazioni cliniche di tale patologia.

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25 Tabella A: Manifestazioni cliniche della patologia dei vasi chiliferi

Chiloperitoneo o peritonite chilosa Chiledena degli arti inferiori Chiledema dei genitali esterni

Chiluria Chilotorace Chilometrorrea

Chilartro

3.2 Fisiopatologia, Clinica e Diagnostica, di Laboratorio e Strumentale

L'esistenza di una malformazione dei vasi chiliferi e della cisterna di Pequet ostacola considerevolmente il drenaggio dei linfatici intestinali. I collettori linfatici lungo la parete dell'intestino tenue ed il mesentere si dilatano, ripieni di chilo. Considerando la loro posizione appena sottoperitoneale, possono andare incontro a rottura, determinando il riversarsi di chilo all'interno della cavità peritoneale (ascite chilosa). Talora, la rottura dei vasi chiliferi si verifica in due tempi: il chilo che fuoriesce dai collettori linfatici scolla il peritoneo, determinando la formazione di un chiloma, che, successivamente, si apre all'interno della cavità addominale. Il riscontro di una dilatazione localizzata di un vaso chilifero viene definita cisti chilosa del mesentere (Fig.1).

Dal punto di vista diagnostico, notevole importanza rivestono lo studio ematochimico accurato (comprendente in particolare elettroforesi proteica, lipidogramma, calcemia), il test d'iperlipidemia, l’Ecotomografia, la Linfoscintigrafia, ma soprattutto la Linfangiografia, specialmente se abbinata alla TC, la linfangio-RM e la Laparoscopia, che è in grado di fornire dati precisi sulla situazione clinica, gravità ed estensione della malattia.(Fig.2) Talora, un utile ruolo di complemento diagnostico può assumere, per la dimostrazione di una associata enteropatia protido-disperdente, la

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26 Fig. 1: Cisti chilose della parete intestinale e del mesentere

Fig. 2: Algoritmo diagnostico riassuntivo nelle patologie dei vasi chiliferi

TEST LABORATORISTICI SPECIFICI (LIPIDOGRAMMA, TEST D’IPERLIPIDEMIA, ECC.)

ECOGRAFIA

LINFOSCINTIGRAFIA

LINFOGRAFIA / LINFANGIO-TC / LINFANGIO-RM

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27 Fig. 3 : Caso clinico di linfangio-chilodisplasia intestinale e mesenterica primitiva. Si notino i vasi chiliferi della

parete intestinale dilatati ed evidenziati dal “pasto grasso” e le lacune chilifere mesenteriche responsabili del versamento chioso libero nella cavità addominale.

3.3 Terapia

Per quanto concerne l'approccio terapeutico, questi quadri, anche nel caso di un’insorgenza acuta (ad es. peritonite chilosa), non devono mai essere sottoposti a trattamento chirurgico troppo tempestivamente, quanto meno non prima di aver compensato adeguatamente il paziente sul piano metabolico, con un regime dietetico appropriato, basato sulla reintegrazione proteica e limitando l’apporto lipidico esclusivamente ai grassi a base di “Trigliceridi a Catena Media” (MCT) che, invece di essere assorbiti attraverso le radici linfatiche chilifere intestinali, seguono la via del sistema portale. Determinante, per il raggiungimento più rapido di uno stato di compenso metabolico, può risultare un regime iniziale di “Nutrizione Parenterale Totale” (NPT), al fine di ridurre significativamente la portata della sorgente dello spandimento chiloso.

In queste fasi iniziali, può risultare utile l’approccio videolaparoscopico, finalizzato anche al corretto posizionamento di uno o più drenaggi peritoneali, allo scopo di prosciugare il versamento in modo progressivo tale da evitare complicanze emorragiche “ex vacuo”. Questi drenaggi possono

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28 essere utilizzati anche per lavaggi seriati con soluzione di Trémollières (acido lattico concentrato) abbinata a un antibiotico (rifamicina sodica, 250-500 mg), per l’effetto sclerosante sui linfatici (vantaggioso in particolare nel trattamento di raccolte chilose post-operatorie dopo interventi di linfadenectomia retroperitoneale estesa). Può risultare vantaggiosa, inoltre, la somministrazione sottocutanea di Octreotide, essendosi questa sostanza dimostratasi in grado di ridurre anche significativamente la produzione chilosa. A questo punto il “timing” chirurgico prenderà l’avvio articolandosi, a seconda dei casi, in funzione della risposta ottenuta con i validi presidi terapeutici conservativi, nel frattempo posti in atto, sopra descritti.

Il trattamento chirurgico sarà così, di volta in volta, modulato a seconda dei casi, della natura primaria o secondaria dello spandimento chioso, della rilevanza clinica e della maggiore o minore complessità del quadro, dell’estensione della patologia, della unicità o molteplicità delle sorgenti della perdita di chilo. Di modo che, in varia forma di associazione, le diverse possibili procedure chirurgiche comporteranno (Fig.18):

- il drenaggio del chiloperitoneo;

- l’identificazione della sede o delle sedi della chilorragia; - l’asportazione delle cisti chilose e dei chilomi;

- l’exeresi del tessuto linfangectasico-linfangiodisplasico, eventualmente combinata ad un trattamento sclerosante con soluzioni “ad hoc”;

- le legature “scaglionate” antigravitazionali dei collettori linfatici chiliferi, ectasici ed incompetenti, per il trattamento del reflusso chioso gravitazionale, sulla guida di quanto

preconizzato da Servelle e Tosatti, avvalendosi anche della moderna tecnica LASER CO2

(grazie all’effetto welding, di saldatura, sui linfatici);

- le tecniche microchirurgiche derivative (anastomosi linfatico-venose) o ricostruttive (linfatico-veno-linfatico plastica), che consentono di realizzare una chirurgia funzionale di scarico antigravitazionale nelle sedi (lombari, iliaco-pelviche e inguinali) in cui si reperiscono collettori ectasici suscettibili di tali procedure;

Molto utile per un migliore riconoscimento dei collettori chiliferi (Fig.IV-3) risulta la somministrazione di un pasto grasso (60 grammi di burro in una tazza di latte) assunto dal paziente 4-5 ore prima dell’intervento secondo Servelle.

L’approccio videolaparoscopico a supporto di quello laparotomico, ove non utilizzabile come via esclusiva, spesso in associazione alle procedure microchirurgiche LASER-assistite, rappresenta la condotta terapeutica oggi più accreditata dal maggior numero di successi.

Terapie alternative o complementari alle tecniche sopra descritte sono rappresentate da: shunt peritoneo-giugulare (Denver, Le Veen), nei casi più ribelli e votati alla recidiva inesorabile, con i

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29 ben noti limiti dell’applicazione di tali procedure in età pediatrica; resezione del tratto di intestino maggiormente colpito dalla displasia nei casi in cui le linfangectasie possono risultare di gravità estrema.

Fig.18: Quadro di abbondante ascite chilosa secondaria a linfoadenectomia paraaortica.

3.4 Trattamento dei traumi delle strutture linfatiche

In relazione a gravi traumatismi (come ad es. nei politraumatizzati) le lesioni del dotto toracico possono verificarsi nel 15-25% dei casi, per cadute dall’alto, per compressione del rachide, nelle fratture vertebrali e costali, per iperestensione brusca del rachide, oltre che nelle ferite penetranti. Le lesioni traumatiche dei vasi linfatici possono essere classificate in traumi dei linfatici periferici e traumi del dotto toracico (comprendenti la cisterna del Pecquet e vasi chiliferi pre-cisternali). A loro volta i traumi si distinguono in aperti e chiusi.

Le lesioni traumatiche del dotto toracico (e conseguente chilotorace) possono essere suddivise in tre stadi che prendono in considerazione la predominanza dei sintomi correlati all’evento

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30 traumatico: stadio iniziale (shock post-traumatico) – predominano i sintomi dello shock provocato dal trauma contusivo toracico, spesso associato ad altre lesioni traumatiche (ad es. nel politraumatizzato); stadio intermedio (intervallo libero) – fase di miglioramento sintomatologico; terzo stadio (chilotorace) – caratterizzato da dispnea e collasso circolatorio (da stimolazione pleurica da parte del versamento chiloso). Tale meccanismo in due tempi implica una prima fase di integrità e una seconda di rottura della pleura (dopo alcuni giorni o settimane l’azione del versamento chiloso mediastinico provoca la lacerazione pleurica e conseguente chilotorace).

Nel caso di normale drenaggio linfatico della regione colpita (ad es. arto inferiore o superiore) la linforragia è minima è cessa spontaneamente, grazie alla capacità della linfa di coagulare in condizioni di infiammazione. In arti con insufficienza circolatoria linfatica cronica (linfedemi o flebolinfedemi) la linforrea diventa persistente in relazione all’elevato regime pressorio vigente all’interno del sistema linfatico. Tale condizione predispone, inoltre, alle infezioni (linfangiti) in quanto la linfa è un pabulum ottimale per la proliferazione batterica e la ferita rappresenta la porta di entrata in particolare per i germi saprofiti della cute (cocchi gram positivi).

Nei traumi chiusi, si possono formare raccolte per lo più soprafasciali siero-linfatiche (sieromi, linfoceli) o emo-linfatiche. L’evoluzione di queste raccolte varia a seconda dell’entità delle stesse e, dalla possibile soluzione spontanea con totale riassorbimento del sieroma, si può giungere alla infezione, sino all’ascessualizzazione, per contaminazione, magari correlata a punture esplorative ripetute per tentativi di aspirazione del liquido.

Per quanto riguarda il dotto toracico, i meccanismi patogenetici più frequenti sono rappresentati dalle lesioni che si possono verificare nel paziente politraumatizzato e dagli interventi chirurgici in sede sovraclaveare, cervicale e toracica.

Nelle lesioni traumatiche periferiche degli arti, senza soluzioni di continuo, si possono formare delle raccolte siero-linfatiche (linfocele post-traumatico) che si manifestano come tumefazioni fluttuanti, per lo più con note di dermato-linfangite (Fig.19) della regione cutanea sovrastante, associate a edema (linfedema) distale. Talora, in arti predisposti congenitamente, l’evento traumatico associato alla linfangite può rappresentare la causa scatenante di un edema persistente (linfedema post-traumatico, post-linfangitico). In tali casi si pone la diagnosi differenziale con la tromboflebite superficiale. Le lesioni traumatiche con soluzioni di continuo dei tessuti più superficiali comunemente non sono causa di linforragia o linforrea se non si verificano su arti con insufficienza linfatica. Le infezioni sono frequenti e causano la persistenza e l’allargamento delle lesioni.

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31 Le manifestazioni cliniche dei traumi del dotto toracico sono rappresentate dal chilomediastino, che all’inizio può essere del tutto asintomatico, sino a sfociare in un chilotorace. Il lato più colpito è il destro. Più raramente si può determinare un’ascite chilosa o chiloperitoneo in relazione a una lesione del tratto iniziale del dotto o della cisterna di Pecquet, con versamento di chilo nel cavo peritoneale. Nel tratto cervicale, si possono verificare delle fistole linfatiche con la formazione di un chilocelesovraclaveare o di una fistola linfatica cutanea, di difficile trattamento e che spesso richiede una soluzione chirurgica.

Nei traumi dei vasi linfatici periferici le indagini strumentali principali sono rappresentate dalla ecografia, che consente di valutare la sede e la natura della raccolta, dall’eco-color-Doppler, che fornisce indicazioni sulla compromissione o meno della circolazione venosa, e dalla linfoscintigrafia, per la precisa valutazione del drenaggio linfatico superficiale e profondo dell’arto colpito rispetto al controlaterale.

Le lesioni del dotto toracico e della cisterna chyli e le relative manifestazioni cliniche vengono studiate mediante Rx torace, toracentesi (per valutare la natura del versamento, che apparirà di aspetto lattescente, se di tipo chiloso), ecografia (per le lesioni sovraclaveari e l’individuazione di un eventuale versamento endoperitoneale), TC spirale (in particolare per le lesioni del tratto toracico del dotto), in associazione con la linfografia (linfangio-TC). Il dotto può essere incannulato anche dal suo tratto prossimale (duttografia retrograda) nel caso di lesioni più craniali. Anche la RM è in grado di fornire notizie utili soprattutto per le lesioni più craniali del dotto, in particolare se eseguita mediante una specifica tecnica di sottrazione del tessuto adiposo (linfangio-RM).

I traumi dei vasi linfatici periferici con linforrea persistente e linfangite consensuale vengono trattati, per lo più ambulatoriamente, mediante bendaggi funzionali multistrato medicati con ossido di zinco, riposo con arto in posizione declive e antibiotici a largo spettro. In caso di linfocele si provvede all’aspirazione della raccolta e alla medicazione compressiva. Nei casi di linfocele recidivo, non è consigliabile insistere con ripetute aspirazioni per evitare la sovrainfezione della raccolta e la suppurazione della stessa, ma è necessario procedere al drenaggio chirurgico del linfocele con l’asportazione della capsula e il posizionamento di un drenaggio in aspirazione, che verrà rimosso quando la linforrea sarà cessata.

Le lesioni del dotto toracico vengono inizialmente trattate con terapia medica rivolta al raggiungimento di un adeguato compenso metabolico, in particolare mediante NPT, che mira alla riduzione della portata linfatico-chilosa all’interno del sistema dutto-cisternale. In caso di fistola traumatica del dotto in sede sovraclaveare con chilocele secondario, la tecnica chirurgica consiste

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32 nell’asportazione del chilocele con riparazione della fistola mediante tecnica microchirurgica. Nel tratto toracico, il dotto viene riparato, mediante sutura diretta, o si realizza una derivazione dutto-venosa utilizzando le vene azigos ed emiazigos o collaterali (anastomosi dutto-azigos). Sono descritti anche interventi di chiusura del dotto in caso di lesioni traumatiche, ma tali metodiche possono complicarsi con uno stato di ipertensione linfatico-chilosa a monte della chiusura chirurgica e determinare il peggioramento del chilotorace e la comparsa di chiloperitoneo, con ripercussioni anche mesenterico-intestinali (malassorbimento, cisti chilose, peritonite chilosa). In alcuni casi di lesioni traumatiche di minima entità la NPT e il solo drenaggio del versamento (chilomediastino, chilotorace, chiloperitoneo) si sono dimostrati sufficienti per la chiusura spontanea della fistola chilo-linfatica, non richiedendo l’intervento chirurgico. Ciò dimostra l’importanza di iniziare sempre con una terapia conservativa prima di procedere a qualunque soluzione di tipo chirurgico.

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3.5 Esperienza Clinica

Caso clinico tipico

Una paziente di 45 anni presenta un quadro di abbondante ascite chilosa comparso da diversi anni, con andamento progressivamente ingravescente, in assenza di altri sintomi e segni clinicamente rilevanti. Le indagini strumentali (ecografia, linfoscintigrafia, linfangio-TC) hanno confermato il quadro di ascite chilosa e hanno evidenziato la natura displasia congenita della patologia. Il trattamento chirurgico è consistito nel drenaggio dell’ascite, nell’asportazione di aree linfangio-chilodisplasiche mesenteriche, di aspetto microcistico, che in seguito a rottura spontanea determinavano il formarsi del versamento peritoneale. Sono state, inoltre, realizzate legature antigravitazionali multiple dei collettori linfatici e chiliferi ectasici ed incompetenti. Il follow-up post-operatorio ha consentito di osservare l’assenza di recidiva dell’ascite ad una distanza ormai di oltre 3 anni (Fig.4).

Fig.4: Caso di abbondante ascite chilosa su base displasia congenita, prima e dopo adeguato trattamento integrato medico-chirurgico.

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34 Caso clinico atipico

Una paziente di 51 anni si presenta con tumefazione della regione sovraclaveare sinistra, delle dimensioni di un grosso arancio, di consistenza teso-elastica, a superficie liscia, comparsa diversi mesi prima, senza una causa apparente. La lesione ha presentato un lento ma progressivo accrescimento, senza causare particolari sintomi, ad eccezione di saltuari episodi dolorosi associati a senso di tensione e dolorabilità alla compressione. Le indagini strumentali (ecografia, linfoscintigrafia, linfangio-TC, RM) hanno dimostrato la presenza di una neoformazione displasia cistica pluriconcamerata contenente liquido di tipo linfatico-chiloso. La paziente precedentemente aveva presentato un quadro di chilotorace blaterale, anch’esso su base malformativa displasica, trattato mediante decorticazione pleurica e talcaggio. L’intervento chirurgico ha permesso di asportare la neoformazione sovraclaveare sinistra che è risultata essere un chilocele, multiconcamerato, adeso ai tessuti circostanti, in comunicazione con rami linfatico-chilosi di scarso significato funzionale, secondari, che sono stati opportunamente chiusi. Il decorso è stato del tutto favorevole e il follow-up ormai di oltre 7 anni non ha dimostrato alcuna recidiva della malattia (Fig.5)

Fig.5: Chilocele sovraclaveare sinistro su base linfangiochilodisplasica. Controllo a distanza dopo asportazione chirurgica.

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40 Ringraziamenti

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