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Il mondo delle start Up: il caso Enki Stove

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di laurea in Comunicazione d’impresa e Politica delle

Risorse Umane

Il MONDO DELLE START- UP: IL CASO ENKI STOVE

Il Candidato Il Relatore

Annamaria Ribaudo MarcoGiannini

(2)

Alla mia famiglia,

con affetto.

,

(3)

IL MONDO DELLE START-UP: IL CASO ENKI STOVE

Introduzione ... 5

CAP.1 IL PROCESSO DI SVILUPPO PER L’AVVIO DI UNA START-UP ... 7

1.1. Che cos’è una start-up ... 7

1.2. L’individuazione di un idea ... 8

1.3. Il Team ... 10

1.8. Il quadro giuridico delle start up ... 12

1.5. Lo sviluppo del progetto: Il Business Plan ... 14

1.5.1. Il Model Canvas ... 17

1.5.2. Il Lean Canvas ... 20

1.7. La politica di finanziamento di una start up ... 26

1.7.1. Il crowdfunding come fonte di finanziamento ... 28

1.8. L’incertezza nel mondo delle start-up ... 30

CAP.2 IL MARKETING E LA COMUNICAZIONE NELLE START UP ... 33

2.1. Il concetto di Marketing ... 33

2.1.1. Il marketing 1.0: il paradigma delle 4P ... 35

2.1.2. Il marketing 2.0: l’approccio Customer Management ... 36

2.1.3. Il marketing 3.0: l’approccio Customer Experience ... 37

2.1.4. Marketing 1.0, 2.0 e 3.0 a confronto ... 40

2.2. La pianificazione strategica di marketing ... 42

2.2.1. La strategia di marketing... 43

2.3.La Comunicazione d’impresa ... 44

2.3.1 La strategia di comunicazione ... 46

(4)

CAP.3

ENKI STOVE: IL PERCORSO DELLA START-UP DALL’ORIGINE AD OGGI 57

3.1. L’idea di business ... 57

3.2. La compagine societaria ... 58

3.3. Lo sviluppo del business ... 59

3.3.1. La linea dei prodotti ... 60

3.3.2. Il vantaggio competitivo ... 63

3.3.3. Il mercato di riferimento ... 64

3.3.4. La struttura aziendale ... 65

3.3.5. Le attività di marketing e comunicazione ... 66

3.4. Piacere Barbecue edizione 2016: la presenza di Enki Stove al festival ... 72

3.4.1. Le fase pre-evento ... 72 3.3.2.L’evento ... 75 3.3.3. La fase post-evento ... 94 3.3.4. Le considerazioni sull’evento ... 95 Conclusioni ... 98 Bibliografia ... 101

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Introduzione

Il sistema economico e produttivo negli ultimi anni ha subito diverse trasformazioni, ed insieme all’evoluzione e alla diffusione delle nuove tecnologie informatiche, sono cambiate anche le competenze imprenditoriali e i processi di sviluppo delle idee di business. In tale contesto sono nati nuovi modelli d’impresa, tra i quali anche le “start-up”.

Le start-up sono delle strutture organizzative d’impresa che si presentano sul mercato con un marchio, un’ immagine e un prodotto-servizio specifico. La loro caratteristica principale è la connotazione innovativa che la contraddistingue dalle tradizionali attività aziendali, esse infatti fanno un percorso di crescita diverso rispetto a queste ultime e si servono di nuovi strumenti per entrare, e successivamente sopravvivere, all’interno del mercato.

Le start-up si sono sviluppate inizialmente nel settore di Internet e delle tecnologie delle informazioni, e successivamente anche in altri ambiti, presentando al mercato una vasta quantità di beni e servizi.

In Europa, negli ultimi anni, il termine “start-up” si è ormai consolidato, anche se quello italiano è ancora un ecosistema in evoluzione. Le start-up oggi rappresentano uno dei canali principali per creare nuova occupazione, in alcuni paesi del mondo, è cresciuto infatti a dismisura il numero di giovani che decidono di intraprendere questa strada e crearsi lavoro da se; chiunque, attraverso questa forma d’impresa, ha la possibilità di mettere in campo la propria idea e trasformarla in un modello di business.

Con questo elaborato, mi propongo di analizzare i tratti caratteristici di questi nuovi modelli d’impresa, i processi e gli strumenti attraverso i quali un’idea viene trasformata in un vero e proprio progetto di business. L’analisi riguarda anche un caso concreto di start-up e il suo processo di sviluppo d’impresa: parliamo di “Enki Stove”, start-up innovativa italiana.

La tesi è strutturata in tre capitoli.

Nel primo capitolo tratterò la dimensione del fenomeno start-up, delineando i tratti caratteristici di questo modello d’impresa, dalla definizione del concetto di start-up ai passaggi del processo di sviluppo, le strategie di business, le fonti di finanziamento e il quadro giuridico di riferimento.

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Nel secondo capitolo approfondirò il tema del marketing e della comunicazione d’impresa, come si sono evoluti nel tempo e come si pianificano delle strategie di sviluppo di progetti di business.

Infine, nel terzo e ultimo capitalo, analizzerò il percorso della start-up “Enki Stove”, dall’origine ad oggi. Vedremo com’è nata l’idea d’impresa, le politica di marketing e di comunicazione attuata dall’azienda e tra le varie attività strategiche attuate dalla start-up, mi soffermerò in particolare sulla partecipazione di Enki Stove all’evento“Piacere Barbecue”, edizione 2016: il festival del barbecue tenutosi a Perugia lo scorso Giugno al quale personalmente ho partecipato in veste di tirocinante dell’azienda. Lo studio del caso, con tutti i dati empirici che ho raccolto direttamente sul campo, ha avuto come obiettivo quello di testare il livello di gradimento del nuovo prodotto che l’azienda presentava al pubblico in quell’occasione e verificare se l’evento si è rivelato uno strumento efficace ai fini della politica strategica della start-up.

In questo documento di ricerca, le analisi sono esposte attraverso l'uso di strumenti statistici, così da poter garantire affidabilità e validità ai risultati emersi.

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CAPITOLO 1

IL PROCESSO DI SVILUPPO PER L’AVVIO DI UNA

START-UP

1.1. Che cos’è una start-up

Con il termine “start-up” s’intende l’avvio di una nuova attività imprenditoriale caratterizzata da spiccata innovazione e alla ricerca di un modello di business. Il concetto di start-up non è facile da definire e si presta a diverse interpretazioni. L’idea nasce negli Stati Uniti d’America alla fine degli anni ’80, come risposta ad un periodo di declino economico causato dalla concorrenza del mercato giapponese. Si trattava di rilanciare l’imprenditorialità attraverso nuove forme di mercato, che si è poi concretizzata in questo modello che porta immediatamente ad una rilevante crescita del paese sia per quanto riguarda l’occupazione sia per quanto riguarda lo sviluppo dell’innovazione.

Questo modello di impresa presenta un alto rischio di fallimento, ma anche una maggiore prospettiva di guadagno, qualora si rivelasse un business vincente, grazie alla elevata dinamicità e flessibilità della struttura.

Una definizione di start-up interessante è quella di Steve Blank, imprenditore seriale della Silicon Valley, il quale definisce“la nuova impresa che presenta una forte dose di innovazione e che è configurata per crescere in modo rapido secondo un business model scalabile e ripetibile”1

. L’aggettivo “innovativo” viene usato sia per il tipo di business, sia per prodotti o servizi che la start up offre. Con l’aggettivo “scalabile” invece, s’intende un business che può aumentare le sue dimensioni, cioè la quantità dei clienti e degli affari, in modo anche esponenziale senza un impiego di risorse proporzionali; infine l’aggettivo“replicabile” fa riferimento ad un modello che può essere ripetuto in diversi luoghi e in diversi periodi senza essere rivoluzionato e solo apportando piccole modifiche.

1

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Un’altra definizione interessante è quella che riportata sulla rivista “il tweet”, nella quale la start-up viene definita nel seguente modo:

“Startup is a human organization on a quest. The quest is to find a market fit between a product and customers. Finding market fit is done through iteration and learning from customer behaviour in the real world. Market fit must be found before the startup runs out of cash”2.

“La Startup è un organizzazione “umana” con uno scopo o un particolare intento innovativo. Lo scopo di questa organizzazione, nella prima fase, è quello di trovare un mercato che sia su misura tra prodotto e cliente. Questa ricerca di un “mercato su misura” deve essere fatta attraverso l’interazione e l’apprendimento di comportamento dei clienti nel mondo reale rispetto all’innovazione che si vuole ottenere. La forma di mercato deve essere trovato prima che la start-up esaurisca il denaro contante proveniente dagli investitori”.

Alla base di un progetto di start up occorre che ci sia: 1. un’ idea di business;

2. un buon team; 3. una forma giuridica;

4. un piano strategico per lo sviluppo del business; 5. una politica di finanziamento;

6. una politica strategica di marketing e comunicazione.

1.2. L’individuazione di un idea

Il processo di sviluppo per l’avvio di una start-up trova origine nella “business idea”, essa è il punto di partenza dalla quale parte l’intero processo di sviluppo di business.

2

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L’ idea può riguardare qualunque cosa, cioè essere un mezzo tecnologico, un servizio, può essere un prodotto digitale, industriale, artigianale, sociale, legato al commercio o all’agricoltura, o ad altri settori dell’economia, purchè si focalizzi su due aspetti fondamentali:

 cosa proporre;

 a chi proporre.

L’idea che l’impresa intende trasformare in un progetto di business può essere un prodotto nuovo da offrire al mercato, oppure un servizio innovativo, o ancora una soluzione a un problema a cui nessuno aveva ancora pensato, o può anche nascere dalla combinazione di fattori già esistenti: importante è che essa risulti essere una novità in grado di attirare l’attenzione dei clienti, attraverso elementi di innovazione dello stesso prodotto offerto o all’interno del suo processo tecnologico. Essa richiede una valutazione preventiva circa la sua fattibilità, attraverso un'analisi preventiva della coerenza, del prodotto, della struttura aziendale e del mercato in cui inserirsi e, solo successivamente, la predisposizione di un processo (di start-up appunto) che guidi l'impresa verso il nuovo business.

Per capire di cosa parliamo nel concreto, vediamo quali sono state le idee di successo all’interno del panorama nazionale delle start-up. Interessante a tal proposito è lo studio realizzato da “Start_up Italia”, che ha selezionato “le 100 start-up migliori del 2015 in Italia”3. Al primo posto della classifica troviamo “Cocontest”, la start-up che offre un servizio di crowdsourcing per chi dovesse arredare o ristrutturare casa o un ufficio, e che mette in collegamento clienti e architetti attraverso un contest pubblico. Ha avuto un successo tanto grande da offrire un servizio di 25 mila architetti e interior design. In mezzo alla classifica troviamo una vasta gamma di servizi e beni di ogni tipo, come ad esempio “Sardex”, start-up che ha coinvolto più di 2.600 imprese, e creato un circuito di scambio di beni e servizi senza utilizzare la moneta corrente, ma una valuta alternativa. Solo nel 2015, sono stati “venduti” con Sardex prodotti per 31 milioni di euro e quest’anno la start-up ha cominciato a espandersi anche nelle altre regioni italiane. Troviamo ancora la start up “Musicraiser”, piattaforma per il crowdfuning musicale che in meno di tre anni ha

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raccolto circa 2 milioni e 100 mila euro di fondi e finanziato oltre 600 progetti: l’obiettivo è diventare un punto di riferimento per rendere sostenibile l’attività degli artisti. E poi ancora al centesimo posto “Whoosnap”, nota come “l’Uber dei fotoreporter”, Whoosnap è stata fondata nel febbraio 2015 da Enrico Scianaro, con l’obiettivo di dare a ogni utente la possibilità di richiedere a un altro membro della community una immagine, di un luogo o di un avvenimento particolare, in cambio di un compenso economico.

Questi progetti sono stati realizzati in diversi paesi dell’Italia, un paese in cui quello delle start-up è un sistema in evoluzione e per certi aspetti ancora poco consolidato. A livello mondiale, alcuni paesi sono stati più veloci ad accogliere queste nuove forme di mercato, altri un po’ meno. A livello mondiale, il paese in cui le start-up hanno avuto più successo è Israele, che conta la più alta densità di start-up tecnologiche. Le aziende innovative israeliane attraggono più fondi di venture capital pro-capite di tutti i paesi del mondo. In Europa alcun paesi, come Berlino e Londra, hanno creato dei veri e propri hub, attirando giovani imprenditori e creativi da tutto il continente e investitori pronti a finanziare i progetti. Anche i governi, per stare a passo con l’innovazione, hanno previsto sgravi e incentivi.

Tra i vari settori di mercato, particolare importanza ha rivestito il modello di start-up ad alto contenuto tecnologico, business dinamici e caratterizzati da rapidi tassi di innovazione. Secondo le classificazioni ufficiali, i settori industriali considerati high-tech sono quelli ad alta intensità di investimento, cioè le attività e i prodotti che incorporano tecnologie innovative, quali biotecnologie, tecnologie per la scienza della vita, optoelettronica, computer e telecomunicazioni, elettronica, computer-integrating manufacturing, tecnologia dei materiali, tecnologie aerospaziali, armi e tecnologia nucleare.

1.3. Il Team

Il passo successivo all’idea di business, al fine dello sviluppo del progetto, è quello di creare una squadra forte, vale a dire la formazione di un team vincente, in grado di sviluppare il processo di avvio di start-up e farla crescere al meglio possibile. D' altro canto, come suggeriscono anche i recenti studi in materia di start-up su casi di

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studio pratici di successo, un elemento fondamentale relativo al successo, è la motivazione personale e la costanza nel lavoro dei componenti del team. Lo spirito imprenditoriale è considerato di fondamentale importanza in quanto è un elemento determinante nell’affrontare le problematiche e le difficoltà che le nuove imprese si troveranno ad affrontare fin dall'inizio del progetto, e se risulta essere forte, è più probabile che la risposta a tali problemi avviene in maniera più semplice e veloce. La creazione di un team allora diventa una delle cosa più importante da fare in previsione del raggiungimento di un management imprenditoriale vero e proprio. Il T.E.A.M. (Together Everyone Achieves More), tradotto in italiano vuol dire “insieme tutti possono raggiungere qualcosa di più”, ha come obiettivo quello di raggiunge risultati sorprendenti da parte di un lavoro di gruppo.

Scegliere le persone che faranno parte di un team non è facile: bisogna trovare persone dotate delle competenze giuste, della volontà di fare, abili a lavorare in gruppo e soprattutto pronti a credere in quello che fanno. Quest’ultimo requisito è molto importante, perché lavorare in una start-up non è come lavorare in qualsiasi azienda. Il cosidetto “team-working”, lavoro di gruppo, viene utilizzato per incentivare a condividere e scambiarsi diverse idee migliorandosi sia a livello professionale che personale, infatti sono molti gli studi che dimostrano come nel lavorare insieme, il risultato finale ottenuto sia migliore rispetto a quello ottenuto da una singola persona: pare che il gruppo di lavoro migliori sia l’aspetto economico che amministrativo del lavoro. Un gruppo di lavoro può essere composto da diverse persone , ma nelle start-up i team che si creano sono di piccole dimensioni, al massimo 10. Ogni membro ha un preciso ruolo, apportando le proprie conoscenze ed abilità all’interno della start-up, e allo stesso tempo tutti i team workers si aiutano a vicenda quando è necessario.

Ogni start-up presenta delle esigenze specifiche che dipendono da ciò che si produce, ma si possono individuare degli aspetti che si adattano ad ogni modello e ad ogni team. Esse sono:

 competenze tecniche: una start-up ha bisogno di tecnici in grado di sviluppare dal punto di vista pratico il progetto che è alla base del business (per esempio, se produce software, queste competenze saranno quelle dei programmatori e dei tecnici informatici);

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 competenze di marketing e comunicazione: sono i team workers che si occuperanno, all’interno dell’azienda, di raggiungere il pubblico (i potenziali clienti) e ad illustrare la validità del prodotto e perché sia migliore dei concorrenti.

 competenze di organizzazione: una start-up che funziona crea un prodotto o un servizio e lo vende, ma all’interno di questo meccanismo si inserisce un processo di organizzazione del lavoro molto complesso. Per questo è necessario avere le competenze amministrative richieste per la gestione di una start-up ed essere in grado di organizzare il lavoro, comprendendo il perché sorgano i problemi e quali sono i modi per risolverli. A questo servono le competenze manageriali.

Un aspetto importante è ricordarsi sempre che si sta lavorando per formare un team, cioè una serie di persone che lavorano insieme per raggiungere un obbiettivo comune: questo vuol dire che i soggetti che ne fanno parte devono essere in grado di lavorare e coordinarsi, anche dal punto di vista caratteriale, con altre persone. L’ideale è quello di trovare team-workers che abbiano buone competenze e allo stesso tempo una forte motivazione ad impegnarsi e crescere insieme.

1.8. Il quadro giuridico delle start up

Una volta definito il team dell’impresa, il processo di avvio di una start up passa alla scelta della forma giuridica che viene fatta in funzione del business di riferimento e dell’analisi dell'ambiente circostante.

Anzitutto è fondamentale conoscere il quadro giuridico-economico del contesto in cui le start-up operano, sia a livello nazionale che internazionale, su materie come la semplificazione amministrativa, il mercato del lavoro, le agevolazioni fiscali e il diritto fallimentare; poi occorre scegliere la forma giuridica adeguata , tenendo conto degli obiettivi del business che si ha in mente.

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In Italia, a livello giuridico, il 18 ottobre 2012 è stato presentato il Decreto Legge n.179, successivamente coordinato con la legge di conversione n. 221/2012, la quale introduce per la prima volta nell’ordinamento del nostro Paese la definizione di nuova impresa innovativa e viene predisposto un quadro di riferimento articolato e organico all’interno della sezione nona, dall’articolo 25 al 32. L’art. 25, comma 2 del dl 179/2012, offre una definizione di start-up innovativa, delineandola come “l'impresa di società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano, residente in Italia, le cui azioni o quote di capitale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione”. Attualmente l’Italia registra 6.298 start-up innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle Imprese, ai sensi del decreto legge 179/2012, con una crescita negli ultimi nove mesi di 1.155 start-up innovative, rispetto ai dati di fine dicembre 2015, dove se ne registravano 5.143.

L’impresa non deve nascere a seguito di una fusione, scissione o cessione di rami aziendali, e nemmeno essere costituita da più di 48 mesi; inoltre è importante che l’azienda abbia un valore della produzione annua non superiore a 5 milioni di euro, e che non distribuisca utili, e quindi che punti sull’autofinanziamento. L’oggetto sociale per una start up innovativa deve riguardare esclusivamente lo sviluppo, la produzione e conseguentemente la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi con un altissimo contenuto tecnologico. Considerato il forte valore tecnologico, l’azienda deve investire almeno il 30% del maggior valore tra costo e valore della produzione in spese per ricerca e sviluppo, nonché avere il personale altamente qualificato per poter progettare ed intraprendere una nuova idea aziendale. Per poter però essere definite start-up innovativa, un’azienda deve effettuare una domanda presso il registro delle imprese competente del territorio; chi invece risulta già costituito, per entrare a fare parte della categoria delle start-up innovative deve esibire una particolare dichiarazione attestante il possesso dei requisiti previsti e richiesti dalla legge.

A favore delle start-up innovative e degli incubatori certificati è prevista un’ampia gamma di misure di sostegno, incluse molteplici agevolazioni fiscali, anche ai fini dell’iscrizione della costituzione ed iscrizione dell’impresa nel registro delle imprese, nonché deroghe al diritto societario e una disciplina particolare dei rapporti di lavoro nell’impresa.

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In sintesi, per quanto riguarda la forma giuridica di una start-up, gli elementi che devono essere presi in considerazione nella scelta della normativa di cui dotarsi sono i seguenti:

 l'ammontare di capitale che si vuole raggiungere nel medio/lungo periodo;

 grado di responsabilità e numero di persone coinvolte nella gestione;

 la complessità amministrativa.

Tra i possibili modelli societari, i più diffusi in tema di nuova imprenditorialità sono le società di capitali (Srl o Srls) e le società di persone. Nelle società di persone, il capitale non ha importanza primaria, in quanto la responsabilità dei soci per i debiti, è personale e illimitata, mentre, nelle società di capitali, i soci rispondono solo nei limiti delle quote versate.

1.5. Lo sviluppo del progetto: Il Business Plan

Una volta definita la forma giuridica dell’impresa, lo sviluppo del progetto di business, richiede l’elaborazione di una pianificazione aziendale. Tale pianificazione deve contenere tutti gli elementi che caratterizzano il progetto imprenditoriale di business, l’analisi di fattibilità del progetto, le linee guida delle attività che s’intendono ointraprendere: occorre cioè pianificare il tutto dentro un documento chiamato “Business plan”. Il Buisiness plan viene utilizzato per la pianificazione e la gestione aziendale, esso esplicita i punti di forza e debolezza dell’idea di business, con lo scopo di comunicarlo ai potenziali investitori, i quali decideranno, dopo averlo esaminato, se finanziare il progetto o meno. Una volta che l’impresa avvia il progetto, il Business plan diventa la guida aziendale, ciò non vuol dire che non possono essere apportate modifiche al documento durante il percorso che l’azienda intraprende. Lo sviluppo del Business plan ha inizio con l’analisi dell'ambiente circostante e di tutti gli elementi e le variabili che incidono sullo sviluppo del progetto; necessario risulta cercare di andare a fondo nella comprensione delle motivazioni che spingono il cliente a fare determinate scelte, al fine di introdurre nel mercato un prodotto che riesca a cogliere quei bisogni potenziali non ancora soddisfatti, in modo da meglio recepire e conoscere quello di cui ha effettivamente

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bisogno il mercato e su cui concentrare le proprie energie. Il documento deve tracciare i possibili fattori che possono fare da ostacolo allo sviluppo del progetto e inoltre contenere al suo interno l’analisi economico-finanziaria.

Il documento deve contenere le seguenti caratteristiche:

 deve fornire una chiara immagine del tipo di azienda e di prodotto-servizio che s'intende realizzare;

 deve contenere il piano informazioni circa il mercato in cui l'azienda intende operare (posizionamento, potenziali clienti, concorrenza, strategie di marketing);

 deve contenere il piano organizzazione commerciale (fattibilità tecnica del progetto, investimenti in impianti, disponibilità di manodopera e di servizi quali trasporti, energie, telecomunicazioni, ecc);

 deve definire la forma giuridica che l’impresa intende darsi in relazione alla propria natura e alle proprie caratteristiche;

 deve definire dell'assetto organizzativo dell'azienda (caratteristiche del team e ruoli specifici di ognuno);

 deve contenere il piano di fattibilità economico;

 deve infine chiarire il piano temporale di sviluppo delle attività.

La struttura del documento si compone di due parti di lavoro:

1. La parte descrittiva: è la parte in cui viene presentata l’impresa e il progetto, si espongono i dati raccolti dalle analisi e gli studi fatti sul mercato di riferimento e tutte le variabili influenti; infine è l’area in cui l’impresa presenta il proprio piano strategico;

2. La parte economico-finanziaria: è la parte che presenta l’analisi di investimento e di bilancio, l’analisi costi-ricavi e sul prezzo di vendita del prodotto o servizio.

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1. Descrizione del business e del contesto: analisi di mercato e del prodotto; 2. Strategie e posizionamento;

3. Piano operativo: piano di produzione e marketing

4. Struttura e management: struttura e organizzazione dell’impresa; 5. Le risorse di finanziamento;

6. Schemi economico- finanziari: analisi e previsioni economiche.

Il Business Plan permettere all’imprenditore, agli investitori, e a tutti gli stakeholder, di avere una visione globale dell’azienda, delle azioni che intende intraprendere e degli obiettivi che vanno raggiunti. L’impresa dovrà attenersi agli obiettivi prefissati sul piano per un periodo di più o meno quattro anni, al documento si apporteranno delle modifiche solo qualora l’impresa dovesse avviare nuove attività, nuove linee di prodotto-servizio, o avviarsi verso una nuova forma giuridica (ad esempio una fusione o una scissione). Il business plan non è un documento rivolto solo ai membri dell’impresa, esso è un vero e proprio biglietto da visita per i potenziali soci e clienti, per i potenziali finanziatori sia pubblici che privati (come ad esempio le banche o intermediari finanziari).

•analisi di mercato e del prodotto

Descrizione del business

• posizionanamento competitivio in base alle caratteristiche del business

Strategie e posizionamento

•piano di produzione e marketing

Piano operativo •organizzazione dell'impresa Struttura e management •startegie economiche Le risorse di finanziamento

•analisi e previsioni economiche

Schemi economico- finanziari

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1.5.1. Il Model Canvas

Il Business Plan serve a mettere per iscritto l’idea che s’intende realizzare, e per quanto possa risultare utile all’imprenditore, per poterla anche condividere con i potenziali interessati, spesso può risultare comunque uno spreco di tempo ed energia, perchè si tratta di ipotesi che possono risultare errate. La soluzione a tale problema è il “Model Canvas”, il quale non presenta la stessa rigidità del Business Plan, ma al contrario si caratterizza per la sua flessibilità nell’apportare modifiche e fare test con molta facilità; rivedere la propria strategia aziendale risulta in questa maniera essere un lavoro più semplice.

L'ideatore del Business Model Canvas, Alexander Osterwalder, descrive tale strumento come “la logica con la quale un'organizzazione crea, distribuisce e cattura valore"4. L’azienda organizza se stessa e la sua offerta per creare il massimo valore possibile per i suoi clienti, e il suo successo dipenderà solo dal modo in cui lo farà. L’approccio del Model Canvas è di tipo “customer oriented”, ovvero orientato all'offerta di soluzioni che offrono il massimo valore possibile ai futuri clienti. L’obiettivo diventa quello di sfruttare al meglio l’innovazione tecnologica per offrire al cliente un prodotto-servizio di qualità a prezzo accessibile.

Come il Business plan, il Model Canvas è un documento che si presenta sottoforma di schema grafico.

4

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5

Figura

Il Business Model Canvas, come notiamo nella figura, viene rappresentato sotto forma di 9 blocchi, ognuno dei quali è un elemento costitutivo dell’azienda. Tali blocchi sono:

1. Customer Segments (CS): i segmenti di clientela ai quali l'azienda si rivolge;

2. Value Proposition (VP): la proposta di valore contenente i prodotti / servizi che l’azienda vuole offrire;

3. Channels (Ch): i canali di distribuzione e contatto con i clienti;

4. Customer Relationships (CR): il tipo di relazioni che si instaurano con i clienti;

5

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5. Revenue Streams (R$): il flusso di ricavi generato dalla vendita di prodotti/servizi;

6. Key Resources (KR): le risorse chiave necessarie perché l'azienda funzioni;

7. Key Activities (KA): le attività chiave che servono per rendere funzionante il modello di business aziendale;

8. Key Partners (KP) : i partner chiave con cui l'impresa può stringere alleanze;

9. Cost Structure (C$): la struttura dei costi che l'azienda dovrà sostenere.

Attraverso il Model Canvas, ogni potenziale stakeholder ha la possibilità di comprendere anche elementi complessi che riguardano il funzionamento di un’intera azienda: questo è il vantaggio comunicativo del Canvas. Esso può essere definito:

Rapido : al confronto con un Business plan, la cui composizione può richiedere diverse settimane o mesi, un solo pomeriggio può bastare per redigere diversi modelli Canvas;

Conciso: Il Canvas costringe a scegliere le parole con cura e ad arrivare presto al punto; è un modo eccellente per tirare fuori l’essenza del prodotto;

Comodo: Un Model Canvas su pagina singola è molto più facile da condividere, pertanto sarà letto da un maggior numero di persone e probabilmente sarà aggiornato più spesso. Rispetto al Business plan, nel canvas s’individuano immediatamente gli elementi costitutivi.

Una volta evidenziate le caratteristiche delle due tipologie di sviluppo del business, ci si chiede qual è la forma che un’impresa dovrebbe preferire, e se la scelta di uno dei due modelli, esclude l’altro. Come abbiamo visto, il Model Canvas, risulta meno rigido e più flessibile rispetto al Business Plan, ma la scelta di uno non esclude l’altro. All’impresa conviene per prima cosa redigere il Canvas, in quanto le

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modifiche possono essere apportate più facilmente, anche con un solo post-it, e quindi l’impresa opererebbe con più semplicità e velocità; successivamente, dopo aver validato il proprio modello di business, redigerà anche il Business Plan, che appunto avrà una struttura meno elastica ma importantissima per l’intero progetto. Il business Model Canvas può sembrare uno strumento per manager di grandi aziende o per imprenditori di start-up innovative, ma è in realtà uno strumento ideale a portata di tutti, utile al fine di avere una visuale chiara e schematica di un qualsiasi progetto di business, dal nuovo prodotto che s’intende produrre, alla riapertura della pizzeria sotto casa fino al grande progetto industriale.

1.5.2. Il Lean Canvas

Dopo aver descritto brevemente i nove elementi che costituiscono un’azienda secondo il Model Canvas, così come formulato da Osterwalder, vediamo un altro schema molto simile, il “Lean Canvas” di Ash Maurya.

I due modelli sono molto simili ed entrambi validi, ma mentre il primo è adatto a piccole-medie imprese che innovano, o a start-up mature che vogliono analizzare la propria struttura aziendale, il secondo è maggiormente indicato per le start-up in fase di nascita, in quanto si propone di comprendere più a fondo il valore che la nuova idea può aver realizzato.

Il modello Lean Canvas si rivolge in particolare a un target di imprese in fase di avvio, con focus orientato ai nuovi imprenditori. L’approccio dal presente schema, comincia con la definizione dei problemi e delle soluzioni proposte per risolverli, dei canali per raggiungere tali soluzioni, dei costi coinvolti e dei flussi di entrata previsti. Esso non pone molta enfasi sui segmenti di clientela scelti poiché le start-up in fase di crescita non hanno ancora prodotti noti o testati. Per quanto riguarda la competizione, si valuta la presenza di un vantaggio rispetto ai concorrenti e il modo in cui finanziarlo per mettere in pratica il nuovo business. Un approccio al problema-soluzione, così come fornito dal Lean Canvas, permette all’imprenditore di svilupparlo passo per passo, tenendo contestualmente in considerazione tutti i nove elementi.

Lo schema Lean è un adattamento del Business Model Canvas, con la scelta dell’autore di mantenere la valida struttura fornita, modificandone solo alcuni

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riquadri, gli elementi soggetti a cambiamento rispetto al Business Model Canvas sono i seguenti:

 i riquadri sui quali ci si concentra di fronte ad uno schema Model Canvas, sono quelli relativi ai partner e alle attività, mentre su uno schema Lean, si focalizza l’attenzione principalmente sulla definizione dei problemi e delle relative soluzioni innovative per risolverli;

 le relazioni con i clienti vengono sostituite con il vantaggio detenuto rispetto ai concorrenti;

 infine, alle risorse chiave si sostituiscono i parametri in grado di aiutare la start-up a comprendere se ci sono avanzamenti o meno circa la percezione del prodotto da parte del cliente.

Tutti gli altri componenti restano gli stessi.

La scelta dell’autore del Lean Canvas è stata quella di definire un procedimento, rapido e migliore, che possa aiutare le start-up a definire un piano funzionante, ottimizzando tutte le risorse disponibili. Il modello si ricollega al “metodo Lean Start-up” elaborato da Eric Ries, un metodo che consente di portare al successo qualsiasi idea innovativa e svilupparla come progetto di business, riducendo drasticamente i tempi, i costi e la probabilità di fallire. Fondamentale diventa la velocità con cui che le nuove realtà acquisiscono informazioni e conoscenze sulla clientela, così da testare subito l’idea senza sprechi di tempo e risorse.

La maggior parte delle idee creative e innovative, finiscono sempre per essere abbandonate poiché considerate non abbastanza per poter raggiungere i risultati che si vorrebbero, attraverso il Lean Canvas, chi ha un’idea può testarne meglio la fattibilità. Esso è comodo e rapido perchè, rappresentato su un’unica pagina permette a tutti di contribuire e di modificarlo, è inoltre conciso, poichè richiede frasi brevi che si concentrano sulla parte essenziale del progetto di business che s’intende realizzare, permettendo di frazionare il business in nove elementi, considerati dal più al meno rischioso, cercando di ridurne al minimo i rischi, sia nei confronti dei clienti che nei confronti degli investitori.

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Vediamo tutti i suoi elementi in ordine di compilazione:

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figura

Creare un Lean Canvas è il modo migliore per capire da dove si vuole partire quando si introduce un nuovo prodotto sul mercato, con lo scopo di unire e chiarire tutti i pezzi che costituiscono un modello di business, fare in modo che ci sia coerenza e che si rinforzino a vicenda. Una delle prime cose da fare dopo aver stampato l’intero schema su un foglio di grosse dimensioni, può essere una descrizione del problema che si vuole risolvere, della soluzione e del segmento di clientela a cui ci si vuole rivolgere, cercando di individuare quali potrebbero essere i reali acquirenti del nuovo prodotto. A tal scopo, una prima analisi distinta può essere fatta tra i clienti reali, cioè quelli che pagherebbero per averlo, e i semplici utilizzatori, ossia coloro i quali potrebbero essere interessati a usarlo ma non ad acquistarlo. E’ utile compilare il Lean Canvas tenendo conto di un numero limitato di segmenti di clientela, quelli che si reputa di conoscere meglio. Vediamo di seguito come dovrebbe essere compilato:

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1-2. Problema e Cliente

I due riquadri “problema” e “cliente” sono talmente importanti da determinare il resto del Canvas. Per quanto riguarda il problema, risulta utile delineare i tre problemi più importanti da risolvere, in ordine di esecuzione, relazionati ai segmenti di clientela che sono stati scelti, cercando di capire in che modo i clienti fronteggiano tali problemi in quel dato momento.

3. Proposta di valore.

Al centro dello schema è presente l’UVP (unique value proposition) ossia la proposta di valore. Essa si riferisce ai motivi per cui il prodotto è diverso, e meritevole di essere acquistato dal cliente, quali sono cioè gli elementi che rendono unico il prodotto.

4. Soluzione.

Il box soluzione si riferisce alle soluzioni offerte circa i problemi rilevati. Di solito è bene offrire soluzioni solo dopo che sono state condotte le interviste necessarie per la definizione dei problemi e, successivamente, quelle per le possibili soluzioni.

5. Canali.

Riuscire a costruire dei canali per raggiungere i clienti è una delle decisioni più importanti, quali cause di successo o fallimento della nuova impresa.

6. Flusso di Ricavi.

Questa voce si riferisce alla possibilità di definizione del prezzo associato al prodotto, pensando che comunque il prezzo, oltre a cambiare la percezione del prodotto, ha il potere di identificare la clientela che si ritiene di voler attirare.

7. Struttura dei Costi.

Sia il flusso dei ricavi che la struttura dei costi si trovano nelle ultime due caselle del Canvas, poichè servono a validare la fattibilità del modello di business.

Per quanto riguarda i costi, si dovrebbero elencare tutti i costi che si sosterranno una volta introdotto il prodotto nel mercato.

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8. Parametri chiave.

I parametri chiave servono per misurare il funzionamento della propria attività, quindi sono utili sia per analizzare eventuali progressi, che per identificare i punti cruciali del cliente e su cui intervenire. La costruzione di un sito apposito, di un social network, di un punto vendita, sono alcune attività attraverso le quali è possibile valutare l’atteggiamento del cliente.

Una volta documentata l’idea, identificati i clienti, è possibile procedere con l’identificazione delle parti più rischiose del progetto, quelle a cui è necessario dare priorità. I rischi che una start-up si trova ad affrontare si distinguono in7:

 Product risk: il rischio di prodotto riferito alla possibilità di creare correttamente un prodotto per il mercato;

 Customer risk: il rischio cliente leato alla possibilità di arrivare, con quel prodotto e attraverso i canali giusti, al cliente finale;

 Market risk: il rischio di mercato che fa riferimento alla possibilità di creare un business sostenibile rispetto a quelli concorrenti.

Di solito la configurazione dei rischi dipende dal tipo di prodotto che si sta realizzando, e le priorità ad essi assegnate dipende dallo step in cui si trova una start-up:

 Step1-Problem/Solution fit : la start-up si chiede se il problema merita di essere risolto;

 Step 2-Product/Market fit : la start-up si chiede se ciò che si realizza è qualcosa che il pubblico desdidera;

 Step 3-Scala: la start up si chiede come sia possibile far aumentare la crescita del prodotto.

-

Le nuove imprese devono percorrere obbligatoriamente ciascuno di questi step.

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Lo scopo di una start-up è quello di inserirsi in un mercato con un prodotto che venga recepito dai clienti in quanto tale e che permetta di realizzare in riferimento ad esso un modello di business funzionale. In genere la logica seguita per raggiungere tale obiettivo, e per gestire, riducendoli, i tre rischi di cui sopra, si consiglia di partire dal box Problema, in cui è presente il rischio di prodotto. E’ necessario che almeno uno dei tre problemi definiti coincida con le esigenze del cliente, così da individuare quei segmenti che avranno più bisogno del prodotto. Il secondo peso a riguardo viene attribuito al box Canali, all’interno dei quali si presenta il rischio cliente. Devono essere presi in considerazione i canali più semplici per arrivare al cliente, così da velocizzare l’apprendimento e capire se il problema merita davvero di essere risolto. Il terzo box è quello dei Flussi di ricavi e della Struttura dei costi, nei quali può essere considerato il rischio mercato e in cui risulta determinante l’applicazione di un prezzo sulla base del segmento di utenti scelto, così da rendere possibile il raggiungimento dell’obiettivo con il minor numero di clienti possibile e validare subito l’offerta.

Dopo aver completato la documentazione del Lean Canvas e attribuito le giuste priorità ai rischi, sarà possibile iniziare a sperimentare sistematicamente tutti gli altri elementi.

Le fasi da seguire per testare il progetto sono quattro per ciascun rischio (prodotto, cliente mercato), le stesse, a loro volta, sono orientate da un obiettivo specifico: le prime due, comprensione del problema e identificazione di una soluzione, hanno come obiettivo il raggiungimento del primo Step-Problem/Solution fit, o comunque di un problema che valga la pena risolvere; la terza e la quarta fase, invece, si occupano entrambe di validare, qualitativamente la prima e quantitativamente la seconda, la possibilità di aver realizzato un prodotto desiderato dal pubblico, con l’obiettivo di raggiungere il secondo Step della Start-up, il Product/Market fit.

In conclusione, ciò che si rileva dalla costruzione di un Lean Canvas così strutturato è che, innanzitutto, si deve fare attenzione a considerare tutti i rischi presenti ai diversi livelli e nelle diverse fasi; che il cliente è la fonte primaria da cui attingere se si vuole creare valore, perchè è dallo stesso che si apprende e che si possono individuare eventuali errori, apportando miglioramenti. Dal momento che l’obiettivo di una start up è quello di creare valore, seguendo un modello di business come il Lean Canva, si troveranno possibilmente delle soluzioni appropriate ai problemi che

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emergono lungo il percorso, e si potrà probabilmente sviluppare un business funzionale al raggiungimento dei risultati.

1.7. La politica di finanziamento di una start up

Una volta definita la fattibilità dell'idea, definito un team, stabilita la forma giuridica di cui dotarsi ed elaborato una strategia d’impresa, si può procedere con l'avvio della vera e propria fase di start-up. A questa fa seguito la fase di accaparramento di risorse finanziarie. Il prodotto o servizio che s’intende realizzare, infatti, deve risultare innovativo sotto diversi aspetti ma deve soprattutto essere appetibile ai potenziali finanziatori: gli investitori hanno infatti un ruolo determinante dal momento che permettono alle start-up di validare il proprio business model. Reperire le risorse necessarie allo sviluppo del progetto non è un lavoro affatto semplice considerando che è altissimo il grado di rischio di fallimento delle start-up (è un dato statistico che l’ottanta per cento delle start-up finanziate in Italia falliscono). I finanziamenti possono provenire da diversi canali, ma i fabbisogni finanziari delle start up, cambiano in base alle diverse attività e in base alla fase di vita in cui essa si trova. Anzitutto possono essere finanziamenti interni (cioè apporto di risorse economiche proveniente da parte dei soci della start-up), oppure finanziamenti esterni ( apporto di risorse economiche proveniente da soggetti o istituti esterni alla start-up), inoltre si possono distinguere in finanziamenti pubblici ed agevolazioni. Per ogni fase del processo di sviluppo di start-up, come già detto, si possono reperire fondi da finanziatori diversi, in genere le figure che ritroviamo per le diverse fasi sono le seguenti:

 business angel: è il finanziatore che investe nella fase iniziale della start-up con un capitale non superiore ai 250mila euro. È una figura importante in quanto ha delle competenze tali da mettere in relazione la start-up con il primo gruppo di clienti;

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 venture capitalist: è il finanziatore che investe per effettuare ricerche di base o di mercato che sono fondamentali per sviluppare e migliorare il prodotto di una start-up tecnologica ed innovativa di piccole dimensioni con un elevato potenziale di crescita, ma che non ancora effettivamente entrata sul mercato. Generalmente il capitale investito in una start-up dai venture capitalist può arrivare ad ammontare anche 5 milioni di euro;

 incubatori e acceleratori: sono imprese che hanno la stessa funzione, cioè quella di offrire alla start up uno spazio fisico e diversi servizi e per avviare l’attività. La differenza sostanziale tra i due termini è che il primo fa riferimento ai luoghi fisici di residenza per start-up (gli incubatori), il secondo a percorsi temporalmente limitati che dovrebbero sostenere lo sviluppo dell’azienda o permettere all’azienda di spiccare il volo (acceleratori). La National Business Incubators Association (NBIA) definisce gli incubatori come uno strumento di sviluppo economico con l’obiettivo di accelerare la crescita e il successo delle nuove imprese attraverso un supporto fornito sia in termini di risorse che di servizi. Incubatori e accelleratori anzitutto valutano l’idea imprenditoriale, poi definiscono il progetto dell’impresa, aiutano l’impresa a formulare il business plan, l’accompagnano sia nella fase di nascita e sviluppo, sia in una fase di insuccesso, presentando le strategie da perseguire dopo aver qualificato le risorse finanziarie, forniscono assistenza manageriale attiva, accesso a canali privilegiati di finanziamento ed un supporto nell’utilizzo di servizi tecnici e di business. Esistono diverse tipologie di incubatori, e tra questi ritroviamo sia quelli “pubblici” e quelli “privati”, i quali si differenziano nello scopo e negli strumenti di cui si servono. Infatti i primi hanno come obiettivo quello di sviluppare un programma per una precisa area che va rivitalizzata, mentre quelli di natura privata, essendo essa stessa un azienda privata, hanno come obiettivo quello di attivare strategie di guadagno. In generale possiamo comunque distinguere tre tipologie di incubatori:

1. Profit oriented: operatori di mercato che finanziano le imprese e dunque fanno da supporto economico per aumentare la probabilità di successo dell’impresa;

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2. No-profit oriented: operatori pubblici che offrono un servizio di incoraggiamento allo sviluppo dell’impresa;

3. Incubatori universitari: fanno da supporto a progetti proposti da universitari e lavorano in collaborazione con altri enti o istituti di ricerca.

Per essere considerati “incubatori” o “acceleratori” occorre possedere requisiti specifici. In Italia qualsiasi ente o organizzazione che intende essere definita tale e ottenere la certificazione, deve riuscire ad ottenere un punteggio calcolato in base alle attrezzature, macchinari ed esperienza dei consulenti.

1.7.1. Il Crowdfunding come fonte di finanziamento

Uno dei principali problemi delle start-up, quando partoriscono l’idea del prodotto o servizio, è quella di trovare i finanziamenti per poterla sviluppare. Diventa allora obiettivo della comunicazione quello di sfruttare ogni canale e strumento del web al fine di riuscire accaparrare quanto più fondi sulla piazza del mercato virtuale. Il web offre degli strumenti di comunicazione molto efficaci: uno di questi particolarmente interessante è il “Crowdfunding”.

Il crowdfunding, dall'inglese crowd (folla) e funding (finanziamento), tradotto sarebbe “finanziamento collettivo”, è per definizione “un processo collaborativo di un gruppo di persone che utilizza il proprio denaro in comune per sostenere gli sforzi di persone e organizzazionI, è una pratica di microfinanziamento dal basso che mobilita persone e risorse”8

. Tale pratica si sviluppa attraverso piattaforme online che permettono l'incontro e la collaborazione tra chi si fa promotore del progetto e chi decide di investire su di esso. Il web diventa il posto in cui può essere lanciato un progetto di business, il Framework for European Crowdfunding, commenta così lo sviluppo di questo processo: "l'ascesa del crowdfunding negli ultimi dieci anni deriva dal proliferare e dall'affermarsi di applicazioni web e di servizi mobile, condizioni che consentono a imprenditori, imprese e creativi di ogni genere di poter

8

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dialogare con la crowd per ottenere idee, raccogliere soldi e sollecitare input sul prodotto o servizio che hanno intenzione di proporre"9.

Il crowdfunding è davvero un importante fonte di finanziamento, pensiamo che ogni anno vengono finanziati tantissimi progetti europei, nel 2013 in Europa sono stati raccolti fondi pari a circa un miliardo di euro e si stimano aumenti esponenziali nel prossimo futuro grazie al crowdfunding, che trova tutti gli elementi per poter sprigionare al meglio le sue potenzialità nel web.

Una start-up che decide di intraprendere la strada del crowdfunding, deve seguire il un itinerario specifico; il primo passo per poter aprire una campagna su un sito di crowdfunding è decidere a quale tipologia di campagna e a quale piattaforma fare riferimento. Vi sono più tipologie di campagne di crowdfunding, esse sono le seguenti:

1. Reward based: è la principale, in quanto nata per prima e in quanto pare essere la più frequente. Avviene attraverso una raccolta fondi e una ricompensa come ritorno a fronte di un investimento anche minimo. Il prodotto per cui si sta chiedendo il finanziamento verrà messo a disposizione del finanziatore in anticipo rispetto all’uscita sul mercato. Vi sono poi altre tipologie di ricompensa che vengono date in cambio di un finanziamento, come ad esempio il ringraziamento speciale sul sito web dell’azienda.

2. Donation based: in questa tipologia gli utenti della piattaforma donano denaro per la campagna che ritengono più interessante, senza avere nulla in cambio, cioè si sposa gratuitamente una causa. È la forma di crowdfunding che adottano le organizzazioni non profit per finanziare campagne senza scopo di lucro.

3. Lending based: in questa gli utenti della piattaforma investono denaro sottoforma di microprestito, concordando le condizioni per la restituzione del denaro.

9

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4. Equity based : il finanziamento è considerato come una partecipazione diretta nel capitale sociale dell’azienda, cioè il denaro che gli utenti della piattaforma investono è un vero e proprio pacchetto di azioni della società.

Una volta scelta la tipologia di campagna, un passo importante è la scelta della piattaforma su cui lanciare la campagna stessa. Sono oltre 50 le piattaforme di crowdfunding alle quali rivolgersi, tra le quali: Kickstarter, Eppela, Kendoo, Limoney, WeRealize, Wowcracy, Commoon, Agis.co ,Consob, Siamosoci, Crowdfundme.com, Equinvest, Muum Lab e molte altre. Sulle piattaforme di crowdfunding esistono strumenti che sono in grado di impostare una campagna secondo gli schemi ben definiti e adeguati alla tipologia d’azienda, poi vanno definiti i tempi in cui è attiva la campagna e i margini i fondi, dichiarare quali sono i benefit che vanno destinati a chi ci finanzia il progetto e stabilire di quali fondi ha bisogno l’azienda per far partire l’ idea. I siti principali di crowdfunding hanno anche strumenti per l’interazione con i social network per estendere il raggio di azione e far conoscere il nuovo business utilizzando i rilanci degli utanti di Facebook e Twitter. Scegliere la piattaforma per una campagna di crowdfunding vuol dire anche decidere la tipologia di comunicazione da adottare, per gestire in modo efficiente tempi e ricavi. Per questo la comunicazione è una carta importantissima da giocare nella partita, in quanto il crowdfunding è si un ottimo banco di prova per chi vuole testare un progetto o un prodotto, ma bisogna sempre mettere in conto il fallimento , che molto spesso è legato alla mancanza di un piano strategico di comunicazione adeguato. Spesso si pensa che pubblicare online il proprio progetto sia sufficiente per attirare contributi economici, ma purtroppo non basta. In realtà, l’investimento principale per il successo, non è tanto quello economico, ma per raggiungere l’obiettivo di un buon posizionamento sul mercato, bisogna puntare soprattutto sulla comunicazione.

1.8. L’incertezza nel mondo delle start-up

Sono ormai davvero tantissime le start-up che negli ultimi anni si sono sviluppate sul nostro territorio e nel resto del mondo, questo nuovo modello d’impresa, infatti,

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rappresenta un’opportunità lavorativa per tutti i giovani imprenditori che hanno voglia di mettersi in gioco. Purtroppo però, lo sviluppo di un progetto di start-up, non si rivela sempre un successo, ma tutto il contrario, dal momento che è altissima la percentuale di casi che dopo poco falliscono e abbandonano il progetto.

I motivi del fallimento delle start-up sono di diversa natura e ovviamente dipendono da diversi fattori e dai singoli casi imprenditoriali, ma c’è un fattore nel contesto in cui esse operano che determina fortemente il destino di queste ultime: l’incertezza. Il mercato delle start-up è infatti caratterizzano da un livello altissimo di incertezza e se non si riesce ad attuare una strategia vincente, il rischio di fallire è davvero altissimo.

Secondo un rapporto pubblicato da “Italia Startup” relativo al 2013, in Italia sono presenti 1227 imprese innovative e 113 startup hi-tech finanziate. Tuttavia l’80-85% di esse non riesce a sopravvivere ai 3 o 5 anni di vita (D’Amico, 2013); diventa allora di fondamentale importanza, pianificare in maniera accurata ogni aspetto della strategia di sviluppo.

Molti studiosi del settore, come Eric Ries, giovane imprenditore seriale, speaker di fama mondiale e inventore della metodologia “lean Startup”, vedono la start-up come modelli d’impresa che necessitano di nuovi strumenti per far fronte ai continui mutamenti del contesto di mercato in cui esse operano. Ries stesso definisce una start-up“ un’organizzazione dedicata alla creazione di un nuovo prodotto o servizio in condizioni di estrema incertezza “10. Secondo l’autore, le cause del fallimento delle start-up sono innumerevoli, motivi che vanno dall’instabilità dei mercati ad errori di valutazione dei promotori di un progetto, i quali, in un questo contesto tanto competitivo, si affacciano sul mercato con la loro nuova idea di business senza disporre di attrezzi giusti per costruire un vero e proprio modello di crescita sostenibile. Spesso questi modelli di impresa, secondo l’autore, restano legati alla rigidità dell’approccio tradizionale al mercato, e ciò non da la possibilità di reagire in tempo ai continui cambiamenti che avvengono nell’ambiente, non riuscendo a deviare dal piano iniziale per rispondere agli imprevisti, così ci si arrendere senza talvolta capire quali circostanze li abbiano allontanati dall’obiettivo. Secondo l’autore il business plan e l’assoluta pianificazione hanno dimostrato di avere dei limiti, non potendo riuscire a prevedere dettagliatamente l’andamento di un business

10

Ries, E., Partire leggeri. Il metodo Lean start up.: innovazione senza sprechi per 88 nuovi business di successo, Rizzoli. Etas, 2012.

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in un contesto di estrema incertezza.

Un altro dei motivi che portano al fallimento di queste imprese deriva, oltre che dall’incertezza di un contesto non ancora definito, dalla mancanza di consapevolezza da parte dei clienti circa la loro domanda sul prodotto, cioè spesso quest’ultimi non riescono a comunicare con chiarezza ciò che realmente desiderano, dunque questi nuovi modelli d’impresa, si ritrovano a soddisfare dei bisogni non ancora definiti del tutto.

Quindi alla domanda “perché molte startup falliscono?”, forse bisogna rispondere che probabilmente la risposta è più di una dal momento che le cause possono essere diverse, caso per caso, ma a prescindere dalle singole esperienze, sussiste comunque la necessità generale di trovare nuovi strumenti che riescano a far fronte all’incertezza che fa da ostacolo a questi nuovi modelli di business, e che riescano a dare alle organizzazioni l’adattabilità e la rapidità necessarie; le nuove imprese necessitano di nuovi strumenti che possano essere la risposta per un percorso di crescita sostenibile per far sì che gli imprenditori riescano a dare forma alle loro idee in maniera vincente.

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CAPITOLO 2

IL MARKETING E LA COMUNICAZIONE NELLE

START UP

2.1. Il concetto di Marketing

Nel mondo delle start-up risulta fondamentale definire un’accurata strategia di Marketing e di Comunicazione al fine di raggiungere gli obiettivi che s’intendono perseguire in uno sviluppo di business. Nell’attuale scenario economico, caratterizzato da una competitività sempre più forte e aggressiva, bisogna necessariamente avere un netto vantaggio competitivo rispetto ai propri concorrenti. Per ottenere risultati che siano nettamente sopra la media, bisogna aver chiara una strategia di marketing e comunicazione che sfrutti al meglio le risorse e le opportunità che si hanno a disposizione. Il mondo delle start up è ricco di casi che purtroppo falliscono dopo poco tempo, e la causa è quasi sempre la stessa: mancanza di una buona strategia di marketing e comunicazione.

Vediamo di definire con chiarezza il concetto di marketing, come si è evoluto nel tempo e quali sono gli strumenti da utilizzare per una buona strategia aziendale. Il marketing nasce nei primi anni del ‘900 negli USA, con questo termine s’intendono una serie di attività d’impresa che vanno dall’ideazione di un prodotto o di un servizio alla loro utilizzazione da parte dell’acquirente. Lo scopo del marketing è il conseguimento di un profitto da parte dell’azienda, obiettivo che si può raggiungere attraverso l’utilizzo di ricerche miranti ad identificare le esigenze del mercato e la realizzazione di beni o servizi volti a soddisfare tali esigenze.

Il concetto classico di marketing si rifà ad una definizione che prende in esame il rapporto tra azienda e mercato, tra chi produce e acquista, ma nel tempo tale concetto si è evoluto a causa della trasformazione del sistema sociale, politico ed economico. La definizione moderna, infatti, allarga il campo di applicazione del marketing, intendendolo come “l’insieme delle attività mediante le quali un’organizzazione, che non abbia necessariamente l’obiettivo del profitto, mira a soddisfare le esigenze di persone o organizzazioni, rendendo loro disponibili,

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prodotti o servizi, o sostenendo idee o affermando valori nella società”11

. Questa nuova definizione è stata data dall’ American Marketing Association12

ed è quella che segna proprio il passaggio dalla definizione tradizionale a quella moderna, ed estende l’applicazione delle tecniche di marketing dal campo economico ai campi in cui entrano in gioco l’affermazione di idee, principi e valori sociali.

L’ evoluzione del marketing passa attraverso quattro fasi:

1. La prima fase è quella che rientra nel mercato degli anni ’20 in cui l’obiettivo delle attività di marketing consiste soltanto nel vendere e distribuire il prodotto;

2. La seconda fase è quella che rientra nel mercato degli anni ’30-’50 in cui si sviluppa la produzione di massa e le imprese diventano più competitive sul mercato, così si sviluppano tecniche di marketing più aggressive; 3. La terza fase è caratterizzato da un cambiamento di prospettiva del

marketing, si focalizza l’attenzione sul consumatore e l’obiettivo del marketing diventa quello di soddisfare le esigenze del cliente. Le sue funzioni (previsione, prodotto, prezzo, distribuzione,promozione) sono strettamente integrate.

4. La quarta fase rientra nel mercato degli anni ’90, anni in cui il marketing passa da “marketing orieted” a “competition oriented”, cioè fase in cui l’impresa non si focalizzarsi soltanto sulle esigenze del cliente ma sul fattore concorrenza. Non è sufficiente riuscire a soddisfare le preferenze del consumatore, ma il punto nevralgico è che bisogna farlo meglio dei concorrenti, battere il concorrente sul tempo “time to market” (l’intervallo di tempo che va dall’ideazione del prodotto al su lancio sul mercato) deve diventare la regola. In questa fase il raggio di azione del marketing si estende a diversi campi della società.

Vediamo gli approcci che si sviluppano nelle diverse fasi dell’evoluzione del marketing nel tempo.

11

Giorgio Pellicelli, Il marketing, Utet Giurudica, 2012.

12

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2.1.1. Il marketing 1.0: il paradigma delle 4P

Il marketing tradizionale viene identificato nel “marketing mix”, denominato anche “paradigma delle 4P”. Ideato intorno agli anni ’70 da Jerome McCarty, esso si basa sulla combinazione di variabili controllabili, le leve, che le imprese impiegano per raggiungere i propri obiettivi. Il marketing mix è una filosofia di gestione, un modo di organizzare le varie funzioni e attività dell’azienda ed è composto da una serie di strumenti, tecniche e attività che vengono presentati ai clienti. Le leve rispondono a determinati quesiti di mercato che riguardano il prodotto-servizio che l’azienda eroga. Esse sono:

1. Prodotto: questa leva ha come obiettivo quello di identificare i bisogni del cliente potenziale e creare un prodotto o servizio che lo soddisfi. Si focalizza su elementi chiave che rappresentano un vantaggio rispetto ai prodotti equivalenti della concorrenza. Nello specifico risponde a cosa chiede il cliente al prodotto, quali sono le caratteristiche del prodotto, cosa lo differenzia dalla concorrenza, il tipo di qualità, lo stile, la marca, la confezione, le misure, il servizio, la garanzia.

2. Prezzo: questa leva si focalizza sulla strategia di prezzo da adottare, tenendo in considerazione alcune variabili che riguardano la sensibilità al prezzo, come ad esempio il valore che il potenziale cliente dà al prodotto o servizio in base alle sue esigenze o desideri, il potere di acquisto del mercato target, la valutazione rispetto al prodotto concorrente, e poi inoltre comprende le strategie che riguardano gli sconti e abbuoni, termini e condizioni di pagamento.

3. Distribuzione: dove cercano il prodotto i potenziali clienti, come avere accesso ai giusti canali di distribuzione, cosa fanno i concorrenti, come differenziarsi, che tipo di pubblicità lanciare, tipologia di vendite, di promozioni, di relazioni pubbliche.

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4. Comunicazione: la leva della Comunicazione è fatta di tutte quelle azioni atte far conoscere ed apprezzare il prodotto o servizio. Un complesso di attività che si muovono su più canali e media per massimizzare la promozione di un prodotto e la sua penetrazione e permanenza sul mercato, s’intende cioè la scelta dei canali di comunicazione promozionai, cioè dove, come e quando comunicare i messaggi, quali canali privilegiare e come gestire la comunicazione con i concorrenti, la copertura, la localizzazione, le scorte, i trasporti. La Comunicazione si serve del web advertising, direct marketing, social network marketing, video marketing, mobile advertising, campagne radio, pubblicità TV e stampa, affissioni e cartellonistica, pubblicità dinamica, per arrivare il più vicino possibile al potenziali clienti e convincerlo ad acquistare il prodotto.

La filosofia del marketing mix , in sintesi è quella di decidere quali prodotti vendere, a quale prezzo, come distribuirli sul mercato, quali forme di promozione adottare: l’elemento centrale del paradigma è il prodotto.

2.1.2. Il marketing 2.0: l’approccio Customer Management

Dopo gli anni ’70 entriamo in una nuova fase del marketing, lo sviluppo delle tecnologie digitali porta cambiamenti sostanziali in diversi settori, tra cui anche quello economico. Nasce in questo periodo il “marketing digitale” denominato anche “marketing 2.0”. L’irruzione dei nuovi mezzi di comunicazione nella vita di ogni giorno, l’’introduzione del web e l’incontro della disciplina economica con discipline come la psicanalisi, sposta l’attenzione del marketing dal “prodotto” al “cliente”. Il marketing digitale aggiunge un’altra “P” alle 4 già sopra elencate nel marketing mix, cioè quella di “persona”. L’importanza e la cura del cliente diventano infatti ingredienti fondamentali della strategia aziendale, Le imprese hanno bisogno di nuove idee e strategie per stimolare la motivazione del cliente: nasce l’approccio “Customer Management”, la disciplina della gestione del cliente, la quale si focalizza sui seguenti punti:

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 centralità del cliente: l’azienda deve soddisfare le esigenze del cliente, conoscere le sue aspettative e i diversi bisogni. I clienti che presentano stessi bisogni e motivazioni, si possono racchiudere in dei segmenti, il tutto prende il nome di “segmentazione”. L'impresa studierà le varie tipologie di segmenti di clienti e proporrà un prodotto o un servizio, in base alle caratteristiche del segmento stesso, l’obiettivo è quello di instaurare un rapporto solido e duraturo per garantire la fidelizzazione;

 cura dell’immagine: il prodotto o servizio deve avere un’immagine ben curata in ogni suo aspetto, questa teoria prende il nome di “branding”, basata su una strategia di differenziazione che ha come obiettivo quello di portare la marca o brand a livelli alti.

 monitorare l’attività dei concorrenti: il posizionamento di ogni azienda deve mirare al raggiungimento del vantaggio competitivo rispetto ai concorrenti. Proprio per distinguersi dagli altri brand occorre monitorare l’attività dei concorrenti e individuare nuove modalità di differenziazione.

I nuovi fenomeni del marketing digitale abbassano le barriere di accesso all’informazione, riducono i tempi di relazione tra i consumatori, e tra i consumatori e le aziende stesse, dando loro la possibilità di conoscere meglio i propri clienti potenziali. Si crea un contesto di mercato in cui il cliente cerca esperienze vere, dirette e coinvolgenti attraverso l’uso del prodotto-servizio. Il mezzo utilizzato dalle aziende nel marketing digitale è il web: piattaforme web, social network, sono tutti strumenti con il quale il marketing online indirizza le campagne di comunicazione per mostrare messaggi ai potenziali clienti e non. Pensiamo ad esempio ai contenuti di un sito web e gli annunci di una campagna pubblicitaria che visualizziamo su Google, Bing e Yahoo oppure nei social network come Facebook, Twitter, Pinterest, ecc.. quel messaggio e quel marchio possono essere visti da molti più clienti potenziali, amplificando l'efficacia del marketing.

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