• Non ci sono risultati.

Potenzialita' e criticita' della certificazione dei Sistemi di Gestione della Qualita: analisi di un'azienda operante nel settore alimentare.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Potenzialita' e criticita' della certificazione dei Sistemi di Gestione della Qualita: analisi di un'azienda operante nel settore alimentare."

Copied!
117
0
0

Testo completo

(1)

   

Università di Pisa

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Strategia Management e Controllo

Potenzialità e criticità della certificazione dei Sistemi di

Gestione della Qualità: analisi di un’azienda operante nel

settore alimentare.

Relatore: Candidato:

Prof.ssa Angela Tarabella Sara Cioffi

(2)

1

Indice

PREFAZIONE ... 3

1. INTRODUZIONE ALLA QUALITÀ ... 6

1.1L’evoluzione degli approcci alla qualità ... 6

1.2 Qualità cogente e volontaria ... 9

2. IL SETTORE ALIMENTARE ... 12

2.1 Le caratteristiche dei beni alimentari ... 12

2.2 Scandali alimentari nel comparto ittico ... 13

2.3 La qualità alimentare come bene pubblico: la necessità di una regolamentazione obbligatoria ... 15

2.4 Convergenze normative nell’era della globalizzazione ... 18

2.5 La normativa cogente applicabile al settore alimentare ... 19

2.6 Verso il concetto di autocontrollo: il metodo HACCP ... 20

3. LO SVILUPPO DEGLI STANDARD SU BASE VOLONTARIA ... 23

3.1 Gli attori della normazione ... 23

3.2 Gli organismi deputati al rilascio delle certificazioni ... 24

3.3 L’audit dei Sistemi di Gestione ... 25

3.4 Il logo Accredia come forma di garanzia ... 28

3.5 Il processo normativo ... 31

3.6 Pro e contro della normazione volontaria ... 32

3.7 Le norme ISO più diffuse ... 34

3.8 I Sistemi di Gestione aziendali ... 35

4. LO STANDARD UNI EN ISO 9001:2008 ... 38

4.1 Definizione ... 38

4.2 I passi per aderire alla norma ... 39

4.3 La struttura ... 41

5. LUCI ED OMBRE DELLA CERTIFICAZIONE UNI EN ISO 9001 ... 49

5.1 Motivazioni e vantaggi ... 49

5.2 Aspetti critici ... 54

5.3 Riflessioni ... 58

5.4 Il panorama dei prodotti ittici certificati nel contesto europeo ... 58

5.4.1 Alcuni esempi di certificazioni business-to-consumer ... 61

5.4.2 Le certificazioni Business-to-business più diffuse ... 65

5.4.2.1 BRC Food ... 66

(3)

2

6. IL CASO EFFEGI SERVICE ... 68

6.1 Introduzione alla realtà aziendale ... 68

6.2 Il sistema di gestione per la qualità dell’azienda ... 75

6.2.1 Risorse, ruoli, responsabilità ed autorità ... 75

6.2.2 Organigramma Aziendale ... 75

6.2.3 Messa a disposizione delle risorse (par. 6.1 della norma) ... 80

6.2.4 Risorse umane (par. 6.2 della norma) ... 80

6.2.4.1 Attività di formazione e addestramento ... 81

6.2.4.2 Responsabilità ... 82

6.2.4.3 Pianificazione degli interventi formativi ... 83

6.2.4.4 Pianificazione delle attività di addestramento ... 83

6.2.4.5 Valutazione dei risultati ... 83

6.2.5 Infrastrutture (par. 6.3 della norma) ... 84

6.2.5.1 Attività di manutenzione degli impianti e dei macchinari ... 86

6.2.6 Approvvigionamento (par 7.4 della norma) ... 87

6.2.6.1 Responsabilità ... 88

6.2.6.2 Gestione delle attività d’acquisto ... 88

6.2.6.3 Verifica del prodotto approvvigionato ... 88

6.2.6.4 Lavorazioni in outsourcing ... 89

6.2.6.5 Audit sui fornitori ... 89

6.2.6.6 Selezione dei fornitori e loro inserimento nell’Albo ... 92

6.2.6.7 Valutazione periodica dei fornitori ... 94

6.2.6.8 Verifica dei prodotti/servizi approvvigionati... 95

6.2.7 Produzione ed erogazione del servizio (par. 7.5 della norma) ... 96

6.2.8 Tenuta sotto controllo delle apparecchiature di monitoraggio e misurazione (par. 7.6 della norma) ... 99

6.2.8.1 Responsabilità ... 99

6.2.8.2 Attrezzature di misura ... 99

6.2.8.3 Strumentazione di misura a bordo macchina ... 101

6.2.9 Attività di monitoraggio e misurazione (par. 8.2 della norma) ... 102

6.2.9.1 Soddisfazione del cliente ... 102

6.2.9.2 Processi ... 102

6.2.9.3 Prodotti ... 103

6.2.10 Analisi dei dati (par. 8.4 della norma) ... 103

6.2.11 Riesame della Direzione ... 104

6.2.12 Analisi degli indicatori ... 106

6.2.13 Interpretazione dei risultati ottenuti ... 108

7. CONCLUSIONI ... 111

BIBLIOGRAFIA ... 113

SITOGRAFIA ... 115

(4)

3

PREFAZIONE

All’interno di un mercato iperdinamico e globalizzato come quello odierno la qualità sta assumendo una valenza sempre più strategica, in quanto considerata dalle imprese uno dei principali strumenti su cui investire con sforzi continui e sistematici al fine di incrementare il vantaggio competitivo.

Nel contesto alimentare, inoltre, garantire il rispetto quantomeno di una qualità di soglia risulta un aspetto prioritario e, pertanto, garantito dalla normativa cogente: i troppo numerosi scandali cui il mercato ha assistito in questi anni, e che purtroppo continuano a ripetersi, hanno infatti denunciato con forza la necessità di un intervento pubblico avente lo scopo precipuo di garantire il rispetto di determinate caratteristiche stabilite per legge.

Al fine di aumentare la facilità delle transazioni commerciali anche al di fuori dei confini nazionali si sono progressivamente resi indispensabili interventi da parte di organismi sovranazionali finalizzati, da un lato, ad armonizzare le normative obbligatorie vigenti nei vari Paesi membri; dall’altro ad incentivare l’emanazione e l’adozione di norme ad adesione volontaria per quegli aspetti eccedenti le prescrizioni legali.

Si è quindi assistito alla nascita e allo sviluppo di forme certificative aventi carattere volontario e volte a fornire evidenza al mercato circa l’attenzione e l’importanza attribuita ad aspetti come la qualità di prodotti, processi o sistemi gestionali.

Sicuramente un ruolo primario nel mondo vasto ed articolato delle certificazioni volontarie è ricoperto da quelle aventi ad oggetto i Sistemi di Gestione per la Qualità, i cui requisiti sono stabiliti dalla norma internazionale UNI EN ISO 9001:2008; è questa, infatti, la norma che ha conosciuto un rapidissimo sviluppo e che risulta, al momento, la più adottata dalle imprese di tutto il mondo.

(5)

4

Certificare il proprio Sistema di Gestione per la Qualità consente all’impresa non solo un efficientamento della struttura organizzativa interna, ma anche di migliorare le relazioni con gli attori posti a monte e a valle della filiera e, in un’ottica più strategica, di ridefinire le regole del gioco competitivo e rafforzare il posizionamento all’interno del mercato.

Ma il cammino verso l’implementazione e mantenimento di un Sistema di Gestione come quello appena descritto non risulta privo di insidie: scopo principale di questo lavoro di tesi è quello di illustrare l’evoluzione del concetto di qualità ed introdurre la certificazione di Sistema, in modo da analizzare non solo i principali motivi e vantaggi che spingono sempre più le aziende ad intraprendere questa strada, ma anche gli aspetti più nebulosi e critici che possono comprometterne l’effettiva efficacia, soprattutto in un settore “sensibile” come quello alimentare.

In particolare questo studio cerca di fornire:

 un’idea sull’attuale significato del termine qualità, passando a chiarire la differenza esistente tra le varie accezioni che si sono succedute nel tempo;  una panoramica del processo di sviluppo della certificazione volontaria,

riportando brevemente alcuni dati relativi alle norme della serie ISO più adottate;

 una sintesi della struttura della norma UNI EN ISO 9001:2008, dettagliando i principali requisiti richiesti alle imprese per ottenere tale certificazione;

 una descrizione dei motivi e dei vantaggi sottostanti l’implementazione di un Sistema di Gestione come quello delineato dalla norma in oggetto;  un’analisi critica circa gli aspetti negativi della certificazione di Sistema. Con questi obiettivi si conclude la prima parte di questo lavoro, ossia quella che potremmo definire per lo più tecnica o didattica.

Nella seconda parte, invece, viene introdotto il caso aziendale con lo scopo di stabilire se gli effetti ottenuti dalla realtà in questione confermano quanto si è potuto apprendere dallo studio della letteratura sull’argomento.

(6)

5

La parte più operativa di questo studio si pone dunque le seguenti finalità:  introdurre l’azienda oggetto del case-study;

 analizzare i principali punti della norma la cui gestione risulta di primaria importanza visto il comparto in cui opera e la peculiarità delle attività che svolge;

 analizzare i risultati ottenuti grazie all’implementazione del Sistema di Gestione per la Qualità;

 interpretare le evidenze riscontrate in modo da effettuare riflessioni circa l’esistenza o meno di una coerenza di fondo tra la letteratura e quanto riscontrato da un’analisi “sul campo”.

Le informazioni riportate nella parte più didattica di questo lavoro sono state desunte dallo studio di materiale bibliografico reperito per lo più in rete e proveniente da fonti ufficiali.

Inoltre, grazie ai colloqui con il personale dell’Azienda oggetto di questo studio è stato possibile acquisire tutta la documentazione necessaria, come il manuale del Sistema di Gestione, le procedure, le istruzioni operative, i riesami della Direzione ed i bilanci d’esercizio.

(7)

6

1. INTRODUZIONE ALLA QUALITÀ

1.1 L’evoluzione degli approcci alla qualità

Il processo d’internazionalizzazione dei mercati e il conseguente aumento degli scambi in una realtà sempre più globalizzata, il venir meno degli strumenti protezionistici ed, anzi, gli interventi legislativi volti a favorire la libera circolazione delle merci, costituiscono i principali fattori che hanno contribuito a modificare il modo di fare impresa (AA.VV., 2004).

L’accesa competizione in un mercato dalle caratteristiche globali, oltre ad aver aperto le porte a nuove ed inaspettate opportunità per le aziende, ha generato anche una serie di problematiche: si pensi, da un lato, all’esigenza di rendere

omogenei i prodotti scambiati nel mondo, in modo da renderli realmente fruibili

per gli utilizzatori ed agevolare le transazioni; dall’altro, alla preoccupazione del legislatore verso un’omogeneità di tipo più qualitativo che progettuale, che vada cioè ad interessare aspetti di primaria importanza, quali la tutela della salute e della sicurezza.

Come saggiamente ricordato da Bischetti (2004) “La mondializzazione indica

l’esistenza di problematiche la cui risoluzione non è demandata ad un singolo Stato bensì ad appositi organismi internazionali oppure a forme di

cooperazione..”.

Dunque, per superare le difficoltà e garantire il rispetto degli imprescindibili obiettivi summenzionati, si sono resi necessari interventi da parte di una molteplicità di organismi, di matrice sia pubblica che privata, con lo scopo di emanare norme in grado di garantire la qualità, intesa in senso lato, e favorire così l’efficiente funzionamento del mercato. Essa, infatti, è divenuta una tematica di assoluta e primaria importanza nei mercati attuali, alla quale viene attribuito il merito di tener vivi la crescita e lo sviluppo (A. Tarabella, E. Gonnella, 2006).

(8)

7

Ma l’accezione attuale è soltanto il punto di arrivo di un percorso evolutivo che ha influenzato nel corso degli anni il modo delle aziende di concepire ed approcciarsi al tema.

Seguendo la definizione attualmente in uso e stabilita dallo standard UNI EN ISO 9000:2005, la qualità è “il grado in cui un insieme di caratteristiche

intrinseche soddisfa i requisiti”.

In altre parole, essa è data dall’insieme delle proprietà e delle caratteristiche che conferiscono al prodotto la capacità di soddisfare esigenze:

 espresse, come la richiesta esplicita di un servizio;

 implicite, che hanno cioè a che fare con requisiti comuni che ognuno si aspetta (come la pulizia);

 cogenti, ovvero definite ex lege.

A tale concetto si è però arrivati, come anticipato in precedenza, attraverso un intenso ed articolato processo di sviluppo, che negli anni ha forgiato in maniera significativa il modo d’intendere la qualità.

Nel corso del tempo, infatti, il termine ha assunto un significato sempre più ricco, andando di pari passo con il crescere dell’integrazione tra azienda e mercato: nei primi anni del ‘900 la qualità era concepita come idoneità all’uso ed era verificata attraverso un collaudo finale effettuato sul prodotto finito. In questa prima fase non si avevano margini di manovra per recuperi di efficienza ed il controllo era di tipo ex-post, per cui il prodotto qualitativamente non conforme veniva scartato, non senza conseguenti riflessi economici.

Verso la metà degli anni ’50 il focus si sposta sulla produzione, allo scopo di prevenire “a monte” la non conformità: nasce in questa fase il Controllo Qualità, un approccio che vede protagonista sempre il prodotto, ma che adotta una strategia di tipo ispettivo e che attribuisce il compito della verifica a soggetti deputati specificatamente a tale scopo.

Negli anni successivi il modo di approcciarsi alla qualità evolve nuovamente, andando ad interessare non più soltanto il prodotto, ma anche il processo che

(9)

8

porta alla realizzazione di quel prodotto: con lo sviluppo della cosiddetta

Garanzia della Qualità, infatti, tutti gli attori del processo risultano attivamente

coinvolti nella prevenzione dei difetti.

Un concetto sicuramente più totale e pervasivo della qualità inizia ad emergere verso gli anni Novanta con la filosofia della Qualità Totale, la cui attenzione non ricade più solo sui processi e i prodotti aziendali, ma allarga le vedute fino ad includere nel focus gli attori posti a monte e a valle della filiera con i quali l’azienda si relaziona: i fornitori ed i clienti.

Inoltre, i soggetti intraziendali coinvolti in questa nuova concezione della qualità non sono più solo coloro in grado di intervenire direttamente sul processo, influenzandone le caratteristiche, bensì tutti i rappresentanti delle funzioni.

Con la Qualità Totale l’approccio diventa sistemico e pro-attivo, favorendo il passaggio da un prodotto sufficientemente buono ad un prodotto e una produzione in continuo miglioramento grazie alla diminuzione dei difetti, delle scorte e, conseguentemente, dei costi.

Sulla scia della Qualità Totale nel Duemila si approda infine al cosiddetto Total

Quality Management, un modo di condurre ed orientare la gestione incentrato

sulla qualità e sulla partecipazione attiva di tutti i membri dell’organizzazione, finalizzato al successo di lungo periodo e basato sulla consapevolezza che esso possa essere ottenuto solo attraverso la customer satisfaction e la diffusione dei suoi benefici tra tutti i membri dell’organizzazione e la collettività (R. Mirandola, L. Bonechi, G. Carmignani, 2004).

In altre parole, il Total Quality Management può essere definito “un modo di

essere e pensare” che valica i confini aziendali, andando ad inserirsi in un

contesto in cui la relazione con gli stakeholder assume rilevanza strategica (A. Tarabella, E. Gonnella, 2006).

(10)

9

Nella figura seguente viene mostrata l’evoluzione nel tempo, dai primi anni del ‘900 fino ai giorni nostri, degli approcci al tema della qualità.

1.2 Qualità cogente e volontaria

E’ interessante notare come già dai primi anni Novanta, periodo d’affermazione e sviluppo della Qualità Totale, fosse diffusa l’idea di una qualità intesa in un’accezione piuttosto economica del termine; in altre parole essa veniva concepita come capacità di soddisfare le esigenze e le aspettative dei clienti nell’ambito di uno specifico rapporto contrattuale.

Ai giorni nostri, però, tale definizione appare ben poco esaustiva: oggi i clienti non si “accontentano” più di una qualità come quella appena definita, in quanto le esigenze da soddisfare si sono evolute notevolmente e con esse anche le regole del gioco competitivo.

In un contesto caratterizzato da repentini cambiamenti e da sempre nuove esigenze del mercato non vi è spazio per l’impresa che resta a guardare le mosse dei concorrenti; per non soccombere in uno scenario come quello appena delineato è fondamentale essere pro-attivi.

Collaudo Finale Controllo Qualità Garanzia della Qualità Qualità Totale Total Quality Management

(11)

10

Nell’ambito d’analisi oggetto del nostro studio è necessario che le aziende vadano pertanto a considerare ulteriori e molteplici sfaccettature della qualità, non relegandola nell’ambito di un semplice adempimento contrattuale, ma elevandola al rango di leva strategica che, se correttamente gestita, può essere la fonte di un vantaggio competitivo.

In virtù di questa nuova concezione della qualità e del potere ad essa riconosciuta come strumento per differenziarsi rispetto ai competitors si stanno sempre più diffondendo le certificazioni volontarie: si parla sempre più spesso, infatti, di qualità ambientale, di qualità del lavoro (intesa come salute e sicurezza dei lavoratori), di qualità delle informazioni, e così via.

Tutte queste accezioni della qualità possono essere racchiuse in una sola parola: la cosiddetta responsabilità sociale d’impresa, ossia quella forma mentis che stimola e favorisce la tensione verso l’eccellenza nello svolgimento delle attività aziendali, consentendo all’impresa di ottenere dei vantaggi e, allo stesso tempo, fornire benefici alle parti che direttamente o indirettamente interagiscono con essa.

Gli approcci appena menzionati hanno tutti carattere volontario e si sono diffusi e sviluppati, com’è ovvio, senza andare ad intaccare quegli obiettivi di ordine superiore cui il legislatore ha sempre dedicato una forte attenzione: parliamo infatti della qualità intesa come garanzia della tutela della salute e della sicurezza, regolamentata da normative di tipo cogente.

Sulla base di quanto premesso, possiamo dunque affermare che le esigenze che la qualità è chiamata a soddisfare possono avere carattere primario, finalizzate cioè a garantire la tutela della salute e della sicurezza, o carattere secondario, e riferirsi dunque ad aspetti non propriamente fondamentali per la salute, ma comunque importanti perché sempre più considerati dal cliente nelle proprie scelte d’acquisto.

Come prevedibile, a questi distinti livelli di priorità corrispondono tutele differenti: il rispetto delle esigenze fondamentali è garantito, come già accennato, attraverso la cosiddetta legislazione obbligatoria o cogente; mentre l’aderenza ai

(12)

11

principi di responsabilità sociale sopra richiamati è altamente favorita dall’adozione di vari standard, ad adesione volontaria, i cui requisiti non andrebbero gestiti separatamente, bensì inseriti in un unico Sistema di Gestione integrato che permetta di sfruttare i vantaggi derivanti dalle sinergie.

(13)

12

2. IL SETTORE ALIMENTARE

2.1 Le caratteristiche dei beni alimentari

L’esigenza di garantire la salute e la sicurezza dei consumatori è un aspetto particolarmente sentito soprattutto nel settore alimentare, e questo per ovvi motivi: si pensi, da un lato, alle caratteristiche intrinseche dei beni in questione e all’importanza che rivestono per la nostra salute; dall’altro, ai numerosi e tristi scandali che si sono succeduti negli anni e che hanno riguardato non solo la carne (si pensi al morbo della BSE o all’influenza aviaria), ma anche i prodotti ittici ed i prodotti di origine animale in genere (uova, miele..).

Secondo una classificazione ormai nota, i beni alimentari possono essere considerati beni esperienza, poiché le loro caratteristiche qualitative possono essere conosciute solamente dopo l’esperienza diretta del consumo. Inoltre, sempre più frequentemente, gli alimenti assumono alcune delle caratteristiche dei cosiddetti beni fiducia, nel senso che determinati aspetti non possono essere compresi con certezza neppure dopo averli consumati; si pensi ad esempio al contenuto di additivi e conservanti o al rispetto di determinati metodi e tecniche di produzione.

Un interessante esempio può essere fatto prendendo a riferimento i prodotti del mare: molto spesso, infatti, vengono rinvenuti in tali alimenti microrganismi e altri inquinanti, quali tossine o metalli pesanti, che risultano invisibili ad occhio nudo, ma i cui effetti possono portare a conseguenze anche piuttosto gravi per l’organismo umano.

Di fronte a situazioni di questo tipo, il cliente/utilizzatore non è in grado di giungere ad una valutazione precisa di quello che consuma; è solo la fiducia nei marchi, nelle informazioni di etichetta o in altri elementi che indirettamente evidenziano una certa reputazione del prodotto o del produttore, che il consumatore acquisisce informazioni e, di conseguenza, orienta le sue scelte di consumo.

(14)

13

In sostanza, nel mercato si verifica una distribuzione asimmetrica dell’informazione che crea da una parte, timore nei consumatori, dall’altra occasioni per comportamenti scorretti, i cosiddetti moral hazard, da parte di alcuni operatori di settore.

Per fronteggiare tali problematiche emerge con forza la necessità di mettere in campo strumenti idonei al controllo ed in grado di minimizzare il rischio di una perdita di benessere per la collettività.

I consumatori, infatti, in assenza di garanzie sulla qualità di ciò che acquistano, non riuscirebbero ad effettuare scelte consapevoli, rinunciando pertanto al consumo di tali beni proprio a causa dell’inadeguatezza delle informazioni ricevute: conseguenza di tutto questo sarebbe un appiattimento verso il basso della qualità e una riduzione del grado di varietà disponibile per le diverse categorie merceologiche (sito Ismea, 2006).

Emerge dunque con prorompenza la necessità di creare un clima positivo all’interno del mercato, in modo che sia l’impresa che i suoi clienti possano beneficiare dei frutti derivanti da un solido rapporto basato su rispetto e fiducia reciproci.

2.2 Scandali alimentari nel comparto ittico

Abbiamo già accennato a come la realtà del comparto alimentare sia tristemente caratterizzata da numerosi scandali che hanno interessato i più svariati prodotti; per quanto riguarda il settore ittico, all’interno del quale opera la realtà aziendale che più avanti verrà esaminata, sono storia di quest’anno:

 le quasi 22 tonnellate di prodotti ittici non idonei al consumo sequestrate dal reparto operativo della Guardia di Finanza di Venezia, nel corso di controlli in ditte di commercializzazione e lavorazione di pesce. A Stentia, in particolare, in celle frigorifere di stoccaggio sono state scoperte 20 tonnellate di prodotto scaduto, in particolare polpi, pesce azzurro, gamberi e molluschi (dal sito ansa).

(15)

14

 L’Operazione “Spring Fish”, con 26 tonnellate di prodotti ittici sequestrate; si è trattato di un’operazione coordinata dalla direzione marittima di Genova, volta a verificare l’osservanza della normativa comunitaria e nazionale nella vendita di prodotti ittici. Dalle attività d’ispezione è stata rinvenuta merce con etichettatura non conforme e pesce di qualità inferiore spacciato come pregiato, anche in occasione delle festività pasquali, quando aumenta la domanda di pesce (dal sito youreporternews).

 Le 4 tonnellate di prodotti ittici sequestrati, con 55 violazioni scoperte per quasi 75000 € di sanzioni comminate, nonché 8 denunce penali, risultato di una complessa operazione, denominata “Swordfish”, eseguita dalla Guardia Costiera della Direzione Marittima della Toscana, mirata alla tutela dei consumatori e delle risorse della pesca. Da una di queste ispezioni, in un ingrosso della provincia di Firenze, precisamente a Cerreto Guidi, condotta dagli uomini della Guardia Costiera con la collaborazione del personale veterinario dell’ASL 11 di Empoli, sono stati rinvenuti oltre trenta quintali di prodotto ittico non idoneo. La merce, per la maggior parte formata da acciughe e sarde sotto sale, baccalà e gamberi, è stata sottoposta a fermo sanitario con divieto d’immissione sul mercato, a causa di fondati sospetti di non conformità alla normativa in materia di sicurezza alimentare. In particolare, i prodotti presentavano date di scadenza e termini minimi di conservazione ampiamente superati e si presentavano in cattivo stato di conservazione. Inoltre, in un ingrosso di campi Bisenzio, nella provincia di Firenze, gestito da imprenditori di nazionalità cinese, sono stati rinvenuti 300 chili di prodotto ittico congelato riportante etichettature false. Le indagini, eseguite in compartecipazione con il personale del Servizio AUSL 10 di Firenze, hanno accertato la vendita di pesce coltello con il nome di pesce sciabola, una denominazione che rende il prodotto più vendibile sul mercato al dettaglio, a scapito dell’ignaro consumatore (dal sito gonews).

(16)

15

 Le 11 tonnellate di pesce adulterato, potenzialmente avariato e comunque trattato con agenti chimici proibiti per legge, sequestrato nella zona di Arezzo nel maggio di quest’anno. Parte del prodotto è stato ritirato direttamente dai banconi di super ed ipermercati, denunciando così la possibilità che possa essere giunto sulle tavole di qualche consumatore ignaro di tutto. Nello specifico trattasi di prodotto ittico sottoposto a processo di decongelazione attraverso un mix di prodotti chimici (acqua ossigenata, acido fosforico e acido citrico) in grado di nascondere la qualità inferiore ed al tempo stesso esaltarne la freschezza; una truffa che consentiva così di commercializzarlo proprio come prodotto fresco (dal sito La Nazione).

Per dare un’idea sulla portata del fenomeno si segnala che dal 2012 ad oggi sono stati complessivamente sequestrati circa 202 tonnellate di pesce ed alimenti vari. Questi interventi confermano l’esistenza di un vasto commercio di prodotti ittici ed alimentari in genere, surgelati e non, in cattivo stato di conservazione o scaduti, che vengono immessi fraudolentemente in consumo, in danno ai consumatori, ma anche agli imprenditori onesti che operano nel rispetto delle regole.

In particolare i problemi riconducibili a false etichettature e dubbia tracciabilità dei prodotti rappresentano il 72% delle irregolarità emerse dall’attività di vigilanza ed ispezione, facendo emergere, pertanto, la necessità di un controllo quanto più specifico e sistemico su tali aspetti (dal sito legambiente).

2.3 La qualità alimentare come bene pubblico: la necessità di una

regolamentazione obbligatoria

Come accennato, l’asimmetrica distribuzione dell’informazione tra gli attori che prendono parte alle transazioni costituisce una delle principali problematiche dei mercati attuali; in sostanza, potremmo affermare che la qualità dei prodotti alimentari può essere considerata un bene pubblico e come tale ha bisogno di

(17)

16

tutele da parte di una terza parte indipendente in grado di controllare quanto scambiato (A. Vastola, 1994).

Per rassicurare i consumatori sulla qualità di ciò che portano sulle proprie tavole è necessario, dunque, l’intervento del soggetto pubblico, il cui compito è quello di garantire il perseguimento di alcuni obiettivi di primaria importanza, tra cui:

 la tutela della sicurezza igienico-sanitaria;

 la garanzia della correttezza e trasparenza dell’informazione;  il miglioramento dell’efficienza delle transazioni;

 la differenziazione dei prodotti.

La sicurezza igienico-sanitaria dei beni destinati direttamente o indirettamente

all’alimentazione umana rappresenta un obiettivo la cui rilevanza è facilmente intuibile, visto l’impatto potenziale che questi prodotti possono avere sulla salute di chi li consuma. Per conseguire quest’obiettivo l’operatore pubblico detta un insieme di regole con riguardo sia alle modalità di svolgimento dei processi produttivi, sia all’insieme dei requisiti che i prodotti devono possedere al momento della loro immissione sul mercato, prevedendo inoltre le relative modalità di controllo.

Affinché possa essere perseguito il secondo scopo, ovvero garantire la

correttezza e la trasparenza dell’informazione, il soggetto istituzionale definisce

sia la quantità che la qualità delle informazioni che devono essere rese ai consumatori, con particolare attenzione alla nomenclatura commerciale dei prodotti e agli attributi più direttamente connessi al benessere fisico.

In particolare tale azione si realizza su tre fronti:

 intervenendo ex-ante, attraverso la definizione delle denominazioni dei prodotti (es. la fissazione dei requisiti che un prodotto deve avere per poter essere immesso al consumo come “yogurt” o come “olio extravergine di oliva”), ma anche ex-post, con gli interventi diretti a punire le frodi alimentari;

(18)

17

 dettando norme che identifichino con chiarezza le informazioni che le imprese devono fornire su alcuni attributi dei prodotti alimentari, in particolare per quelli di tipo fiducia. Un tipico esempio è rappresentato dalle normative sull’etichettatura (labelling), che possono prevedere l’obbligo da parte delle imprese di indicare aspetti quali peso, ingredienti, la conservabilità, la composizione nutrizionale;

 incentivando la realizzazione di azioni pubbliche di formazione ed educazione alimentare, in modo da aumentare la capacità d’interpretazione e di elaborazione da parte dei consumatori delle informazioni acquisite sul mercato, anche grazie agli obblighi di etichettatura.

Rientra inoltre nella competenza del soggetto pubblico il miglioramento

dell’efficienza delle transazioni, traguardo che può essere raggiunto grazie alle

classificazioni dei vari livelli di qualità di determinati prodotti, con riferimento ad alcune caratteristiche “di base” che siano omogenee e condivise tra tutti gli operatori delle filiere, anche al di là dei confini nazionali.

Gli interventi di questo genere prevedono la predisposizione di griglie per valutare ed identificare fin da subito determinati attributi dei prodotti alimentari, in modo da favorire la comprensione della loro qualità. Si pensi, ad esempio, che in campo ittico il prodotto viene suddiviso in quattro categorie merceologiche (Extra, A, B e Non Ammesso), rendendo sicuramente più agevole l’identificazione del livello qualitativo e, conseguentemente, la transazione commerciale.

Infine, ma non meno importante, un obiettivo delle politiche pubbliche che negli ultimi anni ha acquistato sempre maggiore importanza riguarda la predisposizione di normative specifiche in grado di facilitare la segnalazione da parte delle imprese di determinate caratteristiche qualitative in grado di

differenziare i prodotti; si pensi al metodo di produzione biologico e ai suoi

(19)

18

2.4 Convergenze normative nell’era della globalizzazione

Nell’epoca della globalizzazione dei mercati una delle principali criticità da affrontare ha a che fare con la compatibilità internazionale delle norme che regolano la qualità dei prodotti alimentari.

L’armonizzazione delle politiche pubbliche, in particolare su aspetti quali la sicurezza igienico-sanitaria, le denominazioni merceologiche, l’etichettatura e la normalizzazione dei prodotti rappresenta un obiettivo primario e imprescindibile per favorire lo sviluppo del commercio internazionale.

L’Unione Europea infatti, in vista della realizzazione del mercato unico, ha dovuto affrontare con urgenza i problemi di armonizzazione delle normative previgenti nei diversi Stati membri.

L’approccio seguito è stato quello del cosiddetto “doppio binario”, definendo cioè due distinti livelli d’intervento (Gaeta, 1997):

 il primo è rappresentato dalla normativa cogente, con cui l’Unione emana attraverso Direttive un insieme di norme obbligatorie in tutti gli Stati membri, al fine di tutelare uniformemente tutti i consumatori europei su un insieme di requisiti ritenuti minimi ed essenziali (sicurezza, etichettatura, salubrità);

 il secondo s’ispira ai principi del mutuo riconoscimento e del rinvio alle norme: tale approccio prevede che, da un lato, s’invitino i vari Paesi comunitari a riconoscere i prodotti e i metodi di fabbricazione degli altri Stati partner (purché assicurino il rispetto dei requisiti essenziali previsti dalla loro normativa interna); dall’altro s’incentivino ad applicare norme volontarie elaborate da Enti privatistici di normazione.

Accanto agli interventi vengono poi stabiliti i relativi controlli, caratterizzati anch’essi da alcune differenze sostanziali: nel caso delle norme obbligatorie, infatti, è previsto sia un sistema di controllo pubblicistico che un sistema

sanzionatorio variamente articolato; mentre nella fattispecie della normazione

(20)

19

accreditati, accompagnato da un sistema di segnalazione basato su marchi di

conformità.

2.5 La normativa cogente applicabile al settore alimentare

Una delle priorità di oggigiorno è quella di garantire le caratteristiche d’igienicità e di sicurezza alimentare degli alimenti, in modo da renderne sicuro il consumo.

Il nostro Paese ha da sempre perseguito l’obiettivo di uno sviluppo economico che non fosse disgiunto da quello primario e fondamentale della tutela della salute. Il motivo di tale impostazione risiede nella piena consapevolezza da parte dell’attore pubblico che la tutela del benessere non sia un valore aggiunto, bensì l’elemento indispensabile per garantire, attraverso la certezza di un livello igienico elevato, un rapporto di credibilità tra produzione alimentare e consumo.

Questa mentalità ha trovato conferma nelle scelte che nel tempo si sono sviluppate e realizzate in sede europea.

Inoltre, gli scalpori che hanno interessato il comparto alimentare negli ultimi anni hanno dimostrato che la sicurezza dei prodotti alimentari, oltre ad interessare il consumatore, è anche alla base del corretto funzionamento del mercato. Le emergenze sanitarie ed alimentari, verificatesi in alcuni Paesi dell’Unione Europea, hanno evidenziato come l’assenza di un adeguato livello di sicurezza ponga di fatto qualunque prodotto al di fuori del mercato, comportando gravi perdite economiche per i produttori.

Risulta evidente, pertanto, la necessità di intervenire “a monte” con idonee regolamentazioni atte a scongiurare situazioni che possano compromettere la salute dei consumatori e, al tempo stesso, la sopravvivenza delle imprese.

Attualmente la normativa cogente applicabile al settore alimentare, dunque anche al comparto ittico, poggia le basi essenzialmente sul Regolamento CE 178/2002, sul cosiddetto Pacchetto Igiene e sulle norme vigenti in materia di etichettatura.

Il Regolamento CE 178/2002 rappresenta il punto di arrivo di un percorso partito con il Libro Verde prima (1997) ed il Libro Bianco poi (2000), volto a

(21)

20

riconoscere la primaria importanza della protezione del consumatore e della tutela della sua salute; in particolare esso ha dettato le nuove linee per la legislazione alimentare mettendo in risalto i concetti di tracciabilità e

rintracciabilità e, più in generale, il ruolo dell’informazione dei consumatori come mezzo efficace per la loro tutela. Un’ulteriore novità introdotta con tale

Regolamento riguarda l’obbligatorietà per gli Operatori del Settore Alimentare

(OSA) di adottare i principi previsti dall’HACCP.

I recenti sviluppi della normativa comunitaria in materia igienico-sanitaria tendono infatti a favorire il passaggio da un approccio tradizionale, basato sulla fissazione da parte dell’operatore pubblico sia degli obiettivi che degli strumenti per raggiungerli, a un approccio di tipo moderno, in base al quale vengono definiti solo i fini, lasciando alle imprese il compito di sviluppare i mezzi ritenuti più idonei per conseguirli.

Naturalmente resta ferma la previsione di adeguati controlli da parte dell’operatore pubblico volti a verificare sia la congruità dei mezzi sviluppati dalle singole imprese che i risultati raggiunti.

Il passaggio dall’approccio tradizionale a quello moderno sposta il focus dal

prodotto al processo: prima si trattava solo di un controllo finale, caratterizzato

dall’analisi a posteriori del prodotto e volto a verificare la sua rispondenza agli standard prefissati dall’operatore pubblico; adesso invece si applica una logica di tipo feed-forward, ossia basata sul monitoraggio continuo del processo di produzione attraverso il metodo HACCP, affiancato, ove necessario, anche da una successiva verifica effettuata sui prodotti.

2.6 Verso il concetto di autocontrollo: il metodo HACCP

L’Hazard Analysis and Critical Control Points (HACCP), tecnica nata negli USA intorno agli anni ’60 e divenuta obbligatoria per gli Operatori del Settore Alimentare (OSA), si basa su un approccio di tipo preventivo, documentato e sistematico. Le sue linee-guida s’ispirano ai principi enunciati nel

(22)

21

CodexAlimentarius, un insieme di regole e normative elaborate dalla CodexAlimentariusCommission, istituita nel 1963 con lo scopo di proteggere la

salute dei consumatori e assicurare la correttezza degli scambi internazionali (dal sito wikipedia).

L’approccio HACCP nasce dall'esigenza di garantire la salubrità delle preparazioni alimentari passando da un controllo a valle del processo produttivo (controllo ex-post), e quindi sul prodotto finito, a un controllo del processo in ogni sua fase (controllo in corso di marcia), individuando i rischi che possono inficiare la sicurezza degli alimenti e adottando misure per tenerli sotto controllo.

Secondo i dettami di questo metodo, “pericolo” è qualcosa di assolutamente inaccettabile perché può rendere un alimento non sicuro per il consumo umano e causare, dunque, un danno al consumatore: può trattarsi di un agente biologico, chimico o fisico, ma può anche riguardare una caratteristica intrinseca del bene o una sua condizione.

A titolo d’esempio, basti pensare che una scorretta temperatura di conservazione di un alimento può essere un pericolo e come tale deve essere gestito e monitorato. Nella realtà che prenderemo in esame nel prosieguo della trattazione, infatti, un tipico Critical Control Point (CCP) è costituito proprio dal mantenimento delle temperature adeguate a seconda dello stato del prodotto ittico ( ≥-18° per il congelato, tra 0° e 4° per il fresco, secondo quanto previsto dal piano interno aziendale).

Tornando alle definizioni, con il termine “rischio” s’intende, invece, la probabilità di manifestazione dell’evento sfavorevole: si tratta di un dato statistico che deve essere prima di tutto considerato, poi valutato e infine correttamente gestito con riferimento a ciascun pericolo individuato.

Accanto al sistema HACCP esistono altri sistemi di controllo qualità per garantire la sicurezza dei prodotti alimentari:

 le pratiche di buona fabbricazione o GMP (Good Manufacturing Practices), che fanno riferimento a condizioni e procedure di lavorazione

(23)

22

che, sulla base di una lunga esperienza, si sono dimostrate in grado di offrire qualità e sicurezza costanti;

 gli standard di assicurazione della qualità, come ad esempio la conformità agli standard istituiti dalla International Organization for Standardization. L’evoluzione dell’approccio alla qualità, come già evidenziato, ha implicato anche un diverso modo di condurre le verifiche da parte delle pubbliche autorità: nell’approccio tradizionale il controllo si sostanziava in verifiche ispettive degli stabilimenti di produzione ed in controlli analitici dei prodotti al fine di verificare la loro compatibilità con gli standard; l’approccio moderno poggia invece le basi sull’imposizione di obblighi di autocontrollo a carico delle imprese, con evidenti risparmi sui costi del controllo a carico delle autorità.

Una volta che l’autorità ha controllato la corretta implementazione dei sistemi di autocontrollo aziendale, infatti, le successive verifiche possono avere carattere prevalentemente documentale e concentrarsi sul materiale relativo alle attività di autocontrollo effettuate dall’impresa.

In ogni caso è opportuno sottolineare che resta ferma la necessità per l’azienda di mantenere un adeguato sistema di standard e indicatori, sia di obiettivo che di prestazione, per l’analisi gestionale interna.

(24)

23

3. LO SVILUPPO DEGLI STANDARD SU BASE

VOLONTARIA

3.1 Gli attori della normazione

L’importanza avvertita dalle imprese di pensare ed agire in ottica sistemica e di processo, le “spinte” statali volte a favorire l’elaborazione di norme armonizzate ad adesione volontaria, la maggior attenzione dei consumatori nei confronti di ciò che acquistano e l’importanza attribuita a fattori come qualità, ambiente e sicurezza sono i principali fattori che hanno portato a sviluppare standard di per sè volontari, ma che di fatto si stanno rivelando sempre più propedeutici alla competizione in un mercato in continua evoluzione.

Il mondo degli standard volontari è estremamente vasto ed articolato, ma un ruolo di cruciale importanza è sicuramente rivestito dalle norme elaborate da un autorevole attore della normazione, l’ISO (l’organizzazione internazionale per la standardizzazione).

Tale organizzazione, non governativa, è infatti la più importante a livello mondiale per la definizione di norme tecniche ed è composta dalle rappresentanze di organismi di standardizzazione nazionali.

Per poter accogliere le norme elaborate dall’ISO nel contesto prima europeo e poi italiano, è necessario l’intervento di altri due attori della normazione:

 il CEN (Comitato Europeo di Normazione), che ha lo scopo sia di produrre norme proprie che di armonizzare quelle prodotte a livello nazionale o sovranazionale;

 l’UNI, ossia l’ente Italiano di Unificazione, che svolge anch’esso sia attività normativa che attività di rappresentanza dell’Italia ai lavori degli organismi sovranazionali.

Compito di tali Enti, conosciuti anche come Organismi di Unificazione o di

Standardizzazione, è quello di definire le norme in base alle quali verranno

(25)

24

3.2 Gli organismi deputati al rilascio delle certificazioni

Accanto a questi organismi operano poi altri soggetti, denominati Enti di

Certificazione (ne sono un esempio SGS, BUREAU VERITAS, DNV, RINA,

IQNET, CERMET), ovvero organismi di terza parte indipendenti sia dal cliente e/o dalle diverse parti interessate, sia dall’organizzazione oggetto di verifica, con il compito di valutare la conformità di un Sistema di Gestione/prodotto/servizio in riferimento ad un definito e riconosciuto standard.

Tali organi rilasciano le certificazioni a seguito dell’esito positivo della verifica ispettiva, la quale viene preceduta sempre e comunque da un esame della documentazione presente in azienda.

La certificazione non è altro che l’attestazione oggettiva dell’esistenza di determinati fatti e condizioni sancite dalla norma; esprime dunque la qualità e per essere valida deve essere rilasciata da un organismo competente e meritevole di fiducia.

Essa può avere ad oggetto:

 un prodotto: in questo caso l’ente verifica che i prodotti messi in commercio siano conformi a norme specifiche emanate per quel singolo prodotto o per quella categoria merceologica;

 il personale: qui l’obiettivo consiste nell’appurare che la risorsa umana possieda le caratteristiche d’istruzione, esperienza e formazione idonee a svolgere certe mansioni (es. auditor, progettisti, consulenti);

 un sistema di gestione: in questo caso l’organismo di certificazione verifica che l’organizzazione operi conformemente ai requisiti degli standard gestionali quali UNI EN ISO 9001, UNI EN ISO 14001, OHSAS 18001 e SA 8000.

(26)

25

3.3 L’audit dei Sistemi di Gestione

Una norma su cui è opportuno spendere qualche parola è la UNI EN ISO 19011:2012, perché fornisce indicazioni e linee guida in merito alla conduzione degli audit sui Sistemi di Gestione.

Essa indica non solo i principi e le modalità di pianificazione e gestione dei programmi di audit, ma anche come valutare le persone coinvolte in tale processo.

Lo standard è applicabile a qualsiasi organizzazione che abbia l’esigenza di condurre audit interni o esterni su Sistemi di Gestione o di gestire un programma di audit; inoltre essa può rivelarsi, limitatamente agli audit di terza parte, un importante riferimento in concomitanza con la norma UNI CEI EN ISO/IEC 17021, sui requisiti degli organismi che forniscono audit e certificazione di Sistemi di Gestione.

I requisiti stabiliti dalla norma valgono, dunque, per tutti i tipi di audit ma non configurano certificazioni.

Ricordiamo a tal proposito che l’audit è considerato uno strumento di gestione

comprendente una valutazione sistematica, documentata, periodica ed obiettiva dell’efficienza dell’organizzazione, del Sistema di Gestione e dei processi destinati alla protezione dell’ambiente al fine di facilitare il controllo di gestione e valutarne la conformità alle politiche aziendali.

La parola deriva dal latino audire, cioè ascoltare ed è entrata nell’uso comune a metà degli anni ’90 dopo la mediazione con l’inglese.

La valutazione che viene fatta dall’auditor possiede delle caratteristiche precise:  è sistematica, perché si basa su elementi costanti e segue un metodo con

tempi, persone e strumenti che deve essere ripetibile e i risultati confrontabili nel tempo;

 è periodica, in base a quanto stabilito dalla norma che regola la certificazione;

(27)

26

 è obiettiva, perché l’auditor deve essere indipendente sia dalla società di appartenenza sia da quella verificata. La formazione dell’auditor mira a creare uno stesso modo di vedere basato sull’evidenza, in modo da far arrivare auditor diversi a conclusioni simili in condizioni simili. Se l’auditor nota qualcosa deve segnalarlo subito e può rivedere il rapporto di audit se ha scritto qualcosa di sbagliato;

 è documentata, perché accompagnata da documenti che formalizzano e riportano evidenza di quanto ispezionato.

E’ opportuno ricordare che l’unico audit che può dar luogo alla certificazione, al suo mantenimento o al suo rinnovo, è quello di terza parte.

Esistono, infatti, tre differenti tipologie di audit:

 di prima parte, ossia la verifica ispettiva interna, svolta da personale interno o da consulenti esterni. Non ha conseguenze applicative e non è vincolante. Viene effettuato per il riesame da parte della Direzione e per altri fini interni, dall’organizzazione stessa o per suo conto. Può costituire la base per una autodichiarazione di conformità da parte dell’organizzazione;

 di seconda parte, ovvero un audit esterno condotto da chi ha un interesse nell’organizzazione, quali i clienti o altre persone per conto degli stessi. Qui l’auditor è ingaggiato dal cliente (in particolare nei settori moda e alimentare) e l’esito negativo del processo di verifica può anche dar luogo alla risoluzione di rapporti contrattuali per inadempienza;

 di terza parte: è la verifica dell’ispettore esterno che produce la certificazione, vincola totalmente ed è necessaria per mantenere certificata la propria realtà aziendale. Il report di audit è obbligatorio e le condizioni per l’effettuazione dell’audit sono il riesame della Direzione ed il ciclo di verifiche ispettive complete su tutto il Sistema.

Il processo di audit offre numerosi vantaggi perché permette non solo di rilevare le non conformità esistenti, ma anche di mettere meglio a fuoco determinati

(28)

27

aspetti della gestione che, se non correttamente individuati e gestiti, potrebbero provocare futuri malfunzionamenti del Sistema.

E’ necessario però ricordare che, secondo quanto previsto dalle suddette norme, il lavoro dell’auditor (di terza parte) deve avere un obiettivo circostanziato, limitato cioè solo a dichiarare la non conformità o l’eventuale osservazione/raccomandazione, senza spingersi fino alla proposta di soluzioni per far fronte al problema.

La visione del revisore così come concepita dalla norma che ne disciplina l’operato appare però in forte contrasto con le richieste dei clienti: da una recente indagine condotta dall’osservatorio Accredia in collaborazione con il Censis risulta, infatti, come un elevato numero d’imprese oggetto del campione preferirebbe un audit i cui elementi in uscita vadano oltre l’individuazione delle criticità, spingendosi fino alla proposta di azioni correttive e/o preventive da porre in essere nell’ambito di un rapporto più relazionale con l’Ente chiamato a certificare (sito Accredia, 2013).

La frequenza degli audit è stabilita dall’Alta Direzione, fermo restando il fatto che un’azienda certificata è tenuta ad effettuarne almeno uno all’anno per il mantenimento ed uno ogni tre anni per il rinnovo della certificazione. Dal processo di audit possono scaturire:

 raccomandazioni maggiori, che scattano solo quando l’auditor si accorge che la non conformità è relativa ad un obbligo di legge o quando non è rispettato uno dei requisiti dalla 9001. Ci deve essere, quindi, una carenza indicante l’assenza e/o l’errata implementazione di una parte significativa di uno o più elementi del Sistema di Gestione;

 raccomandazioni minori, in tal caso il malfunzionamento non è così grave, regole e requisiti sono rispettati ma le applicazioni hanno esito non soddisfacente. Può accadere che singoli elementi del Sistema di Gestione non siano correttamente implementati anche se nel complesso il Sistema è sostanzialmente conforme alla norma;

(29)

28

 osservazioni, che fanno riferimento a mancanze relative a dettagli (es. firma su una tabella pulizia); è una situazione dalla quale potrebbe scaturire una non conformità, oppure può essere semplicemente un aspetto che necessita di ulteriori chiarimenti.

Gli auditor devono svolgere il proprio lavoro tenendo sempre in considerazione alcuni importanti principi:

 indipendenza dall’organizzazione oggetto dell’audit;

 integrità, intesa come onestà, diligenza, ma anche responsabilità e rispetto delle leggi;

 competenza;

 presentazione imparziale, veritiera e corretta di risultati, conclusioni e rapporti;

 professionalità, diligenza e giudizio nello svolgimento dell’audit;

 riservatezza e discrezione nell’uso e nella protezione delle informazioni acquisite;

 approccio basato sull’evidenza, ossia sulla verificabilità dei risultati.

3.4 Il logo Accredia come forma di garanzia

Affinché la qualità del lavoro svolto dai certificatori risulti garantita interviene un ulteriore soggetto, l’Ente di Accreditamento, organo nazionale e indipendente che accredita, appunto, l’operato degli Organismi deputati al rilascio delle certificazioni, verificando l’osservanza di determinati e riconosciuti standard. E’ opportuno precisare che possono esistere anche Enti di Certificazione non accreditati; anche se risulta evidente la maggior sicurezza derivante dall’accreditamento, essendo questo garanzia d’imparzialità, indipendenza, correttezza e competenza.

Dal 2009 Accredia è l’unico organo nazionale autorizzato dallo Stato Italiano a svolgere l’attività di accreditamento, ha sostituito numerosi enti quali SIT, Sinal e Sincert ed è vigilato dal Ministero dello Sviluppo Economico.

(30)

29

Compito di Accredia è quello di valutare la competenza tecnica e l’idoneità professionale degli operatori di valutazione della conformità, al fine di assicurare il valore e la credibilità delle certificazioni.

Gli schemi di accreditamento sono relativi a qualità, ambiente, energia, salute e sicurezza sul lavoro, sicurezza delle informazioni, sicurezza alimentare, prodotti/servizi, personale, dichiarazioni ambientali di prodotto; inoltre sono certificate anche numerose figure professionali quali auditor, progettisti, responsabili di sistemi di gestione e consulenti.

I soggetti accreditati utilizzano il logo Accredia come prova tangibile dell’accreditamento conseguito, che offre garanzie ufficiali incontestabili.

A loro volta, i clienti dei soggetti accreditati si avvalgono del marchio di accreditamento riportato sul loro rapporto di prova o certificato in abbinamento al marchio del laboratorio o organismo competente come testimonianza inconfutabile del loro rispetto per le norme.

Accredia partecipa agli accordi di mutuo riconoscimento, i quali assicurano la validità e la credibilità dell’accreditamento a livello internazionale per il soggetto accreditato che può così operare efficacemente anche nel mercato internazionale.

Dal 1° luglio del 2011 il marchio è a regime per tutti i soggetti accreditati; prima hanno potuto utilizzarlo organismi di certificazione e ispezione ed i laboratori di prova, in seguito anche i laboratori di taratura.

L’Ente di accreditamento svolge una costante azione di sorveglianza dei soggetti accreditati in termini di rispetto delle regole, mantenimento e miglioramento della qualificazione e aderenza all’etica professionale.

I provvedimenti sanzionatori, di diversa gravità, sono adottati verso i soggetti inadempienti e sono resi pubblici online e su registri.

La sanzione è essenziale per non compromettere l’affidabilità dell’attività di valutazione.

(31)

30

L’accreditamento è un processo trasparente che genera benefici per tutto il sistema:

 per le istituzioni e la Pubblica Amministrazione è uno strumento sicuro che supporta il controllo degli operatori di mercato e consente di ridurre la burocrazia;

 per le imprese funziona come un plus competitivo, contribuendo inoltre alla produttività e alla gestione dei rischi;

 per il consumatore è garanzia dell’affidabilità della certificazione.

(32)

31

3.5 Il processo normativo

Con il termine “norma” si fa riferimento alla “specifica tecnica approvata da un

organismo riconosciuto a svolgere attività normativa per applicazione continua e ripetuta e la cui osservanza non sia obbligatoria” (Reg. UE 1025/2012).

Deve appartenere a una delle seguenti categorie: ISO (norma internazionale), EN (norma europea), UNI (norma nazionale) e possedere le seguenti caratteristiche:

 consensualità;  democraticità;  trasparenza;  volontarietà.

Le norme nascono su input del mercato che, avvertendo l’esigenza di un riferimento ufficiale che regoli un certo aspetto, richiede all’organismo di normazione la messa allo studio di un progetto di norma.

Si avvia un processo in quattro fasi adottato in tutto il mondo:

1. messa allo studio: l’ente di normazione conduce uno studio di fattibilità, prendendo in considerazione la situazione del mercato, le necessità normative ed i potenziali benefici;

2. stesura del documento: viene condotta da un organo tecnico strutturato in gruppi di lavoro di esperti coordinati dall’Ente di Normazione. Gli esperti rappresentano le parti economiche e sociali interessate e definiscono i contenuti della norma. La discussione, anche in remoto, della bozza di norma ha come obiettivo l’approvazione consensuale della struttura e dei contenuti tecnici;

3. inchiesta pubblica: il progetto di norma approvato è reso disponibile al mercato, segue la raccolta di consensi e commenti. Per inviare commenti al CEN o all’ISO è necessario passare attraverso l’UNI;

4. pubblicazione: giunti a quest’ultima fase si ha la versione definitiva che tiene conto delle osservazioni pervenute.

(33)

32

Nel caso di norme UNI il progetto finale è esaminato dalla Commissione centrale tecnica per l’approvazione; mentre nel caso di norme EN e ISO il progetto è sottoposto al voto degli organismi nazionali al fine di essere ratificato e pubblicato.

A livello europeo ogni membro ha l’obbligo di recepire la norma EN e ritirare quella nazionale, qualora esistente, sul medesimo argomento.

A livello nazionale l’attività normativa vera e propria nonché il supporto a quella di CEN e ISO è svolta dai seguenti organi tecnici:

 Commissione Centrale Tecnica, la quale sovrintende ai lavori di normazione deliberando, previo controllo del Gruppo settoriale competente, sui progetti di norma tecnica nazionale presentati o predisposti dalla singole commissioni tecniche.

 Gruppi Settoriali, che esaminano i progetti di norma tecnica nazionale predisposti dalle commissioni tecniche UNI e dagli enti federati.

 Commissioni Tecniche costituite sia presso l’UNI sia presso gli Enti Federati, ovvero organi nazionali con il dovere di predisporre ed elaborare progetti di norma tecnica nei settori di rispettiva competenza.

La partecipazione all’attività normativa è importante per influire sulla definizione dei contenuti e non subire quelli stabiliti dai concorrenti, essere informati sugli sviluppi futuri in modo da porre le basi per un vantaggio competitivo, essere aggiornati sullo stato dell’arte, per ridurre i costi della ricerca ed i rischi ad essa connessi

3.6 Pro e contro della normazione volontaria

Non è possibile individuare un’unica motivazione che abbia spinto gli operatori privati a ricercare una strada alternativa a quella offerta dall’autorità pubblica, piuttosto si tratta dell’interazione di più fattori, la maggior parte dei quali è espressione di vantaggi, o comunque di riflessi positivi, in termini economici.

(34)

33

Nel vasto aggregato dei benefici conseguibili, un ruolo importante è sicuramente giocato da quelli a favore delle aziende: esse infatti, grazie alla razionalizzazione delle attività e all’unificazione dei servizi che tali approcci consentono, possono ottenere significativi risparmi di costo e mantenere dunque una struttura caratterizzata da buoni livelli di efficienza.

Un ulteriore elemento che ha favorito la proliferazione degli standard privati è la possibilità di ottenere un migliore coordinamento all’interno della filiera mediante la standardizzazione e la normalizzazione delle caratteristiche dei prodotti, così da poter operare in modo più sicuro su aree sempre più grandi, valicando i confini nazionali (Henson e Reardon, 2005).

Ma non solo, la sempre più diffusa implementazione di queste norme contribuisce, in senso lato, allo sviluppo dell’economia: la garanzia della conformità dei prodotti alle norme nazionali dei Paesi cui il prodotto è destinato e l’eliminazione degli ostacoli tecnici rendono, infatti, più agevoli e sicuri gli scambi.

Un ulteriore beneficio è poi dato dal miglioramento della comunicazione tra clienti e fornitori, aspetto anch’esso che in molti casi può facilitare la stipula di contratti.

Infine, questi standard forniscono sia un importante supporto al legislatore, che può così delegare la definizione dei requisiti tecnici all’Ente di normazione, sia un importante contributo alla tutela della sicurezza e dell’ambiente, alla

sicurezza dei lavoratori e del prodotto, alla gestione ambientale.

Nonostante i tanti aspetti positivi, occorre sottolineare la presenza di alcuni elementi critici che, però, non hanno ostacolato la rapida diffusione degli standard privati tra le imprese della filiera alimentare.

L’elevato numero di schemi certificativi introdotti sul mercato negli ultimi anni ha reso difficoltoso, sia per i consumatori che per gli operatori di settore, riuscire ad identificare con chiarezza l’insieme degli attributi garantiti da ogni standard, creando così un disorientamento generale ed un diffuso senso di confusione.

(35)

34

Agli occhi dei consumatori questo proliferare di standard ha creato un’eccessiva offerta d’informazioni, il più delle volte difficilmente apprezzabili a causa o del basso livello qualitativo o dell’eccessiva connotazione scientifica, che si è tradotta in un aumento dei costi di ricerca e, conseguentemente, in una maggiore difficoltà nello scegliere il prodotto più congeniale.

Questa situazione d’incertezza nelle scelte è ulteriormente aggravata dalla non chiara distinzione tra qualità e sicurezza e ciò può dar luogo alla formazione di aspettative errate (Dries et al., 2006).

Per quel che riguarda i produttori, invece, gli svantaggi sono riconducibili al fatto che l’implementazione di uno standard rappresenta sì un’opportunità di mercato, ma al tempo stesso anche la fonte di numerosi costi, sia di adeguamento che di

controllo.

3.7 Le norme ISO più diffuse

Le norme UNI EN ISO più diffuse e adottate dalle aziende sono quelle che possono dar luogo alla certificazione del proprio Sistema di Gestione per la qualità e per l’ambiente: parliamo infatti della 9001:2008 e della 14001:2004. In campo volontario, infatti, sono le certificazioni di Sistema a fare i grandi numeri, continuando a risultare le più richieste dall’utente-azienda (Relazione Sincert, 2009).

Anche l’executive summary dell’ultima indagine dell’International Organization for Standardization conferma che gli schemi certificativi più adottati a livello mondiale sono proprio quelli aventi ad oggetto il Sistema di Gestione per la Qualità (SGQ) ed il Sistema di Gestione Ambientale (SGA), i quali hanno registrato, rispettivamente, una crescita del 2% e del 9% se confrontati con i valori dell’anno 2011.

Tale survey, condotta con lo scopo di analizzare non solo il numero, ma anche la distribuzione delle certificazioni secondo gli standard della serie ISO, ha evidenziato che tra i Paesi con il maggior numero di certificazioni dei SGQ

(36)

35

spiccano la Cina, seguita da Italia e Spagna; mentre per quanto riguarda i SGA primeggiano Cina, Giappone e Italia (ISO survey 2012).

Prima di procedere nell’analisi della 9001 si ritiene opportuno fare un passo indietro e fornire alcune delucidazioni sulle caratteristiche dei Sistemi di Gestione.

3.8 I Sistemi di Gestione aziendali

Secondo quanto stabilito dalla UNI EN ISO 9000:2005 per Sistema di Gestione s’intende “un sistema di elementi tra loro correlati o interagenti finalizzato a

stabilire obiettivi e politiche atte a raggiungere tali obiettivi. Gli elementi che compongono il sistema sono:

 struttura organizzativa;  processi (input e output);  procedure;

 mezzi tecnologici e finanziari”.

Fulcro di un corretto Sistema di Gestione è il cosiddetto Ciclo di Deming, conosciuto anche come Modello PDCA, uno strumento che basa il suo funzionamento su quattro iterative fasi gestionali:

 la prima fase, ossia quella definita “Plan”, parte con l’identificazione dei pericoli reali e/o potenziali, prosegue con la valutazione dei rischi associati e degli impatti possibili per poi concludersi con la definizione delle priorità d’intervento;

 la seconda è il “Do” ed è considerata la parte più operativa, perché in questa fase si tratta di mettere in atto le misure preventive e/o correttive in modo da eliminare o ridurre il rischio.

 Il momento del controllo è chiamato “Check” e consiste nel valutare l’efficacia di quanto svolto;

 infine, nella fase conclusiva, denominata “Act”, l’azienda provvede all’eventuale estensione e standardizzazione di quelle misure che si sono

(37)

36

rivelate efficienti e funzionali al miglioramento delle prestazioni del processo.

Il ciclo di Deming.

E’ interessante notare come in qualsiasi Sistema di Gestione adottato sia possibile ravvisare alcuni aspetti comuni, in particolare:

 l’orientamento alla prevenzione quale tassello fondamentale per ottenere risparmi di costo sia interni (evitare la creazione di scarti dovuti alla mancanza degli standard qualitativi, evitare duplicazioni di attività e inefficienze in genere) sia esterni (i costi della non qualità, soprattutto quando riscontrata dal cliente finale, costano eccome, sia in termini d’immagine che in termini di costo vivo).

 La tensione al miglioramento continuo, che deve caratterizzare qualunque azienda che voglia continuare a competere in un mercato sempre più dinamico, in cui “chi si ferma è perduto”.

 Il coinvolgimento dei vertici aziendali, perché solo grazie all’impegno chiaro e manifesto dell’Alta Direzione si riesce a dar vita ad una cultura

(38)

37

aziendale forte, ad un modo di essere, pensare ed approcciarsi ai problemi uniforme a tutti i livelli della struttura, con evidenti e positivi riflessi in termini di soddisfazione dei lavoratori e senso di appartenenza;

 la diffusione della cultura della consultazione e della partecipazione dei lavoratori quale elemento fondamentale nella fase di mantenimento del Sistema di Gestione. Sotto questo aspetto i processi di formazione e addestramento rappresentano uno sforzo organizzativo ed economico necessario per qualsiasi realtà d’impresa.

 La documentazione aziendale, necessaria per definire responsabilità, ruoli, mansioni e precisare chi fa cosa, e come lo deve fare;

 il riesame della Direzione o auditing interno, ossia la fase dedicata alla revisione pianificata del Sistema con lo scopo di valutare la funzionalità dello stesso e mettere in luce eventuali criticità, individuando al tempo stesso le possibili soluzioni, nell’ottica sempre e comunque del miglioramento continuo.

(39)

38

4. LO STANDARD UNI EN ISO 9001:2008

4.1 Definizione

“La norma specifica i requisiti di un Sistema di Gestione per la Qualità per un’organizzazione che:

 ha l’esigenza di dimostrare la propria capacità di fornire con regolarità

un prodotto che soddisfi i requisiti del cliente e quelli cogenti applicabili;

 desidera accrescere la soddisfazione del cliente tramite l’applicazione

efficace del Sistema, compresi i processi per migliorare in continuo ed assicurare la conformità ai requisiti del cliente ed a quelli cogenti applicabili.

Tutti i requisiti sono di carattere generale e previsti per essere applicabili a tutte le organizzazioni, indipendentemente da tipo, dimensione e prodotto fornito. La norma può essere utilizzata da parti interne ed esterne all’organizzazione, compresi gli Organismi di certificazione, per valutare la capacità dell’organizzazione di soddisfare i requisiti del cliente, i requisiti cogenti applicabili al prodotto ed i requisiti stabiliti dall’organizzazione stessa.” (UNI

EN ISO 9001:2008).

La ISO 9001 si rivolge, dunque, a qualsiasi tipologia di organizzazione operante in ogni tipo di settore.

È lo standard di riferimento internazionalmente riconosciuto per la gestione della

qualità in un’organizzazione che voglia contestualmente aumentare l’efficacia e

l’efficienza dei processi interni (focus interno) ed accrescere la propria competitività attraverso un miglioramento della customer satisfaction (focus

Riferimenti

Documenti correlati

Quando le attività di rinnovo della certificazione sono completate con successo prima della data di scadenza della certificazione in essere, la data di scadenza della

Prima del termine dell’audit, il Lead Auditor provvede alla presentazione dei risultati della verifica al Cliente consegnando copia del Rapporto di Audit e degli eventuali

Prima dell’audit iniziale da parte dell’Ente, l’Organizzazione deve aver effettuato un audit interno per ogni sito e verificato la conformità del suo sistema

Ø Inserire esigenze ed azioni chiave nel Piano strategico Nazionale nell’ambito della nuova PAC.. Ø Adeguare strumenti nazionali essenziali obsoleti di carattere programmatico e

Le norme EN 9100, EN 9110, EN 9120, volute dai principali costruttori mondiali, nell’ambito dell’IAQG (International Aerospace Quality Group), definiscono i requisiti di sistema

Il modello ISO 14001 identifica standard internazionali relativi alla gestione ambientale di una qualsiasi organizzazione. Certificarsi secondo ISO 14001 non è obbligatorio ma

L'OBIETTIVO DI QUESTA CERTIFICAZIONE È QUELLO DI TUTELARE E DEFINIRE ALCUNE PRODUZIONI NON LEGATE AL TERRITORIO, INTRODUCENDO IL CONCETTO DI "SPECIFICITÀ DI UN PRODOTTO

Con all’interno la più grande biblioteca di fumetti in Italia, animato da un fitto calendario di incontri e workshop con esperti del settore della comunciazione,. l’universo dei