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IL DIRIGENTE INFERMIERISTICO E LA FORMAZIONE DEL PERSONALE: ANALISI ED APPLICABILITA? DI STRUMENTI GESTIONALI IN UN BLOCCO OPERATORIO. L'IMPLEMENTAZIONE DELLA "SSCL - CHECK LIST DI SICUREZZA DEL PAZIENTE CHIRURGICO" NELLA AZIENDA ASL 8 DI AREZZO

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Academic year: 2021

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ABSTRACT

L’attività svolta nelle sale operatorie è intrinsecamente molto rischiosa per il paziente, per gli operatori, e per tutti coloro che afferiscono alla struttura. Ad una analisi attenta dei processi sanitari che si svolgono in un complesso operatorio, gli errori relativi alla fase di ammissione del paziente, la gestione dello strumentario e dei presidi sterili (dispositivi tessili e strumentario chirurgico) costituiscono la causa prevalente di avversità a carico del paziente.

Perseguire gli obiettivi di sicurezza in Sala Operatoria è possibile ma solo con il coinvolgimento di tutti gli operatori (Chirurghi, Infermieri, Anestesisti, personale di supporto) ed un forte impegno della Direzione Sanitaria, del Servizio Infermieristico aziendale e dell’UGR.

E’ indubbio che l’adozione di Check List e schede operative abbia una ricaduta positiva sia sull’organizzazione del contesto sia sulla tempistica degli interventi chirurgici. La medicina moderna ha ormai superato i livelli di complessità che possono essere gestiti dal singolo, né basta l’esasperazione della specializzazione.

«Che fare, allora, quando essere competenti non basta?».

È questo il cuore della riflessione che Atul Gawande ha sviluppato nel suo libro: “Check List: come fare andare meglio le cose”.

La soluzione che Gawande prospetta al problema fondamentale della gestione della complessità in medicina è, quindi, la combinazione di un uso estensivo delle Check List, con la promozione sistematica del lavoro di gruppo (teamwork). Le Check List consentono ai professionisti di concentrare la propria attenzione sui compiti non routinari e a più elevato contenuto di competenza professionale. Il lavoro di gruppo consente di valorizzare le specializzazioni e di renderle tra loro compatibili e sinergiche. Come scrive Gawande…..

… «non credevano nella saggezza del singolo, neppure del più esperto. Credevano nella saggezza del gruppo e si premuravano perciò di sottoporre un problema a più di un paio di occhi, per lasciare poi agli osservatori la decisione da prendere. L’uomo è fallibile; più uomini, forse, lo sono meno».

Importare l’idea della Check List in Sanità a tutt’oggi non è impresa semplice. Manca ancora la condivisione del valore delle Check List come strumento per innalzare gli standard delle prestazioni e permane un’idea sbagliata della dignità professionale («lasciate perdere le scartoffie, pensate ai pazienti», è quel che spesso si sente dire). Persistono inoltre barriere culturali che rendono difficile l’affermarsi di una cultura del lavoro di gruppo e la consapevolezza che più uomini, forse, possono sbagliare meno di un singolo uomo.

La chirurgia odierna richiede l’impiego di procedure dettagliate e pianificate, condivise e diffuse tra tutti gli operatori, al fine di garantire la necessaria sicurezza in un settore sanitario ad alto rischio. Si stima, infatti, che almeno la metà delle complicanze chirurgiche siano evitabili, per cui prevenire diventa obbligatorio introducendo cambiamenti del sistema, culturali e comportamentali. Lo strumento introdotto dall’”Organizzazione Mondiale della Sanità” e pubblicato dal Ministero della Salute per affrontare il problema è un Manuale che comprende le Linee Guida e la Check List per la sicurezza in Sala Operatoria. Lo scopo è implementare la cultura della sicurezza per giungere all’elaborazione di buone pratiche e procedure atte ad uniformare i comportamenti.

La sicurezza in ambito chirurgico rappresenta oggi una priorità della Sanità pubblica nel mondo. In Italia i volumi di attività chirurgica rappresentano circa il 40% della totalità dei ricoveri per acuti. Considerata la complessità delle procedure chirurgiche ed in linea con il programma WHO “Safe Surgery Safe Lives”, è stata implementata una Check List per la sicurezza in Sala Operatoria finalizzata, ed in linea con la letteratura internazionale, alla riduzione delle complicanze e della mortalità perioperatorie nonché al miglioramento della comunicazione tra i membri dell’équipe operatoria.

L’assistenza al paziente deve essere necessariamente erogata in sicurezza. Per sicurezza in Sala Operatoria intendiamo un insieme di tecniche e comportamenti (non tecnical skills) che hanno come fine la diminuzione di tutti i fattori di rischio per il paziente. Lo scopo è soddisfare le necessità di

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2 interventi chirurgici ordinari e d’urgenza all’interno di un ambiente sicuro e a misura d’uomo con professionalità ed utilizzo di tecnologie appropriate, in un contesto organizzativo flessibile.

Interdipendenza ed affidabilità definiscono i legami tra i più professionisti attori sul palcoscenico di un complesso operatorio. Gli attori coinvolti in un team di lavoro si impegnano, in un equilibrio di competenze, abilità e vissuti, a cercare il giusto modo di comunicare e di interagire per un fine comune: la salute del paziente.

La prima impressione percepita è quella che l’Infermiere che si è “formato” negli anni per assistere “pazienti” si trova invece ad assistere “Chirurghi” ed “Anestesisti”. La camera operatoria era nel passato il riferimento privilegiato della scienza medica e non certo di quella infermieristica che aveva spesso un ruolo relegato, dove il paziente subiva l’atto operatorio.

L’intervento chirurgico all’interno di un percorso (o processo) ha un prima, un durante e un dopo in cui il protagonista è indiscutibilmente il paziente, e se il protagonista è il paziente allora un ruolo significativo torna ad assumere anche l’Infermiere.

Il Coordinatore Infermieristico è il perno centrale per la motivazione del gruppo nell’ambito dell’assistenza: utilizzando il proprio vissuto, le conoscenze acquisiste nel percorso formativo e attraverso i sistemi informatici a disposizione egli dovrebbe impegnarsi a stimolare i propri operatori affinché venga raggiunto il massimo livello di qualità assistenziale erogata. L’identificazione delle caratteristiche possedute dagli operatori stimola il Coordinatore all’identificazione e alla risoluzione dei conflitti interni al gruppo.

Altro fattore di particolare importanza, al quale deve porre molta attenzione il Coordinatore è la motivazione dei professionisti collaboratori. Se gli Infermieri godono di opportunità atte a sviluppare i fattori di motivazione, quali, ad esempio, una situazione stimolante, la crescita professionale, la formazione, il riconoscimento, la partecipazione attiva alle decisioni da prendere, l’informazione e condivisione degli obiettivi aziendali da raggiungere, la partecipazione a gruppi di lavoro, allora la sua performance sarà influenzata sensibilmente e sicuramente in senso positivo.

I fattori dell’organizzazione che influiscono sulla motivazione sono: • lo stile di leadership del Coordinatore;

• le relazioni sul luogo di lavoro;

• la collaborazione ricevuta dai colleghi;

• i conflitti a vario livello e le discriminazioni di natura personale; • la gratificazione organizzativa.

Il Coordinatore deve sempre tenere presente che la motivazione del personale si poggia sull’armonico equilibrio di tutti questi fattori, sui quali può agire, monitorare, gestire per avere personale motivato e predisposto ai continui cambiamenti organizzativi condivisi con il gruppo. Operare ed interagire in una organizzazione in cui viene percepito del benessere, in cui il clima lavorativo ed organizzativo è sereno ed equilibrato, non può che far bene a chi vi opera quotidianamente e a quanti interagiscono direttamente o indirettamente con la stessa organizzazione. Se poi questa organizzazione si occupa di salute, a maggior ragione non è superfluo ribadire, come il benessere psico-fisico e quindi anche organizzativo è tra i principali obiettivi da perseguire.

I continui cambiamenti avvenuti negli ultimi anni nel panorama sanitario nazionale hanno portato gli operatori del settore a dover affrontare nuove problematiche, che necessitano di soluzioni sempre nuove e differenti: gli Infermieri e gli altri componenti dell’équipe sanitaria devono confrontarsi con le aspettative dei cittadini, sempre più esigenti ed informati, e con gli obiettivi aziendali, trovandosi a gestire materiali e tecnologie che assicurino un alto livello di qualità assistenziale.

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3 I parametri di qualità più importanti da considerare sono la prestazione migliore possibile e il risultato: il paziente è sempre il protagonista principale dell’intero processo!

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INDICE

Introduzione

p. 5

Capitolo 1

Il Dirigente Infermieristico e la formazione del personale

1.1 La formazione manageriale infermieristica p. 7

1.2 La risorsa umana come fattore competitivo per l’azienda sanitaria p. 9

1.3 Strategie di gestione del coordinatore infermieristico p. 11

1.4 Principi e strumenti di Clinical Governance p. 14

Capitolo 2

Sicurezza e Qualità

2.1 La Sicurezza p. 18

2.2 La Qualità p. 23

2.3 Strumenti gestionali di qualità: Linee Guida, Protocolli, Procedure p. 32

2.4 Il metodo del “problem solving” e le buone pratiche p. 39

2.5 Le buone pratiche nella Regione Toscana p. 42

Capitolo 3

L’approccio sistemico alla Gestione del Rischio Clinico

3.1 Il processo di Clinical Risk Management p. 45

3.2 Modelli Istituzionali e Rischio Clinico p. 50

3.3 Strumenti per la prevenzione ed il controllo del Rischio Clinico p. 52

3.4 Protocollo Nazionale di monitoraggio dell’”errore” p. 53

3.5 GRC Regione Toscana: il Piano di Formazione per la Gestione del Rischio Clinico p. 57

3.6 HTA – Health Technology Assessment p. 61

3.7 L’HTA nella Regione Toscana p. 64

Capitolo 4

Analisi ed applicabilità di strumenti gestionali in un Blocco Operatorio

4.1 La complessità del Blocco Operatorio p. 66

4.2 L’applicazione delle liste di controllo nel percorso perioperatorio p. 69

4.3 OMS –Ministero della Salute p. 72

Le caratteristiche di una Check list perioperatoria

4.4 Il ruolo della formazione per l’Azienda Sanitaria: p. 76

PPF (Piano per la formazione pluriennale) della ASL n. 8 2013/2015

4.5 L’obiettivo formativo quale strumento per orientare i programmi di formazione p. 81 4.6 …..una Raccomandazione: promuovere un’efficace comunicazione in Sala Operatoria p. 82

Capitolo 5

L’implementazione della “SSCL – Check list di sicurezza del paziente chirurgico”

nella ASL n. 8 di Arezzo

5.1 Project Management p. 85

5.2 La struttura del percorso formativo p. 88

5.3 La metodologia utilizzata nel percorso di costruzione della Check list p. 90 perioperatoria della ASL 8 di Arezzo

5.4 Dalla creazione alla diffusione della Check list – Cronogramma delle azioni p. 92 5.5 Caratteristiche principali della Check List dell’Azienda ASL 8 p. 96

5.6 Organizzazione della Struttura in modalità Lean p. 97

5.7 Le risorse umane…..la vera ricchezza dell’organizzazione p. 98

5.8 La valutazione per la valorizzazione del personale p. 99

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Introduzione

Un binomio imprescindibile verso il quale si orientano tutte le scelte programmatiche della Sanità dei giorni nostri è senza dubbio costituito dalla sicurezza e dalla qualità delle prestazioni sanitarie. Negli ultimi anni le prospettive di aumento della produttività e di recupero dell’efficienza, che avevano guidato l’attenzione in fatto di decisioni sanitarie dalla fine degli anni Ottanta, hanno lasciato il posto a temi come qualità, efficacia, appropriatezza dell‘assistenza erogata ai cittadini, sostenibilità del sistema, ricerca costante di equilibrio tra la domanda degli utenti e le dinamiche economico-finanziarie.

Il processo di CLINICAL RISK MANAGEMENT sta diventando nell’ambiente sanitario una vera e propria cultura, un paradigma cui tendere e a cui ispirarsi per comprendere la genesi degli errori, condividerla e capitalizzarla in una gestione strategica con standard qualitativi maggiori. Nonostante l‘assistenza rappresenti un‘attività ad alto rischio, il bisogno di “governo dell‘errore” clinico, di fatto, è stato avvertito sensibilmente solo negli ultimi anni tra gli operatori del settore. Tale necessità è stata recepita dal Sistema Sanitario Nazionale in seguito alla pubblicazione, su scala mondiale, di alcuni rapporti pubblici sugli errori in Sanità di forte impatto tra l‘opinione pubblica.

La realtà sanitaria non è comune alle altre imprese commerciali: essa è da considerare una azienda sui generis, un genere a sé stante, predicato da ciò che rappresentano le proprie finalità istituzionali e regolamentato da logiche che vanno al di là della fedele riproduzione dei postulati della teoria economica. Data l’alta complessità del SSN si rende quindi necessario strutturare il governo aziendale come un sistema a più autonomie interrelate (comunità, gestione, professioni). E‘ necessario, cioè, che in ogni Azienda Sanitaria si mantenga sempre viva la centralità dell‘interazione diretta tra gli utenti, contraenti di un contratto sociale sulla salute, e la comunità professionale che deve sentirsi direttamente responsabile e coinvolta nella gestione dei propri compiti.

La qualità dell’assistenza può e deve essere interpretata come un insieme di elementi misurabili ed in sinergia, che dipendono in varia misura dalla sussistenza nel contesto di determinati prerequisiti o valori sociali (pace, democrazia, legalità, PIL, livello di scolarizzazione), ma anche valori sociali di tipo gestionale (come, ad es., la trasparenza nelle procedure amministrative), individuali (competenza, onestà) e generali (etica, equità).

Altro elemento cardine è costituito dalla “qualità dal punto di vista del cliente”, ossia tutto quello che il diretto beneficiario del servizio riesce a percepire come adatto ai propri bisogni ed aspettative: nel relativo livello di potere, il Coordinatore Infermieristico deve (dovrebbe) implementare la diffusione della cultura infermieristica fondata sui bisogni dei pazienti/utenti/clienti.

I clienti non sono solamente le persone che necessitano di assistenza: sono clienti anche i gruppi omogenei di pazienti, i gruppi costituiti dai loro familiari, altri Enti, Associazioni o Istituzioni pubbliche (ad es. la scuola) o private (industria).

L’approccio di qualità considera allo stesso livello anche i cosiddetti clienti interni ossia tutti gli operatori o i servizi per i quali altri operatori o altri servizi lavorano in un determinato momento. Le logiche del cliente interno e del cliente esterno stravolgono completamente un’organizzazione centrata su obiettivi di salute: la precisa definizione nell’organizzazione dell’assistenza dei clienti interni e dei prodotti che ciascuno riceve dal proprio “fornitore”, elabora e fornisce al proprio cliente, è il fondamento della logica organizzativa per processi, che è a sua volta la base per i moderni processi di riorganizzazione dell’assistenza. Una gestione per processi con orientamento al cliente,

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6 valorizzazione delle risorse umane presenti in azienda ed una continua tensione all’innovazione, rappresentano elementi chiave per essere competitivi rispetto alla concorrenza.

Il cambiamento organizzativo, e cioè il passaggio dall’organizzazione per funzioni a quella per processi, è un momento molto delicato dato che non solo rivoluziona il modo di “lavorare” in Sanità, ma ha anche un impatto culturale non indifferente, soprattutto se tale cambiamento è accompagnato pure dall’introduzione di strumenti informatici.

Tutto il team chirurgico entra infatti a far parte di un processo che ha al centro il paziente chirurgico e come obiettivo prefissato un successo ideale del 100%. Il processo è dato da una serie consequenziale di fasi ben distinte: visto specificatamente nell’ambito della Sala Operatoria, è la sequenza di attività prefissate svolte da un gruppo di professionisti. La “lettura per processi” comporta un’analisi e una progettazione dell’organizzazione aziendale, che non si incentri sui concetti classici di attività, compiti e funzioni, gerarchicamente legati, ma che si basi su un insieme di attività omogenee dal punto di vista dell’output e correlate tra loro al di là dei confini funzionali, regolate da meccanismi di coordinamento che trascendono l’aspetto puramente gerarchico-strutturale: è essenziale dunque per il management concentrare la propria attenzione sui processi. Spesso risulta difficile riuscire a sensibilizzare il personale al nuovo orientamento gestionale o a convincerlo della sua validità e necessità, e tale difficoltà, per paradosso, sembra proprio maggiore all’aumentare dell’importanza del ruolo rivestito in azienda; smantellare le vecchie tradizioni non è cosa facile e gradita a tutti!

La necessità avvertita tra i professionisti sanitari è, dunque, quella di adottare metodiche più adatte al confronto trasversale tra politica, gestione ed esecuzione professionale, da cui derivino impegni condivisi di cooperazione e collaborazione a garanzia dei bisogni dei cittadini. I modelli di gestione del rischio clinico progettati ad hoc devono considerare come punto principale la valorizzazione del contributo offerto dal capitale umano che genera quello che viene definito valore aggiunto.

La gestione del rischio non deve rappresentare una sovrastruttura che impone protocolli e norme, ma un patrimonio di conoscenze, un modo di svolgere la professione che modifica il senso di consapevolezza dell‘individuo, che investe in modo costante sulla formazione, sulla comunicazione, sulla sensibilizzazione alla cura e al rispetto del paziente. Il CLINICAL RISK MANAGEMENT apre la strada ad una cultura della salute più attenta e vicina al paziente e agli operatori e maggiormente orientata all‘umanizzazione dell’assistenza e al rispetto dell‘identità e della dignità dell‘uomo.

In Italia l’attività di gestione del rischio si è cominciata ad affermare nelle strutture che hanno mostrato una maggiore sensibilità nei confronti della tematica e si è sostanziata in iniziative singole e non coordinate facendo avvertire sempre più la necessita di inquadrare il problema secondo linee unitarie, soprattutto mediante la comparazione delle esperienze e la conseguente identificazione di quelle che sono ai giorni nostri definite best practice.

Gli stessi principi inerenti la sicurezza dei pazienti sono stati recepiti in ambito internazionale dando il via ad una serie di iniziative volte a regolamentare la materia tramite la costituzione di appositi organismi e la redazione di specifiche normative.

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Capitolo 1

“Il Dirigente Infermieristico e la formazione del personale”

1.1 - La formazione manageriale infermieristica

Anche il Management Infermieristico all’interno delle Aziende sanitarie pubbliche si è concretizzato sensibilmente nel corso degli ultimi anni. Lo sviluppo culturale dal punto di vista “manageriale” della professione infermieristica si è reso necessario in risposta ad una crescente domanda di una assistenza più qualificata (dovuta ad una maggiore speranza di vita della popolazione); gli utenti/pazienti/clienti si trovano, ad oggi, a disporre di molteplici canali di comunicazione che hanno permesso loro, nel tempo, un aumento esponenziale delle informazioni a disposizione sulle organizzazioni sanitarie del territorio con conseguente sviluppo culturale della professione infermieristica e del suo bisogno di “managerialità”. La cultura manageriale del Dirigente Infermieristico, in tutti i livelli dell’organizzazione, gioca un ruolo essenziale in grado di dare una risposta determinante al bisogno di salute della popolazione.

L’evoluzione della formazione infermieristica può essere sintetizzata, a partire dagli anni ’30, come segue:

1929 Esami per ammissioni ai corsi 1954 Corsi per infermieri generici

1965 Scuola per Dirigenti Assistenza Infermieristica

1971 Estensione al personale maschile ed esonero dell’internato 1973 Accordo Strasburgo (formazione almeno di 4.600 ore) 1975 Corso triennale con programmi secondo accordo europeo 1980 Abolizione corsi per infermieri generici/psichiatrici

Anni ‘90 Formazione universitaria DM 2/12/91 M.U.R.S.T.: istituzione Diploma

Universitario in Scienze Infermieristiche

• D.L. 502/92 ancora corsi presso AUSL ma con ordinamento didattico definito dal M.U.R.S.T.

Ad oggi l’Infermiere è un professionista che ha completato un programma di base di formazione specifica, qualificato ed autorizzato a fornire al cittadino un servizio professionale, responsabile e competente per la promozione della salute, la prevenzione della malattia, la cura del malato e la riabilitazione (formazione esclusivamente universitaria).

Riferimenti normativi per l’esercizio professionale

D.M. della Salute Regolamento concernente l’individuazione delle figure e del relativo profilo professionale.

D.M. 168/96 e 2001 Ordinamenti didattici dei diplomi universitari in area sanitaria. Legge 42/99 Disposizioni in materia di professioni sanitarie.

Legge 251/00 Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica.

Legge 8 gennaio 2002 n. 1: … “disposizioni urgenti in materia di personale sanitario” Legge 1 febbraio 2006, n. 43 …”disposizioni in materia di professioni sanitarie

infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali”.

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8  Quali capacità sviluppare?

1) Livello di formazione di base Infermiere responsabile dell’assistenza generale 2) Livello di formazione avanzataInfermiere con competenze specialistiche e magistrali Infermieri con competenze avanzate (effetti sui pazienti):

riduzione della durata di degenza

diminuzione del numero di riammissioni non programmate

abbassamento della mortalità dei pazienti

riduzione delle complicanze

diminuzione degli errori

(Mundinger et al. 2000; Seago 2001; Needleman et al. 2002; Aiken 2003) Infermieri con competenze avanzate (effetti sugli operatori):

aumenta la capacità di trattenere gli infermieri

aumenta la soddisfazione e la performance lavorativa

si riduce lo stress e il turn-over

sono più orientati all’autoformazione

aumenta il reclutamento dei giovani (Watson, 2000; Whoule, 2001)

Il management nelle scienze infermieristiche, a livello organizzativo, si sviluppa su tre differenti livelli che si caratterizzano, nello specifico, ognuno per una propria e diversa complessità:

Infermiere Coordinatore di Unità Operativa (una volta definito Caposala)

La sua funzione fondamentale è quella di gestire il servizio affidato, guidando un gruppo di operatori (Infermieri e personale di supporto), creando le condizioni necessarie per assolvere a tutti i bisogni assistenziali dei malati presenti all’interno dell’Unità Operativa che coordina. Le sue attività sono principalmente orientate, a pianificare, organizzare, coordinare e verificare, al fine di garantire un’efficace assistenza infermieristica, un uso efficiente delle risorse, una corretta gestione dell’Unità Operativa, la partecipazione ad attività di formazione e di aggiornamento, la partecipazione ad attività di ricerca. In numerosi studi sul management infermieristico, il Coordinatore di Unità Operativa viene definito come: «l’operatore con peculiari funzioni organizzative, con responsabilità della gestione dell’Unità Operativa, della motivazione del personale e della qualità dell’assistenza».

Infermiere Coordinatore di Dipartimento

Posizione che si colloca tra la Dirigenza del Servizio Infermieristico e i Coordinatori di Unità Operativa. Il Responsabile Infermieristico di Dipartimento (RID) ricopre un ruolo che si sta

sviluppando negli ultimi anni di pari passo alla reale introduzione nell’organizzazione sanitaria della struttura dipartimentale. È direttamente responsabile della continuità assistenziale tra le varie unità operative e agisce autonomamente nei seguenti ambiti:

ASSISTENZA;

• FORMAZIONE E AGGIORNAMENTO; • DIDATTICA E RICERCA;

• GESTIONE DELLE RISORSE UMANE E MATERIALI DEL DIPARTIMENTO; • INFORMAZIONE SANITARIA.

In ambito assistenziale l’obiettivo principale è quello di indurre il personale infermieristico dipartimentale a condividere modalità operative sia da un punto di vista clinico che organizzativo,

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9 con l’aiuto dei Coordinatori infermieristici che si faranno promotori nelle Unità Operative del processo di motivazione ed applicazione degli strumenti operativi.

Le strategie che il RID può mettere in atto per creare una cultura di integrazione assistenziale dipartimentale sono:

 omogeneizzare i percorsi assistenziali con l’adozione in tutte le Unità Operative di procedure, linee guida e protocolli costruiti dagli stessi operatori e periodicamente revisionati e valutati; omogeneizzare le procedure relative all’organizzazione inerenti l’ospedalizzazione, l’accoglienza del paziente, il trasferimento presso altre strutture, la dimissione protetta;

 sviluppare una rete informatica;

 implementare una documentazione infermieristica comune, come una cartella infermieristica dipartimentale, una Scheda Terapeutica Integrata (STU), un modulo per le prescrizioni diagnostico-terapeutiche e la registrazione dei parametri, schede per il programma di cure infermieristiche alla dimissione.

La gestione della risorsa umana è un obiettivo fondamentale che si realizza in 4 diverse aree: • determinazione del fabbisogno di personale infermieristico del dipartimento da richiedere e sua ripartizione nelle diverse unità operative tenendo conto dei carichi di lavoro;

• coordinamento nell’inserimento delle nuove unità infermieristiche e di supporto;

• individuazione di sistemi premianti e di motivazione del personale con percorsi di valutazione adeguati agli standard aziendali;

• collaborazione con i Coordinatori nella progettazione della turnistica.  Infermiere Dirigente di Dipartimento Infermieristico

Si pone ai vertici di una Azienda sanitaria non più in “line” ma in “staff” con essa, partecipando direttamente al governo dell’Azienda. L’articolo N. 7 della Legge 10 agosto 2000, n. 251 riconosce la possibilità per le Aziende sanitarie di istituire il SERVIZIO DELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA ED OSTETRICA con incarico triennale al Dirigente stipulato direttamente dal Direttore Generale.

Gli indicatori qualitativi per il personale infermieristico dirigente e coordinatore possono essere:  indicatori sull’operato degli stessi (disponibilità al cambiamento, all’assunzione di

responsabilità, versatilità, etc.)

 disponibilità alla propria formazione e a quella dei collaboratori;  rispetto al lavoro di équipe;

 rispetto dei mandati organizzativi aziendali assegnati;  capacità di critica costruttiva.

1.2 - La risorsa umana come fattore competitivo per l’Azienda

Sanitaria

Uno dei principali fattori competitivi in grado di influenzare in modo diretto e determinante le prestazioni aziendali è rappresentato dalle competenze dei professionisti che operano all’interno delle strutture sanitarie. La formazione manageriale ha la possibilità di incidere in maniera determinante sulla evoluzione delle organizzazioni, offrendo spunti importanti per il cambiamento verso l’innovazione dell’assistenza infermieristica.

Il continuo succedersi di innovazioni organizzative, conoscenze, tecniche professionali sempre nuove, esigenze, attese ed aspettative diverse all’interno del Sistema Sanitario mettono il Coordinatore infermieristico nella situazione di dover far fronte a problematiche che richiedono soluzioni sempre

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10 nuove e diverse e, soprattutto, a doversi rapportare con personale con bisogni ed aspettative non sempre coerenti con obiettivi e potenzialità dell’Azienda e a dover gestire, di conseguenza, relazioni di gruppo non raramente con un’alta tensione emotiva.

La professionalità del Coordinatore infermieristico varia in base alla tipologia del Servizio ricoperto (natura delle prestazioni, modalità d’erogazione, livello di contatto con l’utenza, attrezzature da utilizzare, ecc.), ma vi è una base comune costituita dalle seguenti componenti tra loro correlate: competenze tecnico-specialistiche, capacità comportamentali o relazionali e capacità concettuali, che determinano la modalità di approccio ai problemi e la capacità di giungere alla loro soluzione. Le tre grandi aree di competenza del Coordinatore infermieristico sono:

 le competenze di management;

 le competenze relazionali o di leadership;  le competenze clinico-assistenziali.

Il management si concentra sull’organizzazione: in essa mette insieme idee, persone, cose perché tutti gli elementi considerati possano concorrere per uno o più obiettivi comuni: esso si misura con la “complessità” e tende alla stabilità e all’ordine, ha a che fare con obiettivi, risorse e compiti, le conoscenze che richiede hanno per oggetto il “cosa” fare.

Le competenze manageriali in possesso del Dirigente infermieristico si delineano nelle funzioni di pianificazione, gestione di risorse umane, tecniche ed economiche, direzione/coordinamento, organizzazione, valutazione e controllo, oltre all’impegno formale affinché le attività quotidiane siano svolte in un certo tempo e nel rispetto delle procedure.

La leadership si misura principalmente con il cambiamento, che il Coordinatore deve facilitare puntando sulla relazione interpersonale. Essa consiste nella capacità di influenzare altre persone, o gruppi di persone, per indirizzarle al raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione utilizzando al meglio le proprie energie ed abilità. Per esercitare la leadership non è necessario che ci sia un programma o altre condizioni preliminari. La leadership ha a che fare con il comportamento di altre persone, che il leader influenza cercando di conciliare meglio possibile i loro obiettivi particolari con quelli dell’Azienda, specialmente nelle situazioni di cambiamento. Le conoscenze che sviluppa si concentrano sui significati, sul “perché” fare determinate cose (Calamandrei, 2004).

Le competenze clinico-assistenziali sono mantenute vive da una quotidianità di contatti, oltre che con gli Infermieri, con i pazienti, i loro familiari, i medici e altri eventuali operatori; laddove le prestazioni sono complesse e sofisticate costituiscono momento di formazione e supervisione dell’attività infermieristica dei collaboratori per sostenere lo sviluppo della qualità del servizio e dell’assistenza, per realizzare attività di ricerca.

Lo scopo del coordinamento è di consentire ai membri di un gruppo di lavorare insieme in maniera armoniosa. Ha un valore essenziale perché, se l’azione di tutti gli operatori non converge sugli obiettivi istituzionali, i loro sforzi possono rischiare di disperdersi in direzioni differenti. Coordinare significa, a volte, definire i confini dell’attività di un professionista affinché non invada lo spazio di un altro; in altri casi implica la necessità di accelerare lo svolgimento di altre attività affinché tutte mantengano lo stesso passo; in altre situazioni consiste di distribuire i compiti all’interno di un gruppo. Le responsabilità dell’Infermiere Coordinatore sono state così sempre meno collegate allo svolgimento d’attività assistenziali e sempre più orientate alla soluzione di problemi di funzionamento dell’Unità Organizzativa per il raggiungimento di più adeguati risultati assistenziali. Le competenze tecnico-specialistiche, quindi, sono diminuite sempre più a favore degli elementi tipici della funzione manageriale in termini di contenuto di lavoro e, di conseguenza, del contenuto formativo. La formazione del Coordinatore deve pertanto essere orientata all’acquisizione di abilità/competenze per utilizzare in maniera efficiente le risorse (analisi costo-beneficio), pianificare, organizzare, coordinare e verificare. Inoltre, per garantire un’efficace assistenza infermieristica, oltre ad un uso efficiente delle risorse, occorre una corretta amministrazione del reparto, la

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11 partecipazione ad attività di formazione e di aggiornamento, la partecipazione ad attività di ricerca, la progettazione di strumenti necessari alla gestione delle informazioni finalizzate al funzionamento dell’Unità Operativa o al collegamento con le altre U.O. appartenenti allo stesso dipartimento (es. Dipartimento Chirurgico).

1.3 - Strategie di gestione del Coordinatore Infermieristico

Le principali strategie di gestione del Coordinatore infermieristico possono essere sintetizzate come segue:

GESTIRE PERSONE E RELAZIONI

Definire la mission e la vision del Servizio coordinato in coerenza con quelle dell’Azienda;

 Promuovere identità e senso di appartenenza al Servizio coordinato in coerenza con quelli dell’Azienda;

 Valorizzare attitudini, competenze, impegno e risultati;

 Coinvolgere i collaboratori nella costruzione di progetti;

 Gestire un sistema premiante orientato alla qualità esplicitandone i criteri;

 Preparare e condurre riunioni e gruppi di lavoro;

 Promuovere e pianificare la formazione permanente orientata alla qualità;

 Gestire direttamente momenti formativi specifici;

 Gestire relazioni interpersonali e conflitti, negoziare, presidiare il clima;

 Costruire e mantenere una rete di relazioni esterne al Servizio coordinato;

 Promuovere e sviluppare processi di valutazione tra pari;

 Gestire quanti/qualitativamente la dotazione organica;

 Promuovere lo sviluppo professionale e di carriera dei collaboratori;

 Collaborare con i Dirigenti infermieristici di tutti i livelli dell’organizzazione per sviluppare linee strategiche aziendali;

Attribuire compiti, responsabilità, poteri e risorse (in base al livello), valutando attitudini, competenze e motivazione.

Quello che una volta era il/la Caposala è oggi un manager che esercita il proprio ruolo con autorevolezza, autonomia, credibilità ed efficacia. Il Caposala oggi ha lasciato l’assistenza diretta al paziente ma continua ad operare su di essa applicando, dopo averne create le condizioni, il processo direzionale che prevede la pianificazione, l’organizzazione, la formazione, la direzione e il controllo. Al Coordinatore oggi è richiesto di essere un manager, un leader e di svolgere un ruolo di rappresentanza per tutto quello che accade nell’Unità Operativa o di Servizio a cui è preposto: rappresenta l’organizzazione e la cultura esistente a livello infermieristico. Egli si occupa delle soluzioni dei problemi, che costituiscono il suo principale campo d’azione, nonché dell’individuazione delle opportunità di sviluppo.

La presa di decisioni è la sua attività più frequente e tale aspetto richiede al Coordinatore particolari conoscenze e abilità come la capacità di negoziare, la comprensione dei bisogni delle persone, la capacità di delegare, di promuovere e sostenere processi collaborativi e partecipativi motivando il personale.

Il coordinamento si ottiene al meglio assicurando la partecipazione ed il coinvolgimento del gruppo: gli strumenti tipici sono le riunioni ed il gruppo di lavoro. Oggi le organizzazioni complesse, quali sono le Aziende sanitarie, richiedono figure manageriali preparate a tradurre in modo intelligente le decisioni della Direzione di massimo livello, conseguenti alle scelte di politica sanitaria, realizzando

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12 un decentramento delle responsabilità che consente un funzionamento del sistema basato sulle capacità professionali.

Le figure gestionali intermedie diventano perciò una preziosa risorsa per migliorare il livello di funzionalità delle strutture sanitarie. Tra queste il Coordinatore risulta essere una figura determinante, una professionalità indispensabile per la gestione dei processi volti all’erogazione dell’assistenza infermieristica, nonché al raggiungimento della mission aziendale.

Ma come figura intermedia, il Coordinatore si trova da una parte a dover rispondere alla domanda sempre più elevata di qualità dei servizi e delle prestazioni e dall’altra a gestire la problematicità che quotidianamente emerge nella gestione di un’organizzazione professionale complessa come: la carenza di personale, l’intensità delle relazioni interpersonali, la rapida evoluzione delle procedure organizzative, le lungaggini burocratiche, i ritardi negli approvvigionamenti, la gestione del budget e, in particolare, le conflittualità all’interno dell’équipe.

La professionalità del Dirigente infermieristico deve riflettersi anche nella capacità di esercitare una funzione complessa con competenza, responsabilità, disponibilità permanente all’aggiornamento e alla ricerca e richiede anche adesione intima all’etica professionale ed identificazione nel gruppo di appartenenza. La sua funzione non è da scoprire o da inventare ma solo da riconoscere. Egli non è altro che l’espressione, sia reale che giuridica, dell’autonomia del ruolo infermieristico nei confronti delle persone che, nello stesso ambito, esercitano altri ruoli professionali.

FORMARE

La formazione assume un ruolo chiave all’interno del processo direzionale soprattutto alla luce dei cambiamenti avvenuti e ancora attualmente in corso nella professione infermieristica e in tutto il Sistema Sanitario Italiano. Non è pensabile la progettazione di una nuova organizzazione e la ristrutturazione di un’organizzazione già esistente senza prevedere contemporaneamente interventi sulla preparazione teorica e pratica del personale coinvolto attraverso la “manutenzione” delle conoscenze in un’ottica di formazione permanente che agisca sugli atteggiamenti e sui comportamenti, a differenza dell’addestramento e della formazione professionale, invece, che agiscono sulle conoscenze, e capacità. La finalità della formazione continua nelle Aziende è quella di sviluppare al massimo le potenzialità degli operatori nello svolgimento del proprio ruolo professionale, favorire il cambiamento degli atteggiamenti di fronte a condizioni organizzative e sociali che vanno rapidamente modificandosi, rafforzare il senso di appartenenza degli operatori professionali e aderire agli obiettivi formulati dal vertice strategico aziendale stimolando, se possibile, riflessioni e confronti.

DIRIGERE

………..coordinare, delegare, motivare, gestire i cambiamenti.

E’ il momento operativo della funzione direzionale: è “l’arte di far fare alle persone ciò che serve”, raggiungere gli obiettivi attraverso le persone, guidare il gruppo verso le mete. Dopo aver stabilito “chi fa che cosa”, occorre fare in modo che i membri del gruppo “facciano”, e qui entra in gioco ancora una volta la variabile umana che ha il potere di condizionare e invalidare tutte le scelte che sono state fatte. E’ il momento, questo, in cui si evidenzia lo stile, il potere, la capacità di guidare il gruppo: chi dirige deve essere un leader. Dirigere è la fase cruciale di tutto il processo e si esplica attraverso tre elementi: la delega, l’autorità e il potere.

La delega è l’affidamento di alcune attività e la relativa responsabilità ad altri operatori, investendoli dell’autorità necessaria ad effettuarle. Presuppone un rapporto di gerarchia diretta. La delega è un elemento che il Coordinatore deve utilizzare, nei modi e nei tempi giusti, per il raggiungimento degli obiettivi assegnati. Chi non delega, accentrando il potere per paura di perderlo, o per sfiducia nei

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13 confronti dei collaboratori, rischia di trovarsi in situazioni di sovraccarico di competenze anche di tipo clinico, con operatori impreparati ad assumere responsabilità su aspetti legati al funzionamento dell’Unità Operativa o Servizio. Le occasioni e le motivazioni per mettere in atto la delega possono essere diverse:

 Carenza di competenze o informazioni specifiche che sono invece possedute dal collaboratore a cui si intende delegare;

 Carenza di tempo e necessità di decentrare responsabilità;  Volontà di far crescere qualcuno;

 Dare fiducia e motivare i collaboratori;  Mandare un messaggio positivo.

La delega assume una doppia valenza, sia come strumento per fluidificare l’organizzazione (gestione organizzativa), sia come elemento importante nella gestione del personale (meccanismo operativo). L’autorità può essere definita come il “diritto” di fare o di pretendere di far fare qualcosa agli altri per il raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione, e deriva in maniera formale dal ruolo ricoperto. Si possono distinguere tre forme di autorità:

 di line (gerarchica)

 di staff (si basa sulla competenza)

 di funzione (come quella affidata alla funzione infermieristica nella sua specificità assistenziale, ma è anche l’autorità esercitata dai medici sugli Infermieri nell’ambito esclusivo delle attività diagnostico terapeutiche).

L’autorità non è mai completamente coercitiva. L’autorità può coincidere con l’autorevolezza che il Coordinatore, con la sua competenza, esercita sul gruppo che lo riconosce come guida.

L’autorevolezza, invece, può non corrispondere con l’autorità formale.

Il potere, strettamente correlato alla leadership, è la facoltà di influire sugli individui, sui gruppi, sulle decisioni.

Il potere può derivare da diverse fonti:

 dalla facoltà di dare premi e sanzioni dal ruolo ricoperto (potere formale);

 da particolari tratti carismatici della persona che lo esercita senza necessariamente fare appello al ruolo formale (potere informale);

 dal controllo delle informazioni, inteso come capacità di influire sulle decisioni altrui in virtù delle informazioni possedute.

Le ultime funzioni, costituite dal controllo e dalla valutazione, in realtà investono trasversalmente tutte le altre fasi del processo direzionale. Il controllo può essere definito come la capacità di “tenere d’occhio” la situazione e ha lo scopo finale di assicurare che i risultati raggiunti corrispondano effettivamente agli obiettivi programmati.

E’ una funzione alla quale, nel contesto sanitario, non siamo culturalmente abituati ma che oggi è indispensabile nella logica dell’E.B.M. (Evidence Based Medicine) e dell’E.B.N. (Evidence Based Nursing).

Bisogna sfatare il luogo comune dietro il quale ci siamo trincerati per anni e secondo cui l’assistenza, per la peculiarità dei servizi offerti all’utente, non può essere misurata, controllata e valutata.

Per poter controllare occorre avere degli standard di performance come riferimento (qualitativi o quantitativi), stabiliti nella pianificazione: una buona pianificazione è la premessa per un efficace controllo. Una forma di controllo storicamente esercitata dal Caposala nei confronti dei collaboratori è la supervisione diretta, oggi assolutamente inadeguata nella gestione del personale dotato di autonomia professionale.

La supervisione può essere utile e giustificabile solo nella fase dell’addestramento del personale per verificare il raggiungimento di una competenza tecnica.

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14 Il Coordinatore svolge le proprie funzioni in un’ottica di “Clinical Governance”: il miglioramento continuo della qualità delle prestazioni e la sicurezza costituiscono le fondamenta del Sistema Sanitario Nazionale.

1.4 - Principi e strumenti di Clinical Governance

Il concetto di Governo Clinico (Clinical Governance) nasce in Inghilterra alla fine degli anni ‘90 come reazione ad un precedente periodo storico in cui si consideravano le logiche di tipo economicistico sufficienti a garantire l’equilibrio del Sistema Sanitario.

Il Governo Clinico si sviluppa con lo scopo di fornire una letteratura unitaria sulle problematiche cliniche ed organizzativo-gestionali collegate all’erogazione delle prestazioni sanitarie.

Il termine governo indica una gestione dei processi aziendali secondo una logica di collaborazione e coinvolgimento diffuso: questo approccio si manifesta in un quadro di pressione politica crescente sul lato del contenimento della spesa sanitaria, a fronte di una contestuale necessità di miglioramento della qualità clinica collegata allo sviluppo di nuove capacità di diagnosi e terapia. Dagli anni novanta l’Italia affronta un terremoto politico che ne fa tremare le fondamenta: la corruzione politica dilagante portata alla luce e messa alla berlina, gli impressionanti buchi di bilancio delle Pubbliche Amministrazioni trovavano così, almeno in parte, una risposta. La mala gestione delle USL, gli sprechi, le “ruberie”, i deficit ed il cambio repentino di indirizzo politico del Paese, portano all’emanazione di due Decreti Legislativi in esecuzione alla Legge Delega 23 ottobre 1992 n. 421 con i quali si è attuata una profonda riforma del sistema istituzionale del SSN: sono i Decreti Legislativi 30 dicembre 1992 n. 502 e 7 dicembre 1993 n. 517 altrimenti noti come “riordino della disciplina in materia sanitaria” o “ riforma bis”. A distanza di pochi anni segue la cosiddetta “riforma Ter” attuata con il Decreto Legislativo 19 giugno 1999 n. 229 in esecuzione alla legge Delega 30 novembre 1998 n. 419.

Veniva così ridisegnata la struttura del SSN, i cui principi ed indirizzi erano:  regionalizzazione del SSN;

 aziendalizzazione delle USL;

 razionalizzazione della spesa sanitaria;

 introduzione di nuovi criteri organizzativi e gestionali;  tariffazione a prestazione (DRG).

Fermo restando il principio della tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività, garantito attraverso il SSN oltre che sancito dalla Costituzione Italiana e ripreso nel ’78 dalla Legge n. 833, viene introdotta una novità: “ il SSN assicura, attraverso risorse finanziarie pubbliche…., i livelli essenziali di assistenza (LEA), definiti dal Piano Sanitario Nazionale…”.

Viene quindi prevista l’indicazione da parte dello Stato dei LEA tenendo conto delle risorse finanziarie destinate al SSN. Il principale strumento di pianificazione è costituito dal Piano Sanitario Nazionale predisposto dal Governo con:

le aree prioritarie di intervento;

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15 i criteri e gli indicatori per la verifica dei LEA assicurati rispetto a quelli previsti.

In base al Piano Sanitario Nazionale, entro tre mesi, le Regioni stilano i propri Piani Sanitari. A questo punto :

- Nascono le Aziende Sanitarie, le Aziende Ospedaliere e le Aziende Unità Sanitarie Locali dotate di personalità giuridica pubblica, autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale, tecnica, e responsabilità decisionale da esercitare nel quadro della programmazione nazionale e regionale;

- vengono modificati gli organi di gestione, introdotta la figura del Direttore Generale, il Consiglio dei Sanitari e il Collegio dei Revisori;

- viene modificato il sistema di finanziamento a pioggia previsto dagli art.51-53 della legge n. 833/78 introducendo per le aziende USL il finanziamento su base capitaria attraverso le Regioni; - per le Aziende Ospedaliere viene prevista la remunerazione prospettica a tariffa (DRG);

- viene identificato l’accreditamento come condizione peculiare affinché le strutture, pubbliche e private, siano annoverate tra i produttori del SSN;

- si sviluppa un’organizzazione interna su base dipartimentale tale da integrare la gestione economica con quella clinica.

Il complesso di nuove norme ha disegnato un sistema caratterizzato dalla tendenza a perseguire efficienza, efficacia ed economicità nella gestione assicurando la qualità delle prestazioni, così come nelle intenzioni dei legislatori che si sono susseguiti nel corso degli anni.

Finalità della Clinical Governance è coniugare gli aspetti di gestione clinica ed economica, in una logica di sistema, partendo dai processi sanitari nei quali le risorse vengono effettivamente consumate, valutando con rigore metodologico l’appropriatezza degli interventi e sviluppando la cosiddetta integrazione professionale, la gestione sistemica dei percorsi assistenziali, la responsabilizzazione diffusa e l’autoapprendimento organizzativo fondato sull’errore.

La politica di attuazione del Governo Clinico richiede un approccio di “sistema” e va realizzata tramite l’integrazione dei seguenti determinanti che, soltanto ai fini descrittivi, vengono considerati separatamente, mentre essi sono tra di loro interconnessi e complementari e richiedono un approccio integrato:

Formazione continua

Gestione del rischio clinico/Health Technology Assessment

Audit Clinici

Medicina basata sull’Evidenza: EBM, EBHC

Linee guida cliniche e percorsi assistenziali

Gestione dei Reclami e dei contenziosi

Comunicazione e gestione della documentazione

Il Governo Clinico riconosce l’autonomia decisionale tipica dell’ambiente sanitario ad elevata

componente tecnico-professionale, pur richiedendo al singolo professionista l’utilizzo di strumenti di governo delle attività sanitarie come standard di riferimento, gli indicatori quali-quantitativi degli esiti, le raccomandazioni fondate su prove di efficacia, la gestione del rischio e la realizzazione di un sistema di formazione continua degli operatori.

I principali requisiti per la realizzazione della Clinical Governance sono:

(16)

16 - aggiornamento, collaborazione multidisciplinare e formazione dei professionisti;

- monitoraggio della performance qualitativa dei processi assistenziali;

- gestione del tema dell’innovazione in ambito sanitario (ricerca e sviluppo)/HTA;

L’istituzione di una politica di Clinical Governance segna, come detto, una forte discontinuità con il passato poiché determina un diverso orientamento della struttura organizzativa, in particolare della tecnostruttura delle Aziende sanitarie, che da passiva ed orientata alle necessità della Direzione Generale deve divenire attiva nella proposizione e sviluppo di standard di qualità clinica adeguati, comunque definiti, controllati e mantenuti dai clinici operanti nella struttura stessa. La “tecnostruttura aziendale”, in altre parole, deve supportare le esigenze dei medici che forniscono ed hanno la responsabilità della “qualità” del sistema per le competenze e l’efficacia nelle attività sanitarie. Il fine dell’Azienda è dunque fornire una prestazione adeguata e monitorare standard per garantire e rendere oggettiva la qualità dell’assistenza basata sull’efficacia, componente clinica e principale riferimento per l’organizzazione. Il management deve divenire elemento attivo e non passivo nel fornire le condizioni ambientali per la qualità delle cure erogate fornendo il supporto alle necessità di Clinical Governance. Le Aziende hanno il compito di determinare le condizioni e fornire i mezzi per lo sviluppo e la garanzia della qualità clinica delle prestazioni orientando a ciò le funzioni e le attività amministrative ed i servizi aziendali. La tecnostruttura deve supportare e finalizzare la propria attività alle richieste dei clinici quando orientate alla Clinical Governance: ciò perché il Medico è lo snodo e la connessione fra risorse utilizzate ed attività prodotta e, quale unica figura, può e deve (dovrebbe) garantire adeguata efficacia e qualità clinica. Se il Governo Clinico, in particolare, della qualità clinica è il "cuore" delle organizzazioni sanitarie, anche il controllo degli aspetti finanziari è, almeno per larga parte, conseguenza del suo esercizio, giacché un obiettivo di efficienza se non vi è garanzia di qualità clinica è di fatto elemento economico negativo. Le responsabilità, in ordine allo sviluppo del sistema di Governo Clinico, possono essere distinte in responsabilità di ambito regionale ed aziendale. La politica regionale deve sviluppare e definire i documenti di indirizzo e promuovere azioni formative, individuare strumenti di dialogo clinico e programmi di benchmarking, in particolare definendo e strutturando le relazioni e le attività assistenziali inter e sovra aziendali.

E’ compito del livello regionale, quale committente istituzionale, la misura dell'efficacia delle attività con il monitoraggio di indici clinici ed economici identificando indicatori specifici. L’ambito aziendale cura la destinazione di risorse professionali ed economiche finalizzate alle attività e all'organizzazione operativa del Governo Clinico (momenti, strumenti e persone) incentrandosi fondamentalmente sull'Unità Operativa, sul Dipartimento e sul Collegio di Direzione. In ambito aziendale il riferimento è a strutture già costituite (Uffici Sviluppo Organizzativo, Qualità, Formazione, etc.) che assicurino, fra le proprie attività, oltre al supporto alla Direzione Generale (e in particolare alla Direzione Sanitaria), anche il sostegno ai professionisti impegnati nei temi specifici del Governo Clinico. Sarebbe infatti avvertito come peso amministrativo e burocratico una ulteriore presenza di strumenti di controllo amministrativo eventualmente finalizzati nella progettazione e pratica della “governance” clinica. Il Collegio di Direzione

Per la realizzazione del Governo Clinico appare necessario integrare l’architettura di governo aziendale con un organo che affianchi l'unico attuale decisore rappresentato dal Direttore Generale, in particolare per portare a sintesi le necessità ed il governo finanziario con le necessità e le priorità di Governo Clinico. Tale organo è costituito dal Collegio di Direzione, cui spetta l’individuazione e la promozione delle strategie complessive del sistema, orientate ad utilizzare in maniera propria le opportunità di cura, i ricoveri ospedalieri, le cure domiciliari, i trattamenti ambulatoriali. Le funzioni ed i compiti del Collegio di Direzione delle Aziende Sanitarie locali possono essere fatte risalire a:

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17

 definizione delle linee di attività e strumenti di promozione della salute e prevenzione delle malattie, sviluppo strategico dei servizi inclusa in coerenza con gli obiettivi della programmazione nazionale e regionale;

 individuazione delle priorità, valutazione delle necessità dei pazienti, la funzione di commissioning e le decisioni inerenti i contratti di fornitura;

 definizione dei servizi legati alle Cure Primarie, il loro supporto e monitoraggio;

 iniziative legate allo sviluppo degli strumenti del Governo Clinico orientati all'efficacia e qualità clinica delle cure, con l’utilizzo dell’Audit quale metodologia di verifica dell’esito delle cure e per l’orientamento alle attività migliori (anche con la definizione dei requisiti di qualità professionale), in riferimento alla pratica clinica;

 piani di formazione e training degli staff professionali.

Tabella riassuntiva:

PRINCIPI GENERALI E CORRISPONDENTI STRUMENTI PER IL GOVERNO CLINICO

PRINCIPI GENERALI

STRUMENTI

CONDIVISIONE MULTIDISCIPLINARE E TRANS PROFESSIONALE

ADOZIONE DI LG E LORO TRADUZIONE IN PERCORSI DIAGNOSTICO-TERAPEUTICI CONDIVISI; COORDINAMENTO ED INTEGRAZIONE TRA SERVIZI ATTRAVERSO LE APPROPRIATE SOLUZIONI ORGANIZZATIVE E RELAZIONI FUNZIONALI

EVIDENCE-BASED MEDICINE

FACILITÀ’ DI ACCESSO AD INFORMAZIONI SCIENTIFICHE PRIMARIE E SECONDARIE SULLA EFFICACIA DEGLI INTERVENTI SANITARI - IMPARARE DALL’ESPERIENZA

IMPARARE DALL’ESPERIENZA

AUDIT CLINICO, LISTE DI CONTROLLO, GESTIONE DEL RISCHIO

RESPONSABILIZZAZIONE

DOCUMENTAZIONE DELLA QUALITÀ DELLE PRESTAZIONE E DEI SERVIZI EROGATI ATTRAVERSO CRITERI DI VALUTAZIONE, INDICATORI E

STANDARD DI RIFERIMENTO APPROPRIATI

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18

Capitolo 2

Sicurezza e Qualità

2.1 - La Sicurezza

La Joint Commission definisce la Patient Safety (sicurezza del paziente) il grado in cui il rischio di un intervento ed il rischio legato all’ambiente sono ridotti per i pazienti, gli operatori e tutte le persone che afferiscono alla struttura.

La US National Patient Safety Foundation (La Fondazione Nazionale Statunitense per la Sicurezza del Paziente) considera il tema della sicurezza sotto i seguenti aspetti:

 evitare, controllare e ridurre gli eventi avversi o i danni connessi all’assistenza;

 l’interazione di tutte le componenti del sistema consente di evitare gli errori o i casi “prevenibili”;

 la sicurezza delle cure è correlata alla qualità delle cure stesse e ne rappresenta un fondamentale sottoinsieme.

Il Ministero della Salute definisce la sicurezza come:

“la dimensione della qualità dell’assistenza sanitaria, che garantisce, attraverso l’identificazione, l’analisi e la gestione dei rischi e degli incidenti possibili per i pazienti, la progettazione e l’implementazione di sistemi operativi e processi che minimizzino la probabilità di errore, i rischi potenziali e i conseguenti possibili danni ai pazienti”.

Ne consegue che gestire la sicurezza equivale ad analizzare, ridurre o eliminare le condizioni che compromettono il corretto funzionamento del sistema.

Diventa perciò fondamentale transitare da sistemi di approccio reattivi, che gestiscono gli errori una volta verificatisi, a sistemi proattivi e preventivi.

I sistemi preventivi richiedono contesti organizzativi che favoriscano la creazione e la condivisione della conoscenza e che siano dotati di quella che viene definita “resilienza” (Bracco 2005), ossia l’equilibrio di un organizzazione tra il potenziale di rischio e la sua capacita di anticiparlo.

Le organizzazioni dovrebbero utilizzare la strategia del margine: “una visione della resilienza intesa come la capacità degli individui di agire mantenendosi all’interno di una zona di sicurezza”.

Per rendere visibili i confini della sicurezza bisogna operare sulla diffusione della conoscenza dei livelli di rischi attraverso la disponibilità di informazioni corrette ed adeguate, l’identificazione, il riconoscimento e la valutazione dei pericoli.

L’affidabilità di un’organizzazione sanitaria è la risultante di una interazione collettiva fra individui con diverse conoscenze ed esperienze che permettono di ridurre le aree di non conoscenza analizzando il rischio da prospettive diverse.

Gli operatori sanitari incentrano la loro attenzione sulle malattie e sugli incidenti legati alla attività professionale e sulla loro capacità di fornire un’assistenza ottimale; i pazienti correlano il rischio con i danni derivanti da errori medici e di altro personale sanitario; l’opinione pubblica in generale vede il rischio connesso alla realizzazione e al mantenimento di condizioni di sicurezza ambientale; gli amministratori associano il rischio al passivo dei risarcimenti che gli errori degli operatori possono determinare per l’Azienda sanitaria di appartenenza.

La promozione della sicurezza in Sanità coinvolge tutti i soggetti che vi operano (operatori, pazienti, visitatori, fornitori, ecc.): il glossario elaborato dal Ministero della Salute definisce la cultura della sicurezza come un “Impegno per la sicurezza che coinvolge tutti i livelli di un’organizzazione, dalla Direzione al personale in prima linea. Modello integrato di comportamenti individuali ed organizzativi basati su convinzioni e valori condivisi volti a promuovere la sicurezza dei pazienti”.

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19 I fondamenti sono:

conoscenza dei rischi legati alle attività;

un ambiente che favorisca la segnalazione degli errori da parte degli operatori senza timore di biasimo e punizioni;

la collaborazione a tutti i livelli, per cercare soluzioni alle vulnerabilità;

un impegno dell’intera organizzazione, a partire dalla Direzione, ad investire risorse nella sicurezza.

Il Consiglio della Comunità Europea ha emanato il 12 giugno 1989 la Direttiva 89/391/CEE, destinata agli Stati membri, avente lo scopo di attuare misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante la loro attività professionale.

L’introduzione in Italia di questa ed altre successive e conseguenti Direttive Comunitarie (vedi, per esempio, l’Accordo-Quadro europeo sullo stress nei luoghi di lavoro, siglato l’8 ottobre 2004) ha trovato attuazione, dapprima, nel D. Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, e poi nel D. Lgs. 9 aprile 2008, Testo Unico n. 81.

Queste nuove normative hanno rappresentato una svolta significativa per il modo di fare sicurezza e prevenzione. La prevenzione del rischio, infatti, si è estesa dai rischi fisici a quelli psicosociali, allo stress lavoro-correlato. Da allora l’attenzione non è più rivolta solamente all’ambiente fisico di lavoro ma all’organizzazione del lavoro nella sua globalità quale determinante per la nascita delle condizioni di rischio.

... di seguito alcune citazioni a riguardo:

“uno dei fattori determinanti nel verificarsi degli infortuni sia da condurre all’organizzazione del lavoro e alla cultura della sicurezza e non esclusivamente a carenze strutturali di macchine e impianti.” (Avallone e Bonaretti, Benessere Organizzativo, Rubbettino, 2003, p. 41).

Guidati dalla consapevolezza che i fattori organizzativi, manageriali ed umani, piuttosto che semplicemente le caratteristiche tecniche, sono le principali cause degli incidenti, le industrie ad alto rischio (aviazione, energia nucleare, trasporti, ecc.) hanno dedicato la loro attenzione alle misure predittrici della sicurezza. Particolare interesse è stato rivolto alla valutazione del “Safety Climate”, un termine che generalmente si riferisce alle componenti misurabili della “Safety Culture”, come i comportamenti del management, i sistemi di sicurezza e le percezioni della sicurezza da parte dei lavoratori (Guldenmund, 2000).

Poiché comporta alti rischi di morbilità e mortalità, anche il settore della assistenza sanitaria viene considerato una industria ad alto rischio. (Colla et al., 2005).

Nel 1991 negli Stati Uniti l’Institute of Medicine (IOM) ha raccomandato alle organizzazioni sanitarie di lavorare per migliorare la propria cultura di sicurezza del paziente (Kohn et. al., “To err is human”, 1999).

La Joint Commission for Accreditation of Healthcare Organizations (JCAHO) nel 2007 ha addirittura incluso una valutazione annuale della cultura di sicurezza nei propri obiettivi per la sicurezza dei pazienti (Pronovost & Sexton, 2005).

In Inghilterra, nel 2000, il Dipartimento della Salute ha sollecitato le Organizzazioni Sanitarie a prendere in considerazione l’adozione delle tecniche di gestione della sicurezza usate nelle altre industrie e, quindi, a valutare con regolarità la propria cultura di sicurezza.

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20 Nel 2003 la sicurezza è stata identificata dalla Hamilton Health Sciences (HHS - Canada) come una delle aree chiave strategiche (Kho et al., 2005).

Il “Safety Climate” (clima per la sicurezza) viene considerato come una caratteristica “superficiale” della sottostante cultura di sicurezza che viene alimentata dalle percezioni che i lavoratori hanno delle procedure e dei comportamenti posti in essere nei loro ambienti di lavoro e che indicano la priorità data alla sicurezza rispetto agli altri obiettivi organizzativi (v. Flin et al. 2006).

Infatti “Safety Climate” è il termine indicato per descrivere le percezioni condivise dei lavoratori di come la gestione della sicurezza viene “operazionalizzata” nel luogo di lavoro in quel particolare momento. Queste percezioni forniscono una indicazione della “ priorità della sicurezza” (Zohar, 2000) in una organizzazione con riferimento alle altre priorità quali: produzione, qualità, ecc.

“Gli ospedali sono luoghi rischiosi per gli operatori sanitari. (…) E gli infermieri ospedalieri hanno una delle percentuali più alte di infortuni lavoro-correlati degli Stati Uniti. In particolare back injuries e needlesticks sono stati identificati come i principali problemi di sicurezza (American Nurses Association, 2003; DeCastro, 2006).” (in Mark et al., 2007).

Misurare il clima per la sicurezza aiuta a diagnosticare la cultura sottostante di una organizzazione o di una Unità Organizzativa. La cultura prevalente, infatti, influenza i comportamenti di sicurezza e gli outcomes che riguardano sia i lavoratori che i pazienti.

Il Safety Climate è un fattore rinforzante nell’ambiente di lavoro che aumenta sia la compliance generale verso la sicurezza sia la compliance verso l’uso dei DPI (Dispositivi Protettivi Individuali) (DeJoy, Searcy, Murphy e Gershon, 2000) e viene ritenuto un forte predittore dei near-misses, dei comportamenti non-sicuri e degli infortuni sul posto di lavoro (Hofmann e Morgenson, 1999; Hofmann e Stetzer, 1996).

Tuttavia l’evidenza degli effetti tangibili delle priorità organizzative sugli outcomes della sicurezza del paziente è ancora limitata in ambito assistenziale. La ricerca vuole contribuire ad evidenziare la relazione esistente tra gli outcomes e l’attenzione che viene data ai problemi inerenti la sicurezza da parte del management ospedaliero, così come viene percepita dal personale infermieristico.

Gli aspetti della leadership sono anch’essi molto problematici da misurare: le strutture gerarchiche del management non sono così ben definite come nelle industrie, dove vi sono chiare relazioni di riferimento. Le relazioni di riferimento manageriale, infatti, sono soggette a differenti interpretazioni da parte di ciascun gruppo professionale (amministratori, medici, infermieri, ecc.), introducendo così un certo grado di ambiguità (R. Flin et al. 2006).

La leadership serve da “antecedente prossimo” del clima (Kozlowski e Doherty, 1989): le interazioni del leader con i membri del gruppo costituiscono la fonte primaria di informazione circa l’ambiente organizzativo oltre ad essere l’attributo più saliente di quell’ambiente.

Date le forti relazioni tra qualità della leadership e il clima di sicurezza nelle organizzazioni ad alto rischio, i risultati suggeriscono iniziative di sviluppo della leadership quali mezzi per migliorare gli outcomes della sicurezza del paziente e degli operatori.

Gli approcci che si limitano a modificare i comportamenti individuali (obbligando all’osservanza delle regole e delle procedure) hanno portato a modesti benefici per quanto riguarda la riduzione degli infortuni (DeJoy, Gershon e Schaffer, 2004). Occorre fare luce sui meccanismi attraverso cui i fattori organizzativi sono collegati ai comportamenti di sicurezza degli infermieri considerati singolarmente

Figura

Tabella riassuntiva:

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