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Valutazione dell'attivita antibatterica di un miele di tiglio

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

Scuola di Specializzazione in Sanità Animale, Allevamento e Produzioni Zootecniche

TITOLO

VALUTAZIONE DELL'ATTIVITÀ ANTIMICROBICA DI UN MIELE DI TIGLIO

Candidato: Dr. Michelangelo Cecconi Relatore: Dr. Filippo Fratini

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ENTIA NON SUNT MULTIPLICANDA PRAETER NECESSITATEM il rasoio di Guglielmo da Ockham mi raderà per tutta la vita

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Ringraziamenti:

Ringrazio il mio Babbo e la mia Mamma, la mia compagna Roberta, il Prof. Domenico Cerri per la sua paziente sopportazione, il Prof. Filippo Fratini, la Dr.ssa Barbara Turchi e la Dr.ssa Alessia Galiero, per il buon tempo trascorso e i tanti insegnamenti da loro appresi, il Sig. Michael Thien per avermi fornito la materia prima, il gruppo degli apidologi in particolare il ricercatore Dr. Antonio Felicioli e la Dr.ssa Simona Sagona, per avermi introdotto all'arte ed infine ringrazio ancora l'ape, che dopo avermi spiegato come funziona il mistero della vita, nonostante mi punga ancora e fortemente, continuo testardamente a frequentare...

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INDICE

Riassunto Pag. 1

Introduzione Pag. 2

Capitolo 1 Il miele Pag. 3

§1.1 Cosa è il miele Pag. 3

§ 1.2 Composizione del miele Pag. 5

§ 1.3 Il miele nella storia Pag. 11

§ 1.3.1 Il consumo del miele nella società moderna. Pag 13

§ 1.4 Come avviene la produzione del miele Pag. 15

§ 1.4.1 Dal nettare al miele Pag. 15

§ 1.5 La flora apistica e le varietà di miele Pag. 19

§ 1.6 Proprietà del miele Pag. 22

§ 1.6.1 Le inibine del miele Pag. 23

§ 1.6.2 La produzione di inibine non perossidi Pag. 24 § 1.6.3 Natura chimica delle inibine non perossido Pag. 26

Capitolo 2 Il tiglio Pag. 28

§ 2.1 Generalità sulla pianta di Tiglio (Tilia spp. - Tiliaceae, Malvaceae nella classificazione APG).

Pag. 28

§ 2.2 Interesse apistico del tiglio. Pag. 31

§ 2.3 Le proprietà del tiglio. Pag. 31

§ 2.4 Il miele di tiglio. Pag. 32

§ 2.5 Aspetti organolettici. Pag. 34

§ 2.6 Aspetti chimico fisici. Pag. 34

§ 2.7 Proprietà del miele di tiglio Pag. 35

Capitolo 3 Parte sperimentale Pag. 39

§ 3.1 Materiali e metodi Pag. 39

§ 3.1.1 Descrizione del miele impiegato nella prova sperimentale Pag. 39 § 3.1.2 Selezione e rivitalizzazione dei ceppi batterici utilizzati nella

ricerca

Pag. 41 § 3.1.3 Determinazione del valore di MIC (minima concentrazione

inibente) del miele di tiglio nei confronti dei diversi ceppi batterici. Pag. 42

Capitolo 4 Risultati Pag. 44

Capitolo 5 Conclusioni Pag. 45

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RIASSUNTO

Questo lavoro si prefigge di valutare l'eventuale attività antibatterica di un miele di tiglio proveniente dal nord ovest della Germania. Nella prima parte della tesi viene fatta una descrizione del miele in generale come prodotto, con brevi cenni di riferimento normativo per poi passare a come esso viene prodotto dalle api, di seguito si fa riferimento alle sue qualità generali e poi alle caratteristiche particolari con riferimenti specifici alle già note e conosciute attività del miele come antibatterico. Vi è poi una sezione descrittiva generale riferita alla pianta di tiglio, dove vengono valutati gli aspetti prettamente botanici e di seguito una sezione dove vengono discusse le peculiarità della pianta, che da centinaia di anni, nelle sue parti, viene utilizzata a scopi terapeutici.

La tesi si conclude con una parte sperimentale dove il miele in questione è stato saggiato attraverso la metodologia della concentrazione minima inibente (MIC) per valutarne l'attività antibatterica nei confronti di ceppi di Enterobatteriacee, Pseudomonacee, E. Coli, Stafilococchi e Salmonella.

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Introduzione.

L'attività antibatterica posseduta dal miele è ben nota da diverso tempo, ma le frontiere dello studio su tal proposito rimangono ancora molto aperte soprattutto in relazione al fatto che le varietà di questo prodotto sono innumerevoli e quindi una valutazione corretta delle sue caratteristiche è ben lungi da essere conclusa. Come verrà specificato in seguito la capacità antibatterica del miele risiede nella presenza in esso di specifici composti suddivisibili in due categorie principali, composti perossidi e non perossidi, la presenza nel miele di queste sostanze è dovuta sia all'attività di produzione da parte delle api, sia, alla presenza di specifici composti provenienti dalla varietà botanica bottinata dalle api.

La scelta di valutare un miele di tiglio è legata alle ben note proprietà fitoterapiche di questa pianta, ed anche al fatto che in letteratura abbiamo trovato ben pochi studi specifici, la ricerca in nord Europa della materia prima è invece dovuta al fatto che in quelle regioni avviene la maggior parte la produzione di miele monoflora di tiglio, che in Italia è invece limitata a piccole zone del Piemonte, oltre che per la produzione le api bottinano maggiormente su esemplari di Tilia cordata (Miller) e non di Tilia platyphyllos (Scop.) il primo dei quali sembrerebbe avere un contenuto di sostanze fenoliche maggiore in certe sue parti (soprattutto nelle foglie).

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CAPITOLO 1 IL MIELE

§ 1.1 Cosa è il miele

Il miele, prodotto che tutti noi conosciamo, viene definito dal decreto legislativo 21 maggio 2004 n. 179 (in attuazione della direttiva 2001/110/ce concernente la produzione e la commercializzazione del miele) come “la sostanza dolce naturale che le api (Apis mellifera) producono dal nettare di piante o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o dalle sostanze secrete da insetti succhiatori che si trovano su parti vive di piante che esse bottinano, trasformano, combinandole con sostanze specifiche proprie, depositano, disidratano, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell'alveare.”

Forse è uno dei pochi casi che conosco dove, una fonte del diritto, si esprime usando questi termini, dolce e naturale, ed in qualche maniera soprattutto il termine “naturale” esprime già in modo profondo quanto questo prodotto sia così davvero vicino al mondo della natura sia per la sua semplicità e genuinità intrinseca sia per le implicazioni che la vita delle api ha sul nostro mondo.

La norma continua nelle seguenti esplicazioni, le principali varietà di miele sono: a) secondo l'origine:

1) miele di fiori o miele di nettare: miele ottenuto dal nettare di piante; 2) miele di melata: miele ottenuto principalmente dalle sostanze secrete da insetti succhiatori (Hemiptera), che si trovano su parti vive di piante o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante; b) secondo il metodo di produzione o di estrazione:

1) miele in favo: miele immagazzinato dalle api negli alveoli, successivamente opercolati, di favi da esse appena costruiti o costruiti a partire da sottili fogli cerei realizzati unicamente con cera d'api, non contenenti covata e venduto in favi anche interi; 2) miele

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con pezzi di favo o sezioni di favo nel miele: miele che contiene uno o più pezzi di miele in favo; 3) miele scolato: miele ottenuto mediante scolatura dei favi disopercolati non contenenti covata; 4) miele centrifugato: miele ottenuto mediante centrifugazione dei favi disopercolati non contenenti covata; 5) miele torchiato: miele ottenuto mediante pressione dei favi non contenenti covata, senza riscaldamento o con riscaldamento moderato a un massimo di 45 °C; 6) miele filtrato: miele ottenuto eliminando sostanze organiche o inorganiche estranee in modo da avere come risultato un'eliminazione significativa dei pollini...[omissis]...

...[omissis]... Il miele e' essenzialmente composto da diversi zuccheri, soprattutto da fruttosio e glucosio, nonché' da altre sostanze quali acidi organici, enzimi e particelle solide provenienti dalla raccolta del miele. Il colore del miele può variare da una tinta quasi incolore al marrone scuro. Esso può avere una consistenza fluida, densa o cristallizzata (totalmente o parzialmente). Il sapore e l'aroma variano ma derivano dalle piante d'origine. Il miele immesso sul mercato in quanto tale o utilizzato in prodotti destinati al consumo umano deve presentare le seguenti caratteristiche di composizione: 1. Tenore di zuccheri.

1.1. Tenore di fruttosio e glucosio (somma dei due): miele di nettare non meno di 60 g/100 g; miele di melata, miscele di miele di melata e miele di nettare non meno di 45 g/100 g. 1.2. Tenore di saccarosio: in genere non più di 5 g/100 g; robinia (Robinia pseudoacacia), erba medica (Medicago sativa), banksia (Banksia menziesii), sulla (Hedysarum coronarium), eucalipto rosastro (Eucalyptus camaldulensis), Eucryphia lucida, Eucryphia milliganii, Citrus spp. non più di 10 g/100 g; lavanda (Lavandula spp.), borragine (Borago officinalis) non più di 15 g/100 g.

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in genere non più del 20%;

miele di brughiera (Calluna) e miele per uso industriale in genere non più del 23%; miele di brughiera (Calluna) per uso industriale non più del 25%.

3. Tenore di sostanze insolubili nell'acqua: in genere non più di 0,1g/100;

miele torchiato non più di 0,5 g/100 g.

4. Conduttività elettrica: tipi di miele non elencati nel secondo e terzo trattino e miscele di tali tipi di miele non più di 0,8 mS/cm; miele di melata e di castagno e miscele con tali tipi di miele ad eccezione di quelli indicati nel terzo trattino non meno di 0,8 mS/cm; eccezioni: corbezzolo (Arbutus unedo), erica (Erica spp.), eucalipto (Eucalyptus spp.), tiglio (Tilia spp.), brugo (Calluna vulgaris), Leptospermum, Melaleuca spp.

5. Acidità libera: in genere non più di 50 meq/kg; miele per uso industriale non più di 80 meq/kg.

6. Indice diastasico e tenore di idrossimetilfurfurale (HMF), determinati dopo trattamento e miscela:

a) indice diastasico (scala di Schade): in genere, tranne miele per uso industriale non meno di 8; miele con basso tenore naturale di enzimi (ad esempio, miele di agrumi) e tenore di HMF non superiore a 15 mg/kg non meno di 3;

b) HMF: in genere, tranne miele per uso industriale non più di 40 mg/kg (fatte salve le disposizioni di cui alla lettera a), secondo trattino); miele di origine dichiarata da regioni con clima tropicale e miscele di tali tipi di miele non più di 80 mg/kg.

§ 1.2 Composizione del miele

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composti siano stati identificati, probabilmente, come per gli altri prodotti dell’alveare, ci sono sostanze quantitativamente minori ancora da isolare e identificare.

Alcuni gruppi di componenti sono sempre presenti (zuccheri, acqua, sali minerali, acidi organici, enzimi, etc.), ma le loro proporzioni relative possono subire variazioni anche importanti. Per gli zuccheri, ad esempio, il contenuto complessivo è abbastanza costante, ma i singoli composti differiscono frequentemente per la quantità e a volte anche per la loro stessa presenza che può esservi o meno. I costituenti fondamentali di un miele, come si è visto, sono strettamente legati alla composizione del nettare o della melata da cui esso deriva, cioè alla sua origine botanica e sono inoltre condizionati dagli interventi dell’apicoltore e, nel tempo, dalle modalità di conservazione. Dunque la natura e l’origine stessa del miele non consentono una standardizzazione rigorosa dei suoi valori di composizione e giustificano l’affermazione che non esistono due mieli identici: è tale aspetto senza dubbio che rende questo prodotto, anche fra quelli naturali, il più particolare e suggestivo. I composti principali rimangono zuccheri, acqua, sali minerali, acidi organici ed enzimi, ma le loro proporzioni relative possono variare in relazione all’origine del nettare e della melata. Con una buona approssimazione, si può dire che i carboidrati costituiscano circa il 75-80% del miele, l’acqua il 16,6-18,5%, gli acidi organici dallo 0,1 allo 0,5%, i sali minerali dallo 0,1 all’1,5%, le sostanze azotate organiche dallo 0,2 al 2% e infine i componenti dell’aroma e le vitamine siano presenti in tracce (A.G. Sabatini et al. 2007)

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Disaccaridi e polisaccaridi. Oltre ai due monosaccaridi di base (fruttosio e glucosio) ed al

saccarosio, le analisi hanno rivelato la presenza di maltosio, isomaltosio, maltulosio, furanosio, nigerosio, melicitosio, erbosio, raffinosio. Questi ultimi tre zuccheri complessi, non presenti nel nettare, si trasformano in per attività enzimatica durante la "maturazione" del miele.

L'invecchiamento del miele porta ad una diminuzione del tasso di glucosio e ad un aumento in polisaccaridi. La degradazione del fruttosio nel tempo porta alla produzione di idrossilmetilfurfurolo.

Sostanze aromatiche e acidi. Figurano in questo gruppo l'aldeide butirrica, la

formaldeide, l'acetaldeide, il diacetile, l'idrossilmetilfurfurolo da un lato e acido citrico, acetico, formico, butirrico, succinico, malico, lattico, che completano il tipico aroma del miele. Fra gli acidi inorganici sono presenti il fosforico e il cloridrico.

Grafico 1: grafico riportante la composizione media del miele in percentuale rispetto ai componenti principali (A.G. Sabatini et al. 2007) Fruttosio 38% Acqua 17% Altri zuccheri 2% sostanze diverse 4% disaccaridi 8% glucosio 31%

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Sostanze azotate. Sono presenti proteine (albumine, istoni, protamine, globuline) e tutti i

principali aminoacidi essenziali.

Vitamine. Il miele contiene Vit. B1, B2, B6, Biotina, acido pantotenico, Vit. C, E, K Sali minerali. Di Sodio, Potassio, Calcio, Magnesio, come cloruri, fosfati, solfati. Oligo elementi. Ferro, Manganese, Rame, Cobalto, Cromo, Nichel, Litio, Zinco. Fattori ormonali. Fra cui l'acetilcolina e vari steroidi.

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composizione chimica media del miele:

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§ 1.3 Il miele nella storia

Il mondo delle api (esistenti già a partire da un'epoca compresa tra il Siluriano e il Devoniano circa 450.000.000 e 400.000.000 di anni fa) si intreccia con quello dell'uomo dal momento stesso in cui questo ha fatto la sua comparsa sul pianeta, probabilmente già all'epoca in cui esso era un raccoglitore, frugivoro e si nutriva di cose semplici che la natura metteva a sua disposizione, era sicuramente conosciuta la bontà del miele e della covata, basti pensare a certi disegni rupestri rinvenuti in Spagna (zona di Valencia) che ritraggono uomini in attività di raccolta di miele da favi naturali, attività ancora oggi diffusa in certe aree dell'india e dell'Africa.

va detto che le prime tracce di una vera e propria apicoltura sviluppata vanno però fatte risalire al mondo dell'antico Egitto in particolare a circa 3600 anni fa, come testimoniato da disegni trovati sul sarcofago di Mykirinos.

Foto 1: raccoglitore di miele del mesolitico (9000 anni fa) pittura rupestre (fonte foto A. Contessi 2010)

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Il miele ha rappresentato nei secoli per l'uomo oltre ad un importante nutrimento ricco ed appetibile anche l'unico dolcificante (fino all'introduzione della coltivazione della barbabietola da zucchero quindi dopo la scoperta dell'America).

Per molto tempo però ben poco si è conosciuto del mondo delle api e la raccolta del miele era accompagnata sempre dall'apicidio, l'uomo si limitava a fornire un riparo temporaneo a questi insetti (bugni villici) si conosceva poco della loro e vita e del loro comportamento , infatti imperavano forme di superstizione e credenze come quella che esse generassero dal corpo di bovini morti (Varrone lo scrive riferendosi ad Archelào d'Egitto che avrebbe chiamato le api “di putrefatte vacche alati figli”).

Nel 1851 Lorenzo Lorraine Langstroth scoprì il così detto spazio d'ape e questa misura rivoluzionò un mondo che fino allora era rimasto immobile, consentì l'invenzione di

Foto 2: dipinto ricavato da un rilievo presente nella tomba di Pa-bu-sa ritraente apicoltore al lavoro (fonte foto A. Contessi 2010)

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un'arnia con i favi mobili, che avrebbe consentito la produzione di miele senza la pratica dell'apicidio, fu questo passo dette inizio a una vera e propria forma di allevamento moderno (A. Contessi 2010).

l'arnia odierna (sia Langstroth che che Dadant-Blatt) consente la possibilità di produrre miele in favi privi di covata, in modo più salubre e più sicuro e senza ricorrere alla distruzione dei nidi.

§ 1.3.1 Il consumo del miele nella società moderna

Pur avendo sicuramente perso l'importanza che poteva avere nel passato come fonte di sopravvivenza, il consumo di miele, ad oggi, ha un andamento piuttosto costante nel tempo, nella comunità europea, il consumo medio si aggira circa a 600 gr/anno pro capite,

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un 35% in meno nel nostro paese dove si attesta a 400 gr./anno, in aumento è invece il consumo di miele “industriale” cioè integrato come ingrediente in altri prodotti alimentari (ad esempio corn flakes, yogurt e dolci in genere). Un certo riscontro positivo è legato al consumo attraverso quei prodotti che contengono miele in altre forme, quali quelli farmaceutici, nutracetici e cosmetici. L'Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari (AIIPA), stima che se 30 anni fa il consumo di miele come ingrediente di prodotti proposti dall’industria alimentare, farmaceutica e cosmetica ammontava a circa il 15% del totale, oggi arriviamo alla cifra record di circa il 40%. Con un trend in ulteriore crescita, per i prossimi quattro/cinque anni, che fa prevedere di raggiungere la soglia del 50% del consumo totale di miele.

Attualmente, dunque, delle 20.000 tonnellate circa di miele consumate in media ogni anno in Italia, circa 8000 (il 40%) diventano ingrediente di alcuni prodotti alimentari, all’insegna della leggerezza e della naturalità, o cosmetici. Mentre il restante 60% (pari a circa 12.000 tonnellate) viene utilizzato “in modo diretto” dai nostri connazionali: la metà (pari a circa 6000 tonnellate) come ingrediente da utilizzare in cucina, soprattutto per la preparazione di dolci tradizionali, mentre il restante 50% (sempre per un peso in volume di circa 6000 tonnellate) viene consumato “tal quale”, in occasione della prima colazione o in abbinamento ai formaggi o ad altri alimenti.

Il consumo del miele, negli ultimi anni, si e’ dimostrato, comunque, piuttosto stabile, attestandosi sulle 18-20 mila tonnellate annue per un giro d’affari di oltre 64 milioni di euro. La produzione nazionale (circa 10.000 tonnellate annue) copre circa il 50% del fabbisogno lasciando quindi, se pur gli italiani non siano dei grandi consumatori di questo bene, un'ampia fetta di mercato da coprire (fonte: AIIPA).

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extraeuropei, tradizionalmente esportatori in Europa, e focalizzato sulla percezione delle differenze inerenti la competizione produttiva e commerciale, fa sovente dimenticare il dato per cui è la stessa U.E. è uno dei più grandi produttori mondiali di miele, e non solo uno dei più importanti mercati e ambiti di consumo.

Se invece ci si sofferma sull'osservazione dell'andamento dei quantitativi importati nella Comunità negli anni più recenti, si deve prendere atto che le cifre dell'importazione ci indicano un grave, notevole e preoccupante calo delle capacità produttive apistiche da parte degli oltre 600.000 apicoltori operanti nella Comunità (http://www.apitalia.net/it/attualita).

§ 1.4 Come avviene la produzione del miele

Il miele rappresenta la fonte di cibo essenziale per la sopravvivenza delle api adulte e nel loro stadio larvale, esso è prodotto dalle stesse api attraverso la raccolta di nettare o melata. Al contrario di come si credeva un tempo, il miele, non è semplicemente il nettare raccolto e stoccato nelle cellette dei favi, ma un vero e proprio prodotto di origine animale, elaborato attivamente dalle api stesse (da cui anche il cambiamento del loro nome da apis mellifera ad apis mellifica).

Tralasciando in questa sede la descrizione della complicata modalità di ricerca delle zone di foraggio da parte delle bottinatrici, ci limiteremo a dare una breve descrizione di come avviene la raccolta della materia prima e la sua trasformazione.

§ 1.4.1 Dal nettare al miele

Il nettare è una soluzione acquosa di zuccheri più o meno viscosa che viene secreta da ghiandole presenti sulle varie specie botaniche dette nettàri. La localizzazione di questi

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organi sulla pianta può essere nel fiore ed in questo caso si parla di nettàri florali; essi oltre ad essere la fonte principale di nettare per le api sono anche implicati nel processo di attrazione degli animali pronubi ai fini dell'impollinazione (M. Pinzauti 2000).

Un altro tipo di nettàrio è quello che si trova in parti non riproduttive della pianta ed è perciò detto extraflorale (foglie, tronco piccioli ecc.). L’origine del nettare secreto è la linfa floematica (Zimmermann, 1953).

La sua composizione è data da acqua (presente da 40 a 80%) e zuccheri (7 – 60%) sono presenti inoltre altre sostanze in piccole quantità, olii essenziali, composti azotati, minerali e vitamine che contribuiscono a conferire al nettare caratteristiche bromatologiche particolari, gli zuccheri presenti sono rappresentati prevalentemente da saccarosio, glucosio e fruttosio in quantità differenti a seconda della specie vegetale considerata. Anche la melata, che è un liquido prodotto dalle escrezioni di certi parassiti delle piante appartenenti soprattutto a tre tipi, afidi, coccidi e psillidi, può essere usata per la produzione di un miele particolare, le api raccolgono queste escrezioni, che si presentano in forma di goccioline, contenenti una notevole quantità di zuccheri e le trasformano appunto in miele di melata.

L'ape, durante la raccolta, si approssima al fiore o ai nettàri extraflorali (o alla melata) e sugge, grazie alla ligula ed attraverso la proboscide (insieme delle parti dell'apparato buccale disposti in modo da formare un canale attraversato dalla stessa ligula), il nettare. Il liquido risucchiato grazie a movimenti di dilatazione e compressione del cibarium arriva alla borsa melaria e qui accumulato; al momento che l'ape ha repleto completamente la borsa (con un contenuto in nettare di circa 40 mg, cioè un terzo del suo peso) fa ritorno all'alveare.

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all'aggiunta di certe sostanze ad attività enzimatica (diastasi, invertasi ecc.) che avviene nella borsa melaria, arrivata a destinazione essa lo passa attraverso un processo di scambio denominato “trofallassi” ad altre api le quali provvedono ad elaborarlo ulteriormente, inoltre durante i ripetuti passaggi avviene anche una diminuzione del contenuto in acqua del prodotto, che sarà stoccato nelle cellette solo quando avrà raggiunto una umidità del 40-50%, solo in seguito però, quando il contenuto in acqua sarà sceso al 20% circa, il miele stoccato verrà opercolato. Si considera che siano necessari 5 kg di nettare per produrre 2-3 kg di miele in media (A. Contessi 2010).

L’azione svolta dall’ape per trasformare il nettare o la melata in miele è profonda e complessa. I componenti del miele sono fondamentalmente gli stessi presenti nella materia prima, che però l’ape arricchisce di secrezioni proprie in grado di provocare importanti trasformazioni.

Il processo di formazione del miele ha propriamente inizio quando la bottinatrice, rientrando all’alveare, passa ad un’ape di casa la goccia di materia prima raccolta. La stessa goccia viene poi rapidamente passata da un’ape all’altra e questo processo, che si svolge per 15-20 minuti (la suddetta trofallassi), provoca la riduzione dell’elevato contenuto iniziale in acqua grazie all’aria relativamente calda e secca presente all’interno dell’alveare e all’estesa superficie che occupa la goccia lungo la ligula allungata dell’ape. In un secondo momento, quando viene depositata nelle celle, avviene una seconda fase di evaporazione, senza l’intervento diretto delle api, che porta a ottenere il miele maturo, cioè con un tenore di acqua sufficientemente basso da garantirne la stabilità (inferiore a 18%): a questo punto la cella viene sigillata dalle api mediante un opercolo di cera.

Durante i numerosi passaggi da un’ape all’altra, oltre alla riduzione del contenuto in acqua, avviene anche un altro importante fenomeno,vengono via via aggiunte, dalle api che

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prendono parte al processo, secrezioni ghiandolari dotate di diversa attività enzimatica che determinano una serie di trasformazioni chimiche prevalentemente a carico degli zuccheri. In questo senso risulta fondamentale l’azione di un’invertasi, capace di scindere la molecola di saccarosio nei due monosaccaridi che la compongono: fruttosio e glucosio. Complessivamente, quindi, l’azione dell’ape porta a una riduzione del contenuto in acqua mediante evaporazione, fino ad un valore compatibile con la conservabilità del miele, ad un aumento del tenore in enzimi e ad un livellamento dello spettro zuccherino. Infatti le differenze di composizione tra nettari di diversa origine botanica sono più evidenti rispetto ai mieli che ne derivano, soprattutto per quanto riguarda gli zuccheri. Tra questi ultimi, a causa appunto dell’azione di livellamento operata dall’intervento dell’ape, si stabilisce via via un equilibrio che porta nella maggior parte dei mieli a uno spettro zuccherino relativamente uniforme .

In alcuni casi tuttavia, soprattutto nei mieli di melata e nei mieli uniflorali (derivanti principalmente da un sola specie botanica), quando cioè l’influenza della materia prima è maggiore, si verificano situazioni più o meno differenziate rispetto al tipo base di spettro zuccherino (A.G. Sabatini et al. 2007).

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§ 1.5 La flora apistica e le varietà di miele

come è stato descritto il miele deriva dal nettare o dalla melata e molte delle sue caratteristiche dipendono proprio dalla sua origine botanica, sia caratteristiche chimico fisiche che bromatologiche ed organolettiche, nella pratica dell'apicoltura una profonda conoscenza della flora apistica risulterà indispensabile per l'individuazione dei migliori pascoli per la produzione del miele.

Le differenti specie vegetali hanno una determinata attrattività nei confronti delle api, tanto più forte quanto più forniscono alimento per loro, sia sotto forma di nettare, che di melata o polline.

Per la valutazione delle potenzialità produttive di una pianta si fa riferimento al “potenziale nettarifero” delle differenti specie, che rappresenta la quantità di nettare secreto da un fiore nelle ventiquattro ore, la sua concentrazione in zuccheri, la durata dell'infiorescenza, la quantità di fiori presenti in una data area (per le piante erbacee) o per pianta quando si tratta di alberi.

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I risultati finali vengono espressi poi in potenziale mellifero (miele/ha), e rappresentano la possibile produzione di miele, con quella data specie vegetale per una data area, le piante vengono differenziate in sei differenti categorie in una scala che va da I a IV secondo il seguente schema:

(*) dati relativi a indagini svolte in Italia (Ricciardelli D’Albore e Intoppa, 1979; Ricciardelli D’Albore, 1987)

(**) dati relativi a indagini svolte nell’est europeo (Crane, 1975)

nel quale sono considerate, naturalmente, solo le specie botaniche più comuni.

La vegetazione è suddivisa secondo tre piani altitudinali, ognuno dei quali è distinto in due “orizzonti”, che si estendono approssimativamente per 500 metri di altitudine e sono definiti in base alla specie botanica prevalente.

Piano basale, va dall'orizzonte litoraneo fino all'orizzonte sub-montano inferiore (da 0 a

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italicum) fino a quello collinare (querce e altre latifoglie termo-xerofile) passando attraverso la macchia mediterranea.

Piano sub-montano, che va dall'orizzonte sub-montano fino a quello montano inferiore (da 400-600 mt. a 800-1200 mt.) caratterizzato da querce e altre latifoglie meso-termofile, eliofile , faggi castagni e conifere (siamo al limite delle latifoglie termofile).

Piano montano, dall'orizzonte montano inferiore fino a quello alpino inferiore (da 800-1200 mt. A 2000-2200 mt.) caratterizzato da faggete, ma anche pinete, abetai e lariceti fino al limite massimo della crescita arborea.

Piano alpino, dall'orizzonte alpino inferiore fino a quello nivale (3000 mt.) con la presenza di rodoreti, ericeti, festuceti e mugheti.

Piano nivale, oltre 3000 metri di altitudine, di nessuna importanza per la flora apistica, che non è presente in quanto caratterizzato da crescita di vegetali particolari come muschi e licheni (www.uninsubria.it).

La flora di maggior interesse dal punto di vista apistico è sicuramente quella che si trova tra il piano basale e quello montano, sono a queste altimetrie che si trovano la maggior parte delle essenze vegetali interessanti per la produzione del miele sia come qualità che come quantità. I mieli prodotti sono suddivisibili a seconda delle varietà e della prevalenza del tipo vegetale bottinato in mieli monoflorali o multiflorali. Quelli multilforali sono mieli alla cui produzione contribuiscono differenti varietà botaniche ognuna in varia proporzione e sono i mieli tipici delle zone rurali dove non vi sono monocolture intensive e le api sono libere di scegliere le specie su cui bottinare.

I mieli monoflorali sono invece quelli in cui vi è una netta prevalenza di una specifica specie botanica sulle altre, in genere il miele è considerato monoflorale quando la presenza di un determinato polline appartenente ad una specifica pianta è presente in esso al di sopra

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del 45% rispetto agli altri granuli pollinici, ma, per le piante che hanno una sottorappresentazione pollinica, legata a caratteristiche intrinseche di bassa produzione, è sufficiente solo un 10-20% per essere considerato tale come avviene ad esempio per lavanda e rosmarino o addirittura meno per un miele di tiglio (C. Biondi 2014).

§ 1.6 Proprietà del miele

Caratteristico del miele è l'alto potere nutritivo (circa 330 kcal/100 gr.) e la velocità di assorbimento dei suoi carboidrati, inoltre presenta comprovate proprietà antibatteriche ed antiinfiammatorie nel trattamento delle ferite cutanee e in diverse patologie dell'apparato gastroenterico. Ciò è dovuto all'alta pressione osmotica, all'acidità e al perossido di idrogeno in esso contenuto. Il perossido di idrogeno (H2O2) prodotto grazie alla presenza di particolari enzimi è coinvolto in modo preponderante nell'attività antibatterica del miele

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(Marcelo Enrique Conti et al 2007).

Nell'attività antibatterica del miele sarebbero anche coinvolte sostanze non-perossidi, composti derivanti dal polline e dal nettare (Bogdanov 1997, Shahid 2009), conseguentemente si tratterebbe di una proprietà legata all'area geografica di provenienza e alle specie botaniche da cui deriva (Lubsy et al. 2005, Bogdanov et al. 2008).

l'importanza dello studio dell'attività antibatterica del miele e di altri prodotti naturali potrebbe rivelarsi molto importante a seguito del fatto che sempre più batteri dimostrano resistenza agli antibiotici più in uso come penicillina, tetracicline, cloramfenicolo e macrolidi (Levy e Marshall 2004).

§ 1.6.1 Le inibine del miele

Le sostanze presenti nel miele che sono coinvolte nella sua attività antibatterica vengono definite inibine, e sono distinte in due tipologie, quelle “perossidi” e quelle “non perossidi”.

Le inibine perossidi sono rappresentate sostanzialmente dall'acqua ossigenata (H2O2) essa si forma a seguito dell'interazione tra acqua e glucosio in presenza di un enzima detto glucoso ossidasi prodotto da ghiandole specifiche (ipofaringee) dell'ape secondo il seguente schema

Glucoso ossidasi + glucosio + H

2

O = H

2

O

2

+ acido gluconico

Va anche detto che in molti tipi di miele è presente un altro enzima detto catalasi che è antagonista della glucoso ossidasi ed il cui effetto è il seguente

Catalasi + H

2

O

2

= 2H

2

O + O

2

(28)

dell'attività di questi due enzimi.

Luce e calore possono influenzare negativamente la produzione di acqua ossigenata in quanto nuocciono alla glucoso ossidasi (Bogdanov e Blumer 2008).

Va detto che nel processo di produzione dell'acqua ossigenata è coinvolta l'acqua e di conseguenza essa potrà formarsi solo nei mieli immaturi, dove l'umidità è ancora elevata, al contrario nei mieli maturi, la sua produzione sarà così limitata da perdere quasi del tutto la capacità antibatterica (Bogdanov e Blumer). A questo punto intervengono però altre sostanze che hanno anch'esse attività batteriostatica/battericida, sono state identificate in lisozima, flavonoidi, polifenoli, acidi aromatici e altre ancora come sostanze volatili e componenti aromatiche ancora oggetto di studio (Molan 1992, 1997). Alla luce di ciò sorgono immediatamente molti dubbi da chiarire, quanto dell'attività antibatterica delle sostanze non perossido è legato all'origine botanica del miele? E quanto invece al contributo dell'ape? Diversi studi sono tutt'ora in corso al fine di chiarire tali quesiti.

§ 1.6.2 La produzione di inibine non perossidi

In uno studio svolto da Bogdanov e Blumer si sono presi in considerazione diversi mieli monoflorali e se ne è confrontata l'attività antibatterica nei confronti dello Staphylococcus aureus, alla fine dell'esperimento si è potuto constatare la differenza di tale attività rispetto alle tipologie di miele controllato, come evidenziato dal seguente schema:

(29)

risulta evidente una differente attività, maggiore in mieli come quello di colza o di melata rispetto a quello di rododendro, va anche detto però che sono state riscontrate anche delle variazioni di attività all'interno della stessa tipologia di miele, rimane un dato di fatto che comunque, parte dell'attività antibatterica non perossido è legata alla tipologia di varietà botanica d'origine.

Si è tentato poi di stabilire quale fosse il contributo delle api nella produzione di tali sostanze. Supponendo che l'attività delle sostanze non perossidi sia legata esclusivamente al contributo delle piante, l'azione inibitrice del miele prodotto tramite la somministrazione di sciroppo dovrebbe risultare sicuramente minore, vista la limitatissima o nulla presenza in esso di sostanze di origine vegetale, a tal scopo Bogdanov e Blumer hanno somministrato a due colonie d'api, durante il raccolto di miele di melata, dello sciroppo, quindi esse hanno prodotto miele anche a partire da zucchero raffinato, mentre le altre colonie hanno prodotto miele di bosco puro. Alla fine è risultato che l'attività antimicrobica non perossido del miele prodotto anche con sciroppo è stata solo lievemente inferiore

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rispetto a quello di bosco puro, da ciò risulterebbe evidente che le api parteciperebbero in maniera attiva alla produzione di sostanze con attività inibitoria nei confronti di alcuni batteri.

§ 1.6.3 Natura chimica delle inibine non perossido

Nello stesso studio sopra citato si è cercato di isolare le sostanze attive nei confronti dei batteri, sono state isolate sotto vuoto le sostanze volatili, poi le sostante neutre, le basiche e le acide mediante cromatografia di assorbimento su colonna. Dalle analisi è emerso che le sostanze acide hanno un'attività inibitoria maggiore rispetto alle altre nei confronti di Staphylococcus aureus e Micrococcus luteus, seguono le sostanze basiche e quelle neutre, le volatili hanno evidenziato attività minore. Va anche chiarito che, in dipendenza del tipo di miele, l'attività antibatterica è svolta maggiormente da un gruppo di sostanze rispetto all'altro, ad esempio nel miele di manuka sono le sostanze acide quelle a maggior attività, mentre in quello di colza risultano essere le neutre ed in quello di montagna le basi.

Naturalmente i dubbi permangono e l'attività di studio deve essere ancora approfondita per

(31)
(32)

CAPITOLO 2 IL TIGLIO

§ 2.1 Generalità sulla pianta di Tiglio (Tilia spp. - Tiliaceae, Malvaceae nella classificazione APG).

Si tratta di piante arboree molto longeve, che arrivano facilmente a 250 anni, con esemplari la cui età è stata stimata in oltre 2.000 anni. Sono alberi di notevoli dimensioni, dotati di un tronco robusto, alla cui base si sviluppano frequentemente numerosi polloni, e chioma larga, ramosa e tondeggiante, il nome deriva dal greco ptilon (ala), per la caratteristica brattea fogliacea che facilita la diffusione eolica dei grappoli di frutti maturi. La corteccia dapprima liscia, nella giovane pianta, presenta nel tempo screpolature longitudinali. Il tiglio è deciduo, Ha foglie alterne, asimmetriche, picciolate con base cordata e acute all'apice, dal margine variamente seghettato.

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I fiori sono ermafroditi, hanno un calice di 5 sepali e una corolla con 5 petali di colore giallognolo, stami numerosi e saldati alla base a formare numerosi ciuffetti; il pistillo è unico con ovario supero pentaloculare (la fioritura avviene tra maggio e luglio).

Foto 8: particolare dei fiori con ape al pascolo (fonte foto http://www.mielidautore.it) Foto 7 particolare di foglie di tiglio (fonte: foto dell'archivio personale dell'autore)

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Detti fiori sono riuniti a gruppi di 3 (da 2 a 5) in infiorescenze con lunghi peduncoli dette antele (cioè infiorescenze in cui i peduncoli fiorali laterali sono più lunghi di quelli centrali) essi sono protette da una brattea fogliacea allungata che rimane nell'infruttescenza e, come un'ala, agevola il trasporto a distanza dei frutti al momento del loro distacco dalla pianta (http://www.mieliditalia.it).

I frutti sono ovali o globosi, della grossezza di un pisello, con la superficie più o meno costoluta, pelosa e con un endocarpo legnoso e resistente e sono chiamati “carceruli”. Le specie di tiglio spontanee endemiche europee sono due, T. cordata Miller (tiglio selvatico) e T. platyphyllos Scop. (tiglio nostrano). Si distinguono sostanzialmente per il numero di fiori portati sull'infiorescenza che sono 5 – 15 in T. cordata o 2 - 5 in T. platyphyllos .

Sono specie caratteristiche di un'ampia fascia altimetrica, cresce fino a 1500 mt/slm con clima temperato umido e caldo, in associazione con altre latifoglie (rovere, ma anche acero, castagno e faggio alle quote maggiori o frassino e nocciolo nelle zone più calde), un tempo comuni sia nella zona prealpina che appenninica (A.G. Sabatini et al. 2007 ).

Oggi la diffusione del tiglio è molto limitata per la sostituzione, nelle posizioni più

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favorevoli, dei boschi spontanei con colture (vigneti e prati stabili).

T. cordata resta relativamente comune in diverse zone delle Alpi, e dell'Europa centro-settentrionale mentre T. platyphyllos è poco frequente allo stato spontaneo, ma è coltivato come ornamentale (A.G. Sabatini et al. 2007 ).

Per ornamento sono anche coltivati ibridi e varietà di queste due specie e alcune specie esotiche (T. tomentosa, T. americana, T. heterophylla).

§ 2.2 Interesse apistico del tiglio.

I tigli sono intensamente visitati dalle api; in Italia sono diffusi irregolarmente e solo in Piemonte si produce miele monoflora di tiglio; saltuariamente si raccoglie da essi una melata dalle spiccate caratteristiche. Importanti produttori sono i Paesi dell'Europa centro-orientale. Molto spesso la concomitante fioritura del castagno e la diffusione delle due piante nello stesso areale provoca una forma di contaminazione del miele monoflora, anche se in realtà le api hanno la preferenza di pascolo sul tiglio. In una ricerca effettuata negli Stati Uniti sono state contate sui fiori di T. americana, T heterophilla, T cordata e T platyphyllos 66 specie di insetti appartenenti a 29 famiglie. In relazione al potere nettarifero e mellifico la pianta risulta molto produttiva e rientra nella VI categoria, con una produzione media stimabile fino a 1000 kg/ha (A.G. Sabatini et al. 2007 ).

§ 2.3 Le proprietà del tiglio.

L'utilizzo di parti del tiglio in varie tipologie di preparazioni a scopo terapeutico è cosa che viene fatta da molto tempo, in erboristeria è comune reperire soprattutto le foglie, fiori essiccati ed altre parti, è una pianta che entra a far parte della mitologia classica (la storia di Filemone e Bauci) ed è la pianta simbolo della Germania, nominata nel poema dei

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“Nibelunghi”. Nelle foglie e nei fiori di tiglio sono presenti flavonoidi, polifenoli, cumarine, mucillaggini, tannini e zuccheri e sono utilizzate in fitoterapia per combattere l'insonnia, tachicardia, nervosismo e mal di testa dovuto a stati d’ansia e di stress, perché svolgono azione rilassante provocando un abbassamento della pressione, i preparati sono anche ben tollerati in gravidanza, in fase di allattamento e dai bambini (S. Bogdanov et al. 2006).

Il tiglio è la pianta indicata anche in caso di disturbi alle vie respiratorie dei bambini e degli adulti, perché le mucillagini contenute soprattutto nei fiori, hanno proprietà mucolitica e antinfiammatoria efficace in caso di tosse e catarro.

Anche il prodotto ottenuto dalle gemme fresche si usa per la sua azione sedativa e ansiolitica sul sistema neurovegetativo, ed ipotensiva sul sistema cardiocircolatorio.

Inoltre è un ottimo antispasmodico con effetti benefici sul apparato intestinale indicato in caso di sindrome del colon irritabile.

Le parti utilizzate della pianta sono le infiorescenze le foglie e le brattee raccolte all'inizio della fioritura (giugno - luglio) e fatte essiccare, viene utilizzata anche la corteccia raccolta in primavera (http://www.webmd.com).

Il tiglio risulta inoltre tra altre piante una di quelle a maggior contenuto composti fenolici, a cui è da attribuire la maggior parte degli effetti antibatterici, caratteristica questa che ritroveremo nel suo miele (Sevil Albayrak et al 2004).

§ 2.4 Il miele di tiglio.

La produzione di miele monoflora di tiglio in Italia è concentrata nel nord Italia, ma la purezza maggiore nel prodotto si ha nella regione Piemonte.

Le quantità di miele monoflora prodotte non sono molto abbondanti, ed infatti non è di facile reperimento nella grande distribuzione, tradizionalmente mieli di tiglio molto puri e

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in grande abbondanza si producono nel nord-est europeo.

Anche la Cina produce e propone per l'esportazione mieli uniflorali di tiglio, probabilmente prodotti su specie a distribuzione asiatica dello stesso genere (Tilia tuan). Il nettare di tiglio è notevolmente aromatico, per questo anche mieli non del tutto puri di questa essenza sono già fortemente caratterizzati dal punto di vista organolettico e soprattutto bromatologico, e ciò può essere la causa della variabilità nella attività antibatterica dei diversi lotti di miele uniflorale.

Queste differenze possono inoltre essere dovute anche alla diversa presenza di melata della stessa specie. Infatti dal tiglio può prodursi melata per l'attacco di rincoti quali Eucallipterus tiliae L. della famiglia Callaphididae.

Dal punto di vista dell'esame melissopalinologico quantitativo il tiglio appare piuttosto iporappresentato, e viene immesso nella classe I-II con PK/10g da 200 a 2400 con media di 11000 e deviazione standard di 5600 (L.P. Oddo 2007).

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§ 2.5 Aspetti organolettici.

All'esame visivo il miele di tiglio si presenta con un colore ambrato da chiaro a più intenso, con note di giallo o verdognolo quando molto puro e nello stato liquido, il colore cambia da avorio a beige se cristallizzato. L'odore si presenta di media intensità con note di mentolato, balsamico e/o canforato ricorda l'odore di farmacia o di “medicinale”, le stesse caratteristiche si ritrovano nell'aroma, accompagnato da una notevole persistenza gustativa (L.P. Oddo 2007).

§ 2.6 Aspetti chimico fisici.

Foto 10: il miele fresco e monoflora di tiglio (fonte foto: http://keepingbee.org/linden-honey/)

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La conducibilità elettrica può essere superiore al limite di 0,8 mS/cm, in deroga alla normativa prevista, è da segnalare inoltre che fra gli oligosaccaridi risulta costante la presenza di genziobiosio (in media 0,3g/100g). Per gli altri parametri il miele di tiglio presenta un comportamento di tipo medio e risulta quindi poco caratterizzato (L.P. Oddo 2007).

§ 2.7 Proprietà del miele di tiglio

In letteratura siamo stati in grado di reperire ben pochi articoli specifici riguardanti le proprietà del miele di tiglio, questo fatto, correlato alle indubbie proprietà fitoterapiche di molte parti della pianta, rende stimolante lo studio del prodotto in questione. Come già descritto nei precedenti paragrafi spesso nel miele si possono trovare sostanze con attività farmacologiche importanti che sono legate alla varietà botanica da cui deriva, per cui il miele di tiglio parrebbe essere particolarmente promettente da questo punto di vista.

In particolare Xin Chang et al. nel loro articolo “Antioxidative, antibrowning and antibacterial activities of sixteen floral honeys” descrivono, tra l'altro, l'attività antiossidante e antibatterica del miele di tiglio, anche se di una varietà esotica (Tilia tuan) con la caratteristica di una infiorescenza molto più ricca in fiori rispetto alle nostre varietà europee.

Nel loro lavoro determinano dapprima la presenza di flavonoidi e polifenoli (sostanze ad attività antibatterica e antiossidante) nelle sedici differenti varietà di miele, tra cui quello di Tilia tuan ed in seguito ne saggiano l'attività antibatterica su E. Coli e S. Aureus (saggiata con il metodo delle diffusione in gel di agar), ottenendo i risultati visibili nel grafico 5 a pagina 37.

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sostanze non perossidi è determinata in buona parte proprio da flavonoidi e polifenoli ed infatti nei grafico 4 a pagina 36 viene mostrata la presenza di tali sostanze nelle sedici differenti varietà di miele.

È da segnalare che in un lavoro tutt'ora in corso, “Antibacterial activity of different natural honeys from Transylvania, Romania.” di Vica M.L. et al. è invece recitato che in relazione all'attività antibatterica mieli come quello di manna, girasole o multiflora hanno presentato ottima attività nei confronti di B. cereus, E. coli, L. monocytogenes e Salmonella, mentre mieli come quello di acacia e di tiglio hanno presentato minore attività rispetto al numero dei ceppi testati.

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Grafico 4: polifenoli e flavonoidi, la loro presenza in sedici mieli differenti (fonte: Food Funct., 2011, 2, 541 www.rsc.org/foodfunction

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CAPITOLO 3 PARTE SPERIMENTALE

§ 3.1 Materiali e metodi

§ 3.1.1 Descrizione del miele impiegato nella prova sperimentale

Il miele impiegato per il nostro studio è stato gentilmente donato dal Sig. Michael thien, apicoltore e vivaista tedesco la cui azienda ha sede nel nord ovest del paese, il Sig. Tien è specializzato nella produzione vivaistica di diverse piante di notevole interesse apistico come ad esempio il Silphium perfoliatum o Evodia daniellii, inoltre produce, tra gli altri, un miele di tiglio a partire da piante della varietà Tilia cordata e non platyphyllos cioè il tipo spontaneo, selvatico, presente in quelle zone come vere e proprie aree boschive.

Si è preferito usare questo miele perché alcune parti della pianta Tilia cordata presentano un maggior contenuto in polifenoli e flavonoidi rispetto alle varietà coltivate comunemente a scopo ornamentale.

Il miele fornito è stato sottoposto preventivamente ad indagine melissopalinologica dal Dr. Cesare Biondi con i seguenti risultati e con questo commento:

“Si tratta di miele di Tiglio con una componente (meno importante) di melata e già all'assaggio si percepisce chiaramente la tipologia di prodotto. Il polline di tiglio, come sai, è fortemente iporappresentato e quindi una percentuale del 6% va benissimo per poterlo considerare un monoflora; si nota, nello spettro, la presenza di pollini che si ritrovano frequentemente nei mieli di melata (graminaceae, mercurualis, artemisia, castenea ecc.; castanea, tra l'altro, accompagna spesso i mieli di Tiglio). Nello spettro ho trovato un paio di granelli che, sulla base di alcune caratteristiche quali grandezza, natura della superficie e forma delle aperture, penso possano essere di Evodia tetradium daniellii. Non sono però

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totalmente sicuro perché non ho un campione specifico di polline di E. Danielli in palinoteca (ho solo foto di polline di altre specie di Evodia) e perché i due granelli fondatamente sospetti erano ammassati ad altre strutture.”

Miele analizzato (campione liquido, ambrato):

Specie botanica % di polline nello spettro

Acer P Artemisia 3 Asparagus acutifolius gr 8 Brassica f 6 Castanea 33 Chenopodiaceae P Compositae A 4 Compositae S (Carduus f) 1 Erica P Evodia (?) P Hedera 2 Labiatae M (<25µ) P Labiatae M (>25µ) P Mercurialis 28 Oleaceae P Parthenocissus P Poligonaceae (altre) P Prunus f 1 Rhamnaceae P Robinia 2 Rumex P Salix P Sedum f P

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Tilia 6

Trifolium pratense gr P

Trifolium repens gr 5

Umbelliferae H P

Zea P

Elementi di melata diversi

Materiale microcristallino presente

Note:

Per praticità, le percentuali sono arrotondate all’1% P = presenti nello spettro in % molto inferiore all’1%

§ 3.1.2 Selezione e rivitalizzazione dei ceppi batterici utilizzati nella ricerca

I ceppi batterici impiegati per la prova (tutti ceppi depositati presso l’American Type Culture Collection – ATCC) sono stati prelevati dalla ceppoteca del Dipartimento di Scienze Veterinarie dove vengono normalmente stoccati a temperatura di -80 °C e sono i seguenti:

Enterococcus faecalis VAN B V583 EEnterococcus faecalis ATCC 19433Pseudomonas aeruginosa ATCC 27853Escherichia coli ATCC 15325

Staphylococcus aureus ATCC 6539Salmonella tiphymurium ATCC 14028

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(Tryptone Soy Agar), a 37 °C per 24 ore. Nei casi in cui la crescita non risultasse ottimale con le condizioni precedentemente descritte, viene eseguito un passaggio in terreno liquido Brain Hearth Infusion (BHI) a 37 °C per 24 ore in modo da rendere le colonie adatte alla semina sui rispettivi terreni elettivi o selettivi differenziali.

Nello specifico i terreni utilizzati sono stati:

Tipologia di terreno Ceppo batterico

Kanamicina Aesculina Azide Agar (KAAA) Enterococcus spp.

Pseudomonas Agar Base Pseudomonas aeruginosa

Tryptone Bile X-Glucuronide Escherichia coli

Baird Parker (BP) Staphylococcus aureus

Salmonella-Shigella Agar (SS) Salmonella tiphymurium.

§ 3.1.3 Determinazione del valore di MIC (minima concentrazione inibente) del miele di tiglio nei confronti dei diversi ceppi batterici.

Per la ricerca dell'eventuale attività antibatterica del miele da testare è stato utilizzato il sistema della Minima Concentrazione Inibente (MIC), definita come la concentrazione più bassa del composto in esame in grado di inibire la crescita di un dato microrganismo. Questa è stata valutata nei confronti di ciascun ceppo ATCC rivitalizzato sopracitato. Le concentrazioni di miele testate rientravano in un range compreso tra 0,43 mg/ml (diluizione ottimale per il raggiungimento di una sufficiente fluidità del mezzo) e 0,00042 mg/ml.

L’inoculo batterico è stato standardizzato mediante impiego della scala turbidimetrica di McFarland (punto 0,5 ovvero 1,5x108 batteri), dispensando le colonie batteriche in 2 ml di

soluzione fisiologica sterile fino a raggiungere la torbidità desiderata. Successivamente un campione di miele è stato disciolto in terreno liquido BHI nel rapporto di 0,43 mg di miele/1 ml di BHI. Tale soluzione è stata in seguito filtrata, mediante filtri da siringa da

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0,45 μm.

Diluizioni scalari della soluzione contenente il miele sono state eseguite all’interno di micropiastre a 96 pozzetti.

In ogni pozzetto della prima colonna sono stati dispensati 190 μl di miele disciolto in BHI e filtrato Ciascuno di questi pozzetti conteneva quindi la concentrazione di miele più alta da testare (0,43 mg/ml).

Successivamente, usando la pipetta multicanale, sono stati dispensati 95 μl di BHI sterile nei rimanenti pozzetti. L’undicesima colonna è stata riservata al controllo positivo di crescita (BHI con l’inoculo batterico), mentre la dodicesima colonna al controllo negativo (BHI sterile).

Le diluizioni scalari sono state quindi effettuate tramite pipetta multicanale, prelevando 95 μl dai primi pozzetti e dispensandoli nella seconda colonna e procedendo così fino ad arrivare alla colonna riservata al controllo positivo.

Infine, partendo dalla colonna del positivo, sono stati inoculati 5 μl dei differenti ceppi di microrganismi ATCC da saggiare nei rispettivi pozzetti della prima, seconda, quarta, quinta, sesta e ottava riga (vedi foto 11).

Ultimato l’allestimento la micropiastra chiusa con l’apposito coperchio, è stata avvolta in stagnola e incubata a 37 °C in camera umida, per 24 ore, dopo l'incubazione, è stato verificato che in ciascun controllo negativo non vi fosse presenza di crescita microbica e che questa fosse invece presente nei pozzetti riservati al controllo positivo.

E’ stata assunta come Minima Concentrazione Inibente, la concentrazione di miele contenuta nel pozzetto che precedeva la comparsa della torbidità. La prova è stata effettuata in doppio e ripetuta rispettando le medesime condizioni per tre volte in modo da verificare la ripetibilità e assicurarsi così della validità interna della stessa.

(48)

CAPITOLO 4 RISULTATI

Il miele di tiglio è risultato avere una azione inibente la crescita di tutti i microrganismi testati ai valori di MIC indicati nella tabella seguente:

Microrganismi Valori di MIC

Enterococcus faecalis VAN B V583 E 0,02687 mg/ml

Enterococcus faecalis ATCC 19433

0,05375 mg/ml

Pseudomonas aeruginosa ATCC 27853 0,215 mg/ml

Escherichia coli ATCC 15325

0,215 mg/ml

Staphylococcus aureus ATCC 6539

0,05375 mg/ml

Salmonella tiphymurium ATCC 14028 0,1075 mg/ml

Tabella 4: valori di MIC riscontrati per il miele di tiglio nei microrganismi ATCC testati.

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CAPITOLO 5 CONCLUSIONI

La tabella 4 riassume i risultati e rende evidente come il miele analizzato risulti attivo nei confronti di tutti i ceppi batterici utilizzati nella prova, in particolare si evidenziano questi fatti:

1. i valori di MIC più bassi (quindi efficacia a diluizioni più alte) si hanno nei confronti di Enterococcus faecalis VAN B V583 E, e di seguito Enterococcus faecalis ATCC 19433;

2. buona efficacia è riscontrata anche nei confronti di Staphylococcus aureus ATCC 6539;

3. minore efficacia è riscontrata nei confronti di Pseudomonas aeruginosa ATCC 27853, Escherichia coli ATCC 15325 e Salmonella tiphymurium ATCC 14028; 4. il miele risulta maggiormente attivo nei confronti dei batteri Gram positivi, meno

sui gram negativi, questo conferma i dati presenti in letteratura (Marco Fidaleo et al.).

Risulta evidente che il miele, oltre ad essere un alimento genuino e naturale, ha anche una serie di peculiarità importanti, il suo studio come prodotto ad attività antibatterica è ancora una strada aperta, com notevoli potenzialità, è ancora da sondare la singola peculiarità di ogni tipologia di miele monoflora, e, considerando che solo nel nostro paese ne sono prodotte 32 varietà differenti, è evidente che il lavoro da compiere è notevole. L'importanza del miele come antibatterico andrebbe inquadrata in un'ottica di utilizzo in alternativa o in concomitanza rispetto alla terapia antibiotica classica, questo per il fatto che sempre più spesso ci troviamo di fronte a batteri che offrono fenomeni di resistenza alle terapie tradizionali.

(50)

Bibliografia e fonti.

• “Api e impollinazione” Mauro Pinzauti 2000; • “Le api” Alberto Contessi Edagricole 2010;

• “Conoscere il miele” Istituto Nazionale di Apicoltura, Bologna a cura di Livia Persiano Oddo, Lucia Piana, Anna Gloria Sabatini;

• “I mieli regionali italiani – caratterizzazione melissopalinologica” C.R.A. Istituto Sperimentale per la zoologia Agraria, sezione apicoltura, Roma;

• “Temi di apicoltura moderna” Mauro Pinzauti et al.;

• “The antibacterial activity of honey variation in the potency of the antibacterial activity” Peter C. Molan;

• “Nutraceutical potential of monofloral honeys produced by the Sicilian black honeybees (Apis mellifera ssp. Sicula)” Gian Carlo Tenore, Alberto Ritieni, Pietro Campiglia, Ettore Novellino 2012;

• “Antimicrobial activity of some Italian honey against pathogenic bacteria” Marco Fidaleo, Antonio Zuorro, Roberto Lavecchia 2011;

• “Characterization of Italian honeys (Marche Region) on the basis of their mineral content and some typical quality parameters” Marcelo Enrique Conti, Jorge Stripeikis, Luigi Campanella, Domenico Cucina e Mabel Beatriz Tudino 2007;

• “Le proprietà antibatteriche naturali del miele” S. Bogdanov e P. Blumer Centro di ricerche apicole Berna 2001

• “Antibacterial activity of different natural honeys from Transylvania, Romania.” Vica ML, Glevitzky M, Dumitrel GA, Junie LM, Popa M., 2014

(51)

541 www.rsc.org/foodfunction

• “Miele di tiglio – dove api e uomini laboriosi vivono sotto tigli ombrosi” S. Bogdanov, K Bieri, V. Klichenmann, P. Gallmann, F. X. Dillier, Centro di ricerche apicole Berna 2006 • “Guida alla Vegetazione d'Europa” Polunin, O. e M. Walters.1987.

• http://www.mieliditalia.it/ • http://www.bienenbaum.com/. • http://www.agraria.org/ • http://www. evodiahupehensis.com/ • http://www.webmd.com/ • http://www.apitalia.net/ • http://www4.uuninsubria.it • http://www.mielidautore.it/ • http://www.losperonenuovo.it/

Figura

Tabella 1: composizione chimica del miele (fonte “Conoscere il miele” 2007)
Tabella 2: composizione chimica del miele (fonte “Conoscere il miele” 2007)
Foto 1: raccoglitore di miele del mesolitico (9000 anni fa) pittura rupestre (fonte foto A
Foto   2:   dipinto   ricavato   da   un   rilievo   presente   nella   tomba   di   Pa-bu-sa   ritraente apicoltore al lavoro (fonte foto A
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