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La colelitiasi in età pediatrica: esperienza di un singolo centro

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Corso di Laurea specialistica in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

"La colelitiasi in età pediatrica: esperienza di un singolo centro"

Relatore

Prof. Giuseppe Maggiore

Candidato

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3 Anno accademico 2013/2014

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Sommario

1.0 Generalità...6 2.0 La colelitiasi nell'adulto...9 2.1 Epidemiologia...9 2.2 Fattori di rischio...9 2.3 Presentazione clinica...12 2.4 Diagnosi...14 2.5 Trattamento...16

3.0 La colelitiasi nel bambino...18

3.1 Epidemiologia...18 3.2 Fattori di rischio...18 3.3 Presentazione clinica...20 3.4 Diagnosi...21 3.5 Trattamento...22 4.0 Lo studio...25 4.1 Introduzione...25 4.2 Pazienti...25 4.3 Analisi statistica...30 4.4 Risultati...30 4.4.1 Analisi demografica...30 4.4.2 Fattori di rischio...32

4.4.3 Obiettività clinica e dati di laboratorio...35

4.4.4 Quadro ecografico alla diagnosi...36

4.4.5 Gestione terapeutica ed evoluzione...37

4.4.6 Complicanze...40

4.5 Calcolosi biliare nel primo anno di vita...42

4.6 Pazienti con solo fango biliare alla diagnosi...45

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5 5.0 Conclusioni...54 6.0 Allegati...56 7.0 Bibliografia...57

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1.Generalità

La colelitiasi è definita come la presenza di calcoli nei tratti biliari, generalmente localizzati a livello della colecisti e meno comunemente a livello del coledoco. La presenza dei calcoli era conosciuta fin dall'antichità come dimostrano i risultati di autopsie eseguite su alcune mummie egizie. Oggi è divenuta un'affezione frequente, soprattutto nei paesi sviluppati, dove

rappresenta la più comune causa di malattia del tratto biliare negli adulti e la principale causa di ricovero per disordini gastroenterici. Basti pensare che negli Stati Uniti ogni anno più di un milione di persone riceve la diagnosi di calcoli biliari, e circa 700'000 persone beneficiano di una colecistectomia1.

Dati questi numeri, possiamo comprendere come questa patologia che interessa 6.3 milioni di uomini e 14.2 milioni di donne americane, abbia un grosso impatto sociale, con un peso

economico, riferito alla colelitiasi, stimato in circa 6.5 miliardi di dollari all'anno e che fa di essa il più costoso disordine gastrointestinale2.

L'importanza della patologia è stata evidenziata anche dallo studio di Ruhl3nel quale si è rilevato un'associazione tra colelitiasi e mortalità nella popolazione degli Stati Uniti . In particolare questo studio ha evidenziato come i pazienti affetti da colelitiasi presentassero una mortalità generale, e una mortalità da malattie cardiovascolari e neoplasie aumentate. Alla base di queste associazioni sono state ipotizzate delle teorie: per quanto riguarda le neoplasie, la calcolosi biliare è considerata il fattore di rischio principale per il cancro della colecisti ma è stata associata anche ad altre neoplasie. La litiasi biliare e le malattie cardiovascolari sono condizioni comuni nei paesi occidentali e condividono numerosi fattori di rischio e in particolare l'età, l'obesità, il diabete e gli altri attori della sindrome metabolica. Inoltre il colesterolo è il componente principale dei calcoli biliari nella popolazione degli Stati Uniti così come dell'ateroma. Nei paesi occidentali la prevalenza della colelitiasi è incrementata

considerevolmente negli anni recenti, e ciò è da correlarsi soprattutto all'aumento della prevalenza di persone in sovrappeso e/o all'invecchiamento della popolazione4.

La formazione dei calcoli biliari è dovuta alla precipitazione delle sostanze contenute nella bile come colesterolo, bilirubinato di calcio, sali di calcio o fosfato e carbonati. L'esatta composizione dei calcoli dipende dalla specifica condizione locale che si viene a creare a livello delle vie biliari. Per questo ogni tipo di calcolo ha un proprio profilo di rischio epidemiologico e genetico5. Nell'uomo si riconoscono tre principali tipi di calcoli biliari distinti sulla base del loro costituente principale: i calcoli di colesterolo, quelli pigmentati e quelli misti. I calcoli pigmentati a loro volta

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7 vengono distinti in neri e marroni. Quelli neri si formano esclusivamente a livello della colecisti in seguito a emolisi, nei pazienti cirrotici o con fibrosi cistica e sono composti principalmente da bilirubinato di calcio, quelli marroni sono associati a stasi biliare e ad infezioni del tratto biliare da parte di batteri β-glucuronidasi produttori come E. coli e Bacterioides spp o infestazioni da parte di parassiti come Opisthorchis viverinni e Ascaris lumbricoides che deconiugano la

bilirubina e i sali biliari determinando la loro conseguente precipitazione in forme insolubili . Nei paesi occidentali, nell'80% dei casi si tratta di calcoli di colesterolo, mentre il resto sono

generalmente calcoli pigmentati neri. I calcoli pigmentati marroni invece sono molto rari nei paesi industrializzati mentre sono più frequenti in Asia dove sono associati ad infezioni e si ritrovano spesso nei dotti biliari dove possono favorire lo sviluppo di colangiti.

Nella bile, la capacità di tenere in soluzione il colesterolo è data dall'equilibrio tra i vari componenti che la compongono e cioè i sali biliari, i fosfolipidi e gli steroli. Alla base della formazione dei calcoli di colesterolo si pensa ci possa essere una sovrasaturazione della bile che può essere determinata o da un eccesso di secrezione dello sterolo o da un deficit di secrezione dei fattori solubilizzanti. Basta un'alterazione nelle concentrazioni di uno di questi fattori che si possono creare i presupposti per la formazione di cristalli di colesterolo. La conoscenza dei meccanismi molecolari coinvolti nella formazione della bile, sta mettendo in luce, possibili fattori di rischio genetici che potrebbero predisporre i soggetti allo sviluppo della litiasi biliare. In particolare la scoperta della famiglia dei trasportatori ABC (ATP Binding Cassette

transporter)sulla membrana canalicolare degli epatociti e dei geni responsabili della loro espressione ha suggerito che ci possa essere un substrato genetico a rappresentare un ulteriore fattore di rischio. I principali trasportatori sono:ABCB4, già conosciuto come multidrug-resistent 3 P-glycoprotein , una flippasi responsabile del trasporto dei fosfolipidi in particolare della fosfatidilcolina, ABCB11 responsabile della secrezione degli acidi biliari, ABCG5 e ABCG8 che formano eterodimeri che permettono la secrezione del colesterolo e ABCC2 un trasportatore attivo della bilirubina. Ad esempio, le colestasi progressive intraepatiche familiari (PFIC), sono un gruppo di malattie epatiche trasmesse con modalità autosomica recessiva che si presentano spesso in epoca neonatale con quadri eterogenei che possono andare da una lieve colestasi a una malattia epatica terminale tale da richiedere un trapianto epatico. In particolare,nella PFIC tipo 3 si ha una mutazione del gene ABCB46, del trasportatore dei fosfolipidi sulla membrana canalicolare. Una condizione di eterozigosi per mutazioni di ABCB4 è riscontrabile fino al 30% nei pazienti con colestasi ricorrente criptogenica, calcoli di colesterolo o fango biliare negli adulti. Numerosi geni candidati sono stati identificati sopratutto in modelli murini, e sono coinvolti nella regolazione della sintesi, nell'uptake e nella secrezione dei principali componenti

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8 biliari. Alcuni di questi geni sono stati trovati anche nell'uomo sottolineando la possibile

influenza del background genetico nella patogenesi della litiasi biliare. Tra questi ritroviamo le proteine ABC, FXR (Farnesoid X Receptor) la cui attivazione induce l'espressione dei trasportatori degli acidi biliari ABCB11 e ABCB4 e l'inibizione della sintesi degli acidi biliari e LXR (Liver X Receptor) che invece regola l'attività dei trasportatori del colesterolo ABCG5 e ABCG8. Mentre per quanto riguarda la colelitiasi nell'adulto i numerosi studi effettuati hanno portato alla formulazione di linee guida e di algoritmi di diagnosi e gestione del paziente, per quanto

riguarda i bambini le cose sono più confuse ed eterogenee. Ciò perché il numero dei casi e degli studi sulla popolazione pediatrica sono inferiori rispetto agli adulti e spesso la patologia è associata a caratteristiche diverse. Negli ultimi anni però anche l'incidenza della colelitiasi nel bambino è andata aumentando a causa di diversi fattori e ha riacceso l’interesse sulla patologia.

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2. La colelitiasi nell'adulto

2.1Epidemiologia

La colelitiasi presenta differenze per quanto riguarda la distribuzione. La prevalenza più alta si riscontra negli indiani del nord America dove raggiunge il 73 % delle donne dei nativi Pima dopo i 30 anni e anche i nativi canadesi Chippewa, Micman canadesi e di altre 13 comunità indiane di Arizona, Oklahoma e del Dakota presentano una prevalenza maggiore rispetto alle altre

popolazioni. Anche i nativi del sud America presentano una prevalenza di colelitiasi simile: in Cile i nativi Mapuche mostrano una incidenza di colelitiasi pari al 49,4% delle donne e 12,6% degli uomini.2

Nello studio NHANES III, il primo grande sondaggio epidemiologico ed ecografico sulla colelitiasi negli Stati Uniti, la prevalenza media era di 7,9% per gli uomini e 16,6% per le donne con un incremento progressivo e significativo dopo i 20 anni. Anche in questo studio sono affiorate delle differenze etniche, con una prevalenza maggiore tra gli americani di origine messicana (8,9% per i maschi e 26,7% per le femmine) intermedia per i bianchi non ispanici (8,6% uomini e 16,6% donne) e minore per gli afroamericani (5,3% uomini e 13,9% donne). La prevalenza media è invece minore tra gli asiatici e quasi assente negli africani.1

La prevalenza media in Europa negli adulti di età tra i 30 e i 69 anni è risultata simile: maggiore in Norvegia (21,9%) e nell'ex Germania dell'est (19,7%) . In Italia, lo studio MICOL (Multicentre Italian Study of Cholelithiasis) ha evidenziato la presenza di colelitiasi nel 18,8% delle donne e nel 9,5% degli uomini.

2.2 Fattori di rischio

Sono stati individuati alcuni fattori di rischio associati alla colelitiasi; possiamo distinguere fattori di rischio indipendenti o immodificabili che comprendono sicuramente l'età, il sesso femminile e l'etnia di appartenenza. Una storia familiare di colelitiasi sembra essere un fattore di rischio: alcuni studi riportano infatti un aumento dell'incidenza nelle famiglie, gemelli e parenti di pazienti affetti da calcoli biliari. Un ampio studio basato sui dati del " Swedish Twin Registry" ha evidenziato l'importanza dei fattori genetici nella patogenesi dei calcoli biliari suggerendo che l'influenza genetica corrisponda a circa il 25%.7

Sono stati identificati numerosi geni candidati per i calcoli biliari:nel 2008 uno studio di linkage su una coorte di pazienti tedeschi con calcoli biliari ha evidenziato una variante comune del

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10 trasportatore canalicolare del colesterolo ABCG5/G8 come fattore di rischio per la colelitiasi. La sempre più approfondita conoscenza sui meccanismi di trasporto coinvolti nella formazione della bile, che hanno come protagonisti i trasportatori della famiglia delle ABC (ATP-binding cassette transporters)espressi sulla membrana canalicolare degli epatociti, come ABCB11 che permette la secrezione dei sali biliari nella bile e di ABCB4, il trasportatore della fosfatidilcolina, sta aprendo nuovi scenari sulla patogenesi dei calcoli biliari. Per esempio nei pazienti con colestasi intraepatica ricorrente benigna (BRIC) tipo II, una ridotta secrezione nella bile di sali biliari, dovuta a una mutazione con perdita della funzione del gene ABCB11 determina un rischio maggiore di sviluppo di colelitiasi. Sono stati identificati inoltre altri geni tra cui i recettori nucleari come il Farnesoid X Receptor (FXR) che regola la trascrizione di numerosi geni coinvolti nel mantenimento dell'omeostasi del colesterolo e dei sali biliari nella bile modulando

l'espressione di ABCB11 e ABCB4, e il Liver X Receptor (LXR) che regola l'espressione di ABCG5/G8, proteine trasportatrici del colesterolo la cui attivazione si è dimostrata nei topi capace di aumentare il rischio di calcoli biliari. Nuove conoscenze su queste molecole potranno avere delle ripercussioni anche sulla terapia di questa patologia4.

Il fattore razziale rappresenta un importante fattore di rischio, infatti non solo influisce sull'incidenza della patologia colelitiasica ma anche sulla tipologia dei calcoli, per cui mentre nelle popolazioni occidentali l'80% dei calcoli sono di colesterolo, nelle popolazioni asiatiche prevalgono quelli pigmentati.

Per quanto riguarda l'età, il rischio di calcoli biliari aumenta con l'età in tutte le etnie.

Il sesso è un altro importante fattore di rischio:In Italia si ritrovano calcoli biliari nel 5-8% delle giovani donne, ma la percentuale aumenta al 25-30% dopo i 50 anni. Questo è vero soprattutto per le donne giovani che hanno una prevalenza doppia/ tripla rispetto ai maschi; il rapporto declina poi dopo la quinta decade e soprattutto dopo la menopausa. Questa disparità di prevalenza della colelitiasi tra i sessi sembra basarsi sull'influenza ormonale. Infatti molti studi clinici hanno evidenziato come la gravidanza e la parità siano condizioni favorenti la formazione di calcoli di colesterolo. Durante la gravidanza la bile diviene maggiormente litogenica a causa dell'aumento degli estrogeni circolanti che determinano un'aumentata escrezione di colesterolo e una supersaturazione della bile che porta alla formazione del fango biliare. Il processo è favorito anche dall'ipomobilità della colecisti causata dagli alti livelli di estrogeni e progesterone. Il maggior rischio si ha durante il terzo trimestre proprio perché i livelli degli ormoni aumentano linearmente con la durata della gestazione. Durante la gravidanza il 30% delle donne sviluppa fango biliare mentre la litiasi vera e propria interessa solo l' 1-3% dei casi. Vista l'influenza che gli ormoni femminili sembrano avere sul processo litogenico, la maggior parte delle evidenze

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11 spingono ad includere tra i fattori di rischio anche l'uso di contraccettivi orali, la terapia

estrogenica sostituiva nelle donne in menopausa e l'uso degli estrogeni nel trattamento del carcinoma prostatico nei maschi 8.

Dalle evidenze accumulate su modelli animali e umani si pensa che gli estrogeni aumentino il rischio di formare calcoli biliari di colesterolo promuovendo la secrezione del colesterolo nella bile, aumentandone così il livello di saturazione. Sembra che questo effetto sia dovuto

principalmente all'interazione degli estrogeni con il loro recettore ESR1, il più rappresentato a livello epatico. Inoltre gli estrogeni sembrano in grado anche di aumentare la biosintesi epatica del colesterolo anche in presenza di una dieta ad elevato contenuto dello sterolo e di stimolare l'attività delle ATP-binding cassette (ABC) transporter ABCG5 e ABCG8, favorendone l'escrezione nella bile8.

Tra i fattori di rischio per colelitiasi hanno rilevanza anche la dieta e lo stile di vita: per quanto concerne la dieta, sembra che un 'eccessivo consumo di carboidrati raffinati sia un fattore di rischio per la calcolosi biliare. Più controversi invece sono i risultati per quanto riguarda l'apporto calorico giornaliero, mentre sembra avere un ruolo protettivo il consumo di fibre e proteine vegetali9.

La nutrizione parenterale totale è un fattore di rischio certo2 ed è associata allo sviluppo di fango biliare e di calcoli ma anche di colecistiti acalcolotiche nelle unità di terapia intensiva. Dopo 3-4 mesi di alimentazione parenterale totale il 45% degli adulti e dei bambini sviluppa i calcoli biliari. Alla base di questo processo troviamo l'alterazione della motilità della colecisti che determina stasi e modificazione della bile in essa contenuta.

Uno dei fattori di rischio più consolidati per la litiasi biliare e che ha assunto importanza

soprattutto negli ultimi decenni è l'obesità. Il rischio è particolarmente alto nel sesso femminile e aumenta con il grado di obesità. Nell'uomo il rischio è collegato all'obesità centrale, al diabete mellito e alla resistenza insulinica, tutti fattori che riportano alla sindrome metabolica

rappresentata da un fenotipo specifico, con obesità centrale, resistenza insulinica con iperinsulinismo, intolleranza al glucosio e diabete tipo II, a cui si aggiungono dislipidemia con ipertrigliceridemia e bassi livelli di colesterolo HDL, anormalità della coagulazione e della fibrinolisi, tutti fattori di rischio per le malattie cardiovascolari ,'ipertensione, e NAFLD (non alcoholic fatty liver disease).

Tra i fattori di rischio dobbiamo aggiungere anche la rapida perdita di peso dopo una dieta ipocalorica, digiuni prolungati o la chirurgia bariatrica. Infatti il fango biliare si ritrova fino al 25-35% negli obesi trattati con chirurgia bariatrica. L'attività fisica invece sembra ridurne il rischio mentre la sedentarietà lo aumenta. Oltre a fattori di rischio, possono venire prese in

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12 considerazione anche delle condizioni di rischio, rappresentate da determinate patologie che possono favorire la formazione di calcoli biliari. Tra queste troviamo la cirrosi, fattore di rischio per i calcoli pigmentati più che di colesterolo, soprattutto nelle classi peggiori (Child-Pugh 2 o 3) patologie ileali come la malattia di Chron con interessamento ileale esteso oppure ampie resezioni del piccolo intestino, condizioni legate a un malassorbimento dei sali biliari causato dal venir meno del ricircolo enteroepatico degli stessi, che porta a deficit di sali biliari con

conseguente sovrasaturazione della bile che favorisce la formazione dei calcoli. Un'altra condizione a rischio per la colelitiasi è la stasi biliare a livello della colecisti dovuta a ipomotilità che può essere secondaria anche all'utilizzo di farmaci. Tra le principali cause di rallentato svuotamento della colecisti troviamo ancora la nutrizione parenterale totale, rapide perdite di peso in seguito a diete ipocaloriche o la chirurgia bariatrica, danno al midollo spinale, uso di somatostatina o del suo analogo octreotide.

La stasi di bile a livello della colecisti predispone alla formazione del fango biliare per modificazione della bile e in ultimo alla formazione di calcoli. Tra i farmaci oltre alla somatostatina e suoi analoghi che agiscono riducendo la motilità colecistica c’è anche il ceftriaxone che è escreto per il 40% attraverso la bile dove può precipitare formando con il calcio fango biliare e calcoli2,4.

2.3 Presentazione clinica

Il riscontro di colelitiasi rappresenta un evento occasionale durante un' ecografia addominale e la maggioranza degli individui affetti rimane asintomatica dopo la diagnosi. Il rischio di

sviluppare complicanze è intorno a 1-4% annuo con solamente il 10% e il 20% dei pazienti che potranno svilupparle entro 5 e 20 anni rispettivamente .1

La presentazione clinica classica è rappresentata dalla cosiddetta "colica biliare" : insorgenza di dolore, generalmente localizzato a livello dell'ipocondrio destro o all'epigastrio, determinato dall'incuneamento di un calcolo a livello del collo della colecisti o all'ostruzione del dotto cistico. Le ripetute contrazioni della colecisti che tentano di vincere l'ostruzione aumentano la pressione endoluminale e determinano la comparsa del dolore. La colica biliare insorge improvvisamente e rapidamente raggiunge l'acme, poi il dolore rimane ad un livello costante per poi cominciare a recedere entro 1-5 ore quando il calcolo ritorna all'interno della colecisti o eventualmente procede oltre nel dotto biliare comune. Il dolore si può irradiare posteriormente alla scapola destra o alla spalla o infrequentemente a livello retrosternale. Il dolore può recedere spontaneamente o grazie ad analgesici. Spesso, ma non esclusivamente, il dolore è

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post-13 prandiale e può essere accompagnato da nausea e vomito. È stato evidenziato che due terzi dei pazienti che manifestano una colica biliare ne presenteranno una seconda entro 2 anni e più del 90% dei pazienti, svilupperà un nuovo episodio entro 10 anni. 1,5

Un'altra modalità di presentazione dei calcoli biliari è la colecistite acuta, un'infiammazione a livello della colecisti che si instaura in seguito a una prolungata ostruzione del dotto cistico o del collo della colecisti da parte di un calcolo. L'aumento progressivo della pressione endoluminale nella colecisti determina congestione venosa, riduzione del flusso arterioso e blocco della circolazione linfatica. Tutto ciò determina ischemia della mucosa e alterazione dei meccanismi difensivi il cui risultato è il danneggiamento della mucosa da parte dell'azione detergente degli acidi biliari e il rilascio di mediatori dell'infiammazione, in particolare le prostaglandine I₂ ed E₂, che determinano edema e l'infiltrazione da parte delle cellule infiammatorie della parete colecistica. I pazienti con colecistite presentano un dolore al quadrante addominale superiore destro, segni sistemici di infiammazione come febbre e leucocitosi con positività del segno di Murphy. La persistente infiammazione e ischemia della mucosa può portare a gangrena e perforazione della colecisti favorite anche dalla sovra infezione batterica, che è rara nelle prime 48 ore ma che si presenta in circa il 20% dei casi e il cui rischio aumenta in caso di mancato riconoscimento e ritardo nel trattamento. Più frequentemente si tratta di batteri Gram negativi come E. Coli, Klebsiella, Enterococcus faecalis e in alcuni casi anche anaerobi. Spesso l'omento aderisce alla colecisti infiammata e se avviene una perforazione si forma un ascesso

pericolecistico. La sovrinfezione batterica può portare allo sviluppo dell'empiema colecistico per cui il contenuto ristagnante della colecisti diviene purulento anche a causa dell'essudazione di neutrofili.

Oltre alla colecistite acuta si può avere anche una forma di colecistite cronica, in cui le ripetute ostruzioni di grado lieve-moderato portano a un quadro di infiammazione cronica della colecisti, con deposito di collagene nella parete. Questi pazienti si presentano tipicamente con senso di ripienezza post-prandiale, nausea e fastidio all’ipocondrio destro, sintomi comunque aspecifici che possiamo ritrovare anche in pazienti senza calcoli biliari. Alcuni di questi pazienti beneficiano della colecistectomia altri invece vedono persistere la sintomatologia anche dopo il trattamento chirurgico. Un'altra possibile presentazione è rappresentata dalla comparsa di ittero che può far parte della cosiddetta sindrome di Mirizzi di cui si distinguono due tipi: nel tipo uno, il calcolo impatta nel collo della colecisti comprimendo l'adiacente dotto comune,nel tipo due, si sviluppa una fistola colecisto-coledocica.

Un quadro peculiare è poi è quello dell'ileo biliare, in cui il paziente si presenta con un ileo meccanico causato da un grosso calcolo che attraverso una fistola colecisto-duodenale o più

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14 raramente colecisto-colica viene a ritrovarsi nell'intestino. Questa condizione è causa dell'1% delle ostruzioni del piccolo intestino ed avviene generalmente a livello della valvola ileo-cecale. Il sospetto radiologico deriva dalla presenza di ostruzione intestinale e di aerobilia. Il trattamento è chirurgico anche se in casi selezionati si può intervenire endoscopicamente o con intervento mini-invasivo5,10.

Se il calcolo riesce a superare il dotto cistico si può incuneare distalmente nel coledoco bloccando il deflusso della bile. La colestasi meccanica porta alla comparsa di ittero,

generalmente transitorio che si risolve quando il calcolo riesce a superare lo sfintere di Oddi ripristinando il flusso biliare. La stasi della bile può favorire inoltre l'insorgenza di una colangite ascendente, determinata dalla risalita dall'intestino di batteri intestinali quali E. Coli, Klebsiella pneumoniae e Enterococcus faecalis. In questo caso il quadro clinico può presentarsi con la triade di Charcot composta da ittero, febbre e dolore all'ipocondrio destro. La colangite acuta necessita di una terapia di prima linea con antibiotici e un rapido drenaggio biliare generalmente per via endoscopica attraverso ERCP o in caso di fallimento si ricorre al drenaggio percutaneo o alla chirurgia.7

Un'altra temibile complicanza della coledocolitiasi è la pancreatite biliare determinata

dall'ostruzione dello sbocco del dotto di Wirsung da parte del calcolo e conseguente ristagno dei succhi pancreatici contenenti gli enzimi proteolitici. Questi vanno incontro ad autoattivazione con avvio dell'autodigestione del pancreas stesso e comparsa della sintomatologia tipica, con dolore a sbarra a livello epigastrico che si può irradiare posteriormente a cintura. Si associa al rialzo di amilasi e lipasi nel siero.

2.4 Diagnosi

Dal punto di vista diagnostico la metodica principale di prima scelta è l'ecotomografia, che oltre ad essere non invasiva, economica e facilmente accessibile, permette facilmente di evidenziare la presenza di calcoli a livello della colecisti. Questa procedura ha infatti una sensibilità di circa il 95%1 soprattutto per i calcoli maggiori a 5 mm (minore se le dimensioni sono tra 1 e 5 mm), e una specificità del 95%7.

La presenza di microlitiasi con calcoli di 1-5 mm è potenziale causa di complicanze come la pancreatite biliare e l'ittero ostruttivo. In questi casi, la scarsa sensibilità diagnostica dell’ecografia convenzionale può essere migliorata dall’'ecografia endoscopica.

All'ecografia i calcoli della colecisti appaiono generalmente mobili, iperecogeni, con cono d'ombra posteriore. L’esame fornisce inoltre informazioni sulle dimensioni della colecisti,

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15 sull'eventuale presenza di ispessimento e slaminamento della parete, sulla presenza di

versamenti pericolecistici, segni eventuali di colecistite acuta. L’ecografia può inoltre fornire prove indirette della presenza di calcoli biliari attraverso l'evidenziazione di una dilatazione del dotto biliare comune e del dotto epatico e può fornire dati sulle condizioni del parenchima epatico e pancreatico.1

L'ecografia ci può infine fornire anche dati funzionali,7evidenziando le modificazioni nel tempo del volume colecistico a digiuno e nel periodo postprandiale da cui si può evincere la frazione di eiezione biliare (normalmente >60%) e la pervietà del dotto cistico. L'ecografia addominale ha invece un ruolo di minore utilità nel rilevare calcoli a livello del coledoco, a causa delle

dimensioni di questi calcoli, spesso piccoli e della presenza di gas nelle anse intestinali che rendono più indaginosa la metodica. In questi casi ci può essere d'aiuto il rilevamento della dilatazione delle vie biliari quale segno indiretto di ostruzione, e i dati di laboratorio quali elevati livelli di bilirubina sierica e di fosfatasi alcalina.

Nel sospetto di coledocolitiasi, la metodica più adeguata sembra essere la

colangio-pancreatografia retrograda endoscopica (ERCP) cha ha un valore sia diagnostico che terapeutico permettendo l'estrazione del calcolo7.

Un elevato rischio di coledocolitiasi è definito da una dilatazione del dotto biliare>7mm e da livelli di bilirubina, γ-glutamiltransferasi (γ-GT) e /o ALT (alanino-aminotransferasi) elevati, o dalla contestuale presenza di una dilatazione del coledoco in presenza di calcoli della colecisti e di colica biliare.

Se invece il sospetto è di grado intermedio, si utilizzano altre metodiche di indagine in relazione al rischio di complicanze che la ERCP porta con sé. In questi casi si può ricorrere all'ecografia endoscopica che ha una sensibilità dell' 89-94% e una specificità del 94-95% o alla colangio-RM che ha performance simile alla precedente anche se una minore sensibilità per i calcoli <6mm. La presenza di calcoli a livello dell'ampolla può essere responsabile di una pancreatite acuta biliare. In questo caso, l'indagine di prima scelta è ancora l'ecografia che può individuare il calcolo all'interno delle vie biliari o può evidenziare la dilatazione dei dotti biliari. Spesso però a causare la pancreatite sono calcoli di piccole dimensioni che possono quindi, non essere evidenziati all'ecografia. In aiuto allora possono venire l'eco-endoscopia e la colangio-RM. Nei pazienti in cui è stata diagnosticata una pancreatite biliare con ittero o sospetta colangite, può essere indicata un ERCP precoce che sembra in grado di ridurre la morbilità e la mortalità5. Una metodica non più utilizzata di routine nella diagnostica della colelitiasi è la scintigrafia biliare (HIDA).

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2.5 Trattamento

Non è indicato alcun trattamento della colelitiasi asintomatica visto il basso rischio per il paziente di diventare sintomatico o di sviluppare complicanze. Può essere discussa una colecistectomia profilattica in condizioni particolari quali pazienti con calcoli biliari che vanno incontro a chirurgia bariatrica o pazienti con aumentato rischio per il carcinoma della colecisti in relazione alla presenza di polipi > 10 mm al suo interno o di colecisti a porcellana o in specifiche popolazioni come i nativi americani all'interno delle quali il rischio di carcinoma della colecisti è aumentato e nei pazienti con pancreatiti idiopatiche recidivanti dovuti alla presenza di calcoli occulti o microlitiasi.

I pazienti con colelitiasi sintomatica invece necessitano di un intervento terapeutico che comprede: l'utilizzo di analgesici nel controllo del dolore della colica biliare, la terapia medica e quella chirurgica. Fino al 1990 c'è stato un grande interesse per la terapia medica della colelitiasi che ha utilizzato acidi biliari come l'acido chenodesossicolico e/o l’ursodesossicolico nel

tentativo di dissolvere i calcoli di colesterolo e nell'uso della litotrissia extracorporea, ormai abbandonata.

Oggi questi trattamenti hanno un ruolo marginale rispetto alla colecistectomia laparoscopica e sono riservati a casi particolari come per esempio in caso di rifiuto della chirurgia.

La terapia con acidi biliari per via orale è proponibile solo nel 15% dei pazienti con colelitiasi sintomatica. In questo sottogruppo di soggetti che presentano un profilo favorevole come calcoli di piccole dimensioni, radiotrasparenti e colecisti funzionante, la terapia di dissoluzione è

perseguibile ma lenta nel raggiungere i risultati desiderati, inoltre gli effetti collaterali sono comuni e il rischio di recidiva è del 50% a 5 anni. La litotrissia ha un'efficacia parziale dato il rischio di recidiva simile con un 50% dei pazienti che necessitano di una successiva

colecistectomia.

Il trattamento di prima scelta per la colelitiasi sintomatica è ad oggi la colecistectomia

laparoscopica, la più diffusa procedura laparoscopica nel mondo che, in elezione, ha successo in oltre il 95% dei casi con una mortalità inferiore allo 0,1% . La principale complicanza è il danno iatrogeno al dotto biliare comune,che ha una frequenza intorno allo 0,5%; più rari invece i danni iatrogeni a colon e vasi durante l'inserzione dei trocar, o lo spandimento di bile, la peritonite, il sanguinamento post-operatorio e gli ascessi intra-addominali.

Nei confronti della colecistectomia open, la metodica laparoscopica oltre a un miglior risultato estetico per la riduzione delle cicatrici, comporta una degenza più breve, minor costi e minor dolore post-operatorio. Negli ultimi anni sono comparse nuove tecniche di chirurgia mini

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17 invasiva come la Single Incision Laparoscopic Cholecystectomy (SILC), ma i dati di alcuni risultati non mostrano vantaggi per quanto riguarda il dolore post-operatorio e il rapporto costo-efficacia rispetto alla metodica laparoscopica classica. Un'altra procedura è la Natural-Orifice

Transluminal Endoscopic Surgery (NOTES) che può utilizzare diversi accessi come quello transgastrico, transvaginale e transcolonico.

Mentre nel passato per un paziente che si presentava con una colecistite acuta era previsto, prima dell'intervento chirugico, un periodo d'attesa di alcune settimane per permettere ai processi infiammatori di risolversi per ridurre il rischio di complicanze quali il danno al dotto biliare, recenti studi hanno messo in luce come un trattamento precoce con colecistectomia laparoscopica porti con se numerosi vantaggi tra cui un minore periodo di ospedalizzazione, un più rapido recupero e quindi un minor costo economico senza aumentare il rischio di

complicanze5.

Durante la colecistectomia, è opportuno effettuare una colangiografia intraoperatoria ; questa procedura sembra associata ad una minore incidenza di danni al dotto biliare, anche se un'accurata selezione dei pazienti potrebbe ridurre il numero di colangiografie con identici risultati. In caso di calcoli evidenziati all'interno del coledoco durante la colangiografia

intraoperatoria, si può eseguire una bonifica laparoscopica attraverso il dotto cistico oppure si può convertire l'intervento mini invasivo in un intervento open ed eseguire l'esplorazione del dotto biliare tramite coledocotomia. Altre possibilità meno invasive possono essere quelle di attuare una ERCP intraoperatoria oppure quello di demandare a dopo l'intervento di

colecistectomia la bonifica dei dotti biliari attraverso la procedura endoscopica. L'ERCP ha successo nel 90-95% dei casi, ma in circa il 5-10% dei casi non è eseguibile. Le complicanze maggiori includono pancreatite, colangiti, emorragie e perforazione duodenale(circa il 10% dei pazienti con una mortalità associata alla procedure dell' 1%) . La scelta del corretto trattamento varia da caso a caso, soprattutto in base al diametro del dotto biliare (coledocotomia

laparoscopica è controindicata in caso di coledoco con diametro<8mm) e le specifiche competenze per lo specifico trattamento5.

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3. La colelitiasi nel bambino

3.1 Epidemiologia

Fino ad oggi c'è stata la falsa percezione che la colelitiasi fosse prerogativa degli adulti e che i bambini ne fossero esenti. Certamente nei bambini la colelitiasi è molto più rara che negli adulti: in Italia è riportata una prevalenza dello 0.13%-0.2%, mentre in Giappone è stimata essere inferiore11.

Una prevalenza maggiore, è stata evidenziata nello studio di Wesdorp12, nel quale i pazienti con colelitiasi sono stati individuati in base ad uno screening di 4200 esami ultrasonografici; in questo studio la prevalenza di calcolosi biliare e di fango biliare era rispettivamente di 1.9% e 1.46%. La colelitiasi ha una distribuzione bimodale, con un primo picco nell'infanzia dove non c'è differenza di sesso, dopodiché si ha un aumento continuo durante l'adolescenza quando

acquisisce anche la tipica preponderanza femminile. Nelle ultime tre decadi si è registrato un aumento della prevalenza e dell'incidenza di colelitiasi in età pediatrica. Questo aumento sembra dovuto a due fattori: da una parte un sempre più diffuso utilizzo e il continuo miglioramento delle tecniche ultrasonografiche consente un numero maggiore di diagnosi, dall'altra sembra ci sia un aumento reale del numero di pazienti affetti correlato all'aumento della prevalenza dell'obesità infantile e di altri fattori di rischio come la nutrizione parenterale, la prematurità e le gravidanze adolescenziali13.

Nel bambino vengono descritti quattro tipologie di calcoli biliari, infatti oltre a quelli di colesterolo e ai pigmentati neri e marroni, possiamo ritrovare anche i calcoli di carbonato di calcio. Questi ultimi possono raggiungere fino al 25% dei casi 13.

La formazione dei calcoli di carbonato di calcio sembra essere legata a ripetute ostruzioni del dotto cistico che portano ad un aumento della secrezione di mucina, calcio e bicarbonato da parte della colecisti favorendo così la formazione di elevate quantità di carbonato di calcio la cui precipitazione sembra favorita dalla mucina stessa14.

3.2 Fattori di rischio

Uno studio nord americano15 in cui sono stati arruolati 404 bambini andati incontro a colecistectomia di cui l’80% per colelitiasi, ha evidenziato anche che circa il 50% dei casi è su base idiopatica, mentre gli stati iperemolitici sono responsabili di un 18% con un aumento rispetto agli anni precedenti dove la colelitiasi associata a comorbidità e in particolare alle

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19 malattie emolitiche era la condizione preponderante (47%). Altro dato importante emerso dallo studio è che il 69% dei bambini con colelitiasi non associata ad emolisi era in sovrappeso o obeso. Stiamo assistendo quindi a un cambiamento dello spettro eziologico della malattia litiasica in età pediatrica, da ricollegare soprattutto con l'aumento dell'obesità tra i bambini, dimostrato nello studio NHANES che ha evidenziato un aumento della prevalenza dell'obesità infantile fino a valori di 17.1% nel 2003/2004 rispetto ai valori di 13.9% registrati nel 1999/2000 negli Stati Uniti. Questo può far supporre che i fattori di rischio per la colelitiasi nel bambino si stiano omologando a quelli riscontrati negli adulti.15

Negli ultimi anni anche il numero di casi di colelitiasi nei neonati è aumentato e ne sono stati individuati i fattori di rischio. Questi includono la prematurità, la nutrizione parenterale totale, il digiuno prolungato,le resezioni ileali in corso di enterocolite necrotizzante (NEC) , la fototerapia, le anomalie congenite dei tratti biliari, i disordini emolitici e la terapia con diuretici, in particolare con la furosemide. In una porzione significativa di pazienti però non è riconoscibile alcun fattore predisponente 16,17.

La formazione dei calcoli di colesterolo è da considerarsi un processo multifattoriale per cui stanno emergendo associazioni genetiche che possono determinare una predisposizione del soggetto alla loro formazione. Per esempio uno di 19 bambini con i calcoli di colesterolo è stato ritrovato eterozigote per una mutazione di ABCB4 e 7 presentavano polimorfismi dello stesso gene.11

La correlazione tra obesità e colelitiasi è ben documentata nell'adulto, ma emergono sempre più dati a favore di una stretta correlazione anche in età pediatrica. I calcoli di colesterolo sono più frequenti nelle adolescenti femmine e negli obesi verosimilmente legata a un'ipersecrezione biliare di colesterolo con conseguente sua precipitazione nella bile, in presenza di dismotilità della colecisti. Anche la resistenza insulinica sembra essere un fattore di rischio per la colelitiasi. Ad esempio i pazienti affetti da diabete mellito tipo II hanno elevati livelli di insulina circolanti che determinano tra l'altro la diminuzione dell'escrezione dei sali biliari. A ciò contribuisce anche un difettoso svuotamento della colecisti eventualmente secondaria alla neuropatia autonomica. Il fatto che il diabete mellito sia prevalente nelle persone obese può essere un fattore

confondente dato che l'obesità è riconosciuta come un fattore di rischio maggiore per lo sviluppo della litiasi biliare18.

Per quanto riguarda i calcoli pigmentati neri, essi sono dovuti, come già affermato, ad un

eccesso di biluribina non coniugata e di ioni calcio che determinano la formazione di bilirubinato di calcio. La supersaturazione può essere legata a numerose condizioni come la sindrome di Gilbert, dovuta alla ridotta attività dell'enzima UGT1-A1 (bilirubina-difosfatoglicuronil

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20 transferasi) responsabile della coniugazione della bilirubina oppure a condizioni caratterizzate da un sovraccarico dei processi di coniugazione della biliribina a livello degli epatociti come nelle anemie emolitiche, un aumento dell'attività endogena della β-glicuronidasi o a la riduzione del pool degli acidi biliari. Le malattie emolitiche, un tempo principale causa di calcolosi biliare nei bambini, oggi invece sono responsabili di circa il 20%-40% dei casi19.

I più comuni disordini emolitici associati ai calcoli pigmentati sono l'anemia a cellule falciformi, le talassemie e la sferocitosi ereditaria.

Ulteriori condizioni associate allo sviluppo di calcoli pigmentati sono le malattie ileali come il morbo di Chron,le resezioni ileali estese e la chirurgia neonatale in caso di enterocolite

necrotizzante, gastroschisi o atresia intestinale. I calcoli pigmentati marroni sono rari nei paesi occidentali mentre sono più frequenti in Asia. Una condizione di rischio importante è la presenza di fango biliare composto da cristalli di colesterolo, bilirubinato di calcio, carbonato di calcio, invischiati nella mucina. Ci sono vari fattori predisponenti per questa condizione come la nutrizione parenterale, infezioni sistemiche, stati di digiuno prolungati o di rapide perdite di peso, stasi biliare e ipomobilità colecistica. Anche l'uso prolungato del ceftriaxone,una

cefalosporina di terza generazione che in parte è secreta nella bile in forma non metabolizzata e che va a complessarsi con il calcio a formare sali insolubili che precipitano (pseudolitiasi) può portare alla formazione di calcoli biliari. La formazione del fango biliare generalmente è una condizione fluttuante che eccetto in rari casi,necessita di un trattamento conservativo.

3.3 Presentazione clinica

I calcoli biliari fetali e neonatali sono generalmente asintomatici.19

Il riscontro ecografico di calcoli nella colecisti nei feti durante le fasi tardive della gestazione è più comune nei maschi ed è generalmente associato a risoluzione spontanea nei primi mesi di vita. D'altro canto il ritrovamento di calcoli nei neonati e negli infanti è aumentato negli ultimi anni soprattutto grazie alle sempre più diffuse e migliorate tecniche ultrasonografiche e spesso si associano a specifici fattori di rischio come disordini emolitici, nutrizione parenterale, resezioni ileali o malformazioni delle vie biliari. Anche qui spesso si ha risoluzione del quadro o per

dissoluzione del calcolo o per passaggio di questo attraverso l'albero biliare. La colelitiasi in età pediatrica può essere un reperto occasionale durante un esame

ultrasonografico eseguito per altre patologie addominali. Questi bambini hanno un basso rischio di divenire sintomatici, inoltre il 16% dei bambini e il 34% degli infanti possono andare incontro a risoluzione spontanea. Nonostante ciò, a qualsiasi età si può avere la comparsa della colica

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21 biliare in cui il dolore è il sintomo più comune. Nella prima infanzia il dolore può essere

scarsamente localizzato mentre nei bambini più grandi e adolescenti è generalmente localizzato a livello dell'ipocondrio destro,19e può associarsi a nausea e vomito fino al 60% dei casi. La litiasi biliare si può presentare anche con la comparsa di una sua complicanza come la colecistite, la colangite, l'ittero ostruttivo, la pancreatite biliare, l'empiema o la perforazione della colecisti. La colangite si manifesta con la classica triade di sintomi rappresentatida febbre, ittero e dolore. I pazienti con colelitiasi sintomatica possono presentarsi oltre che con la colica biliare classica ( dolore generalmente improvviso, localizzato all'ipocondrio destro talora irradiato alla spalla omolaterale e al dorso) anche con una sintomatologia cronica di tipo biliare, intesa come dolore addominale aspecifico epigastrico o in ipocondrio destro, associato a nausea, senso di sazietà precoce e intolleranza ad alcuni cibi, soprattutto grassi e latte e derivati. Questo quadro è frequente nei bambini di età inferiore ai 5 anni e nelle malattie emolitiche.

3.4 Diagnosi

Nelle forme asintomatiche, non si hanno segni in laboratorio che ci possono indicare la presenza dei calcoli11.

In corso di colecistite si può evidenziare la presenza di una leucocitosi, ma un quadro più caratteristico si può avere nelle coledocolitiasi con ostruzione biliare con aumento delle aminotransfersasi e delle γ-GT, della fosfatasi alcalina e della bilirubina sierica. La leucocitosi è un dato aspecifico ma si può ritrovare in caso di colangite e pancreatite dove però l’elemento chiave è rappresentato dall’aumento della amilasi e della lipasi.

L'esame di prima scelta è l'ultrasonografia con cui possono evidenziarsi eventuali calcoli in colecisti di dimensioni ≥1.5mm con il caratteristico cono d'ombra posteriore che è invece assente in caso di fango biliare. Possono essere presenti più calcoli e la parete della colecisti può essere ispessita. Più difficile invece è l'individuazione di calcoli nel lume delle vie biliari a causa dell'interposizione dei gas contenuti nelle anse intestinali e che rende la metodica più

indaginosa. In questi casi possono individuarsi eventuali segni indiretti della presenze di un calcolo endoluminale quale la dilatazione del dotto biliare o supporla in base alla presenza di una pancreatite inspiegabile. L'ecografia endoscopica può essere utile nella diagnostica dei calcoli del coledoco o nell'individuare la presenza di microlitiasi, ma il suo uso è limitato ai bambini più grandi a causa delle dimensioni delle strutture anatomiche. La colangio-RM assume particolare importanza in corso di pancreatite per evidenziare eventuali anomalie a livello delle vie biliari, quali malformazioni del coledoco o pancreas divisum che possono favorire la formazione di

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22 calcoli biliari . L'ERCP ha sia valore diagnostico che terapeutico ed è utilizzato nei bambini con successo fino al 95% dei casi ed è utile anche nel diagnosticare anomalie congenite dei dotti pancreatico-biliari.

3.5Trattamento

L'obiettivo del trattamento è quello di ottenere sollievo dai sintomi e minimizzare la possibilità di complicanze e di recidive. La gestione della litiasi biliare in età pediatrica è funzione sia dell'età del bambino che della presenza dei sintomi .

Per i feti con evidenza ecografica prenatale di calcolosi biliare è sufficiente generalmente un follow-up clinico ed ecografico, se il neonato è asintomatico e non ha evidenza di malattie biliari associate o fattori di rischio noti per lo sviluppo di colelitiasi sintomatica.17

In questa fascia di età infatti si può avere risoluzione del quadro clinico o per dissoluzione o per passaggio dei calcoli attraverso l'albero biliare nei primi mesi di vita per cui è auspicabile un trattamento conservativo. Non tutti i casi però sono ad evoluzione “semplice” si possono infatti ritrovare nei neonati anche colecistiti acute o coledocolitiasi che possono richiedere un

trattamento chirurgico, anche se ci sono dati che riportano successo anche dopo trattamento medico. 16

Un approccio interventistico invece è suggerito in presenza di malattia sintomatica o evidenza di calcoli radiopachi visto che questi difficilmente possono andare incontro a dissoluzione o in presenza di malformazioni biliari o disfunzione della colecisti.20

Uno studio italiano multicentrico ha evidenziato il fatto che il trattamento di scelta possa essere differente in base anche al dipartimento a cui il paziente afferisce. Infatti, i pazienti che

afferivano ad un reparto di gastroenterologia pediatrica avevano una maggiore possibilità di ricevere una terapia medica rispetto a quelli trattati in un unità chirurgica21.

In una recente revisione su 382 bambini con litiasi biliare, si è vista la risoluzione dei calcoli nel 34% dei bambini con meno di 1 anno e nel 13% dei casi in quelli con più di un anno.19

Per questo, vista la non trascurabile possibilità di una risoluzione spontanea dei calcoli biliari nei neonati e nei bambini più piccoli, in caso di colelitiasi asintomatica è raccomandata in prima istanza l'osservazione, con controlli clinici e follow-up ecografico.

La terapia medica mira a incrementare la concentrazione dei composti che aiutano a mantenere in soluzione il colesterolo. L'agente più utilizzato attualmente è l'acido biliare UDCA (acido ursodesossicolico), un acido biliare secondario che normalmente si trova in basse concentrazioni nella bile umana ma è predominante nella bile degli orsi neri cinesi. In uno studio, Della Corte et

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23 al.21 ha evidenziato che UDCA è scarsamente efficace nell'ottenere la dissoluzione dei calcoli non radiotrasparenti per cui prima di iniziare la terapia sarebbe utile anche effettuare uno studio radiografico per confermare la radiotrasparenza del calcolo.

Il trattamento medico, in questo studio,era associato ad un tasso maggiore di ricorrenze di colelitiasi dopo trattamento primario. Dall'altra parte però il trattamento aveva effetto positivo sui sintomi dato che determinava la scomparsa del “fastidio” addominale nella maggioranza dei pazienti sintomatici trattati. In particolare,dei pazienti osservati nel dipartimento medico, il 69,7% era stato trattato con UDCA per un periodo medio di 13 mesi: I calcoli erano scomparsi nel 7,2% dei casi, ma la colelitiasi è recidivata nel 50% di questi pazienti. Nell'87% dei casi c'era la persistenza dei calcoli biliari anche se nel 83,7% dei pazienti sintomatici si è avuta risoluzione dei sintomi. Alla luce anche di questi dati, la terapia medica dei calcoli biliari in età pediatrica è poco consigliata a causa della scarsa efficacia nell’ottenere dissoluzione degli stessi e per l'alta percentuale di ricorrenze.

Appare utile quindi una suddivisione dei pazienti in sintomatici ed asintomatici. Tra i pazienti sintomatici un'ulteriore suddivisione tra quei pazienti che presentano una sintomatologia tipica come il dolore in ipocondrio destro o meno frequentemente all'epigastrio associato o meno a nausea e vomito e intolleranza ai cibi e invece quei pazienti con sintomatologia atipica dominata da fastidio addominale in presenza di colelitiasi sembra auspicabile. Nei casi con sintomatologia atipica infatti, i sintomi potrebbero essere determinati dalla presenza dei calcoli oppure non essere collegati direttamente ad essi per cui il paziente non trarrebbe beneficio dalla colecistectomia. In questi pazienti quindi si può prendere in considerazione un trattamento, basato sulla modifica della dieta del paziente optando per un regime ricco di fibre e povero di grassi. Uno studio in cui si valutava l'efficacia di quest’ approccio ha evidenziato che l'82% di questi pazienti avevano una risoluzione parziale o totale dei sintomi mentre il 18% presentava ancora la sintomatologia o aveva subito una colecistectomia. Per quanto riguarda i calcoli non pigmentati, i pazienti asintomatici o con sintomatologia atipica sembrano poter beneficiare di un trattamento basato esclusivamente su un follow-up clinico ed ecografico e sulla modifica della dieta22.

Nei bambini con colelitiasi sintomatica o che si presentano con complicanze, il trattamento di scelta è la colecistectomia. Una metodica alternativa suggerita è la colecistotomia, cioè la rimozione dei calcoli lasciando la colecisti in situ. Questa tecnica è però associata ad un alto rischio di ricorrenze, fino al 40% a 10 anni. Numerosi fattori di rischio sono inoltre associati alla possibilità di una recidiva come familiarità, dieta ricca di grassi, malattie epatiche , calcoli

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24 multipli e disfunzione della colecisti. La colecistostomia non è quindi indicata nel trattamento della litiasi biliare nel bambino11.

In particolare lo studio di De Caluwe20 in cui sono stati confrontati i risultati della

colecistectomia e della colecistotomia, ha confermato i vantaggi della prima metodica in ragione del minor numero di recidive.

La colecistectomia è considerata la metodica di prima scelta in caso di colelitiasi sintomatica tipica o in caso di complicanze come la colecistite acuta. Il gold-standard oggi è la procedura laparoscopica che è risultata nella maggioranza dei casi associata ad una durata minore della degenza, della richiesta di analgesia e in ultimo di un minor costo della procedure. La tecnica è generalmente uguale a quella utilizzata nell'adulto con l’utilizzo di quattro porte di accesso. L'esecuzione della colangiografia intraoperatoria dovrebbe essere considerata solo in caso di fondato sospetto di coledocolitiasi a causa dei limiti imposti dalle dimensioni delle strutture anatomiche del bambino. Dopo la colecistectomia c'è il rischio di sviluppare la sindrome post-colecistectomia, rappresentata dal ripresentarsi di sintomi simili a quelli presenti prima

dell'intervento ma che possono arricchirsi anche di nuovi come l'intolleranza al digiuno. Spesso è presente dolore, che può essere di tipo colico oppure no, può esserci anche intolleranza ai cibi grassi, flatulenza, nausea e vomito. Nello studio di Della Corte et al.21 ,la colecistectomia laparoscopica si è dimostrata una procedura efficace e sicura nel trattamento della litiasi biliare pediatrica, con un basso tasso di complicanze operatorie (3%) e di sindrome

post-colestectomia (4.7%). Quest'ultima percentuale era più alta nello studio di Wesdorp12dove raggiungeva il 45% forse a causa del maggior ricorso alla ERCP che è associata ad un tasso maggiore di ricorrenza.

E’ stato suggerito che la colecistectomia predisponesse ad un aumentato rischio di carcinoma del colon destro20. Alla base di questa ipotesi c'è il fatto che dopo l'intervento, il continuo defluire della bile in duodeno porterebbe ad un aumento della formazione di acidi biliari secondari come l'acido litocolico e il desossicolico a causa dell'aumento del circolo

enteroepatico e la degradazione degli acidi biliari primari da parte dei batteri intestinali. Questi acidi biliari secondari potrebbero agire da cancerogeni nei confronti della mucosa del colon, in particolare in età pediatrica in ragione della lunga aspettativa di vita di questi pazienti. A conferma di questa ipotesi, una metanalisi basata su 33 studi caso-controllo rileva un'associazione tra colecistectomia e cancro colorettale (RR=1.34; CI 1.14-1.57)11.

Si è evidenziato un rischio simile di cancro al colon anche nei pazienti adulti con colelitiasi che non avevano subito la colecistectomia.

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4.0 LO STUDIO

4.1 Introduzione

Come abbiamo già trattato nella prima parte introduttiva, la colelitiasi è una malattia tipica dell'età adulta, ma la sua frequenza è in aumento anche nelle fasce più giovani della popolazione. Tra i fattori principali di quest’ aumento c'è la diffusione dell'utilizzo delle tecniche diagnostiche ultrasonografiche a cui si aggiunge anche un aumento reale dovuto all'incremento della prevalenza delle condizioni favorenti il processo litogenico. Poiché le esperienze sulla colelitiasi in età pediatrica sono limitate a pochi studi, spesso multicentrici, abbiamo voluto analizzare la nostra casistica monocentrica e valutare retrospettivamente le caratteristiche cliniche e i dati relativi all’evoluzione di questi pazienti.

4.2 Pazienti

Abbiamo raccolto 86 pazienti, afferiti consecutivamente al servizio di epatogastroenterologia e nutrizione della Clinica Pediatrica di Pisa tra il 1997 e il 2012, che presentavano una diagnosi ecografica di precipitati iperecogeni all'interno della colecisti o delle vie biliari. Di questi, 80 pazienti presentavano calcoli biliari a livello della colecisti, mentre i restanti 6 pazienti mostravano la presenza esclusivamente di “sludge” biliare. Degli 80 pazienti con formazioni calcolotiche nelle vie biliari, 8 avevano un'età inferiore a un anno. Abbiamo quindi escluso dal campione principale questi due gruppi che verranno descritti separatamente in un paragrafo dedicato specificamente ad ognuno. Abbiamo successivamente suddiviso il gruppo principale composto dai 72 pazienti con litiasi biliare ed età maggiore di un anno in due sottogruppi sulla base della presenza o meno di sintomi al momento della diagnosi. In particolare abbiamo considerato sintomatici quei pazienti che alla diagnosi lamentavano dolore addominale localizzato a livello dell'ipocondrio destro e che mostravano una contestuale elevazione degli enzimi epatici. I pazienti asintomatici, per contro, avevano eseguito una ecografia addominale per sorveglianza di patologie note (generalmente gastrointestinali o

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genitourinarie) da cui era derivato il riscontro occasionale di colelitiasi oppure presentavano una sintomatologia dolorosa addominale aspecifica. Quattro pazienti, inizialmente asintomatici, nel corso del follow-up, hanno presentato sintomi specifici ascrivibili a litiasi biliare. Abbiamo quindi analizzato separatamente nei due gruppi i seguenti caratteri:

1. Sesso ed età alla diagnosi; 2. Follow up medio;

3. Fattori di rischio associati, in particolare abbiamo valutato l'eventuale presenza di:

a. Iperemolisi.

b. Malattie epatobiliari: patologie a carico del fegato e delle vie biliari possono determinare alterazioni sia anatomiche che funzionali a livello degli organi coinvolti favorendo quindi la formazione dei calcoli.

All'interno di questa categoria abbiamo distinto i pazienti affetti da malattia di Gilbert da quelli che invece presentavano altri tipi di patologie epatobiliari. La malattia di Gilbert infatti è un disordine genetico a trasmissione autosomica recessiva legato a una mutazione del gene del UDP-glicuronosiItransferasi caratterizzato da un'iperbilirubinemia indiretta di modesta entità (tra 2 e 6 mg/dL) associata a normalità degli indici di necrosi epatocitaria e di colestasi.

c. Infezioni sistemiche.

d. Uso di antibiotici:soprattutto cefalosporine e in particolare il ceftriaxone che viene escreto per il 40% nella bile dove può raggiungere livelli fino a 20-250 volte più elevati rispetto al siero.

e. Uso di estroprogestinici: sono considerati fattori di rischio per colelitiasi, in quanto gli estrogeni sembrano aumentare la formazione di colesterolo a livello epatico e ne aumentano l'escrezione a livello della bile aumentandone la saturazione.

f. Obesità e sovrappeso: per analizzare i dati sul peso abbiamo calcolato il BMI per ogni paziente e lo abbiamo confrontato con le curve sviluppate dalla CDC (Center of Disease Control and Prevention) considerando in

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sovrappeso i pazienti che presentavano un BMI tra l'85° e il 95° centile, e obesi pazienti con un BMI superiore al 95° centile.

g. Ipercolesterolemia (Vedi tabella 4.2 negli allegati).

h. Malattia di Crohn: è una malattia infiammatoria cronica intestinale che può colpire qualsiasi tratto dell'apparato digerente, anche se la sede più colpita nel bambino risulta essere l'ileo terminale. L'interessamento ileale può determinare un'alterazione del circolo enteroepatico con una conseguente riduzione del ricircolo degli acidi biliari che porta ad una riduzione della solubilizzazione dei composti contenuti nella bile favorendo la formazione dei calcoli.

i. Nutrizione parenterale totale (TPN): la TPN determina un'alterazione del circolo enteroepatico e stasi della bile che favoriscono la formazione di fango e calcoli biliari. Abbiamo considerato la TPN come un fattore di rischio anche quando effettuata in epoche precoci della vita, a lunga distanza di tempo rispetto alla diagnosi di colelitiasi. Il rischio di sviluppare calcoli dopo una TPN aumenta con la durata della procedura stessa e in caso di resezioni o malattie ileali e nei neonati la formazione del fango è più rapido rispetto agli adulti.

4. Obiettività clinica: laddove era possibile siamo andati a valutare i reperti clinici che si presentavano al momento della diagnosi, in particolare abbiamo preso in considerazione la presenza di:

a. Epatomegalia : suddivisa in due gradi: grado lieve e grado marcato. b. Splenomegalia.

c. Ittero e subittero, intendendo per subittero la colorazione giallastra delle sclere e per ittero una colorazione giallastra diffusa (epidermide, sclere e mucose) legata a livelli aumentati di bilirubina in circolo.

d. Presenza del segno di Murphy: dolore spiccato alla palpazione profonda a livello della zona sottostante il margine costale di destra, all'incrocio dell’ XI cartilagine costale con la linea paracentrale (punto corrispondente all'incirca al fondo della colecisti), durante un’inspirazione profonda. e. Segni di epatopatia cronica: come nevi stellari soprattutto a livello del

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5. Dati di laboratorio: abbiamo considerato gli enzimi di citolisi epatica, in particolare l’aspartato aminotransferasi (AST) e l'alanino aminotransferasi (ALT), l'indice di colestasi gamma glutamil transferasi (GGT) e i livelli di bilurubina totale e diretta e li abbiamo confrontati con i valori di riferimento riportati in tabella 4.1 negli allegati.

L'attenzione è stata posta anche sul profilo lipidico del paziente e in particolare sono stati considerati i livelli di colesterolo totale, di colesterolo LDL e di trigliceridi, che sono stati confrontati con i valori di riferimento riportati nella tabella 4.2 negli allegati.

6. Presentazione ecografica alla diagnosi: abbiamo valutato:

a. il numero di calcoli alla diagnosi distinguendo in nessuno, singolo o multipli;

b. la loro posizione all'interno delle vie biliari ed in particolare se fossero localizzati a livello della colecisti, del dotto epatico comune o nelle vie biliari intraepatiche;

c. l'eventuale contestuale presenza di fango (sludge) biliare;

d. lo stato delle pareti colecistiche ed in particolare se risultassero ispessite o meno nelle immagini ecografiche.

7. Complicanze durante il follow-up: abbiamo preso in considerazione tre tipi di complicanze che si possono presentare in un paziente con litiasi biliare e che sono:

a. Colecistite acuta: definita come dolore addominale a livello del quadrante superiore destro associato ad un ispessimento delle pareti della colecisti visibile all’ecografia. Questa complicanza è legato al fatto che un'ostruzione prolungata del dotto cistico determina la stasi e l'alterazione della composizione della bile, la quale va ad irritare la mucosa colecistica e ne determina l'infiammazione. Nel 30% dei casi può sovrapporsi una contaminazione batterica soprattutto da anaerobi gram negativi che possono aggravare il quadro.

b. Pancreatite acuta: determinata da piccoli calcoli che impattano nelle vie biliari distali e vanno ad ostruire lo sbocco del dotto pancreatico causando il ristagno dei succhi pancreatici e l'attivazione degli enzimi

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proteolitici qui contenuti con avvio dell'auto digestione dell'organo stesso. Questa condizione patologica acuta si presenta con dolore addominale a barra in sede epigastrica che può irradiarsi a cintura posteriormente al dorso, si associa al rialzo sierico degli enzimi pancreatici, in particolare amilasi e lipasi, e a specifici pattern di imaging. c. Coledocolitiasi ostruttiva: incuneamento di un calcolo a livello delle vie

biliari distalmente al dotto cistico. Si presenta generalmente con dolore all'ipocondrio destro, ittero, acolia fecale e urine scure. L'ecografia può evidenziare la presenza del calcolo o può fornirci segni indiretti della sua presenza come la dilatazione della via biliare a monte dell'ostruzione. 8. Gestione terapeutica: abbiamo distinto tre possibili gestioni del paziente:

a. Terapia medica: in particolare UDCA, ad un dosaggio medio utilizzato di 600 mg/m2.

b. Terapia chirurgica: colecistectomia per via video laparoscopica o invasiva con un intervento a cielo aperto.

c. Nessuna terapia:

d. controllo clinico, atteggiamento conservativo con controllo clinico, ecografico e laboratoristico periodico.

9. Out come della gestione terapeutica: abbiamo, laddove i dati ce lo permettevano, valutato quello che la scelta terapeutica in ogni singolo paziente avesse determinato sulla patologia. Abbiamo individuato 4 possibili out come alla fine del follow up:

a. Risoluzione della litiasi: non più evidenza ecografica di calcoli a livello della colecisti e delle vie biliari.

b. Litiasi invariata: il presidio terapeutico scelto non aveva avuto un impatto sulla patologia del paziente né in senso positivo né in senso negativo. c. Miglioramento: riduzione della litiasi.

d. Progressione: aumento delle dimensioni o del numero dei calcoli evidenti all’ecografia.

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4.3 Analisi statistica

Abbiamo utilizzato la statistica descrittiva per rappresentare il campione. Abbiamo ricorso al test del χ2 o il test esatto di Fisher per stabilire le associazioni tra out come, sintomatici/asintomatici e le variabili categoriali. Abbiamo anche utilizzato la regressione logistica per stabilire l'impatto dei singoli predittori sul rischio di divenire sintomatici. Per ogni test è stato considerato significativo un valore di p<0,05.

4.4 Risultati

4.4.1 Analisi demografica

Dei 72 pazienti afferiti al servizio di epatogastroenterologia pediatrica dell'ospedale di Pisa tra il 1997 e il 2012 e che presentavano alla diagnosi ‘litiasi biliare’ ed età superiore ad un anno, 33 pazienti erano maschi (45,8%) mentre 39 erano femmine (54,2%).

L'età media alla diagnosi era di 9,4 ± 5,3 anni e il follow-up medio di 2,7 ± 3,4 anni. Analizzando l'età del gruppo principale allargato anche ai pazienti con età inferiore a un anno alla diagnosi la distribuzione dell'età è rappresentata in figura.

46% 54%

Genere

Maschi Femmine

(30)

31

Abbiamo suddiviso i 72 pazienti selezionati in due gruppi, uno che comprendeva i pazienti asintomatici alla diagnosi e uno che comprendeva quelli sintomatici. Quest'ultimo era composto da 22 pazienti di cui 15 femmine , con un'età media alla diagnosi di 10,4 ± 4,4 anni. Il gruppo dei pazienti asintomatici erano costituito da 50 pazienti , 26 maschi (52,0%) e 24 femmine (48,0%) con una età media alla diagnosi di 8,8 ±5,4 anni. Da questi dati i maschi sembrano più frequentemente asintomatici rispetto alle femmine ma la differenza non è statisticamente significativa (p=0,1134). Inoltre, confrontando la media delle età di diagnosi nei due gruppi, si può notare che per i pazienti asintomatici, la diagnosi è più precoce che per i sintomatici ma anche in questo caso il dato non raggiunge la significatività statistica.

8 3 3 4 7 3 4 3 3 5 5 9 3 3 5 2 0 2 2 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 <1 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 >18 N ° p azi e n ti Anni

Distribuzione per età

(31)

32

4.4.2 Fattori di rischio

Analizzando i fattori di rischio associati alla colelitiasi tra i 72 pazienti possiamo dire che tra i sintomatici, 14 pazienti (63,6%) presentavano almeno un fattore di rischio mentre nel gruppo degli asintomatici questi erano 24 pari al 48% di questi pazienti. Quindi avere almeno un fattore di rischio sembra aumentare il rischio di sviluppare una litiasi biliare sintomatica, ma l'evidenza non raggiunge un livello di significatività (p=0,333) Tra i pazienti sintomatici: erano presenti 6 soggetti (27,3%) con disordini emolitici, 4 (18,2%) presentavano una malattia epatobiliare di cui 3 una malattia di Gilbert, 3 erano obesi (13,6%) e 5 pazienti in sovrappeso(22,7%) per un totale del 36,4% della popolazione sintomatica in studio. Non sono stati invece individuati casi di litiasi associata agli altri fattori di rischio analizzati.

0 5 10 15 20 25 30 Asintomatici Sintomatici 26 7 24 15 N ° p azi e n ti

Genere e sintomi

Maschi Femmine

(32)

33

Quindi, in 24 dei 50 pazienti asintomatici è stato possibile identificare almeno un fattore di rischio per colelitiasi: in particolare, 2 pazienti avevano una malattia emolitica, 10 una malattia epatobiliare (20,0%) di cui 3 una malattia di Gilbert, 2 presentavano un'infezione sistemica (4%), 4 avevano fatto uso di antibiotici (8,0%) e un soggetto aveva una anamnesi di pregressa nutrizione parenterale a seguito di un'enterocolite necrotizzante (NEC) con perforazione e conseguente enterostomia (2%). Inoltre 5 pazienti erano obesi e 4 in sovrappeso pari al 18% della popolazione asintomatica in studio.

33%

22% 17%

28%

Fattori di rischio nei sintomatici

Emolisi

Malattie epatobiliari Obesità

(33)

34

Analizzando le differenze tra i due gruppi per quanto riguarda i fattori di rischio riscontriamo una significatività per la presenza di disordini emolitici (p=0.008) a conferma che un soggetto che presenti una malattia emolitica, ha un rischio più elevato di sviluppare una litiasi biliare sintomatica (Odds ratio 9,0 (C.I 95% [1,65;49,14])

Per quanto riguarda la presenza di una malattia epatobiliare, le differenze tra i due gruppi non sono significative (p=1,000) con una tendenza per questi pazienti ad avere più frequentemente una malattia litiasica asintomatica. Non ci sono differenze significative nemmeno per quanto riguarda l'obesità e il sovrappeso dove la significatività (p) è rispettivamente di 1,000 e di 0,247. Se consideriamo come unica variabile le anomalie del peso vediamo che nonostante le differenze tra i due gruppi non raggiungano la significatività (p=0,1649) l'odds ratio è 2,46 sottolineando la presenza di un maggior rischio dei pazienti con peso eccessivo a presentare una forma sintomatica di colelitiasi. Possiamo aggiungere che infezioni sistemiche, l'utilizzo di antibiotici e l'ipercolesterolemia mostrano la tendenza ad associarsi alla forma asintomatica della malattia. Un discorso a parte va fatto per quanto riguarda la familiarità per colelitiasi: questa era presente in 11 pazienti sintomatici (50%) e in 24 asintomatici (28%): (p=0,124) per cui un paziente con almeno un parente affetto da colelitiasi avrebbe una maggiore probabilità di presentare una forma sintomatica di litiasi biliare. L'unica

7% 36% 7% 14% 18% 14% 4%

Fattori di rischio negli asintomatici

Emolisi Malattie epatobiliari Infezione sistemica Antibiotici Obesità Sovrappeso TPN

(34)

35

evidenza significativa emersa dai nostri dati risulta essere la forte associazione tra l'emolisi e la forma sintomatica della malattia litiasica.

4.4.3 Obiettività clinica e dati di laboratorio.

Dati riguardanti l'obiettività erano disponibili per 15 pazienti sintomatici e mostravano un’alterazione in 5 casi (33,3%). In particolare due soggetti avevano ittero, uno un'epatomegalia lieve e uno un epatomegalia marcata oltre ad un caso di splenomegalia e un caso con positività del segno di Murphy. Tra i pazienti asintomatici, di 45 erano disponibili i dati, 9 (20%) mostravano un'obiettività positiva ed in particolare un caso di splenomegalia, un'epatomegalia di grado lieve e 3 di grado marcato e quattro reperti di lieve Murphy-positività. La differenza tra pazienti sintomatici e asintomatici per quanto riguarda l'obiettività non risulta significativa (p=0,309) per cui non si può dire se un paziente che ha dei reperti obiettivi all'esame clinico abbia una maggiore probabilità di avere una litiasi biliare sintomatica. In nessun caso si sono mostrati segni di epatopatia cronica. Nei due gruppi abbiamo raccolto i dati di laboratorio alla diagnosi, anche se parziali. Tra i pazienti sintomatici, disponevamo di dati in 13 pazienti e 11 di questi mostravano almeno un valore alterato tra ALT,AST, GGT e bilirubina (84,6%). Per quanto riguarda il profilo lipidico, avevamo i dati di 2 soggetti e nessun valore risultava alterato. Analizzando invece i dati del gruppo degli asintomatici, per il profilo epatico disponevamo di informazioni per 18 pazienti e tra questi, 5 presentavano almeno un indice alterato (27,8%). Prendendo invece in considerazione il profilo lipidico in questo gruppo avevamo dati per 7 pazienti e 3 di questi mostravano almeno un valore alterato (42,9%). Dai dati si può vedere che i pazienti sintomatici tendono ad avere più frequentemente un movimento degli indici di citolisi epatica e di colestasi rispetto ai pazienti asintomatici con una differenza significativa (p=0,0126) anche se la scarsa numerosità del campione può aver inciso sui risultati così come ci può essere stato un bias di selezione per questi pazienti dato che il rialzo degli enzimi epatici era compreso tra i criteri di inclusione nel gruppo dei pazienti sintomatici. Dal punto di vista del profilo lipidico la differenza tra i due gruppi non è significativa.

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