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UNIVERSITA’ DI PISA
Dipartimento di farmacia
Corso di laurea Specialistica in Farmacia
Tesi di Laurea
“
Sindrome di Alzheimer: terapie convenzionali e
nuovi approcci chimico farmaceutici”
Relatore
:Candidata
:Dott.ssa Simona Rapposelli
Jessica Zinetti
Anno Accademico 2015/2016 - Sessione di Laurea 27 Aprile 2017
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INDICE
1. La malattia di Alzheimer
1.1 Epidemiologia
5
1.2 Scoperta e caratteristiche della malattia
6
1.3 Caratteristiche morfologiche dell’AD
8
1.3.1
Placche senili
10
1.3.2
Ammassi neurofibrillari
11
1.4 Patogenesi
13
1.4.1
Ipotesi della β-amiloide
13
1.4.2
Ipotesi dell’iperfosforilazione della proteina τ 16
1.4.3
Ipotesi colinergica
17
1.4.4
Ipotesi dello stress ossidativo
18
1.4.5
Forme familiari di AD
20
1.4.6
Altre ipotesi
22
2.
Terapie convenzionali
2.1 Inibitori dell’ acetilcolinesterasi (AchE)
24
2.2 Antagonisti del recettore NMDA(Memantina)
31
3. Nuovi approcci terapeutici per il trattamento dell’ AD
3.1 Farmaci che agiscono sulla formazione del peptide Aβ 33
3.1.1
Inibitori della β-secretasi (BACE1 inibitori)
34
3
3.1.3
Modulatori della γ- secretasi
44
3.2 Farmaci multi target: antiossidanti multifunzionali
46
3.2.1 Ibridi antiossidanti/inibitori della formazione
di peptidi Aβ
48
3.2.2 Ibridi antiossidanti/inibitori della formazione
di NFTs
51
3.2.3 Ibridi antiossidanti/AchEIs
53
3.2.4 Ibridi Antiossidanti/Attivatori della via
Nrf2/ARE
58
3.2.5 Ibridi Antiossidanti/Chelanti dei metalli
60
3.2.6 Ibridi Antiossidanti/ Antiinfiammatori
61
3.2.7 Ligandi di origine naturale
64
3.3 Prospettive future
67
Bibliografia
69
Ringraziamenti
86
4
“Ai miei genitori, faro nella mia vita
e a Stefano,presente e futuro dei miei orizzonti”
5
-CAPITOLO
1. LA MALATTIA DI ALZHEIMER
La malattia di Alzheimer (AD) è una patologia caratterizzata da una progressiva degenerazione del SNC e rappresenta il 60-70% di tutte le forme di demenza (1 ). La demenza indica un declino mentale progressivo che gradualmente interferisce con le attività del vivere quotidiano. E’ definita come una sindrome patologica caratterizzata dallo sviluppo di molteplici deficit cognitivi come i disturbi della memoria, afasia (difficoltà nella parola), aprassia (difficoltà nel compiere movimenti) e agnosia (disturbi della percezione caratterizzati dal mancato riconoscimento di oggetti persone luoghi e suoni). 1.1. EPIDEMIOLOGIA
Il “ Rapporto Mondiale Alzheimer 2015” evidenzia che l’aumento dell’aspettativa di vita è associato all’aumento della prevalenza di malattie croniche come la demenza. In Europa si stima un’incidenza di tale patologia del 4.4 % nella popolazione con età superiore ai 65 anni. L’incidenza sembra essere superiore per le donne con percentuali che oscillano dallo 0.7% (65-69 anni) al 23.6% (età superiore ai 90 anni) . Per quanto riguarda la popolazione maschile è stata osservata una minore incidenza che oscilla tra lo 0.6% (65-69 anni di età) e 17.6% (> 90 anni).
Nel mondo circa 46.8 milioni di persone sono affette da AD ma questa percentuale è destinata quasi a raddoppiare ogni 20 anni fino a raggiungere 74.7 milioni di persone nel 2030 e 131,5 milioni nel 2050 .
Questa malattia ha una molteplicità di fattori di rischio, alcuni dei quali sono genetici, altri biologici, altri ambientali, altri ancora legati allo stile di vita e alla casualità.
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1.2 SCOPERTA E CARATTERISTICHELa malattia di Alzheimer fu identificata più di 100 anni fa ma le ricerche riguardanti sintomi, cause, fattori di rischio e trattamenti farmacologici hanno subito una rapida crescita solo negli ultimi trent'anni .
La sua scoperta si deve al neuropsichiatra tedesco Aloise Alzheimer che nel 1906 durante la convenzione psichiatrica di Tubigen descrisse il quadro clinico di una donna di 51 anni Auguste D. che mostrava un progressivo decadimento delle funzioni cognitive accompagnate da episodi allucinatori.
Esaminando il cervello di questa donna notò che presentava caratteristiche istologiche che sono oggigiorno utilizzate nella diagnosi definitiva della malattia: una massiva perdita neuronale e la presenza di placche amiloidi e grovigli neurofibrillari .
La scoperta dell'AD segnò l'inizio del pensiero secondo il quale difficoltà di apprendimento e deficit della memoria non sono parte del normale processo di invecchiamento ma sono dovuti ad uno specifico processo patologico.
I neuroni colpiti da modifiche sia istologiche che funzionali sono localizzati in varie aree del cervello tra cui:
-corteccia cerebrale (dove si formano il pensiero ed il linguaggio)
-gangli della base (molti neuroni contengono l'acetilcolina una sostanza importante per l'apprendimento e la memoria)
-ippocampo (essenziale per la conservazione della memoria)
L' AD può essere classificata in diverse forme in base al periodo di insorgenza. In particolare sono note :
- Le forme sporadiche ad insorgenza tardiva (late onset AD-LOAD): sono le forme più comuni e comprendono l'85-90% dei casi e non hanno cause ben definite. La durata media della malattia, dall'insorgenza dei sintomi alla morte, è compresa tra i 7 e i 10 anni. Tra gli eventi eziologici indicati per queste forme ci sono virus, traumi cranici e insufficienze circolatorie croniche, anche se il fattore di rischio più rilevante sembra essere l'invecchiamento.
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-Le forme familiari (Familiar AD-FAD) a loro volta distinte in: (a) forme familiari ad insorgenza precoce
(b) forme familiari ad insorgenza tardiva -La forma associata alla sindrome di down.
Il decorso della malattia è diviso in quattro fasi in cui si verifica un progressivo deterioramento cognitivo e funzionale.
FASE DI PRE-DEMENZA
I primi sintomi sono spesso erroneamente attribuiti all'invecchiamento o allo stress. I test neuropsicologici dettagliati possono rivelare difficoltà cognitive lievi fino a otto anni prima che una persona soddisfi i criteri clinici per la diagnosi di AD (2). Uno dei sintomi più evidenti è la difficoltà a ricordare i fatti appresi di recente e l'incapacità di acquisire nuove informazioni. Piccoli problemi di attenzione, difficoltà nel pianificare azioni, di pensiero astratto, o problemi con la memoria semantica possono essere identificati come i sintomi più comuni che caratterizzano le prime fasi dell'Alzheimer. L'apatia, che si osserva in questa fase, è il sintomo neuropsichiatrico più persistente che permane per tutto il decorso della malattia (3). I sintomi depressivi, l’irritabilità e la scarsa consapevolezza delle difficoltà di memoria sono molto comuni. La fase preclinica della malattia è stata chiamata "mild cognitive impairment" (MCI). La MCI è una fase di transizione tra l'invecchiamento normale e la demenza; può presentarsi con una varietà di sintomi, e quando la perdita di memoria è il sintomo predominante è chiamato "MCI amnesico" ed è spesso visto come una fase prodromica della malattia di Alzheimer (4).
FASE INIZIALE
La diminuzione della capacità di coordinazione muscolare dei piccoli movimenti del paziente affetto da Alzheimer, compare già nella fase iniziale della malattia. I soggetti affetti da AD mostrano una crescente compromissione di apprendimento e di memoria che può comunque differire nei vari pazienti. In alcuni casi ad esempio è stato osservato che i vecchi ricordi della vita personale (memoria episodica), le nozioni apprese (memoria semantica) e la memoria implicita (la memoria del corpo su come fare le cose, come l'utilizzo di una forchetta per mangiare) sono colpiti in misura minore rispetto alla “memoria recente”. I problemi linguistici sono caratterizzati principalmente da un impoverimento del vocabolario e una diminuzione nella scioltezza linguistica, che portano
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ad un depauperamento generale del linguaggio orale e scritto. Può essere presente una certa difficoltà d'esecuzione in attività come la scrittura, il disegno o il vestirsi.
FASE INTERMEDIA
Il progredire dell'AD ostacola l'indipendenza nei soggetti i quali lentamente non sono più in grado di svolgere le attività quotidiane. Le difficoltà linguistiche diventano evidenti per via dell'afasia , che porta frequentemente a sostituire parole con altre errate (parafrasie). Le sequenze motorie complesse diventano meno coordinate con il passare del tempo e aumenta il rischio di cadute. In questa fase, i problemi di memoria peggiorano, e la persona può non riconoscere i parenti stretti. La memoria a lungo termine, che in precedenza era intatta, può compromettersi in questa fase. Si può passare rapidamente dall'irritabilità al pianto e non sono rari impeti di rabbia.
FASE FINALE
Durante le fasi finali il linguaggio è ridotto a semplici frasi o parole, anche singole, portando infine alla completa perdita della parola. Nonostante la perdita delle abilità linguistiche verbali, alcune persone spesso possono ancora comprendere e restituire segnali emotivi. Anche se l'aggressività può ancora essere presente, l'apatia e la stanchezza sono i sintomi più comuni. Le persone con malattia di Alzheimer alla fine non saranno in grado di eseguire anche i compiti più semplici in modo indipendente; la massa muscolare e la mobilità si deteriorano al punto in cui sono costretti a letto e incapaci di nutrirsi. La causa della morte è di solito un fattore esterno, come un'infezione o una polmonite.
L'evoluzione della patologia è estremamente variabile, soprattutto per quanto riguarda la comparsa dei sintomi e la velocità di progressione della malattia stessa. Le cause di questa affezione non sono ancora note e si ritiene che, nella maggior parte dei casi, sia dovuta a molteplici fattori ambientali ma anche a componenti genetiche
1.3 CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE DELL'AD
La caratteristica macroscopica più evidente nel cervello di un soggetto affetto da Alzheimer è la marcata atrofia che determina un aumento dell’ ampiezza dei solchi cerebrali e l'incremento del volume ventricolare (Fig 1 ). L’ atrofia appare diffusa, interessando oltre al lobo temporale, le aree associative corticali, l'ippocampo ed il giro para-ippocampale. L'atrofia è legata alla degenerazione neuronale che comporta la riduzione del numero di spine dendritiche e di giunzioni sinaptiche, fino ad una vera e propria scomparsa della cellula nervosa.
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Fig 1: differenze tra encefalo normale ed encefalo affetto da AD
Le alterazioni istologiche più evidenti e che sono utilizzate nella diagnosi della malattia sono la formazione di ammassi neurofibrillari (NTs) e delle placche senili localizzate specificamente nell'ippocampo, a livello della corteccia entorinale e nelle aree associate
alla neocorteccia (5) (Fig 2)
Fig 2: placche neuritiche e grovigli neurofibrillari
Una caratteristica costante dell’AD è la perdita delle cellule colinergiche del prosencefalo basale; in queste regioni è stata riscontrata una diminuzione di marcatori colinergici, tra cui l’acetilcolina, la noradrenalina, la serotonina, la dopamina e il glutammato.
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Le manifestazioni cliniche della malattia sono dunque probabilmente dovute alla diminuzione di questi neurotrasmettitori.
I fattori responsabili di tali alterazioni restano piuttosto enigmatici ma le inevitabili conseguenze di tali lesioni sono la morte neuronale, i disturbi cognitivi e infine l’insufficienza cerebrale e la morte.
La morte neuronale, definita apoptosi (morte programmata), è il risultato di una complessa cascata di eventi intracellulari che molto probabilmente sono innescati sia da fattori intracellulari che extracellulari (6).
Sebbene sia le placche amiloidi che gli ammassi neurofibrillari risultino essere fondamentali nella comparsa della malattia, la formazione delle placche senili sono probabilmente a monte della formazione dei filamenti TAU(7).
1.3.1 placche senili
Alla base della formazione delle placche amiloidi c’è un’alterazione dell’espressione della proteina APP (precursore della proteina β amiloide) e una serie di cambiamenti nella solubilità dell’amiloide β che, di conseguenza, forma degli agglomerati insolubili neurotossici. L’accumulo di Aβ da il via a una serie di eventi a cascata che includono processi infiammatori, formazione di grovigli neurofibrillari e perdita di neurotrasmettitori. Le placche senili sono nuclei proteici densi che contengono come principale componente il peptide β -amiloide (Aβ ) e sono circondati da neuroni danneggiati e morti. (fig 3 )
Contengono inoltre cellule gliali reattive, diverse componenti proteiche, che includono l'apolipoproteina E (APO E) e un componente non β-amiloide (NAC) che è un frammento di alfa-sinucleina, ed elementi della cascata del complemento (8).
La funzione fisiologica della APP è ancora in gran parte indeterminata, ma è stato ipotizzato che potrebbe avere un ruolo importante nella crescita dei neuriti, nella sinaptogenesi, nel traffico assonale delle proteine neuronali e nella trasduzione del segnale transmembranale (9) .Una parte della APP viene internalizzata e degradata nei lisosomi (10), mentre un’altra piccola frazione raggiunge la membrana plasmatica e viene sottoposta
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a taglio proteolitico da parte di enzimi con attività secretasica e denominati secretasi (α-, β- e γ secretasi).
La beta-amiloide svolge importanti funzioni patologiche durante lo sviluppo e la progressione delle malattie neurodegenerative. Da esperimenti in vitro è stato visto che gli aggregati di beta-amiloide hanno effetti tossici sulle cellule, e che questo effetto deleterio è dovuto alla capacità di questo peptide di auto-aggregarsi e formare oligomeri, che a loro volta si possono unire in filamenti intermedi. E’ stato dimostrato che gli oligomeri facilitano l’iperfosforilazione di Tau, distruggono i proteosomi e la funzione mitocondriale, alterano l’omeostasi del calcio e la trasmissione sinaptica (11,12). Inoltre, determina modificazioni nei neuroni corticali ed ippocampali, diminuisce l’espressione membranale dei recettori (13) ed induce deficit cognitivi (14). La beta-amiloide, oltre ad essere neurotossica, ha anche effetti pro-infiammatori, infatti la sua deposizione in vivo attiva macrofagi e neutrofili (15,16)
1.3.2 ammassi neurofibrillari
Gli ammassi neurofibrillari rappresentano la seconda lesione distintiva nell'AD e sono aggregati intracellulari insolubili costituiti da una proteina filamentosa a doppia elica iperfosforilata che appartiene alla classe delle proteine associate ai microtubuli (MAP) che prende il nome di proteina TAU. Questa proteina iperfosforilata si accumulano nel corpo cellulare dei neuroni prevalentemente nell’ippocampo, nella corteccia entorinale, nell’amigdala e nei nuclei del proencefalo basale. La proteina tau promuove l'assemblaggio della tubulina in microtubuli, uno dei maggiori componenti del citoscheletro neuronale che determina la normale morfologia e fornisce il supporto strutturale ai neuroni (17).
Un funzionamento ottimale di questa proteina dipende da un meccanismo dinamico di fosforilazione/defosforilazione in siti specifici, soprattutto ad opera di chinasi
come GSK-3β e Cdk-5 e fosfatasi. L’effetto della iperfosforilazione della proteina tau è la perdita di capacità della stessa di interagire con i microtubuli, che di conseguenza si destabilizzano
ed eventualmente depolimerizzano, provocando la morte neuronale. Recentemente è stato osservato che questa proteina può avere effetti deleteri anche agendo a livello
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extracellulare. Infatti, a seguito della morte neuronale e della fuoriuscita di proteina tau dalle cellule sono stati osservati delle interazioni stabili tau-recettori muscarinici (M1 ed M3), che promuovono l’aumento della concentrazione di calcio intracellulare, danneggiando i neuroni ed i circuiti coinvolti (18).
La relazione tra ammassi neurofibrillari e placche amiloidi resta ancora sconosciuta . Tuttavia Bayer e i suoi colleghi (19) suggeriscono che l'alterata proteolisi dell' APP rappresenta l'evento iniziale. In questo schema un aumentato accumulo intraneuronale di beta amiloide nel compartimento somato-dendritico del neurone interrompe la via di trasporto intracellulare e questo porta a perdita di APP a livello pre-sinaptico.
Il conseguente incremento intraneuronale di Aβ1-42, uno dei due frammenti amminoacidici che si formano nel processo di proteolisi dell’ APP e responsabile dell’ amiloidiogenesi, porta ad un aumento della fosforilazione della proteina tau (con meccanismo sconosciuto) perturbando così l'integrità del sistema microtubulare e formando gli ammassi neurofibrillari.
La riduzione a livello pre-sinaptico di APP è anche responsabile della perdita di trasmissione sinaptica con disfunzione neuronale e definitiva morte cellulare.
L'accumulo extracellulare di resti di neuroni degenerati(neuriti) e di peptide beta amiloide porta poi ad eventi patologici secondari come risposta infiammatoria mediata da astrociti e microglia richiamando macrofagi e neutrofili che producono citochine interleuchine e TNF-alfa che danneggiano irreversibilmente i neuroni.
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1.4 PATOGENESIIl meccanismo fisiopatologico che porta all’insorgenza della malattia di Alzheimer è tutt’ora ignoto, però a riguardo sono state formulate numerose ipotesi.
Finora tra le più accreditate troviamo l’ipotesi colinergica, l’ipotesi della cascata della beta-amiloide e l’ipotesi della Tau-iperfosforilata, che vengono esposte qui di seguito. (12)
1.4.1 ipotesi della beta amiloide
Secondo l’ipotesi più accreditata (20), l’evento patogenetico chiave responsabile della degenerazione dei neuroni e delle modificazioni morfologiche, funzionali e cognitive è l’eccessiva formazione o accumulo di peptidi amiloidogenetici, derivati dalla proteolisi di una glicoproteina transmembrana, presente in tutte le cellule, ma prevalentemente nei neuroni, e a funzione non nota, chiamata APP (amyloid precursor protein). L’ APP è una glicoproteina transmembrana che possiede un’ estremità N-terminale a livello extracellulare ed un’ estremità C-terminale nel versante citoplasmatico ed è espressa in diversi tipi di cellule, in particolare nel cervello, nel cuore, nella milza e nei reni. Questa proteina è tagliata attraverso due diverse vie ad opera di enzimi appartenenti alla classe delle proteasi che prendono il nome di Secrtetasi (21).
Per primo la APP è tagliata da due secretasi alfa e beta secretasi.
La alfa secretasi (via non amilodogenica)taglia APP vicino al dominio transmembrana in mezzo alla regione Aβ a livello degli aa. 687-688 per rilasciare una proteina solubile αAPPs e lasciando nella membrana un residuo carbossiterminale a 83 atomi di carbonio C83.
La beta secretasi (via amilodogenica )invece taglia APP lontano dalla membrana sul versante extracellulare a livello degli aa 671-672 e da questo taglio si ottiene una seconda proteina solubile βAPPs e lasciando nella membrana un residuo carbossiterminale a 99 carbono C99.
Sia C99 che C83 sono substrato per una terza secretasi ,gamma secretasi, che catalizza una particolare reazione di idrolisi nella regione trasnmembrana.
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La proteolisi del frammento C93 genera un peptide solubile p3 mentre la proteolisi della della C99 produce diversi frammenti amminoacidici di beta amiloide (fig 4). Le principali forme di β-amiloide sono costituite da peptidi di 40 o 42 aminoacidi (Aβ1-40 e Aβ1-42), distinguibili per il diverso COOH-terminale (Val40 o Ala42). La forma più lunga (Aβ1-42), dotata di due residui aminoacidici idrofobici aggiuntivi, è in grado di aggregarsi più rapidamente e formare fibrille ed è il peptide che si deposita inizialmente per la formazione delle placche (22 )
Fig 4: rappresentazione schematica del processo di degradazione dell’ APP e suoi metaboliti
Come esistono meccanismi fisiologici per la produzione di Aβ ,analogamente esistono meccanismi di rimozione dei peptidi. Sono stati individuati due meccanismi principali: -il primo riguarda il trasporto di Aβ prevalentemente nella forma Aβ1-40 attraverso la barriera ematoencefalica nella circolazione (23). Il meccanismo di trasporto nel sangue è mediato principalmente da LPR-1(LDL receptor-related protein-1) presente sull'endotelio microvascolare cerebrale.
-il secondo riguarda la degradazione di Aβ, soprattutto della forma Aβ1-42 mediante peptidasi come per esempio NEP (neutral endopeptidase) e IDE (insulin degrading enzyme).
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I peptidi Aβ nel tessuto cerebrale esistono in diversi stati di aggregazione (Fig. 5), come monomeri, dimeri e oligomeri ad alto peso molecolare; l’ulteriore aggregazione di questi ultimi genera le protofibrille ed infine le fibrille (24). Solo le fibrille tuttavia sono alla base della formazione delle placche, presenti sia nel cervello di pazienti affetti dalla malattia di Alzheimer, che in soggetti anziani sani.
In modelli transgenici di topo è stato visto che la sovra-espressione di APP determina la comparsa di placche e deficit di apprendimento e memoria simili a quelle presenti nei malati di AD. (25) In studi in vivo condotti su ratti adulti è stata osservata la comparsa di disfunzioni cerebrali, deficit di memoria ed alterazioni neuronali dopo l’infusione della β-amiloide 1-42 nei ventricoli laterali di questi animali; dalle analisi istologiche dei loro cervelli è stata evidenziata atrofia del tessuto, espansione dei ventricoli e danno neuronale nell’area CA1 dell’ippocampo. (26)
Fig 5: stati di aggregazione dei peptidi Aβ
Meccanismi con cui la β-amiloide produce danni neuronali e funzionali
E’ stata studiata principalmente la forma fibrillare di Aβ, in quanto considerata responsabile degli effetti citotossici osservati nelle condizioni sperimentali, mentre quelle monomeriche sono risultate prive di tossicità (27) . Secondo l’ipotesi della cascata della beta-amiloide l’accumulo di Aβ in forma fibrillare a livello delle placche, danneggia i neuroni attraverso due differenti meccanismi: un meccanismo diretto ed un meccanismo indiretto.
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1-Nel meccanismo diretto, Aβ interagisce con i componenti della membrana cellulare e danneggia direttamente i neuroni e/o aumenta la suscettibilità dei neuroni ad una varietà di fattori di danno, come l’eccitotossicità, l’ipoglicemia o il danno perossidativo (28)
2- Nel meccanismo indiretto, Aβ danneggia i neuroni indirettamente tramite l’attivazione della microglia e degli astrociti a produrre mediatori tossici ed infiammatori, come ad esempio l’ossido nitrico (NO), le citochine e gli intermedi reattivi dell’ossigeno, che causano la morte dei neuroni per apoptosi o per necrosi.
1.4.2 Ipotesi dell’iperfosforilazione della proteina tau.
Uno dei marker patologici che caratterizza l’AD è la presenza dei grovigli neurofibrillari intracellulari che contengono, come loro prima componente, aggregati della proteina tau in uno stato iperfosforilato (29). Nell’Uomo, il gene codificante tale proteina è espresso sul braccio lungo del cromosoma 17 (30) nella regione 17q21 e contiene 16 esoni. L'esone 1 fa parte del promotore ed è trascritto ma non tradotto; mentre gli esoni 1,4,5,7,9,11,12 e 13 sono costitutivi gli esoni 2,3 e 10 sono soggetti a splicing alternativo e da questo splicing si ottengono sei isoforme della proteina TAU che sono espresse in maniera diversa nello sviluppo del cervello (31) e differiscono per il fatto che contengono 3 (3R) o 4 (4R) domini di legame per la tubulina . La proteina tau è una proteina altamente solubile, associata ai microtubuli; questi rappresentano lo scheletro interno dei neuroni e costituiscono il sistema di trasporto per le sostanze nutritive e chimiche. In condizioni fisiologiche, la proteina è strettamente legata ai lati dei microtubuli ed è necessaria per mantenerne la struttura; Nella malattia di Alzheimer la proteina tau risulta essere iperfosforilata e in questa forma non è più in grado di svolgere correttamente la sua funzione. All’iperfosforilazione segue la dissociazione della proteina dai microtubuli e la conseguente destabilizzazione e interruzione dell'assemblaggio di questo importante sistema di trasporto intracellulare (32) (Fig 6). Scoperte recenti (33) hanno messo in luce che, nell’AD, le modificazioni della proteina non sono dovute a mutazioni nel gene che codifica per la proteina, come avviene in altri tipi di demenze (ad esempio nelle demenze fronto-temporali); in effetti, i livelli di espressione del RNA messaggero trascritto dal gene non cambiano. Quindi, le modificazioni associate alla malattia potrebbero instaurarsi durante i processi post-traduzionali (33)
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Fig 6 : formazione grovigli neurofibrillari
1.4.3 ipotesi colinergica
Nei primi anni ottanta Bartus introdusse la cosiddetta “ipotesi colinergica nella disfunzione mnestica dell'anziano”(34). Cruciale per la formulazione di tale ipotesi furono gli studi post mortem effettuati sul cervello di pazienti affetti da AD: nella corteccia e ippocampo è stata riscontrata una perdita di colina acetiltransferasi(ChAT) l’enzima deputato alla sintesi della acetilcolina (ACh) pari al 60-90% e una riduzione altrettanto significativa (30-90%) dei neuroni colinergici del nucleo basale del Meynert (35) . Ancora più interessante è la scoperta che tali deplezioni siano correlate positivamente col grado di severità del deficit cognitivo esibito dai pazienti in vita. Sebbene l’importanza della funzione colinergica nei processi di apprendimento e memoria sia nota fin dagli inizi degli anni settanta (36), studi successivi di carattere farmacologico hanno dimostrato, nei primati, che il blocco della trasmissione colinergica determina un calo delle capacità cognitive molto simile a quello osservato nelle persone colpite da demenza (37,38).
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1.4.4 Ipotesi dello stress ossidativo.Molte delle ricerche sull’AD si focalizzano sul meccanismo dello stress ossidativo e sulla sua importanza nella patogenesi della malattia.
Il termine stress ossidativo indica l’insieme delle alterazioni che si manifestano a livello di tessuti, cellule e macromolecole biologiche quando queste vengono esposte ad un eccesso di agenti ossidanti (39). In tutti gli organismi aerobi esiste un delicato equilibrio, detto ossido-riduttivo, tra la produzione di sostanze ossidanti, tra cui le specie reattive dell’ossigeno (ROS), e il sistema di difesa antiossidante che ha il compito di prevenire e/o riparare l’eventuale danno prodotto. Tutte le forme di vita conservano, all’interno delle loro cellule, un ambiente riducente che viene preservato da enzimi che mantengono lo stato ridotto attraverso un costante apporto di energia metabolica. Disturbi del normale stato redox possono provocare effetti tossici attraverso la produzione di specie chimiche reattive che danneggiano le componenti della cellula incluse proteine, lipidi e acidi nucleici (40). Se si genera uno sbilanciamento tra la produzione di ROS e l’efficacia del sistema di difesa antiossidante si stabilisce una condizione di stress ossidativo per cui si possono instaurare danni all’interno della cellula, in grado di condurre la stessa ad apoptosi (41) e si stabilisce una condizione di stress ossidativo.(42 ).
Molteplici evidenze suggeriscono che lo stress ossidativo e il danno indotto da accumulo di radicali liberi sono implicati nella patogenesi e nell’eziologia dell’AD (43). La prima evidenza a sostegno dell’ipotesi dello stress ossidativo nell’AD si basa sulla scoperta che i metalli sono responsabili della maggior parte della produzione dei radicali liberi. Gli elementi chimici di maggior interesse nell’AD sono il ferro (Fe), il rame (Cu) e lo zinco (Zn). Il Fe è implicato nella formazione del radicale idrossile, il quale ha effetti deleteri come descritto dalla reazione di Fenton e di Haber-Weiss (44). Diversi studi hanno evidenziato un’alterazione del metabolismo del Fe nell’encefalo di pazienti AD . E’ stato riscontrato un incremento dei livelli di Fe nella corteccia cerebrale di soggetti affetti dalla malattia; in particolar modo è stato osservato che la distribuzione del Fe rispecchia la distribuzione delle placche senili degli ammassi neurofibrillari, i due elementi chiave della AD. Ferro, ferritina e transferrina sono stati trovati nelle placche senili dei pazienti AD e la ferritina è presente nella microglia in associazione con le placche senili nell’AD. Uno studio effettuato da Kennard e collaboratori, nel 1996, ha mostrato, nei pazienti affetti da AD, un’elevata concentrazione, nel fluido cerebrospinale e nel plasma, della proteina p97,
19
una proteina di legame del Fe, la quale potrebbe rappresentare un marker della patologia (45). I peptidi Aβ, una volta aggregati tra loro, tendono a reagire con metalli di transizione, come Zinco (Zn) e Rame (Cu), i quali inducono una rapida precipitazione di Aβ (46). Infatti, analisi effettuati su cervelli affetti da AD hanno rivelato Cu e Zn accumulati in placche amiloidi extracellulari (47). Il sequestro di Cu da parte di Aβ porta alla generazione di specie reattive dell’ossigeno68 mentre quello dello Zn priva i neuroni e le sinapsi di uno ione metallico la cui omeostasi sinaptica è essenziale per la corretta funzione cerebrale (Fig 7 ) (48).
Fig 7: Conseguenze dell’interazione tra metallo e Aβ
Sono stati largamente studiati nella malattia di Alzheimer diversi marker di danno ossidativo a livello di DNA, lipidi e proteine. Per esempio è stato riscontrato un incremento significativo dei livelli di 8-OHdG (guanosina deossidata) a livello del n-DNA(dna nativo) e del mt-DNA(dna mitocondriale) di pazienti affetti da AD. Tale aumento è maggiore nel mt-DNA rispetto al n-DNA, mostrando un’elevata suscettibilità dei mitocondri allo stress ossidativo (49). I pazienti affetti da AD presentano, a livello cerebrale, un incremento della perossidazione lipidica particolarmente a livello del lobo temporale, dove le alterazioni istopatologiche sono ben visibili. Queste osservazioni comunque non sono confermate da
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altri studi, i quali falliscono nel tentativo di trovare altre differenze nei livelli basali di perossidazione lipidica. L’incoerenza di questi risultati, è da attribuire al genotipo Apo E. I pazienti che portano l’allele 4 sono probabilmente più suscettibili alla perossidazione lipidica rispetto a coloro che non hanno tale allele . Il fenomeno della lipoperossidazione potrebbe avere una maggiore influenza sulla patogenesi della malattia o addirittura esserne la causa . Molto importante è l’effetto che le ROS hanno sui fosfolipidi di membrana; alterazioni a livello di queste strutture possono essere specifiche della patogenesi della malattia. È stato mostrato che la perossidazione lipidica è la causa maggiore di deplezione dei lipidi di membrana nell’AD. Uno dei prodotti della perossidazione lipidica, l’HNE(4-idrossi-2-nonenale ) che è stato trovato in alte concentrazioni nei pazienti AD, è risultato essere tossico in cellule di ippocampo in coltura. Riguardo l’ossidazione proteica, è stato riscontrato che non ci sono differenze nei livelli delle proteine ossidate nel tessuto cerebrale di pazienti AD se confrontato con normali controlli anziani .
1.4.5 forme familiari di AD
Le forme familiari sono autosomiche dominanti e presentano un età di insorgenza precoce (nella sesta decade della vita)ma la malattia progredisce nello stesso modo e con le stesse caratteristiche patologiche delle forme sporadiche a insorgenza tardiva.
Questa forma di AD è provocata da mutazioni missenso che si verificano nella regione Aβ dell'APP (50.) e conducono ad un alterazione nella produzione e nelle proprietà dell'aβ. Le mutazioni più interessanti sono quelle che si verificano vicino al sito di taglio per la γsecretasi.
Le mutazioni genetiche rappresentano l'ultima causa di AD nell'uomo e includono:10 mutazioni a carico del gene che codifica per APP sul cromosoma 14, 20 mutazioni a carico del gene che codifica per la presenilina 1 (PS1) a livello del cromosoma 14 e 2 mutazioni a carico del gene per la presenilina 2 (PS2)sul cromosoma 1.
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Le PRESENILINE sono proteine di membrana appartenenti alla classe delle aspartatoproteasi e regolano la funzione delle gamma secretasi,enzimi responsabili della degradazione dell'APP.
PS1 è la principale presenilina responsabile dell'attività della gamma secretasi.
l'attività della gamma secretasi è associata con un complesso di proteine ad alto peso molecolare in cui la PS1 risulta essere il sito attivo.
Le mutazioni a carico del gene codificante per la PS1 risultano nell'aumentata sintesi di Aβ ,nell'alterazione della regolazione del calcio e forse nell'apoptosi mediata da proteine G .La malattia si manifesta tra i 28 e i 50 anni.
PS2 è la seconda proteina ,omologa alla PS1,che è stata ipotizzata possedere attività gamma secretasica e che sembra agire in sinergia con la PS1.le mutazioni a carico del gene per la PS2 hanno effetti analoghi a quelli della PS1 con l'unica differenza che l'esordio della malattia è più tardivo ,tra i 40 e i 55 anni.
Inoltre sono stati evidenziati polimorfismi genetici che possono incrementare il rischio di AD anche se il loro meccanismo resta ancora sconosciuto.
Tra questi abbiamo polimorfismi a carico del gene che codifica per APOE che è una lipoproteina che regola l'omeostasi dei lipidi attraverso la mediazione del trasporto lipidico da un tessuto o una cellula ad un altra .il gene umano APOE esiste come 3 alleli polimorfi: ε2,ε3,ε4 e che presentano una frequenza relativa dell'8,4%,77,9% e 13,7% (51.)
Nei tessuti periferici APOE è prima prodotto nel fegato e macrofagi e media il metabolismo del colesterolo in maniera isoforma dipendente. APOE ε4 è associato a iperlipidemia e ipercolesterolemia ed conduce ad aterosclerosi,patologie coronariche e infarto.
Nel Sistema Nervoso Centrale invece APOE è prodotta dagli astrociti ed ha il compito di trasportare il colesterolo ai neuroni tramite i recettori LDLR ovvero i recettori per lipoproteine a bassa densità (52).
APOE è composto da 299 AA e le varie isoforme differiscono per i residui aminoacidici in posizione 112 e 158 dove sono presenti cisteina o arginina e questa differenza influenza la capacità delle isoforme di legare i lipidi,i recettori e l'Aβ.
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Diversi studi condotti sull'uomo e animali hanno mostrato un ruolo importante d APOE ε4 nell' aggregazione e nella clearance dell' Aβ.
Fig 8: isoforme del gene APOE e frequenze alleliche
1.4.6 altre ipotesi
L’AD è una malattia davvero complessa, che sembra causata dall’interazione di diversi fattori, in cui l’accumulo di beta-amiloide e la deplezione colinergica rappresentano solo un particolare aspetto della malattia. Per questo motivo esistono molte altre ipotesi che cercano di spiegare la sua eziogenesi e patogenesi. Tra queste troviamo:
L’ipotesi infiammatoria, che supporta l’idea che l’AD può essere determinato da processi infiammatori che coinvolgono la microglia, gli astrociti ed i neuroni. L’invecchiamento è accompagnato infatti da una progressiva alterazione del sistema immunitario, in particolare è presente un continuo stato infiammatorio che può portare ad una disfunzione degli organi (53,54).Si è visto inoltre che le citochine pro-infiammatorie controllano l’attività del gene APP, incrementandola (55)
L’ ipotesi eccitotossica da glutammato, è basata sull’osservazione di iper-attività glutammatergica nei malati di AD. La disfunzione nel trasportatore del glutammato, sia nei neuroni che negli astrociti, provocherebbe infatti un eccesso di
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questo neurotrasmettitore nello spazio sinaptico, che causerebbe eccitotossicità e danno neuronale. (56,57)
L’ipotesi ipoglutammatergica, si oppone a quella precedente e parte dall’osservazione che nei casi di AD la neurotrasmissione glutammatergica corticale ed ippocampale è gravemente danneggiata (58) e che c'è una riduzione nel numero dei recettori NMDA. (59)
L’ipotesi dello stress ossidativo afferma che l’attività delle specie reattive dell’ossigeno (ROS o radicali liberi) potrebbero provocare danno ossidativo nelle cellule e causarne la morte.
L’ipotesi vascolare propone uno sviluppo dell’AD correlato all’aumento dei fattori di rischio vascolari. In molti casi clinici di AD si notano infatti delle alterazioni nelle arterie dei pazienti, ma potrebbero essere semplicemente casi di demenza mista, tra AD e demenza vascolare (60).
L’ipotesi del colesterolo, in cui è coinvolta l’apoproteina E (ApoE), essenziale per il catabolismo delle lipoproteine costituenti i trigliceridi, che sembra cruciale anche nell’influenzare l’insorgenza dell’AD e la deposizione delle placche di beta-amiloide.
L’ipotesi dei metalli, formulata dopo il ritrovamento nelle placche di beta-amiloide di alte concentrazioni degli ioni rame, ferro e zinco. Si sa inoltre che sia la betaamiloide che l’APP presentano nella loro struttura dei siti di legame per questi ioni metallici.
L’ipotesi dell’ipofunzione di sistemi neuronali, quali ad esempio il sistema noradrenergico, quello serotoninergico e dopaminergico. Da analisi post-mortem dei cervelli di pazienti affetti da AD si è visto infatti che, in aggiunta ai gravi deficit del sistema colinergico, anche altri sistemi neurotrasmettitoriali presentano delle alterazioni (quali appunto: il sistema noradrenergico, serotoninergico, e dopaminergico) (61). Il fatto che l’AD potrebbe non essere solo un deficit colinergico, ma potrebbe coinvolgere anche la disfunzione di altri sistemi neurotrasmettitoriali, è avvalorato anche dall’evidenza che i farmaci colinomimetici (i quali prevedono un approccio puramente colinergico) hanno riscontrato un successo solo parziale nella terapia per la malattia di Alzheimer (62).
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-CAPITOLO SECONDO-
2. Terapie convenzionali
Allo stato delle attuali conoscenze, la medicina non dispone di un trattamento che sia in grado di impedire il progredire della malattia e riportare il malato alla normalità. Esistono soltanto farmaci “sintomatici” che possono in parte migliorare la situazione esistente e rallentare la progressione della malattia. Tuttavia, è importante sottolineare che:
questi farmaci sono da utilizzare nella prima fase della malattia, lieve e moderata (non nelle fasi avanzate);
non funzionano in tutti i casi; ci sono malati che rispondono bene al trattamento, i “responders”, e altri che invece non hanno alcun beneficio, i “non-responders”, purtroppo è impossibile prevedere in anticipo la risposta dei soggetti affetti da AD;
possono avere effetti collaterali anche gravi, la somministrazione di questi farmaci, quindi, necessita della supervisione di un medico specialista.
2.1 Inibitori dell' acetilcolinesterasi
Nei primi stadi della malattia per evitare un rapido insorgere dei sintomi di demenza si usano inibitori selettivi dell’AChE. Questi farmaci hanno come bersaglio d'azione l' Acetilcolinesterasi, enzima coinvolto nel catabolismo dell'acetilcolina (Ach). Il blocco di questo enzima determina un aumento dei livelli e del tempo di permanenza di ach nel vallo sinaptico, facilitando, in tal modo, la sua interazione con i recettori colinergici pre e post sinaptici. Nei malati di Alzheimer la concentrazione di Ach nelle giunzioni neuronali colinergiche del SNC, coinvolte nelle funzioni cognitive, è molto più bassa se paragonata a quella
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dei pazienti sani. Questo fenomeno è dovuto a diversi fattori, ma in primo luogo ad una scarsa funzionalità dell’enzima colina acetiltrasferasi. Questo deficit colinergico induce disordini cognitivi accompagnati da primi sintomi di demenza, depressione e incapacità di preoccuparsi di sé stessi. Le colionesterasi sono una famiglia di enzimi che vanno ad idrolizzare l'acetilcolina in colina e acido acetico, tale processo risulta essenziale per il ripristino del neurone colinergico. Tutti questi enzimi infatti giocano un ruolo importante nella patologia, sia quelli preposti alla sintesi dell’Ach che quelli deputati alla sua degradazione metabolica. Inoltre diverse ricerche hanno evidenziato il ruolo dell’ AchE nell’induzione dell’aggregazione delle fibrille di beta-amiloide attraverso il cosiddetto “sito anionico perfierico”. Tale sito è però assente nella Butirrilcolinesterasi, enzima che ha anch’esso un ruolo nella formazione di aggregati neurotossici nel cervello, ciò indica che il meccanismo d’azione dei due enzimi è probabilmente differente. L’Acetilcolinesterasi si ritrova, per lo più localizzata nel SNC e dopo l’insorgere della malattia di Alzheimer i suoi livelli risultano ridotti; in contrasto la Butirrilcolinesterasi è ubiquitariamente distribuita. Con il progredire della malattia il rapporto B/A risulta aumentato inducendo il trasferimento della funzione degradativa dell’Acetilcolinesterasi alla Butirrilcolinesterasi.
L'acetilcolinesterasi è una serina-esterasi caratterizzata da due siti di legame separati: il sito attivo catalittico (CAS) e il sito anionico periferico (PAS) (fig 9 ). Le due sub-unità risultano unite da una “gola” che è uno stretto canale idrofobico della profondità di 20 Å.
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FIGURA 9 : Meccanismo d’azione dell’ACh al sito attivo di AChE
Questo canale è circondato da aminoacidi aromatici che consente un elevata selettività per l'Ach. L'ingresso del substrato è permesso dalla formazione di interazioni di tipo catione -π tra l'azoto ammonico quaternario dell'Ach e gli elettroni π del nucleo aromatico costituito da Fenilalanina (F), triptofano (w) e tirosina (Y). Il sito attivo catalitico è localizzato sul fondo della gola e contiene, all'interno del sito esterasico, la cosidetta triade catalittica costituita da Serina (s)- Istidina (H)-Glutammato (E) che è la stessa sia nell'AchE che nella BuChE. Il sito anionico (chiamato anche sito α-anionico) è un'altra parte del sito attivo ed è localizzato vicino al sito esterasico. Mentre il sito esterasico ha il compito di idrolizzare il legame estereo dell'Ach, il sito anionico interagisce con il gruppo ammonico quaternario ed è responsabile del suo corretto orientamento. La triade catalittica partecipa al processo di idrolisi dell'Ach in questo modo : la funzione alcolica primaria del residuo di serina partecipa nella reazione di transesterificazione con l'Ach che porta come risultato all'acetilazione dell'enzima. Un gruppo vicino, l'anello imidazolico del residuo di istidina partecipa e facilita il trasferimento del gruppo acetilico. Il risultante gruppo acetilato della
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serina è estremamente labile e va incontro ad una spontanea reazione di idrolisi per liberare lo ione acetato e rigenerare la superficie attiva catalittica.
Il sito periferico anionico (chiamato anche sito β-anionico ) è localizzato all'entrata della gola ad una distanza approssimativa di 14 Å dal principale sito attivo. I residui amminoacidici triptofano, tirosina ed aspartato sono i più importanti nel PAS (63). Questo sito anionico periferico comprende siti per ligandi allosterici (agonisti ed antagonisti). Il legame del ligando al PAS influenza l'attività enzimatica mediante sia il blocco del movimento delle molecole attraverso il canale che mediante un alterazione allosterica della conformazione della triade catalitica (64). Fino a che l'enzima è acetilato non può più legare un'altra molecola di Ach e l'enzima è inattivo. L'enzima acetilato si idrolizza rapidamente e rigenera la forma iniziale attiva dell'ach e una molecola di acetato. Proprio quest'ultimo passaggio di rigenerazione dell'enzima è importante per lo sviluppo degli inibitori dell'acetilcolinesterasi; infatti se l'enzima risulta acilato da un gruppo funzionale come un carbammato o un fosfato esso risulta molto più stabile all'idrolisi rispetto ad un estere carbossilico e l'enzima resta inattivo per un periodo di tempo più lungo. Attualmente gli inibitori dell'AchE approvati dalla FDA(food and drug administration) per il trattamento sintomatico dell'AD da lieve a moderata sono: Tacrina(1), Donepezil(2), Rivastigmina(3) e Galantamina(4) (fig 10).
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Figura 10 : AChEIs
- RIVASTIGMINA
(S)-N-etil-N-metil-3-[1-(dimetilammino)etil]-fenilcarbammato è un derivato carbammico che esercita un'azione inibitoria sia sull' AchE che sulla BuchE. Presenta una lunga durata d'azione, è ben tollerato, poco tossico ed è dotato di buona capacità di attraversamento della barriera ematoencefalica e quindi svolge la sua azione farmacologica sia sulle colinesterasi centrali che su quelle periferiche. La Rivastigmina è stata approvata dalla FDA nel 2000 per il trattamento dell' AD lieve e moderata; è denominata “inibitore dell' colinesterasi selettivo per la regione cerebrale” dato che inibisce preferenzialmente AchE e BuchE di Ippocampo e corteccia (65). Questa azione inibitoria sia su AchE che su BuchE migliora le funzioni cognitive negli anziani con esordio tardivo(66).
Studi clinici hanno dimostrato che soggetti trattati con questo farmaco non hanno mostrato diffusi cambiamenti corticali atrofici nelle regioni parieto-temporali a differenza dei pazienti affetti da Alzheimer non curati (67,68).
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Anche se sono necessari ulteriori studi longitudinali e a lungo termine queste evidenze sono compatibili con l'ipotesi secondo cui l'inibizione di entrambi gli enzimi può indurre effetti neuroprotettivi e portare a modificazioni della malattia (69).
Le ricerche più recenti si sono indirizzate allo sviluppo di nuovi rivestimenti farmaceutici in grado di ritardare, in modo considerevole, il rilascio dei rivastigmina in vivo in modo da ridurre gli effetti avversi gastrointestinali (70.).
-TACRINA
(1,2,3,4-tetraidro-9-ammino-acridina) è stata descritta nel 1961 ed appartiene alla classe degli inibitori reversibili che si legano al sito d α-anionico dell' AchE. Sono molecole che contengono due gruppi funzionali ovvero un nucleo aromatico condensato e un azoto facente parte o di un gruppo ammonicio quaternario o come eteroatomo incluso nel ciclo. La Tacrina inibisce in modo selettivo la forma G1 dell'enzima nel cervello del ratto. Inoltre inibisce anche la BuchE con una potenza maggiore sulla BuchE rispetto alla AchE (71). La Tacrina è stato il primo inibitore dell'achE ad essere stato approvato per il trattamento dell' AD dalla FDA nel 1993. Questo farmaco riduce i sintomi dell' AD ma al contempo risulta fortemente epatotossico limitandone il suo utilizzo clinico (72). Inoltre la sua somministrazione causa un’elevata incidenza di effetti collaterali quali nausea vomito diarrea vertigini convulsioni e sincope. La tacrina può stimolare la produzione di specie reattive dell'ossigeno (ROS) e la riduzione del glutatione nelle cellule epatiche. Studi di citotossicità hanno evidenziato che lo stress ossidativo potrebbe essere coinvolto nella sua epatotossicità (73).
- DONEPEZIL
Il donepezil è un N-benzilpiperidina approvata nel 1996 per il trattamento dell'AD lieve e moderato; successivamente è stata anche approvata per il trattamento della forma severa. Inoltre Howard e colleghi (74) hanno evidenziato, in uno studio doppio cieco e controllato
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con placebo che coinvolgeva pazienti affetti da AD moderato e severo, che la somministrazione di Donepezil per 12 mesi induceva importanti benefici cognitivi e funzionali. Il Donepezil è un inibitore reversibile e selettivo dell'AchE e la sua affinità per questo enzima è maggiore rispetto a quella per la BuchE (71). La struttura tridimensionale del complesso che si forma tra AchE e Donepezil mostra che il farmaco interagisce sia con il sito anionico presente nel fondo della gola ma anche con il PAS posto vicino all'ingresso. Il Donepezil è ben assorbito con una biodisponibilità del 100% , ed inoltre possiede buona capacità di penetrare la BEE ed una lenta velocità di eliminazione (72). Alcuni studi hanno evidenziato che questo farmaco è tollerato meglio rispetto a rivastigmina e galantamina presentando minori effetti collaterali. I suoi effetti avversi sul sistema cardiovascolare sono ancora sconosciuti, sebbene uno studio recente abbia dimostrato che l'utilizzo del Donepezil non è associato all'incremento degli effetti cronotropici negativi, aritmogeni e ipotensivi presenti nei soggetti affetti da AD (73).
-GALANTAMINA
La Galantamina ((4aS,6R,8aS)- 5,6,9,10,11,12- esaidro- 3-metoxi- 11-metil- 4aH- [1]benzofuro[3a,3,2-ef] [2] benzazepin- 6-olo) è il farmaco anticolinesterasico più recente utilizzato nel trattamento dell' AD; è stato approvato nel 2001 dalla FDA per il trattamento dell' AD lieve e moderato (74). E' un alcaloide terziario che possiede uno scheletro isochinolinico, e si trova nei bulbi e fiori del comune bucaneve (Galanthus nivalis ) e di altri membri della famiglia delle Amaryllidaceae . Gli alcaloidi estratti da questa famiglia di piante mostrano diverse attività farmacologiche tra cui l' attività sul SNC(75).
La difficoltà nell'isolare la Galantamina dalla sua fonte naturale ha reso difficile il suo uso commerciale e il suo utilizzo come materia prima per la sintesi di derivati. Attualmente ci sono numerose procedure di sintesi e quindi viene ottenuto per via biosintetica (76).
La Galantamina è tra i pochi farmaci a mostrare una duplice attività essendo sia un inibitore dell'AchE che un modulatore allosterico dei recettori nicotinici dell' Ach (77). Ci sono numerose evidenze che indicano che il recettore nicotinico neuronale gioca un ruolo importante nell'apprendimento e memoria. Inoltre, la densità e l'attività dei recettori nicotinici cerebrali risulterebbe ridotta nei pazienti affetti da AD rispetto ad un gruppo di controllo della stessa età (78). Studi effettuati sul tessuto cerebrale umano raccolto durante
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l'autopsia e studi di immagine del cervello in pazienti vivi affetti da AD hanno mostrato una perdita specifica di recettori nicotinici colinergici (79.). Queste anomalie sono strettamente associate con l'aumento dei livelli di placche senili e ammassi neurofibrillari caratteristiche dell' AD. Un modo per modulare o potenziare l'attività dei recettori nicotinici in risposta all'Ach è quello di usare come ligandi i modulatori allosterici. Numerosi problemi originati dalla somministrazione di agonisti nicotinici possono essere evitati mediante la somministrazione di modulatori allosterici (79). Confrontato con gli inibitori dell'AchE convenzionali, la Galantamina produce una minore attività inibitoria sull' AchE; è meno potente di Fisostigmina Rivastigmina Tacrina e Donepezil, ma possiede un eccellente profilo farmacologico e farmacocinetico ed inoltre mostra ridotti effetti collaterali, con un basso livello di tossicità (80,81)
2.2 Antagonisti dei recettori NMDA
Il declino cognitivo nei soggetti affetti da AD è collegato al danno neuronale prodotto dalla tossicità eccitatoria in seguito ad una sovra stimolazione dei recettori NDMA da parte del glutammato. Sia i peptidi Abeta che la sovraespressione delle proteine tau, sembrano essere provocati dall'eccessiva attivazione di questi recettori. Il glutammato gioca un ruolo importante nell'apprendimento e nella memoria, ma il suo eccesso produce una quantità abnorme di calcio nelle cellule nervose provocandone la morte. (82). La Memantina (fig 11 ), antagonista dei recettori NMDA, è stata approvata dalla FDA per il trattamento dell' AD nella forma moderata e severa; sembra ridurre la tossicità eccitatoria causata dal glutammato e garantire un miglioramento sintomatico delle funzioni neuronali riguardanti l'ippocampo (83). Uno studio di fase III randomizzato, doppio cieco e controllato con placebo è stato condotto negli stati uniti nei pazienti con AD moderato e severo; tale studio ha mostrato un significativo miglioramento, nei soggetti che assumevano Memantina (20 mg/giorno) rispetto al placebo, nelle attività di vita quotidiana e sugli effetti neuropsicologici (84). In un secondo studio clinico controllato, condotto negli stati uniti, la somministrazione della Memantina in combinazione con l'inibitore dell' AchE Donepezil in pazienti con AD moderato e severo, ha portato ad un significativo aumento delle funzioni cognitive ad un ridotto declino nelle attività quotidiane e ad una riduzione dell' incidenza di nuovi sintomi (85).
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Si ritiene quindi che il farmaco abbia un duplice effetto: sintomatico, migliorando in alcuni casi i sintomi cognitivi e comportamentali, e neuroprotettivo. Tra i principali effetti collaterali vengono segnalati l’agitazione e la sensazione di capogiro.
FIGURA 11 : MEMANTINA
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- CAPITOLO TERZO-
3.
Nuovi approcci terapeutici per il trattamento dell’ AD
Le strategie terapeutiche attuali per la cura dell’AD non risultano capaci di modificare in modo significativo il decorso della neurodegenerazione, ma offrono solo benefici transitori e limitati.
3.1 Farmaci che agiscono sulla formazione del peptide Aβ
Secondo l’Ipotesi amiloide, l'accumulo, a livello extracellulare, di placche amiloidi composte da peptidi Aβ rappresenta una delle principali alterazioni che caratterizzano la malattia di Alzheimer.. Risultati recenti hanno suggerito che la deposizione di peptidi β amiloidi a livello cerebrale inizia 10-20 anni prima del manifestarsi della demenza, suggerendo che l'accumulo cerebrale di peptidi β amiloidi possiede un ruolo centrale nella patogenesi dell' AD (20). I neuroni sono i maggiori produttori di Aβ nel cervello, sebbene anche le cellule della gli, in particolare gli astrociti, possono contribuire alla formazione di Aβ. La formazione di peptidi Aβ avviene come risultato di un processo proteolitico sequenziale che inizia con il taglio dell' APP da parte della β-secretasi che porta alla formazione di un peptide Aβ N-terminale e rilasciando un frammento C-terminale che resta legato alla membrana C99 (86) (fig 12). Successivamente interviene la γ-secretasi che taglia il frammento C99 producendo in tal modo un peptide Aβ che viene escreto fuori dalle cellule (87). E' interessante notare che il taglio operato dalla γ-secretasi non è preciso e può portare quindi alla formazione di diverse isoforme del peptide Aβ aventi lunghezza diversa a livello della porzione C-terminale, di cui quelle più lunghe sono quelle che hanno tendenza all'aggregazione e che sono quindi responsabili della malattia.
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FIGURA 12 : APP processing and Aβ generationLa processazione dell' APP da parte di β e γ secretasi sembrerebbe indispensabile per la formazione dei peptidi β amiloidi suggerendo quindi che l'inibizione oppure la modulazione di entrambi o solo di uno di questi enzimi a livello cerebrale, potrebbe portare alla riduzione dei livelli di Aβ inducendo effetti benefici sulla malattia. La progettazione e lo sviluppo di farmaci di questo tipo sono focalizzati sull'identificazione di piccole molecole che abbiano la capacità di attraversare la barriera ematoencefalica (BEE) attraverso sia diffusione attiva che passiva. Per poter attraversare la BEE per diffusione passiva le molecole devono essere abbastanza piccole (peso molecolare < 400 Da) e possedere un buon bilancio idro-lipofilo.
3.1.1. inibitori delle β-secretasi
La β-secretasi,conosciuta anche con il nome di BACE-1 (beta-site APP cleaving enzyme 1) , è l' enzima chiave coinvolto nella generazione del peptide beta amiloide e sembra essere il bersaglio più interessante per prevenire la formazione di oligomeri Aβ nell' AD. L'espressione e l'attività di questo enzima sono incrementati dallo stress ossidativo che porta a disfunzioni metaboliche e all'apoptosi neuronale (88 ). La β secretasi è una proteasi
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aspartica molto simile alla pepsina, presenta un sito attivo stretto e profondo, che lega due catene proteiche, e due residui amminoacidici di acido aspartico deputati al taglio. Questo enzima taglia l'APP a livello del dominio extracellulare nella porzione N-terminale. Un possibile approccio potrebbe essere quello di ridurre i livelli di Aβ mediante l'impiego di molecole che agiscano inibendo questo enzima, chiamati appunto “BACE1 inibitori”. L'inibizione di questo enzima è diventato il principale approccio terapeutico nella terapia anti amiloide.
Curcumina, Asiaticoside e Triptolide sono stati i primi composti di origine naturale ad essere stati identificati come possibili inibitori. Studi effettuati in vivo e in vitro hanno dimostrato la capacità della Curcumina (fig 13) di prevenire l'aggregazione dell'Aβ e la formazione di fibrille. La curcumina riduce i livelli di Aβ40 e Aβ42 nei topi attraverso l'inibizione dell'enzima BACE e l'induzione dell' α-secretasi (89).
Fig.13 :curcumina
Il Triptolide (fig 14) ,un composto isolato dalla pianta tripterygium wilfordii, si lega ai siti catalitici Asp32 e Asp228 dell'enzima BACE-1 inibendo così il taglio dell' APP (90).
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L'Asiaticoside (fig 15), composto polifenolico estratto dalla Centella Asiatica, previene l'amiloidogenesi attraverso la riduzione dei livelli di Aβ42 nei neuroni dei pazienti affetti da AD.
Fig.15: Asiaticoside
Gli inibitori BACE1 di prima generazione consistevano in analoghi peptidici dello stato di transizione. Queste molecole peptidiche di grandi dimensioni sono potenti inibitori dell'enzima BACE1. Sfortunatamente in vivo questi inibitori non possiedono favorevoli proprietà farmacologiche come ad esempio buona biodisponibilità orale, lunga emivita plasmatica e capacità di penetrare la BEE. Di conseguenza la ricerca ha focalizzato la sua attenzione verso la progettazione e sviluppo di BACE1 inibitori di piccole dimensioni. Tuttavia si è dimostrato molto difficile riuscire a sviluppare inibitori non peptidici abbastanza grandi da legarsi con sufficiente affinità al sito attivo ma nello stesso tempo abbastanza piccoli da mostrare soddisfacenti proprietà farmacocinetiche e buona penetrazione attraverso la BEE. Inoltre gli inibitori BACE1 dovrebbero possedere una lipofilia tale da riuscire a passare attraverso il plasma e attraverso le membrane endosomiali per avere accesso al lume vescicolare dove è localizzato il sito attivo. Di fondamentale importanza nello sviluppo di BACE1 inibitori di piccole dimensione, è stata la struttura co-cristallina ai raggi x dell'enzima BACE1 con un inibitore peptidico BACE1 (91). Questa struttura ha rivelato un importante interazione enzima-inibitore che è stata sfruttata durante i vari tentativi di sviluppare i così detti inibitori di seconda generazione. Questi però erano substrati della glicoproteina-P, una glicoproteina di membrana ATP-dipendente con funzione di pompa che impedisce l'ingresso attraverso la BEE di sostanze
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estranee. Questi farmaci, quindi, non riescono a raggiungere nel cervello una concentrazione tale da esplicare la loro azione inibitrice.
Più recentemente sono stati sviluppati BACE1 inibitori di terza generazione, alcuni dei quali riportati in tabella 1; sono molecole di piccole dimensioni che in vitro hanno mostrato di penetrare in modo soddisfacente la BEE e di ridurre in maniera consistente dei livelli cerebrali di Aβ .
TABELLA 1
Small molecule BACE1 inhibitors in clinical trials
Company Drug Phase
AstraZeneca/Lilly AZD3293 Phase 2/3
CoMentis CTS-21166 Phase 1
Eisai/Biogen Idec E2609 Phase 2
High Point HPP854 Phase 1
Janssen/Shionogi - - - Phase 1
Lilly LY2886721 Phase 2*
Merck MK-8931 Phase 2/3
Novartis - - - Phase 1
Pfizer PF-05297909 Phase 1
Roche RG7129 Phase 1
Takeda TAK-070 Phase 1
Vitae/Boehringer Ingelheim VTP-37948 Phase 1
*interrotto a causa delle alterazione biochimiche a livello epatico
La compagnia farmaceutica Eli Lilly è stata la prima a sviluppare e testare nell'uomo inibitori BACE1 non peptidici aventi una buona biodisponibilità orale; tra questi c'è la molecola LY2811376 (fig 16a) che ha mostrato in vitro caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche soddisfacenti confermate in studi clinici umani di Fase 1 (92). Tuttavia,
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studi tossicologici a lungo termine nel topo hanno mostrato effetti tossici a livello della retina e cervello non riconducibili al farmaco stesso che però hanno precluso lo sviluppo clinico di questa molecola. Anche se lo studio di questo farmaco è stato interrotto, LY2811376 ha dato il via alla ricerca di inibitori BACE1 con buona biodisponibilità orale e buona penetrabilità attraverso la BEE. Successivamente, infatti, è stato sviluppato LY2886721 (fig 16b), che è entrato in studi clinici di fase I e II al fine di determinarne sicurezza, tollerabilità e le caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche. Proprio come LY2811376 è un potente inibitore che presenta buona biodisponibilità orale e che è in grado in vitro di ridurre drasticamente i livelli di Aβ nel cervello.
a b
FIGURA 16 : (a )LY2811376 (b) LY2886721
Tuttavia diversamente da LY2811376 non sembra avere effetti tossici ne sulla retina ne sul cervello. Durante lo studio di fase I, sono stati trattati 47 volontari sani per 14 giorni con dosi orali sia di farmaco che di placebo (93). Nel corso di questi 14 giorni il farmaco, oltre che ben tollerato e sicuro, presentava un tempo di emivita plasmatica di 12 ore, compatibile con la somministrazione di una singola dose una volta al giorno. In seguito alla somministrazione è stata registrata una riduzione dose-dipendente sia nel plasma che nel liquido cefalorachidiano (CSF) dei livelli di Aβ40 .
I livelli di Aβ nel CSF si erano ridotti del 74% somministrando la dose più alta di farmaco. Inoltre i livelli di Aβ42 e sAPPβ nel CSF erano entrambi ridotti nella stessa misura in cui era ridotto il peptide Aβ40. E' invece interessante notare che dopo la somministrazione i livelli di sAPPα, frammento che si ottiene invece dal taglio dell' APP da parte dell' α-secretasi nella via non amiloidogenica, erano aumentati (94). E' stato inoltre condotto uno
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studio di Fase I nei soggetti affetti da AD (NCT01807026 ). I risultati positivi derivanti dagli studi di Fase I hanno portato ad uno studio successivo di Fase II della durata di 6 mesi condotto su 130 pazienti affetti da Alzheimer lieve e trattati con una dose di farmaco giornaliera di 35 o 70 mg. Recentemente però l'azienda (Eli Lilly) ha volontariamente interrotto lo studio di Fase II dato che un numero ristretto di pazienti trattati con il farmaco avevano sviluppato alterazioni biochimiche a livello epatico; è stato, però, precisato che queste alterazioni non erano legate al meccanismo d'azione del farmaco.
Un altro BACE1 inibitore attualmente in via di studio è la molecola AZD3293 (fig 17) chiamata anche Lanabecestat sviluppata dall'azienda farmaceutica AstraZenica. Questa molecola è stata recentemente testata per valutarne sicurezza, tollerabilità, caratteristiche farmacocinetiche, gli effetti sui livelli di Aβ40 nel plasma e sul CSF in pazienti giovani sani (con età compresa tra i 18 e 55 anni) e in pazienti più anziani (con età tra i 55 e 80 anni).
Sono stati condotti studi clinici di fase I randomizzati, doppio cieco e controllati con placebo sia a singola dose crescente (SAD) che a dose multipla crescente (MAD). Nello studio SAD (NCT01795339) sono state somministrate dosi di farmaco da 1 a 750 mg in 7 gruppi, mentre un gruppo di età superiore (8 pazienti per gruppo) hanno ricevuto 15 mg di farmaco. Nello studio MAD (NCT0195339) invece, sono state somministrate dosi multiple giornaliere di farmaco in dosaggi compresi tra 15 e 70 mg in 5 gruppi (di cui due costituiti da individui più anziani) per 2 settimane. Durante lo studio SAD è stato osservato che AZD3293 somministrato alla massima dose (750mg) era ben tollerato senza mostrare reazione avverse severe. Il tempo di emivita plasmatica di questo farmaco è di 11-20 ore, compatibile con la somministrazione giornaliera di una singola dose. Nello studio MAD, invece, si è visto che in seguito alla somministrazione di 15 o 50 mg di farmaco i livelli di Aβ40 e Aβ42 erano ridotti rispettivamente del 50% e 70 %. Inoltre la somministrazione di AZD3293 ha indotto una riduzione di sAPPβ e un aumento sAPPα dose dipendente nel CSF. Completato lo studio di fase I in pazienti sani (NCT0173947) e in pazienti affetti da AD (NCT01795339 ) sono stati effettuati studi clinici combinati di fase II e III in pazienti con deterioramento cognitivo lieve e con AD lieve. Questo studio chiamato AMARANTH effettuato su 2.202 pazienti della durata di 2 anni ha lo scopo di confrontare il farmaco con il placebo al fine e di valutarne l'efficacia, sicurezza e tollerabilità. Recentemente la compagnia farmaceutica (AstraZenica) ha stretto una collaborazione con Eli Lilly al fine di portare a termine lo sviluppo di questa molecola per il trattamento dell' AD.
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FIGURA 17 : AZD3293La casa farmaceutica Eisai ha sviluppato un inibitore BACE1 chiamato E2609 (fig 18) avente buona biodisponibilità orale e che ha mostrato la capacità, in studi clinici e preclinici, di ridurre massivamente i livelli di Aβ cerebrali. Il farmaco è stato inizialmente studiato in uno studio randommizzato, doppio cieco e controllato con placebo (95) su volontari sani. E' stato valutato attraverso due studi clinici separati di Fase I della durata di 14 giorni; uno studio è stato effettuato su 73 soggetti somministrando dosi singole crescenti (NCT294540) uno mentre, l’altro studio è stato effettuato su 50 soggetti somministrando dosi multiple crescenti (NCT01511783). Nello studio SAD sono stati analizzati i livelli di Aβ in seguito alla somministrazione di E2609 in dosi comprese tra 5 e 800 mg (9 gruppi) mentre nello studio MAD vennero misurati i livelli di Aβ sia nel plasma che nel CSF in seguito alla somministrazione di farmaco in dosi comprese tra 25 e 400 mg (5 gruppi). Il tempo di emivita plasmatica è di 12-16 ore, compatibile con la somministrazione giornaliera di una singola dose. Ciascuno dei due studi di fase I ha evidenziato una massiccia riduzione dose-dipendente dei livelli di Aβ nel CSF e/o nel plasma. Nello studio MAD i livelli di Aβ nel CSF, in seguito alla somministrazione della massima dose di farmaco (400 mg), si erano ridotti dell' 85% . E' stata inoltre osservata una simile riduzione dei livelli sAPPβ nel CSF mentre erano aumentati i livelli di sAPPα. Dagli studi effettuati, E2609 sembra essere sicuro e ben tollerato, poiché in nessuno di questi studi ha mostrato reazioni avverse gravi. L'azienda Eisai ha completato uno studio clinico di fase I in soggetti affetti da deterioramento cognitivo lieve o con AD lieve (NCT01600859) e nel novembre 2014 ha dato il via ad una ampio studio clinico di fase II al fine di trovare il giusto dosaggio. Nell'ottobre 2016 ha dato inizio al primo studio di fase III.