• Non ci sono risultati.

Analisi parametrica sulle prestazioni di profili in parete sottile

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Analisi parametrica sulle prestazioni di profili in parete sottile"

Copied!
207
0
0

Testo completo

(1)

Politecnico di Milano

Scuola di Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Civile - Strutture

Analisi parametrica sulle prestazioni di

profili in parete sottile

Relatore: Prof. Ing. Claudio BERNUZZI

Correlatore: Ing. Marco SIMONCELLI

Tesi di Laurea di:

Antonio Martucci 900009

(2)
(3)

INDICE

SOMMARIO ... 11

1 L’acciaio per le costruzioni ... 13

1.1 Caratteristiche del materiale ... 15

1.2 I processi di lavorazione ... 16

1.3 Profili in parete sottile ... 19

1.4 Le imperfezioni ... 20

1.4.1 Imperfezioni meccaniche ... 21

1.4.2 Imperfezioni geometriche ... 22

1.5 Utilizzo dei profili sagomati a freddo ... 24

1.5.1 Le scaffalature industriali ... 24 1.5.2 Le componenti... 26 1.5.3 Classificazione ... 27 1.6 Sistemi intelaiati ... 30 1.6.1 La tipologia strutturale ... 30 1.6.2 La stabilità trasversale ... 31

1.6.3 La continuità dei giunti ... 32

1.7 Cenni sull’instabilità ... 35

1.8 Retrospettiva storica ... 36

2 Trattazione sull’instabilità ... 43

2.1 Instabilità globale ... 43

2.1.1 Instabilità flessionale di aste compresse ... 45

2.1.2 Instabilità flesso torsionale di profili aperti in parete sottile ... 48

2.1.3 Curve di stabilità ... 52

2.1.4 Effetti delle imperfezioni sulla capacità portante ... 55

2.1.5 Instabilità delle aste presso inflesse ... 58

2.2 Instabilità locale ... 58

(4)

2.2.2 Comportamento post-critico di lastre uniformemente compresse ... 65

2.2.3 Dimensionamento delle lastre compresse ... 70

2.2.4 Lastre compresse in modo non uniforme ... 73

2.3 Classificazione delle sezioni trasversali ... 76

2.4 Specifiche per i profili in parete sottile ... 77

2.4.1 Progetto e verifica della sezione di elementi in parete sottile ... 79

2.4.2 Verifiche globali dell’elemento ... 84

3 Normativa Europea ... 86

3.1 Definizioni ... 88

3.2 Materiali ... 89

3.2.1 Proprietà dei materiali ... 89

3.2.2 Resistenza allo snervamento ... 92

3.3 Sezione ... 94

3.3.1 Rapporti geometrici... 97

3.3.2 Spessore ... 98

3.3.3 Calcolo della geometria di una generica sezione ... 98

3.4 Instabilità locale e distorsionale ... 101

3.4.1 Procedura semplificata per il calcolo degli effetti dell’instabilità ... 102

3.4.2 Procedura semplificata per un generico elemento a parete sottile ... 120

3.5 Resistenza delle sezioni trasversali ... 121

3.5.1 Compressione Assiale ... 121

3.5.2 Momento Flettente ... 122

3.5.3 Azione combinata di compressione e flessione ... 123

3.5.4 Momento Torcente ... 124

3.6 Resistenza all’instabilità ... 125

3.6.1 Compressione assiale ... 125

3.6.2 Flessione e compressione assiale ... 128

3.6.3 Instabilità torsionale ed instabilità flesso – torsionale ... 128

3.7 Criticità del metodo EC3 ... 130

4 Analisi parametrica dell’elemento ... 132

4.1 Implementazione del metodo ... 132

(5)

4.3 Caso geometria iniziale al variare dello spessore e al variare della resistenza a

snervamento ... 150

4.4 Caso con Fe355 e geometria iniziale al variare del lato “h” ... 157

4.5 Caso geometria iniziale al variare della lunghezza di “b” ... 160

4.6 Caso geometria iniziale al variare della lunghezza dell’irrigidimento “c” e della resistenza a snervamento ... 164

4.7 Caso geometria iniziale al variare dello spessore, con c=34 mm e al variare della resistenza a snervamento. ... 170

4.8 Confronto tra il caso con c=26 mm e quello con c=34 mm con Fe355 e geometria iniziale, al variare dello spessore ... 173

4.9 Caso geometria iniziale al variare della lunghezza di libera inflessione e dello spessore con Fe355 ... 176

5 Validazione dei risultati con il metodo F.E.M. con Abaqus ... 179

5.1 Modellazione del profilo e della prova di carico ultimo ... 180

5.2 Imperfezione generata dalla deformata buckling ... 192

5.3 Risultati per il caso t=2 mm ... 195

5.4 Risultati per il caso t=6 mm ... 200

5.5 Confronto dei risultati ... 202

CONCLUSIONI ... 204

(6)

INDICE DELLE FIGURE

Figura 1-1Legame costitutivo per un acciaio da costruzione ... 15

Figura 1-2Relazione tensione - deformazione per un acciaio ... 16

Figura 1-3 Preparazione del nastro sul supporto ... 17

Figura 1-4 Seconda fase ... 17

Figura 1-5 Fasi di produzione del profilato ... 18

Figura 1-6 Fasi di deformazione di un elemento piano per ottenere un profilo sagomato a freddo ... 18

Figura 1-7 Lavorazioni per stampaggio di elementi sagomati a freddo ... 19

Figura 1-8 Alcuni esempi di profili sagomati a freddo ... 20

Figura 1-9 Tensioni residue di un prodotto piano laminato a freddo ... 21

Figura 1-10 Esempi di imperfezioni geometriche: (a) tolleranza di perpendicolarità, (b) tolleranza di simmetria, (c) tolleranza di rettilinearità trasversale ... 22

Figura 1-11 Magazzino autoportante in doppia profondità ... 24

Figura 1-12 Esempi di danno strutturale ... 25

Figura 1-13 Esempi di giunti montante corrente ... 26

Figura 1-14 Vista laterale di una scaffalatura industriale ... 26

Figura 1-15 Sistemi di controvento di una scaffalatura ... 27

Figura 1-16 Scaffalature porta pallets ... 28

Figura 1-17 Scaffalature a ripiani ... 28

Figura 1-18 Scaffalature cantilever ... 29

Figura 1-19 Magazzini mobili ... 29

Figura 1-20 Telai controventati ... 31

Figura 1-21 diagramma momento-curvatura... 32

Figura 1-22 Esempi di giunti semi rigidi nelle scaffalature industriali ... 33

Figura 1-23 Curva momento-rotazione ... 34

Figura 1-24 Criterio di classificazione dei giunti ... 34

Figura 3-1 Influenza degli spigoli arrotondati ... 95

Figura 3-2 Sezione idealizzata a spigoli vivi ... 96

Figura 3-3 Rapporti massimi larghezza-spessore ... 97

Figura 3-4 Schematizzazione della sezione del profilo ... 99

Figura 3-5 Fenomeni di instabilità distorsionale ... 101

Figura 3-6 valori del coefficiente ρ in funzione del rapporto b/tε ... 107

Figura 3-7 valori del coefficiente ρ in funzione della snellezza adimensionalizzata ... 108

Figura 3-8 valori limite per sezioni in classe 4 ... 109

Figura 3-9 Confronto tra Eurocodici ... 110

(7)

Figura 3-11 elementi piani con irrigidimenti interni e di bordo... 112

Figura 3-12 spostamento per sezioni a C e Z ... 112

Figura 3-13 Irrigidimento di bordo semplice e doppio ... 114

Figura 3-14 Procedura semplificata per valutare gli effetti dell'instabilità distorsionale .... 115

Figura 3-15 Irrigidimenti intermedi della sezione ... 118

Figura 3-16 Procedura per la determinazione dell'area efficace dell'irrigidimento intermedio ... 119

Figura 3-17 Sforzo elastico per vari modi di instabilità ... 120

Figura 3-18 Sezione lorda e sezione efficace ... 122

Figura 3-19 Momento flettente resistente in funzione della snellezza ... 123

Figura 3-20 Risorse plastiche di una sezione in zona tesa ... 123

Figura 3-21 Curva di instabilità per vari tipi di sezione ... 127

Figura 3-22 Sezioni soggette a instabilità flesso-torsionale ... 129

Figura 4-1 Sezione in esame ... 133

Figura 4-2 caratteristiche geometriche lorde ... 134

Figura 4-3 sezione efficace per instabilità locale ... 139

Figura 4-4 sezione efficace a compressione ... 141

Figura 4-5 flessione ... 141

Figura 4-6 sezione efficace a flessione ... 142

Figura 4-7 capacità portante ... 146

Figura 4-8 confronto tra carichi critici ... 146

Figura 4-9 rapporto tra Ned/Ng ... 147

Figura 4-10 eccentricità ... 147

Figura 4-11 andamento di area netta ed area efficace ... 148

Figura 4-12 rapporto tra area efficace ed area netta ... 148

Figura 4-13 andamento dei moduli di resistenza superiore ed inferiore, efficace e netto . 149 Figura 4-14 rapporto moduli di resistenza ... 149

Figura 4-15 capacità portante ... 150

Figura 4-16 confronto carichi critici ... 151

Figura 4-17 rapporto tra sollecitazione massima applicabile e resistenza meccanica ... 151

Figura 4-18 eccentricità ... 152

Figura 4-19 andamento area efficace ed area netta... 152

Figura 4-20 rapporto tra le aree ... 153

Figura 4-21 moduli di resistenza superiori ed inferiori efficaci e netti ... 153

Figura 4-22rapporto tra modulo di resistenza efficace e netto ... 154

Figura 4-23 confronto capacità portanti con diverse resistenze ... 154

Figura 4-24 confronto dei rapporti Ned/Ng ... 155

Figura 4-25 confronto eccentricità... 155

Figura 4-26 confronto rapporti aree ... 156

Figura 4-27 confronto rapporti ta modulo di resistenza efficace e netto ... 156

Figura 4-28 capacità portante ... 158

Figura 4-29 confronto carichi critici ... 158

(8)

Figura 4-31 eccentricità ... 159

Figura 4-32 rapporto tra le aree ... 159

Figura 4-33 rapporto tra i moduli di resistenza ... 160

Figura 4-34 capacità portante ... 161

Figura 4-35 confronto carichi critici ... 161

Figura 4-36 rapporto Ned/Ng ... 162

Figura 4-37 eccentricità ... 162

Figura 4-38 rapporto tra area efficace e netta ... 163

Figura 4-39 rapporto dei moduli di resistenza efficaci e netti ... 163

Figura 4-40 capacità portante ... 164

Figura 4-41 confronto carichi critici ... 165

Figura 4-42 rapporto Ned/Ng ... 165

Figura 4-43 eccentricità ... 166

Figura 4-44 rapporto aree ... 166

Figura 4-45 rapporto moduli di resistenza ... 167

Figura 4-46 confronto capacità portanti ... 167

Figura 4-47 confronto rapporti Ned/Ng ... 168

Figura 4-48 confronto eccentricità ... 168

Figura 4-49 confronto rapporti aree ... 169

Figura 4-50 confronto rapporti moduli di resistenza ... 169

Figura 4-51 confronto capacità portanti ... 170

Figura 4-52 confronto rappori Nrd/Ng ... 171

Figura 4-53 confronto eccentricità ... 171

Figura 4-54 confronto rapporto aree ... 172

Figura 4-55 confronto rapporto moduli di resistenza ... 172

Figura 4-56 capacità portante ... 173

Figura 4-57 confronto rapporto Ned/Ng ... 174

Figura 4-58 confronto eccentricità ... 174

Figura 4-59 confronto rapporto aree ... 175

Figura 4-60 confronto rapporti moduli di resistenza ... 175

Figura 4-61 confronto capacità portante ... 176

Figura 4-62 confronto rapporti di resistenza ... 177

Figura 4-63 confronto eccentricità ... 177

Figura 4-64 confronto rapporti tra aree ... 178

Figura 4-65 confronto rapporti dei moduli di resistenza ... 178

Figura 5-1 estrusione profilo su Abaqus ... 182

Figura 5-2 elasticità su abaqus ... 183

Figura 5-3 plasticità su Abacus ... 183

Figura 5-4 definizione del tipo di sezione ... 184

Figura 5-5 "assembly" ... 185

Figura 5-6 interazione ... 186

Figura 5-7 definizione del tipo di analisi ... 187

(9)

Figura 5-9 definizione del carico ... 189

Figura 5-10 definizione dell'appoggio ... 189

Figura 5-11 definizione della cerniera ... 190

Figura 5-12 definizione della mesh ... 191

Figura 5-13 risultati ... 192

Figura 5-14 step buckle ... 193

Figura 5-15 comando imperfezioni ... 195

Figura 5-16 deformata precritica con t=2mm ... 196

Figura 5-17sforzi interni caso precritico con t=2mm ... 196

Figura 5-18 deformata critica con t=2mm ... 197

Figura 5-19 sforzi nel caso di deformazione critica con t=2mm ... 197

Figura 5-20 deformata post-critica con t=2mm ... 198

Figura 5-21 sforzi in ambito post-critico con t=2mm ... 198

Figura 5-22 LPF per t=2mm ... 199

Figura 5-23 percorso di carico t=2mm ... 199

Figura 5-24 comportamento precritico pet t=6mm ... 200

Figura 5-25 comportamento critico per t=6mm ... 200

Figura 5-26 comportamento post-critico ... 201

Figura 5-27 LPF per t=6mm ... 202

(10)

INDICE DELLE TABELLE

Tabella 1-1 Tolleranze dei raggi interni della sezione ... 23

Tabella 1-2 tolleranze limite per dimensioni esterne ... 23

Tabella 3-1 Estratto dell’EC3: tabella 3.1a ... 90

Tabella 3-3-2 Estratto dell’EC3: tabella 3.1b ... 91

Tabella 3-3-3 rapporto fya / fyb per una sezione a 2 pieghe ... 93

Tabella 3-3-4 rapporto fya / fyb per una sezione a 4 pieghe ... 93

Tabella 3-3-5 rapporto fya / fyb per una sezione a 6 pieghe ... 94

Tabella 3-6 Modellazione degli elementi della sezione da EC3 ... 102

Tabella 3-7 Elementi interni in compressione - estratto da EC3 parte 1-5 ... 104

Tabella 3-8 Elementi esterni in compressione - estratto da EC3 parte 1-5 ... 105

Tabella 3-9 Elementi interni ed esterni compressi – estratto da EC3 Annex D ... 106

Tabella 4-1 caratteristiche geometriche ... 133

Tabella 4-2 caratteristiche meccaniche ... 133

Tabella 4-3 caratteristiche geometriche lorde ... 134

Tabella 4-4 caratteristiche geometriche ed inerziali ... 135

Tabella 4-5 classificazione della sezione ... 135

Tabella 4-6 verifiche dimensionali ... 136

Tabella 4-7 procedura iterativa per la geometria efficace a compressione ... 137

Tabella 4-8 procedura iterativa per la geometria efficace a flessione ... 138

Tabella 4-9 resistenza all'instabilità per compressione ... 145

Tabella 4-10 resistenza ad instabilità per flessione ... 145

Tabella 4-11 capacità portante ... 145

Tabella 5-1 caso t=2mm ... 203

Tabella 5-2 caso t=6mm ... 203

(11)

SOMMARIO

Il presente elaborato si propone come obiettivo principale quello di determinare, attraverso un approfondimento della normativa di riferimento, la capacità portante di profili sottili sagomati a freddo, in particolare quelli con sezione a C con irrigidimento. Questo tipo di sezioni risultano di grande utilità poiché hanno elevate caratteristiche di resistenza nonostante le dimensioni relativamente piccole soprattutto in termini di spessore, il che riduce notevolmente i costi di produzione e di assemblaggio di tali elementi. Il problema è che la maggior parte di essi appartiene alla quarta classe di duttilità e, infatti, sono soggetti ad effetti di instabilità distorsionale, locale e, in base poi alla lunghezza, anche globale che influenzano in modo consistente la capacità portante della sezione allontanando tale valore da quello effettivo di resistenza a compressione per snervamento o rottura.

Una volta implementato il metodo di penalizzazione dell’area resistente per instabilità di una sezione definita in seguito, la procedura viene estesa a casi più generali facendo variare i parametri geometrici e meccanici che hanno un ruolo più decisivo nella definizione della capacità portante di un elemento strutturale. L’analisi parametrica condotta ha portato a dei risultati interessanti e non così banali come si vedrà nel corso della trattazione.

Nel seguente capitolo sono esposte le principali caratteristiche del materiale acciaio da costruzione con un breve cenno al fenomeno dell’instabilità.

Successivamente, nel secondo capitolo, viene esposta in maniera dettagliata la teoria strutturale relativa ai profili sottili aperti, sensibili agli effetti della torsione e delle imperfezioni geometriche e meccaniche.

Nel terzo capitolo invece vengono ripercorse le tematiche introdotte nel secondo ma con un approccio prettamente di normativa, che permette di valutare, progettare e verificare la capacità portante di questa particolare categoria di profili.

(12)

Nel quarto capitolo sono riportati invece tutti i dati ottenuti dall’analisi parametrica per la valutazione della resistenza a compressione del profilo in esame al variare delle principali caratteristiche geometriche e meccaniche: spessore, lunghezza, larghezza, lunghezza dell’irrigidimento, lunghezza di libera inflessione e tensione di snervamento. I risultati riportati riguardano principalmente la capacità portante, l’area efficace, i moduli di resistenza efficaci superiore ed inferiore e l’eccentricità che si crea tra il baricentro della sezione efficace e quello della sezione intera.

Il quinto capitolo infine racchiude i passaggi principali per la determinazione della capacità portante del profilo in esame per solo due casi significativi attraverso l’utilizzo del software Abaqus CAE che opera con elementi finiti. Questo passaggio è finalizzato alla conferma e alla validazione dei risultati ottenuti attraverso il metodo di penalizzazione della geometria efficace proposto dalle normative vigenti.

(13)

1 L’acciaio per le costruzioni

Nella progettazione di una struttura, la scelta del materiale, con cui si realizzerà l’opera, è di estrema importanza. Infatti, le caratteristiche proprie di un materiale, definiscono il comportamento, che avrà la struttura soggetta ai carichi di esercizio. Questa scelta dovrà essere effettuata in modo da garantire che la struttura soddisfi dei requisiti fondamentali:

- resistenza; - stabilità;

- efficienza funzionale; - durabilità;

- costi di realizzazione e manutenzione contenuti.

Il materiale acciaio è una particolare lega ferro – carbonio, in cui le componenti sono presenti in quantità ben definita. In particolare, le leghe ferro – carbonio, si distinguono sulla base del quantitativo di carbonio presente; si parla di:

- ghise, se il tenore di carbonio è superiore all’1,7%;

- acciai, quando il tenore di carbonio è inferiore all’1,7%.

Gli acciai per le costruzioni ad uso civile ed industriale hanno tenore di carbonio compreso tra 0,1% e 0,2%. Il carbonio eleva le caratteristiche di resistenza, ma riduce la duttilità e la saldabilità del materiale. Oltre al ferro e al carbonio, sono presenti, in piccole quantità, altri elementi che modificano le proprietà fisiche e meccaniche del materiale.

I più importanti elementi che migliorano le caratteristiche dell’acciaio sono il manganese e il silicio, che vengono aggiunti nel processo di lavorazione, per elevare le caratteristiche di saldabilità del materiale. Tra gli elementi che peggiorano le caratteristiche dell’acciaio troviamo il fosforo e lo zolfo, che tendono ad aumentare la fragilità del materiale ed a

(14)

diminuirne la saldabilità. Una caratteristica, che rende unico il materiale acciaio è la grande versatilità di impiego dovuta alla possibilità di conferirgli forme e dimensioni particolari. L’aspetto determinate, in termini prestazionali, che rende l’acciaio adatto alla costruzione di diverse tipologie di opere è il basso rapporto peso/resistenza.

Purtroppo, in alcune nazioni, come in Italia, a causa di differenti motivi storico-economici, l’acciaio non ha mai avuto un grande impiego se non in campo industriale.

Oltre alle più comuni installazioni civili (edifici e ponti) prevalentemente realizzate con profilati laminati a caldo, in alcuni ambiti applicativi sono convenienti gli elementi strutturali ottenuti mediante processo di presso-piegatura a freddo, ossia i profili in parete sottile, detti anche profili sagomati a freddo.

Gli elementi piani che compongono la sezione di un profilo sottile hanno uno spessore molto piccolo se confrontato con la larghezza; questo provoca l’insorgere di fenomeni di instabilità locale che precedono il raggiungimento della tensione di snervamento. Altro fattore che caratterizza il comportamento di questi profilati è la modesta rigidezza torsionale; se a questo si aggiunge il fatto che la maggior parte delle sezioni utilizzate è caratterizzata da un solo asse di simmetria (centro di taglio non coincidente con il baricentro della sezione), si conclude che situazioni di carico eccentriche rispetto al centro di taglio producono deformate flesso-torsionali, con la possibilità di arrivare a una situazione di collasso anche per valori di carico modesti.

Un ultimo fattore comportamentale che necessita di essere ricordato deriva dal fatto che il processo di piegatura a freddo introduce incrudimento nelle zone di piega, con conseguente variazione delle caratteristiche meccaniche della sezione; l’entità di questa variazione dipende dal tipo di acciaio, dal rapporto tra il raggio di piegatura e lo spessore della lamiera, dal numero di pieghe e dalla forma e dimensione del profilato.

Il loro impiego si è diffuso nel secondo dopoguerra per via dello sviluppo di nuove tecnologie produttive; l’utilizzo di questi elementi copre un vasto campo di impiego, dal settore edilizio a quello dei trasporti, al settore industriale.

Nel complesso i vantaggi derivanti dall’uso di profili sagomati a freddo sono: - costo modesto;

(15)

- leggerezza strutturale;

- possibilità di realizzare elementi con luci elevate;

- possibilità di produrre elementi con forme adatte per scopi specifici; - precisione e accuratezza nelle dimensioni geometriche;

- completa lavorabilità in officina (taglio, forature, ...); - facilità di movimentazione.

1.1 Caratteristiche del materiale

Il materiale acciaio è caratterizzato da un legame costitutivo tensione–deformazione σ–ε simmetrico a trazione e a compressione. Di solito viene determinato attraverso una prova di trazione su provini opportunamente sagomati. In figura 1.1 viene riportato il tipico legame costitutivo dovuto ad uno stato di sollecitazione mono-assiale per un acciaio da costruzione.

Figura 1-1Legame costitutivo per un acciaio da costruzione

In dettaglio è possibile individuare le seguenti fasi:

- una fase elastica in cui il materiale ha un comportamento praticamente elastico lineare fino al raggiungimento della tensione di snervamento (limite di

proporzionalità). La pendenza di questo tratto individua il modulo di elasticità E;

- una fase plastica caratterizzata da grandi deformazioni;

- una fase incrudente la cui pendenza è ridotta rispetto a quella del primo tratto, fino ad arrivare alla rottura del materiale definita dalla tensione ultima.

(16)

Figura 1-2Relazione tensione - deformazione per un acciaio

Di solito il legame costitutivo dell’acciaio viene schematizzato con tratti lineari; in particolare nei calcoli progettuali si utilizza un modello elasto–plastico perfetto.

1.2 I processi di lavorazione

La produzione di componenti o di elementi strutturali metallici viene effettuata tramite vari processi che, partendo dalle materie prime e passando attraverso diversi tipi di semilavorati, consentono di ottenere la forma e le proprietà desiderate. I processi consentono di ottenere il materiale metallico partendo dai minerali che contengono ossidi di ferro oppure partendo da rottami.

Questi prodotti possono essere ottenuti in diversi modi, riconducibili alle due seguenti tecniche:

- processo di formazione per compressione o trazione - processo di formazione per flessione e taglio

Tra le prime tipologie di lavorazione, quella più nota è la laminazione, sia a caldo che a freddo, con la quale si ottiene la maggior parte dei prodotti (laminati). In particolare, la laminazione a freddo è usata per ottenere, mediante incrudimento, resistenze elevate a scapito di una riduzione della duttilità. Quando la lavorazione a freddo richiede deformazioni eccessive, il materiale può crettare (ossia screpolarsi) prima di raggiungere la forma e le dimensioni volute. Allora è necessario ricorrere ad ulteriori trattamenti consistenti in cicli alternati di deformazione a freddo e di ricottura.

(17)

I processi di formazione per flessione e taglio consistono nel piegare sottili lamiere fino ad ottenere elementi con sezioni trasversali aventi forma voluta. In questa categoria, si trovano i profilati sagomati a freddo. La caratteristica fondamentale per realizzare questi prodotti è che lo spessore della lamiera deve essere contenuto entro alcuni millimetri altrimenti non è possibile effettuare questo tipo di lavorazione.

I sistemi impiegati per realizzare i sagomati a freddo sono principalmente due: - profilatura in continuo di nastri

- presso piegatura di lamiere piane

Il primo processo consiste nel far passare nastri di lamiera attraverso una serie di rulli che progressivamente deformano plasticamente l’acciaio sino ad arrivare alla forma desiderata. Si osservi, che la lamiera di partenza, inizialmente piana viene trascinata e gradualmente sagomata fino ad ottenere il prodotto finito.

La lavorazione può essere riassunta nelle seguenti fasi:

Figura 1-3 Preparazione del nastro sul supporto Figura 1-4 Seconda fase

- Prima fase: scelta del nastro in accordo alle esigenze tecnologiche, strutturali e meccaniche. Il nastro viene fissato su un supporto

- Seconda fase: la bobina di acciaio viene svolta, prima di entrare in rulliera, passa in una tranciatrice, che ha il compito di forare la lastra.

(18)

Figura 1-5 Fasi di produzione del profilato

- Terza fase: ingresso in rulliera, da qui, mediante un processo di piegatura incrementale esce il profilofinito.

- Quarta fase: il processo è finito, il profilato sarà successivamente tagliato e pronto ad eventuali trattamenti superficiali o all’utilizzo.

La presso-piegatura, invece, interessa tutto il pezzo di lamiera. I profili che contengono numerose pieghe richiedono di spostare il pezzo numerose volte all'interno della macchina, che risulta quindi poco adatta per realizzare profili con un elevato numero di pieghe, oltre al fatto che pezzi di lunghezza superiore ai 5 m sono di difficile realizzazione.

(19)

Durante il processo la lamiera viene piegata in modo permanente mediante l’utilizzo di punzoni e matrici. In figura 1.7 sono proposti i principali passaggi per l’ottenimento a stampo di alcuni profili usati in edilizia.

Figura 1-7 Lavorazioni per stampaggio di elementi sagomati a freddo

1.3 Profili in parete sottile

I prodotti sagomati a freddo possono essere classificati in due tipologie: - elementi mono-dimensionali

- elementi piani

Nella prima categoria rientrano i profili in parete sottile, tradizionalmente utilizzati nel mondo delle scaffalature; la vasta gamma di tipi di sezioni trasversali disponibili in diversi spessori, variabili tra 0.5mm e 10mm, consente, un sensibile risparmio in peso che si traduce, tra l’altro in un minore onere nelle operazioni di montaggio dei vari elementi.

(20)

Figura 1-8 Alcuni esempi di profili sagomati a freddo

In aggiunta, si sottolinea che gli elementi sagomati a freddo trovano anche un importante campo di utilizzo per la realizzazione di scaffalature industriali. In questo settore in continua espansione a causa delle notevoli potenzialità di impiego nel settore civile e industriale, le travi (correnti) hanno generalmente sezione scatolare rettangolare, mentre le colonne (montanti) sono realizzate con profili aperti caratterizzati dalla presenza di un sistema regolare di forature che consente l’aggancio del corrente mediante la staffa.

Della seconda categoria fanno parte gli elementi bidimensionali; questi prodotti vengono correntemente utilizzati per realizzare strutture portanti di piano, copertura e dei tamponamenti. La larghezza dei pannelli varia tra 40 e 200 mm e lo spessore è compreso tra 0,5 e 2 mm.

1.4 Le imperfezioni

Il comportamento delle strutture in acciaio, e quindi la capacità portante degli elementi, dipende dalla presenza di imperfezioni. Queste vengono distinte a seconda della loro natura, in:

- imperfezioni meccaniche; - imperfezioni geometriche.

(21)

1.4.1 Imperfezioni meccaniche

Con il termine imperfezioni meccaniche si intendono le tensioni residue e la non omogenea distribuzione delle caratteristiche meccaniche nella geometria della sezione trasversale. Le tensioni residue o auto-tensioni costituiscono uno stato tensionale auto-equilibrato legato ai processi di produzione dell’elemento ed associato a deformazioni plastiche non uniformi. Nel caso dei profili sagomati a freddo, il prodotto di partenza è un rotolo ottenuto per laminazione. Prendendo in esame una striscia di metallo si nota che le fibre superficiali tendono ad allungarsi mentre il centro rimane indeformato. Per la continuità dell’intera striscia si manifestano deformazioni di accomodamento tra superficie e centro. Le fibre centrali si oppongono all’allungamento delle fibre superficiali che a loro volta cercano di tendere le prime dando vita ad una distribuzione di tensioni residue con valori di compressione sulla superficie e valori di trazione all’interno dello spessore, come mostrato in figura 1.9. Nei laminati a caldo la formazione delle tensioni residue è invece prodotta dal raffreddamento. Le tensioni residue di origine termica che ne derivano hanno un andamento analogo a quello dei laminati a freddo, nel senso che le zone che si raffreddano per prime (quelle superficiali) saranno soggette a tensioni di compressione, mentre quelle raffreddate per ultime (centrali) saranno soggette a tensioni di trazione.

Figura 1-9 Tensioni residue di un prodotto piano laminato a freddo

Nel caso di profilati o di lamiere, un’ulteriore fonte di imperfezione è costituita del processo di lavorazione a freddo. Mediante piegatura o stampaggio vengono infatti alterate le caratteristiche meccaniche del materiale in prossimità della zona di piega. Per profili formati da più pieghe si ottiene, lungo la sezione trasversale, una distribuzione disomogenea delle tensioni di snervamento fy e di rottura ft caratterizzata da picchi in corrispondenza delle

(22)

1.4.2 Imperfezioni geometriche

Ogni elemento che viene prodotto avrà delle differenze di dimensione, e di forma rispetto a quello teorico. Queste imperfezioni, a volte impercettibili, sono dovute ai metodi di lavorazione degli elementi. Esistono delle imperfezioni della sezione trasversale in cui le dimensioni effettive dell’elemento sono diverse da quelle nominali: gli effetti di questi errori si traducono in differenti valori di area, momenti d’inerzia e moduli di resistenza; oppure in variazioni della forma con perdita ad esempio della simmetria della sezione.

Figura 1-10 Esempi di imperfezioni geometriche: (a) tolleranza di perpendicolarità, (b) tolleranza di simmetria, (c) tolleranza di rettilinearità trasversale

I profilati formati a freddo sono prodotti di varie forme aventi ciascuna una sezione uniforme sull’intera lunghezza. Essi vengono ottenuti partendo dai prodotti laminati a caldo o a freddo, senza sostanziale modifica dello spessore del prodotto piatto, con un procedimento di pura formatura a freddo.

La normativa tecnica che si occupa di fornire le prescrizioni e le tolleranze massime per i profili d’acciaio in parete sottile aperta, formati a freddo è la UNI 7344:1985. In dettaglio, il paragrafo 5 di questa norma fornisce i valori limite per le caratteristiche geometriche della sezione distinguendo due classi:

- tolleranze dimensionali; - tolleranze di forma.

Nella prima categoria, rientrano le prescrizioni per lo spessore nominale, le dimensioni della sezione e la lunghezza del profilo; per quanto concerne le tolleranze di forma vengono forniti i valori limite per gli errori di perpendicolarità dei piatti, l’errore di rettilinearità del profilo e la svergolatura della sezione.

Tolleranze dimensionali

Le tolleranze sulle dimensioni esterne comprese tra due raccordi e per un elemento vincolato ad un solo estremo sono indicate rispettivamente in tabella 1.1 e 1.2.

(23)

Questi valori sono validi unicamente per profilati formati a freddo con le seguenti caratteristiche distintive:

- valore minimo del carico unitario di snervamento ≤ 355 N / mm2

- angolo di raccordo per tutte le piegature =90° - raggio interno di piegamento conforme alla tabella 1.1

Tabella 1-1 Tolleranze dei raggi interni della sezione

- dimensione esterna minima compresa fra i due raccordi 10 × spessore - dimensione esterna minima compresa fra un raccordo

ed un bordo libero 4 × spessore

- rapporto massimo delle lunghezze dei due lati liberi 2 : 1 - larghezza di massima apertura (che si trova sempre in

corrispondenza del centro di un lato minore) per i profili

tubolari aperti spessore

(24)

1.5 Utilizzo dei profili sagomati a freddo

I profili sottili sagomati a freddo sono molto utilizzati in ambito civile ed industriale. Si riportano di seguito le principali applicazioni di questo tipo di elementi.

1.5.1 Le scaffalature industriali

Il termine scaffalatura industriale in acciaio, indica una struttura metallica realizzata specificatamente per l’immagazzinamento e lo stoccaggio delle merci. Rientrano in questa categoria, i sistemi intelaiati di modeste dimensioni che si vedono nei centri commerciali, ma anche vere e proprie strutture con altezze considerevoli, classificabili con il termine “scaffalatura”. A titolo di esempio nella figura 1.11 è presentata una scaffalatura (magazzini autoportanti) di altezza compresa tra 25 e 30 m.

Figura 1-11 Magazzino autoportante in doppia profondità

Le scaffalature rientrano nell’ambito delle strutture industriali, ossia strutture intelaiate regolari nel loro sviluppo sia in pianta che in elevazione. Possono quindi essere trattate, in prima approssimazione, come telai piani anche se la progettazione richiede una particolare attenzione alle problematiche derivanti dalla geometria degli elementi utilizzati. Le problematiche a cui si fa riferimento sono:

- l’utilizzo di profili aperti in parete sottile formati a freddo sottoposti a problemi dovuti ai fenomeni di instabilità locale;

(25)

- la presenza di un sistema regolare di forature (che portano all‘indebolimento della sezione);

- la schematizzazione strutturale, che deve tenere conto dell’effettivo comportamento delle membrature e dei sistemi di collegamento.

I sistemi strutturali di scaffalature attualmente in uso sono dotati di forature con passo regolare, introdotte per la prima volta negli anni Trenta e da allora mai più abbandonate per la loro fondamentale importanza. Infatti, le forature sono necessarie per effettuare le connessioni che altrimenti sarebbero ottenute tramite complesse saldature o sistemi di bullonatura, entrambe antieconomiche e incapaci a garantire la flessibilità di impiego che consente in breve tempo di variare l’altezza del livello di carico.

Lo studio delle scaffalature metalliche è un ambito che, fino a qualche anno fa, non era particolarmente considerato in quanto non esistevano norme specifiche.

Figura 1-12 Esempi di danno strutturale

Ai problemi normativi e strutturali si aggiungono in molti casi le problematiche relative al danneggiamento della scaffalatura in esercizio. Nelle figure 1.12 sono riportate esempi relativi a danni strutturali di scaffalature comunque regolarmente impiegate nonostante l'evidente riduzione del grado di sicurezza. Questi danneggiamenti sono dovuti ad errori umani nell’utilizzo dei carrelli elevatori in fase di movimentazione delle merci e sono provocati tanto dell’impatto del carrello, quanto dal carico stesso.

(26)

1.5.2 Le componenti

La peculiarità dei sistemi di scaffalatura, rispetto ai tradizionali telai in acciaio, è dovuta alle componenti ed ai dettagli che consentono l'assemblaggio del sistema completo. Sono riportate nelle figure 1.13 alcune sezioni tipiche per i montanti e i correnti; da notare il sistema regolare di foratura che consente la realizzazione dell'aggancio con il corrente e il conseguente problema del calcolo dell'area efficace.

Figura 1-13 Esempi di giunti montante corrente

Nei sistemi di dimensioni particolarmente rilevanti sono presenti, nell'intercapedine tra due fronti di carico adiacenti, dei controventamenti a "croce di S. Andrea". Nella direzione trasversale (cross-aisle direction), invece, sono disposte le spalle che a loro volta sono costituite dal montante e dal sistema di controvento trasversale. Quest’ultimo è costituito da una tralicciatura di diagonali e traversi.

(27)

Figura 1-15 Sistemi di controvento di una scaffalatura

Per quanto riguarda il piano verticale esso contiene le unità di carico, che sono delineate dall'orditura di montanti e correnti. Le unità di carico hanno dimensioni variabili tra 1800 e 2700 mm in larghezza e 900 e 2700 mm in altezza, la profondità varia tra 1200 e 2700 mm in funzione del modulo di carico che può essere in semplice o doppia profondità.

Le loro dimensioni sono condizionate da quelle dei pallet che dovranno ospitare; esistono dimensioni standardizzate a livello europeo: l’europallet misura 800 x 1200 mm, sono però ammesse varianti che portano il lato corto a misurare 1000 o 1200 mm.

In sommità possono essere presenti, soprattutto nei sistemi di stoccaggio molto alti o quelli autoportanti, travi reticolari o sistemi di controventatura che hanno lo scopo di solidarizzare trasversalmente le scaffalature e sostenere la copertura del magazzino.

1.5.3 Classificazione

Le scaffalature, come già accennato, sono a tutti gli effetti sistemi intelaiati, controventati soltanto nel piano della spalla ed a nodi mobili in direzione longitudinale, in acciaio e godono dell’importante proprietà di avere una struttura regolare sia in pianta che in elevazione: questo è ovviamente dovuto alla necessità di poter stoccare ordinatamente le merci. Le scaffalature industriali si possono classificare in base alle caratteristiche costruttive e al campo di impiego:

1- scaffalature porta-pallets: sono strutture a configurazione fissa, destinate a portare i carichi di esercizio senza l’ausilio di ripiani; esse si dividono a loro volta in:

- scaffalatura porta-pallets regolabile: insieme di spalle collegate da correnti orizzontali per permettere lo stoccaggio su livelli spostabili verticalmente;

(28)

- scaffalatura porta-pallet drive-in e drive-through: magazzini statici nei quali i pallet vengono disposti in multipla profondità; i pallet sono sostenuti da guide fissate a sbalzo rispetto alla spalla. Nei sistemi drive-in il materiale entra ed esce dalla stessa via di accesso, quindi il primo a entrare sarà l’ultimo ad uscire; nei sistemi drive-through, invece, il materiale prosegue nel tunnel fino al lato opposto, il primo che entra sarà il primo ad uscire;

- magazzino automatico: le spalle sono collegate da correnti orizzontali, e i pallet sono movimentati con traslo-elevatori mobili.

-

Figura 1-16 Scaffalature porta pallets

2- scaffalature a ripiani: ripiani orizzontali sono sostenuti da montanti verticali. I ripiani possono essere fissati permanentemente alla spalla; bullonati; fissati per mezzo di ganci o staffe, che li rendono facilmente spostabili; misti, alcuni ripiani sono fissi, gli altri mobili.

Figura 1-17 Scaffalature a ripiani

3- scaffalatura cantilever: struttura fissa o riconfigurabile che consente lo stoccaggio di carichi lunghi senza l’ostacolo dei montanti frontali.

(29)

Figura 1-18 Scaffalature cantilever

4- magazzini dinamici: sistema di immagazzinamento dinamico in cui il prodotto si sposta secondo logiche di prelievo e di stoccaggio. Si riportano alcuni esempi:

- scaffali mobili: gli scaffali sono montati su rotaie;

- caroselli verticali: i prodotti vengono immagazzinati su ripiani che si muovono verticalmente, per mezzo di motore, fino al punto di prelievo;

- caroselli orizzontali: campata di ripiani o armadi fissati a una catena di trasporto e coman-data in modo da presentare ogni singola campata al punto di prelievo

- magazzini dinamici: costituiti da scaffali che presentano un lato di carico e uno di prelievo. Lungo i ripiani, le merci si muovono per gravità (scorrono su piani inclinati) o per mezzo di convogliatori orizzontali. Con questo sistema il primo che entra è il primo ad uscire.

(30)

1.6 Sistemi intelaiati

Le scaffalature metalliche sono sistemi intelaiati, e di conseguenza il loro dimensionamento deve tenere in conto anche lo stato delle conoscenze delle costruzioni metalliche. I sistemi intelaiati possono essere classificati in vari modi in base al criterio scelto. I criteri proposti sono tra loro indipendenti.

- Tipologia strutturale: telai controventati o non controventati, in base alla presenza di una struttura capace di trasferire in fondazione le azioni orizzontali;

- Stabilità trasversale: in base all'influenza degli effetti del secondo ordine si possono dividere in telai a nodi fissi e telai a nodi mobili;

- Comportamento del giunto trave-colonna: in base al grado di continuità che il giunto trave-colonna riesce a garantire nel trasmettere le azioni flettenti e taglianti, i telai si distinguono in telai pendolari, telai a nodi rigidi (o continui), telai semicontinui.

1.6.1 La tipologia strutturale

Le strutture a telaio in acciaio si possono classificare come controventate, se la presenza di un sistema di controventi garantisce una rigidezza tale che le forze trasversali possano considerarsi applicate direttamente al sistema controventante. In base a quanto riportato nell'EC3, un telaio in acciaio può essere considerato controventato se il sistema di controvento riduce lo spostamento orizzontale dell'80%. Equivalentemente, il sistema strutturale è controventato se la sottostruttura controventante ha rigidezza cinque volte superiore quella della struttura priva di controvento.

Le azioni che sollecitano il controvento possono essere applicate direttamente al controvento stesso, applicate al telaio e quindi trasmesse al controvento, imperfezioni laterali presenti nel sistema strutturale nel suo complesso.

La struttura di controvento può essere realizzata in calcestruzzo (ad es. vani scala degli edifici civili) oppure per mezzo di strutture tralicciate in acciaio. In assenza di una specifica sottostruttura destinata al trasferimento in fondazione delle forze orizzontali, devono provvedere a questa funzione gli elementi già predisposti a sostenere i carichi verticali. La presenza del sistema di controvento semplifica il calcolo strutturale in quanto si può disaccoppiare il comportamento dovuto ai carichi verticali, che vengono sostenuti dal telaio, dal comportamento del controvento, che dovrà sostenere le azioni orizzontali e la quota parte di carichi verticali che gravano direttamente su di esso.

(31)

Figura 1-20 Telai controventati

1.6.2 La stabilità trasversale

Le strutture a telaio sono classificate a nodi fissi se la risposta ad azioni trasversali è tale da poter trascurare le azioni interne conseguenti lo spostamento orizzontale dei nodi. Teoricamente un telaio non controventato è da considerarsi a nodi mobili. Nella pratica ingegneristica gli effetti del secondo ordine sono considerati trascurabili quando incidono meno del 10% rispetto ai risultati ottenuti con un'analisi al primo ordine.

Va precisato che "telaio controventato" e "telaio a nodi fissi" non sono espressioni tra loro equivalenti, in quanto il primo termine è riferito alla resistenza della struttura nei confronti di un certo tipo di sollecitazioni e del meccanismo di trasferimento delle forze; la seconda terminologia riguarda la deformabilità trasversale della struttura.

L' EC3 afferma che un telaio può essere considerato a nodi fissi se, per una certa condizione di carico, il rapporto rispetto al carico critico per quella condizione non supera il valore di 0,1, ed è espresso dalla seguente formula:

𝑉𝑆𝑑

𝑉𝑐𝑟

≤ 0,1

Dove:

- VSd indica il carico verticale totale di progetto

(32)

La rigidezza flessionale del giunto trave-colonna, cioè la sua capacità di trasmettere azioni interne di tipo flettente, assume importanza rilevante nel determinare il comportamento strutturale. Per valutare la risposta del giunto si ricorre a diagrammi momento-curvatura come quello mostrato in figura.

Figura 1-21 diagramma momento-curvatura

In base a quanto illustrato nella figura precedente si giunge alla seguente classificazione: - Telaio pendolare: i giunti sono schematizzati come cerniere, vedi curva a di figura

1-21b, quindi non trasmettono azioni flettenti tra la trave e la colonna, sono consentite le rotazioni tra le membrature. In questo caso, nella fase di progetto è necessario prevedere un adeguato sistema di controvento;

- Telaio semi-continuo: il giunto è semi-rigido, esso consente contemporaneamente la rotazione relativa e la trasmissione di momento flettente tra trave e colonna, curva c; - Telaio a nodi rigidi: non è permessa alcuna rotazione, vedi curva b, si ha continuità

nel diagramma del momento.

La pratica progettuale tende a privilegiare schemi strutturali appartenenti alle due categorie estreme di comportamento del nodo trave-colonna. I giunti classificati come cerniere comportano una sottostima della sollecitazione flessionale all'interno della colonna e, contemporaneamente, inducono a sovradimensionare la trave. Se si utilizza, invece, una modellazione tipo incastro viene sovrastimata la rigidezza trasversale del telaio, con conseguenti spostamenti trasversali inferiori a quelli effettivi; in aggiunta con questa schematizzazione si corre il rischio di sottodimensionare la trave.

1.6.3 La continuità dei giunti

Per quanto riguarda la schematizzazione strutturale è importante dire che è necessario scegliere lo schema corretto, soprattutto per quel che concerne i giunti interni della struttura,

(33)

che connettono le travi ai montanti. Questi giunti, infatti, hanno un comportamento intermedio tra quello di una cerniera e quello di un incastro:

- i giunti classificati come cerniere possiedono comunque una rigidezza flessionale, che determina un minore impegno per la trave e incrementa l'impegno flessionale della colonna; - i giunti classificati come rigidi possono presentare significative deformazioni per taglio e flessione, rendendo la struttura più sensibile ai fenomeni del secondo ordine.

Figura 1-22 Esempi di giunti semi rigidi nelle scaffalature industriali

Il modo migliore per rappresentare questo vincolo è quello di usare una molla rotazionale con comportamento non lineare (figura 1.22).

Nella figura si vede una prima fase elastica caratterizzata da rigidezza Cie da un valore di

momento limite Me; essa è seguita da un tratto post-elastico dovuto a fenomeni non lineari e

plasticizzazioni locali, esso ha una pendenza Cred e alla fine si raggiunge il momento plastico

MP. Infine, il grafico mostra un tratto incrudente nel quale si raggiunge il valore ultimo di momento: Mucon una rigidezza CP; la curva termina con il tratto plastico. In fase di scarico

la curva è caratterizzata da un tratto rettilineo di rigidezza Cunl comparabile con quella

(34)

Figura 1-23 Curva momento-rotazione

Ogni tipo di giunto è caratterizzato da una sua curva momento-rotazione. Può capitare a volte che l'effettivo comportamento del giunto non sia rilevante nella progettazione, quindi i modelli tradizionali continuano a mantenere la loro validità per molte strutture. Quindi la scelta dello schema strutturale da utilizzare va fatta non solo in base all'effettivo comportamento del giunto ma anche in base al contesto strutturale nel quale si svolge l'analisi e dalle caratteristiche della trave che vincolano. Dalle indicazioni dell'EC3 si possono ricavare le curve adimensionalizzate mediante le formule:

{ 𝑚 = 𝑀 𝑀𝑝𝑙,𝑅𝑑 𝜑 = 𝜑 𝐸𝐼𝑏 𝐿𝑏𝑀𝑝𝑙,𝑅𝑑 Dove:

- Mpl,Rdrappresenta il momento plastico della trave, - Ibil momento d'inerzia della trave

- Lbla sua lunghezza.

(35)

1.7 Cenni sull’instabilità

Un aspetto importante dell’analisi strutturale è il problema dello stato di tensione e di deformazione in un generico solido elastico, vincolato e caricato in modo qualsiasi. Le ipotesi fondamentali, poste a base di tutte le deduzioni e dei procedimenti di calcolo sono le seguenti:

- il materiale è definito come elastico lineare;

- gli spostamenti e le deformazioni sono di piccola entità; in particolare gli spostamenti sono così piccoli da non influire sul modo con cui la struttura trova il suo equilibrio e quindi si può imporre l’equilibrio con riferimento alla configurazione indeformata.

Con tali ipotesi una struttura sollecitata da una serie di carichi assume una configurazione prossima a quella iniziale che risulta essere equilibrata e congruente.

Il problema però non è completamente risolto, in quanto non si fornisce nessuna informazione sulla natura della configurazione di equilibrio, cioè si vuole valutare se l’equilibrio trovato è stabile oppure instabile.

Intuitivamente possiamo definire che l’equilibrio in un sistema rigido si dice stabile se il sistema tende a ritornare nella sua configurazione iniziale dopo aver subito una qualunque piccola perturbazione, ed instabile nel caso opposto.

A differenza dei sistemi rigidi, nei sistemi elastici e quindi deformabili, qualunque sia la perturbazione imposta, sviluppano delle reazioni interne, associate alle deformazioni indotte dalla perturbazione stessa, che tendono a riportare il sistema nella configurazione iniziale. In altre parole, se l’effetto instabilizzante che le forze esterne generano a seguito di una perturbazione è maggiore dell’effetto stabilizzante delle forze interne associate alla perturbazione, l’equilibrio è instabile.

Tale instabilità quindi non è di tipo puramente posizionale, come nei sistemi rigidi, ma dipende dall’entità dei carichi esterni. In particolare, posso definire una condizione critica - dove raggiungo la condizione di instabilità - ed il carico ad essa associato prende il nome di

carico critico.

(36)

elastici discreti, che può essere facilmente estesa anche nel caso di sistemi continui, data da Lyapunov: “l’equilibrio è stabile se nel movimento dovuto ad una piccola perturbazione

dell’equilibrio gli spostamenti locali e le velocità correlative restano definitivamente piccole quanto si vuole”.

Dalla definizione scaturisce direttamente anche un primo criterio, cinematico, per la determinazione del carico critico, in corrispondenza del quale la configurazione di equilibrio, originariamente stabile, diventa instabile. Secondo questo criterio, il carico critico è il carico più piccolo, in corrispondenza del quale un’appropriata perturbazione determina un movimento che si sviluppa non più nell’intorno immediato della configurazione di equilibrio. Il criterio cinematico ha portata generale, nel senso che è applicabile sia nel caso di carichi conservativi che a quello di carichi non conservativi.

Nelle costruzioni civili la maggior parte dei carichi deriva dalla interazione delle masse con il campo gravitazione e, quindi, da forze conservative. Limitatamente al caso di forze conservative sono disponibili altri due criteri per accertate la qualità dell’equilibrio di un sistema elastico: il criterio statico e il criterio energetico.

Il metodo statico consiste nello scrivere l’equilibrio fra sollecitazioni interne ed esterne, con riferimento alla configurazione perturbata, da cui si ricava l’equazione differenziale omogenea che risolve il problema. I carichi critici sono gli autovalori dell’equazione omogenea; ognuno di essi è associato ad una configurazione di equilibrio indifferente. Ai fini delle applicazioni strutturali, viene preso in considerazione il primo dei carichi critici, che è il minore. Secondo il criterio energetico, il carico critico è il carico più piccolo, in corrispondenza del quale la variazione seconda dell’energia potenziale totale non è più definita positiva.

1.8 Retrospettiva storica

Il problema della stabilità dell’equilibrio degli elementi strutturali metallici è un argomento estremamente vasto e complesso che ha visto nel corso dei secoli un susseguirsi di teorie sempre più perfette, sorte soprattutto intorno al problema della “colonna”, forse il componente strutturale più studiato nella storia delle costruzioni.

(37)

Le primissime osservazioni fatte sulla resistenza e sulla stabilità delle colonne si possono far risalire ad Erone d’Alessandria (75 a.C.), mentre analoghi studi sono stati rinvenuti tra gli schizzi lasciati da Leonardo da Vinci (1452-1519).

Primo a dedicarsi alla ricerca di modelli fisici per i materiali e gli elementi fu P. Van

Musschenbroek (1693-1761), il quale giunse a definire le proprietà costitutive dei materiali

(durezza, elasticità, flessibilità) e attraverso sperimentazioni sistematiche su colonne ricavò alcune formule empiriche, nelle quali il carico critico era valutato come inversamente proporzionale al quadrato della luce.

Successivamente D. Bernoulli (1700-1782) condusse alcuni studi sulla linea elastica, i quali ispirarono L. Eulero (1707-1783) da cui, oltre alla ben nota formula del carico critico elastico, intuì aspetti avanzati come il comportamento inelastico dei materiali o le grandi deformazioni nella fase post-critica.

Nel 1774 Eulero rivolse le sue attenzioni al comportamento post-critico delle strutture, e nel caso particolare della colonna, riuscì ad individuare lo stato limite di servizio nel momento di inizio delle grandi deformazioni, definito come carico critico:

𝑁𝑐𝑟 = 𝜋2𝐵

𝐿2 (1.1) Il termine B, noto oggi come rigidezza flessionale (EI), venne innanzitutto definito come “elasticità assoluta” e solo nel 1775 venne conosciuto come “momento di rigidezza”. Circa la determinazione di EI, la rigidezza, Eulero propose delle prove di flessione sulle colonne con identiche condizioni al contorno, questo può considerarsi il primo tentativo di formulare una teoria inelastica, diretta a fornire il legame costitutivo reale tra momento e rigidezza flessionale. Purtroppo, questo concetto non fu approfondito né da Eulero, né dai suoi contemporanei per i successivi 200 anni, prima di essere riscoperto dai suoi successori.

Nella sua successiva memoria, 1778, Eulero presentò la classica formula elastica 𝑁𝑐𝑟 =

𝜋2𝐸𝐼

𝐿2 (1.2) con I definito come momento d’inerzia ed E modulo elastico del materiale, valori forniti dalle sperimentazioni fatte da Van Musschenbroek.

Bernoulli estese il problema dell’instabilità elastica della colonna ad ulteriori

condizioni di vincolo, introducendo il concetto di lunghezza libera di inflessione, intesa come distanza tra i due punti di flesso successivi dell’asta caricata e deformata elasticamente. Le sperimentazioni condotte su travi di legno dettero però risultati aderenti a quelli teorici.

(38)

Navier (1785-1829), attraverso le esperienze condotte dai sui contemporanei, scoprì

che il carico critico di Eulero definisce una limitazione superiore rispetto ai carichi sperimentali, egli quindi definì un limite di validità in relazione al materiale in esame (legno, ghisa, ferro) attraverso la definizione della snellezza limite o snellezza di proporzionalità

𝜆𝑒= 𝜋√ 𝐸

𝑓𝑒 (1.3) con fe limite elastico del materiale che separa le aste snelle (λ>λe) dalle aste tozze (λ<λe), per

le quali il collasso dell’asta avviene principalmente per schiacciamento.

Nel tentativo di spiegare le differenze tra teoria e sperimentazioni, assunsero grande importanza le imperfezioni delle aste nelle capacità resistente. Il primo ad accorgersene fu

Young (1773-1829), il quale rilevò sia la difficoltà di applicare carichi perfettamente centrati

sia la disomogeneità riscontrata nei materiali reali; problemi che generano una colonna già originariamente incurvata piuttosto di una completamente e assolutamente diritta.

Di conseguenza Young abbozzò l’analisi di una colonna con una certa curvatura iniziale ed eccentricità del carico. A questo proposito egli considerò un’asta con imperfezione sinusoidale di ampiezza v0 e sottoposta a carico assiale N.

Nella sua mezzeria l’asta è inflessa da un momento di second’ordine dato da: 𝑀 = 𝑁⋅𝑣0

1−𝑁 𝑁⁄ 𝑐𝑟 (1.4) dove il termine 1 − 𝑁 𝑁⁄ 𝑐𝑟rappresenta il coefficiente moltiplicativo per l’imperfezione iniziale v0, essendo Ncr il carico critico euleriano dell’asta. Young giunse alla conclusione che

il carico limite Ncr di una colonna è raggiunto quando la tensione normale della fibra più

sollecitata raggiunge il valore limite di resistenza:

(

N N

)

W v N A N f cr c c  −  + = 1 0 lim (1.5) in cui A e W sono rispettivamente l’area e il modulo di resistenza della sezione trasversale dell’asta.

Ammettendo il valore limite di resistenza flim uguale al limite elastico del materiale

in esame fe ed indicando con σcr la tensione critica euleriana e con σc la tensione massima di

compressione l’espressione (1.5) si può scrivere come: 𝑓𝑐 = 𝜎𝑐+

𝜎𝑐⋅𝑣0 1−𝜎𝑐⁄𝜎𝑐𝑟

𝐴

𝑊 (1.6) oppure con il parametro

𝜂 = 𝑣0 𝐴

(39)

che rappresenta l’effetto della sola imperfezione geometrica dell’asta; la (1.6) si scrive diversamente come:

𝜂 ⋅ 𝜎𝑐⋅ 𝜎𝑐𝑟 = (𝑓𝑐− 𝜎𝑐) ⋅ (𝜎𝑐𝑟− 𝜎𝑐) (1.8) Al concetto di imperfezioni, ripreso in tempi più moderni, venne dato poi con R. H.

Smith (1886) un’interpretazione probabilistica, non basandosi su una scienza esatta.

Dello stesso parere le espressioni pratiche di imperfezioni generalizzate o equivalenti, formulate da Ayrton e Perry (1886) e riprese da A. Robertson (1925). Essi proposero di adottare per il parametro di imperfezione η l’espressione:

𝜂 = 𝑘 ⋅ 𝜆 (1.9) parametro in tal modo definito proporzionale alla snellezza dell’asta.

Successivamente J. Dutheil (1946) assunse alla base della sua teoria un parametro di imperfezione del tipo

𝜂 = 𝑘 ⋅ 𝜆2 𝑓𝑐

𝜋2⋅𝐸 (1.10) Il quale, riprendendo gli studi di Smith, volle darne una formulazione statistica.

L’impostazione data da Dutheil segnò la filosofia della sicurezza attualmente adottata dal regolamento francese (Règles CM - 1966) ed influenzò le basi della ricerca per la

ECCS-CECM (Convenzione Europea della Costruzione Metallica).

Bisogna inoltre osservare che, in un’ottica generale, il parametro η utilizzato nella (1.8) può essere utilizzato non solo per esprimere un’imperfezione geometrica, come la curvatura iniziale presa per la prima volta da Young, ma anche l’effetto delle imperfezioni meccaniche, quali tensioni residue o la dispersione del limite elastico lungo la sezione trasversale. In tal modo la (1.8) può essere riscritta in modo adimensionale, più generale e moderna 𝜂 ⋅ 𝑁̄ = (1 − 𝑁̄) ⋅ (1 − 𝑁̄ ⋅ 𝜆̄2) (1.11) Dove si ha: 𝑁̄ =𝜎𝑐 𝑓𝑦 (1.12a) 𝜆̄ =𝜆𝜆 𝑐 (1.12b) 𝜆𝑐 = 𝜋√ 𝐸 𝑓𝑦 (1.12c) considerando come limite elastico la tensione di snervamento.

(40)

La relazione (1.11) è tutt’oggi utilizzata per interpretare numericamente le curve d’instabilità attraverso la scelta di un opportuno η che tenga conto di tutte le imperfezioni dell’asta.

Ricollegandosi al filone della formula di Eulero, le ricerche successive furono volte ad introdurre nel fenomeno critico anche gli effetti elasto-plastici. La prima proposta è di

Engesser (1889), che introdusse il calcolo della tensione critica anche per le aste tozze (λ < λe) (per le quali il collasso dell’asta avviene principalmente per schiacciamento). Egli pensò di sostituire al modulo elastico E, definito come:

𝐸 =𝜎 𝜀 = 𝑡𝑔𝛽 (1.13) un modulo istantaneo 𝐸𝑡 = 𝑑𝜎 𝑑𝜀 = 𝑡𝑔𝛽1 (1.14) detto modulo tangente, per cui il valore del carico critico ultimo in campo elasto-plastico risulta semplicemente dato da

𝑁𝑐 = 𝜋2𝐸𝑡𝐼

𝐿2 (1.15) Questa procedura venne però criticata da Considere (1889) e Jasinski (1895) i quali sostennero la necessità di introdurre un modulo effettivo, intermedio tra quello elastico e quello tangente, che prendesse in conto gli scarichi elastici. Infatti, a causa dello sbandamento laterale dell’asta, parte di questa risulterà ulteriormente compressa mentre parte risulterà scarica. La prima seguirà la legge del modulo tangenziale; la seconda avrà un modulo pari a quello elastico. Da ciò ne deriva un comportamento governato da un modulo intermedio tra E (1.13) ed Et (1.14).

Questa intuizione trovò definizione precisa nel modulo ridotto proposto da Th.Von

Kàrmàn (1910), la cui espressione del carico ultimo fu proposta nella forma

𝑁𝑐 = 𝜋2𝐸𝑟𝑒𝑑𝐼

𝐿2 (1.16) Proprio in base alle scoperte di Von Kàrmàn si è evidenziata l’influenza della sezione trasversale (effetto-forma) sul fenomeno d’instabilità.

L’utilizzo del modulo tangenziale fu ripreso e rivalutato successivamente da

F.R.Shanley (1947), che ne diede una nuova giustificazione teorica, basata sulle valutazioni

rispetto all’atto di biforcazione, durante il quale il processo incrementale del carico continua senza scarichi elastici e il fenomeno è retto essenzialmente dal modulo tangente, mentre il modulo ridotto non può mai essere raggiunto.

(41)

La teoria di Shanley venne successivamente estesa alle travi a doppio T, idealizzate a due masse concentrate, da Duberg e Wilder (1950).

Le conclusioni di Shanley sembrano rappresentare un punto di arrivo rispetto alla via tracciata anni prima da Eulero, e l’uso di questa teoria “finale” sembra giustificato dalla possibilità di poter tenere conto delle imperfezioni strutturali dell’elemento reale (tensioni residue, disomogenea distribuzione delle caratteristiche meccaniche), imperfezioni che sono caratteristiche dei profilati metallici prodotti industrialmente. Il Column Research Council (CRC) seguì la strada tracciata da Shanley e nel periodo 1949-1966 si impegnò in una vasta sperimentazione mirata all’analisi delle imperfezioni strutturali, inaugurando la prova di compressione globale sui tronchi di profilato (stub column test) un sistema di sperimentazione, sostitutivo della prova a trazione sui provini, con lo scopo di fornire una risposta carico-deformazioni relativa a tutte le sezioni per coglierne le imperfezioni realmente esistenti. Il modulo tangente medio ottenuto dalle sperimentazioni stub column test venne utilizzato nella teoria di Shanley per lo studio biforcativo della stabilità delle colonne.

Da questa panoramica è possibile riconoscere lo sviluppo di differenti filoni, sviluppati spontaneamente ed indipendentemente, da autori o da enti o organizzazioni internazionali (CRC, CECM) al fine di ricerca, implementazione di raccomandazioni o di normative.

I concetti emersi indicano i principali problemi nell’attuale costruzione di strutture metalliche: comportamento inelastico, comportamento post-critico, imperfezioni geometriche, imperfezioni strutturali, approccio probabilistico.

In questa prospettiva i successivi studi sulla progettazione hanno abbandonato l’idea di aste teoriche, perfettamente rettilinee, materiale isotropo e omogeneo a favore della visione di aste industriali, caratterizzate da imperfezioni casuali e inevitabili, la cui utilizzazione deve tenere conto di analisi probabilistico-simulativo.

Per quanto riguarda i metodi di calcoli, in alternativa alle diverse interpretazioni dei metodi basati sulla biforcazione dell’equilibrio, trovano sempre maggiore importanza e successo i procedimenti incrementali basati sulla simulazione numerica, meglio conosciuta come metodo o analisi degli elementi finiti, FEM (Finite Elements Methods). L’interesse dimostrato verso l’utilizzo del metodo degli elementi finiti è giustificato dalla possibilità di ottenere risposte e simulazioni riguardo agli attuali problemi di progettazione, come l’interpretazione del comportamento inelastico e l’effetto incrudente del materiale, senza

(42)

tuttavia tralasciare l’idea di asta industriale, caratterizzata da imperfezioni geometriche e strutturali le quali ne influenzano significativamente il comportamento in opera.

Riguardo a queste necessità i metodi di simulazione offrono una maggiore versatilità nei confronti dei metodi biforcativi; questi ultimi sono infatti inadeguati a interpretare la reale geometria delle aste, mentre si limitano a tenere conto di un valore media rispetto alle disomogeneità del materiale, valore dipendente dalla scelta di un opportuno modulo tangenziale medio.

I metodi di simulazione utilizzano sostanzialmente modelli matematici ad elevato grado di discretizzazione, che consentono di inserire nella caratterizzazione dell’asta tutte le sue imperfezioni. Se i dati utilizzati in ingresso a questo processo vengono forniti da un’interpretazione statistica di sperimentazioni fatte su larga scala, i valori in uscita ottenuti nella simulazione possono ritenersi attendibili, equivalenti ad una prova di laboratorio e, in ultima analisi, di natura semi-sperimentale (poiché virtuale). Con questo potente strumento sono stati diretti ed orientati i lavori della Commissione 8 della CECM, nell’ambito della quale il metodo di simulazione proposto nel 1970 da Beer e Schultz ha portato all’elaborazione delle curve critiche regolamentari, adottate nei regolamenti di molti paesi europei.

(43)

2 Trattazione sull’instabilità

Le aste soggette a compressione e a flessione sono talvolta soggette ad instabilità a causa di particolari condizioni di carico e di vincoli. L’instabilità può essere di natura globale, locale o distorsionale.

2.1 Instabilità globale

L’instabilità globale degli elementi strutturali può avvenire in maniera differente in base al tipo di carico applicato, alla distribuzione dell’inerzia nella sezione, al tipo di vincolo e alla snellezza che presenta l’elemento.

Consideriamo il caso di instabilità per aste semplicemente compresse, cioè aste soggette a sola una forza normale di compressione che non agisce con un’eccentricità nota.

Il dimensionamento degli elementi compressi è usualmente effettuato considerando la sola condizione di stabilità e pertanto viene basato sui valori delle azioni interne conseguenti a una combinazione dei carichi propria degli stati limite ultimi.

I fenomeni di instabilità possono interessare l’intero elemento, instabilità globale, oppure riguardare soltanto in tratto longitudinale dell’asta instabilità locale.

(44)

Figura 2.1 configurazione deformata per l’instabilità globale

L’instabilità globale viene a sua volta distinta in:

- Instabilità flessionale, figura 2.2a, si ha una traslazione rispetto a una asse della sezione; è il classico caso studiato da Eulero, nel quale l’asse dell’asta sbanda trasversalmente nel piano di minor rigidezza flessionale;

Figura 2.2a tipica deformata per l’instabilità flessionale

- Instabilità torsionale, figura 2.2b, si ha rotazione rispetto a un punto della sezione; si può manifestare in aste con sezione poco resistente a torsione e quindi in sezioni sottili di forma aperta (in particolare se tutti gli elementi che compongono la sezione convergono in un unico punto, come nel caso di sezioni a croce);

- Instabilità flesso – torsionale, figura 2.2c, si ha sia traslazione, sia rotazione della sezione; si può manifestare in aste con sezione poco resistente a torsione e quindi in sezioni sottili di forma aperta (in particolare se tutti gli elementi che compongono la sezione convergono in un unico punto, come nel caso di sezioni a croce).

Riferimenti

Documenti correlati

Nel presente studio è stato monitorato, tramite analisi HPLC, il profi lo degli acidi organici e dell’etanolo, oltre che le variazioni di tutti gli altri parametri chimico-fi

La inteligencia artificial podría ser muy útil para una concepción meramente agregativa de la democracia, pero parece limitada si tenemos una idea más deliberativa de la vida

Open issues include product definitions in forward transmission markets and transmission allocation in the intraday market (Chapter 2), the configuration of bidding zones (Chapter

Attualmente il marketing virale non è ancora molto diffuso nel nostro Paese, mentre all’estero si registrano campagne pubblicitarie con buoni risultati in termini di

Secondo il 64,5% dei lavoratori, infatti, un’azienda che offre servizi di welfare in sostituzione a premi retributivi viene giudicata positivamente, perché marginalmente può portare

I write from the perspective of the International Labour Organization (ILO) whose activities on migration aim to protect the rights of migrant workers and promote fair

A fronte delle teorie precedentemente esposte inerenti al fenomeno dello shock culturale e dei risultati del questionario sottoposto agli studenti italiani che hanno trascorso in

Kagel and Massimo Morelli Printed in Italy European University Institute Badia Fiesolana I – 50014 San Domenico di Fiesole FI Italy