• Non ci sono risultati.

Super-diversità linguistica e socio-culturale: caratteristiche, sviluppi e ricadute in ambito educativo

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Super-diversità linguistica e socio-culturale: caratteristiche, sviluppi e ricadute in ambito educativo"

Copied!
146
0
0

Testo completo

(1)

DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN LINGUE E LETTERATURE

MODERNE EUROAMERICANE

TESI DI LAUREA

Super-diversità linguistica e socio-culturale:

caratteristiche, sviluppi e ricadute in ambito educativo

CANDIDATO

RELATORE

Gabriela Ionite

Prof.ssa Daria Coppola

CONTRORELATORE

Dott.ssa Francesca Gallina

(2)

Indice

Introduzione

Capitolo 1

Super-diversità e mutamenti socioculturali

1.1 Dal tema della differenza alla super-diversità

1.1.1.

Definizione

1.1.2.

Critiche al concetto di super-diversità

1.1.3.

Un nuovo campo d'indagine

1.1.4.

Metodologia d'indagine

1.2 L'immigrazione contemporanea e le nuove diversità

1.2.1.

I tratti della super-diversità in Gran Bretagna

1.2.2.

Gestione della diversità: multiculturalismo,

integrazione, assimilazione

1.2.3.

Immigrazione, plurilinguismo e super-diversità nel

contesto europeo

1.3 Immigrazione e super-diversità in Italia

1.3.1.

I numeri dell'immigrazione in Italia

1.3.2.

L'impatto dell'immigrazione sulla società italiana

(3)

Capitolo 2

Educazione e contesti super-diversi

2.1 Educazione mono-culturale e pluri-culturale: profilo storico

2.1.1.

Il modello mono-culturale francese

2.1.2.

La pedagogia progressista statunitense

2.1.3.

Le basi del modello britannico

2.2 Il nesso educazione-immigrazione

2.2.1.

Le dinamiche di causa - effetto

2.2.2.

Principali criticità nel sistema scolastico inglese

2.3 L'impatto dell'immigrazione sulla scuola italiana

2.3.1.

Quadro generale

2.3.2.

Criticità specifiche

2.3.3.

La situazione scolastica nelle aree super-diverse

2.3.4.

Contesti scolastici super-diversi

Capitolo 3

Super-diversità linguistica

3.1 Problemi e definizioni

(4)

3.1.2.

Comunità linguistica e funzione simbolica del

linguaggio

3.1.3.

Il repertorio linguistico super-diverso

3.2 Competenza linguistica, plurilinguismo e multilinguismo

3.2.1.

Livelli di competenza

3.2.2.

Plurilinguismo e multilingualism

3.3 Educazione linguistica e super-diversità

3.3.1.

Plurilinguismo, pluriculturalismo ed educazione

3.3.2.

L'educazione plurilingue come possibile paradigma

europeo

3.3.3.

Glottodidattica, plurilinguismo e super-diversità

Conclusioni

Appendice

(5)

INTRODUZIONE

La presente ricerca è stata sviluppata principalmente intorno ai termini diversità e diverso, entrambi fanno riferimento a un concetto (quello di super-diversità appunto) coniato in ambito anglosassone per parlare di quei contesti in cui la somma delle diversità è diventata talmente grande da sfuggire alle forme di analisi tradizionali, creando la necessità di nuovi strumenti e nuove categorie d'indagine.

Nella prima parte della ricerca si è cercato di documentare, innanzitutto, il passaggio dal concetto generico di differenza a una nuova consapevolezza nei confronti delle differenze e del loro moltiplicarsi nei contesti caratterizzati da una forte immigrazione come le grandi città occidentali. A questo proposito si è cercato di individuare alcune categorie come: multiculturalismo, integrazione e assimilazione che sono entrate in crisi a causa dell'aumento della diversità linguistica e culturale, soprattutto nei loro risvolti politici, e si è deciso di concentrare l'attenzione prima sul contesto europeo per come si è andato definendo negli ultimi anni, per poi spostare l'attenzione sul contesto italiano.

La ricerca sulla super-diversità in Italia non ha prodotto ancora una grande mole di studi, ma considerando il passaggio da paese di emigrazione a paese di immigrazione avvenuto negli anni '90, si è deciso di proporre un'analisi delle principali dimensioni del fenomeno immigrazione in Italia basata sui rilevamenti statistici fatti su base nazionale dall'ISTAT, dai quali è risultato che alcune sue aree, specialmente quelle urbane ad alta densità abitativa, come Roma, Milano, Torino, sono candidate alla definizione di luoghi super-diversi.

L'oggetto della seconda parte della ricerca è il rapporto tra educazione e super-diversità, che mi ha portato a ripercorrere le tappe della costruzione dei principali modelli di riferimento in ambito pedagogico che hanno tenuto conto del fenomeno della diversità per come si è manifestato soprattutto nel XX° secolo in luoghi come gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna.

Da questa ricostruzione è emersa la necessità di mettere a confronto il modello mono-culturale e quello multiculturale mettendo in evidenza soprattutto

(6)

come questi due si sono rapportati con il fenomeno dell'immigrazione e come quest'ultimo sia poi entrato in crisi a causa di una serie di “sconfitte” sul campo dell'integrazione.

L'aumento dei flussi migratori, infatti, soprattutto in Gran Bretagna dove per quasi trent'anni il modello multiculturalista è stato il punto di riferimento anche dal punto di vista politico, ha messo il sistema educativo davanti a delle sfide di difficile soluzione che riguardano l'inclusione, il plurilinguismo, l'individuazione di standard condivisi, etc. In quest'ottica si è deciso di verificare il quadro italiano valutando l'impatto dell'immigrazione sulla scuola italiana per come emerge, in termini principalmente quantitativi, dagli studi statistici sviluppati a livello nazionale e locale.

Infine, nella terza parte, si è deciso di concentrare l'attenzione su una delle dimensioni del fenomeno della super-diversità e sul suo rapporto con l'educazione, ossia su quella che abbiamo definito la super-diversità linguistica.

In questa ultima parte, si è cercato di stabilire innanzitutto delle definizioni che permettessero di comprendere quale sia il contesto della super-diversità linguistica e si sono, infatti, messi in discussione alcuni concetti fondamentali dell'indagine linguistica e socio-linguistica tradizionale come quelli di lingua, linguaggio, comunità linguistica, funzione simbolica del linguaggio e repertorio linguistico.

Una particolare attenzione è stata dedicata, nella parte iniziale del terzo capitolo, ai meccanismi e ai processi che sono coinvolti nella costruzione del repertorio linguistico individuale super-diverso, un fattore che si rivela particolarmente importante nel momento in cui il repertorio linguistico diventa l'orizzonte entro il quale vengono messi alla prova i vari livelli di competenza linguistica di ogni individuo e la sua capacità di interagire con il contesto educativo nel quale è inserito.

Infatti, l'ultima parte del terzo capitolo sarà dedicata, appunto, al rapporto tra educazione linguistica e super-diversità nell'ambito scolastico. Un nodo concettuale che è diventato molto presente nelle politiche europee degli ultimi anni e che sembra indirizzarsi verso un progetto culturale, e prima di tutto politico, per la costruzione di

(7)

un paradigma europeo basato sull'educazione plurilingue come pratica ottimale per il futuro.

Infine, nell'ultimo paragrafo si cercherà di comprendere se esistano già strumenti e prassi didattiche adatte ai contesti scolastici super-diversi o se sia necessario individuare nuove strade, e si rivolgerà l'attenzione, in particolare, al contesto italiano, nel quale il concetto di super-diversità, nonostante i contributi di Barni e Vedovelli, sembra non essersi ancora adeguatamente diffuso.

(8)

CAPITOLO 1

Super-diversità e mutamenti socioculturali

1.1 Dal tema della differenza alla super-diversità

Il tema della differenza è un nodo centrale del dibattito culturale occidentale contemporaneo ed è diventato, negli ultimi trent'anni, il punto di accumulazione intorno al quale si sono sviluppate, in modo più o meno esplicito, le principali linee di ricerca in ambito socioculturale. Le pressoché infinite declinazioni del tema hanno contribuito a rendere la differenza un soggetto d'indagine trasversale alle materie più disparate e, al tempo stesso, una cornice tematica all'interno della quale collocare l'emergere di nuovi fenomeni di compresenza, interazione e sovrapposizione culturale che sono la cifra caratteristica delle società complesse e multiculturali nelle quali viviamo1.

Come suggerito da Stuart Hall, già nel 1993, «the capacity to live with

difference […] is the question of the twenty-first century»2, un'osservazione che

sembra confermata dalla costante accelerazione delle dinamiche e dall'incremento di fenomeni che possono essere ricondotti all'ampio dominio della diversità.

Ai più alti livelli della riflessione politica, infatti, gli sforzi indirizzati a una corretta valutazione e valorizzazione del potenziale di sviluppo umano connesso al tema cruciale della diversità, sono stati a lungo una componente essenziale del percorso di ispirazione, formulazione e diffusione degli ideali di universalità, uguaglianza e solidarietà internazionale.

Ne sono un frutto inequivocabile, in questo senso, i primi tre articoli della “Dichiarazione universale sulla diversità culturale” adottata dalla Conferenza

1 Sulle varie prospettive di analisi cfr., M. L. Lanzillo, Il multiculturalismo, Laterza, Bari, 2005, p. 3 e segg.

(9)

Generale dell'UNESCO nel novembre del 20013. I tre articoli sintetizzano, infatti, in

modo particolarmente efficace, sia l'evoluzione del panorama culturale sia la visione che dovrebbe o avrebbe dovuto guidare la comunità internazionale all'alba del ventunesimo secolo, motivo per cui, in questo contesto, vale la pena citarli per intero:

Articolo 1 - La diversità culturale, patrimonio comune dell'Umanità

La cultura assume forme diverse nel tempo e nello spazio. La diversità si rivela attraverso gli aspetti originali e le diverse identità presenti nei gruppi e nelle società che compongono l'Umanità. Fonte di scambi, d'innovazione e di creatività, la diversità culturale è, per il genere umano, necessaria quanto la biodiversità per qualsiasi forma di vita. In tal senso, essa costituisce il patrimonio comune dell'Umanità e deve essere riconosciuta e affermata a beneficio delle generazioni presenti e future.

Articolo 2 - Dalla diversità al pluralismo culturale

Nelle nostre società sempre più diversificate, è indispensabile assicurare un'interazione armoniosa e una sollecitazione a vivere insieme di persone e gruppi dalle identità culturali insieme molteplici, varie e dinamiche. Politiche che favoriscano l'integrazione e la partecipazione di tutti i cittadini sono garanzia di coesione sociale, vitalità della società civile e di pace. Così definito, il pluralismo culturale costituisce la risposta politica alla realtà della diversità culturale. Inscindibile da un quadro democratico, il pluralismo culturale favorisce gli scambi culturali e lo sviluppo delle capacità creative che alimentano la vita pubblica.

Articolo 3 -La diversità culturale, fattore di sviluppo

La diversità culturale amplia le possibilità di scelta offerte a ciascuno; è una delle fonti di sviluppo, inteso non soltanto in termini di crescita economica, ma anche come possibilità di accesso ad un'esistenza intellettuale, affettiva, morale e spirituale soddisfacente4.

Al di là dell'idealizzazione, perfettamente coerente con lo spirito di una “dichiarazione universale” d'intenti, nel testo sono richiamati in modo esplicito alcuni dei punti fermi alla base della ricerca sulla realtà contemporanea degli ultimi anni. A partire dal richiamo alla biodiversità e passando per il riconoscimento delle problematiche poste da contesti sociali sempre più diversificati, la dichiarazione

3 UNESCO, Dichiarazione Universale dell'UNESCO sulla Diversità Culturale, adottata all'unanimità a Parigi durante la 31esima sessione della Conferenza Generale dell'UNESCO, Parigi, 2 novembre 2001, Identità, diversità e pluralismo, art. 1 La diversità culturale, patrimonio comune dell'Umanità; art. 2 Dalla diversità culturale al pluralismo culturale; art. 3 La diversità culturale, fattore di sviluppo.

(10)

stabilisce, infatti, un legame inscindibile tra diversità, pluralismo culturale e sviluppo umano, individuando nell'obiettivo di una società in grado di armonizzare le differenze, la vera sfida per i decisori politici del presente e del futuro.

Più che dare risposte, la dichiarazione individua i connotati della realtà a cavallo tra i due millenni e delinea i contorni di un ampio contenitore per il dibattito filosofico, sociologico e politico sulla società multiculturale e sul multiculturalismo. Infatti, se «ciò che è in gioco è l'idea di cultura o, meglio, ciò che i diversi attori che costituiscono quella che viene denominata società multiculturale credono che il termine cultura significhi»5, possiamo dire che «quando usiamo il termine

multiculturale ci riferiamo al fatto della diversità culturale; quando invece parliamo di multiculturalismo intendiamo indicare una risposta normativa, insomma una risposta d'ordine a questo fatto»6.

In questo senso, è abbastanza chiaro l'obiettivo della dichiarazione in qualità di manifesto di un'idea di società multiculturale intesa come «progetto per il futuro, che si ritiene capace di disegnare una nuova forma di convivenza sociale, al di là dei processi di assimilazione e di melting pot che hanno caratterizzato il pensiero e la politica occidentali di gran parte del XX secolo»7. Si tratta, infatti, di un obiettivo

ribadito dall'UNESCO a più riprese, ad esempio nel 2011 con la stesura di A new

cultural policy agenda for development and mutual understanding8, in cui la

necessità di intervenire sulla realtà con politiche culturali orientate allo sviluppo e al superamento delle “limitate capacità di abbracciare la diversità culturale” viene ridefinita alla luce della crisi globale successiva al 20089. Un orientamento che

sembra tenere solo parzialmente in conto, come vedremo, la definitiva e contemporanea entrata in crisi del multiculturalismo come modello di riferimento e l'affiorare, o il riaffiorare, di termini come “integrazione” e “coesione”.

Partendo da tali presupposti, e al di là dei differenti approcci10 che hanno

caratterizzato il dibattito principalmente filosofico e politico, si è giunti gradualmente

5 Lanzillo, Il multiculturalismo, cit., p. 7. 6 Ibidem.

7 Ivi, p. 6.

8 UNESCO, A new cultural policy agenda for development and mutual understanding, key arguments for a strong commitment to cultural diversity and intercultural dialogue, Parigi, 2011 9 Ivi, p. 10 e segg.

(11)

alla consapevolezza che le categorie di pensiero che erano state efficaci e sufficienti per analizzare l'evoluzione delle società del ventesimo secolo hanno cominciato a mostrare i propri limiti di fronte al dinamismo e al moltiplicarsi delle variabili emergenti nel quadro contemporaneo. In quest'ottica è diventata sempre più evidente la necessità di individuare strumenti teorici e modelli d'analisi in grado di restituire in modo efficace l'evolversi delle diversità nelle società complesse attuali.

Tra le principali novità apparse nel panorama della ricerca socioculturale dei primi due decenni del ventunesimo secolo, si colloca in primo piano la svolta terminologica rappresentata dall'introduzione del termine super-diversity, coniato dal sociologo americano Steven Vertovec, usato per la prima volta da quest'ultimo nel 200511 in un intervento per la BBC, e ripreso in un fondamentale articolo del 2007: Super-diversity and its implications, apparso sulla rivista Ethnic and Racial Studies12.

1.1.1 Definizione

Il termine super-diversity, da qui in avanti reso con l'italiano 'super-diversità', è stato coniato da Vertovec per indicare l'incremento esponenziale delle variabili nei processi di “diversificazione della diversità” in contesti quali i grandi agglomerati urbani contemporanei. Analizzando la società londinese dei primi anni duemila il sociologo americano nota, infatti, che:

In the last decade the proliferation and mutually conditioning effects of additional variables shows that it is not enough to see diversity only in terms of ethnicity, as is regularly the case both in social science and the wider public sphere. Such additional variables include differential immigration statuses and their concomitant entitlements and restrictions of rights, divergent labour market experiences, discrete gender and age profiles, patterns of spatial distribution, and mixed local area responses by service providers and residents. Rarely are these factors described side by side. The interplay of these factors is what is meant here, in summary fashion, by the notion of 'super-diversity'.13

11 S. Vertovec, Super-diversity revealed, BBC News Online, 2005.

12 S. Vertovec, Super-diversity and its implications, Ethnic and Racial Studies, Vol. 30 No. Novembre 2007, pp. 1024 – 1054.

(12)

Come sottolineato dallo stesso Vertovec, le variabili che emergono in quelli che verranno definiti contesti o luoghi “super-diversi” non sono di per sé nuove, così come non sono nuove la maggior parte delle relazioni che le intrecciano. Ciò che giustifica, a suo avviso, la necessità di una distinzione concettuale tra la diversità sociale, come tradizionalmente intesa, e la super-diversità, sono le dimensioni quantitative che caratterizzano il moltiplicarsi delle configurazioni e dei reciproci condizionamenti di tali variabili e relazioni, e che sono il frutto dell'evoluzione storica e delle scelte politiche multiculturaliste14 degli ultimi cinquantanni.

In questo senso, e in linea con quanto messo precedentemente in evidenza a proposito della “dichiarazione universale della diversità culturale” UNESCO, Vertovec spiega come:

Multicultural policies have had as their overall goal the promotion of tolerance and respect for collective identities. This has been undertaken through supporting community associations and their cultural activities, monitoring diversity in the workplace, encouraging positive images in the media and other public spaces, and modifying public services (including education, health, policing and courts) in order to accomadate culture-based differences of value, language and social practice.15

Secondo Vertovec, il luogo in cui tali pratiche e politiche multiculturali hanno prodotto i risultati più evidenti, e che si è rivelato a tutti gli effetti il terreno privilegiato per le prime ricerche sulla super-diversità, è il Regno Unito e, in particolare, la grande area urbana londinese16. D'altronde, come vedremo, nel 2005 la

popolazione di Londra comprendeva persone provenienti da 179 Paesi e, se per alcuni di questi si trattava soltanto di pochi individui, ben 42 Paesi contribuivano con più di 10.000 individui ciascuno e altri 12 Paesi con almeno 500017. Mentre, sul

fronte linguistico, in base a un sondaggio che ha coinvolto quasi 900 mila studenti delle scuole primarie londinesi sul tema delle lingue parlate tra le mura domestiche,

14 Ivi, p. 1026. 15 Ivi, p. 1027.

16 S. Vertovec, The Emergence of Super-Diversity in Britain, Compas, Working Paper No. 25, University of Oxford, 2006, p. 1 e segg.

(13)

il numero delle lingue parlate, appunto, ammonterebbe a circa 30018.

Sarebbero sufficienti questi dati, da soli, a rendere evidente il livello di complessità raggiunto da una società di immigrazione come quella londinese e britannica ma, come vedremo in seguito, la multi-dimensionalità dei contesti super-diversi va oltre la questione della “varietà”. Intanto, è necessario sottolineare come l'introduzione del termine non sia stata accolta da un consenso unanime nella comunità scientifica internazionale.

1.1.2 Critiche al concetto di Super-diversità

Lo stesso Vertovec è stato il primo a porre l'accento sul fatto che l'uso del termine super-diversità sia principalmente una scelta di comodo:

'Super-diversity' is proposed as a summary term. Whatever we choose to call it, there is much to be gained by a multidimensional perspective on diversity, both in terms of moving beyond 'the ethnic group as either the unit of analysis or sole object of study' and by appreciating the coalescence of factors which condition people's lives.19

Eppure, nel momento in cui l'uso del termine si è diffuso giungendo a identificare un intero campo di ricerca, grazie anche alle attività dello stesso Vertovec in seno al Max-Planck Institute di Göttingen, non sono mancate le critiche al suo utilizzo.

In un saggio del 2012, Sinfree Makoni fa notare come il termine

«super-diversity contains a powerful sense of social romanticism, creating an illusion of equality in a highly asymmetrical world, particularly in contexts characterized by a search for homogenization»20. Una critica non isolata21, che pone l'accento sul

pericolo che uno sguardo dall'alto, interessato soltanto all'analisi della quantità e

18 Ivi, p. 1032. 19 Ivi, p. 1026.

20 S. Makoni, A Critique of Language, Languaging and Supervernacular, in Muitas Vozes, Ponta Grossa, v. 1, n. 2p. 189-199, 2012, p. 193.

21 Il riferimento è, ad esempio, al tono generale della critica al termine ad opera di A. Pavlenko, riportata in seguito.

(14)

della tipologia di relazioni tra le variabili in gioco, possa finire per identificarsi con il punto di vista dei policy makers, impegnati nella gestione politica della diversità, con un conseguente appiattimento per ciò che riguarda l'analisi delle disuguaglianze e dei rapporti di forza asimmetrici in atto.

Di tono diverso, invece, la critica mossa da Ana Deumert sul fatto che l'uso del termine super-diverso «as a descriptive adjective, is a theoretical cul-de-sac,

because the complexities brought about by diversity in the social world defy numerical measurement»22.

In relazione al fatto che il termine sia stato coniato per descrivere un mutamento di proporzioni nei fenomeni migratori contemporanei rispetto al passato, si sono espressi anche Mathias Czaika e Hein de Haas dell'International Migration Institute dell'University of Oxford. Nel loro saggio del 2014 Has the world really

become more migratory?23, attraverso l'analisi dei dati globali relativi ai modelli

migratori internazionali per il periodo compreso tra il 1960 e il 2000, sono giunti alla conclusione che da un lato l'incremento dei flussi migratori sia stato controbilanciato dall'aumento della popolazione mondiale, mentre dall'altro sia avvenuta una graduale diminuzione delle mete finali dei flussi migratori. In quest'ottica, l'attenzione posta sulla diversificazione in atto nei Paesi dell'Europa occidentale, caratterizzati da un'alta concentrazione migratoria in proporzione alla popolazione, istituisce un limite prospettico, una sorta di “eurocentrismo”, che compromette la validità accademica del termine super-diversità24.

A conclusioni simili, seppure partendo da presupposti differenti, giunge anche Aneta Pavlenko nel recente super-diversity and why it isn't: Reflection on

terminological innovation and academic branding25 in cui, nonostante riconosca i

meriti della ricerca sulla diversità, in modo molto critico considera il termine super-diversità come un'operazione di “academic branding” che fallisce, però, dal punto di

22 A. Deumert, Digital super-diversity: a commentary, in Discourse, Context & Media, V. 4-5, Giugno-Settembre 2014, pp. 116-120, p. 118.

23 M. Czajka, H. de Haas, The Globalization of Migration, Has the world really become more migratory, International Migration Review, 48, 2, pp. 283-323, University of Oxford, 2014. 24 Ivi, extended abstract, pp. 4-5.

25 A. Pavlenko, super-diversity and why it isn't: Reflection on terminological innovation and academic branding, Temple University, Oslo, 2016, ancora in fase di pubblicazione e reperibile all'indirizzo:

(15)

vista della validità accademica, un termine caratterizzato da «aesthetic appeal of

truthiness and the illusion of novelty, contemporaneity and relevance undoubtedly explain some of the attraction yet we cannot ignore the fact that the advent of super-diversity provided scholars of multilingualism with a new means to move up the academic ladder, distinguish their publications, and fund their work»26.

Pur tenendo conto delle obiezioni al termine e al suo uso fin qui riportate, resta comunque evidente come il concetto di super-diversità rappresenti, ad oggi, un punto di partenza e un quadro di riferimento sufficientemente fecondo ed efficace per l'analisi dei contesti migratori europei contemporanei e soprattutto, come vedremo, per l'analisi della dimensione multi-linguistica che li caratterizza.

1.1.3 Un nuovo campo d'indagine

Ciò che ha caratterizzato l'impegno di Vertovec, specialmente da quando ha cominciato a dirigere il Max Planck Institute, è il tentativo di creare intorno al tema della diversità un nuovo campo d'indagine che sia, per certi versi, un superamento dell'approccio tradizionale che vede nelle dinamiche e nelle società migratorie il suo oggetto principale e nella diversità un concetto accessorio.

In Conceiving and Researching Diversity27 del 2009, un documento divenuto

programmatico per l'attività del Planck Institute, il sociologo stabilisce alcune linee guida per la formulazione del quadro generale d'indagine, definendo l'approccio alla ricerca sulla diversità innanzitutto come systematic or strategic, sottolineando la necessità di: «make sure that the research you and your colleagues are going to do is

to contribute someway to fill gaps in knowledge»28.

L'approccio deve essere, inoltre, Contextual, ossia in grado di «take history

into account, political economy to be sure, and policy conditions […] realize just how much policy matters, especially around issues of immigration, ethnic diversity and multiculturalism. And importantly […] take public awareness into account as to 26 Ivi, p. 26.

27 S. Vertovec, Conceiving and Researching Diversity, Working Paper 09-01, Max Planck Institute for the Study of religious and Ethnic Diversity, Göttingen, 2009.

(16)

how it influences various kinds of dynamics we are looking at»29.

Un altro aspetto riguarda la necessità di partire da una prospettiva comparativa, infatti, «Overall we want the research to be comparative historically,

internationally of course, as well as between urban centres. […] We want to try to work together empirically and theoretically to put together research in such varied contexts in order to get a better understanding of what we might mean by ‘diversity’. So here, that’s what we also mean by ‘comparative’ »30.

Infine, l'obiettivo dichiarato al momento della fondazione del Dipartimento di studi sulla diversità del Planck Institute, è l'integrazione dei diversi fronti di ricerca in un quadro complessivo in grado di “far conversare” la pluralità di progetti e discipline coinvolte nella riflessione sulla diversità intesa come modes of

differentiation. Un obiettivo conseguibile, secondo Vertovec, principalmente

attraverso l'istituzione di tre distinti, ma interconnessi, ambiti di ricerca, ossia:

Configuration of Diversity, Representations of Diversity ed Encounters of Diversity.31

1.1.4 Metodologia d'indagine

Per quanto concerne la metodologia d'indagine, Vertovec attua una ripartizione degli strumenti e delle categorie di analisi nei tre domini generali,

Configuration, Representations ed Encounters of Diversity, giustificandone la

collocazione attraverso la definizione e l'analisi della conformazione stessa di questi domini. Le principali osservazioni in merito espresse in Conceiving and researching

diversity riguardano, innanzitutto, quello che Vertovec definisce Configurations of diversity. «We can say this is how diversity appears in structural and demographic conditions»32, ossia attraverso l'inquadramento in strutture quantitative e misurabili.

L'analisi di questo dominio prevede il ricorso a strumenti statistici come i dati ufficiali sulla popolazione forniti dalle agenzie statistiche governative, che sono in grado di rendere conto delle dimensioni delle singole variabili, del loro evolversi

29 Ibidem. 30 Ivi, p. 8. 31 Ivi, p. 9. 32 Ivi, p. 10.

(17)

storico, dei modelli spaziali di distribuzione della diversità, etc., anche quando configurati, ad esempio, come nel caso del Regno Unito, per ottenere indici di integrazione e coesione sociale o per tracciare i flussi migratori interni33. Fanno parte

degli strumenti tipici del dominio della “configurazione” anche i dati e le analisi relative ai fenomeni in grado di condizionare i tassi di incremento/decremento e le modalità di diversificazione. Tra questi, ad esempio, il variare delle catene migratorie, i migration programmes, le relazioni internazionali e particolari eventi regionali in grado di condizionare il quadro migratorio su larga scala34.

Tra gli elementi in grado di portare a nuovi assetti sociali, nuove stratificazioni e nuovi axes of differentiation vanno annoverate categorie come: Paese d'origine e etnia d'appartenenza, legal status, canali migratori, lingua e plurilinguismo, religione, durata dell'esperienza migratoria, modalità e livelli di “transnazionalismo”, genere, età, educazione, occupazione, collocazione nel contesto familiare, stanzialità e mobilità.35

Per quanto riguarda l'ambito della “rappresentazione della diversità”, ossia al come la diversità viene immaginata, descritta e percepita, Vertovec suggerisce come punto di partenza l'analisi delle ricorrenze di metafore usate per descrivere i contesti “differenziati” e concetti affini come, ad esempio: melting pot, mosaic, salad bowl,

Macedonia e rainbow coalition36, ma anche balkanization, ghetto, apartheid, parallele societies37, per poi passare all'individuazione di strumenti in grado di far

emergere le differenze tra modelli ufficiali di rappresentazione (top down) e modelli “demotici”, ossia popolari e legati alla vita di tutti i giorni. In questo senso l'analisi delle aggregazioni storiche come gli imperi e il pluralismo coloniale, le tipologie di erogazione dei servizi pubblici e le politiche sull'educazione vengono proposte come complementari all'analisi delle dinamiche sociali e psicologiche come la dicotomia tra inclusione in ed esclusione da un gruppo, la presenza di modelli di riferimento transnazionali, l'analisi delle forme narrative legate alla memoria individuale, di

33 Cfr., ibidem e segg. 34 Ivi, pp. 11-12. 35 Ibidem. 36 Ivi, p. 15. 37 Ivi, p. 22.

(18)

gruppo e alle tradizioni folcloristiche38.

Sulla stessa lunghezza d'onda si pongono le analisi delle modalità di rappresentazione della diversità negli spazi pubblici e nelle cosiddette “aree di confronto e condivisione”, tra queste andrebbero considerate, ad esempio, la presenza e la frequenza di concetti connessi al tema della diversità nei discorsi e nei documenti politici, sui giornali, nei talk show, nella saggistica, nelle campagne elettorali e politiche in genere, nei sondaggi di opinione, oltre che nelle produzioni artistiche, nei prodotti destinati alla diffusione mediatica (film, telefilm, letteratura, musica, etc.)39. Inoltre, andrebbero monitorate tutte le forme di comunicazione in cui

si istituiscono parallelismi e comparazioni tra sistemi medici, legali e giuridici, forme di business e management e nel dibattito accademico40.

Infine, per quanto riguarda ciò che Vertovec definisce Encounters of

Diversity, ossia il modo in cui le persone vivono, “incontrano” e interagiscono con la

diversità nella vita di ogni giorno, le tipologie di 'contatto' considerate interessanti ai fini dell'indagine comprendono, tra le pratiche quotidiane: «'contact' parameters,

meanings, boundary making/marking, ethnic/religious salience, cosmopolitan/creolized practices, civil integration/civil enculturation»41, all'interno

della categoria della cultura materiale, gastronomica e architettonica: i fenomeni di ibridazione, fusione, sincretismo e creolizzazione42, mentre, nell'ambito

dell'heteroglossia e del plurilinguismo vanno tenuti in considerazione fenomeni come il «code-switching, pidgin e creole»43.

1.2 L'immigrazione contemporanea e le nuove diversità

Come accennato in apertura di capitolo, la crisi del modello “multiculturalista” ha sancito la necessità di ripensare metodi e categorie di interpretazione della diversità, a maggior ragione dal momento in cui tale crisi ha

38 Ivi, p. 17. 39 Ivi, p. 20. 40 Ivi, p. 21. 41 Ivi, p. 23. 42 Ivi, p. 24. 43 Ibidem.

(19)

investito, innanzitutto, il luogo reale e simbolico della sua “prova sul campo”, ossia il Regno Unito. Nel momento in cui giungeva a compimento, con la cerimonia d'apertura dei Giochi olimpici del 2012, un trentennio di politiche pubbliche incorniciate da una visione positiva dell'immigrazione e della diversità multiculturale, contemporaneamente, ne veniva sancito da più parti il fallimento. Un percorso di “svalutazione” che, come vedremo, ha raggiunto il suo apice nelle recenti vicende della cosiddetta Brexit, ma che, alla prova dei fatti dovrà fare i conti con un “livello di diversità” difficilmente ridimensionabile.

1.2.1 I tratti della super-diversità in Gran Bretagna

Come messo in evidenza dallo stesso Vertovec44, il titolo del censimento

londinese del 2001 e lo slogan per la campagna di promozione della candidatura di Londra a sede delle Olimpiadi, erano identici: The world in one city. Al di là delle suggestioni e dei parallelismi che tale scelta può evocare, è interessante notare come la formula possa rappresentare anche, e soltanto, una accurata descrizione dello stato di fatto.

Nel periodo di tempo preso in considerazione dalle prime ricerche di Vertovec, compreso tra il 1995 e il 2005, l'immigrazione e, di conseguenza, la natura della diversità nel Regno Unito sono cambiate radicalmente. Già a partire dai primi anni '90 l'aumento del tasso netto di migrazione e la diversificazione nei Paesi di provenienza aveva portato il governo inglese a promulgare sei provvedimenti in materia di immigrazione: gli Asylum and Immigration Acts del 1993, 1996, 1999, il

Nationality, Immigration and Asylum Act del 2002, l'Asylum and Immigration Act del

2004 e l'Immigration, Asylum and Nationality Bill del 200545.

Durante il decennio in esame, esattamente come oggi, lo scoppio di una lunga serie di conflitti aveva portato a un significativo aumento del numero di richiedenti asilo, dei canali di migrazione e una notevole diversificazione degli status giuridici dei migranti: «The various flows and channels have been characterized as ‘the new

44 S. Vertovec, The Emergence, cit., 2006. 45 Ivi, p. 4.

(20)

migration’ and the people involved as ‘the new immigrants’ […] Multiple dimensions of differentiation characterize the emergent social patterns and conditions»46.

Il quadro completo della situazione emerso dal censimento del 2004 stimava la presenza nel Regno Unito di quasi tre milioni di immigrati stranieri senza cittadinanza:

In 2004 there were an estimated 2,857,000 foreigners (foreign-born and without UK citizenship) living in the UK, comprising some 4.9% of the total population of 58,233,000 (Salt 2004). This number represented an increase of some 857,000 or over 40% since 1993. Data from the Office for National Statistics (derived largely from the International Passenger Survey) comparing 1971 and 2003 shows an overall increase in inflows from 200,000 to 513,000; over the period there were larger outflows as well, from 240,000 to 360,000. Therefore the UK shifted from net outflows to net inflows, a change mainly occurring since the early 1990s. Annual net inflows of immigrants to Britain peaked at 171,000 in 2000, declined to 151,000 by 2003 then rose markedly to 222,600 in 2004.47

Uno dei dati più significativi delle dimensioni del fenomeno migratorio dei primi anni 2000, riguarda l'ampliarsi del numero dei paesi d'origine e il mutare, nel corso del tempo, della proporzione tra gli immigrati provenienti dai Paesi del Commonwealth o dalle ex colonie dell'Impero Britannico, e quelli provenienti da altri Paesi:

In the 1950s and 1960s almost all immigrants came from colonies or Commonwealth countries (again, mostly in the Caribbean and South Asia). By early 1970s most newcomers were arriving as dependants of the newly settled migrants. The following decades have seen fairly dramatic change. Alongside relatively constant inflows of returning British people, in 1971 people from ‘Old’ and ‘New’ Commonwealth countries accounted for 30% and 32% of inflow; by 2002 these proportions were 17% and 20% respectively. EU citizens represented 10% of newcomers in 1971, rising to 17% in 2002; however, those in a broad ‘Middle East and Other’ category have gone from 16% in 1971 to 40% in 2002 (National Statistics Online). Since the beginning of the 1990s alone, the diversity of immigrants’ places of origin has been growing considerably […] and Britain is now home – temporary, permanent or one among many – to

46 Ibidem. 47 Ibidem.

(21)

people from practically every country in the world.48

Ciò che emerge con particolare chiarezza dall'analisi dei dati riportati nella tabella seguente, è che la differenziazione dei luoghi di origine degli immigrati genera un quadro estremamente complesso di variabili e relazioni alle quali vanno aggiunte, inoltre, quelle dovute all'interazione degli individui stranieri con la popolazione britannica. Innanzitutto, il dato più evidente riguarda il processo di stratificazione storica che ha portato il Regno Unito a divenire meta migratoria per persone provenienti «from rich, middle income and poor countries»49.

Tab. 1. Primi 25 gruppi stranieri residenti in UK per Paese di provenienza fonte: Salt, 200450

48 Ivi, pp. 5-6. 49 Ibidem.

(22)

Questo è il motivo per cui si può presupporre che «all the groups, as well as

many individuals within these, have diverse migration experiences in the UK – some over the last decade, others over generations, still others over more than a century. With regard to this dimension of super-diversity, we should consider how the assorted origins and experiences of migrants condition social relations with non-migrant Britons and with each other»51.

Il quadro diventa ancora più chiaro nel momento in cui ci si concentra sull'area urbana londinese e si osservano i dati sul numero di residenti nati fuori dal Regno Unito qui di seguito:

Tab. 2. Primi 25 gruppi di residenti a Londra per Paese d'origine fonte: GLA (Greater London Authority) 200552

Correspondent to the OECD 2004, London: Migration Research Unit, University College London, 2004.

51 Ivi, p. 7.

52 GLA [Greater London Authority] 2005b, Country of Birth and Labour Market Outcomes in London: An analysis of Labour Force Survey and Census data, London: Greater London Authority Data Management and Analysis Group Briefing 2005/1.

(23)

Al di là delle prime due posizioni, occupate da India e Repubblica Irlandese, paesi storicamente legati al Regno Unito, le successive 23 rappresentano un vasto ventaglio di Paesi collocabili nelle diverse fasce di sviluppo, con una distribuzione che vede il 30% dei migranti provenire da zone ad alto reddito e il restante 70% da Paesi in via di sviluppo. Questo dato si riflette in modo ancora più efficace, ai fini dell'analisi, sulla distribuzione della varietà etnica nei vari quartieri; qui di seguito, a titolo di esempio, la rappresentazione grafica della distribuzione nel “borgo” di Newham secondo il censimento del 2001:

Newham, Londra, rappresentazione percentuale per Paese di provenienza. Fonte:Censimento 2001

Per quanto riguarda la configurazione linguistica dell'area di Londra, a partire dal già ricordato dato53 sulle 300 lingue censite dal sondaggio del 2000:

(24)

The data also show some interesting local configurations. There are predictable groupings of South Asian languages in places of renowned Asian settlement like Harrow, with the top three non-English languages being Gujarati (18.8%), Hindi/Urdu (2.4%) and Punjabi (1.6%). Other places show fascinating conjunctions, such as in Haringey where Turkish (9.9%) is commonly spoken alongside Akan (3.5%) and Somali (2.7%); in Lambeth where Yoruba (6.4%) speakers mingle with speakers of Portuguese (4.1%) and Spanish (2.1%); in Merton where English Creole (29.8%) is common next to Cantonese (2.2%) and French (1.9%); and in Hackney where Turkish (10.6%), Yoruba (6.8%) Sylheti (5.4%) can be heard.54

Qui di seguito una stima delle prime 20 lingue censite nell'area di Londra per numero di parlanti:

Tab. 3. Stima delle prime 20 lingue per numero di parlanti nell'area di Londra, 2000

L'impatto di questa super-diversità linguistica sui distretti scolastici, sui

(25)

servizi sanitari e le autorità locali ha portato, già nei primi anni 2000, alla nascita di servizi privati come Language Shop e Language Line, in grado di offrire traduzioni e mediazioni linguistiche per telefono o dal vivo per un totale di circa 150 lingue.

Senza addentrarsi ulteriormente nell'analisi dettagliata di una serie di dati che sono stati alla base delle ricerche di Vertovec ma che, nel frattempo (dal 2001 a oggi)55, hanno subito notevoli incrementi confermando, dunque, e non smentendo la

tendenza che ha portato Vertovec a coniare il termine super-diversità, è sufficiente ricordare come la configurazione a “cascata” dell'incremento delle variabili in gioco sia innescato dall'aumento, ad esempio, non solo del numero dei paesi di provenienza ma anche delle diverse appartenenze etniche all'interno del gruppo di un solo Paese e dalle diverse dinamiche migratorie dei differenti gruppi e dei singoli individui al loro interno.

A questo proposito, le principali categorie di differenziazione individuate da Vertovec comprendono:

 il numero di religioni praticate ma anche la specificità dei singoli culti all'interno di ogni religione;

 il numero di canali migratori e l'incremento nella varietà degli status giuridici dei nuovi migranti;

 l'ampliarsi del ventaglio di appartenenze alle varie fasce di reddito e la loro correlazione con le dinamiche di collocamento nel mercato del lavoro;

 il variare delle proporzioni di genere all'interno dei singoli gruppi e le tendenze generali sul totale della componente migrante della popolazione;  il mutare del quadro relativo all'età nei singoli gruppi di migranti e l'influenza

di questi mutamenti sul quadro generale (ad esempio in rapporto ai vari livelli di istruzione);

 i mutamenti nella distribuzione spaziale degli immigrati che, come fatto notare in proposito dalla Great London Authority, non può essere racchiusa nei solo dati di diffusione di un certo gruppo in un dato spazio perché: «there

55 Cfr., per i dati più recenti e le linee di tendenza dei fenomeni elencati in questo paragrafo: Office for National Statistics, Statistical bulletin, Migration Statistics Quarterly Report: Dec 2016, Londra, 1 dicembre 2016.

(26)

is deep suspicion about mapping cultures onto places, because multiple cultures and identities inevitably inhabit a single place […] but, a single cultural identity is often situated in multiple, interconnected spaces»56.

 Il “trans-nazionalismo” e l'impatto delle tecnologie che ne favoriscono l'incremento, un'interazione che consente l'amplificazione della complessità nell'ambito delle relazioni sociali ed economiche dei nuovi migranti anche, ad esempio, attraverso circuiti di migrazione circolare o temporanea57.

In relazione all'ultimo punto in elenco è possibile, inoltre, istituire una sorta di parallelismo tra le dinamiche alla base delle pratiche di trans-nazionalismo (e della sua indagine) e il concetto di “pluralità di affiliazioni”, del quale, secondo Vertovec, dovrebbero tenere conto, sopratutto, i decisori politici. Infatti, l'analisi degli impatti della super-diversità sui servizi pubblici può rivelare come il settore dei servizi non sia pronto ad affrontare i cambiamenti nei domini fin qui elencati. Come sostiene anche Anja Rudiger58:

there is little evidence that relations between migrants and established groups currently form an integral part of this mainstream policy agenda. There is also no targeted strategy for promoting good relations with new migrants, and little evidence that a migration dimension forms part of the current community cohesion agenda, which primarily addresses relations with black and ethnic minority groups.59

Motivo per cui, per evitare la trappola convenzionale del parlare ai nuovi arrivati solo in base all'appartenenza ad un certo gruppo etnico, i politici dovrebbero prendere in considerazione innanzitutto:

 ''la pluralità delle affiliazioni'' (il riconoscimento cioè delle identificazioni e degli assi su cui si dispongono le differenziazioni multiple, di cui solo alcune sono collegate all'etnicità);

56 S. Vertovec, The Emergence, cit., 2006, p. 21. 57 Cfr., Ivi, pp. 8-24.

58 Rudiger. 59 Ivi.

(27)

 ''la coesistenza della coesione e della 'separatezza''' (soprattutto quando si considera una stratificazione dei diritti e dei benefici attorno alle categorie di immigrati) e, alla luce delle pratiche transnazionali, il fatto che ''le comunità di immigrati, così come la popolazione installata sul territorio, possono aderire ai differenti mondi sociali simultaneamente''60.

1.2.2 Gestione della diversità: multiculturalismo, integrazione e

assimilazione

Come già notato in precedenza, il punto d'arrivo di qualsiasi indagine sulla diversità, indipendentemente dal contesto di partenza, sono le politiche di “gestione della diversità”. Pur non essendo identificate formalmente in quanto tali, le scelte politiche che tentano di regolare e gestire un fenomeno complesso come l'immigrazione contemporanea hanno, infatti, un impatto molto forte sulle relazioni derivanti dalla coesistenza e compresenza spaziale tra identità culturali, sociali, linguistiche e politiche differenti.

Il Regno Unito rappresenta, sotto questo aspetto, un campo d'indagine privilegiato in quanto permette un'agevole ricostruzione delle fasi di elaborazione e applicazione della gestione politica della diversità culturale a partire dall'adozione del modello multiculturalista fino agli sviluppi più recenti, sfociati nella Brexit.

In una prospettiva storica, le strategie di “gestione della diversità”, prima di essere mutuate dalla politica a un livello programmatico, sono nate in contesti produttivi e altamente competitivi, come quello americano e quello australiano degli anni '8061, e sono stati adottati in alcune nazioni europee soltanto a partire dagli anni

'90. In grossa parte, si è trattato di risposte politiche ai mutamenti delle società europee causati dall'incremento dei fenomeni migratori, spesso legati al passato coloniale dei singoli stati. Nelle sue prime formulazioni, quindi, la gestione della diversità poteva essere definita in questi termini:

60 Cfr., Zetter (2005).

61 R. Kramar, Diversity management in Australia: a mosaic of concepts, practice and rhetoric, in: Asia Pacific Journal of Human Resources, vol. 50, Issue 2, Aprile 2012, pp. 245-261, consultabile presso: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.1744-7941.2011.00010.x/full .

(28)

The basic concept of managing diversity accepts that the workforce consists of a diverse population of people. The diversity consists of visible and non-visible differences which will include factors such as sex, age, background, race, disability, personality and workstyle. It is founded on the premise that harnessing these differences will create a productive environment in which everybody feels valued, where their talents are being fully utilised and in which organisational goals are met62.

Si tratta di un approccio che, una volta adottato da soggetti non direttamente interessati ai risvolti produttivi del management, quali governi e istituzioni pubbliche, è andato modificandosi fino a generalizzarsi come:

an organizational strategy which emphasizes the need to recognize ethnic, cultural, gender and other differences between groups of employees and clients and make practical allowances for these in organizational policies. The ‘main message’ of the approach is that organizations must see the human diversity within them as a strength rather than as a problem.63

Questa visione è divenuta col tempo la base teorica del modello multiculturalista, completata da un'altra tesi secondo la quale, appunto, il multiculturalismo è un problema eminentemente politico in quanto «problema di inclusione pubblica di una differenza dietro la quale c'è una minoranza, un gruppo, che da quella differenza è definito e che, a causa dell'esclusione pubblica di tale differenza» rischia di non godere «dello status di cittadinanza proprio degli altri cittadini»64.

Come posto in evidenza, ad esempio, da Wendy Brown65, la combinazione di

queste due tesi comporta la reintegrazione nel dibattito europeo del concetto di tolleranza, a partire, però, da un presupposto viziato dalla volontà politica di affermare la superiorità della civiltà occidentale secondo la seguente dinamica:

62 J. Wrench, Diversity management, in S. Vertovec, (a cura di), Routledge Internatinal Handbook of Diversity Studies, Routledge, New York, 2015, p. 254.

63 Ibidem.

64 M. L. Lanzillo, Il multiculturalismo cit., p. 81.

65 W. Brown, Tolerance as/in civilization discourse, in Redescription. Yearbook of Politcal Thought and Conceptual History, 2004, n8, pp. 52-84.

(29)

essere incivili significa essere intollerabili e dunque barbari, fino al punto che dichiarare una pratica intollerabile significa stigmatizzarla come incivile. Ciò che è all'interno della civiltà è tollerabile e tollerante; ciò che ne è al di fuori non lo è. Questo è il modo in cui […] il discorso della tolleranza ri-centra l'Occidente come standard di civiltà66.

In quest'ottica, la ripresa del tema della tolleranza come strumento di gestione della società multiculturale ha mostrato molto rapidamente i suoi limiti, soprattutto perché, come divenuto evidente in tempi recenti, mascherava il tentativo di identificare «Occidente-liberalismo-civiltà fornendo le basi per l'affermazione della supremazia della civiltà occidentale a cui viene opposto tutto il resto, identificato come culture altre»67.

Come dimostrato anche dall'ascesa dei movimenti populisti europei degli ultimi anni, l'affermarsi nel dibattito pubblico e nelle scelte politiche del concetto di tolleranza, anche quando imbrigliato da una dinamica secondo cui incarna «il buon viso della sovranità che, dalla sua altezza fa capire all'altro: non sei insopportabile, ti lascio un posticino a casa mia, ma non dimenticarlo, sei a casa mia»68; sembra

comportare inevitabilmente il raggiungimento di un punto di rottura in quanto la tolleranza:

può essere definita solo se si stabilisce il suo milite. La diversità dell'altro (il nero rispetto al bianco, il non-cristiano rispetto al cristiano, il non uomo, la donna, il minore, il pazzo rispetto al normale) si tollera sempre fino a un certo limite, la soglia di tolleranza, appunto, oltre la quale l'altro si deve piegare, rinunciare alla propria alterità, alla propria differenza, assimilarsi, integrarsi, omogeneizzarsi, nei fatti sparire.69

L'orizzonte politico della diversità gestita attraverso la tolleranza, dunque, se in un primo momento si è scontrata con la difficoltà «o l'impossibilità per le democrazie contemporanee di riconoscere politicamente l'esistenza al proprio interno di gruppi che professano ideologie anti-democratiche o religioni con forte valenza politica», è giunta negli ultimi anni a sconfessare e, in alcuni casi, a rinnegare

66 Ivi, p. 60.

67 M. L. Lanzillo, Il multiculturalismo cit., p. 87. 68 Ivi, p. 88.

(30)

pubblicamente il modello multiculturalista di Stato basato su tolleranza e “mosaico di culture”.

Facendo eco ad alcune dichiarazioni della Cancelliera tedesca Angela Merkel, l'ex Primo Ministro inglese David Cameron ha affermato:

Under the doctrine of state multiculturalism, we have encouraged different cultures to live separate lives, apart from each other and apart from the mainstream . . . . We’ve even tolerated these segregated communities behaving in ways that run completely counter to our values . . . . This hands-off tolerance has only served to reinforce the sense that not enough is shared. And this all leaves some young Muslims feeling rootless. And the search for something to belong to and something to believe in can lead . . . [to] . . . a process of radicalization.70

Quanto dichiarato da Cameron nel 2011 è coinciso con l'affermarsi di una convinzione, sempre più diffusa nei Paesi dell'Europa occidentale, secondo la quale il multiculturalismo inteso come «programme for giving recognition to ethno-religious

groups and their cultures, has failed and is instead leading to the entrenchment of separate communities with corrosive consequences for trust and solidarity»71.

Si tratta di un argomento che sembra suffragato anche da alcune ipotesi accademiche72, ma che deve essere inquadrato, in primo luogo, come risposta politica

al fenomeno della radicalizzazione islamica alla base degli attentati terroristici di New York (2001), Madrid (2004) e Londra (2005) e confermata, su scala ancora più vasta, in occasione dei più recenti attentati di Tolosa (2012), Bruxelles (2014 e 2016), Copenaghen (2015), Parigi (gennaio e novembre 2015), Ankara (2015), Nizza (2016) e Berlino (2016).

Alla luce di questo, la critica al modello multiculturalista britannico, così come a quello belga fortemente attaccato dai media in occasione degli attentati di Bruxelles e di Parigi73, può essere riassunta in modo molto efficace ricorrendo a un 70 A. Heath, N. Demireva, Has multiculturalism faild in Britain?, Ethnic and Racial Studies, 37:1, pp. 161-180, pp. 161-162, D. Cameron, ‘PM’s speech at the Munich Security Conference’, 5 Febbraio 2011, Disponibile su: http://www.number10.gov.uk/news/pms-speech-at-munich-security-conference.

71 Ibidem.

72 Cfr. Sniderman, Hagendoorn; Wolfe, Klausen etc.

73 Per una breve rassegna degli articoli sull'argomento apparsi sui quotidiani e sui siti d'informazione italiani:

(31)

http://www.controinformazione.info/il-modello-fallito-della-societa-multiculturale-diagramma proposto da Berry nel 199274.

Il modello a matrice tiene conto principalmente di due argomenti ritenuti particolarmente importanti per determinare l'atteggiamento degli individui e dei gruppi in rapporto alla convivenza in società culturalmente “diverse”; il primo riguarda la conservazione della propria identità culturale e il secondo riguarda il valore attribuito ai rapporti con gli altri gruppi nell'ambito del sistema sociale.

Fonte Berry, Acculturation, cit.,1992

La matrice rispecchia una ripartizione dei risultati che potrebbero derivare dall'applicazione di una politica multiculturalista. Nel caso del Regno Unito, i critici delle politiche multiculturaliste sostengono che le aspettative dei governi liberali sul fatto che grazie a questo genere di politiche la maggior parte dei gruppi di immigrati

si-trova-a-bruxelles/ http://www.apiceuropa.com/leuropa-multiculturale-ferita-a-bruxelles/ http://espresso.repubblica.it/internazionale/2016/03/24/news/bruxelles-dopo-l-attentato-noi-gli-islamici-e-il-problema-esplosivo-dell-integrazione-1.255580 http://www.secoloditalia.it/2016/11/no-al-multiculturalismo-ed-espellere-chi-non-si-integra-merkel-cambia/ http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/29/attentati-bruxelles-cosa-pensano-i-giornali arabi/2587993/ http://www.lenius.it/molenbeek-bruxelles/ http://www.corriere.it/digital-edition/CORRIEREFC_NAZIONALE_WEB/2016/05/16/4/il-multiculturalismo-e-un-inganno-lascia-spazio-a-ideologie-totalitarie_U4318078615076506.shtml

74 J. W. Berry, Acculturation and adaptation in a new society, International Migration, 1992, vol. 30,

(32)

finisse per collocarsi nel “riquadro dell'integrazione”, siano state tradite dalla spinta politica a “rispondere sì” alla domanda sul valore dell'identità culturale e “no” a quella sulle relazioni con altri gruppi (alimentando il contesto delle cosiddette “vite parallele”), se non addirittura spingendo a rispondere “no” ad entrambe e alimentando dunque i contesti di marginalizzazione nei quali si annidano i rischi maggiori di radicalizzazione75.

Le critiche fin qui illustrate, però, sembrano non tenere conto di due evidenze, la prima derivante dall'analisi dei mutamenti intergenerazionali, e la seconda relativa a una più attenta considerazione del concetto di identità culturali, che se da un lato smentiscono la tesi dei critici, dall'altro dimostrano come, in un contesto di super-diversità le categorie utilizzate dal multiculturalismo siano spesso artificiali, insufficienti o superate.

Per quanto riguarda i mutamenti intergenerazionali, secondo quanto messo in evidenza da Heath e Demireva76, l'analisi di variabili come:

 la frequentazione esclusiva di membri del proprio gruppo di appartenenza, in ambito lavorativo, sociale e associativo;

 l'atteggiamento nei confronti della propria cultura tradizionale di appartenenza, anche in termini normativi;

 la maggiore o minore percezione di appartenenza identitaria britannica;  i matrimoni inter-etnici

 l'eventuale supporto a forme di manifestazione violenta del dissenso;

consente di descrivere un quadro, paradossalmente ottimistico e, a detta degli autori:

Overall, our results paint a rather optimistic picture of ethnic minority integration in Britain. In this respect, our results are consistent with those of Koopmans (2010) and of Wright and Bloemraad (2012), both of whom show that migrants in Britain compare relatively favourably with those in other countries on various measures of social and political integration. 75 Cfr., A. Heath, N. Demireva, Has cit., pp. 163-164.

(33)

Like Wright and Bloemraad, we have found no evidence that multicultural policies have had negative effects on social integration: the similarity of rates of intergenerational change for the different ethno-religious groups, albeit from rather different starting points, suggests that we are seeing in Britain general processes of intergenerational integration that have little to do with specific MCPs. As Wright and Bloemraad argue: «Academic research tends to downplay null findings, but in this case these findings carry enormous theoretical and policy significance: the most important rationale for the political backlash against multicultural policies that they impede or hurt socio-political integration appears unfounded empirically». We are in complete agreement.77

La seconda considerazione riguarda il multiculturalismo considerato come possibile risposta alle domande poste dai processi di globalizzazione all'interno dei quali si creerebbero dei conflitti tra culture (o identità culturali) intese come «»forme stabili di identità “naturali” storicamente date, che si ritrovano sia dentro lo Stato sia a livello internazionale.»78 Come già accennato nel paragrafo precedente, in relazione

a quanto sottolineato da Vertovec a proposito dei limiti politici del multiculturalismo, la cultura andrebbe interpretata come:

processo costante di meticciato, ibridazione, secondo un'idea che vede il momento originario delle culture non come entità separate, ma come “catene di società” in continuo scambio culturale reciproco. Dunque non una realtà stabile e coerente, e perciò un patrimonio “classico” da conservare sotto teca e proteggere dall'invasione di agenti esterni, ma un continuo processo, una continua innovazione, frutto della specifica capacità di agire e interagire di ogni individuo. […] lo storico statunitense David Hollinger nel suo Postethnic America79 ha introdotto il concetto di affiliation, che gli appare più flessibile e attento alla dinamica sociale dell'azione di quello di culture, dal momento che “viviamo in un'età non di identità ma di affiliations […] Ciò significa che le identità che le persone assumono sono largamente acquisite attraverso affiliazioni piuttosto che prescritte o scelte”. Un concetto quello di affiliation che si propone di individuare che cosa “tiene insieme”, fa convivere, mette in relazione gli individui al fine di superare le barriere che il multiculturalismo costruisce stabilendo confini tra comunità definite attraverso lo stigma etno-razziale velato grazie all'uso del concetto di cultura80.

77 Ivi, pp. 177-178.

78 L. M. Lanzillo, Il multiculturalismo cit., p. 103. 79 Citato anche da Vertovec in Super-diversity cit., 2005. 80 Ivi, pp. 103-104.

(34)

Si tratta di un atteggiamento, sicuramente condivisibile, soprattutto quando si devono fare i conti con quanto già messo in evidenza a proposito dell'incredibile moltiplicarsi di variabili dovute al contatto e che definiscono, a tutti gli effetti, il dominio di luoghi super-diversi, come i grandi agglomerati urbani, che sono al centro della società contemporanea.

1.2.3 Immigrazione, plurilinguismo e super-diversità nel contesto

europeo

Come è facile comprendere, le dinamiche migratorie che hanno portato all'emergere della super-diversità nel contesto britannico non sono fenomeni isolati e localizzati. L'intera Europa ha sperimentato negli ultimi anni l'incremento dell'immigrazione da paesi “altri”, alla quale si è andato aggiungendo il flusso di migrazione “interna”, chiamato libera circolazione nell'area dei paesi membri81. La

polarizzazione del fenomeno in aree urbane densamente popolate come Parigi, Roma, Milano, Monaco e Berlino, giusto per citarne qualcuna, ha posto le basi per una complessità culturale tale da giustificare in questi contesti l'uso del termine super-diversità.

Al di là delle ricerche volte a indagare variabili di super-diversità a livello locale in contesti ben definiti all'interno dei singoli Stati82, e dei conflitti culturali

spesso strumentalizzati politicamente e, comunque, al centro del dibattito mediatico degli ultimi anni, (tra i quali è sufficiente ricordare il dibattito sui simboli religiosi negli ambienti pubblici, la questione del velo, del burqa, del cosiddetto burqini etc.), è necessario sottolineare come, a livello normativo europeo, l'attenzione si sia concentrata principalmente sugli aspetti linguistici della diversità e sui concetti di dialogo interculturale e di inclusione sociale.

Nell'ottica istituzionale dell'Unione Europea:

81 La cosiddetta Area Schengen.

82 Tra queste, più avanti, faremo riferimento all'analisi della super-diversità nel contesto carcerario in Italia in A. Benucci, G. Grosso, Plurilinguismo, contatto e super-diversità nel contesto penitenziario italiano, Pacini Editore, Pisa, 2015.

(35)

La diversità culturale è da sempre un fondamento del progetto europeo ed è un elemento centrale di tutte le politiche ed azioni dell’Unione europea. Negli ultimi decenni l’allargamento dell’Unione europea verso i Paesi dell’Est, la globalizzazione, i flussi migratori, nonché la mobilità di persone e lavoratori al di là delle frontiere nazionali hanno provocato un’interazione sempre più ricca tra culture, lingue, etnie e religioni diverse. La società europea contemporanea si basa, dunque, su un’enorme diversità culturale, nonché sulla capacità di promuovere valori comuni e condivisi e di costruire un’integrazione pacifica e fruttuosa tra tutti i differenti gruppi. Sfida dell’Europa del XXI secolo è diventare una vera società interculturale, basata sul rispetto e sullo scambio tra individui e gruppi di differenti tradizioni. La società interculturale va oltre la mera tolleranza e la società multiculturale, dove diverse culture e gruppi semplicemente coesistono ma conducono spesso vite parallele. Una vera società interculturale è una società in cui diversi gruppi cooperano e convivono in un senso di responsabilità condivisa ed in cui le diverse tradizioni ed origini culturali sono considerate elementi di arricchimento reciproco. Queste considerazioni costituiscono la premessa su cui si è basata la decisione della Commissione Europea di istituire il 2008 Anno Europeo del Dialogo Interculturale, che intende, tra i suoi numerosi obiettivi, promuovere il dialogo interculturale in diversi ambiti: se arte e cultura sono generalmente i classici settori chiave del dialogo interculturale, la Commissione Europea ha voluto in quest’anno sottolineare che molte altre aree (come l’istruzione, l’impiego, i media, il multilinguismo, la religione, l’arte e la cultura) sono altrettanto importanti nel sostenere il dialogo interculturale. Il dialogo interculturale è diventato pertanto una priorità delle politiche e dei Programmi europei promossi della Direzione Generale della Commissione Europea per l’Istruzione e la Cultura.83

Come già notato a proposito delle politiche multiculturaliste in Gran Bretagna, l'idea alla base della stessa Unione Europea si rifà alla formula della “unità nella diversità” che ha ispirato e al tempo stesso racchiuso a livello istituzionale il “progetto europeo”. Questo approccio, inizialmente finalizzato alla ricomposizione delle diversità tra le diverse comunità gradualmente incluse nel numero dei paesi membri, a partire dalla seduta del Consiglio Europeo di Tampere dell'ottobre 1999 si è tradotto in una serie di Conclusioni volte a determinare indirizzi comuni per il riconoscimento dei diritti degli immigrati (dalla legalizzazione degli immigrati

83 E. Degiampietro, Il dialogo interculturale nel quadro dei programmi dell'Unione Europea, in V. Boffo, F. Torlone (a cura di) L'inclusione sociale e il dialogo interculturale nei contesti europei, Strumenti per l'educazione, la formazione e l'accesso al lavoro, Firenze University Press, 2008, p. 31.

Riferimenti

Documenti correlati

La Gilda rifiuta la logica del fondo dell’istituzio- ne scolastica, dell’aggiuntivo e dell’incentiva- zione e propone un progressivo trasferimento delle risorse economiche

l’avventura dei “cento giorni” crea qualche imbarazzo a Fourier che dovrebbe contrastare la marcia su Parigi di Napoleone che passa per Grenoble; Fourier organizza una resistenza

The present study highlights the importance of CDF-FEM simulation to predict and analyse the energy and thermal performance of the system (thermal buffer called hot room),

Azzaroli ha sempre avuto una grande attenzione per le collezioni del Museo di Geologia e Paleontologia (oggi sezione del Museo di Storia Naturale dell ’

Chiedi ai bambini di alzarsi in piedi e di guardarsi intorno per trovare degli oggetti con i quali potrebbero farsi mal (potrebbero inciampare e cadere; nel caso in cui ci fosse

Il programma di formazione affronterà le lacune nella conoscenza e nelle abilità dell’insegnante/formatore e presenterà il Modello Logico, la piattaforma online e

La zona più importante nella loro realtà quotidiana può essere usata per introdurre la pedagogia del patrimonio con la scoperta di alcuni aspetti storici della loro scuola, del

Piazzi (a cura di), Didattica breve materiali 3, recupero italiano storia, IRRSAE ER., Bologna 1996 F. Piazzi (a cura di), Didattica breve materiali 4, latino,