• Non ci sono risultati.

CITOCHINE E MARCATORI PLASMATICI DI STRESS OSSIDATIVO NELLA SCLEROSI MULTIPLA: CORRELAZIONE CON ASPETTI CLINICI E DECORSO DI MALATTIA

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "CITOCHINE E MARCATORI PLASMATICI DI STRESS OSSIDATIVO NELLA SCLEROSI MULTIPLA: CORRELAZIONE CON ASPETTI CLINICI E DECORSO DI MALATTIA"

Copied!
80
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

DOTTORATO DI RICERCA IN NEUROSCIENZE

“Esplorazione Molecolare, Metabolica e Funzionale del Sistema Nervoso e degli

Organi di Senso”

Settore Scientifico Disciplinare MED/26 - NEUROLOGIA

TESI DI DOTTORATO

CITOCHINE E MARCATORI PLASMATICI DI STRESS

OSSIDATIVO NELLA SCLEROSI MULTIPLA:

CORRELAZIONE CON ASPETTI CLINICI E DECORSO DI

MALATTIA

Candidato:

Dott.ssa Chiara Pecori

Relatore:

Chiar.mo Prof. Alfonso Iudice

Direttore della Scuola di Dottorato di Ricerca in Neuroscienze e Scienze

Endocrinometaboliche

Chiar.mo Prof. Riccardo Zucchi

(2)

1 INDICE

Riassunto pag. 2

Introduzione pag. 4

Obiettivi dello studio pag. 35

Materiali e metodi pag. 37

Risultati pag. 43

Discussione pag. 53

(3)

2 RIASSUNTO

La Sclerosi Multipla (SM) è una malattia cronica del sistema nervoso centrale (SNC), con esordio tipicamente in età giovane-adulta. La patogenesi è di natura autoimmune e la malattia è caratterizzata dalla presenza di aree di demielinizzazione e danno degli assoni nel SNC, associati ad attività infiammatoria. Le caratteristiche dell’infiammazione e del danno tissutale differiscono tra le fasi iniziali e quelle più a lungo termine della malattia. La patologia esordisce infatti nell’ 85% dei casi con una forma Recidivante Remittente (RR) e ad una distanza di circa 10 anni, circa il 50% dei soggetti entra nella fase Secondariamente Progressiva (SP) della malattia. Il restante 15% dei casi presenta fin dall’esordio una forma Primariamente Progressiva (PP).

Un meccanismo di stress ossidativo appare implicato nella genesi del danno tissutale e dei fenomeni neurodegenerativi nella SM, e in soggetti affetti dalla patologia sono stati identificati aumentati livelli in vivo di marcatori di danno ossidativo, sia a livello ematico che liquorale. L'attivazione del processo infiammatorio e dello stress ossidativo appaiono nella SM strettamente correlati; inoltre, è stato ipotizzato che tali meccanismi possano essere diversamente implicati nelle varie forme di SM e variare con il decorso della malattia. Obiettivo del presente studio è stato quello di confrontare i livelli plasmatici di differenti marcatori di stress ossidativo, quali i prodotti di ossidazione avanzata delle proteine (AOPP), la capacità ferro-riducente del plasma (FRAP) ed i gruppi tiolici, in un gruppo di 51 soggetti affetti da SM o Sindrome Clinicamente Isolata suggestiva di SM (CIS) ed un gruppo di 81 controlli sani. Nei pazienti con CIS o SM i livelli di AOPP e FRA sono stati dosati anche a livello liquorale e ne è stata studiata la correlazione con i valori plasmatici e con la sintesi intratecale di bande di immunoglobuline oligoclonali di sottotipo IgM. I livelli plasmatici di AOPP, FRA, gruppi tiolici e citochine (IL-1ra, IL-2, IL-4, IL-6, IL-8, IL-10, IL-12, IL-17, TNF-alfa, TGB-beta1 e IFN-gamma) sono stati successivamente confrontati

(4)

3 tra un gruppo di 30 pazienti con SM-RR in fase di remissione clinica e un gruppo di 30 soggetti con SM-SP.

Risultati: nei pazienti con SM i valori plasmatici di AOPP sono risultati superiori e i livelli di FRA e gruppi tiolici inferiori rispetto ai controlli sani. Inoltre, i valori di FRA dosati su liquor hanno mostrato correlare con i livelli plasmatici. Non sono state riscontrate differenze tra i valori di tali marcatori in relazione alla sintesi intratecale di IgM.

Non sono emerse differenze nei valori di AOPP, FRA e gruppi tiolici nei pazienti con SM-RR e SM-SP, tuttavia, i valori di tali FRA e gruppi tiolici sono risultati inferiori nei pazienti con malattia in fase attiva. I livelli di IL-17 e IFN gamma sono risultati maggiori e i livelli di TGF beta1 inferiori nel gruppo SM-RR rispetto agli SM-SP. E’ stata riscontrata una debole correlazione negativa tra valori di FRA e livelli di IFN-gamma.

I risultati ottenuti indicano che i livelli plasmatici di AOPP, FRA e gruppi tiolici riflettono un meccanismo di stress ossidativo e ridotto potere antiossidante nella SM, in assenza di capacità di caratterizzare le fasi recidivante e progressiva di malattia, ma con relazione alla sottostante attività di malattia. I risultati del dosaggio della citochine plasmatiche sembrano invece indicare che le modalità di attivazione della risposta infiammatoria, quantomeno a livello periferico, siano differenti nelle fasi inziale e in quelle più a lungo termine, indipendentemente dall’attività di malattia sottostante.

(5)

4 INTRODUZIONE

La Sclerosi Multipla (SM) è una malattia cronica del sistema nervoso centrale (SNC), con esordio tipicamente in età giovane-adulta. La patogenesi è di natura autoimmune e la malattia è caratterizzata dalla presenza di aree di demielinizzazione e danno degli assoni nel SNC, associati ad attività infiammatoria; le lesioni hanno una tipica disseminazione nello spazio e nel tempo.

Il decorso clinico della patologia è variabile ed in genere bifasico. Circa l’80-85% dei soggetti affetti inizia con una forma recidivante remittente (SM-RR), che è caratterizzata da un pattern ripetitivo di deficit neurologici ad esordio relativamente rapido e spesso reversibili, le cosiddette ricadute di malattia. Il substrato anatomopatologico dei disturbi neurologici che accompagnano le ricadute è rappresentato da aree discrete di demielinizzazione infiammatoria ed edema tissutale nel SNC; man mano che l’infiammazione e l’edema si risolvono, la conduzione assonale viene ripristinata ed il paziente recupera sul piano clinico. Dopo 8-15 anni la maggior parte dei soggetti entra nella cosiddetta fase secondariamente progressiva della patologia (SM-SP), caratterizzata da un progressivo ed irreversibile declino neurologico. E’ attualmente accettato che la disabilità neurologica irreversibile sia causata dalla progressiva degenerazione assonale (Trapp and Stys, 2009). In circa il 15-20% dei casi la malattia si presenta invece nella forma “primariamente progressiva” (SM-PP), definita come ”progressione di malattia dall’esordio, con occasionali plateau e temporaneo lieve miglioramento” (Lublin and Reingold, 1996).

Una delle caratteristiche peculiari della SM è l’ampia variabilità nell’evoluzione da un paziente all’altro, che si estende da casi cosiddetti benigni ovvero “ casi in cui il paziente rimane pienamente funzionale in tutti i sistemi neurologici dopo 15 anni dall’esordio della

(6)

5 malattia” (Lublin and Reingold, 1996), alle forme maligne, in cui la malattia ha “ un decorso rapido e progressivo, che porta ad una significativa disabilità in molteplici sistemi neurologici o a morte in un tempo relativamente breve dall’esordio” (Lublin and Reingold, 1996).

Alcune variabili che caratterizzano le prime fasi di malattia nella SM-RR influenzano il periodo di tempo che intercorre tra l’esordio e l’inizio della fase di disabilità irreversibile. Negli studi epidemiologici sulla storia naturale della malattia, fattori prognostici positivi sono risultati il sesso femminile, una giovane età all’esordio, un completo recupero dopo il primo attacco ed un maggiore intervallo di tempo tra primo ed secondo episodio. Per quanto riguarda le manifestazioni cliniche iniziali, la neurite ottica è risultata indicativa di prognosi più favorevole, al contrario dei casi con disfunzione isolata delle vie lunghe, mentre in pazienti con una isolata disfunzione del tronco encefalico i risultati sono apparsi intermedi. Quando però il paziente raggiunge un grado di disabilità di pari a 4.0 sulla scala EDSS (limitazione nella deambulazione ma in grado di camminare per circa 500 metri senza aiuto o riposo), queste variabili non influenzano più il decorso della malattia (Confavreux et al., 2003). La SM sembra pertanto essere caratterizzata da un decorso in due fasi, in cui il primo periodo, di durata variabile, è influenzato dalle caratteristiche cliniche di presentazione, mentre il secondo periodo non è modificato dal decorso nelle prime fasi di malattia. Questo sembra indicare che quando è stata raggiunta una soglia di disabilità irreversibile, la patologia entra in una sorta di via finale comune, in cui la successiva progressione procede indipendentemente dalla storia clinica precedente. Inoltre c’è da considerare che l’accumulo progressivo di disabilità, dopo che il paziente ha raggiunto il punteggio EDSS di 4.0, si sviluppa in genere nella fase secondariamente progressiva della malattia (Confavreux et al., 2000; Confavreux et al., 2003). L’età media in cui la malattia assume un andamento progressivo, con accumulo di disabilità, è intorno ai quarant’anni, sia per quanto riguarda il passaggio alla fase SP, che l’ esordio della SM-PP (Compston and Coles, 2008).

(7)

6 Sembra pertanto che i meccanismi che sottendono la patologia differiscano nel corso della storia naturale di malattia. In effetti, nelle differenti fasi, iniziale e progressiva, appaiono implicati differenti meccanismi patogenetici e differenti aspetti di danno tissutale. In particolare, nella SM-RR si osserva la formazione di nuove lesioni in seguito all’ingresso nel SNC di cellule infiammatorie, che determinano la formazione di placche demielinizzanti nella sostanza bianca e nella grigia. Sul piano paraclinico, questo si riflette nell’osservazione di lesioni captanti gadolinio alla Risonanza Magnetica (RM). Al contrario, nelle fasi progressive è più rara l’evidenza di nuove lesioni o lesioni captanti mezzo di contrasto alla RM. In questa fase infatti l’infiammazione si riduce, mentre aumenta la suscettibilità del tessuto nervoso a processi di neurodegenerazione. In pazienti con lunga durata di malattia si osserva infatti una importante atrofia cerebrale e della corda midollare, con estesa perdita tissutale ed allargamento dei ventricoli cerebrali. Pertanto, mentre la patologia inizia con lesioni demielinizzanti focali associate ad intensa infiammazione, col tempo si assiste ad un diffuso processo neurodegenerativo che coinvolge il SNC in toto (Lassmann and van Horssen, 2011). Dati recenti sembrano indicare che un danno della funzione mitocondriale, mediato da un meccanismo di stress ossidativo, sia un evento patogenetico centrale nel danno del tessuto nervoso associato alla SM (Lassmann 2013). Altro aspetto importante, le strategie terapeutiche che vanno ad agire sul sistema immunitario e sull’infiammazione sono efficaci nella SM-RR, ma non nella SM-SP o PP. I fattori responsabili della transizione tra forma recidivante e progressiva rimangono al momento in gran parte sconosciuti (Comabella and Khoury 2012).

Recentemente è stata proposta una classificazione aggiornata del decorso clinico di malattia (Lublin et al., 2014), in particolare viene suggerito che, sebbene il fenotipo della patologia possa essere suddiviso in forme recidivanti e forme progressive, informazioni aggiuntive possono essere date dalla definizione di “attività di malattia”, ovvero dalla presenza di

(8)

7 ricadute cliniche, nuove lesioni o lesioni che si ingrandiscono nelle sequenze T2 della RM o lesioni captanti gadolinio, e di progressione, indipendentemente dalla presenza di ricadute. In particolare viene suggerito che le forme CIS e RR siano ulteriormente suddivise in “attive” e “non attive” e le forme PP ed SP in “attiva con progressione”, “attiva senza progressione”, “non attiva ma con progressione”, “non attiva e senza progressione” (Lublin et al., 2014).

Immunopatogenesi

L’ipotesi che la SM sia una patologia autoimmune deriva principalmente dalle similitudini osservate con il modello animale di malattia, la encefalite allergica sperimentale (experimental autoimmune encephalomyelitis - EAE) che può essere indotta immunizzando l’animale con proteine derivate dalla mielina (Comabella and Khoury 2012). Il principale bersaglio dell’attacco immunologico nella SM è costituito dall’oligodendrocita (Compston and Coles, 2002) e la demielinizzazione appare quale processo selettivo nelle lesioni (Lassmann 2013).

La SM appare prevalentemente una malattia infiammatoria mediata da cellule T, con attivazione ed ingresso nel SNC di linfociti T autoreattivi. La transizione da sorveglianza fisiologica ad un cascata infiammatoria patologica sembra derivare da difetti di linfociti regolatori, che nei soggetti con SM non sarebbero in grado di sopprimere l’attivazione delle cellule effettrici mielina-specifiche (Viglietta et al., 2004) e non tanto quindi da un’aumentata produzione di cellule autoreattive.

Cellule T autoreattive vengono pertanto attivate fuori dal SNC e quindi attraversano la barriera ematoencefalica mediante un meccanismo a più stadi. In primo luogo cellule T attivate che esprimono integrine possono legarsi a molecole di adesione sulla superficie dell’endotelio, poi i linfociti T devono attraversare una barriera di matrice extracellulare, in un passaggio che coinvolge metalloproteasi della matrice, enzimi che giocano un ruolo sia nella

(9)

8 degradazione della matrice extracellulare, sia nella proteolisi di componenti della mielina nella SM. I linfociti T sono poi riattivati localmente quando riconoscono il loro antigene sulla superficie di APC locali. Le cellule T attivate secernono citochine che stimolano le cellule microgliali e gli astrociti, reclutano altre cellule infiammatorie e inducono la produzione di anticorpi da parte delle plasmacellule (Fox, 2004).

Il processo infiammatorio sembra promosso da un sottotipo di linfociti T (Th17) che producono interleuchina 17 (IL-17) (Langrisg et al. 2005). Tale citochina appare sintetizzata, nelle aree attive delle lesioni demielinizzanti, sia in linfociti T CD4+ che CD8+, ma anche in astrociti ed oligodendrociti (Tzartos et al., 2008). Sia IL17 che IL22 danneggiano le tight

junctions della barriera ematoencefalica, permettendo l’ingresso nel SNC di linfociti Th17

(Kebir et al., 2007).

Man mano che linfociti T, B, plasmacellule e macrofagi si accumulano, le citochine proinfiammatorie amplificano la risposta immunitaria reclutando le cellule microgliali. Tra i linfociti T, i CD8+ appaiono, insieme ai CD4+, prominenti negli infiltrati infiammatori del tessuto nervoso ed è stato anche identificato un loro ruolo nel danno assonale, mediato dal legame con molecole MHC classe I (Babbe et al., 2000, Medana et al., 2001). Infatti l’infiltrato linfocitario è costituito per la maggior parte da cellule T CD8+, MHC classe I ristrette, che presentano un’espansione clonale a livello delle lesioni (Babbe et al., 2000). I linfociti T MHC classe II ristretti, i linfociti B e le plasmacellule sono prevalenti negli spazi perivascolari e a livello meningeo. Il danno tissutale nelle lesioni della SM è inoltre associato a microglia attivata ed infiltrazione di macrofagi (Jack et al., 2005). Nelle lesioni della SM appaiono implicate due “ondate” di invasione di linfociti, man mano che la lesione “matura”: nelle lesioni con iniziale danno degli oligodendrociti, demielinizzazione e danno tissutale, risulta presente una massiva attivazione microgliale con solo un minimo infiltrato linfocitario, costituito prevalentemente da linfociti T CD8+. Col proseguire del processo di demielinizzazione, una volta che la mielina è stata fagocitata da microglia attivata e

(10)

9 macrofagi, può essere osservata una seconda “ondata” di infiltrazione linfocitaria, che contiene prevalentemente linfociti T CD8+, ma anche linfociti T CD4+ e linfociti B (Henderson et al., 2009). Sembra poi che con il progredire della malattia si modifichi la risposta infiammatoria a livello del SNC, che si riduce con l’aumentare della durata di malattia, sebbene i processi di demielinizzazione e neurodegenerazione siano associati con infiammazione, caratterizzata dalla presenza di linfociti T, B, plasmacellule, microglia attivata e macrofagi (Frischer et al., 2009).

Anche l’immunità umorale sembra avere un ruolo importante nella patogenesi della malattia: le cellule B isolate dal liquor e dalle placche demielinizzanti derivano da espansioni clonali ed esiste una persistente produzione di immunoglobuline oligoclonali a livello intratecale. Inoltre, i linfociti B possono partecipare direttamente al processo di demielinizzazione, mediante la produzione di anticorpi che hanno come antigene componenti dell’oligodendrocita e determinano o meno l’attivazione della cascata del complemento (Comabella and Khoury 2012). Ancora, nelle forme progressive di malattia (in circa il 40% dei soggetti con SM-SP) sono stati riscontrati aggregati linfocitari tipo follicoli linfatici con centri germinativi a livello delle meningi (Magliozzi et al., 2007). Questi aggregati linfocitari sono risultati associati a demielinizzazione, attivazione microgliale e perdita neuronale a livello della corteccia. Questo aspetto, come anche il fatto che le bande di immunoglobulimne oligoclonali riscontrabili a livello liquorale al momento della diagnosi tendano a persistere nell’arco del tempo, suggeriscono che il SNC costituisca un ambiente in grado di garantire la sopravvivenza a lungo termine delle plasmacellule. E’ stato quindi proposto che il SNC costituisca non solo l’organo bersaglio dell’attacco immunitario nella SM, ma anche che diventi esso stesso un compartimento immunologico nel corso della malattia ed in particolare nelle fasi progressive (Meinl et al., 2008).

(11)

10 Anatomia patologica

Il decorso bifasico della SM si riflette anche sulle differenze nelle caratteristiche anatomopatologiche, variabili a seconda del sottotipo clinico, sebbene il processo infiammatorio sia attivo in tutte le fasi di malattia (Frischer et al., 2009).

Nella fase recidivante sono prevalenti lesioni focali della sostanza bianca, caratterizzate da demielinizzazione, un grado variabile di perdita assonale e gliosi reattiva. L’elemento anatomopatologico principale della SM consiste infatti nella “placca demielinizzante”, che rappresenta lo stadio finale di un processo coinvolgente infiammazione, demielinizzazione e rimielinizzazione, danno degli oligodendrociti, astrocitosi, degenerazione neuronale ed assonale. La correlazione di questi elementi e la loro sequenza di comparsa appaiono ancora da definire (Compston anda Coles 2008). Le classiche lesioni “attive” sono caratterizzate da infiammazione linfocitaria e massiva infiltrazione di macrofagi contenenti prodotti di degradazione della mielina. La differenziazione dei prodotti di digestione delle mielina all’interno dei lisosomi macrofagici permette di stadiare la lesione (Lassmann 2013, Bruck et al., 1995). Le lesioni “attive” in questa fase sono anche associate ad un esteso danno della barriera ematoencefalica, dovuto all’invasione di cellule infiammatorie autoreattive che raggiungono il SNC dalla circolazione.

Per quanto riguarda il danno a carico del tessuto nervoso nelle lesioni “attive”, sono stati individuati quattro differenti pattern caratteristici di distruzione della guaina mielinica, che sarebbero omogenei per lesioni demielinizzanti del singolo paziente, ma eterogenei in lesioni provenienti da soggetti diversi:

I. Demielinizzazione associata a macrofagi

II. Demielinizzazione associata a macrofagi con precipitazione locale di immunoglobuline e complemento attivato (demielinizzazione anticorpo-mediata).

(12)

11 III. Demielinizzazione con primaria alterazione dei processi oligodendrocitari più distali ed apoptosi degli oligodendrociti (demielinizzazione associata ad oligodendropatia distale tipo dying back)

IV. Degenerazione primaria degli oligodendrociti nella sostanza bianca che circonda le placche con secondaria distruzione della mielina (Lucchinetti et al., 2000).

Il processo infiammatorio risulta più pronunciato nella fase recidivante della malattia (Lassmann 2013). Le classiche lesioni “attive” possono anche essere osservate nelle forme progressive, seppure più raramente. In queste fasi si osservano più comunemente lesioni “croniche attive”, in lenta espansione, con un basso grado di infiammazione, attivazione della microglia ed infiltrazione di macrofagi ai bordi della placca (Prineas et al., 2001) ed una regione centrale completamente demielinizzata (Witte et al., 2014). Un esiguo numero di questi macrofagi contengono prodotti di degradazione precoce della mielina, a suggerire un meccanismo di lenta espansione di placche preesistenti. La demielinizzazione al bordo di queste placche è associata ad un grado variabile di danno e distruzione assonale. Nelle fasi più avanzate di malattia sono inoltre presenti placche inattive, come aree di demielinizzazione nettamente demarcate, in assenza di attivazione della microglia che si trova ai bordi della placca, con una inattivazione del processo infiammatorio, che contraddistingue quindi le lesioni “croniche inattive”. Inoltre, nelle fasi progressive di malattia l’infiammazione è frequentemente osservata nelle zone perivascolari, in assenza di danno della barriera ematoencefalica e senza espressione di marcatori di danno delle cellule endoteliali o depositi di fibrina perivascolare, come se, col progredire della malattia, il processo infiammatorio risultasse “intrappolato” all’interno del SNC (Lassmann 2008, Frischer et al., 2009).

Nelle fasi progressive sono inoltre abbondanti la patologia della corteccia cerebrale, caratterizzata prevalentemente da aree estese di demielinizzazione subpiale con distribuzione

(13)

12 “a banda” ed un coinvolgimento diffuso della sostanza bianca apparentemente normale con danno di mielina e assoni associato ad infiammazione diffusa e attivazione della microglia,

Le lesioni corticali possono essere osservate in ogni stadio di malattia, sebbene siano prominenti nelle fasi progressive (Kutzelnigg et al., 2005). Dal punto di vista anatomopatologico, sono state suddivise in differenti tipologie: placche perivenose intracorticali, placche coinvolgenti sia la sostanza grigia che la bianca (“leucocorticali”) e placche subpiali, che tendono ad essere le più numerose. La demielinizzazione corticale potrebbe essere uno dei substrati della progressione di disabilità ed un importante correlato patologico di disabilità irreversibile e deterioramento cognitivo. Placche demielinizzanti corticali sono osservate fin dalle prime fasi di malattia, sono topograficamente associate ad infiammazione a livello meningeo e possono addirittura, in alcuni pazienti, precedere la comparsa di lesioni della sostanza bianca. Nelle fasi croniche della malattia sono caratterizzate prevalentemente da cellule microgliali, in assenza di infiltrati infiammatori linfocitari e macrofagici e possono essere correlate ad aree di infiammazione meningea “organizzata” (Popescu and Lucchinetti, 2012). Nelle forme progressive di malattia le lesioni subpiali sono le più abbondanti e sono topograficamente associate ad aree di infiammazione delle meningi, nella forma di aggregati linfocitari simili a follicoli linfatici (Meinl et al., 2008). La demielinizzazione subpiale appare un processo tipico della SM, non presente in altre malattie infiammatorie del SNC (Fischer et al., 2013)

Anche recenti tecniche di neuroimaging, quali RM ad alto campo e particolari sequenze quali la double inversion recovery (DIR), hanno confermato la presenza di lesioni corticali (Pitt et al., 2010, Roosendaal et al., 2009).

Sebbene sia stato ipotizzato che il processo neurodegenerativo corticale possa essere secondario alla patologia della sostanza bianca, o dovuto alla selettiva suscettibilità al danno

(14)

13 di particolari popolazioni neuronali, come dimostrato in altre patologie degenerative (Geurts and Barkhof, 2008), la demielinizzazione ed il processo neurodegenerativo che portano alle lesioni corticali sono associati ad infiammazione in tute le fasi di malattia, da infiltrati diffusi di cellule T nelle fasi iniziali, alla presenza di follicoli linfatici meningei nelle fasi progressive. Tuttavia la topografia delle lesioni corticali subpiali appare essere in correlazione anatomica col danno tissutale della sostanza bianca e dei nuclei di sostanza grigia profondi, a suggerire, quale ulteriore fattore, un processo di degenerazione retrograda o anterograda, processo che potrebbe inoltre contribuire al grado globale di atrofia corticale nei pazienti con SM (Lassmann 2013).

Mentre nei primi stadi di malattia predominano le lesioni focali, nei pazienti con forme progressive si osserva un danno progressivo della cosiddetta “sostanza bianca apparentemente normale” (normal appearing white matter, NAWM) (Meinl et al., 2008), che può essere definita come quella porzione di sostanza bianca al di fuori delle lesioni focali in cui non sono osservabili nette modificazioni nell’espressione di proteine della mielina (Witte et al., 2014). Tuttavia il termine NAWM potrebbe trarre in inganno perché in queste zone dove non si osserva demielinizzazione, è frequentemente presente microglia attivata e degenerazione assonale (Witte et al., 2014). Gli aspetti patologici sono infatti caratterizzati da infiltrati perivascolari e diffusi di linfociti T e B e da una diffusa attivazione di microglia e astrociti. A questo si associa un danno assonale diffuso. Queste alterazioni possono essere spiegate in parte da un processo di degenerazione walleriana secondario al danno assonale delle lesioni focali, tuttavia non è stata dimostrata un’associazione significativa tra il carico lesionale e il danno diffuso cerebrale o midollare (De Luca et al., 2006).

Il danno focale e diffuso del tessuto nervoso si riflette alla fine in un importante grado di atrofia della sostanza bianca e grigia (Lassmann 2013). La sostanza bianca è costituita da assoni di cellule nervose, mielina, cellule gliali ed altri elementi come vasi sanguigni, sangue

(15)

14 e liquido tissutale. Dato che gli assoni sono la componente percentualmente più significativa, è stato ipotizzato che la causa fondamentale dell’atrofia cerebrale sia la perdita di assoni che si osserva nella malattia. I meccanismi che porterebbero all’atrofia sono: perdita tissutale all’interno delle lesioni infiammatorie e degenerazione walleriana delle fibre appartenenti alle vie correlate (Miller et al., 2002). Un certo grado di atrofia cerebrale può essere individuato già nelle prime fasi della malattia, sia a carico della sostanza bianca, che della grigia (Chard et al., 2002).

Rimielinizzazione

Le “placche” della SM possono essere in parte “riparate” da un processo di rimielinizzazione. Questa può essere completa o incompleta; se incompleta, avviene prevalentemente al bordo della lesione. Le placche completamente rimielinizzate vengono denominate “placche ombra”. I segni caratteristici del processo di rimielinizzazione sono una più breve distanza internodale ed un minor spessore della mielina rispetto al diametro dell’assone (Bruck et al., 2003). Studi anatomopatologici hanno messo in rilievo la presenza di oligodendrociti preservati in lesioni attivamente demielinizzanti. Queste cellule possono rappresentare oligodendrociti che non sono stati danneggiati dal processo di demielinizzazione, oligodendrociti maturi che sono sopravvissuti alla perdita dei processi che formano la mielina o cellule che sono rapidamente reclutate dal pool di cellule progenitori ed esprimono markers di oligodendrociti maturi (Bruck et al., 2003).

La formazione della nuova guaina mielinica non sembrerebbe derivare dagli oligodendrociti che sopravvivono all’episodio di demielinizzazione, bensì da cellule precursori degli oligodendrociti, che sono presenti nel SNC di soggetti adulti. In risposta al danno tissutale queste cellule si attivano, proliferano e migrano nelle aree demielinizzate. In seguito si differenziano in oligodendrociti maturi in grado di formare la mielina (Zhao et al., 2005).

(16)

15 Il processo di rimielinizzazione avviene anche in lesioni in cui è attivo il processo infiammatorio, in modo che danno e riparazione sono presenti nella medesima placca. Questo ha fatto nascere l’ipotesi che l’infiammazione stessa possa portare alla produzione di mediatori che stimolino la rimielinizzazione, in particolare la migrazione e la differenziazione di cellule precursori sarebbe stimolata da fattori solubili rilasciati da cellule microgliali attivate, concentrate nel sito di danno del tessuto cerebrale, inoltre le cellule progenitrici esprimerebbero recettori per rispondere a molecole chemiotattiche prodotte da cellule infiammatorie o da cellule gliali attivate (Ruffini et al., 2004). Il processo di rimielinizzazione diviene però meno efficace nella fasi tardive della malattia.

In placche di pazienti con SM nella fase cronica della malattia è stata dimostrata la presenza di cellule precursori degli oligodendrociti, seppur in assenza di rimielinizzazione. Anche se apparentemente questi precursori sopravvivono al processo di demielinizzazione, nelle lesioni di lunga durata appaiono essere in uno stato quiescente. Quindi l’assenza di rimielinizzazione sembra essere dovuta all’incapacità di queste cellule di proliferare e differenziarsi in oligodendrociti maturi in grado di formare la guaina mielinica (Wolswijk 2000; Wolswijk, 2002). Nel 20% circa dei soggetti con SM le placche risultano infine rimielinizzate (Patrikios et al., 2006). Il processo di rimielinizzazione risulterebbe quindi col tempo meno efficace, con un graduale esaurimento della capacità di riparazione da parte di successivi cicli di demielinizzazione e rimielinizzazione (Compston and Coles, 2008).

Correlazione funzionale

Nella SM-RR si osserva tipicamente un pattern ripetitivo di deficit neurologici ad esordio relativamente rapido e spesso reversibili. Il processo di demielinizzazione determina infatti un’alterazione della conduzione saltatoria del potenziale d’azione lungo la fibra nervosa. Questo appare secondario non solo alla perdita della guaina mielinica, con le sue proprietà di alta resistenza e bassa capacità, ma a blocchi di conduzione che avvengono, in parte, perché la

(17)

16 demielinizzazione espone la zona di membrana povera di canali del sodio, in cui la depolarizzazione che si propaga passivamente non ha un’ampiezza sufficiente a raggiungere la soglia per l’innesco di un nuovo potenziale d'azione (Waxman, 2001). Anche l’attività infiammatoria presente a livello della lesione potrebbe avere un ruolo nel determinare i blocchi di conduzione: negli assoni demielinizzati questi possono essere provocati dall’ ossido nitrico, prodotto da macrofagi ed astrociti, come mediatore dell’infiammazione (Redford et al., 1997). Inoltre, l’edema associato alle lesioni è un importante fattore nella genesi delle ricadute cliniche, causando blocco di conduzione dei potenziali d’azione (Dutta and Trapp, 2011). La risoluzione della fase acuta potrebbe essere dovuta a diminuzione dell’attività infiammatoria, al processo di rimielinizzazione che si osserva all’interno delle placche, alla ridistribuzione dei canali del sodio lungo la membrana dell’assone e ad adattamenti corticali compensatori delle vie funzionali danneggiate (Waxman, 1998). Infatti, un meccanismo di danno assonale sembra presentarsi fin dai primi stadi della malattia. La presenza di assoni danneggiati è stata dimostrata in placche demielinizzanti in fase di infiammazione acuta e ai margini di lesioni attive croniche. Questa localizzazione in aree comprendenti infiammazione, demielinizzazione attiva e macrofagi suggerisce che il danno assonale, come la demielinizzazione, siano strettamente associati all’infiammazione (Ferguson et al., 1997). Altre indagini (Trapp et al., 1998) hanno messo in evidenza la presenza di assoni sezionati a livello delle lesioni della SM, in numero maggiore nelle lesioni attive, in quota minore alla periferia di placche attive croniche ed ancor meno nella zona centrale di queste, in relazione quindi con l’entità dei fenomeni infiammatori. Nonostante un importante danno assonale nelle lesioni attive della SM, i deficit neurologici associati alle ricadute sono in gran parte reversibili, grazie alla capacità di compenso del tessuto nervoso. Studi mediante RM funzionale hanno dimostrato in effetti l’attivazione di più ampie regioni corticali, che partecipano appunto a tale meccanismo di compenso (Reddy et al., 2000, Rocca et al., 2003). Il danno assonale non sembra pertanto avere un grosso impatto funzionale nelle

(18)

17 prime fasi di malattia, quando la percentuale di perdita degli assoni non raggiunge un’entità tale da determinare deficit irreversibili. Tuttavia con l’incremento del numero di lesioni la perdita assonale può essere responsabile dell’accumulo di disabilità neurologica e si potrebbe supporre che il passaggio dalla fase RR ad SP si verifichi quando viene superata la capacità di “compenso” del tessuto nervoso (Dutta and Trapp, 2011, Bjartmar, 2003).

Dato che la frequenza di assoni danneggiati nelle lesioni attive della SM correla con il grado di infiammazione, ovvero con la quantità di cellule infiammatorie presenti, è stato ipotizzato che la sezione assonale nelle fasi acute e precoci di malattia sia secondaria alla vulnerabilità degli assoni demielinizzati ai prodotti dell’infiammazione (Ferguson et al., 1997, Trapp et al., 1998). Le cellule immunitarie e gliali attivate producono infatti una serie di sostanze che possono danneggiare gli assoni, tra cui enzimi proteolitici, metalloproteasi della matrice, citochine, prodotti dello stress ossidativo e radicali liberi dell’ossigeno. Ad esempio la ossido nitrico sintasi inducibile, enzima necessario per la sintesi di ossido nitrico (NO) ha una attività incrementata a livello delle lesioni della SM (Bo et al., 1994). Le cellule infiammatorie e microgliali attivate sono una fonte di glutammato, per cui un processo di eccitotossicità mediata da glutammato potrebbe essere implicato nel danno assonale acuto (Matute et al., 2001). Un eccesso di glutammato potrebbe infatti danneggiare oligodendroditi ed assoni: quando presente in eccesso, il glutammato attiva recettori ionotropici e metabotropici, causando un incremento del calcio intracitoplasmastico con conseguente morte cellulare (Dutta and Trapp, 2011). Un altro meccanismo che potrebbe essere implicato è un attacco immunologico diretto specificatamente contro gli assoni, suggerito dalla stretta correlazione tra infiammazione e danno assonale, tuttavia tale processo non è stato definitivamente dimostrato (Dutta and Trapp, 2011), sebbene il ruolo dei linfociti T CD8+ potrebbe essere importante nel mediare la sezione assonale. Oppure, il responsabile potrebbe essere l’aumento di pressione dell’ambiente extracellulare, dovuto all’edema infiammatorio, che creerebbe lesioni a livello degli assoni. L’infiammazione può inoltre produrre un danno ossidativo del

(19)

18 DNA mitocondriale e alterare l’attività dei complessi enzimatici mitocondriali, con conseguente alterazione del metabolismo energetico e deplezione di ATP (Bjartmar et al., 2003).

Per quanto riguarda invece le fasi progressive di malattia, la disabilità neurologica irreversibile appare correlata alla progressiva degenerazione assonale (Trapp and Stys, 2009) ed all’accumulo di assoni degenerati. Nelle ultime decadi il concetto di SM come malattia esclusivamente demielinizzante si è modificato in una prospettiva più ampia, in cui il contributo relativo di danno assonale acuto e cronico e la dipendenza di questi eventi dal processo infiammatorio devono essere ancora completamente chiariti. In questo ambito possono essere considerati quattro scenari: primo, l’infiammazione è l’evento patogenetico esclusivo da cui tutto il resto dipende. Secondo, il processo neurodegenerativo si verifica prima e l’infiammazione è una risposta secondaria. Terzo, infiammazione e neurodegenerazione contribuiscono entrambe al decorso clinico ma sono processi completamente indipendenti. Quarto, l’infiammazione provoca una aumentata suscettibilità al processo neurodegenerativo che rende gli assoni suscettibili ad un progressivo danneggiamento (Compston and Coles, 2008).

Una spiegazione del progressivo deterioramento del quadro neurologico nella fase SP della malattia è stata identificata nella continua perdita e degenerazione degli assoni cronicamente demielinizzati (Dutta and Trapp, 2011). Secondo tale ipotesi la carenza del supporto trofico da parte della mielina agirebbe come possibile causa del progressivo danno assonale e della neurodegenerazione che si verificano nelle fasi progressive della malattia (Trapp and Stys, 2009). Gli assoni cronicamente demielinizzanti sarebbero sottoposti ad un alterato bilancio tra produzione e la domanda di energia, basata su evidenze che indicano uno stato di alterata produzione energetica mitocondriale, associata ad un’aumentata domanda di ATP dovuta alla maggior espressione di canali del sodio lungo gli assoni denudati dalla mielina. Nelle fibre

(20)

19 nervose normalmente mielinizzate i canali del sodio sono concentrati a livello dei nodi di Ranvier; questo permette la conduzione saltatoria del potenziale d’azione. Quando il sodio entra nell’assoplasma a livello nodale, la pompa Na+/K+ ATPasi scambia rapidamente sodio per potassio extracellulare. La pompa sodio-potassio, che mantiene il gradiente ionico necessario alla conduzione dell’impulso nervoso è il principale utilizzatore di ATP nel tessuto nervoso. Questo continuo scambio ionico dipendente da consumo energetico di ATP è richiesto per mantenere la depolarizzazione della fibra nervosa e supportare scariche assonali ripetitive. Con la demielinizzazione, i canali del sodio sono ridistribuiti lungo l’assolemma. Questo supporta la depolarizzazione degli assoni demielinizzati e permette la propagazione del potenziale d’azione in un modo meno efficiente (conduzione non saltatoria), con, inoltre, un incremento della domanda energetica di ATP per ripristinare i gradienti sodio-potassio transmembrana. Pertanto, la guaina mielinica non solo promuove la rapida conduzione del potenziale d’azione, ma appare anche un elemento fondamentale per un adeguato consumo energetico. Se, per il deficit energetico secondario all’incrementato consumo di ATP, il sodio si accumula all’interno dell’assone, lo scambiatore sodio-calcio, che in genere scambia calcio intra-assonale per sodio extracellulare, inverte la sua azione, determinando accumulo di calcio all’interno dell’assone. Questo può scatenare un meccanismo degenerativo, mediato dall’attivazione di calpaine, enzimi proteolitici in grado di determinare danno delle strutture citoscheletriche (Dutta and Trapp, 2011)

Il danno degli assoni sembra correlare positivamente con l’entità del processo infiammatorio, anche nei casi di SM-SP e SM-PP, e non solo nella SM-RR (Frischer et al., 2009). Quindi, anche nelle fasi progressive la demielinizzazione e la neurodegenerazione sarebbero dipendenti dall’attività infiammatoria. Inoltre l’analisi dei casi autoptici ha mostrato che nella fase progressiva della malattia i pazienti possono essere suddivisi in due sottogruppi: quelli con attività infiammatoria, espressa dalla presenza di lesioni attive o in lenta espansione e

(21)

20 quelli unicamente con lesioni inattive. Quest’ultimo sottogruppo sarebbe costituito da soggetti più anziani e con malattia di maggiore durata. La differenza dal punto di vista istologico tra questi pazienti ed i controlli sani di pari età è la presenza di infiltrati di linfociti B e plasmacellule a livello meningeo. Tali dati indicano come nelle fasi più avanzate il processo infiammatorio tenda ad estinguersi.

Essendo questi dati in contrasto con quanto osservato mediante studi di RM in cui nelle fasi progressive della malattia sono rare le lesioni gadolinio captanti (Bielekova et al., 2005, Anderson et al., 2006) ed il fatto che le terapie immunomodulanti siano meno efficaci nella fase primariamente progressiva della malattia, è stato proposto che nelle fasi progressive della malattia il processo infiammatorio si localizzi solo a livello del SNC, in assenza di danno della barriera ematoencefalica e che proprio tale processo sia il responsabile della neurodegenerazione, che risulta importante in tali forme. Inoltre, anche a livello corticale è stata osservata apoptosi neuronale in casi con lesioni attive corticali ed infiammazione meningea, elementi che potrebbero ulteriormente contribuire al meccanismo neurodegenerativo (Magliozzi et al., 2007).

Nel meccanismo neurodegenerativo, il processo infiammatorio potrebbe pertanto danneggiare l’omeostasi neuronale e colpire particolarmente gli assoni demielinizzati, che mancano del supporto trofico della guaina mielinica e potrebbero quindi essere maggiormente suscettibili a variazioni delle concentrazioni ioniche o a sostanze secrete dalle cellule infiammatorie, che in condizioni normali non sarebbero dannose. Tra queste ultime sostanze sono comprese una serie di mediatori, inclusi enzimi proteolitici come le metalloproteasi della matrice, citochine, prodotti ossidanti e radicali liberi (Aktas et al., 2010).

Tra questi, un ruolo importante sarebbe svolto dalle specie reattive dell’ossigeno (ROS) e dalle specie nitrose quali l’ossido nitrico (NO), che sono aumentati nella SM e che potrebbero contribuire in maniera diretta al meccanismo neurodegenerativo.

(22)

21 Un contributo alla disabilità neurologica irreversibile dei pazienti con SM potrebbe anche essere dato dall’interessamento della corteccia cerebrale, cui si accompagnano perdita di neuroni, dendriti ed assoni. Nelle lesioni demielinizzanti corticali il processo di degenerazione neuronale assume un carattere prominente, associato a sezione degli assoni, apoptosi neuronale e riduzione della densità sinaptica (Vercellino et al., 2005).

Uno dei sintomi più frequenti nei pazienti con SM è la fatica, riportata in percentuali che vanno dal 50 al 90% con notevole interferenza con la qualità della vita. E’ definita (Kos et al., 2008) come “una soggettiva mancanza di energia mentale o fisica che è percepita dal soggetto come interferente con le attività della vita quotidiana”. Il sintomo fatica, sebbene riscontrabile in qualsiasi fase della malattia, è più frequente nelle forme PP e SP rispetto alla SM-RR e può essere influenzato da problemi motori, sindromi dolorose e disturbi dell’umore (Comi and Leocani, 2002). Per quanto riguarda i meccanismi fisiopatologici della fatica, anche se un elemento potrebbe essere rappresentato da meccanismi “periferici”, quali alterazioni metaboliche a livello muscolare, particolarmente negli stadi più avanzati di malattia, esistono importanti indicazioni che individuano la fatica nella SM come di origine “centrale” (Leocani et al., 2008). Indagini mediante RM hanno contribuito allo studio della fisiopatologia della fatica nella SM. Mentre non è stata riscontrata alcuna correlazione tra fatica e carico lesionale in T1 o T2 (Tartaglia et al., 2004), studi mediante RM funzionale (fMRI) hanno evidenziato un differente pattern di attivazione cerebrale durante i movimenti volontari in pazienti SM con fatica rispetto a quelli senza fatica (Filippi et al., 2002). Gli studi di fMRI hanno permesso inoltre di ipotizzare che, nei pazienti SM con fatica, sia presente un’alterazione dei circuiti cortico-sottocorticali (talamo e gangli della base) normalmente utilizzati nel planning ed esecuzione dei compiti motori; inoltre l’iperattivazione di aree corticali nei soggetti con fatica potrebbe rappresentare un meccanismo compensatorio ed i soggetti con SM potrebbero percepire un maggior sforzo necessario per compiere un

(23)

22 determinato task motorio (Filippi et al., 2002). E’ stato inoltre rilevato come la fatica sia in correlazione con il grado di atrofia di sostanza bianca e grigia (Tedeschi et al., 2007).

Un altro meccanismo ipotizzato nella genesi della fatica nella SM sarebbe un blocco della conduzione nervosa negli assoni cronicamente demielinizzati, dovuto sia alla redistribuzione lungo l’assolemma dei canali ionici, sia alla produzione di ossido nitrico da parte dei fagociti (Vucic et al., 2010). Inoltre, sia nell’uomo che nel modello animale di patologia, alcune citochine, quali TNF-alfa e IL-1, sono risultate in associazione alla fatica (Flachenecker et al., 2004).

Meccanismi di demielinizzazione e neurodegenerazione

La ricerca su modelli in vitro e sul modello animale ha fornito evidenza di molteplici meccanismi immunologici e neurobiologici che potrebbero avere importanza nella genesi del danno tissutale della SM (Lassmann, 2013). Questi includono meccanismi di citotossicità diretta verso guaina mielinica ed oligodendrociti da parte di linfociti T citotossici antigene-specifici e antigene-specifici autoanticorpi; citotossicità mediata da linfociti T indipendente dal riconoscimento dell’antigene, attivazione di microglia e macrofagi da parte di molecole pro-infiammatorie. Inoltre, le citochine potrebbero avere un effetto diretto su glia e neuroni, promuovendo danno tissutale o compromettendo meccanismi riparatori. Un disturbo funzionale degli astrociti, inoltre potrebbe promuovere la reazione infiammatoria o incrementare la vulnerabilità di oligodendrociti o neuroni, ad esempio per carenza di supporto trofico. Inoltre, una via finale comune di stress e degenerazione cellulare potrebbe coinvolgere l’attivazione di recettori pro-apoptotici da parte di citochine, un meccanismo di danno ossidativo, danno mitocondriale, eccitotossicità o alterazione del bilancio ionico per compromissione del funzionamento dei canali ionici. Questi meccanismi potrebbero essere coinvolti nella patogenesi del danno tissutale in differenti fasi di malattia, all’interno o fuori

(24)

23 dalle lesioni focali e in differenti stadi di formazione della placca demielinizzante. Non è peraltro ancora stato identificato il meccanismo dominante (Lassmann 2013).

Stress ossidativo

Un importante meccanismo di danno tissutale, presente in tutte le lesioni, in ogni fase della malattia, appare quello dello stress ossidativo, mediato da macrofagi e microglia attivata (Lassmann and van Horssen 2011). Lo “stress ossidativo” è stato definito come uno sbilanciamento tra produzione di radicali liberi (reactive species o RS) e capacità di tampone dei sistemi antiossidanti, o come una compromissione del bilancio proossidante / antiossidante in favore del primo, con conseguente potenziale danno tissutale (Gonsette, 2008, Halliwell, 2007). I RS rappresentano molecole in grado di danneggiare svariati componenti cellulari, tra cui proteine, lipidi ed acidi nucleici (Siciliano et al., 2007). Si parla in tal caso di “danno ossidativo”, che può essere definito come il danno biomolecolare causato dall’attacco dei RS sui costituenti dell’organismo; aumentati livelli di danno ossidativo possono risultare non soltanto da un meccanismo di stress ossidativo, ma anche da una carenza dei sistemi di riparazione tessutale (Halliwell, 2007). I RS sono controbilanciati da agenti antiossidanti, ovvero molecole in grado di stabilizzare i radicali liberi, di tipo enzimatico (ad es. superossido dismutasi, catalasi e glutatione perossidasi) e da antiossidanti non enzimatici (ad es. acido urico, acido ascorbico acido lipoico). Tra questi, un gruppo importante di antiossidanti non enzimatici è rappresentato dai tioli, di cui il più importante antiossidante è il glutatione ridotto (GSH), un tripeptide formato da cisteina, glicina e glutammato (Valko et al., 2006). Una molecola chiave, responsabile del danno tissutale nello stress ossidativo, è il perossinitrito, che ha origine dalla reazione dell’NO con l’anione superossido. L’NO è prodotto dall’enzima ossido nitrico sintasi, la cui isoforma inducibile si trova nei mitocondri e a livello della microglia e durante il processo infiammatorio produce notevoli quantità di NO. Quando l’NO è prodotto in grandi quantità, reagisce rapidamente con l’anione superossido per formare il

(25)

24 perossinitrito (Blough et al., 1985). Tale molecola è considerata l’effettore tossico comune responsabile del danno da stress ossidativo in differenti condizioni patologiche, tra cui patologie cardiache e vascolari, infiammazione autoimmune, danno cerebrale e del midollo spinale, diabete ed anche SM (Pacher et al., 2007). Data la breve emivita, però, il perossinitrito è difficilmente evidenziabile nei fluidi biologici o nei tessuti. Tuttavia può essere dosata la nitrotirosina, molecola che origina dalla reazione del perossinitrito con residui di tirosina.

La presenza di perossinitrito e nitrotirosina è stata dimostrata in lesioni attive acute e croniche della SM (Cross et al., 1998, Liu et al., 2001).

Il meccanismo dello stress ossidativo nella SM potrebbe essere scatenato dagli elevati livelli di radicali liberi dell’ossigeno (oxygen reactive species o ROS) e di specie reattive dell’azoto (reactive nitrogen species, RNS), prodotti durante la risposta infiammatoria, prevalentemente da macrofagi e cellule microgliali attivate (Vladimirova et al., 1999). ROS e RNS includono ioni superossido, ossido nitrico (NO) e perossinitrito, che sono tutti prodotti durante la cascata infiammatoria e sono stati riscontrati ad elevati livelli nel liquor proveniente da pazienti con SM (Rejdak et al., 2004).

ROS e RNS sono stati considerati in effetti mediatori di demielinizzazione e danno assonale sia nella SM che nella EAE, il modello animale di malattia (Gilgun-Sherki et al., 2004, van der Goes et al., 1998).

Esistono diverse possibili fonti di ROS e RNS nelle lesioni della SM, in associazione all’infiammazione. La produzione di ROS deriva prevalentemente dal “burst ossidativo” correlato all’attivazione di macrofagi e microglia, coinvolgente enzimi del complesso NADPH ossidasi NOX 1-5 o dell’enzima mieloperossidasi; la produzione di RNS dipende invece dall’attività dell’enzima ossido nitrico sintasi 1-3 (Lassmann and van Horssen 2011). Il busrt ossidativo in macrofagi e microglia attivata è regolato da enzimi della famiglia NADPH

(26)

25 ossidasi; l’attivazione di questi enzimi e la conseguente formazione di ROS rappresentano importanti vie di danno a carico di oligodendrociti e neuroni mediato da macrofagi e microglia attivata (Cheret et al., 2008). Un enzima responsabile della produzione di specie ossidanti nella microglia attivata è anche la mieloperossidasi, che catalizza la formazione di acido ipocloroso, un ossidante altamente citotossico. Alti livelli di reattività per mieloperossidasi sono stati osservati in lesioni attive della sostanza bianca ed in lesioni corticali, in macrofagi e microglia (Gray et al 2008-a, Gray et al,., 2008-b) facendo ipotizzare che la produzione di specie reattive dell'ossigeno da parte della microglia sia coinvolta anche nei processi di demielinizzazione corticale.

Per quanto riguarda la produzione di RNS, l’espressione di ossido nitrico sintasi inducibile è stata osservata in macrofagi e microglia attivata a livello del bordo attivo delle lesioni (Liu et al., 2001).

Pertanto, molecole coinvolte nel meccanismo di burst ossidativo appaiono iperespresse nelle lesioni della SM, in zone di attivo danno tissutale, dove può essere osservata anche la presenza di DNA e lipidi ossidati (Lassmann and van Horssen 2011).

In aggiunta a questi meccanismi, una concomitante compromissione della funzionalità mitocondriale potrebbe dare luogo ad un’amplificazione del danno ossidativo (Murphy, 2009). ROS e RNS possono infatti indurre danno tessutale anche attraverso un’alterazione della funzione mitocondriale e sembra che un disturbo della produzione di energia possa avere un ruolo importante nel processo neurodegenerativo della SM (Lassmann, 2008). Il danno degli assoni, parte fondamentale del processo neurodegenerativo nella SM, può essere sia acuto, associato ad infiammazione, che cronico. L’infiammazione e la demielinizzazione degli assoni potrebbero contribuire a loro volta ad un’alterazione della funzione mitocondriale, all’interno di un circolo vizioso che incrementa la produzione di ROS (Mahad et al., 2008). Infatti, l’energia richiesta per mantenere un bilancio ionico intra-assonale è maggiore negli

(27)

26 assoni demielinizzati, dove i canali del sodio si ridistribuiscono lungo tutto il segmento di membrana e non hanno più una localizzazione limitata ai nodi di Ranvier. La risposta mitocondriale ad un aumento dei canali del sodio e ad una maggiore richiesta di energia è stata studiata in un modello animale di patologia dismielinizzante, ovvero nel topo “shiverer”, caratterizzato da delezione del gene della proteina basica della mielina (Andrews et al., 2006). In questo modello i canali del sodio sono ridistribuiti lungo gli assoni dismielinizzati e sono aumentate la densità di mitocondri e l’attività del complesso quattro della catena di trasporto degli elettroni. Pertanto la proliferazione dei mitocondri sembra una risposta fisiologica ad una maggiore richiesta di energia negli assoni ricoperti da una guaina mielinica alterata. Una serie di studi hanno evidenziato difetti mitocondriali nella SM e indicano un ruolo patogenetico dei mitocondri nella degenerazione assonale in presenza di infiammazione (Dutta et al., 2006). In particolare è stato dimostrato come l’attività del complesso uno della catena respiratoria mitocondriale sia ridotta nel tessuto omogeneizzato derivato da lesioni croniche attive. Inoltre, nelle lesioni croniche attive della SM è stato evidenziato un danno ossidativo del DNA mitocondriale (Lu et al., 2000).

Negli assoni demielinizzati, con redistribuzione dei canali del sodio, si osserva un’alterazione della funzione della pompa Na+/K+ ATPasi, incrementata dal difetto di produzione energetica secondario alle disfunzioni mitocondriali, con conseguente accumulo di Na+ all’interno dell’assone. Questo provoca un cambiamento nella direzione di lavoro dello scambiatore Na+/Ca++ con influsso di ioni calcio all’interno della cellula. L’aumento del calcio nell’assone è in grado di attivare una serie di enzimi proteolitici, le cisteinproteasi calcio dipendenti (calpaine), con conseguente distruzione della struttura del citoscheletro (Waxman, 2006). Negli assoni cronicamente demielinizzati è stata osservata una carenza degli scambiatori di membrana Na+/Ca++, probabilmente a causa di un clivaggio mediato dalle calpaine; questo previene la estrusione del calcio intra-assonale, che proviene da sorgenti intracellulari quali i mitocondri e il reticolo endoplasmatico (Bano et al., 2005).

(28)

27 Anche un aumento nella produzione di specie reattive dell’ossigeno, secondaria ad alterazione dei complessi della catena respiratoria mitocondriale è implicata nella degenerazione assonale. I ROS possono causare un danno ossidativo ai complessi della catena respiratoria, portando ad un circolo vizioso. Gli assoni demielinizzati, con canali del sodio redistribuiti, sono particolarmente vulnerabili allo stress ossidativo, al conseguente deficit energetico e all’alterazione del bilancio di calcio (Chinopoulos et al., 2000).

In sintesi, la demielinizzazione provocherebbe un aumento della richiesta energetica degli assoni, con aumento della attività dei complessi della catena di trasporto mitocondriale e conseguente aumentata produzione di ROS. In effetti, in studi anatomopatologici è stato osservato un aumento dell’espressione delle proteine mitocondriali e un aumento del numero di mitocondri in assoni ed astrociti nelle lesioni della SM (Witte et al., 2009) e un aumento del numero dei mitocondri potrebbe contribuire alla formazione di radicali liberi e al conseguente danno tessutale da stress ossidativo.

Il coinvolgimento dei mitocondri sembra avere un ruolo importante anche nel processo degenerativo a livello della corteccia cerebrale (Witte et al., 2014). La presenza di danno del DNA mitocondriale e di residui di nitrotirosina nelle proteine mitocondriali indicano un danno ossidativo mitocondriale a livello della corteccia (Broadwater et al., 2011). Differenti meccanismi interconnessi sono stati proposti (Witte et al., 2014): un processo sarebbe secondario alla produzione di ROS e RNS da parte della microglia attivata a livello corticale; questo provocherebbe l’inibizione di complessi enzimatici della catena respiratoria mitocondriale e danno del DNA mitocondriale nei neuroni. Il danno del DNA mitocondriale determinerebbe un’ulteriore compromissione dei complessi della catena respiratoria, con conseguente riduzione della produzione di ATP. In secondo luogo, una riduzione, secondaria alla cronica attivazione microgliale, dell’espressione neuronale di un cofattore di trascrizione (PGC-1a) che si lega e attiva fattori nucleari di trascrizione coinvolti nella funzionalità mitocondriale, determina una minore trascrizione di enzimi della catena di trasporto degli

(29)

28 elettroni e di antiossidanti mitocondriali. Come conseguenza, i mitocondri hanno una ridotta capacità di produzione di ATP e di detossificazione di ROS, aspetti che possono infine compromettere completamente la funzione mitocondriale e condurre a morte neuronale. Questo potrebbe avere un effetto deleterio anche sugli assoni demielinizzati, poiché il corpo cellulare neuronale non sarebbe più in grado di fornire all’assone mitocondri funzionanti. Pertanto, un danno mitocondriale potrebbe contribuire al processo neurodegenerativo della SM secondo tre meccanismi interconnessi: primo, nelle lesioni infiammatorie acute, i mitocondri assonali sono danneggiati da ROS e RNS, provocando disfunzione mitocondriale e conseguente danno assonale. Secondo, negli assoni cronicamente demielinizzati la domanda di energia è aumentata e, ad un certo punto, i mitocondri assonali non sono più in grado di soddisfare le richieste energetiche, inducendo una cascata di processi patologici che portano alla degenerazione assonale. Terzo, alti livelli di mutazioni del DNA mitocondriale, aumento di produzione di ROS e RNS da parte della microglia attivata a livello corticale inducono disfunzione neuronale e mitocondriale a livello della corteccia cerebrale, evento sottostante al processo neurodegenerativo a questo livello (Witte et al., 2014).

Un ulteriore meccanismo, in grado di amplificare il danno ossidativo cerebrale, specie nelle fasi progressive della malattia, consiste nell’accumulo di ferro a livello cerebrale, un processo correlato all’età (Lassmann and van Horssen 2011). Il ferro viene immagazzinato con la ferritina prevalentemente negli oligodendrociti e, in quantità minori, anche in microglia e macrofagi (Hulet et al., 1999). Nelle lesioni della SM gli oligodendrociti vengono distrutti nel corso della demielinizzazione ed ai bordi della placca è riscontrabile un accumulo di ferro, contenuto prevalentemente in microglia e macrofagi. Questo aspetto è prevalente in pazienti di età superiore a 40-50 anni. Pertanto, nel processo demielinizzante con distruzione degli oligodendrociti il ferro viene liberato nello spazio extracellulare, dove viene captato da macrofagi e microglia e depositato insieme alla ferritina. Quando questo processo si verifica

(30)

29 in un ambiente sovraccarico di radicali liberi, come quelli prodotti dal burst ossidativo dell’infiammazione, il ferro può essere liberato dalla ferritina e trasformato in ione Fe++, che reagisce con il perossido di idrogeno, formando radicali idrossilici, molto reattivi, amplificando il danno ossidativo cellulare, incrementando i processi di demielinizzazione e degenerazione (Lassmann and van Horssen 2011).

Riassumendo, il danno ossidativo provoca compromissione mitocondriale, un fenomeno prominente nelle lesioni demielinizzanti attive (Mahad, 2008). La compromissione mitocondriale può spiegare alcune caratteristiche patologiche fondamentali delle “placche”, tra cui demielinizzazione, apoptosi degli oligodendrociti, degenerazione degli assoni di piccolo calibro e alterazioni strutturali e funzionali di astrociti e cellule progenitrici oligodendrogliali (Lassmann and van Horssen 2011). Una importante produzione di radicali liberi nelle lesioni della SM si riflette nella espressione di ossido nitrico sintetasi inducibile, complessi NADPH ossidasi e mieloperossidasi a livello della microglia nelle zone di iniziale danno tissutale nelle lesioni attive. Inoltre, sul piano neuropatologico, la abbondante presenza di DNA e lipidi ossidati e residui di nitrotirosina in quelle cellule e processi cellulari che degenerano nella lesione, supporta l’importanza del danno ossidativo (Haider et al., 2011). Il danno ossidativo nelle lesioni demielinizzanti nelle fasi precoci della malattia appare correlato all’infiammazione e all’espressione di molecole correlate al burst ossidativo in macrofagi e microglia. Anche nelle fasi progressive, nonostante un grado minore di infiammazione e di espressione di molecole correlate allo stress ossidativo, il danno ossidativo appare altrettanto importante. Questo sta a suggerire che meccanismi aggiuntivi di generazione di RS siano presenti nelle lesioni dei pazienti nelle fasi progressive della malattia, in cui il danno ossidativo appare incrementato da diversi meccanismi di amplificazione, connessi all’avanzare dell’età del paziente ed all’accumulo di danno del tessuto nervoso (Lassmann 2013). Un meccanismo di amplificazione è stato identificato nel danno mitocondriale, che porta alla produzione di RS quando la catena respiratoria viene

(31)

30 compromessa. Un altro meccanismo di amplificazione può essere correlato all’attivazione della microglia che costituisce una fonte molto importante di citochine e radicali ossidanti quali lo ione superossido, radicali idrossilici, perossido di idrogeno e ossido nitrico. Un ulteriore meccanismo di amplificazione potrebbe essere rappresentato dalla liberazio ne di depositi di ferro intracellulari. L’accumulo di ferro, che avviene principalmente in mielina ed oligodendrociti, è un processo dipendente dall’età; pertanto, la liberazione di ferro nelle lesioni è maggiore in un processo degenerativo che colpisce mielina ed oligodendrociti, piuttosto che neuroni e glia. Tutti questi dati suggeriscono che demielinizzazione e neurodegenerazione siano mediate da un meccanismo di stress ossidativo (Lassmann 2013).

Biomarcatori nella SM

I biomarkers possono essere definiti come “una caratteristica che è obiettivamente misurata e valutata quale indicatore di normali processi biologici, meccanismi patogenetici o risposte farmacologiche ad un intervento terapeutico” (Comabella and Montalban, 2014).

I biomarcatori nella SM possono essere suddivisi in quattro gruppi:

1. Predittivi e diagnostici, utili per individuare soggetti a rischio di sviluppare la patologia o in grado di distinguere soggetti con SM da persone sane o da pazienti con altre patologie neurologiche o autoimmuni.

2. Correlati all’attività di malattia, ovvero presenti nelle diverse fasi della patologia e che, in aggiunta a caratteristiche cliniche e radiologiche, possano dare informazioni su quali pazienti sottoporre ad un determinato trattamento.

3. Correlati al trattamento, misurabili quindi in pazienti sottoposti a determinate terapie, per individuare soggetti a rischio di fallimento della terapia o di reazioni avverse (Comabella and Montalban, 2014).

Tra i biomarkers correlati all’attività di malattia figurano i marcatori di stress ossidativo e le citochine, che possono essere dosati nei fluidi biologici.

(32)

31 Citochine quali biomarkers nella SM

Le citochine sono state identificate quali principali regolatori della risposta immune e sembra che citochine proinfiammatorie ed antiinfiammatorie giochino un ruolo importante nella modulazione della cascata infiammatoria autoimmune nella SM (Williams et al., 1994). Gli infiltrati infiammatori delle lesioni della SM sono costituiti prevalentemente da linfociti T, pochi linfociti B e plasmacellule, e da un’intensa attivazione di macrofagi e microglia. Il sottogruppo dei linfociti T helper attivati presenta un caratteristico profilo di citochine che regolano le risposte immunitarie. Sono suddivisi in due sottogruppi: linfociti T helper 1 (Th1) e T helper 2 (Th2). I linfociti Th1 producono generalmente citochine infiammatorie come IL-2, IFN-gamma e TNF-alfa mentre i linfociti Th2 producono citochine anti-infiammatorie come IL-4, IL-5, IL-6, IL-10 e IL-13. La reazione infiammatoria nelle lesioni della SM è associata ad una up-regulation di diverse citochine Th1 mediate, incluso IL-2, IFN-gamma e TNF-alfa che si riscontrano, inoltre, nel liquor di soggetti con SM in fase attiva. Inoltre nella SM è stato riscontrato un incremento di IL-17 sia nelle lesioni cerebrali che nelle cellule mononucleate isolate da sangue o liquor. La IL-17 è in grado di attivare l’espressione di diverse citochine pro infiammatorie, chemochine e molecole di adesione in un’ampia varietà cellulare, inclusi macrofagi e cellule dendritiche.

I dati in letteratura riguardanti i livelli ematici di citochine nei soggetti affetti da SM appaiono limitati ed eterogenei; inoltre sembra ancora poco chiaro se i livelli plasmatici di citochine differiscano in maniera significativa nei pazienti con forma RR rispetto ai soggetti in fase SP (Frisullo et al., 2008, Kallaur et al., 2013, Mikulkova et al., 2011).

Nell’ambito dello studio della correlazione tra i livelli periferici di citochine e caratteristiche cliniche della malattia, i livelli di citochine plasmatiche sono stati esaminati in correlazione con uno dei più frequenti sintomi della SM, ovvero la fatica. I livelli di TNF-alfa, IFN-gamma

(33)

32 e IL-1, citochine pro infiammatorie, sembrano associate a maggiori livelli di fatica (Heesen, 2006, Flachenecker et al., 2004). Inoltre, livelli di TNF-alfa sono risultati correlati ad una eccessiva sonnolenza diurna, misurata mediante la scala di Epworth (Heesen, 2006). E’ stato infatti ipotizzato che il cambiamento nel profilo di citochine associato alla SM possa alterare il sonno in questi pazienti (Krueger et al., 2001), in cui i disturbi del sonno si presentano con frequenza più alta rispetto alla popolazione generale (Brass et al., 2010).

Marcatori plasmatici di danno ossidativo nella SM

Dato che lo stress ossidativo sembra avere un ruolo nella genesi dei fenomeni neurodegenerativi nella SM, sono stati indagati differenti marker a livello ematico e liquorale (Tumani et al., 2009).

A livello sierico, sia i livelli di NO che dei suoi metaboliti (nitriti e nitrati, NOx) risultano elevati in soggetti con SM, con ogni tipo di decorso clinico (Giovannoni et al., 1997); inoltre NOx sono risultati aumentati sia nel liquor che nel siero di soggetti con SM o altre patologie neurologiche infiammatorie, rispetto ai pazienti con patologie neurologiche non infiammatorie (Giovannoni, 1998). Anche l’escrezione urinaria di NOx appare incrementata in soggetti con SM in fase iniziale o RR (Giovannoni et al., 1999). I livelli sierici di NOx sono inoltre risultati maggiori in soggetti con SM RR rispetto ai pazienti in fase SP. Inoltre, per quanto riguarda l’evoluzione della patologia, incrementati livelli di NOx sono risultati associati con un numero di minore di relapse clinici e con un decorso non progressivo (Giovannoni et al., 2001). Lo studio dei NOx a livello liquorale ha permesso di indicare che la produzione intratecale di NO è incrementata nelle fasi precoci ed attive della patologia, in pazienti con SM in fase di ricaduta è stato infatti riscontrato un aumento dei livelli liquorali di metaboliti dell' NO (Yamashita et al., 1997). E’ stato inoltre suggerito che il fatto che durante ricadute di malattia i livelli di nitriti liquorali fosse superiore al valore dei nitriti plasmatici fosse indicativo di una produzione intratecale di tali metaboliti, prodotti dell’NO (Danilov et

Riferimenti

Documenti correlati

L’alfavirus dei salmonidi è responsabile della malattia del pancreas nel salmone atlantico (Pancreatic Disease-PD) e della malattia del sonno nella trota

Néanmoins, bien que les différences entre garçons et filles diminuent, elles n’ont pas disparu et persistent dans certains aspects de la vie religieuse, en particulier dans la

The recent use of the mass spectrometric detector [11] has increased both the sensitivity (200 pg/ml) and the selectivity of the assay but, in the method

I bancali, che sono situati all’interno della fila sono stati ottenuti dividendo la lunghezza della fila per la lunghezza del pallet (800mm). I livelli della fila dipendono

Attraverso gli snapshot e le riflessioni sin qui condivise, sicuramente ampliabili, emerge un ritratto più ricco e articolato degli spazi urbani, pubblici collettivi e privati,

Ma una pagina resta impressa in quanto sintesi costruttiva, serenamente audace e politicamente scorretta com’è giusto che sia quando si affronta il futuro

Nelle due opere, Flower of Youth, una raccolta di poesie e di saggi pubblicata nel 2011 da Mary di Michele, e Solitaria, l’ultimo romanzo del 2010 di Genni Donati Gunn,

Riconduce al Medioevo l’intervento di Stefania Mele che ha analizzato l’iconografia delle Marie al se- polcro e della Resurrezione nel Pergamo di Guglielmo della cattedrale di