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Intolleranza al Lattosio- diagnosi e trattamento dell'ipolattasia e ruolo del microbiota nella ricerca della patologia.

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U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

DIPARTIMENTO DI

F

ARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Farmacia

TESI DI LAUREA

INTOLLERANZA AL LATTOSIO:

DIAGNOSI E TRATTAMENTI

DELL’IPOLATTASIA E RUOLO

DELL’ALIMENTAZIONE.

Relatore: Candidata: Prof.ssa M.C.Breschi Giulia Baldini ANNO: 2017

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2 Indice:

1 Introduzione 4

1.1 Cenni storici 5

1.2 Classificazioni delle reazioni avverse da cibo 5

2 Allergie alimentari 8

2.1 Cosa sono? 8

2.2 Sintomi delle allergie alimentari 9

2.3 Alimenti più fortemente allergenici 12

2.4 Diagnosi allergia alimentare 16

3 Intolleranze alimentari 21

3.1 Cosa sono? 21

3.2 Manifestazioni delle intolleranze 22

3.3 Diagnosi 24

3.4 Test non convalidati dalla Scienza 25

4 La scoperta di nuovi microorganismi 28

4.1 L’intestino come secondo cervello 28

4.2 Il microbiota 29

4.3 Nascita del microbiota 31

4.4 Simbiosi microbiota e organismo 33

5 Intolleranza al lattosio 36

5.1 Sintomi e manifestazioni 37

5.2 Genetica 40

5.3 Teoria lattasi persistenza 42

5.4 Distribuzione geografica 43

5.5 Differenza tra allergia, intolleranza e mal assorbimento al latte 46

5.6 Diagnosi e test 48

5.7 Trattamenti per l’intolleranza al lattosio 52

5.8 Conclusioni 56

6 Bibliografia 57

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… A mio nonno

che mi ha sempre sostenuto In questo lungo Viaggio….

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1.Introduzione:

Intolleranze e allergie alimentari sono frequentemente oggetto di studio e dibattito in ambito scientifico. In generale questi

malesseri fanno parte di un più vasto gruppo di disturbi definiti reazioni avverse da cibo.

Nonostante questi temi siano molto sentiti dalla popolazione, in realtà esiste molta confusione non solo nella terminologia, ma soprattutto nell’ inquadramento e negli approcci diagnostici di queste due problematiche.

Uno degli aspetti che vorrei evidenziare in questa tesi sono le intolleranze alimentari, in particolar modo analizzare quella al lattosio e illustrare l’influenza che l’intestino svolge nel prevenire questo tipo di disturbo alimentare.

Grazie alla scoperta del microbioma umano infatti si è potuto analizzare la microflora intestinale e capire che tutti quei

microorganismi che popolano le pareti gastriche in realtà possono essere in grado di proteggere l’uomo da diversi tipi di disturbi infiammatori tra cui anche le intolleranze.

L’obbiettivo di questa tesi è illustrare tutti gli aspetti che stanno alla base dell’ intolleranza al lattosio , riconoscere i sintomi

gastrointestinali ad essi accompagnati , e promuovere un corretto stile di vita accompagnato ad una adeguata alimentazione ricca di probiotici e/o integratori ,per alleviare e prevenire una condizione tanto diffusa in tutto il mondo.

La scelta di questa tematica è nata dall’opportunità che ho avuto di fare un tirocinio in farmacia, dove ho notato molta superficialità da parte dei clienti nel sottovalutare sintomi gastrointestinali

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più serie e invalidanti come appunto la mal di gestione al latte e la sua intolleranza.

Nei primi capitoli introduco le differenze tra allergie alimentari e intolleranze alimentari e promuovo in generale le classificazioni delle reazioni avverse da cibo, così come stanno sostenendo le principali società di Allergologia e Immunologia (Siaaic,Aaito,Siaip).

In effetti c’è da dire che la tematica sulle reazioni avverse da cibo è molto complessa e poco chiara, nonostante sia una problematica che colpisce molte persone, la classe medica e le organizzazioni scientifiche dibattono a lungo per trovare l’approccio terapeutico migliore ad una diagnosi corretta.

1.1Cenni storici:

Le prime osservazioni sui disturbi alimentare sono molto antiche. Ippocrate, in passato notò come l’alimentazione potesse essere causa scatenante di diverse patologie.

Da alcuni suoi studi basati sull’osservazione dell’ ingestione di latte di mucca, concluse che l’alimento era in grado di provocare ad alcuni individui reazioni sistemiche e locali come disturbi gastrici, cefalee, orticarie …

Lucrezio in alcuni suoi scritti affermava: “ quello che per un individuo è cibo, può essere per un altro veleno”

1.2 Per inquadrare le reazioni avverse da cibo, il comitato europeo

dell’EAACI (Accademia Europea di Allergologia e Immunologia) ha condiviso una classificazione a livello internazionale, dove si

suddivide tali reazioni secondo meccanismi patogenici che le hanno determinate.

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In fig1: Classificazione delle ipersensibilità alimentari proposta

dall’Accademia Europea di Allergologia e Immunologia Clinica.

Ogni reazione alimentare si divide in reazione tossiche e non

tossiche.

- le reazioni tossiche sono quelle dosi-dipendenti. È pertanto la quantità del alimento ingerito a determinare il grado di reazione scatenante. Le reazioni tossiche si manifestano quando si assume sostante tossiche che contaminano gli alimenti come per esempio metalli, funghi, insetticidi, additivi … Queste sostanze possono formarsi in seguito a processi di lavorazione errati, oppure vengono aggiunte direttamente dalle industre alimentari per migliorare l’aspetto o la consistenza del cibo.

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- reazioni non tossiche dipendono da una suscettibilità individuale, le più frequenti sono le allergie e le intolleranze alimentari. Le prime mediate dal sistema immunitario con produzione di anticorpi IgE o Non IgE; le seconde vengono classificate in intolleranze enzimatiche, farmacologiche ed indefinite.

Le reazioni non tossiche si manifestano improvvisamente in quei soggetti più predisposti.

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2.ALLERGIE ALIMENTARI:

2.1 cosa sono?

L’allergia alimentare è una reazione avversa al cibo scatenata dal sistema immunitario che mediante la produzione di

immunoglobuline IgE reagisce a determinate proteine presenti nell’alimento.(Johansson SGO.et al.2001)

Si tratta di una patologia a tutti gli effetti che si manifesta a quegli individui più predisposti. La sua trasmissione non segue le leggi mendeliane, tuttavia l’insorgere di questa problematica sembra abbia delle componenti genetiche.

L’allergia alimentare può insorgere a qualsiasi età;

tendenzialmente se compare in età pediatrica può regredire con il tempo.(esempio allergia al latte).

Esistono due tipi di risposte legate all’allergia alimentare:

-Allergia alimentare IgE mediata( in cui i sintomi compaiono dai pochi minuti a circa un’ ora dall’ingestione alimento scatenante) -Allergia alimentare IgE non mediata(la sintomatologia compare tra le 6-24 ore dopo il contatto con l’allergene).

Studi condotti in USA rivelano che i disturbi indotti dall’allergia alimentare sono presenti nel 5% nei bambini di età inferitore ai 3 anni, mentre il 3% interessa la popolazione adulta. Questi sono i valori approssimativi stimati in accordo con tre recenti studi sull’allergia alimentare percepita o confermata dai test di valutazione orale.(Boyce et al.2010)

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L’allergia alimentare è molto probabilmente la patologia più autodiagnosticata e spesso anche sovra-diagnosticata. I pochi strumenti diagnostici a disposizione rendono difficile una diagnosi e un approccio terapeutico adeguato.(Bahana SL. 2003)

2.2 Sintomi delle allergie alimentari.

I segni e i sintomi dell’allergia alimentare possono variare da lievi a più gravi. Soltanto in casi più rari si può arrivare alla morte per shock anafilattico.

Le manifestazioni causate dall’allergia alimentare possono presentarsi in diversi tessuti e apparati. In generale viene

coinvolto l’apparato gastrointestinale, respiratorio e cutaneo. Ciò che accomuna e caratterizza tutti i sintomi dell’allergia è

l’immediata insorgenza della loro comparsa. Dopo 1-2 ore dall’assunzione del alimento può manifestarsi la patologia.

Più la reazione compare in tempi brevi, più l’allergia alimentare si scatena in maniera violenta. A determinare la gravità del quadro clinico è anche il tipo di allergene contenuto nel cibo.

Le vie di accesso all’organismo dell’alimento possono essere per ingestione, per contatto diretto o per inalazione e possono portare a reazioni diverse sia per sede che per intensità.

La gravità del quadro clinico varia anche in funzione della diversa sensibilità individuale.

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Fig2. Rappresentazione delle diverse sintomatologie legate all’allergia alimentare (immagine estratta dalla piattaforma ristoCloud)

Tra i sintomi maggiormente percepiti:

Disturbi gastrici :

I disturbi gastrointestinali causati dall’allergia alimentare possono includere nausea, vomito,diarrea,meteorismo, crampi addominali, borborigmi, bruciori epigastrici. Questi sintomi possono

presentarsi isolatamente o in associazione con altri sintomi dei diversi apparati.

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Disturbi respiratori:

le forme respiratorie sono più frequenti nel bambino piuttosto che nell’adulto .Generalmente si manifesta asma, riniti e difficoltà respiratorie

disturbi dermatologici:

La comparsa delle manifestazioni cutanee va dal prurito all’ orticaria fino alla formazione di edemi e dermatiti. L’orticaria in fase acuta è quella che si manifesta maggiormente durante una reazione allergica alimentare.

sindrome allergia orale (SOA):

Questa sindrome è caratterizzata da prurito orale, edema delle labbra, del palato e/o della lingua. Spesso è correlata con la reattività crociata tra pollini ed alimenti vegetali. Difficilmente evolve nelle forme più gravi come nell’anafilassi.

shock anafilattico:

lo shock anafilattico o anafilassi rappresenta la manifestazione più severa di allergia alimentare. Questa condizione può provocare sintomi potenzialmente letali come costrizione delle vie

respiratorie, aumento della frequenza cardiaca, calo della

pressione sanguigna e svenimenti fino alla perdita di coscienza. In presenza di questo quadro clinico è necessario sottoporsi tempestivamente alle cure mediche.

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Le forme di anafilassi più pericolose sono quelle dovute al veleno di ape, ai farmaci e ad alcuni alimenti.

2.3 Alimenti più fortemente allergenici

Esistono diversi alimenti che sono stati identificati come i principali responsabili di innescare reazioni immuno mediate anche piuttosto gravi.

Nei bambini: arachidi, latte, uovo, cereali, pesce

Nell’ adulto: arachidi, noci, alimenti vegetali , crostacei, molluschi.

Fig.3 il grafico in figura mostra i principali alimenti che causano allergie alimentare negli adulti e bambini (grafico dal

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Le uova: l’uovo è formato dal 60% di albume e 30% di tuorlo. È

nel tuorlo che ritroviamo tutta una serie di proteine possibili allergeni per i bambini: ovomucoide, ovoalbumina, ovo

transferrina (chiamata anche conalbumina) e lisozima. La lisozima in particolare legandosi agli anticorpi IgE può sviluppare precocemente forme di eczemi e orticarie.

Essendo le uova un piatto molto diffuso nel settore alimentare, chi è allergico deve prestare molta attenzione alle etichette presenti nel cibo. Manifestazione allergiche possono essere causate sia dall’ingestione di uova crude, che cotte.

Nei bambini l’allergia alle uova può insorgere nei primi tre anni di vita.

Latte: l’allergia al latte è la più frequente e conosciuta rispetto

alle altre allergie alimentari. Può insorgere precocemente nel neonato, tuttavia nel 90% dei casi scompare quando il bambino compie il terzo anno di età. Infatti negli adulti l’allergia al latte vaccino è la meno comune di tutte.(Host e Halken 1990)

I responsabili allergeni del latte sono le proteine come : caseine alfa-lattoalbumina e beta-lattoglobulina. L’allergia al latte può essere sia IgE mediata, quindi si manifesta anche dopo 5-30 minuti dall’ingestione del latte e porta prevalentemente a sintomi come eruzioni cutanee, orticaria,vomito, anafilassi.. Oppure l’allergia al latte può essere Non IgE mediata e causare prevalentemente disturbi gastrici come nausea e diarrea.

Il latte vaccino oltre ad essere il primo alimento responsabile delle allergie è anche quello che determina sia negli adulti che tra i

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bambini varie forme di intolleranza o mal assorbimento (ML) che vedremo nel dettaglio nei capitoli successivi.

Arachidi: le arachidi possono causare gravi forme di allergie sia negli adulti che nei bambini. Se insorgono presto nel bambino è possibile che l’allergia persista anche durante la vita dell’ individuo adulto. Pure essendo dei legumi gli arachidi hanno delle proprietà simili a quelle della frutta da guscio, perciò coloro che sono

allergici a questo alimento spesso sono anche allergici alla frutta secca. Reazioni allergiche alle arachidi possono essere da lievi a moderate, ma rispetto alle reazioni ad altri allergeni alimentari è più alto il rischio di reazioni gravi o anche fatali come anafilassi. È l’alimento con più alto tasso di mortalità per shock anafilattico in tutto il mondo. Le proteine responsabili della reazione IgE mediata sono Ara h1, Ara h 2, Ara h3, Ara ¾.. (Restani et al.2005)

Crostacei: i crostacei sono un altro alimento responsabile di

scatenare reazioni cutanee e problematiche respiratorie. I sintomi dell’ allergia ai crostacei appaiono subito dopo qualche minuto l’ ingestione dell’ alimento e sono simili a tutti gli altri tipi di

reazioni scatenate dal contatto tra l’ allergene e le IgE. La proteina responsabile dell’ allergia ai frutti di mare è la tropomiosina. Nei soggetti particolarmente sensibili si possono innescare delle reazioni allergiche anche con la semplice inalazione dei vapori di cottura dei crostacei. La tropomiosina infatti è stabile al calore , per cui può dare manifestazioni allergiche sia con l’ingestione di cibo cotto che crudo. L’unico rimedio nel contrastare questo tipo di allergia è quello di evitare il consumo dell’ alimento.

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Per garantire la sicurezza di tutti i consumatori, e informarli su ciò che mangiano, è stata emanata una direttiva sugli allergeni che tutela l’acquirente a fare una spesa sicura per la propria salute.

Direttiva 2000/13/CE e smi

(Direttiva 2003/89/CE (Direttiva ALLERGENI), 2004/77/CE, 2005/63/CE,

2006/143/CE– recepite con D.Lgs. n.114/2006 e smi).

Su ogni alimento preconfezionate esiste l’obbligo di

etichettatura. Gli alimenti più a rischio allergie devono essere sempre dichiarati. Ovviamente ogni Paese adotta le proprie normative e restrizioni, per cui da Nazione a Nazione possiamo trovare delle differenze; per esempio in alcuni Stati gli allergeni più a rischio vengono citati soltanto quando la loro concentrazione supera un certo valore soglia.

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2.4 Diagnosi allergia alimentare

La diagnosi di allergia alimentare è un percorso complesso che richiede una figura specialistica competente nel settore come un Allergologo o pediatra Allergologo. L’anamnesi con il proprio medico è il primo passo per fare chiarezza e capire se siamo allergici ad un eventuale alimento. Le domande che ci sottopone lo specialista sono tutte indirizzate a capire sia la problematica che la sua eventuale entità.

Per giungere ad una diagnosi di allergia alimentare è fondamentale raccogliere in maniera scrupolosa qualsiasi

informazione relativa al bambino o paziente adulto .Visitare con cura e ascoltare la storia del soggetto andando ad analizzare anche i dettagli più minuziosi , permette di fare un’ analisi

dettagliata sulla sequenza temporale degli eventi, i sintomi riferiti, la possibile concomitanza con assunzione di farmaci o antibiotici, oppure indagare su un eventuale attività fisica svolta .

Se nonostante un’ accurata indagine clinica,lo specialista o il medico non sono in grado di formulare una diagnosi basata soltanto sull’ anamnesi con il paziente, si può ricorrere a

particolari tipi di test cutanei o ematici presenti in commercio

Test :

Gli strumenti attualmente a disposizione nella diagnosi delle allergie alimentari includono sia test in vivo ( Prick test, Prick by Prick, Patch test e test di scatenamento orale.), sia test in vitro per la determinazione delle IgE sieriche totali e specifiche.

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-Prick test: è un test cutaneo, relativamente semplice nella sua esecuzione e a basso costo. Si effettua per rilevare una sensibilità IgE mediata nei confronti dell’allergene ingerito con la dieta

Si esegue a livello ambulatoriale e in pochi minuti è in grado di dare un esito negativo/positivo senza essere troppo invasivo per l’individuo. Il Prick test prevede l’utilizzo di estratti purificati degli alimenti che si trovano in commercio. Sollecitando la cute sulla superficie dell’avambraccio con qualche goccia di estratto alimentare, si andrà a notare la comparsa di ponfi sulla parte

superficiale del derma. Questi ponfi compaiono quando i mastociti dermici nei soggetti più sensibili liberano i loro mediatori

innescando un processo infiammatorio che porta alla comparsa di edemi e prurito.

Il compito dell’allergologo sarà quello di valutare ed esaminare i ponfi effettuando un controllo positivo ( con istamina) che serve a valutare la reattività cutanea e perciò una sensibilizzazione a

livello immunologico; ed un controllo negativo(con un liquido costituito da glicerina) che serve a documentare un eventuale iper- reattività cutanea e quindi un’ esito negativo.

Sono stati eseguiti molti studi sull’interpretazione della grandezza dei ponfi cutanei forniti dal Prick test. Tutti gli studi concludono affermando che l’aumentare del diametro (in mm) del ponfo è correlato ad un aumentata probabilità di allergia

alimentare(Antico A,et al.2000).Tutt’oggi però gli studi non sono in grado di fornire dati su un valore-soglia da attribuire con

precisione alla comparsa della patologia.

Il Prick test non può essere eseguito in tutti quei soggetti che hanno utilizzato antistaminici per via sistemica negli ultimi 5-7 giorni e che manifestino già dermatiti e orticarie in fase acuta. Non

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avendo a disposizione per ogni alimento tutti gli estratti commerciali, talvolta può essere prescritto il Prick by Prick. Si tratta di un esame cutaneo simile al Prick test, dove in questo caso vengono analizzati alimenti freschi. È un test altamente sensibile(>90%) ma moderatamente specifico (50%), perché

benché l’esito negativo escluda completamente la patologia, solo il 25-30% dei pazienti positivi a questi test cutanei vengono poi confermati con altri test più specifici. La positività inoltre non indica quale proteina presente nella fonte allergenica sia

responsabile della sensibilizzazione, infine l’esito positivo indica una sensibilizzazione ma non sempre si associa ad una reattività clinica.

Patch test: consiste nell’applicazione sulla cute di alcuni supporti

metallici all’ interno del quale viene inserito l’allergene alimentare da esaminare. Questi cerotti , chiamati col termine inglese Patch, si fissano per 24 ore dopodiché andranno rimossi per valutare un eventuale ipersensibilità alimentare. Questa metodica

rappresenta uno strumento di facile realizzazione ma di scarsa riproducibilità.

Test seriologico rast.

È un test che valuta la quantità di IgE presenti nel siero del

soggetto in esame si legano agli estratti allergenici. L’analisi delle IgE totali è pertanto il metodo per capire se ci sia una sospetta allergia per un determinato alimento. Il risultato ottenuto da questo test (chiamato RAST, riferendosi ad un dosaggio di IgE effettuato con un metodo radioimmunologico che oggi non si usa più) (Hamilton RG et al.2001) è espresso attraverso un numero

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che corrisponde alle classi di positività: dalla classe 0 ( negativo) alla classe 6(alte dosi di IgE rilevate).Questo test sierologico, così come altri test ematici, non risultano però più specifici o sensibili rispetto agli altri test cutanei. Si prescrivono qualora si sospetti una sensibilità al determinato allergene in tutti quei soggetti che avendo assunto antistaminici o manifestando dermatiti estese non possono sottoporsi ai test cutanei di routine.

Test di provocazione orale (TPO): questo test rappresenta il gold

standard per la diagnosi di allergia alimentare. Consiste in una somministrazione orale dell’alimento sospetto di provocare allergia alimentare. Si può eseguire in tre modi diversi:

1: TPO in aperto, dove tutti sono a conoscenza dell’alimento in esame

2: TPO in singolo cieco, quando il medico all’insaputa del paziente esamina l’alimento sospetto

3 TPO in doppio cieco, sia medico che paziente non sono a conoscenza del alimento somministrato in quel momento.

Il TPO è indicato nella diagnosi di allergia alimentare, ed è l’unico esame che consente con certezza di diagnosticare la patologia discriminando una sensibilizzazione. Questo test va eseguito in un regime protetto sotto controllo medico(Rona RJ et al.2007); si esegue laddove i dati raccolti non consentono di identificare l’alimento in grado di determinare i sintomi dell’allergia. Se la positività degli esami allergologici cutanei o ematici rispettano la storia clinica , non è necessario ricorrere a questo test di

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Sono escluse dal test tutte quelle persone che hanno avuto una storia recente di anafilassi per determinati alimenti, chi manifesta asma non controllato e dermatiti atopiche molto gravi.

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3.INTOLLERANZE ALIMENTARI:

3.1 cosa sono?

Le intolleranze alimentari sono delle reazioni improvvise ed

indesiderate verso degli alimenti o componenti alimentari assunti con la dieta.

Nonostante si manifestino con sintomi molto simili alle allergie alimentari, vanno distinte da quest’ultime perché non sono dovute ad una reazione del sistema immunitario e variano in relazione alla quantità dell’alimento assunto.

Le intolleranze alimentari spesso si manifestano con disturbi intestinali proprio perché pare siano legate all’incapacità

dell’organismo di digerire o assimilare certi componenti presenti nell’alimento.

La più nota è l’intolleranza al lattosio in cui la riduzione fisiologica dell’attività del enzima lattasi porta a disturbi gastrointestinali dopo l’assunzione di latte.

Nonostante non sia ancora stato chiarito il meccanismo biologico che sta alla base delle intolleranze alimentari, l’EAAC (come

descritto in precedenza) classifica queste reazioni in 3 diverse categorie:

-intolleranze enzimatiche, determinate dalla carenza o assenza di enzimi necessari per la metabolizzazione di alcuni componenti alimentari (es intolleranza al lattosio)

-intolleranze farmacologiche, causate dall’aggiunta di componenti farmacologicamente attivi negli alimenti (es istamina, tiramina, caffeina). I sintomi si manifestano in genere in seguito ad un accumulo di queste molecole nell’organismo

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-intolleranze indefinite, per la maggior parte provocate da additivi conservanti, coloranti e aromi presenti nei cibi o farmaci per

addensare o migliorare l’aspetto di ciò che mangiamo. In questo caso non è stato ancora dimostrato scientificamente se si tratta di meccanismi immunologici o meno.

È difficile fare una stima epidemiologica , perché la diagnosi di intolleranza alimentare risulta complessa per la mancanza di strumenti terapeutici standardizzati e validi.

3.2 Manifestazioni intolleranze alimentari

Le intolleranze alimentari sono reazioni da cibo che si scatenano in maniera più lenta e meno aggressiva rispetto alle allergie

alimentari. Difficilmente si sono riscontrati casi di morte come nell’anafilassi.

Si presentano principalmente con sintomi a carico dell’apparato gastrointestinale ma possono coinvolgere anche la cute e

raramente gli altri apparati.

Le manifestazioni di intolleranza sono di difficile interpretazione perché il malessere e il fastidio avvertito dal soggetto può

insorgere anche a seguito di cibi ingeriti quotidianamente come latte, pane, pasta …

Questo spesso porta l’individuo a sottovalutare i segnali che l’intestino invia, con la possibilità di manifestare infiammazioni croniche a livello gastrico.

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I sintomi evidenziati più frequentemente sono dolore addominale, stipsi, crampi, nausea, diarrea. Meno frequentemente possono essere presenti difficoltà respiratorie, sincope, cefalea.

Fig.4 elenco dei sintomi che si manifestano in caso di intolleranza alimentare dai più frequenti a quelli meno rivelabili.(Immagine estratta dal sito www.slideplayer.it)

Un soggetto intollerante può comunque mangiare piccole quantità dell’ alimento incriminato senza necessariamente sviluppare i

sintomi fin’ ora elencati. Il soggetto allergico diversamente deve eliminare l’alimento dalla dieta.

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3.3 Diagnosi

La diagnosi di intolleranza alimentare è basata semplicemente sull’anamnesi .

Il primo passo fondamentale per una diagnosi corretta è quello di escludere a priori un coinvolgimento del sistema immunitario, e stabilire che non si tratti di un’ allergia alimentare.

Un’anamnesi accurata permette di indirizzare il paziente ad una terapia alimentare adeguata e personalizzata, in cui l’alimento sospetto verrà escluso o parzialmente ridotto dalla dieta.

Informazioni importanti a chiarire il quadro clinico riguardano l’età del paziente, eventuali cibi sospetti,la via di esposizione e

l’intervallo tra l’esposizione e l’insorgenza dei sintomi percepiti. Qual’ora in seguito all’anamnesi il medico sospetti un’ intolleranza al lattosio,si esegue il test h2- breath test per valutare la quantità di idrogeno espirata e quindi mal digestione e intolleranza.( lo vedremo nel dettaglio nei capitoli successivi)

Per altri tipi di intolleranze alimentari non sono ancora disponibili test attendibili e riconosciuti scientificamente in grado di

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3.4 Test in commercio messi a disposizione dalla medicina alternativa, ma non convalidati alla comunità scientifica:

I test qui sotto elencati, sono stati messi in commercio negli ultimi anni e in poco tempo hanno fatto tendenza senza avere i requisiti necessari a dimostrare un’effettiva validità diagnostica.

Si tratta di test alternativi che non sono stati riconosciuti dalla scienza perché privi di credibilità e validità clinica. Esistono infatti solo documenti ufficiali delle più importanti società italiane e estere che confermano e dimostrano l’inutilità di questi test. (Beyer K,Teuber S.2005) (Senna GE, Passalacqua G.et al.2004)

Tra i test più diffusi:

-test citotossico: è un test che va ad analizzare il rigonfiamento dei granulociti presenti nel sangue in seguito al contatto con

l’alimento incriminato. Si basa sul principio che l’aggiunta di uno specifico allergene al sangue intero o a delle sospensioni

leucocitarie comporti delle modifiche morfologiche alle cellule del sangue fino alla loro rottura. Osservando al microscopio si

possono notare quattro tipi di rigonfiamenti: lieve, discreto ,notevole rigonfiamento e rottura.

È un test non riproducibile, pertanto si possono ottenere risultati diversi a seconda dell’operatore che effettua il test.

Vengono prelevati dei campioni di sangue venoso e messi in provetta con una soluzione di sodio citrato al 3,8%. I globuli

bianchi vengono così separati e messi a contatto su un vetrino con tutti gli alimenti da esaminare.

L’American Accademy of Allergy l’ ha dichiarato non affidabile

nella diagnosi di allergia e intolleranza alimentare. La Medicina Ufficiale si distacca completamente da questo tipo di approccio

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diagnostico che non è in grado di dare esiti riproducibili e ripetibili. Inoltre non esisterebbero prove scientifiche che supportino la validità di un cambiamento morfologico delle cellule del sangue in seguito ad una reazione avversa da cibo. Non esiste infatti nessuna dimostrazione che segnali che l’allergia o l’ intolleranza alimentare sia sostenuta da meccanismi di citotossicità

Test kinesiologico: si tratta di un test basato sul metodo

Kinesiologico che testa la diminuzione della forza manuale prendendo in esame la muscolatura della mano. Utilizzato soprattutto da chiropratici, si basa sulla misurazione soggettiva della forza muscolare.

Al paziente viene fatto tenere in mano l’alimento incriminato e con l’altra mano deve esercitare una certa pressione sul palmo dell’esaminatore.

Sarà la percezione dell’ esaminatore a stabilire una riduzione della forza muscolare e quindi la positività al test e pertanto una

un’allergia o intolleranza alimentare a quel determinato alimento. Viceversa se la mano resiste alla pressione del terapista indica una normale tolleranza dell’alimento testato.

La Kinesiologia rappresenta una delle terapie alternative fondata per la prima volta dallo statunitense George Joseph Goodheart Junior nel 1964. Basandosi sul solo principio che

quando si è a contatto con una sostanza che ci ‘disturba’ la nostra forza muscolare diminuisce, la medicina convenzionale non lo ritiene un test scientificamente approvabile e veritiero. Non è mai stato descritto nessun meccanismo di intolleranza o allergia che coinvolga la muscolatura del corpo.

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Test DRIA: è un test che segue la metodica della kinesiologia

applicata; per via sublinguale si somministra l’allergene e si valuta la forza muscolare per mezzo di un ergometro.

Se il computer registra una caduta di forza entro quattro minuti dall’esposizione sublinguale,avremo sospetto di ipersensibilità alimentare. Ripetendo la prova con lo stesso alimento e

confrontandolo con il placebo il test darà esito positivo o meno. Il

Food Allergy Committee dell’American College of Allergistsha

valutato consecutivamente per due anni, nel 1973 e nel 1974 l’uso di questo test, ed è giunto alla conclusione che non è in grado di discriminare l’estratto alimentare dal placebo.

Rimane un test non convenzionale e non convalidato dalla

medicina Ufficiale proprio per l’inattendibilità dei suoi risultati: è altamente impossibile esercitare sempre la stessa forza per un tempo sufficiente a testare decine di alimenti.

Test elettrodiagnostici (Vega test, Sarm test)

Sono dei test molto simili tra loro nei quali un apparecchio elettrodiagnostico misura in sei punti diversi del nostro corpo variazioni di potenziale elettrico.

In tutti questi sistemi l’organismo viene a trovarsi in un circuito attraverso il quale sono fatte passare deboli correnti elettriche (dell’ordine di circa 0.1 V, 7-15 mA, 7-10 Hz) oppure specifici stimoli elettromagnetici ed elettronici.

Secondo la filosofia con cui si basano questi test, ogni corpo umano sarebbe attraversato da dei percorsi energetici detti ‘meridiani’ . Se in quei punti si dovesse registrare un calo di resistenza o un’ alterazione della corrente elettrica a seguito

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dell’esposizione all’ allergene incriminato, significherebbe che quella persona ha una patologia infiammatoria in corso.

La medicina convenzionale non ritiene che il Vega test e i suoi simili siano dei test attendibili perché i risultati ottenuti con questi tipi di test, non sono stati in grado di distinguere i soggetti sani dai malati di allergie cutanee. Nel 2001 una famosa rivista scientifica internazionale The British Medical Journal, pubblicò un articolo in cui riportò tutta una serie di analisi che smentirono l’efficacia del Vega test. I risultati che si possono ottenere con il Vega test possono essere alterati dalla presenza di gioielli, cute secca, sudore , campi magnetici e dalla stessa atmosfera in cui viene eseguito il test.

Analisi del capello, Pulse test, iridologia , riflesso cardio

auricolare: sono tutti test che non hanno mostrato un’efficacia

diagnostica, ma anzi si sono tutti dimostrati inattendibili.

La SIAIP (Società Italiana di Allergologie e Immunologia Pediatrica) nel recente documento “Choosing Wiseley, le cose da fare ma soprattutto non fare ” ne ha fermamente sconsigliato l’utilizzo nella diagnosi di allergia alimentare.(Beranardini R,et al 2014)

4.la scoperta di nuovi microorganismi

4.1L’intestino come secondo cervello

Negli ultimi 20 anni la scoperta di nuove metodiche di genetica molecolare ha fatto sì che gli studi sull’apparato digerente e la flora batterica venissero analizzati più profondamente, e questo ha portato alla scoperta di un’intera popolazione batterica che risiede nel nostro intestino.(Qin Jet al.2010)

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Il perfezionamento di vecchie tecniche di ricerca e la scoperta del DNA ha rivoluzionato il mondo della medicina moderna,

scoprendo che nell’intestino di ogni individuo esistano più di 1000 specie di batteri che vanno a formare il microbioma intestinale. Molte delle funzioni che sono state attribuite a questi microbi intestinali sono legate alla digestione e alla produzione di sostanze nutritive essenziali come le vitamine e minerali. Ogni batterio presenta dei geni che codificano enzimi in grado di metabolizzare componenti che le cellule dell’apparato gastrointestinale non sono in grado di fare; ecco perché oggi l’intestino è considerato il nostro secondo cervello in grado di regolare molteplici funzionalità per il benessere della nostra salute.

4.2Il microbiota

Con il termine microbiota facciamo riferimento all’insieme di tutti i microorganismi che popolano l’intestino e convivono con il nostro organismo regolando tutte le funzioni del sistema immunitario e digerente.

Troviamo specie come batteri, Virus, funghi , Archaea, che nel loro insieme vengono definiti microorganismi saprofiti.

Il microbioma , sarebbe invece l’insieme della componente genomica di tutti questi batteri che colonizzano le superfici del tratto gastrointestinale.

Gli studiosi recentemente hanno scoperto che tutti questi

microorganismi conterebbero più di 1000 specie diverse, tali da superare di ben 10 volte il totale delle cellule del nostro

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mutualistico con l’ospite umano e stanno dimostrando di avere sempre più implicazioni utili per la salute di ogni individuo.

Tramite le ricerche in campo scientifico sappiamo che:

-La distribuzione di questi batteri nei diversi tratti del intestino varia continuamente; in ogni individuo la composizione del

microbiota varia sia per quantità che per tipo di microorganismo. Generalmente la maggior parte di questi batteri risiede

prevalentemente nel intestino crasso (10¹⁰-10¹²) e tenue(10³-10⁴), piuttosto che nello stomaco(10¹-10³) dove l’ ambiente acido

risulterebbe troppo aggressivo per la loro sopravvivenza.

Fig.5 le differenti specie di microorganisimi che popolano la microflora intestinale.(immagine dal sito: www.dietology.it)

Anche la parte più prossimale dell’ intestino risulta meno

popolosa perché la bile e le secrezioni pancreatiche sono tossiche o poco favorevoli alla loro proliferazione.(Zoetendal EG,et al.2002)

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-I 2 Filum batterici più prevalenti nel tratto gastrointestinale sono i Bacteroidetes ( gram negativi), E Firmicutes (gram positivi) che tra l’altro raggruppa più di 200 generi tra cui i più noti sono i

Lactobacillus, Mycoplasma, Bacillus e Clostridium.

La maggior parte di queste specie sono anaerobi obbligati in grado di vivere cioè in assenza di ossigeno. La minoranza rappresenta gli anaerobi facoltativi e gli aerobi.

-Tra le funzioni del microbiota sono state riconosciute la modulazione della risposta immunitaria (il microbiota infatti stimola tutte le cellule deputate alla difesa del organismo mantenendole efficienti e pronte a reagire all’ attacco di aggressioni esterne), produzione di messaggeri del sistema

nervoso,produzione di vitamine essenziali (come la vitamina K e la vitamina B),e tra le funzioni predominanti c’é quella di regolare la produzione di acidi grassi a catena corta come il butirrato,

sostanza in grado di agire da antibiotico fisiologico , proteggendo l’intestino dall’attacco di patogeni aggressivi. (Goodrich,J K et al 2014)

4.3 Nascita del microbiota.

Lo sviluppo del microbiota inizia fin dalla nascita.

È nei primi tre anni di vita che inizia a formarsi e a crescere le specie batteriche che poi si svilupperanno nell’ età adulta. Se nasciamo con un parto naturale abbiamo una buona

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che dal canale vaginale della madre passano al feto sterile iniziando a formare una prima barriera di difesa.

Bambini nati di parto cesareo hanno un microbiota intestinale diverso che sembra essere associato ad un aumentato rischio di malattie : non avendo avuto il contatto con il canale vaginale della madre , si sono arricchiti subito dei batteri più aggressivi incontrati nella sala operatoria.

Si ritiene che l’allattamento al seno e lo svezzamento nei giusti mesi di vita del neonato siano in grado di selezionare un

microbiota migliore per la salute del individuo.

Il contatto con il capezzolo materno durante l’allattamento è importante per ‘passare’ al bambino tutti gli anticorpi necessari per creare una prima arma di difesa. Il latte materno ricco di oligosaccaridi sembra stimolare il sistema immunitario del bambino, favorisce lo sviluppo cognitivo ed è in grado di supportare la crescita e la colonizzazione del microbiota.

Iniziare lo svezzamento intorno al 5/6 mese di vita,risulterebbe importante per permettere alla barriera intestinale di maturare bene prima di venire a contatto con tutti gli alimenti contenenti allergeni potenzialmente allergizzanti.(Lee YK, et al. 2007)

In età adulta la composizione del microbiota può essere alterata e influenzata dal nostro stile di vita: le nostre abitudini

alimentari,l’ambiente in cui viviamo e ovviamente il nostro

patrimonio genetico sono in grado di modificare continuamente il contenuto di tutti i microorganismi che popolano l’intestino.

Un’alimentazione varia ed equilibrata può incidere sul nostro stato di salute e garantirci un microbiota sano in grado di prevenire moltissime patologie.

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Negli anziani , anche se il motivo non è ancora chiaro, si osserva una riduzione generale nella ricchezza genetica del

microbiota.(Cleasson ,M.J et al 2011)

4.4 Simbiosi tra microbiota e organismo

La simbiosi tra organismo umano e microbiota è sempre più evidente e importante.

Come tutte le simbiosi,la convivenza tra uomo e flora batterica si basa su uno scambio reciproco in cui entrambi traggono

vantaggio.

Un microbiota sano interagisce con la barriera intestinale in modo intelligente e aiuta a mantenerla efficiente e correttamente in funzione. Dall’ altra parte l’organismo e in particolar modo l’intestino, permette che tutti questi batteri possono vivere e riprodursi tranquillamente.

Ovviamente per far sì che questo rapporto reciproco funzioni, bisogna che la barriera intestinale sia integra e il microbiota in salute.

Alterazioni a carico del barriera intestinale possono dipendere da un abuso di farmaci come per esempio antibiotici, dieta ricca di carboidrati e ripetitiva ,malattie infiammatorie …

Sebbene il microbiota si stabilisca precocemente, può modificarsi durante la vita cambiando con l’età, l’alimentazione ,l’apporto di integratori alimentari,consumo di farmaci e la localizzazione geografica.

La dieta può avere un forte impatto sull’omeostasi del microbiota, non a caso sono state analizzate le differenze che si riscontrano tra

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continente a continente e addirittura tra nazione e nazione sulla composizione della microflora batterica di ogni popolazione. L’alimentazione e quindi lo stile di vita sono fattori che posso incidere moltissimo sullo stato di salute di un individuo.

Un alimentazione corretta farà si che il nostro microbiota si sviluppi in maniera equilibrata mettendolo a riparo da patologie come la sindrome del intestino irritabile(ibis) o alcuni tipi di intolleranze e allergie alimentari, disturbi gastrici, obesità. Se è vero che “siamo quello che mangiamo” a seconda del cibo che introduciamo siamo in grado di stimolare i microorganismi che popolano il nostro intestino a produrre sostanze utili oppure

dannose per la nostra salute.

Una dieta ricca di carboidrati raffinati a base di farina 00 e grassi animali , compresi zuccheri e cibi carichi di additivi e conservanti rende il microbiota troppo ‘uniforme’ questo significa che ci

sarebbero meno specie batteriche in grado di controllare il rilascio di fattori infiammatori che favoriscono lesioni intestinali causando alterazioni e disbiosi.

Mangiare continuamente gli stessi alimenti in quantità anche molto elevate può creare un accumulo di sostanze sgradite all’ intestino che reagirà manifestando diversi tipi di problematiche come appunto le intolleranze. I casi di intolleranze alimentari sono dovute principalmente a fenomeni di accumulo , come se si

trattasse di un avvelenamento progressivo che può provocare delle lesioni alla barriera intestinale. L’alterazione può influire sul assorbimento e digestione dei nutrienti presenti nel cibo. È la dieta varia e bilanciata ricca di verdura,frutta e cereali integrali a garantire massima ricchezza e diversità del microbiota

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promuovendo lo sviluppo di specie essenziali per un buon equilibrio dell’intestino.

Fig.6 il grafico mostra quali alimenti devono essere assunti giornalmente con la dieta per evitare una disbiosi intestinale e quindi alterazioni a livello gastrico(immagine estratta da sito American College Gastroenterology)

Una nuova strada aperta alla ricerca è quella di introdurre nelle diete cibi arricchiti di probiotici. (Roberfroid,M.et al 2010)

L’utilizzo dei probiotici avrebbe dimostrato secondo l’OMS e la FAO, effetti benefici per la salute di tutti gli individui.

Questi microorganismi viventi dagli effetti salutari, se assunti nelle giuste quantità possono essere in grado di contrastare varie forme di allergie e intolleranze alimentari

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5.INTOLLERANZA AL LATTOSIO:

L’intolleranza al Lattosio è una condizione in cui il consumo di alimenti che contengono latte e latticini può manifestare tutta una serie di problematiche a carico del sistema gastrointestinale.

L’intolleranza al Lattosio sta rappresentando un problema di notevole rilevanza clinica, perché questa condizione affligge moltissime persone anche di etnie diverse tra loro.

Il lattosio è un disaccaride composto da glucosio e galattosio. Quando viene assunto con la dieta, viene immediatamente

idrolizzato dal enzima lattasi-florizina idrolasi (LPH) presente sulla superficie apicale dei microvilli dell’ intestino tenue( orletto a spazzola), così da essere scomposto nei suoi due componenti più semplici e più assorbibili dal intestino: il glucosio, che rappresenta un substrato energetico fondamentale per l’ organismo.

Il galattosio che è essenziale per la formazione delle strutture nervose nel bambino.

Si parla di intolleranza al lattosio quando c’è un deficit o

ipolattasia, per cui manca l’enzima lattasi al nostro organismo e questo determinerà uno stato di mal assorbimento al lattosio (Ml), accompagnato dalla comparsa di sintomi clinici quali borborigmo, flatulenza,crampi addominali ,diarrea. l’intolleranza al lattosio si attribuisce a uno squilibrio tra la quantità di lattosio ingerita e la capacità della lattasi di idrolizzare il disaccaride

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In fig8.è rappresentata la reazione idrolitica in cui l’enzima

lattasi(appartenente alla famiglia delle β-galattosidasi) scinde il lattosio nei due monomeri che lo costituiscono.

Avremo mal assorbimento al lattosio(Ml) quando il lattosio non assorbito arriverà intatto direttamente nel colon e verrà

fermentato dalla flora batterica ,che richiamando acqua ,darà origine a una serie di gas tra cui ( idrogeno,metano, anidride carbonica) e tutta una serie di acidi grassi a catena corta. 5.1I sintomi

I sintomi dell’intolleranza al lattosio si manifestano dai 30 minuti alle 2 ore dall’ ingestione di cibo contenente lattosio.

Siccome questi sintomi sono sovrapponibili a quelli di altre patologie gastrointestinali ( es. sindrome del colon irritabile, celiachia..), spesso non vengono riconosciuti o diagnosticati tempestivamente. L’eccessiva produzione di gas durante la fermentazione del lattosio può causare dolore addominale, distensione, flatulenza. L’aumento della pressione osmotica nel lume intestinale, richiama un grosso quantitativo di acqua con conseguenza induzione di diarrea.

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Tra le sintomatologie più comuni dell’intolleranza al lattosio:

Gonfiore

Dolore addominale Flatulenza

Scariche diarroiche

Come sintomatologia minore:

Irritabilità Nausea Cefalea

Disturbi del sonno.

È importante sottolineare che l’ipolattasia o deficit di lattasi, non porta automaticamente allo sviluppo dei sintomi di intolleranza al lattosio.

Esistono infatti diversi tipi di deficit di lattasi( lieve,

moderato,grave), e per manifestare tutta questa sintomatologia bisogna tener conto anche del quantitativo di lattosio ingerito. In tutti gli individui,(eccetto qualche forma rara), l’enzima lattasi (LPH) compare già all’8ª settimana di gestazione, raggiungendo il massimo di espressione alla nascita.

È dopo lo svezzamento che si assiste a un fenomeno di down regulation della sua attività ,fino a che nel 70% della popolazione mondiale si ha la perdita completa del suo funzionamento.

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Il meccanismo molecolare che induce la down regulation in realtà ancora non è stato chiarito. Si ipotizza che le proteine che si

legano al DNA, promuovano la trascrizione o destabilizzano gli mRNA trascritti causando una diminuzione dell’espressione della lattasi .

Gli individui che in età adulta perdono l’attività dell’ enzima lattasi sono stati identificati con il fenotipo ‘NON persistenza di lattasi’ (NLP). In tutti quelli che non si attiva la down regulation l’attività lattasica permane e si classificano con il fenotipo

‘persistenza lattasi’ (PL). (Itan Y,et al.2009)

Si distinguono 3 tipi di forme di ipolattasia ( deficit di lattasi):

le due forme più comuni:

-Ipolattasia primaria -Ipolattasia secondaria

L’ipolattasia primaria è di origine genetica. Colpisce il 70 % della popolazione mondiale. Può insorgere sia in età pediatrica che nel adulto,e la condizione di mancanza del l’enzima lattasi è

permanete.

La forma secondaria ha sempre un’ insorgenza variabile, ma questa volta la condizione di deficit di lattasi è temporanea. Di fatto, è dovuta a un danno sulla superficie dei microvilli presenti nell’ intestino che ostacola la produzione dell’ enzima lattasi.

Ristabilendo l’integrità della barriera intestinale riprende la sintesi del enzima LPH e la sua normale attività.

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40

forma Insorgenza Frequenza Durata Origine Trattamento

primaria variabile 70%

popolazione mondiale

permanente genetica . dieta priva di Lattosio . integratori Di lattasi secondaria variabile variabile transitoria Derivante

Da patologie Del tratto intestinale . dieta Priva di Lattosio . integratori di lattasi

Tabella1. Caratteristiche principali delle due forme più comuni di

ipolattasia.

La terza forma di ipolattasia, considerata la più rara delle altre, ha un insorgenza precoce, si manifesta infatti sin dalla nascita con l’incapacità permanente di produrre enzima lattasi.

Viene diagnosticata valutando un ritardo nella crescita del neonato, che fin dalle prime ore di vita, non è in grado di assimilare il latte materno. Questa terza forma di ipolattasia è congenita ed è determinata da mutazioni non senso a carico del gene che codifica l’enzima lattasi (LCT): l’RNA messaggero non viene trascritto pertanto il gene enzima lattasi non si codifica .

5.3 Genetica:

L’enzima lattasi viene codificato dal gene LCT, che è localizzato sul cromosoma 2 dei 46 posseduti dall’uomo.

Il deficit di lattasi è dovuto a dei polimorfismi a singolo nucleotide nelle regioni che controllano l’espressione del gene LCT. In

particolare la mutazione è localizzata nel gene vicino MCM6

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41

una specifica sequenza di DNA che controlla l’attività del gene LCT.(Kuokkanen M.et al.2006)

La mutazione consiste nello scambio di due nucleotidi: la Timina (T), e la Citosina (C) in posizione -13910 con il risultato di avere le seguenti varianti nella popolazione CC CT TT.

Gli individui omozigoti per il genotipo CC: presentano tutti una riduzione dell’espressione del gene LCT, e quindi hanno una riduzione dell’attività lattasica.

Gli individui con genotipo CT: hanno un genotipo intermedio. Sono persone eterozigote che vengono associate a livelli di espressione intermedia del gene LCT.

Infine chi ha il genotipo TT: sono individui omozigoti associati a persistenza dell’attività lattasica. Rappresentano una percentuale più bassa rispetto alla maggioranza della popolazione mondiale. Essendo quelli che tollerano il lattosio meglio di tutti sono

identificati con il fenotipo ‘ lattasi persistente’.

Genotipo Incidenza Interpretazione

-13910 CC Circa 15% (in Europa)

Predisposizione genetica per intolleranza primaria

-13910 CT Circa 45% Nessun segno di intolleranza primaria al lattosio, ma è portatore

-13910 TT Circa 40% Nessun segno di intolleranza primaria al lattosio

Tab.2 polimorfismi sul gene LCT nelle diverse popolazioni mondiali.

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42

5.4 Teoria lattasi persistenza?

Si ipotizza che il mutamento a singola base del DNA degli individui con genotipo TT sia avvenuto casualmente meno di 10.000 anni fa.

Esistono diverse teorie per spiegare la persistenza della lattasi: -La prima teoria afferma che il passaggio dalla vita nomade ad una vita stanziale basata sull’ allevamento e agricoltura avrebbe

portato ad alcune popolazione del nord Europa più dedite alla pastorizia ,la capacità di digerire il latte anche da adulti.

Come sostiene una ricerca dell’università di Dublino , che ha analizzato 13 scheletri risalenti al periodo neoneolitico, anche i nostri antenati erano intolleranti al lattosio, tuttavia l’introduzione dell’ allevamento animale e la mungitura avrebbero nel corso degli anni portato delle modifiche al gene LCT che attraverso il polimorfismo C-T e alla selezione naturale, ha portato alcune

popolazioni ad avere una persistenza dell’attività lattasica. Questo sarebbe un classico esempio di coevoluzione gene-cultura.

-Secondo un altro studio l’evoluzione della Lattasi persistenza sarebbe dovuta alla necessità per alcuni Paesi del Nord Europa di compensare una carenza di calcio e vitamina D, con

un’alimentazione ricca di latte. In questi paesi a causa di una bassa esposizione solare , il calcio e la vitamina D non riescono a

sintetizzarsi ed attivarsi nella giusta quantità per cui soltanto un’alimentazione ricca di questi nutrienti avrebbe giovato per il benessere dell’ organismo .

Nel Sud Europa la prevalenza di individui con fenotipo ‘Lattasi NON persistente’ è conseguenza di una buona capacita dell’ organismo di assimilare vitamina D e calcio grazie anche una

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alimentazione ricca di pesce e un maggior esposizione ai raggi solari.

5.5 Distribuzione geografica del deficit di lattasi:

Il declino dell’attività della Lattasi, inizia durante la 1ª infanzia ; tuttavia questo declino è variabile fra le diverse etnie e

popolazioni del mondo.

Complessivamente il 70% della popolazione mondiale ha un deficit di lattasi .(Heyman MB.2006)

In particolare è stato osservato che l’ipolattasia è molto presente nei Paesi Europei dove si assiste ad una crescenza di deficit di lattasi andando dai Paesi del Nord Europa, fino al Sud Europa e Mediterraneo (70-80%).

L’Ipolattasia è per esempio molto marcata nei Paesi come la Svizzera (16%) E il Nord Italia (52%).

In Italia ci sono notevoli variazioni tra le regioni della nostra penisola: al Nord c’è una maggiore percentuale di persone con deficit di lattasi (52%), al centro la percentuale cala (19%) fino a che al sud si assiste ad un leggero aumento di ipolattasia (41%).

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Nel sud America, Asia e Africa più del 50% della popolazione adulta non tollera il lattosio. In A

è a macchia di leopardo: tribù tradizionalmente dedite alla

pastorizia mostrano alti livelli di persistenza dell’ enzima rispetto a quelle popolazioni più contigue che hanno percentuali molto più basse.

Chi vive nel Estremo oriente ha mostrato il 100% di deficit di lattasi.

Nel sud America, Asia e Africa più del 50% della popolazione

adulta non tollera il lattosio. In Africa in particolare la distribuzione è a macchia di leopardo: tribù tradizionalmente dedite alla

pastorizia mostrano alti livelli di persistenza dell’ enzima rispetto a quelle popolazioni più contigue che hanno percentuali molto più

tremo oriente ha mostrato il 100% di deficit di

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Nel sud America, Asia e Africa più del 50% della popolazione

frica in particolare la distribuzione è a macchia di leopardo: tribù tradizionalmente dedite alla

pastorizia mostrano alti livelli di persistenza dell’ enzima rispetto a quelle popolazioni più contigue che hanno percentuali molto più

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Fig.5 Distribuzione Mondiale dell’intolleranza al Lattosio.

Percentuale di ipolattasia nei vari Paesi del Mondo. (Immagine dal sito: www.lactease.com)

Non sono disponibili tuttavia dati sulla prevalenza dell’intolleranza al lattosio valutata in base ai sintomi correlati all’ assunzione di lattosio e alla sua misura di idrogeno espirato nell’ intera

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5.6 Differenza tra allergia, intolleranza e mal assorbimento al lattosio:

Molto spesso, anche a causa delle sintomatologie comuni si ha difficoltà a distinguere l’allergia al latte, dall’ intolleranza al lattosio e mal assorbimento(ML) o deficit di lattasi. Questa poca chiarezza nel riconoscere un tipo di reazione rispetto all’ altra, dipende anche dal fatto che tutte le manifestazioni sono

sostanzialmente a carico dell’ apparato gastrointestinale.

L’allergia al latte:

È una risposta del nostro sistema immunitario che entra in contatto con delle proteine contenute nel latte.

Le manifestazioni allergiche si verificano dopo pochi minuti dall’ assunzione dell’ alimento e si instaurano sia a carico dell’ intestino che nei distretti extra-intestinali.

Possono essere manifestazioni anche piuttosto violente , in cui il nostro sistema immunitario sollecitato libera anticorpi detti immunoglobuline IgE.

L’allergia al latte, o meglio alle proteine presenti nel latte, è una condizione molto frequente e transitoria nel bambino, mentre risulta molto rara nell’ adulto.

Intolleranza al lattosio:

è una condizione più diffusa rispetto all’ allergia al latte, ma al tempo stesso meno frequente rispetto al mal assorbimento del lattosio(Ml). Per essere intolleranti al lattosio dobbiamo avere un deficit di lattasi e mostrare tutti i sintomi di intolleranza sopra citati.

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Mal assorbimento (Ml): Secondo la NIH( National Istitute of

Healt) la maldigestione al lattosio è quella condizione

caratterizzata dalla produzione di idrogeno tramite il breath test

Si può dedurre che oltre il 70% della popolazione mondiale presenta un deficit di lattosio e quindi mal assorbimento.

Ma si manifesterà l’ intolleranza solo a coloro che combinando tutta una serie di fattori tra cui, il quantitativo di lattosio assunto, le caratteristiche della microflora individuale, fattori psicologici e sensibilità della parete gastrointestinale , si creerà un quadro complessivo che può dare dei disturbi a carico gastrointestinale. In effetti i soggetti che si auto qualificano intolleranti al lattosio mostrano di poter tollerare il consumo di un bicchiere di latte senza avvertire nessun tipo di sintomo gastrointestinale.

Uno studio italiano (Tomba et at,2012) arriva ad affermare che i sintomi di intolleranza avvertiti da alcuni soggetti dopo aver

assunto 15 g di latte, non erano dovuti ad una mal digestione, ma piuttosto a una tendenza alla somatizzazione. Questo porta ad ammettere che l’intolleranza al lattosio sia molto invalidante e influenzata da fattori fisiologici e psicologici.

Diversi studiosi hanno constatato che ‘l’intolleranza al lattosio percepita’ è il più rilevante fattore correlato alla riduzione di consumo di latte (Klesges et al, 1999).

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5.7 Diagnosi intolleranza al lattosio:

Il tipo e l’entità dei sintomi confrontabili con altre patologie del tratto intestinale, rendono particolarmente ostica la diagnosi di Intolleranza al Lattosio. Mentre il mal assorbimento(ML) può

essere oggettivamente verificato, la dimostrazione di intolleranza al lattosio si basa sulla autodichiarazione dei sintomi avvertiti dal paziente.

Ecco perché negli ultimi anni è emersa la necessita di standardizzare i test di tolleranza al lattosio per dare una definizione chiara al termine intolleranza al lattosio:

“L’intolleranza al lattosio è caratterizzata dall’insorgenza di

sintomi gastrointestinali dopo stimolazione in cieco con una singola dose di lattosio di un soggetto con mal assorbimento al lattosio Ml.”

Va detto che i sintomi sono assenti quando il soggetto ingerisce il placebo.

Questo test che richiede sia la somministrazione in cieco sia il placebo di fatto è difficile da utilizzare come test di routine e pertanto non viene utilizzato nella pratica clinica.

Gli studi clinici per esempio mostrano spesso una considerevole risposta al placebo, ammettendo grosse difficoltà a nascondere la presenza e il sapore dei prodotti contenenti lattosio. Molti autori infatti spesso non dichiaravano se i soggetti coinvolti erano riusciti o meno a mascherare la presenza del disaccaride.(EFSA. Et al

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Giungere ad una diagnosi precoce è importante per correggere una dieta alimentare ricca di cibi che contengono lattosio , ed eventualmente, eliminare quei farmaci che contengono il lattosio come eccipiente.

5.8 Test per l’intolleranza al lattosio:

La certezza della diagnosi si ha solo attraverso l’utilizzo di esami e test di laboratorio altamente approvati.

I due test in commercio ritenuti sicuri ed efficaci per una diagnosi corretta sono l’H2-breath test e il test genetico del polimorfismo C/T -13910.

Un tempo era molto praticata la biopsia duodenale/digiunale della mucosa intestinale, in cui veniva analizzata l’attività lattasica sul tessuto bioptico. Questo test era in grado di fornire una

dimostrazione sia di deficit dell’enzima , che valutare uno stato di mal assorbimento dovuta al’ ipolattasia secondaria.

Attualmente è poco utilizzato perché considerato troppo invasivo e costoso. Essendo l’intolleranza al lattosio una patologia di non grave entità si preferisce utilizzare i test più sicuri:

- H2-breat test:

E un test non invasivo, poco costoso e facilmente realizzabile. Rappresenta il test che attualmente è più praticato in ambito ambulatoriale in grado di definire la presenza di mal

assorbimento al lattosio in funzione della quantità di idrogeno espirato .

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Quando il lattosio non viene assorbito raggiunge il colon ed è metabolizzato dalla flora batterica con produzione di idrogeno (che in parte viene escreto dai polmoni), metano ed

carbonica.

IL test prevede l’assunzione di 20 corrispondono a 400

aria espiata ogni 30 minuti per 3

Il Breath test darà esito positivo quando i livelli di idrogeno ottenuti superino di 20ppm i valori base.

Fig.9 Incremento di 20 ppm rispetto a concentrazione basale: indicativo di malassorbimento di lattosio.

Si possono registrate dei falsi negativi qualora il

fatto recenti assunzioni di antibiotici o di alimenti contenenti il lattosio.

Una corretta preparazione al test permette di aumentare la specificità e sensibilità dei risultati.

Quando il lattosio non viene assorbito raggiunge il colon ed è metabolizzato dalla flora batterica con produzione di idrogeno (che in parte viene escreto dai polmoni), metano ed

IL test prevede l’assunzione di 20-25 g di lattosio (che

corrispondono a 400-500 ml di latte)e la raccolta di campioni di aria espiata ogni 30 minuti per 3-4 ore.

Il Breath test darà esito positivo quando i livelli di idrogeno superino di 20ppm i valori base. (Pohl D,et al 2010)

Incremento di 20 ppm rispetto a concentrazione basale: indicativo di malassorbimento di lattosio. (immagine dal sito: www.associazioneaili.it

Si possono registrate dei falsi negativi qualora il paziente abbia fatto recenti assunzioni di antibiotici o di alimenti contenenti il

Una corretta preparazione al test permette di aumentare la specificità e sensibilità dei risultati.

50

Quando il lattosio non viene assorbito raggiunge il colon ed è metabolizzato dalla flora batterica con produzione di idrogeno (che in parte viene escreto dai polmoni), metano ed anidride

25 g di lattosio (che

500 ml di latte)e la raccolta di campioni di

Il Breath test darà esito positivo quando i livelli di idrogeno (Pohl D,et al 2010)

Incremento di 20 ppm rispetto a concentrazione basale: indicativo di

immagine dal sito: www.associazioneaili.it)

paziente abbia fatto recenti assunzioni di antibiotici o di alimenti contenenti il

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Il limite del Breath test riguarda l’incapacità di distinguere un mal assorbimento di lattosio dovuto al’ipolattasia primaria o

secondaria.

- test genetico che analizza il polimorfismo C/T -13910 rappresenta più un test predittivo che diagnostico, in quanto andando ad

analizzare il genotipo dell’individuo , è in grado di stabilire la predisposizione alla non-persistenza della lattasi e individuare quindi quei soggetti che potrebbero manifestare mal

assorbimento o intolleranza al lattosio.

Una volta effettuato il test genetico è pertanto opportuno confermare la patologia sottoponendosi al Breath test.

Il test genetico è semplice e non richiede la presenza di personale specializzato. Basta prelevare un campione di cellule della

mucosa orale mediante tampone .

Essendo un test non invasivo può essere facilmente eseguito anche nei bambini.(Rasinperà, et al. 2004)

Altri test raramente utilizzati

- ph fecale: in caso di carenza di lattasi le feci risultano acide con ph circa 5,5 per la presenza di acido lattico ed acidi grassi che indicano un mal assorbimento di carboidrati.

Questo esame risulta però altamente aspecifico e non attendibile perché gli stessi risultati si possono riscontrare in altri tipi di patologie del tratto intestinale.

- potere riducente fecale: rivela la presenza di zuccheri riducenti come lattosio e glucosio che non vengono adeguatamente

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assorbiti. Il test è poco praticato perché i risultati possono essere alterati da variazioni della motilità intestinale.

- cromatografia su carta dello zucchero in esame presente nelle feci, potrebbe identificare un mal assorbimento di quel

determinato carboidrato. Tuttavia nei neonati l’emissione di piccole quantità di lattosio è considerata normale pertanto l’esame è scarsamente utilizzato.

5.8 Trattamento dell’intolleranza al’lattosio:

I soggetti con ipolattasia devono essere trattati solo se manifestano i sintomi di intolleranza al lattosio.

Nel corso degli anni sono state proposte diverse soluzioni per ridurre o limitare i fastidiosi sintomi gastrointestinali.

La riduzione o l’esclusione del latte dall’alimentazione è la prima cosa che l’individuo comunemente fa anche senza l’intervento del medico. Il rischio di osteoporosi dovuto ad una minor apporto di vitamine e calcio è pero da tenere in considerazione.

È comunque utile trattare l’intolleranza al lattosio prima con una dieta di esclusione successivamente reintrodurlo nella giusta dose per evitare carenze alimentari.

E bene trattare l’ipolattasia primaria in modo differente dall’ipolattasia secondaria.

Nell’ipolattasia secondaria va escluso il lattosio dalla dieta solo fino alla risoluzione della patologia che ha prodotto il deficit di

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lattasi. Nella forma primaria invece l’esclusione del latte è suggerita fino alla scomparsa dei sintomi gastrointestinali. In entrambi tipi di intolleranza al lattosio, sia primaria che

secondaria, è utile re-introdurre gradualmente il lattosio anche con l’utilizzo di latte a ridotta percentuale di lattosio.

Anche se la maggior parte della popolazione mondiale è ipolattasica riesce comunque a tollerare circa 5-10 grammi di lattosio in singola dose,per questo è importante non scoraggiare ad abbandonare definitivamente questo alimento.

Curiosità: In realtà tutti i lavori presi in considerazione dall’EFSA

Panel NDA, che ha analizzato gli studi di un gruppo di ricercatori del Minnesota Evidence-Based Practice Center (EPCs), concludono dicendo che non è possibile stabilire un’unica dose soglia di

lattosio per tutti gli intolleranti data la grande variabilità della tolleranza individuale. Gli studi hanno trovato delle limitazioni nel calcolare la dose minima di lattosio in grado di provocare mal digestione in relazione a diversi fattori individuali: (la

co-assunzione di alimenti solidi, il tempo necessario per lo

svuotamento gastrico, il tempo di transito nell’intestino tenue, il frazionamento della quantità da assumere nella giornata, la co-assunzione di alimenti contenenti probiotici, la composizione della flora del colon, etc …) Inoltre come già accennato nel capitolo precedente i limiti dei risultati ottenuti da questi studi sono da attribuire al fatto che non si ha dimostrazione delle differenze percepite con il placebo o la dose affettiva di lattosio.

Ciò nonostante anche se in maniera variabile minime quantità di lattosio possono essere tollerate anche dai NLP (soggetti non persistenza lattasi) e questo è importante per evitare di escludere drasticamente l’alimento dall’alimentazione.

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Nonostante la tollerabilità sia minima è necessario continuare ad avere una dieta ricca di latte per non perdere il giusto apporto di calcio.

In commercio esistono dei prodotti nei quali il lattosio viene pre-idrolizzato con l’aggiunta di lattasi esogena. Queste innovazioni si possono far risalire alla fine degli anni 60 quando le industrie

lattiero-caseari trovarono soluzioni idonee per la degradazione del lattosio mediante l’uso di lattasi microbiche o separarono lo

zucchero tramite tecniche di cromatografia o filtrazione. Come trattamento farmacologico si possono prescrivere

integratori contenenti enzima lattasi esogena non umana nella forma farmaceutica che più interessa al consumatore(

compresse/granulati/capsule..). I più noti sono Digerlat , Lactigest, Lactoint, Silact Fast …. Questi integratori vanno assunti nelle

quantità raccomandate dal medico sia per trattare l’ipolattasia primaria e secondaria. Associati ad una dieta equilibrata sono utili a eliminare la sintomatologia intestinale dovuta al mal

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I sintomi da intolleranza al lattosio risultano alleviati anche dall’assunzione di probiotici nel

microorganismi influenzano la microflora batterica , creando un ambiente fisiologico per la vita dei batteri.

Un’ altro alimento che può essere introdotto nella dieta di chi è intollerante al lattosio è lo yogurt. Lo

esso presente è in grado di stimolare una attiva nel tubo digerente.

I sintomi da intolleranza al lattosio risultano alleviati anche dall’assunzione di probiotici nel regime alimentare. Questi

microorganismi influenzano la microflora batterica , creando un ambiente fisiologico per la vita dei batteri.

altro alimento che può essere introdotto nella dieta di chi è intollerante al lattosio è lo yogurt. Lo Streptococcus Termophilus

te è in grado di stimolare una β-galattosidasi che è attiva nel tubo digerente.(Usai-Satta P, et al 2012)

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I sintomi da intolleranza al lattosio risultano alleviati anche regime alimentare. Questi

microorganismi influenzano la microflora batterica , creando un

altro alimento che può essere introdotto nella dieta di chi è

s Termophilus in

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