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Analisti finanziari e sostenibilità

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Academic year: 2021

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Università Ca’ Foscari Venezia

Facoltà di Economia – Dipartimento di Managemet

Corso di Laurea magistrale: Amministrazione, Finanza e Controllo

TESI DI LAUREA

ANALISTI FINANZIARI

E SOSTENIBILITÀ

Relatore: Rigoni Ugo

Anno Accademico: 2015-2016

Candidato: Occhial Giovanna

Matricola: 836437

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Sommario

Capitolo 1. GLI ANALISTI FINANZIARI ...2

1.1. Gli analisti finanziari in breve ...2

1.2. Gli analisti finanziari Sell-Side ...3

Capitolo 2. MERCATO E SOSTENIBILITÀ ...7

2.1. Global Reporting Initative e Integrated Reporting ...8

2.2. Indici di sostenibilità ... 13

2.3. Le teorie della sostenibilità nel mercato ... 15

Capitolo 3. SOSTENIBILITÀ E ANALISTI FINANZIARI ... 19

3.1. Teorie e raccomandazioni ... 19

3.2. Sostenibilità e analyst coverage ... 20

3.3. CSR e condizioni personali degli analisti ... 22

3.4. Raccomandazioni e società valutata ... 22

3.5. L’importanza degli analisti ... 23

Capitolo 4. TONE E DISCOURSE ANALYSIS ... 25

4.1. Disclosure e attenzione degli investitori ... 25

4.2. Caratteristiche delle comunicazioni ... 27

4.3. Variazioni nella disclosure ... 28

4.4. Spin e Tone ... 29

4.5. Manager, disclosure e sostenibilità ... 32

Capitolo 5. ANALISI EMPIRICA ... 36

5.1. Dati e metodo di indagine ... 36

5.2 Sensitive/non sensitive classification ... 38

5.3. Risultati quantitativi ... 43

5.4. Risultati qualitativi ... 43

5.4.1. Report standard di Cheuvreux Credit Agricole Group ... 46

5.4.2. Considerazioni sui report di Cheuvreux ... 58

5.4.3. Report standard di Societe Generale ... 60

5.4.4. Considerazioni sui report di Societe Generale ... 62

5.4.5. Classificazione rischio/opportunità ... 65

5.4.6. Analisi sulla classificazione rischio/opportunità ... 89

5.5. L’importanza delle normative ... 93

(3)

Capitolo 6. APPENDICE ... 97

6.1. I report di Cheuvreux Credit Agricole Group ... 99

6.2. I report di Societe Generale ... 141

6.3. Specificazione Tabella 4 ... 144

6.4. Report esclusi dalla Tabella 4 ... 252

(4)

Introduzione

Negli ultimi anni, un numero sempre crescente di società sta adottando iniziative di CSR (Corporate Social Responsibility), cioè l’incorporazione di questioni sociali ed ambientali nel modello di business e nelle attività operative aziendali.

La salvaguardia dell’ambiente è un problema sempre più attuale, e perciò i governi attuano misure dirette a limitare, se non risolvere, questa questione in modo tale da incontrare i bisogni e le aspettative di un ampio gruppo di portatori di interesse. Attualmente giocano un ruolo fondamentale le normative che obbligano le società a rispettare determinati limiti in termini di emissioni e, fatto molto importante, si assiste anche ud una crescente

regolamentazione delle comunicazioni aziendali relative ai dati non finanziari (storicamente non considerate dalle normative).

Questa tesi presenta inizialmente una panoramica sulle caratteristiche ed il ruolo degli analisti finanziari, l’integrazione delle questioni di sostenibilità con il mercato finanziario e il “rapporto” teorico tra gli analisti e la sostenibilità operata dalle società che studiano. Storicamente le analisi finanziarie non prendevano in considerazione i fattori ambientali e sociali; il sorgere di questa necessità evidenzia come queste questioni sono sempre più integrate nell’attività delle società, rientrando addirittura nelle loro strategie e dimostrando che porre attenzione agli interessi dei vari stakeholder e alla salvaguardia dell’ambiente può generare opportunità di crescita e di guadagno, i quali sono temi necessariamente

considerati dagli analisti.

Volendo approfondire il legame tra gli analisti finanziari e la sostenibilità ambientale, si presenta uno studio sugli investimenti in CSR operati da società quotate e, in particolare, analizzando un campione di report finanziari attraverso il software Nvivo, si propone

un’analisi empirica che studia in che modo gli analisti finanziari trattano queste questioni nei loro report, quali aspetti riportano e per quale motivo le prendono in considerazione.

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1. GLI ANALISTI FINANZIARI

1.1 Il lavoro degli analisti finanziari in breve

Gli analisti, in breve, sintetizzano in un report una grande quantità di dati eterogenei, danno una valutazione delle aziende o degli strumenti oggetto di studio e formulano consigli di investimento.

Infatti, la costante crescita economica con la conseguente complicazione dei sistemi finanziari, ha portato alla necessità, per gli investitori, di un supporto sempre più chiaro, completo e comprensibile per le loro decisioni di investimento. Allo stesso tempo, l’elevato livello di sofisticazione del mercato rende il lavoro degli analisti finanziari più complesso e da svolgersi in tempi sempre più brevi.

La figura dell’analista finanziario nasce nel 1947 negli Stati Uniti, con la fondazione della FAF (Financial Analyst Federation) che racchiude numerose associazioni. In Europa, la

federazione si chiama Feaaf (Federazione Europea delle Associazioni degli Analisti Finanziari) e la sua creazione risale agli anni ’60.

Per quanto riguarda l’italia, in particolare, vi è un’associazione che promuove l’attività dell’analista finanziario svolgendo servizi di formazione e rilasciando un certificato internazionale denominato CIIA (Certified International Investment Analyst). Questa associazione è denominata AIAF (Associazione Italiana Analisti Finanziari)

Per svolgere il suo lavoro nel miglior modo possibile, l’analista si deve servire di una struttura organizzativa che gli garantisca figure professionali d’aiuto, come gli analisti junior, i quali hanno il compito di supportare l’attività dell’operatore, raccogliendo e organizzando la documentazione sulla quale poi l’analista principale dovrà lavorare.

Si sono formate nel tempo anche numerose aree di esperienza che contraddistinguono gli analisti: per fare degli esempi, ci possiamo trovare di fronte alla figura dell’analista

finanziario, dell’analista specializzato in borsa, analista specializzato nel reddito fisso e finanziario, analista valutario o analista dei cambi. Questi vari soggetti valutano diversi strumenti: possono essere strumenti e prodotti finanziari, prestiti obbligazionari o altri titoli di debito o azioni. In questa tesi si concentra l’attenzione sull’attività dell’analista finanziario nella valutazione delle società quotate.

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L’analista finanziario è colui che analizza le società dal punto di vista, per l’appunto, finanziario e il cui lavoro ha una duplice funzione: oltre ad indirizzare l’attività di

investimento degli operatori esterni alle imprese valutate, fornisce una serie di informazioni importantissime anche per l’azienda stessa oggetto di valutazione in quanto ne stabilisce lo stato di solidità, ne definisce la struttura e la redditività, ne pianifica le attività finanziarie, e ne valuta le prospettive economiche.

La prima fase dell’attività dell’analista finanziario, consiste nel raccogliere un gran numero di informazioni di varia natura, che provengono sia dall’azienda valutata, sia dal mercato economico in cui è inserita;

A partire da questi dati, egli deve procedere all’elaborazione e successivamente, tramite un’interpretazione delle informazioni, l’analista deve formulare un giudizio relativo al presente, e soprattutto al futuro, del valore della società e delle opportunità di investimento. In breve, un report finanziario tipicamente copre i temi di performance finanziarie, crescita dei guadagni, valore dell’equity e anche i rischi specifici rilevanti per la società e il settore di business in cui è inserita.

1.2 Gli analisti finanziari Sell Side

Gli analisti sono tra i soggetti più importanti del mercato finanziario e possono essere classificati in tre principali categorie: i sell-side analyst, i buy-side analyst, e gli analisti cosiddetti indipendenti.

I primi, operano di solito (dietro il pagamento di sostanziose fees) per broker dealer, investment bank o intermediari polifunzionali che offrono ai propri clienti un servizio completo, sia di intermediazione che di consulenza. Tali servizi possono essere corporate

finance, brokering, investment banking, security analysis.

Gli analisti buy-side svolgono le mansioni per investitori istituzionali (come compagnie assicurative, fondi d’investimento e fondi pensione). Nei loro report indicano i titoli da comprare, tenere o vendere (cioè le operazioni da compiere) cercando di effettuare previsioni esatte in modo da produrre profitti.

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loro attività consiste guadagnare vendendo i propri report. Non essendo riconducibili alle società o intermediari finanziari, la loro attività ha la caratteristica di essere prodotta in assenza di conflitti d'interesse.

Questa tesi vuole concentrarsi sull’attività svolta dagli analisti sell-side.

Varie ricerche, che siano esse effettuate sulla base di questionari1

o sulla base dell’analisi diretta di uno stock di report2

, hanno evidenziato come gli analisti finanziari sell-side non basano le loro raccomandazioni esclusivamente su informazioni contabili, ma anzi, fanno pesantemente uso anche di molti altri dati di natura extracontabile. Molto importanti sono, ad esempio, gli incontri diretti tra gli analisti e il management, le vicissitudini più recenti che hanno interessato l’azienda, il posizionamento dell’impresa nel mercato e i rischi a cui la società è esposta. Solo la metà delle informazioni contenute nei report hanno origine dalle relazioni societarie annuali3

e vi è una particolare attenzione nell’individuazione dei core

earnings (gli utili derivanti dall’attività principale) come base per valutare il rischio, la quota

di mercato ed altri elementi essenziali, limitando così l’intromissione delle attività accessorie e considerando solo il cuore della società4

.

I documenti predisposti dagli analisti, spesso, non lasciano trasparire le variabili considerate, i metodi di valutazione impiegati e i ragionamenti che hanno condotto al suggerimento d’investimento finale: infatti sono documenti complessi e che differiscono molto l’uno dall’altro. Gli elementi essenziali che ritroviamo come contenuto minimo sono: la

raccomandazione d’investimento, il target price e gli earnings forecast, in quanto

costituiscono l’output da ottenere attraverso i report.

Gli input impiegati, come precedentemente discusso, sono di varia natura: possono essere dati numerici e contabili, considerazioni e pareri. In effetti, nel lavoro dell’analista sell-side è presente anche una parte determinata dalla soggettività e dalla posizione dell’operatore (non essendo un soggetto indipendente).

1

Lo studio che si basa sui questionari è “Best Practices Nei Metodi Di Valutazione E Di Sistema Del Costo Del Capitale” Ambrosetti Stern Stewart Italia AIAF, (2002)

2

Gli studi che si basano sull’analisi di report sono: “Information Content Of Equity Analyst Reports” Asquith, Mikhail, Au, (2005) – “The Use Of Target Price To Justify Sell-side Analysts Stock Recomandations” Bradshaw M.T. (2002) – “What Valuation Models Do Analysts Use?” Demirakos, Strong, Walker, (2004)

3

Rogers, Rodney, Grant, (1997) “Content Analysis Of Information Cited In Reports Of Sell-side Financial Analuysts”,

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Per quanto riguarda i metodi di valutazione utilizzati dagli analisti sell-side, ci troviamo di fronte ad una moltitudine di approcci; questo ci suggerisce che i metodi non sono

completamente equivalenti (altrimenti ne sarebbe sufficiente soltanto uno), e che

l’applicazione di uno piuttosto che di un altro criterio (con i suoi specifici input e parametri) può condurre a conclusioni differenti. Tale diversità di risultati è potenzialmente utilizzata dagli analisti per giungere alla determinazione del consiglio di investimento che più si adatta ai loro interessi: essi potrebbero decidere a priori quali metodi impiegare in base al risultato cui essi conducono. Questa teoria apre una finestra alle argomentazioni sull’esistenza di conflitti di interesse e incentivi personali degli analisti.5

In generale, i metodi di valutazione si possono raggruppare in metodi patrimoniali, metodi

finanziari, metodi reddituali, metodi misti e metodi basati su multipli di mercato.

I criteri di valutazione utilizzati sono tra gli elementi più difficili da individuare attraverso la lettura del report, e gli analisti non facilitano il compito facendo trasparire il modello

valutativo utilizzato. Tuttavia sulla base di alcuni studi6si evince come nel settore industriale, il metodo principe risulta essere il DCF (Discounted Cash Flow) che rientra nei metodi

finanziari, seguito comunque da un rilevante impiego di multipli di mercato. Anche nel settore delle utilities i metodi finanziari risultano essere i più utilizzati, sempre nella forma del DCF, ma vi è anche un importante impiego di metodi patrimoniali. Nel settore bancario non risulta esserci un approccio valutativo eccessivamente prevalente: si evince una lieve preferenza per il metodo basato sui multipli di mercato, ma vengono applicati una

moltitudine di metodi valutativi.

In generale quindi prevale ancora l’analisi fondamentale (che si basa sulle caratteristiche economico-finanziarie intrinseche alla società) come metodo valutativo utilizzato dagli analisti, anche se i multipli di mercato risultano abbastanza applicati in contesti dinamici e competitivi, dove si preferisce ottenere informazioni dal mercato piuttosto che da dati interni (anche se è presente una tendenza alla disapplicazione di questo approccio7). Spesso,

5

Fonte: “I Report Degli Analisti Finanziari: Metodi Di Valutazione E Consigli Di Investimento” Bertinetti G., Cavezzali E., Rigoni U.

6

“Best Practices Nei Metodi Di Valutazione E Di Sistema Del Costo Del Capitale” Ambrosetti Stern Stewart Italia AIAF, (2002) - “What Valuation Models Do Analysts Use?” Demirakos, Strong, Walker, (2004). Fonte: “I Report Degli Analisti Finanziari: Metodi Di Valutazione E Consigli Di Investimento” Bertinetti G., Cavezzali E., Rigoni U.

7

Dovuta alla progressiva inaffidabilità dei dati derivanti dal mercato in seguito allo scoppio della bolla

speculativa. Fonte: Bertinetti G., Cavezzali E., Rigoni U. “I Report Degli Analisti Finanziari: Metodi Di Valutazione E Consigli Di Investimento”

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inoltre, gli analisti sviluppano preferenze e metodologie diverse in base alle loro esperienze e capacità e ciò li porta ad applicare criteri diversi e ad ottenere un’interpretazione soggettiva. Il fatto che il metodo applicato non sia evidente nei report redatti dagli analisti sell-side, è coerente con la natura di questi soggetti: essi spesso lavorano per importanti e famosi broker a livello internazionale, e molte volte viene data più importanza a chi stila il report, rispetto al come si arriva al risultato finale (effetto reputation).

Tale risultato finale dei report consiste in una raccomandazione d’investimento: essa

dovrebbe basarsi sul differenziale tra il fair value ottenuto applicando i metodi di valutazione e il prezzo del titolo nel mercato. Se il titolo è scambiato ad un valore inferiore al fair value, l’analista dovrebbe consigliare positivamente l’investimento, in caso opposto dovrebbe sconsigliarlo.

L’obiettivo di questa tesi è scoprire se l’attenzione posta dalle società quotate al tema della sostenibilità e le attività, svolte o meno, in questa direzione, vengono prese in

(10)

2. MERCATO E SOSTENIBILITÀ

Dato il crescente interesse pubblico per la questione della sostenibilità ambientale, molte società si sono attivate e hanno cercato, nello svolgimento della propria attività, di porre attenzione alla salvaguardia dell’ambiente. Le società, in ottica di sostenibilità, non mirano soltanto alla massimizzazione del profitto per gli azionisti, ma al raggiungimento di un obiettivo condiviso da tutte le possibili categorie di portatori di interesse e al benessere sociale. È necessario però che i vari obiettivi di profittabilità, crescita dimensionale,

competitività e salvaguardia ambientale non siano antitetici; per poter raggiungere tutte le mete le questioni devono essere gestite in modo attento e devono essere tutte parti di un disegno più grande: quello di realizzare uno sviluppo economico che sia anche sostenibile. È necessario creare valore per gli azionisti e, nel contempo, conservare l’ambiente naturale e sociale. Numerose ricerche dimostrano sempre più il legame tra Responsabilità Sociale e competitività o Responsabilità Sociale e performance.

Un comportamento socialmente responsabile infatti:

− contribuisce a creare e mantenere una buona reputazione; − garantisce una forte coesione con i portatori di interesse; − migliora l’efficienza della gestione aziendale;

− crea un ambiente di lavoro migliore: più sicuro e più motivante; − protegge da azioni di boicottaggio;

− facilita l’accesso al credito;

− permette di usufruire, laddove previsti, di vantaggi fiscali e semplificazioni amministrative − riduce il rischio di impresa;

− contribuisce ad aumentare il valore per gli azionisti nei mercati in cui sono applicati rating di tipo etico8

.

La responsabilità sociale d’impresa (o Corporate Social Responsibility) consiste nell’impegno delle imprese a comportarsi in modo corretto, andando oltre il semplice rispetto degli

obblighi previsti dalle leggi e dalle norme etiche individuali; spesso però in relazione a queste attività, sorgono dubbi moralistici che accusano le società che ostentano la sostenibilità

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ambientale come loro obiettivo, di avere il solo scopo di migliorare la propria immagine e, oltretutto, di non porre realmente attenzione alla questione.

2.1 Global Reporting Initiative e Integrated Reporting

All’interno della più ampia definizione di CSR, le società dispongono di diverse modalità per trasmettere gli obiettivi posti ed i risultati ottenuti in quest’ambito. Le società evidenziano i loro sforzi di sostenibilità agli azionisti e a tutti i portatori di interesse attraverso dei

documenti che vengono appositamente redatti. In particolare due possibilità importanti sono: l’Integrated Reporting (IR) e il Global Reporting Initiative (GRI).

GRI, in realtà, è l’associazione no-profit che ha studiato e stilato il documento sopracitato, che precisamente si chiama GRI Framework Reporting (comunemente chiamato GRI). Questo documento basa la sua importanza sulla trasparenza: gli impatti sociali, ambientali ed economici sono una componente fondamentale nella gestione di relazioni efficaci con gli stakeholder, nelle decisioni di investimento e nelle altre relazioni di mercato. Per questo è sentita la necessità di comunicare in modo chiaro e trasparente la sostenibilità delle singole organizzazioni e di una visione globalmente condivisa di concetti, linguaggi e standard. Il GRI soddisfa questi bisogni fornendo un sistema credibile e attendibile per il reporting di

sostenibilità, utilizzabile da organizzazioni di qualsiasi dimensione, settore o paese; inoltre vuole essere un modello universalmente accettato per il reporting della performance ambientale e sociale di un’organizzazione. Per raggiungere questo scopo il GRI predispone delle linee guida per il reporting di sostenibilità, costituite da Principi, per individuare il contenuto del report e garantire la qualità delle informazioni fornite. Include l’Informativa standard, composta da Indicatori di Performance, così come indicazioni su argomenti tecnici specifici sulla redazione del report: per ciascun Indicatore di Performance contenuto nelle Linee guida esistono dei Protocolli di Indicatori, che forniscono definizioni, guide alla

compilazione e altre informazioni per assistere coloro che redigono il report e per assicurare coerenza nell’interpretazione degli Indicatori di Performance. Supplementi di Settore

integrano le Linee guida con interpretazioni e consigli sulla loro applicazione in un determinato settore e comprendono Indicatori di Performance specifici di settore.

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Il GRI fornisce anche Protocolli Tecnici, pensati per dare consigli su aspetti relativi al report che devono essere utilizzati unitamente alle linee guida e ai Supplementi di Settore. Detti Protocolli affrontano le problematiche che interessano la maggior parte delle organizzazioni durante il processo di reporting.

Tre elementi principali del report sono: Contenuto, Qualità e Perimetro del Report, i quali vengono esposti approfonditamente per aiutare coloro che redigono il documento. A ciò fanno seguito i principi di equilibrio, comparabilità, accuratezza, tempestività,

affidabilità e chiarezza, unitamente ai test da utilizzare per raggiungere un livello qualitativo adeguato delle informazioni contenute nel report. In poche parole il GRI Framework

Reporting è uno strumento standardizzato a disposizione delle aziende per comunicare le performance ambientali in modo chiaro, preciso e coerente tra loro, seguendo delle linee guida e dei principi specifici. Tutto ciò permette anche la comparabilità dei vari report e la possibilità di confrontare le performance delle diverse società.

La trasparenza sulla sostenibilità delle attività di un’organizzazione rappresenta un interesse primario per una vasta gamma di stakeholder, quali imprese, sindacati, organizzazioni non governative, investitori, addetti alla contabilità, ecc. L’associazione Global Reporting

Initiative ha potuto contare sulla collaborazione di un ampio gruppo di esperti appartenenti a queste categorie di stakeholder che, dopo una serie di consultazioni, unite a esperienze pratiche, ha lavorato al miglioramento continuo del Reporting Framework. Grazie a questo approccio multi-stakeholder, il Reporting Framework gode di ampia credibilità tra una vasta gamma di gruppi di portatori di interesse9.

Il secondo documento citato, Integrated Reporting, considera sempre l’importanza della trasparenza nella comunicazione di informazioni relative alle performance sociali. Il

Reporting Integrato è un processo che permette di integrare la rendicontazione aziendale e sviluppare la comunicazione delle performance finanziarie, ambientali, sociali e di

governance attraverso un unico bilancio annuale. Il Report Integrato si rivolge a tutti gli stakeholder, in modo completo, chiaro e conciso, fornendo una visione complessiva della capacità di creare valore in modo responsabile. Non si tratta di un documento separato dal bilancio (come accade per il GRI Framework Reporting) ma di un unico documento integrato con le informazioni relative alla sostenibilità ambientale. La redazione di un documento

(13)

unico dimostra il legame tra la strategia, le performance finanziarie e il contesto sociale, ambientale ed economico all'interno del quale opera l'organizzazione. Ciò aiuta a rafforzare questi legami, e, in qualche modo, a spingere gli operatori economici a prendere decisioni più sostenibili, ma soprattutto consente agli investitori e agli altri stakeholder di

comprendere in modo completo le reali performance sociali dell'organizzazione. Il punto di forza di questo documento è proprio l’integrazione tra le performance economiche e le performance sociali e la capacità di dare una visione completa e unitaria. Testimonia che l’impresa investe seriamente sulla sostenibilità rendendola un elemento chiave della sua strategia e diminuisce il rischio di reputazione consolidando la fiducia dei diversi gruppi di portatori di interesse.

Questo documento però, alla pari del GRI Framework Reporting, non è obbligatorio e per questo non necessita di approvazione e responsabilità nella stesura; inoltre, non ne esiste un termine per la pubblicazione, quindi si può generare un certo ritardo rispetto alla data di pubblicazione dell’informativa finanziaria d’esercizio.

In generale, la necessità di comunicare le informazioni riguardanti la sostenibilità ambientale è stata formalizzata da delle direttive: Il legislatore italiano con il D.Lgs 32/2007 ha recepito la Modernisation Directive, all’interno del Codice Civile (art. 2428, comma 2), la quale richiede che nella relazione sulla gestione vengano fornite informazioni attinenti all’ambiente e al personale. Anche gli altri paesi europei hanno recepito la direttiva,

escludendo in alcuni casi l’applicazione da parte delle piccole imprese. Dall’entrata in vigore della Modernisation Directive, però, non sono ancora state date indicazioni su quali

informazioni non finanziarie siano da pubblicare nei bilanci. Le società quotate hanno applicato la direttiva dando maggiore risalto alle informazioni sociali e ambientali relative alle attività svolte e ai risultati raggiunti. Non molte informazioni socio-ambientali, invece, sono date circa il controllo, le situazioni di non conformità alla legge, il dialogo con gli stakeholder, i rischi e le aspettative future. L’Europa finora, quindi, ha lasciato ampia

discrezionalità alle imprese nell’identificazione delle informazioni non finanziarie. E’ evidente che tale fattispecie determina delle asimmetrie informative nei confronti degli utilizzatori

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delle informazioni, ed è per questo che molte società redigono il GRI Framework Reporting: per dare una struttura uniforme e comparabile ai diversi report10.

Uno sviluppo successivo è messo in atto dalla Direttiva UE 2014/95 relativa alla disclosure obbligatoria delle informazioni non finanziarie da parte di alcune organizzazioni private, come strumento di trasparenza funzionale alla competitività e Responsabilità Sociale.

Tale direttiva apporta modifiche alla precedente direttiva 2013/34 UE inserendo il seguente articolo:

“ Le imprese di grandi dimensioni che costituiscono enti di interesse pubblico e che, alla data di chiusura del bilancio, presentano un numero di dipendenti occupati in media durante l'esercizio pari a 500 includono nella relazione sulla gestione una dichiarazione di carattere non finanziario contenente almeno informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva in misura necessaria alla comprensione dell'andamento dell'impresa, dei suoi risultati, della sua situazione e dell'impatto della sua attività, tra cui:

a) una breve descrizione del modello aziendale dell'impresa;

b) una descrizione delle politiche applicate dall'impresa in merito ai predetti aspetti, comprese le procedure di dovuta diligenza applicate;

c) il risultato di tali politiche;

d) i principali rischi connessi a tali aspetti legati alle attività dell'impresa anche in riferimento, ove opportuno e proporzionato, ai suoi rapporti, prodotti e servizi commerciali che possono avere ripercussioni negative in tali ambiti, nonché le relative modalità di gestione adottate dall'impresa;

e) gli indicatori fondamentali di prestazione di carattere non finanziario pertinenti per l'attività specifica dell'impresa.

Per le imprese che non applicano politiche in relazione a uno o più dei predetti aspetti, la dichiarazione di carattere non finanziario fornisce una spiegazione chiara e articolata del perché di questa scelta.

La dichiarazione di carattere non finanziario di cui al primo comma contiene inoltre, ove opportuno, riferimenti agli importi registrati nei bilanci d'esercizio annuali e ulteriori

10

Fonte: https://www.kpmg.com/IT/it/IssuesAndInsights/ArticlesPublications/Documents/KPMG-Reporting-Unico.pdf

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precisazioni in merito.

Gli Stati membri possono consentire l'omissione di informazioni concernenti gli sviluppi imminenti o le questioni oggetto di negoziazione in casi eccezionali in cui, secondo il parere debitamente giustificato dei membri degli organi di amministrazione, gestione e controllo che operano nell'ambito delle competenze a essi attribuite dal diritto nazionale e ne sono collettivamente responsabili, la divulgazione di tali informazioni potrebbe compromettere gravemente la posizione commerciale dell'impresa, purché tale omissione non pregiudichi la comprensione corretta ed equilibrata dell'andamento dell'impresa, dei suoi risultati e della sua situazione nonché dell'impatto della sua attività.

Nel richiedere la divulgazione delle informazioni di cui al primo comma, gli Stati membri provvedono affinché le imprese possano basarsi su standard nazionali, unionali o

internazionali, specificando lo standard seguito.”11

In seguito, la direttiva predispone l’obbligo anche per i gruppi di società e considera l’esenzione per le aziende che sono incluse nelle dichiarazioni consolidate.

Questa direttiva, quindi, si rivolge alle imprese di grandi dimensioni, quotate e non, a produrre annualmente informazioni sui temi legati agli impatti ambientali, sociali, al

rapporto con i dipendenti e gli stakeholder del territorio, da integrare nel bilancio di gestione aziendale tradizionale.

In sostanza, la direttiva, obbliga le aziende con più di 500 dipendenti a realizzare un Bilancio di Sostenibilità contenente informazioni ambientali, sociali, relative al personale, al rispetto dei diritti umani e alla lotta contro la corruzione. Si lascia a tali organizzazioni una

certa libertà di azione sulle modalità di espletamento di quest’obbligo: spetterà infatti alle società decidere se realizzare un supporto integrato al bilancio o un documento separato e quale standard utilizzare, se di livello internazionale (GRI/ Integrated Reporting) o nazionale. Lo scopo della normativa è, innanzitutto, quello di aumentare il grado di

rendicontazione non finanziaria all’interno delle grandi realtà industriali europee. Dalla considerazione che nel 2014 meno del 10% delle grandi aziende produceva informazioni in

11

Fonte: Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea http://www.bibliotecabilanciosociale.it/wp-content/uploads/DIRETTIVA-SECONDA4.pdf

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ottica di sostenibilità12, è derivata la consapevolezza che l’approccio volontario alla disclosure non finanziaria non è sufficiente ed evidenzia, quindi, la necessità di affiancare una norma vincolante almeno per una parte del sistema imprenditoriale.

2.2 Indici di Sostenibilità

Nel mercato finanziario, per valutare l’attenzione che le società quotate pongono alla

questione ambientale, sono stati introdotti degli indici e la loro applicazione è un segno che i requisiti di maggior trasparenza e responsabilità sociale sono di interesse per gli investitori. Le aziende che entrano in questi indici, definiti indici etici, vengono certificate nella qualità e nell’impegno sociale intrinseco nello svolgimento della loro attività. Costruendo questi panieri etici, è possibile confrontare le performance delle società che operano secondo i criteri della Corporate Social Responsibility con quelle che, invece, rientrano nei panieri tradizionali.

Come gli altri indici borsistici, un indice etico risponde a certi criteri di composizione e calcolo (con riferimento al peso da assegnare ai titoli con maggiore capitalizzazione). Grazie alla similitudine nella composizione è possibile confrontare gli indici etici con quelli

tradizionali, per esempio: il Djsi World è confrontabile con l’Msci World, mentre gli indici italiani Ftse Ecpi Italia Sri sono confrontabili con il Ftse Italia All-Share.

Nella costruzione di un indice etico vengono impiegati criteri di esclusione e di inclusione (i primi negativi e i secondi positivi). L’esclusione permette di filtrare e non inserire nell’indice tutte le società che operano in determinati settori produttivi considerati non etici come armi, alcol, tabacco, gioco d’azzardo e pornografia. Per poter essere incluse, invece, le società devono rispondere ai criteri ESG (environmental, social e governance) ovvero presentare elevati standard in ambito ambientale, sociale (rispetto dei diritti umani e civili) e di governance (ad esempio sul rispetto della libertà razziale, etnica, religiosa, sessuale nell’esercizio dell’impresa).

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Ad oggi, il punteggio di CSR maggiormente comprensibile ed utilizzato in letteratura è rappresentato dal KLD (dai cognomi dei tre fondatori della società di ricerca: Kinder,

Lydenberg and Domini). KLD è una delle principali società di ricerca e consulenza per soggetti che vogliono investire in imprese eticamente compatibili. Nel 1990 ha creato Domini 400

Social Index che indicizza 400 azioni di imprese con un forte impegno etico e sociale e le

classifica in molte categorie in base alle diverse dimensioni di investimenti in CSR. Ad esempio questo indice esclude società impegnate nella produzione di armamenti, energia nucleare, alcool, tabacco, gioco d’azzardo13.

Tali analisi sono fondamentali per definire gli standard di CSR, e questa indicazione è molto utile per gli investitori che vogliono investire in società o fondi affini ai propri valori etici e permette loro di valutare se la proposta è consona, dal punto di vista morale, alla propria mission sociale.

Nel mercato finanziario, gli indici etici sono molti, altri tre importanti degni di nota sono: il Dow Jones Sustainability, il Ftse Ecpi Italia e il Ftse4Good.

Il Dow Jones Sustainability Index (DJSI), nato nel 1999 dalla collaborazione tra Dow Jones Index, Stoxx Limited e SAM, è il primo a valutare le performance finanziarie delle compagnie mondiali che seguono principi sostenibili. L’indice viene rivisto annualmente a settembre e in più ogni quattro mesi per assicurarsi che la sua composizione rappresenti il 20% delle

compagnie leader nella sostenibilità.14

Il Ftse Ecpi Italia è il primo indice etico di Borsa Italiana. Questo paniere della finanza

responsabile (Socially Responsible Investing o SRI) è composto dalle azioni ordinarie emesse da società che si distinguono negli ambiti ESG: ambientale, sociale e di corporate

governance.

Infine, l’indice FTSE4Good valuta la performance delle aziende che sono già globalmente riconosciute per gli alti standard di responsabilità sociale. FTSE4Good è l’indice ideale per la creazione di prodotti di investimento responsabile. Esso viene rivisto due volte l’anno, per escludere le società che non hanno mantenuto gli standard di sostenibilità richiesti ed includere eventuali nuovi aziende.

13 FONTE: http://www.finanza-etica.it/risorse.html

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2.3 Le teorie della sostenibilità nel mercato

Questa tesi vuole approfondire cosa, all’interno del mercato finanziario, può giustificare l’importanza degli investimenti in sostenibilità. Perché le società investono risorse in CSR? Una visione generale, comunemente diffusa, ritiene che la ragione sia la ricerca di un consenso da parte di diverse categorie di portatori di interesse. Svolgere attività ponendo attenzione alla sostenibilità ambientale fornisce una buona immagine alla società, attira stakeholder interessati, li mantiene fedeli anche in seguito a cambiamenti radicali (es. fusioni) e, inoltre, aumenta il valore dell’azienda poiché incrementa anche le peformance finanziarie. Non tutti gli studiosi, però, concordano con l’effetto positivo di questi

investimenti in CSR.

Emergono due diverse teorie che spiegano perché le imprese dovrebbero (o non

dovrebbero) prestare attenzione alla questione sociale; esse si susseguono in quanto, nel corso del tempo, l’inclinazione a porre attenzione agli interessi di un’ampia sfera di

FONTE: http://www.borsaitaliana.it/notizie/sotto-la-lente/indici-etici170.htm Immagine 1: Gli indici etici

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stakeholder oltre che ai soli azionisti, sta portando ad un cambiamento di visione.

Inizialmente era dominante la logica dell’agenzia secondo la quale gli investimenti in CSR non incontrano gli interessi degli azionisti, ma anzi, sono la manifestazione di problemi di agenzia; inoltre ritiene che gli analisti finanziari esercitino (e debbano esercitare) pressione sui manager, affinché essi taglino queste spese considerate uno spreco per gli azionisti15. Vari esperimenti confermano questa teoria: un esempio interessante è uno studio basato su una regressione lineare, condotto da Binay Kumar Adhikari (2014), il quale prova una

relazione negativa tra investimenti in CSR e analyst coverage, concludendo che queste spese sono un problema di agenzia. L’analyst coverage rappresenta il numero di analisti che seguono e monitorano una società, e si ritiene che le dimensioni di questa entità generi un’influenza negli investimenti in CSR. Binay, che in questo studio utilizza il KLD come output di CSR, mostra come una perdita di analisti, a causa di shock esogeni come la chiusura o la fusione di agenzie di intermediazione, determini un maggior punteggio KLD (e ciò indica maggiori spese in CSR), rispetto a società comparabili ma che non subiscono la riduzione di analisti. Inoltre, l’aumento di attività Corporate Social Responsibility, risulta più marcato in società che hanno maggiori problemi finanziari oppure hanno pochi analisti che le

monitorano. Una conclusione di questo studio conferma la teoria dell’agenzia, secondo la quale le attività CSR non sono benefiche per l’azienda e che gli analisti finanziari operano come un meccanismo esterno di monitoraggio e obbligano i manager a ridurre questi investimenti. Altri studi recenti ritengono che gli investimenti in CSR non rientrino negli interessi degli azionisti, ma siano effettuati dai manager in risposta ai propri interessi

personali. Ciò viene dimostrato, per esempio, da Cheng, Hong & Sue (2014), i quali ritengono che nel momento in cui la proprietà coincide con il management vi siano meno investimenti in CSR, dimostrazione del fatto che i manager sono più inclini a buone azioni quando

agiscono con soldi di altri soggetti e, di conseguenza, è evidente un problema di conflitto di interesse.

In molti paesi del mondo, specialmente in Europa, gli investimenti in CSR hanno, però, guadagnato una grande importanza, fino a diventare una parte indispensabile del mercato finanziario globale e, oltre ad essere considerati un fattore etico ed una strategia per ottenere consensi dagli investitori, sono diventati determinanti nelle decisioni di

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investimento. Nel 1999 emerge il già citato Dow Jones Sustainability Index, seguito poi dalla nascita di altri indici di sostenibilità e ciò ha catturato l’attenzione degli analisti e degli investitori, decretando una istituzionalizzazione della Corporate Social Responsibility. Nel 2003 UNEP (il Programma Delle Nazioni Unite Per L’Ambiente: un’agenzia specializzata con lo scopo della tutela dell’ambiente e la promozione dell’utilizzo sostenibile delle risorse naturali) ha dichiarato che una governance attenta all’ambiente porta ad un profondo effetto, nel lungo tempo, nel valore per gli azionisti. Successivamente, nel 2006, viene coniata dalle Nazioni Unite la definizione di “Investitore Responsabile” per gli investitori che incorporano fattori ambientali e sociali nel loro processo di investimento. Nel frattempo, in molte società nel mondo, viene inserita una nuova posizione esecutiva con l’obiettivo di ispezionare le criticità relative alla sostenibilità. Con il susseguirsi di questi eventi, le attività di CSR oggi non rientrano più tra gli interessi secondari, ma tra i temi strategici e

indispensabili per l’innovazione e le performance di lungo periodo. Allo stesso tempo l’introduzione di report specifici per le questioni di sostenibilità è un chiaro segno della necessità di comunicare queste informazioni agli analisti e al mercato.

Tutti questi elementi hanno portato ad un cambiamento di logica, spostando il mercato da una logica di agenzia, ad un orientamento che pone l’attenzione su vari portatori di interesse (logica degli stakeholder): secondo questa teoria le attività di CSR sono reinterpretate come una componente strategica per le performance di lungo periodo; esse non determinano dei problemi di agenzia, ma possono rappresentare un punto di forza per l’azienda, gli azionisti e la società16; si ha idea che rappresenti attenzione in innovazione e efficienza operativa17, rifletta ottima organizzazione o capacità manageriali18 oppure rappresenti uno sforzo dell’azienda nell’andare incontro ai bisogni di diversi portatori di interesse19. Infatti, molti studi, hanno sottolineato come i legami con i diversi stakeholder possano ridurre la

probabilità di negative azioni legislative e fiscali20, attrarre risorse finanziarie da Investitori

16

Ionnau, I., & Serafeim, G. (2015) “The Impact Of Corporate Social Reponsibility on Investment

Reccomandations: Analysts’Perceptions and Shifting Institutional Logics”. Strategic Management Journal, 36(7),

1053-1081

17

Porter ME., Van Der Linde C., (1995) “Toward A New Conception Of The Environment-Competitiveness Relationship”. The Journal Of Economic Perspectives 9(4): 97-118

18

Aragòn-Correa JA., (1998) “Strategic Proactivity And Firm Approach To The Natural Environment”. Academy

Of Management Journal 41(5): 556-567

19

Edward Freeman R, Evan WM. (1991) “Corporate Governance: A Stakeholder Interpretation”. Journal Of

Behavioral Economics 19(4): 337-359

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Responsabili21, attirare clienti attenti alla sfera sociale22, incrementare l’accesso al credito23, o aiutare aziende poco performanti ad uscire velocemente da posizioni sfavorevoli24, oltre che, come ritenuto in modo diffuso, a ottenere migliori performance grazie ad una migliore reputazione aziendale. Uno studio di Eccles et al. (2007) utilizzando dei campioni in un

orizzonte temporale di 18 anni, ha dimostrato come società sostenibili ottengono prestazioni migliori, sia nel mercato azionario sia nelle performance operative, rispetto a società

comparabili ma non considerate sostenibili25.

È da considerare che, come sempre più azionisti valutano le performance di comportamenti responsabili delle società, così le aziende che si prendono maggiormente cura dei vari portatori di interesse attraggono gli investitori verso le loro azioni e conseguentemente aumentano il rendimento. Più gli azionisti diventano “investitori universali” cioè,

riconoscono che il valore dell’asset non risiede soltanto nel dividendo ma si trova anche negli interessi della comunità, dell’economia, e perfino dell’intero pianeta, più gli analisti giocano un ruolo chiave trasmettendo le informazioni ed allineando così le visioni degli azionisti e degli altri stakeholder26. Tutto ciò rende sicuramente più complicato il lavoro dei manager, i quali devono prendere in considerazione gli interessi di diversi portatori di interesse, invece che concentrarsi esclusivamente sugli azionisti e sul loro bisogno di profitto, come

precedentemente supportato dalla logica dell’agenzia.

Il passaggio da una teoria all’altra non è né immediato né definito; ancora ad oggi non esiste una idea universalmente condivisa che decreti se gli investimenti in CSR siano positivi o negativi per l’impresa. È evidente però, che l’attenzione alle questioni ambientali e sociali sta diventando una componente sempre più centrale nella vita dei vari stakeholder, e di

conseguenza vi è la necessità di far fronte a questi bisogni, a prescindere da un effettivo guadagno da parte delle società.

21 Kapstein EB. (2001) “The Corporate Ethics Crusade”. Foreign Affairs 80(5): 105-119 22

Hillman AJ., Kleim GD. (2001) “Shareholder Value, Stakeholder Management, and Social Issues: What’s The Bottom Line?” Strategic Management Journal 22(2): 125-139

23

Ioannou I., Serafeim G., (2012) “The Consequences Of Mandatory Corporate Sustainability Reporting”.

Harvard Business School Research Working Paper No. 11-100

24

Choi J., Wang HL. (2009) “Stakeholder Relations and The Persistence of Corporate Financial Performance”.

Strategic Management Journal 30(8): 895-907

25 Eccles R., Ioannou I., Serafeim G. (2013) “The Impact Of A Corporate Sustainability On Organizational Process

and Performance” HBS Working Paper Series 11-016

26

Luo X., Wang H., Raithel S., Zheng Q., (2015) “Corporate Social Performance, Analyst Stock Recommendations, And Firm Future Returns”

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3. SOSTENIBILITÀ E ANALISTI FINANZIARI

Come citato nella prima parte di questa tesi, il compito degli analisti consiste,

sostanzialmente, nel generare consigli di investimento per i soggetti che operano nel mercato. Le questioni di sostenibilità sono considerate dagli investitori e di conseguenza anche gli analisti dovrebbero tenerne conto nei loro report. Dati molto importanti sono riportati da Paine (2003), il quale ha condotto due ricerche: nel 1993 ha evidenziato che il 72% degli investitori sostiene di considerare l’etica di una società nel momento della decisione di investimento; nel 1994, invece, scopre che il 26% degli investitori ritiene che l’etica e le pratiche di business siano estremamente importanti per le decisioni di

investimento e trae la conclusione che anche se gli investitori non sono direttamente

interessati dal comportamento etico delle società in cui investono, essi riconoscono che tale comportamento possa avere conseguenze finanziarie in essa27. Considerando solo queste evidenze, sembrerebbe che gli investimenti in CSR dovrebbero confluire in ottimistici consigli di investimento da parte degli analisti. In realtà, come precedentemente evidenziato, molti altri studi considerano gli investimenti in CSR la manifestazione di problemi di agenzia: i manager sono assunti dagli azionisti, i quali richiedono che essi impieghino i loro soldi in maniera efficiente con il solo scopo di aumentare i profitti.

Studiando la relazione tra queste due entità (analisti finanziari e spese per attività socialmente responsabili) è necessario prendere in considerazione diverse condizioni ed effetti che vengono riportati di seguito.

3.1 Teorie e raccomandazioni

Come viene percepito il “cambiamento” di teoria dagli analisti sell-side? Se inizialmente, coerentemente con la logica dell’agenzia, gli analisti davano raccomandazioni pessimistiche per le società con elevati CSR ratings ritenendo queste attività distruttive del benessere degli azionisti, con il cambiamento nella percezione di queste attività e lo spostamento ad una

27

Ionnau, I., & Serafeim, G. (2015) “The Impact Of Corporate Social Reponsibility on Investment

Reccomandations: Analysts’Perceptions and Shifting Institutional Logics”. Strategic Management Journal, 36(7),

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logica degli stakeholder, si prevede che nel tempo le raccomandazioni degli analisti sell-side saranno meno pessimistiche (più ottimistiche) per le società che investono in Corporate Social Responsibility.28 Sulla base di una ricerca sostenuta da CSR Europe, Deloitte e Euronext nel 2003, risulta che su 388 analisti finanziari, circa l’80% di essi ritengono che attività responsabili creino valore per l’azienda nel lungo periodo, e che circa la metà di questi tengono conto delle attività CSR nelle loro raccomandazioni; inoltre, il 37% degli analisti finanziari hanno dichiarato che garantirebbero un premio alle società socialmente responsabili e, al contrario, uno sconto a quelle irresponsabili29. Allo stesso modo, Luo, Wang, Raithel, Zheng nel 2014 hanno intervistato 28 analisti finanziari e determinato che la maggior parte di essi controllano le performance in CSR delle aziende che coprono; inoltre hanno documentato come le raccomandazioni degli analisti siano direttamente

proporzionali alle performance CSR delle società. 30 Nella parte empirica di questa tesi, si cercherà di capire più approfonditamente se e come gli analisti finanziari considerano gli investimenti in CSR.

3.2 Sostenibilità e analyst coverage

Un elemento da tenere in considerazione è la cosiddetta analyst coverage, cioè il numero di analisti che seguono un particolare stock di società. Dati gli studi che ritengono positivo il legame tra attività CSR e raccomandazioni finanziarie, ci aspetteremmo un impatto positivo di un aumento di analisti che osservano la società, nelle performance CSR, in quanto queste ultime aumentano il valore della società e ciò attrae l’attenzione degli analisti che le

considerano nei loro report. Ma se, invece, le attività CSR sono considerate il riflesso di un conflitto di interesse ed un modo sfruttato dai manager per perseguire i propri interessi personali, ci aspetteremmo che la copertura degli analisti sia negativamente associata alle attività CSR31. Per trovare la definizione di questa relazione, Chen et al hanno implementato

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Ionnau, I., & Serafeim, G. (2015) “The Impact Of Corporate Social Reponsibility on Investment

Reccomandations: Analysts’Perceptions and Shifting Institutional Logics”. Strategic Management Journal, 36(7),

1053-1081

29

CSR Europe, Deloitte, Euronext. (2003) “Investing In Responsible Business”

30 Luo X., Wang H., Raithel S., Zheng Q. (2014) “Corporate Social Performance, Analyst Stock Recommendations,

And Firm Future Returns”. Strategic Management Journal.

31

Hui D., Chen L., Xintong Z., (2015) “Do Analysts Matter For Corporate Social Responsibility? Evidence From Natural Experiments”

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due esperimenti basati su chiusure e fusioni di agenzie di intermediazione ripetute in diverse società e in tempi diversi in modo da ridurre l’errore derivante da omissione di variabili; queste chiusure e fusioni che, come precedentemente illustrato, sono utilizzate anche da Binay Kumar Adhikari (2014), rappresentano shock esogeni alla analyst coverage: la chiusura di agenzie di intermediazione può derivare da cambiamenti nel mercato e porta,

logicamente, alla riduzione di analisti per le società osservate, mentre, le fusioni tra agenzie di intermediazione portano ad una riduzione di analisti per le società che osservate da soggetti appartenenti ad entrambe le agenzie (quando le due agenzie si fondono, la nuova entità finisce per controllare due volte la stessa società, quindi uno dei due analisti smetterà di seguire quella determinata azienda causando una diminuzione del numero di analisti che la studiano rispetto a prima della fusione). Dagli esperimenti risulta che le aziende

commettono più attività irresponsabili in seguito ad una diminuzione dell’analyst coverage e, nello specifico, che le aziende controllate siano ancora più soggette a questa irresponsabilità rispetto alle loro controllanti. In questo modo viene stabilita una relazione negativa tra analyst coverage e comportamento irresponsabile. Occorre precisare che la diminuzione di analisti porta ad una più drastica conseguenza per le società seguite da pochi analisti, rispetto a società osservate da molti: la diminuzione di un analista, per una società seguita da 5 operatori, è sicuramente più determinante rispetto alla perdita dello stesso analista da parte di una società seguita da 15 analisti32.

Anche Binay Kumar Adhikari (2014), nello studio precedentemente riportato, conferma come gli analisti riducono problemi di agenzia mettendo pressione ai manager in modo che agiscano per aumentare il valore dei progetti e taglino le spese in CSR considerate

improduttive. Da questo si può dedurre che gli analisti finanziari hanno un effetto positivo per gli azionisti in quanto il loro controllo limita le spese che non sono proficue per i possessori delle azioni. Questo studio, però, non da una definitiva opinione sul fatto se le spese in CSR siano favorevoli alla società nella sua interezza e come gli analisti finanziari gestiscono il benessere dei portatori di interesse diversi dagli azionisti.

32

Hui D., Chen L., Xintong Z., (2015) “Do Analysts Matter For Corporate Social Responsibility? Evidence From Natural Experiments”

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3.3 CSR e condizioni personali degli analisti

Le dimensioni dell’agenzia di intermediazione in cui gli analisti lavorano possono influenzare il consiglio di investimento: gli analisti che fanno parte di grandi agenzie di intermediazione, infatti, sono più inclini a cambiare la loro ottica e a dare consigli di investimento più positivi per le società con elevati CSR ratings. Le grandi agenzie di intermediazione riescono più facilmente a rompere le regole e a cambiare la loro visione, prestando attenzione anche agli interessi dei vari stakeholder e abbandonando così l’agency logic. Inoltre, le

raccomandazioni di investimento degli analisti impiegati da grandi agenzie sono seguite più facilmente dagli investitori33.

Allo stesso modo, l’esperienza personale degli analisti è una variabile chiave per capire l’eterogeneità di percezione e, conseguentemente, anche delle raccomandazioni che essi danno. Gli analisti con più esperienza e di successo (high status) sono più inclini ad

infrangere le regole e a cambiare il loro comportamento, andando incontro alle emergenti nuove logiche istituzionali che indeboliscono quelle precedenti. Nel nostro caso quindi gli analisti “di successo” saranno i primi a dare delle raccomandazioni di investimento meno pessimistiche per le società che sono socialmente impegnate, rispetto agli analisti con meno esperienza, i quali tenderanno a rimanere conformi alla precedente logica che considera gli investimenti in attività CSR una manifestazione di problemi di agenzia34.

3.4 Raccomandazioni e società valutata

La governance aziendale può influenzare la relazione tra analisti finanziari e comportamento sociale irresponsabile e, di conseguenza, le raccomandazioni. Un buon indirizzo di

governance dovrebbe essere in grado di allineare gli interessi dei manager con quelli dei vari portatori di interesse in modo da garantire alla società un business responsabile che porti

33

Ionnau, I., & Serafeim, G. (2015) “The Impact Of Corporate Social Reponsibility on Investment

Reccomandations: Analysts’Perceptions and Shifting Institutional Logics”. Strategic Management Journal, 36(7),

1053-1081

34

Hong H., Kubik JD., Solomon A. (2000) “Security Analysts’ Career Concerns And Herding Of Earnings Forecasts” The Rand Journal Of Economics: 121-144

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profitto35. Un conflitto di interesse si può individuare nel momento in cui i manager siano anche azionisti della società: una diminuzione della proprietà dei manager li porta ad investire di più in CSR, in base al fatto noto che “si spendono più facilmente i soldi altrui”. Anche la situazione finanziaria di una società può impattare molto sul comportamento (ir)responsabile: come si può facilmente intuire, società che si trovano in ristrettezze finanziarie sono più inclini a risparmiare risorse attraverso attività irresponsabili (come lo scarico di liquame non trattato, l’utilizzazione di materiale conveniente ma inaffidabile, lo sfruttamento del lavoro minorile, ecc.) che sono meno costose. Riprendendo il caso della riduzione del numero di analisti, la conseguenza negativa derivante da uno shock esogeno appare più profonda nelle società in ristrettezze finanziarie.

3.5 l’Importanza degli analisti

Oltre che come meccanismo di governance, gli analisti finanziari sono molto importanti perché le loro raccomandazioni rappresentano una via di informazioni attraverso la quale le spese in CSR influenzano le performance finanziarie. In uno studio realizzato da Luo, Wang, Raithel e Zheng (2015), una delle rilevazioni consiste nel fatto che le performance finanziarie derivanti dagli investimenti in CSR si manifestano concretamente quando gli analisti

prestano attenzione al comportamento responsabile della società; invece, se gli analisti non considerano queste spese, il collegamento tra investimenti CSR e performance finanziarie può essere distante o illusivo. In sostanza, quando gli analisti controllano profondamente le attività operative delle società, il beneficio che le società traggono dagli investimenti

responsabili è più probabile che si realizzi36. Gli analisti che considerano gli investimenti in CSR e li includono nei loro report diventano, così, un’importante componente strategica, dal momento che gli investitori si affidano pesantemente alle raccomandazioni di questi

operatori. I manager devono tenere conto di questo fatto e possono così ottenere un quadro più completo dell’eventuale impatto finanziario che gli investimenti in CSR potranno avere.

35 Jo H., Harioto M.A. (2011) “Corporate Governance And Firm Value: The Impact Of Corporate Social

Responsibility” Journal Of Business Ethics 103(3): 351-383

36

Luo X., Wang H., Raithel S., Zheng Q., (2015) “Corporate Social Performance, Analyst Stock Recommendations, And Firm Future Returns”

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Se gli investimenti in CSR sono considerati la manifestazione di un problema di agenzia, è anche vero che la presenza degli analisti finanziari limita questo problema: gli analisti

riducono l’asimmetria informativa presente tra gli investitori e i manager, mettono pressione ai manager riguardo le performance e riducono le loro attività che non portano ad una massimizzazione del valore; tutto questo perché gli analisti monitorano l’attività dei manager indagando nelle loro strategie di business, intervistandoli durante le conferenze, analizzando la società e distribuendo informazioni al riguardo; per questo gli analisti sono considerati un meccanismo di monitoraggio esterno37. Il numero di analisti che seguono un’azienda, come già evidenziato, può cambiare a causa di shock esogeni e questo può avere conseguenze importanti non soltanto negli investimenti in CSR: una diminuzione degli

analisti può portare a un deterioramento della qualità dei report finanziari, ma soprattutto può portare ad acquisizioni ed operazioni che distruggono valore e a maggiori guadagni per il management. In altre parole, una diminuzione del monitoraggio da parte di analisti finanziari porta ad un incremento dei problemi di agenzia. Allo stesso modo la perdita di analisti aumenta l’asimmetria informativa e di conseguenza anche il costo del capitale.

Nonostante la varietà di studi compiuti, la risposta al quesito se investire in CSR sia un beneficio per gli azionisti o un problema di agenzia, è ancora senza una definitiva risposta.

(28)

4 TONE E DISCOURSE ANALYSIS

Il mercato offre un’enorme gamma di prodotti tra cui gli operatori possono scegliere i loro investimenti e per questo viene spontaneo chiedersi in base a quali elementi essi decidono a quali azioni affidare i propri mezzi. Nel preciso momento in cui gli investitori scelgono di indirizzare le loro risorse verso un determinato stock, scelgono anche a quali altri stock non dare importanza.

Per conoscere le condizioni finanziarie di una società, gli investitori utilizzano le informazioni derivanti dalle comunicazioni emesse direttamente dall’azienda, dagli analisti o dalle notizie di mercato, che comprendono descrizioni sia numeriche che testuali dell’azienda in termini di profitti. Non sono soltanto le cifre ad essere importanti per le scelte di investimento, anzi, anche le parole risultano essere fondamentali nell’azione di scelta.

Stabilita l’importanza del processo di comunicazione e dei relativi documenti, si vuole investigare su come questi report sono scritti, e in che modo possono indirizzare la scelta degli investitori.

4.1 Disclosure e attenzione degli investitori

Innanzitutto, tra la moltitudine di prodotti osservabili nel mercato, gli investitori restringono inizialmente il cerchio scegliendo tra quelli che attirano la loro attenzione38. Gli elementi che catturano l’interesse degli investitori e che possono essere misurati e studiati sono le notizie, un volume di trading inusuale e rendimenti estremi; infatt,i lo studio di Barber e Odean (2008) utilizza questi eventi per misurare il loro impatto nel volume di trading e di rendimenti, dato il loro potere di attrarre l’attenzione degli investitori. La conclusione di questo studio porta alla luce il fatto che gli operatori che maggiormente seguono ciò che attira la loro attenzione sono gli investitori individuali, i quali acquistano nei giorni che presentano un elevato volume di trading, nei giorni che seguono un rendimento estremamente positivo o estremamente negativo e quando gli stock fanno notizia; gli investitori professionali, invece, sono meno inclini a questa tendenza: essi monitorano in

38

Brad M. Barber, Terrance Odean, (2008) “All That Glitters: The Effect Of Attention And News On The Buying Behavior Of Individual And Institutional Investors”. The Review Of Financial Studies 21(2), 785-818

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continuazione un vasto range di stock e applicano criteri più logici, implementati da algoritmi calcolati a computer, e restringono il campo della ricerca concentrandosi su uno o più settori in particolare, dando meno importanza agli eventi oggetto dello studio e, di conseguenza, non sono intaccati da eventi straordinari o dal modo in cui le informazioni vengono comunicate.

Ci sono una moltitudine di studi che esaminano le decisioni di investimento in relazione alla disclosure. Bamber, Barron e Strober (1997) hanno documentato come il volume di

negoziazioni aumenti nei giorni di rilascio di informazioni o di movimenti di prezzo39; lo stesso è ritenuto da Lee (1992) il quale ha esaminato l’attività di trading vicina agli annunci di profitto per 230 stock nell’arco temporale di un anno e ha documentato come i piccoli investitori acquistino in seguito a “earnings surprise” (la situazione in cui i profitti sono maggiori o minori rispetto a quelli attesi dagli analisti) e come i broker contattino i loro clienti nell’arco temporale prossimo agli annunci di profitto40. In seguito, Odean (1998) ritiene che molti investitori siano troppo sicuri della qualità delle informazioni che hanno a disposizione e ciò li porti a negoziare in modo non ottimale41; gli investitori completamente razionali riconoscerebbero come limite il fatto di acquistare soltanto stock che attirano la loro attenzione: essi sanno che le informazioni associate agli eventi che mettono in luce gli stock possono essere già riflesse sul prezzo e che l’evento possa non essere così rilevante per le performance future ma, soprattutto, il fatto che altri stock non interessati da eventi

attrattivi possano essere più redditizi42. Grullon, Kanatas e Weston (2004) hanno

documentato come le aziende che spendono maggiormente in pubblicità hanno un numero maggiore di investitori sia individuali che istituzionali, confermando la tesi secondo la quale gli operatori affidano le loro risorse agli stock che attirano la loro attenzione43.

In contrasto con la tesi dell’attrazione degli investitori, Merton (1987) nota che gli investitori individuali tengono pochi differenti stock nel loro portafogli e ritiene che ciò derivi dalla

39

Bamber, L. Smith, O. E. Barron, T. L. Strober, (1997) “Trading Volume And Different Aspects Of Disagreement Coincident With Earnings Announcements” Accounting Review, 72, 575-597

40

Lee, Charles M. C., (1992) “Earnings News And Small Traders” Journal Of Accounting And Economics, 15,

265-302

41

Odean, Terrance, (1998) “Volume, Volatility, Price And Profit When All Trades Are Above Average” Journal Of

Finance, 53, 1887-1934

42 Brad M. Barber, Terrance Odean, (2008) “All That Glitters: The Effect Of Attention And News On The Buying

Behavior Of Individual And Institutional Investors”. The Review Of Financial Studies 21(2), 785-818

43

Grullon, Gustavo, G. Kanatas James P. Weston (2004) “Advertising, Breath Of Ownership And Liquidity” Review Of Financial Studies, 17, 439-461

(30)

difficoltà di raccogliere informazioni relative ad essi: gli investitori acquistano e vendono solo alcuni stock, che seguono attivamente, reperendo informazioni solo su di essi e non

curandosi degli altri, anche se interessati da eventi che potrebbero attirare la loro attenzione44.

4.2 Caratteristiche delle comunicazioni

Le comunicazioni dei manager sono composte da una parte qualitativa e verbale (soft information) e una parte quantitativa e numerica (hard information). Nonostante le informazioni numeriche sembrino essere quelle più importanti (in quanto certe e

verificabili), è stato esaminato da Elizabeth Demers e Clara Vega (2008) il ruolo delle soft information come elemento complementare del processo di formazione del prezzo. In effetti si assiste ad una maggiore risposta alle soft information, con evidenza nel prezzo, in

ambienti dove le hard information forniscono delle misure di valutazione più confuse45: se le hard information sono certe e precise, allora le soft information (anche se ugualmente precise) hanno un piccolo impatto nel prezzo in quanto sono poco utili come complemento di informazioni numeriche già certe; se invece le hard information sono poco chiare, allora le soft information hanno un maggiore impatto sul prezzo essendo le sole a portare certezza alla comunicazione dei manager e, di conseguenza, gli investitori daranno più peso ai dati verbali e meno alle informazioni numeriche.

È importante considerare anche la credibilità dell’ottimismo presente nelle comunicazioni dei manager: sebbene la legge vieti comunicazioni ingannevoli per il mercato, le informazioni contenute nel linguaggio degli annunci di profitto possono essere fuorvianti in quanto sono difficili da verificare non essendo numeriche e documentate. La letteratura ritiene che il mercato risponda maggiormente alle soft information quando: queste informazioni sono verificabili grazie alla simultanea uscita di più dati quantitativi, vi è la presenza di più esperti informati (analisti e media) che seguono la società e la reputazione delle previsioni dei manager è elevata. Dye e Sridhar (2004) hanno implementato un modello secondo il quale la

44 Merton, Robert (1987) “A Simple Model Of Capital Market Equilibrium With Incomplete Information” Journal

Of Finance, 42, 483-510

45

Demers, E., Vega, C., (2008) “Soft Information In Earnings Announcements: News Or Noise?” Working Paper,

(31)

manipolazione delle comunicazioni e dei dati è decrescente nel momento in cui vi è la presenza di osservatori esterni che possono verificarle46. Un modo sicuramente efficace utilizzabile dai manager per aumentare la credibilità delle loro soft information è

accompagnarle con delle hard information: in accordo con questa tesi Demers e Vega ritengono che l’ottimismo nelle comunicazioni dei manager che contengono molti dati numerici, dettagliati, precisi e verificabili aggiuntivi, hanno un impatto sul prezzo di 24 punti base in più rispetto alle comunicazioni che contengono minori referenze numeriche47. Nell’insieme si può stabilire che le soft information rilasciate dai manager giocano un ruolo significativo nella formazione del prezzo e che i “meccanismi di rivelazione della verità” portano i manager a rilasciare soft information sempre più informative e complementari alle hard information rilasciate simultaneamente.

4.3 Variazioni nella Disclosure

L’attività di disclosure ha conseguenze molto importanti nelle scelte degli investitori. Condizioni o eventi particolari come, per esempio, la decisione di effettuare una emissione di azioni, può essere per la società un forte incentivo a cambiare la politica di disclosure. Un aumento di comunicazioni può incrementare i proventi dell’emissione di titoli (riducendo l’asimmetria informativa oppure “pubblicizzando” lo stock) e portare ad un minore costo del capitale all’emissione (N.B. questa attività è limitata dalla legge che impedisce alle aziende di condizionare il mercato per l’imminente emissione di azioni alterando significativamente l’attività di disclosure). Uno studio interessante di Lang e Lundholm (2000) ha esaminato l’attività di comunicazione attorno al periodo di emissione di azioni e il relativo rendimento azionario. I risultati mostrano che l’attività di disclosure non varia in termini di frequenza e tono prima dei sei mesi precedenti all’annuncio di emissione ma, successivamente, all’inizio dei sei mesi anteriori all’offerta, le aziende studiate aumentano significativamente l’attività di comunicazione relativa ai mesi precedenti: fanno comunicazioni più frequenti relative alle

46

Dye, Ronald A., Sri S. Sridhar, (2004) “Reliability-Relevance Trade Offs And The Efficiency Of Aggregation”

Journal Of Accounting Research 42, 51-88

47

Demers, E., Vega, C., (2008) “Soft Information In Earnings Announcements: News Or Noise?” Working Paper,

(32)

performance, forniscono maggiori dettagli e interpretazioni manageriali dei loro risultati e, in genere, sono più ottimistici nel descrivere il semestre passato. Comunque, nel periodo precedente all’offerta, non è presente un cambio di frequenza nella comunicazione di previsioni future (fatto espressamente scoraggiato dalla legge). Interessante è capire se l’incremento dell’ottimismo nell’attività di comunicazione è associata ad un incremento nel prezzo delle azioni precedentemente all’offerta. Lang e Lundholm trovano che l’aumento di prezzo sia positivamente correlato con la frequenza di comunicazione: il test sui rendimenti indica che le aziende che effettuano nuove emissioni e che incrementano la disclosure, determinano un aumento di prezzo delle azioni prima dell’annuncio di offerta maggiore rispetto a quello previsto basandosi sui guadagni correnti e futuri dell’azienda. Ciò che accade successivamente all’aumento di prezzo, però, dipende dallo scopo della società, sottostante alle comunicazioni: nel momento in cui l’azienda comunica l’emissione di azioni, se il mercato interpreta l’aumento di disclosure come metodo per gonfiare lo stock, la reazione sarà negativa e il prezzo scenderà maggiormente per le società che hanno incrementato molto l’attività di disclosure nei mesi precedenti, rispetto alle società che hanno mantenuto il loro livello di comunicazioni. Infatti, risulta che le società che mantengono un costante livello di disclosure conoscono un aumento del prezzo prima dell’offerta e solo un minore declino nel momento dell’annuncio, coerentemente con l’idea che le comunicazioni riducono l’asimmetria informativa48.

In conclusione l’attività di discolsure è determinante non soltanto per ciò che contiene, ma anche per il modo in cui viene gestita. Variazioni nella modalità e nella tempistica delle comunicazioni possono essere una via per influenzare le scelte degli investitori e il prezzo.

4.4 Spin e Tone

A condizionare le decisioni di acquisto degli investitori, può essere il modo in cui i documenti che rilasciano informazioni, come le comunicazioni delle società, gli annunci di profitto o i report degli analisti, sono scritti. Uno studio molto esaustivo di Sadique, In e Veeraraghavan (2008) investiga sull’effetto che la modalità di presentazione delle comunicazioni e dei report ha sul rendimento e sulla volatilità degli stock e, quindi, sulle decisioni degli investitori

48

Lang M.H., Lundholm R.J., (2000) “Voluntary Disclosure And Equity Offerings: Reducing Information Asymmetry Or Hyping The Stock?” Contemporary Accounting Research 17(4), 623-662

Riferimenti

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