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Apprendimento sociale in due specie di Otaridi: leone marino della California (Zalophus californianus) e leone marino Sud Americano (Otaria flavescens)

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Academic year: 2021

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Sommario

Capitolo 1 INTRODUZIONE ... 2

Capitolo 2 APPRENDIMENTO E TRASMISSIONE SOCIALE ... 3

2.1. L’apprendimento ... 3

2.2. L’apprendimento individuale ... 4

2.3. I processi di apprendimento sociali ... 6

2.4. L’influenza sociale ... 6

2.5. L’apprendimento sociale ... 8

2.6. Imitazione differita ... 10

2.7. La trasmissione sociale ... 11

Capitolo 3 STUDI CORRELATI ... 13

Capitolo 4 PRESENTAZIONE DELLE SPECIE STUDIATE ... 15

4.1. Zalophus californianus ... 15

4.2 Otaria flavescens ... 18

Capitolo 5 OBIETTIVI DELLO STUDIO ... 21

Capitolo 6 MATERIALI E METODI ... 22

6.1. Area di ricerca ... 22

6.2 Routine giornaliera ... 22

6.3 I soggetti sperimentali ... 24

6.4 Procedura sperimentale ... 25

Capitolo 7 RISULTATI ... 33

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Capitolo 1 INTRODUZIONE

 

La capacità umana di apprendere tramite l’osservazione è stata ben documentata (Bandura, 1997; Meltzoff & Prinz, 2002; Piaget, 1962). Questa capacità è importante perché l'apprendimento osservazionale facilita la trasmissione di informazioni da un individuo all'altro (Galef, 2003). Anche negli animali, l'osservazione dei comportamenti innovativi può accelerare l'acquisizione di nuovi comportamenti adattativi in un gruppo e quindi migliorare le possibilità del singolo membro di sopravvivere e riprodursi.

Vi possono essere più fattori che inducono il soggetto ad apprendere un nuovo comportamento, da quelli individuali a quelli sociali, più complessi. Senza dubbio però uno dei più importanti vantaggi adattativi di socialità e uno dei fattori chiave dell’evoluzione è l’imitazione di un conspecifico (laland & Galef, 2009).

La maggior parte degli studi sull’imitazione si sono concentrati principalmente sugli uccelli, e su diverse specie di primati, nonché recentemente anche sui cani (Huber et al. 2009; Zental 2006). Ci sono però anche altre specie di mammiferi che teoricamente dovrebbero essere riuscite a evolvere queste particolari capacità di apprendimento sociale, in quanto sfruttano nicchie socioecologiche che loro hanno scelto per alcuni aspetti convergenti come un grande cervello, lunghi periodi giovanili, socialità complessa e tattiche di caccia particolari (Abramson, 2013)

Di questi fanno senz’altro parte numerose specie di cetacei infatti, soprattutto odontoceti (delfini e orche), che sono in grado di apprendere tramite l’osservazione e replicare tali informazioni apprese (Abramson, 2013; Xitco, 1988). Proprio per queste considerazioni, è ipotizzabile che anche in alcune specie di pinnipedi vi possa essere questa capacità. Oltre ad aver sviluppato un cervello relativamente grande, i pinnipedi presentano infatti gruppi sociali ben stabiliti e un’elevata capacità addestrativa e cognitiva (Schusterman, 1981, 1968), che li rendono potenzialmente adatti ad apprendere per imitazione.

Anche nelle tecniche di caccia si è visto che i Pinnipedi presentano notevole plasticità. I leoni marini infatti cooperano in gruppi per focalizzare e sfruttare i banchi di pesce. Simili benefici selettivi di foraggiamento in gruppo sono stati documentati in molti uccelli (Krebs 1974) e cetacei (Hermann e Tavalga, 1980). Le strategie di foraggiamento dei leoni marini della California, del Sud America e dei leoni marini di Steller possono variare a seconda della disponibilità dei banchi di pesce, adattandosi alla necessità. Per esempio è stato visto come i leoni marini della California, cooperino con le focene a Monteray bay (Ca) e in Messico (Fink 1959), mentre in altre zone, i leoni marini della California hanno imparato che posizionandosi alla foce dei fiumi, in determinati periodi, vi è una maggior affluenza di pesce, per esempio durante la migrazione delle trote iridee. Per saggiare l’ipotesi che anche nei pinnipedi vi sia la capacità di apprendere tramite imitazione, nel presente studio, saranno studiati cinque esemplari di due specie di Otarie, investigando sia sui processi di apprendimento individuale che su quelli sociali, in particolar modo la capacità di imitare un conspecifico.

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Capitolo 2 APPRENDIMENTO E TRASMISSIONE SOCIALE

2.1. L’apprendimento

L’apprendimento modella una parte notevole del comportamento, che costituisce una componente significativa e fondamentale del fenotipo dell’individuo e della specie (Mayr, 1974). Secondo la definizione di Thorpe (1963), l’apprendimento è quel processo che si manifesta attraverso modificazioni adattative del comportamento individuale, in seguito all’esperienza.

Questa definizione pone l’attenzione su due aspetti importanti. In primo luogo, l’apprendimento produce modificazioni adattative nei confronti dell’ambiente. La capacità di apprendere può, infatti, essere considerata una forma di sviluppo del comportamento, che consente ad un individuo di modificare il proprio modo di agire nel tempo, ad esempio in risposta alle nuove situazioni in cui si imbatte, facendo uso delle esperienze passate. Il secondo concetto importante che emerge dalla definizione di Thorpe è che, in senso stretto, l’apprendimento è un processo che in genere non è osservabile direttamente; ciò che si va a misurare è quanto è stato memorizzato grazie ad esso.

Per poter fare ciò, gli animali integrano i meccanismi dell’apprendimento con le proprie inclinazioni, innate e caratteristiche, di percezione e reazione. Difficilmente essi arrivano ad affrontare situazioni nuove come fossero tabulae rasae (Manning e Stamp Dawkins, 1998): vi è quindi una predisposizione genetica che “guida” l’apprendimento di comportamenti specifici, quelli selezionati dall’evoluzione, perché utili alla sopravvivenza della specie che vive in armonia con il proprio ambiente. In altre parole la capacità di apprendere è innata (Manning e Stamp Dawkins, 1998).

La capacità di trarre beneficio dall’esperienza lega gli esseri umani agli altri animali, i quali condividono con noi questa capacità comportamentale. L’apprendimento risulta infatti essere un requisito fondamentale per ottenere un’elevata integrazione con l’ambiente fisico e sociale, in continuo cambiamento, incrementando in tal modo le probabilità di sopravvivenza (Plotkin e Odling-Smee, 1979). Le diverse specie animali hanno comunque, sia quantitativamente che qualitativamente, differenti capacità d’apprendimento che, come ogni altro aspetto del comportamento, devono essere appropriate per le loro particolari esigenze. L’apprendimento può avvenire in contesti diversi e con modalità differenti. In particolare, vengono distinte due grandi classi di processi:

Ø Apprendimento individuale Ø Apprendimento sociale

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2.2. L’apprendimento individuale

Si parla di apprendimento individuale quando un animale, esposto a stimoli ambientali, impara a reagire adeguatamente in modo autonomo, senza cioè poter osservare il comportamento di un conspecifico sottoposto al medesimo stimolo (Allen e Bekof, 1998).

Per imparare a modificare il proprio comportamento, in modo da potersi adeguare a nuove situazioni, un animale dovrà registrare e valutare l’importanza di qualsiasi elemento nuovo, non solo visivo, che compaia nel suo ambiente. Il modo più semplice per stimare l’importanza delle novità consiste nell’osservare che cosa accade subito prima o subito dopo la loro comparsa. Da questo punto di vista, l’apprendimento individuale è strettamente legato sia alla presenza di stimoli sia al riconoscimento da parte degli animali, degli stimoli stessi nell’ambiente circostante.

I diversi meccanismi che stanno alla base dell’apprendimento individuale possono esplicare la loro funzione in presenza di impulsi ripetitivi oppure in presenza di stimoli associati.

Apprendimento Associativo

Si parla di apprendimento associativo quando si instaura un’associazione tra uno stimolo precedentemente neutro e una sua conseguenza, significativa a tal punto da essere isolata rispetto ad altri eventi simili. Le conseguenze rilevanti vengono indicate, nel loro complesso, con il termine di rinforzi, che possono essere positivi o negativi a seconda di quale reazione scaturiscono nell’animale.

Il riconoscimento di un rapporto reciproco intercorrente tra due eventi rilevanti può avere diversa natura,: il Condizionamento Pavloviano o Classico e il Condizionamento Operante o Strumentale.

Il Condizionamento Pavloviano o Classico.

I. P. Pavlov, fisiologo russo, scoprì quasi in modo casuale il fenomeno comportamentale che da lui

prese il nome, durante alcuni esperimenti sui meccanismi fisiologici della digestione del cane (Pavlov, 1927, 1941). I classici esperimenti di Pavlov sui cani avevano spesso per oggetto il “riflesso di salivazione”. Lo studioso russo notò che la risposta di salivazione, normalmente prodotta alla vista del cibo, poteva verificarsi anche conseguentemente al suono di un campanello che preannunciava, appunto, la somministrazione dello stesso. Se infatti il suono veniva fatto seguire per cinque o sei volte dall’offerta di carne, la salivazione era stimolata prima che il cibo fosse presentato al soggetto. Alla fine, la quantità di saliva prodotta esclusivamente al suono del campanello era la stessa secreta dopo la somministrazione del cibo. Il cane aveva imparato a rispondere a un nuovo stimolo, in precedenza neutro, che Pavlov chiamò stimolo condizionato (SC). La risposta di salivazione allo stimolo condizionato è detta risposta condizionata (RC). Prima dell’apprendimento, solo la carne, ovvero lo stimolo incondizionato (SIC), induceva la salivazione, che quindi era una risposta incondizionata (RIC). In tal modo fu dimostrato che lo stimolo originario (SIC), che produceva la risposta incondizionata, poteva essere sostituito da uno stimolo artificiale (SC), ottenendo comunque la stessa risposta. Tramite il condizionamento classico è possibile per il soggetto riconoscere l’esistenza di un rapporto causale tra due eventi, in quanto il primo preannuncia l’ insorgere del secondo.

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Pavlov scoprì che quasi qualsiasi stimolo poteva fungere da SC, purchè non producesse una reazione troppo intensa. Eseguendo gli esperimenti con cani molto affamati e quindi molto motivati, persino gli stimoli dolorosi che inizialmente erano fonte di disagio e timore, se associati al cibo evocavano quasi immediatamente la salivazione. Pavlov inoltre eseguì test approfonditi per valutare la precisione con cui i cani apprendevano un particolare stimolo, scoprendo che gli animali generalizzavano le proprie risposte, così da includervi stimoli simili a quello condizionato. Il processo opposto alla generalizzazione è la discriminazione, ovvero il rinforzo di solo alcuni stimoli tra quelli simili.. I cani sono in grado di discriminare spontaneamente; tuttavia la loro capacità di discriminazione diventa più efficace in seguito a prove ripetute, nelle quali solo un particolare stimolo è seguito da una ricompensa. Il metodo della discriminazione condizionata si è dimostrato d’immenso valore per la misurazione delle capacità sensoriali degli animali.

Condizionamento Operante o Strumentale.

Diversa è la situazione sperimentale nella quale l’animale è libero di compiere una serie di risposte, appartenenti al suo repertorio comportamentale e non predeterminate dallo sperimentatore e associa al rinforzo non tanto uno stimolo, quanto un’azione da esso stesso eseguita. Il comportamento viene modificato in quanto vi è rinforzo differenziale di una sola delle varie risposte, emesse in modo casuale nel contesto sperimentale. Questo tipo di processo prende il nome di condizionamento operante o strumentale proprio perché il comportamento, generato spontaneamente dall’animale, agisce sull'ambiente, modificandolo. Thorndike, uno dei pionieri della psicologia sperimentale americana, studiò questo tipo di processo nel gatto, servendosi di una serie di apposite gabbie, ciascuna delle quali presentava un particolare problema (Problem-box). Una di esse, ad esempio, aveva una porta a molla apribile solo dall’interno abbassando una leva. Se un gatto viene posto nella gabbia, con del cibo sistemato all’esterno della stessa, esso cerca in tutti i modi di uscirne, per poter recuperare il cibo. Se poi casualmente, mentre cammina, mette la zampa sulla leva, la porta si apre, permettendo all’animale di raggiungere la ricompensa. In successive sedute, l’animale dedica maggiore attenzione alla leva: una volta rinchiuso nella gabbia esso si dirige rapidamente verso la leva e la preme. Thorndike (1911) diede a questo tipo di processo il nome di apprendimento per

tentativi ed errori. Il gatto impara ad evitare quel comportamento che non porta ad alcuna

ricompensa, aumentando invece la frequenza di quello ricompensato. Tuttavia, le prime fasi di questa attività non sono molto sistematiche, essendo la prima ricompensa ottenuta in modo casuale. Un altro esempio classico di condizionamento operante ci è fornito dalla situazione sperimentale ideata da Skinner (1981), la cosiddetta Skinner-box. Si tratta di una gabbia dotata di una semplice apparecchiatura, che permette all’animale di ottenere ad un evento premiante (rinforzo positivo) compiendo una qualche attività. Ad esempio, se l’animale preme una leva ottiene la somministrazione di cibo all’interno della gabbia. Tramite questo apparato il soggetto impara, per tentativi ed errori, che l’atto di premere una leva porta ad avere una ricompensa. Inoltre, ad ogni ulteriore rinforzo, la frequenza di emissione della risposta ottimale aumenta sempre di più.

Il condizionamento classico e il condizionamento strumentale sono processi distinguibili. Nel primo, infatti, l’animale associa uno stimolo ad una risposta preesistente, mentre nel secondo ad essere appresa è una nuova risposta, o la manifestazione di comportamenti già consolidati che vengono però emessi in contesti nuovi. Entrambi consentono comunque agli organismi di

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individuare stimoli o eventi ambientali che precedono o causano altri eventi biologicamente rilevanti. Tuttavia non va dimenticato che gli animali accedono a qualsiasi situazione di apprendimento con delle predisposizioni o delle inclinazioni innate che influenzano in qualche misura le loro reazioni (Hilgard e Bower, 1966).

2.3. I processi di apprendimento sociali

L’elemento sociale è uno dei fattori che possono influenzare il comportamento di un individuo, sia inducendo delle modificazioni in schemi comportamentali già esistenti, sia favorendo l’insorgere di nuovi comportamenti e l’acquisizione di nuove risposte (Poli e Prato-Previde, 1994). In modo particolare, attraverso l’interazione sociale si può avere una trasmissione di informazioni tra individui della stessa specie, che così possono arrivare a manifestare schemi comportamentali simili. Una tale situazione non è tuttavia esclusivamente dipendente da processi sociali, in quanto altri meccanismi non sociali, come l’esistenza di un antenato comune o l’apprendimento individuale, possono agire a livello comportamentale determinando come risultato una similarità di comportamento tra gli individui di una stessa specie (Galef, 1976; Mainardi, 1980; Whiten e Ham, 1992).

Whiten e Ham (1992), hanno proposto una suddivisione dei processi sociali in due classi: l’influenza sociale e l’apprendimento sociale. Mediante l’influenza sociale un individuo O (Osservatore) manifesta un comportamento simile ad un individuo M (Modello), perché influenzato dallo stesso, senza tuttavia apprendere nulla dal conspecifico, il quale ha magari solo attirato l’attenzione dell’osservatore su uno strumento o un luogo.. Nell’apprendimento sociale, invece, l’individuo O apprende un nuovo comportamento o degli aspetti innovativi di questo, osservando l’individuo M manifestare questo stesso comportamento.

2.4. L’influenza sociale

Con il termine generale di influenza sociale ci si riferisce a tutti quei casi in cui il comportamento di un individuo subisce qualche tipo di influenza da parte di un altro individuo, senza però che vi sia apprendimento sociale (Whiten e Ham, 1992). La tendenza degli individui più inesperti a stabilire un rapporto di qualche tipo con altri individui ed a seguirli, li può indurre a concentrare la propria attenzione verso determinati ambienti od oggetti spingendoli ad interagire con essi.

In base al tipo di influenza sociale tra i due individui, Me O, si possono distinguere quattro categorie:

Ø Contagio Ø Esposizione Ø Sostegno sociale

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Il contagio.

Si parla di contagio quando l’esecuzione di un modulo comportamentale da parte di un individuo M, scatena la manifestazione dello stesso tipo di comportamento in uno o più conspecifici che lo stanno osservando. Il comportamento manifestato deve essere già presente nel repertorio comportamentale della specie (Galef, 1988). Vi sono in letteratura moltissimi esempi riguardanti tale fenomeno, nel comportamento sia di invertebrati che di vertebrati. Un caso tipico di contagio è rappresentato dal comportamento alimentare dei polli, che riprendono a cibarsi, sebbene sazi, se messi in presenza di conspecifici che stanno mangiando (McFarland, 1985). Negli esseri umani invece, un esempio molto noto di contagio è la diffusione dello sbadiglio (Thorpe, 1963). Per quanto concerne il significato biologico del contagio sembra probabile che un tale fenomeno, favorendo la sincronizzazione del comportamento, permetta di rafforzare la coesione di un gruppo sociale (Klopfer, 1959). Sotto questo aspetto il contagio contribuirebbe ad aumentare i vantaggi derivanti dal vivere all’interno di un gruppo, come un miglior sfruttamento delle risorse.

L’esposizione.

Con il termine esposizione ci si riferisce a quel processo attraverso il quale un individuo O manifesta un comportamento simile ad un individuo M, perché condivide con esso la medesima situazione di apprendimento e quindi anche esperienze simili. L’individuo O tuttavia, non apprende alcuna parte del proprio comportamento da M, anche se ne subisce l’influenza sociale. Gli individui giovani ed inesperti, ad esempio, hanno maggiore probabilità di comportarsi come quei conspecifici che seguono assiduamente e quindi finiscono per condividere con loro particolari esperienze e situazioni.

Il sostegno sociale.

Si parla di sostegno sociale quando l’individuo O, nella situazione di apprendimento, acquisisce più facilmente una risposta grazie alla presenza fisica di un individuo M, perché quest’ultimo influisce sul suo stato motivazionale. Diversi dati in letteratura indicano che tale fenomeno può produrre effetti rilevanti sul comportamento in molti animali (Zajonc, 1965). La possibilità di vedere un conspecifico, ad esempio, può influire sulla velocità di apprendimento di una risposta, poiché la semplice presenza fisica dello stesso può diminuire gli effetti causati dall’ansia e della paura sull’osservatore (Moore et al, 1981)

L’apprendimento matched-dependent.

Il termine “apprendimento matched-dependent” fu introdotto da Miller e Dollard (1941) per indicare quel processo attraverso il quale un individuo O viene a manifestare un comportamento simile ad un individuo M, in presenza di un rinforzo esterno. L’osservatore, in altri termini, acquisisce la tendenza a comportarsi come un conspecifico se lo osserva ottenere una ricompensa. Il comportamento ricompensato del modello indica all’osservatore in quali occasioni verrà anch’egli rinforzato, se esegue una particolare risposta già presente nel suo repertorio comportamentale. Miller e Dollar (1941) riscontrarono tale fenomeno studiando il comportamento di alcuni ratti posti in un labirinto. Gli animali osservatori, infatti, manifestarono lo stesso comportamento di un conspecifico leader, scegliendo tra i vari percorsi possibili, dopo aver

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osservato lo stesso ottenere una ricompensa in cibo. Questi esperimenti evidenziarono che questo tipo di apprendimento può produrre una uniformità di comportamento tra due individui. Tuttavia misero anche in luce il fatto che, nel momento in cui l’individuo leader viene allontanato, tutti i comportamenti svolti dall’osservatore, dipendenti dalla presenza del modello, vengono a mancare. 2.5. L’apprendimento sociale

Si parla di apprendimento sociale quando un individuo O (osservatore) apprende qualche aspetto del comportamento di un individuo M (modello), durante un’interazione sociale. Quest’ultima influisce quindi sui processi di acquisizione o di estinzione di particolari risposte e comportamenti (Poli e Prato-Previde, 1994).

Il termine apprendimento sociale fu usato per la prima volta da Box (1984), per distinguere tutti quei processi nei quali l’interazione sociale aveva un ruolo fondamentale, dai meccanismi di apprendimento individuale. Tuttavia la distinzione tra le due grandi classi di processi non è così netta e immediata (Galef, 1988). Se è vero, infatti, che l’acquisizione di un determinato comportamento e la sua introduzione nel repertorio comportamentale sono incentivati e favoriti dall’interazione sociale, è vero anche che qualsiasi comportamento socialmente appreso viene spesso modificato nel tempo dall’interazione diretta di un individuo con il suo ambiente ossia dall’apprendimento individuale.

Whiten e Ham (1992) hanno proposto la suddivisione dei processi di apprendimento sociale in quattro categorie, considerando quale fattore discriminante, il particolare aspetto del comportamento che viene acquisito socialmente. In base a tale classificazione si distinguono:

Ø Incentivazione localizzata dell’attenzione Ø Condizionamento osservativo

Ø Emulazione Ø Imitazione

L’ incentivazione localizzata dell’attenzione.

L’incentivazione localizzata dell’attenzione è un processo mediante il quale l’esecuzione di un particolare comportamento da parte di uno o più individui, dirige l’attenzione di altri individui verso un particolare oggetto o un aspetto dell’ambiente circostante, fino ad allora ignorato. In tal modo viene accelerato l’apprendimento individuale per tentativi ed errori (Byrne, 1994). In altri termini, ciò che viene appreso dall’individuo O è un nuovo stimolo su cui dirigere un certo comportamento o il punto verso cui orientare la propria attività, eseguendo comunque risposte che già appartengono al repertorio comportamentale della specie. Durante gli anni il termine “incentivazione localizzata dell’attenzione” ha assunto diverse accezioni. La definizione più conosciuta però è quella proposta da Thorpe nel 1963, secondo la quale tale processo potrebbe essere considerato una imitazione apparente, che risulta dal focalizzare l’attenzione di un animale verso un particolare aspetto dell’ambiente o un determinato oggetto. I ricercatori, in passato, hanno spesso attribuito all’imitazione la diffusione di alcuni comportamenti all’interno di una popolazione, mentre in realtà si trattava di fenomeni legati all’incentivazione localizzata dell’attenzione. Tra i vari casi riportati in letteratura, uno dei più noti esempi di incentivazione localizzata dell’attenzione è rappresentato

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dalla diffusione di un singolare comportamento tra le popolazioni di cinciarelle (Parus caeruleus) dell’Inghilterra meridionale (Hinde e Fisher, 1951). Questi uccelli avevano l’abitudine di forare i coperchietti di alluminio delle bottiglie di latte, lasciate fuori dalla porta di casa dei londinesi, per potersi cibare della panna. Questa nuova abitudine si era diffusa molto rapidamente tra i membri della popolazione di cince, tramandandosi anche alle generazioni successive. All’inizio anche questo caso fu considerato un esempio di imitazione, ma studi successivi hanno evidenziato che esso è esclusivamente il risultato del fenomeno dell’incentivazione localizzata dell’attenzione. Le cince, infatti, che osservano i conspecifici forare i tappi delle bottiglie, non apprendono un’azione nuova, dal momento che il beccare è un’azione già inclusa nel repertorio comportamentale della specie. La novità appresa quindi, non è l’azione ma lo stimolo (il tappo) e il punto preciso dove dirigere la stessa per ottenere l’effetto desiderato, ossia l’apertura della bottiglia.

Il condizionamento osservativo.

Si parla di condizionamento osservativo quando un individuo O produce una risposta simile a quella di un individuo M, in quanto ne ha percepito lo stato emotivo (Hauser, 1992). Il condizionamento osservativo permette all’osservatore di acquisire anche informazioni relative al valore e al significato di un certo stimolo (Whiten e Ham, 1992). Un tipico caso di condizionamento osservativo è rappresentato dall’acquisizione della paura dei serpenti nei macachi (Macaca

mulatta), fenomeno messo in luce da Mineka e dai suoi collaboratori mediante alcuni esperimenti

(Mineka et al. , 1984; Cook e Mineka, 1987). I risultati di questi studi hanno dimostrato che individui giovani e inesperti, che mai avevano temuto i serpenti, iniziano ad evitarli se vedono un individuo adulto mostrare paura davanti ai rettili. In questi esperimenti gli individui adulti, che fungevano da modelli, erano cresciuti in libertà e da sempre avevano manifestato la paura dei serpenti mentre i giovani inesperti allevati in laboratorio non mostravano spontaneamente la paura nei confronti dei rettili.

L’emulazione.

Con il termine emulazione ci si riferisce al caso in cui un individuo O apprende, mediante interazione sociale con un individuo M, quale sia il risultato da raggiungere. L’osservatore guardando il modello apprende quindi quali siano le proprietà di un oggetto e il suo stato finale dopo la manipolazione, ovvero l’obiettivo da perseguire. Questo termine fu introdotto per la prima volta da Tomasello et al. (1990), per evidenziare come in certe occasioni gli scimpanzé, dopo aver osservato un modello eseguire una determinata risposta al fine di ottenere un particolare risultato, cerchino di raggiungere il medesimo senza però riprodurre necessariamente lo stesso comportamento del modello. Ognuno degli osservatori mette quindi in pratica una propria tecnica, mirata al raggiungimento dell’obiettivo, non copiando quella usata dal modello. L’emulazione, così come descritta da Tomasello et al. (1990), potrebbe essere considerata un particolare caso di imitazione, ristretta però in modo esclusivo all’atto finale di un’intera sequenza comportamentale.. L’emulazione è un meccanismo di apprendimento sociale piuttosto complesso in quanto gli osservatori devono essere in grado di riconoscere che i risultati ottenuti da un altro individuo sono obiettivi da raggiungere e che gli stessi possono essere ottenuti anche mettendo a punto una strategia propria.

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L’imitazione.

L’imitazione è tra i processi di apprendimento sociale quello più complesso e quello più studiato. Una prima definizione proposta da Thorndike (1898) definisce l’imitazione come “imparare ad eseguire un’azione osservandone l’esecuzione”. Oggi però questa definizione appare un po’ semplicistica. Secondo Whiten (2000), infatti, l’imitazione può essere più propriamente definita come quel processo attraverso il quale un individuo O apprende, completamente o in parte, come può risolvere un determinato problema, adottando una strategia comportamentale simile a quella manifestata dall’individuo M osservato. Secondo una distinzione semplice, pur non totalmente condivisa, è possibile riscontrare tra l’imitazione e gli altri processi di apprendimento sociale, una differenza in termini di ciò che viene appreso mediante osservazione o interazione con un altro individuo. Nel caso di apprendimento sociale non imitativo, infatti, l’osservatore acquisisce informazioni inerenti gli eventuali stimoli, agli oggetti o agli eventi nell’ambiente circostante. Attraverso il processo dell’imitazione, invece, l’individuo O, grazie all’interazione con l’individuo M e in particolare in seguito all’osservazione dello stesso, può apprendere nozioni riguardanti in modo specifico azioni, risposte e schemi comportamentali (Whiten, 2000).Tuttavia molte delle ricerche condotte in laboratorio e sul campo non sempre permettono di attribuire con certezza che determinati effetti siano dovuti all’imitazione o ad altre forme di apprendimento sociale (Galef, 1988; Hogan, 1988; Visalberghi, Fragaszy, 1990).

Gli studi che dimostrano l’esistenza inequivocabile di fenomeni imitativi negli animali, primati compresi, sono ancora scarsi. Molti casi di trasmissione di comportamenti all’interno di un gruppo, una volta considerati frutto dell’imitazione, oggi sono invece visti come il risultato dell’azione di processi di apprendimento non imitativi, tra cui anche l’apprendimento individuale per tentativi ed errori. In tal senso il più noto esempio riportato in letteratura è la diffusione del comportamento di lavare le patate tra i macachi giapponesi (Macaca fuscata) dell’isola di Koshima. Imo, giovane macaca, iniziò a lavare le patate nell’acqua salata dopo aver scoperto casualmente che il sapore dei tuberi era migliore se venivano bagnati con acqua salata. Negli anni successivi tale comportamento venne manifestato da altri individui della popolazione, prima dai coetanei di Imo, in seguito anche dai parenti più anziani. Per anni si è ritenuto che tale fenomeno fosse da imputare all’imitazione, essendo il comportamento di lavare degli oggetti in acqua, inusuale per questa specie. Oggi, però, grazie a nuovi studi, si è potuto attribuire la causa di tale comportamento, all’azione concomitante di due processi d’apprendimento non imitativi, quali l’incentivazione localizzata dell’attenzione e l’apprendimento individuale per tentativi ed errori (Visalberghi e Fragaszy, 1990; Galef, 1992). 2.6. Imitazione differita

Un’altra prospettiva sulle implicazioni cognitive dell’imitazione è stata proposta da Bandura (1969), il quale notò una differenza tra semplice imitazione, il copiare un comportamento nello stesso momento o subito dopo l’osservazione di esso, e l’imitazione differita o apprendimento

osservazionale, nella quale la performance del comportamento osservato avviene anche a distanza

di tempo dall’osservazione. La distinzione di Bandura è basata sulla premessa che l’imitazione differita richieda la capacità di memorizzare una rappresentazione del comportamento osservato e

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saperla riproporre anche dopo tempo senza più l’osservazione del modello, e che quindi coinvolga quindi processi cognitivi più complessi. In quest’ottica, l’imitazione immediata, invece, può essere una risposta riflessa simile al comportamento contagioso.

2.7. La trasmissione sociale

L’acquisizione di comportamenti adattativi e il raggiungimento di un livello adeguato di integrazione con l’ambiente esterno non sono mediati da un unico processo ma possono essere il risultato dell’azione di meccanismi differenti (Mainardi, 1980; Galef, 1976, 1988). In generale, è possibile riconoscere due modalità attraverso cui le caratteristiche comportamentali proprie di una popolazione si mantengono nel tempo e nel corso delle generazioni: la trasmissione genetica e la trasmissione sociale.

In molte specie animali il comportamento adattativo è in larga parte organizzato endogenamente e può essere trasmesso geneticamente di generazione in generazione sotto forma di risposte specie-specifiche, generalmente poco flessibili (Poli e Prato-Previde, 1994). Mediante trasmissione genetica possono quindi essere trasmessi da una generazione alla successiva comportamenti relativamente semplici che hanno conseguenze dirette ai fini della sopravvivenza e sono frutto della selezione di quei determinati geni che promuovono più efficacemente il successo riproduttivo di un individuo. Il comportamento di un singolo soggetto o di un gruppo di animali, inoltre, può essere il risultato di un apprendimento individuale. Se più individui si trovano a condividere lo stesso ambiente e quindi a vivere esperienze simili possono sviluppare, indipendentemente gli uni dagli altri, gli stessi schemi comportamentali. In questo caso, però, le informazioni acquisite rimangono patrimonio del singolo soggetto e vanno perdute alla sua morte non passando alle generazioni successive.

Vi è infine il caso in cui l’omogeneità a lungo termine del comportamento è raggiunta grazie alle interazioni sociali e alla trasmissione di informazioni tra gli individui attraverso meccanismi di apprendimento sociale. In questo caso si parla di trasmissione sociale, un processo attraverso il quale una popolazione non solo può mantenere e trasmettere schemi comportamentali già stabilizzati, ma può anche acquisire rapidamente e tramandare comportamenti totalmente nuovi (Mainardi, 1973; 1980; Galef, 1976). In una specie la trasmissione sociale può permettere quindi la diffusione di un nuovo comportamento sia tra individui della stessa generazione (trasmissione orizzontale) sia da una generazione alla successiva (trasmissione verticale) grazie al passaggio di informazioni dai genitori ai figli (Chauvin e Berman, 2004).

Secondo Galef (1976, 1988) si può parlare di trasmissione sociale in quei casi in cui l’interazione dei soggetti di una popolazione con un individuo, che abbia acquisito un nuovo comportamento mediante apprendimento individuale, aumenta la probabilità che essi stessi manifestino un comportamento simile. In altri termini, si può dire che un comportamento, acquisito e facente parte del repertorio comportamentale di un determinato individuo, può essere esibito da un altro individuo grazie all’interazione sociale. La trasmissione sociale può quindi produrre un’omogeneità comportamentale tra gli individui interagenti, estesa nel tempo anche oltre il periodo di interazione. La conferma dell’avvenuta trasmissione sociale di un particolare comportamento, richiede infatti

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che lo stesso venga manifestato da chi lo ha recepito anche dopo la fine dell’interazione con chi lo ha trasmesso.

Oltre ai diversi meccanismi di apprendimento anche il profilo etologico della specie può influire sulla trasmissione sociale. Vi sono, infatti, caratteristiche peculiari di una determinata specie che possono favorire o limitare il passaggio di informazioni. Ad esempio, la tendenza tipica di una specie all’esplorazione, incentivando gli individui a fare nuove esperienze, può aumentare la probabilità che vengano fatte scoperte, generando così delle innovazioni comportamentali, trasmissibili poi socialmente (Poli e Prato-Previde, 1994). Anche il livello di socialità può facilitare o limitare l’interazione sociale, influendo così sulla probabilità di un passaggio di informazioni tra gli individui. All’interno di un gruppo sociale, poi, vi sono animali che hanno una maggiore possibilità di essere considerati modelli dai conspecifici, in virtù della loro età o del loro alto rango sociale. Comportamenti manifestati da individui dominanti hanno quindi una maggiore probabilità di diffondersi nel gruppo in quanto tali animali vengono maggiormente osservati dagli altri individui. Al contrario, una nuova strategia scoperta casualmente da un subordinato, difficilmente si trasmette all’intera popolazione, dal momento che gli individui di basso rango, occupando posizioni alla periferia del gruppo, non sono spesso oggetto di attenzione da parte degli altri membri della colonia. Infine la presenza, all’interno di un gruppo, di sovrapposizione temporale tra le generazioni e gli aspetti ad essa collegati, incluse le cure parentali, possono creare dei canali preferenziali per il passaggio di informazioni, che facilitano la diffusione di un nuovo comportamento (Hirata e Celli, 2003). I vantaggi di una trasmissione di tipo sociale sono molteplici, ma due in particolare sono di notevole rilievo. In primo luogo, la trasmissione di informazioni, mediata da processi di apprendimento sociale, risulta essere molto più rapida rispetto alla trasmissione genetica. Quest’ultima infatti, avvalendosi essenzialmente di fenomeni mutageni eccezionali, procede molto lentamente e quindi non permette agli individui di rispondere in modo ottimale a cambiamenti ambientali repentini. Inoltre tramite essa, non è possibile una diffusione orizzontale di comportamenti appresi. In secondo luogo, la trasmissione sociale di informazioni risulta essere molto più vantaggiosa anche dell’apprendimento individuale per tentativi ed errori. Quest’ultimo, infatti, implica l’interazione diretta di un individuo con il proprio ambiente, senza che esso abbia l’opportunità di trarre vantaggio dall’esperienza di altri individui. L’animale sarà quindi esposto a maggiori rischi, con risvolti anche drammatici, nel momento in cui la risposta effettuata risulterà inadeguata. Un esempio di maggior efficacia e di maggior utilità della trasmissione sociale rispetto alla trasmissione genetica e all’apprendimento individuale, è rappresentato dall’acquisizione della capacità di identificare eventuali pericoli, come la presenza di predatori. Spesso i giovani animali imparano a distinguere ciò che è pericoloso perché, interagendo con individui più esperti, vengono esposti alle loro reazioni in presenza di possibili predatori. Uno degli esempli migliori di trasmissione sociale è l’acquisizione della paura per i serpenti da parte di scimmie di laboratorio esposte a conspecifici selvatici in presenza di serpenti. (Mineka & Cook, 1988).

Per un animale, risulta molto vantaggioso acquisire socialmente delle informazioni di questo tipo, in quanto può imparare molto rapidamente e senza rischi ad identificare e a fronteggiare le eventuali fonti di pericolo. Lo stesso risultato non è raggiungibile in tempi così brevi attraverso la trasmissione genetica e l’apprendimento individuale per tentativi ed errori, il quale risulta, in questo specifico caso, estremamente rischioso.

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Capitolo 3 STUDI CORRELATI

Studi inerenti all’apprendimento sociale nei pinnipedi sono molto carenti. Schusterman (2008, 2007, 1965, 1970) ha studiato le loro capacità di apprendimento tramite condizionamento operante dal punto di vista della vocalizzazione. Schusterman (2008), descrive due esperimenti in cui ha utilizzato il metodo del condizionamento per modificare la produzione di suoni in un esemplare maschio di foca comune (Phoca vitulina) e quattro esemplari di trichechi (Odobenus rosmarus). Tutti gli esemplari, sono stati condizionati a produrre suoni a comando attraverso un rinforzo (pesce), imparando quindi in poco tempo la relazione tra la produzione del suono e la ricompensa. Ciò indica una capacità di apprendimento associativo mediante condizionamento operante in queste due specie.

Adret (1993), sostiene inoltre, che la comprensione delle capacità di apprendimento vocale negli animali potrebbe beneficiare dell'applicazione mirata di tecniche di condizionamento operante, e questo punto di vista è stato sostenuto da studi empirici condotti con pinnipedi.

Come sostiene lo stesso Schusterman (1981) però, altri studi sulle loro capacità di apprendimento sono necessari se si vuole avere un quadro più completo sulle loro capacità comportamentali. Per quanto riguarda le capacità di imitazione, vi è infatti un unico studio sull’imitazione condotto da Adler (1977). In questo studio l’autore ha testato tre esemplari di leoni marini della California per evidenziare la presenza di apprendimento osservazionale (o imitazione). Il metodo sperimentale consisteva nel posizionare una corda attraverso un’apertura nella rete che circonda la vasca in cui erano alloggiati gli animali. A questa corda veniva attaccato un pezzo di pesce, il quale funge da ricompensa, e viene addestrato il modello a prendere il pesce e portarlo in acqua prima di mangiarlo. Nella fase successiva due individui osservatori potevano osservare il modello eseguire il comportamento da due vasche adiacenti: quando furono testati nella medesima vasca del dimostratore essi replicarono il comportamento del dimostratore, evidentemente avendolo hanno appreso tramite l’osservazione di quest’ultimo.

Avendo letto questo lavoro dopo essermi documentato sull’argomento ed aver letto altri lavori più recenti (Abramson, 2013; Zentall, 2012). mi è stato possibile individuare alcune inesattezze nel metodo sperimentale dello studio di Adler, dovute probabilmente ad una conoscenza ancora limitata nel campo dell’apprendimento sociale. Questo studio però impiegava infatti un metodo tramite il quale non è possibile escludere altri fattori che potevano incidere nell’apprendimento dei soggetti, come per esempio la valorizzazione dello stimolo e del luogo. Il dimostratore poteva infatti aver semplicemente attirato l’attenzione dell’osservatore sulla corda con il pesce o sull’area della rete in cui vi era la ricompensa, ed è quindi impossibile poter attribuire con certezza il comportamento dei tre soggetti all’imitazione.

Un altro studio sull’imitazione è stato quello di Abramson et al. (2013) compiuto sulle orche. In questo lavoro, che mi è stato di molto aiuto per la pianificazione del mio esperimento, furono testate 3 orche a imitare più comportamenti di un conspecifico posizionato a fianco a loro, in seguito ad un segnale (precedentemente addestrato) che significava “imita”. L’esperimento prevedeva tre fasi. Nella prima fase ai soggetti sperimentali viene addestrato il comando “imita” mediante

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condizionamento. Nella seconda fase vengono testati i tre soggetti a copiare 15 comportamenti, già presenti nel repertorio personale degli osservatori, eseguiti dal modello. Nella terza e ultima fase invece vengono testati a imitare 4 nuovi comportamenti mai eseguiti precedentemente. I tre esemplari hanno appreso velocemente il significato del comando “imita”, nonché hanno replicato al 100% tutte le azioni del dimostratore.

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Capitolo 4 PRESENTAZIONE DELLE SPECIE STUDIATE

In questo studio sono state studiate due differenti specie di Otarie, il leone marino della California

Zalophus californianus e il leone marino del Sud America Otaria flavescens.

4.1.

 

Zalophus  californianus   Tassonomia: Classe: MAMMALIA Ordine: Carnivora Sottordine: Pinnipedia Famiglia: Otaridae Sottofamiglia: Otariinae Genere: Zalophus

Specie: Zalophus californianus

Morfologia:

I leoni marini della California presentano un notevole dimorfismo sessuale e si differenziano per dimensioni, forma, e la colorazione tra i sessi. I maschi sono in genere circa 2,4 m di lunghezza e arrivano a pesare fino a 350 kg, mentre le femmine sono in genere circa 1,8 m e possono pesare fino a 100 kg.

Anche se la specie ha in generale una corporatura esile, i maschi adulti hanno il collo, il petto e le spalle robuste (fig. 1). Inoltre il maschio adulto presenta anche una caratteristica cresta sporgente che da alla testa una forma a “cupola” e possiede anche una vera e propria criniera, che però è meno sviluppata rispetto a quella dei maschi adulti sudamericani e dei leoni marini di Steller

(Eumetopias jubatus).

Distribuzione ed habitat:

Il leone marino della California è distribuito lungo la costa occidentale e le isole del Nord America, dal sud-est dell'Alaska al Messico centrale. Analisi genetiche sul DNA mitocondriale (Schramm et

al. 2009) hanno identificato cinque distinte popolazioni di leoni marini della California: il ceppo

degli Stati Uniti o del Pacifico temperato, quello della Baja di California occidentale o del Pacifico Tropicale, e quelli del sud, centro e Nord del Golfo della California (Fig. 2).

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Figura 1 Esemplare maschio (a sinistro) e femmina (a destra) di leone marino della California

Figura 2 Areale di distribuzione del leone marino della California. Le principali popolazioni si

trovano nell’area blu. L’area celeste indica invece le zone di migrazione. Il punto rosso indica le isole Galapagos

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Ecologia e biologia:

I Leoni marini della California si nutrono di una grande varietà di animali marini, soprattutto calamari e pesci, e a volte anche vongole. Abitudinariamente foraggiano vicino le coste, sulla piattaforma continentale. Si è visto però che si possono spingere anche sul fondale più profondi (Reeves2002). I Leoni marini della California possono foraggiare da soli o in piccoli e grandi gruppi, a seconda della quantità di cibo disponibile. A volte collaborano con altri predatori, come delfini, focene e uccelli marini, per esempio per la caccia grandi banchi di pesci.

Entrambi i sessi di solito raggiungono la maturità sessuale dai quattro ai cinque anni di età. Le femmine partoriscono un solo cucciolo ogni anno, con un periodo di gestazione di circa 11 mesi. Il parto e l’allevamento avvengono principalmente da maggio a luglio. I maschi sono altamente poligami e difendono da altri maschi i loro territori o harem, sia a terra che in acque poco profonde vicino alla riva, per periodi fino a 45 giorni. Tra il parto e il successivo estro passano circa 28 giorni, per questo il maschio dovrà difendere il suo harem senza nutrirsi e affidandosi solo alle proprie riserve di grasso per la sopravvivenza.

Le femmine rimangono a terra con i loro cuccioli appena nati per circa sette giorni prima della loro partenza per il primo di molti viaggi di foraggiamento che di solito durano 2-3 giorni seguiti da altri 2-3 in cui si prendono cura del cucciolo (Melin et al. 2000).

Dopo la stagione riproduttiva, un gran numero di adulti, giovani maschi e subadulti migrano a nord dalle principali colonie localizzate nel sud della California e nella Baja California, e l’inverno migrano verso un areale che va dall’Oregon alla Columbia Britannica (Fry 1939, Odell 1975).

Capacità cognitive:

Nonostante le considerabili evidenze delle loro capacità cerebrali (Schusterman, 1968, 1970, 1981; Abramson, 2011; Mauck & Dehnart, 1997), si sa ancora poco sul cervello dei pinnipedi. Gli esseri umani, gli elefanti, i cetacei e i pinnipedi hanno evoluto grandi cervelli in modo indipendente, e il modo in cui i loro cervelli sono organizzati è molto diverso (Sawyer, 2016)..

Il cervello dei leoni marini è circa delle stesse dimensioni dei cervelli degli scimpanzé. Anche se hanno alcune caratteristiche in comune con i cervelli dei loro parenti più stretti (cani, gatti, orsi e donnole), i loro cervelli presentano molte circonvoluzioni in modo simile a quelli di balene e delfini.

Alcuni ricercatori hanno scoperto che il cervello dei leoni marini della California dispone di aree specifiche per l'elaborazione delle informazioni dai loro baffi che sono sorprendentemente simili a quelli trovati nei topi e ratti (Sawyer, 2016). In particolare, hanno scoperto che ogni baffo sul naso del leone marino ha una specifica area corrispondente nel tronco cerebrale ad essa dedicata. Questi sono paragonabili a specifiche aree sul cervello umano che elaborano informazioni derivanti dalle singole dita.

Le capacità cognitive dei leoni marini della California sono state studiate da Schusterman e Kastak (1993), che hanno scoperto che i leoni marini sono in grado di riconoscere le relazioni tra stimoli basati su funzioni analoghe o collegamenti effettuati con i loro coetanei. I leoni marini hanno

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dimostrato inoltre la capacità di comprendere sintassi semplici e comandi quando insegnati mediante un linguaggio dei segni artificiale (Schusterman, e Kastak, 1993). A causa delle sue elevate capacità cognitive ed addestrative, il leone marino della California viene utilizzato in applicazioni militari da parte degli Stati Uniti, tra cui il rilevamento mine navali e subacquei nemici (Leinwand, 2003). 4.2 Otaria flavescens Tassonomia: Classe: MAMMALIA Ordine: Carnivora Sottordine: Pinnipedia Famiglia: Otaridae Sottofamiglia: Otariinae Genere: Otaria

Specie: Otaria flavescens

Morfologia:

I leoni marini del Sud America sono la specie con il più elevato dimorfismo sessuale nelle cinque specie di leoni marini noti. I maschi sono circa tre volte più grandi delle femmine: gli adulti variano da 2 a 2,5 metri di altezza e possono pesare da 200 a 350 chilogrammi. Il mantello è marrone scuro sul lato dorsale e giallo scuro/oro sul lato ventrale. I maschi hanno una criniera completa e vistosa formata da lunghi peli erettili, che si estende dalla fronte e dal mento fino alle spalle e a metà del busto e che è di un colore più chiaro del resto del corpo. Il collo è più muscoloso e possente confronto a quello delle femmine ed anche la testa e le mandibole sono più grandi e robuste. Le femmine adulte sono molto più piccole in termini di peso e grandezza: in media arrivano a 2 metri di lunghezza e possono pesare da 140 a 150 chilogrammi (Fig. 3).

Il dimorfismo sessuale è visibile anche nei cuccioli quasi come negli adulti. In entrambi i sessi il muso è largo, corto e smussato. Il naso è largo e rivolto verso l’alto nelle femmine, ma di più nei maschi adulti. I padiglioni auricolari sono piccoli e posizionati sul lato della testa. Questi sono meno appariscenti confronto alle altre specie, soprattutto nei maschi.

Distribuzione ed habitat:

Il leone marino Sud Americano vive principalmente sulle coste del Sud America a sud di Rio de Janeiro (23° latitudine), sul lato dell'oceano Atlantico, e delle coste del Perú (5° gradi latitudine), sul lato Pacifico, fino al sud estremo del Sud America. Ci sono registrazioni però di avvistamenti anche nelle Galapagos e isole Falkland. (Arias-Schreiber, 1998) (Fig. 4).

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Figura 3 Esemplare maschio ( a sinistra) e femmina ( a destra) di leone marino Sud Americano

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Ecologia e biologia:

I leoni marini del Sud America sono carnivori, si nutrono di pesci, cefalopodi, crostacei e altri invertebrati a seconda dell’abbondanza locale, ma sono stati visti cibarsi anche di pinguini e foche femmine sudamericane e dei loro cuccioli. In genere cacciano in acque poco profonde, ad una distanza di circa cinque miglia dalla costa. Possono cacciare sia singolarmente o in gruppi. (Harcourt, 1993).

Come le altre specie di leoni marini, anche Otaria flavescens vive in gruppi sociali. I gruppi sono in genere costituiti da più femmine e un solo maschio dominante che difende il proprio territorio. I maschi dominanti, chiamati anche “bull”, pattugliano attivamente il proprio territorio, minacciando gli intrusi, e stabilendo i propri confini territoriali attraverso vocalizzazioni. I maschi dominanti possono mantenere il proprio territorio fino a 2 o 3 stagioni di accoppiamento di seguito, prima che un altro maschio ne prenda il possesso.

La stagione dell’accoppiamento inizia verso agosto e si estende fino a dicembre. Si riconosce per il cambio di atteggiamento soprattutto nei maschi i quali diventano particolarmente aggressivi.

I principali comportamenti che si registrano nell’accoppiamento comprendono vocalizzazioni comuni tra i partner, contatto con muso e bocca, morsi di tipo giocoso, ed anche l’odore gioca un ruolo importante (Campagna, 1988).

La nascita dei cuccioli avviene da metà dicembre ai primi di febbraio dell’anno successivo all’accoppiamento, con la maggior parte delle nascite a metà di gennaio. Il periodo di gestazione è in media di 11,7 mesi, e le femmine hanno la capacità di ritardare il parto di qualche mese in caso di condizioni ambientali non adeguate.

Le madri subito dopo il parto si prendono cura del cucciolo per 5-7 giorni al fine di nutrirlo, poi rientrano in estro e si accoppiano nuovamente. Dopo l’accoppiamento la madre parte per la prima caccia lasciando il cucciolo nel proprio territorio. I cuccioli non sono lasciati a loro stessi, ma sembra che vengano affidati ad altre femmine (a volte parenti stesse delle madri), le quali fungono da madri “secondarie”, e si prendono cura del cucciolo mentre la madre è via. In più, essendoci accoppiamenti e parti sincroni, si verranno a formare gruppi di cuccioli di stessa età per ogni territorio (Riedman, 1990).

I cuccioli passano il loro tempo in gruppi composti da altri cuccioli, a giocare o dormire. Raramente nuotano in acque profonde se non accompagnati dalle loro madri. In genere prima di entrare in acqua passano dalle 3 alle 4 settimane di età e lo fanno in gruppo insieme ad altri leoni marini adulti. Le cure parentali continuano fino circa ai 12 mesi, quando nasce l’altro cucciolo.

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Capitolo 5 OBIETTIVI DELLO STUDIO

Con il seguente studio, si andrà a investigare sulle capacità di apprendimento in tre esemplari di due specie di pinnipedi. Verranno utilizzati due test simili, adeguati alle capacità degli individui, i quali sono una variante del test a due azioni utilizzato per tali ricerche. In particolare, ci si focalizzerà sia sull’apprendimento individuale attraverso condizionamento classico e operante, che sull’apprendimento sociale tramite imitazione o qualche altro processo di trasmissione sociale. Il principale obiettivo dello studio è quindi quello di valutare la capacità di apprendimento tramite imitazione di un conspecifico in queste due specie, mettendo a punto test specifici che possano valutare tale capacità. In questo modo sarà possibile ottenere indicazioni iniziali sulle capacità cognitive dei pinnipedi.

Il tipo di test e l’analisi dei dati sono stati scelti e adeguati utilizzando come traccia studi eseguiti su altre specie animali come delfini (Yeater et al., 2010), orche ( Abramson et al., 2012), topi (Heyes et al., 1990) e quaglie (Akins et al., 1996).

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Capitolo 6 MATERIALI E METODI

6.1. Area di ricerca

Lo studio è stato condotto presso la struttura Gardaland Sealife aquarium, situata a Castelnuovo del Garda, in provincia di Verona, sul Lago di Garda. La struttura, inaugurata nel 2008, ospita più di 5000 esemplari di animali sia marini che lacustri, ricostruendo i loro habitat naturali.

La politica dell’acquario promuove l’educazione e il rispetto verso gli animali e i loro habitat attraverso l’organizzazione no profit SEA LIFE TRUST per la realizzazione di iniziative e attività di conservazione, collaborando anche con diversi enti e istituzioni locali che contribuiscono alla realizzazione di progetti didattici. Inoltre viene rispettata la convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione, ovvero il C.I.T.E.S., gestita dal corpo forestale dello Stato. Vi sono anche diversi programmi di riproduzione di meduse, cavallucci marini e coralli i quali costituiscono un aspetto fondamentale nella conservazione dell’ambiente.

6.1.1 Il reparto Leoni marini

Oltre a numerose specie di pesci ed invertebrati, nel periodo tra settembre 2015 e settembre 2016 l’acquario ha ospitato prima tre esemplari di Leoni marini della California e in seguito due di Leoni marini del Sud America.

L’area riservata ai mammiferi marini è organizzata in due zone:

• Area di quarantena: composta da zona cucina e due vasche di 8 mquad, ciascuna, separate da una recinzione e comunicanti attraverso un cancello. Entrambe le vasche (P1 e P2) possiedono una zona “asciutta” e una piscina di diversa profondità, 40 cm e 2 m rispettivamente.

• Vasca espositiva: è un’area situata esternamente. E’ provvista di una vasca da 550 mcubi di acqua suddivisa in una parte meno profonda (2,5 m) e una parte profonda (5 m), e circondata da un’area “asciutta”. Questa zona esterna, dove in genere gli animali riposano e si sdraiano a prendere il sole, simula un ipotetico ghiacciaio o comunque zone di roccia dove abitudinariamente i leoni marini in natura tendono a riposarsi.

6.2 Routine giornaliera

Durante tutta la giornata la routine degli animali si divide in 6 sessioni, ovvero 6 pasti durante i quali si svolgono i principali addestramenti e, se il parco è aperto al pubblico, due presentazioni educative. Il pesce e le diete vengono preparate durante la mattina, scongelando il pesce preparato il giorno prima nel frigo, in modo da seguire la catena del freddo, e dividendolo in secchi a seconda della dieta di ciascun animale.

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Le diete vengono decise in base al peso corporeo dell’animale e alle Kcal contenute nel pesce utilizzato. Ci deve infatti essere un rapporto ottimale tra peso corporeo e Kcal assunte giornalmente. Durante la giornata vengono forniti 6 pasti. In genere si utilizza più di una specie di pesce in modo da assicurare una dieta varia e il più possibile uguale a quella in natura. Ai leoni marini ospitati all’acquario viene dato: Capelin (Mallotus villosus) (40%), Sprat (Spratus spratus) (30%), aringhe (Clupea harengus) (30%) e calamaro (10%) a giorni alterni extra-dieta, ovvero in aggiunta alla normale dieta prestabilita.

Durante le sessioni di alimentazione si cerca di seguire un programma di addestramento prestabilito, soprattutto per addestrare l’animale a eseguire comportamenti specifici adatti a facilitare visite veterinarie ed eventuali analisi (analisi del sangue, ecografia, raggi x, ecc.). L’addestramento si basa sul metodo del condizionamento operativo con rinforzo positivo. Questo metodo consiste nel far associare all’animale una gratificazione, con un comportamento esibito: trovandola piacevole e conveniente, l’individuo tenderà a ripetere il comportamento in futuro (Thorndike, 1932; Skinner, 1938). Il rinforzo primario (gratificazione) che viene utilizzato in genere nei Pinnipedi è il pesce, che viene dato in seguito all’esibizione del comportamento corretto (Adler, 1977). Per facilitare l’addestrramento all’esibizione di un determinato comportamento viene poi associata a questo metodo, anche la tecnica chiamata “shaping”. Questa tecnica consiste nel premiare, gradualmente, tutti quei comportamenti che si avvicinano al modello di comportamento finale che è l’obiettivo dell’addestramento (Skinner, 1953). Un esempio di un comportamento molto importante da indurre con l’addestramento, è il prelievo del sangue “volontario”. L’addestramento consiste nell’indurre l’animale a rimanere sdraiato e tranquillo mentre un veterinario o un addestratore esegue un prelievo del sangue dalle sue pinne posteriori. L’animale deve arrivare a fidarsi e rimanere tranquillo e fermo anche quando l’ago viene inserito nella pelle, grazie alle tecniche di addestramento sopra citate. Si inizia insegnando all’animale a sdraiarsi in seguito ad un comando manuale stabilito. In seguito si abituerà l’animale a essere toccato, soprattutto nella zona posteriore del corpo, in quella posizione. Con il tempo per l’animale sarà normale restare anche per diversi minuti sdraiato e si lascerà manipolare senza reagire o scappare.

Gli animali inoltre, per due volte al giorno, partecipano ad una presentazione a scopo didattico con il pubblico. In queste presentazioni vengono descritte le principali differenze tra otarie e foche e vengono spiegate le principali caratteristiche e peculiarità dei leoni marini. Durante la maggior parte della giornata gli animali restano nella vasca espositiva esterna, e vengono portati nella zona di quarantena solo quando ce ne è la necessità. Durante la notte invece vengono riportati all’interno, nell’area di quarantena, dove restano fino al mattino in una delle due vasche, insieme o separati. Questa routine è stata utilizzata per tutte le specie ospitate..

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6.3 I soggetti sperimentali

Di seguito sono riportate le principali caratteristiche anagrafiche degli esemplari utilizzati nei due esperimenti.

NOME   SESSO   DATA  DI  NASCITA   ORIGINI  

ZALOPHUS  CALIFORNIANUS  

Ynouk   F   09-­‐giu-­‐07   VAROSNA   Kali   F   20-­‐giu-­‐12   VAROSNA  

Zoe   F   20-­‐giu-­‐12   VAROSNA  

OTARIA  FLAVESCENS  

Bady   M  

23-­‐lug-­‐13  

VASAROSNA   Morgan   M  

30-­‐lug-­‐13  

VASAROSNA  

Tab. 1 gli esemplari studiati e le loro caratteristiche

Fig 5 YNOUK

Fig 6 KALI

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Fig 7 ZOE Fig 8 BADY Fig 9 MORGAN

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6.4 Procedura sperimentale

Il disegno sperimentale è stato simile per entrambi gli studi, ma le procedure sono state adattate alla specie e al livello di addestramento.

I due esperimenti eseguiti, uno sulle otarie della California e uno sui leoni marini del Sud America, sono stati suddivisi in 4 fasi:

1) Addestramento del dimostratore. In questa fase un individuo è stato addestrato a esibire un comportamento prestabilito, attraverso condizionamento operante. Il metodo di addestramento si basa principalmente sul rinforzo positivo utilizzando il pesce come rinforzo primario. Si sono effettuate 2 sessioni addestrative al giorno fino a che non si è avuto una risposta corretta dal parte del dimostratore del 95% per 3 volte consecutive.

2) Osservazione del dimostratore da parte dell’osservatore. Per questa fase, è stata stabilita una durata di 7 giorni con 2 sessioni di osservazione al giorno, per un totale di 14 sessioni.

3) Test dell’osservatore inducendolo a riproporre il comportamento visto esibire dal dimostratore. Questa fase inizia subito dopo l’ultima sessione di osservazione.

4) In questa fase, che è stata effettuata solo se la precedente ha dato esiti positivi, viene testata

l’imitazione differita, ovvero sarà richiesto che l’osservatore esibisca il comportamento

appreso nella fase precedente 4 e 20 giorni dopo la fase precedente. Ovviamente in questo arco di tempo non verrà richiesto o riproposto in alcun modo il comportamento da mostrare.

6.4.1 Primo esperimento:

Per questo esperimento sono state utilizzate le tre femmine di Z. californianus (Otaria della California) che, come si può vedere dalla tab. 1, avevano età differente come anche un differente livello sociale all’interno del gruppo. L’esperimento è stato condotto quasi per intero all’interno dell’area di quarantena dove vi era più controllo degli animali ed era più facile poterli seguire e monitorare.

Quando è stato scelto il modello da addestrare e i soggetti che avrebbero funto da osservatori, questi aspetti sociali sono stati tenuti in considerazione. Si è visto infatti come un più elevato grado sociale e di anzianità possa facilitare l’apprendimento sociale, per cui Ynouk (6 anni), che era la più anziana e dominante all’interno del gruppo è stata scelta come dimostratore/modello, e Kali e Zoe (4 e 2 anni) come osservatori.

In questo esperimento si è scelto come comportamento da imitare, uno già presente nel repertorio degli animali, il ‘fare ciao’ con la pinna. Questo “comportamento CIAO” consiste nel alzare una delle due pinne e muoverla simulando un saluto, in risposta ad un segnale manuale dell’addestratore. Tutte e tre i soggetti avevano questo comportamento nel proprio repertorio, ma con alcune differenze. Ynouk, il modello, eseguiva il comportamento con la pinna destra e mai con quella sinistra. Al contrario, sia Kali che Zoe lo eseguivano con la pinna sinistra e mai con quella destra.

Come elemento di novità, durante l’addestramento del dimostratore è stato aggiunto un nuovo stimolo discriminativo, ovvero lo stimolo al quale dovrebbe far seguito la risposta del soggetto che è seguita dal rinforzo primario. Nel nostro caso, è stato scelto come stimolo discriminativo la

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visione di un cartello triangolare bianco e verde. In questo modo, se l’animale risponde correttamente all’esibizione del cartello esibendo il comportamento CIAO significa che avrà correttamente eseguito l’associazione tra il nuovo stimolo (mai visto prima) e il comportamento da esibire.

In questa fase quindi si è addestrato il modello a eseguire il comportamento con la pinna destra, come al suo solito, però non solo al segnale della mano, ma anche alla visione del cartello, attraverso la seguente sequenza di addestramento:

STIMOLO DISCRIMINATIVO (gesto manuale) à RISPOSTA à RINFORZO (pesce).

Questa associazione viene sviluppata tramite un condizionamento operante o apprendimento per prova ed errore: si inizia a far associare la visione del cartello con il comportamento richiesto normalmente, premiando l’animale in seguito all’esecuzione corretta. In seguito si andrà a togliere il segnale manuale mantenendo quello visivo. Ogni sessione prevedeva 10 prove del comportamento. Il decorso temporale di questo apprendimento individuale è stato monitorato misurando il numero di risposte corrette nel tempo

Quando l’animale dimostratore ha imparato perfettamente il comportamento, ovvero dopo che ha risposto con una percentuale di successo del 95% per almeno 3 sessioni, siamo passati alla seconda fase, quella di osservazione. In questa fase un altro individuo (osservatore) è stato posto vicino al modello, il quale eseguiva per 10 volte il comportamento CIAO in risposta allo stimolo discriminativo proposto dall’addestratore. Questo processo è stato ripetuto per 2 sessioni ogni giorno per 7 giorni consecutivi, per un totale di 14 sessioni di osservazione. Durante questa fase è stato comunque monitorato il comportamento dell’osservatore durante tutte le sessioni.

Per esaminare se realmente i soggetti siano in grado di apprendere tramite l’osservazione, un requisito fondamentale è che il comportamento scelto sia nuovo, mai eseguito precedentemente dall’osservatore. Questo ovviamente può risultare difficile, soprattutto perché un comportamento o una parte di esso può essere comunque eseguito dall’animale nei normali comportamenti giornalieri, e non essendo l’animale monitorato continuamente, è difficile stabilire cosa può essere una novità e cosa invece no. Per questo motivo abbiamo considerato come nuovo un comportamento che è improbabile che avvenga in assenza di un modello da imitare ed abbiamo utilizzato un comportamento già presente nel repertorio personale dei tre soggetti, ma che era eseguito in modo differente. Quando viene chiesto questo comportamento CIAO da un operatore, l’animale lo esegue sempre con la pinna con la quale lo ha imparato e mai con l’altra (Ynouk con la destra, Kali e Zoe con la sinistra): grazie a questo abbiamo la certezza che l’esecuzione di tale comportamento da parte di Kali e Zoe con la pinna destra , è improbabile che avvenga senza un dimostratore che lo mostra.

La terza fase è iniziata subito dopo l’ultima sessione di osservazione. E’ stato spostato il modello nella vasca esterna cosi da non essere presente e non poter influenzare il soggetto in esame. L’osservatore è stato inoltre testato anche all’esterno, nella vasca espositiva, ovviamente riportando il modello, invece, all’interno, sempre per evitare una possibile influenza di quest’ultimo. Testare

Riferimenti

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Il resto del territorio è pianeggiante e la foresta si concentra lungo i corsi dei fiumi, mentre la savana ricopre la maggior parte delle terre.. Sulla costa si trovano

In particolare le attività di monitoraggio prevedono la ricerca della presenza e dell’abbondanza delle specie aliene negli ambiti marini con pressioni ambientali che determinano

Contro il Foggia nell’ultima mezz’ora abbiamo spinto tanto, a Palermo abbiamo tenuto fino alla fine contro una squadra che ci ha costretto a correre grazie alla sua qualità..

La Viterbese, grazie agli sforzi del Presidente Marco Arturo Romano, è ripartita lo scorso agosto con una nuova linfa: panchina affidata ad Agenore Maurizi e squadra con una età