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APPLICAZIONE DI STRUMENTI DI CALCOLO AVANZATI PER LO STUDIO DI PROCESSI DI PIROLISI DI BIOMASSE

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FACOLTÀ DI INGEGNERIA

Corso di Laurea in Ingegneria Chimica

Tesi di Laurea

APPLICAZIONE DI STRUMENTI DI

CALCOLO AVANZATI PER LO STUDIO

DI PROCESSI DI PIROLISI DI BIOMASSE

Relatore:

Prof. Dott. Ing. Leonardo TOGNOTTI

Dott. Mariano FALCITELLI

Prof. Dott. Ing. Claudio SCALI

Candidato:

Simone PELLEGRINI

Anno Accademico 2005-2006

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Introduzione 1 1 Fonti di Energia Rinnovabili 5

1.1 Introduzione . . . 5 1.2 Fonti rinnovabili . . . 6 1.2.1 Idroelettrica . . . 7 1.2.2 Eolica . . . 10 1.2.3 Geotermica . . . 11 1.2.4 Biomasse . . . 12

1.2.5 Maree e moto ondoso . . . 13

1.2.6 Solare . . . 15

1.3 Normativa nazionale per quanto concerne la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili . . . 18

1.4 Energia da fonti rinnovabili in Italia . . . 19

2 Le Biomasse Come Fonte Rinnovabile 23 2.1 Introduzione . . . 23

2.2 Motivazioni e vantaggi dell’energia da biomasse . . . 27

2.3 Tipi di biomassa . . . 29

2.4 Caratteristiche e composizione delle piante . . . 30

2.5 La fotosintesi . . . 36

2.6 Tipi di piante . . . 38

2.7 Proprietà delle biomasse . . . 40

2.7.1 Contenuto di umidità . . . 41

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2.7.3 Proporzione tra carbonio fisso e materiale volatile . . . 43

2.7.4 Contenuto di ceneri (Ash) . . . 44

2.7.5 Contenuto di metalli alcalini . . . 46

2.7.6 Rapporto cellulosa/lignina . . . 46

2.7.7 Densità di massa . . . 48

2.8 Raccolta della biomassa . . . 48

2.9 Rendimento delle colture energetiche . . . 50

2.10 Conclusioni . . . 51

3 Tecnologie di conversione 53 3.1 Introduzione . . . 53

3.2 Conversione bioenergetiche: opzioni di processo . . . 53

3.3 Conversione termo-chimica . . . 55 3.3.1 Combustione . . . 55 3.3.2 Gassificazione . . . 56 3.3.3 Pirolisi . . . 57 3.3.4 Altri processi . . . 60 3.4 Conversione bio-chimica . . . 61 3.4.1 Fermentazione . . . 61 3.4.2 Digestione anaerobica . . . 62 3.5 Conversione meccanica-chimica . . . 63

3.6 Sistemi totalmente bio-energetici, rapporti energetici e rese energetiche . . . 63

3.6.1 Rapporto energetico . . . 65

3.6.2 Resa energetica . . . 66

3.7 Conclusioni . . . 68

4 Modelli di pirolisi per biomasse 70 4.1 Introduzione . . . 70

4.2 Modello SFOR (Singola reazione del primo ordine) . . . 74

4.3 Modelli più complessi . . . 78

4.3.1 DAEM (Distribution Activation Energy Model) . . . . 78

(5)

4.4 CPD . . . 83

5 Modello CHL 91 5.1 Introduzione . . . 91

5.2 Sviluppo del modello . . . 94

5.3 Pirolisi dei componenti . . . 97

5.4 Schema cinetico . . . 99

5.5 Equazioni del modello . . . 102

5.6 Utilizzo del modello . . . 107

6 Modello CPD, modificato per le biomasse 115 6.1 Modello di devolatilizzazione a percolazione chimica . . . 115

6.2 La statistica reticolare nella devolatilizzazione . . . 119

6.3 Schema cinetico . . . 126

6.4 Conservazione di massa e condizioni iniziali . . . 130

6.5 Parametri cinetici . . . 131

6.6 Frazioni in peso di gas leggeri, tar e char . . . 132

6.7 Rilascio di tar . . . 136

6.7.1 Legge di Raoult . . . 137

6.7.2 Tensioni di vapore di molecole organiche ad alto peso molecolare . . . 138

6.7.3 Distillazione Flash . . . 141

6.8 Crosslinking . . . 143

6.9 Applicazione del modello alle biomasse . . . 145

6.10 Modifiche al CPD . . . 145

6.10.1 Popolazione di frammenti . . . 145

6.10.2 Cross-linking . . . 157

6.10.3 Tar cracking secondario . . . 159

7 Risultati ottenuti 160 7.1 Introduzione . . . 160

7.2 Cellulosa . . . 161

7.3 Risutati per la cellulosa . . . 165

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7.5 Risutati per l’emicellulosa . . . 169

7.6 Lignina . . . 171

7.7 Risultati parametrici . . . 171

7.8 Validazione con biomasse . . . 173

7.9 Conclusioni . . . 174

8 Conclusioni 176

Conclusioni 176

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La produzione di energia da fonti rinnovabili ha visto negli ultimi decenni un costante progresso. In particolare i vantaggi ambientali che derivano poten-zialmente dall’utilizzo di combustibili di origine biologica hanno dato impul-so alla ricerca di tecnologie di conversione energetica volte a massimizzarne la resa. Una porzione significativa di questi sforzi è stata indirizzata allo sviluppo di modelli matematici multidimensionali di caldaie, reattori, gas-sificatori, pirolizzatori etc. che possono essere adoperati per progettare ed analizzare i processi di produzione e/o conversione energetica. Questi model-li rappresentano spesso strumenti indispensabimodel-li per caratterizzare i processi affiancando e in qualche caso sostituendo l’attività sperimentale con model-li numerici “equivalenti”. I modelmodel-li più affermati hanno la caratteristica di essere “comprensivi”, cioè di includere il maggior numero dei fenomeni fisico-chimici bilanciando opportunamente accuratezza e efficienza computazionale. Tra i sottomodelli inclusi nei modelli “comprensivi”un ruolo fondamentale è assunto dalla pirolisi, che costituisce lo stadio iniziale per una vasta gam-ma di processi di trattamento di combustibili (fossili e non). Obbiettivo del presente lavoro di tesi è stato lo sviluppo di un modello generale di pirolisi per le biomasse in condizioni di interesse industriale, adatto ad essere imple-mentato in RNA [1] (codice di calcolo “comprensivo”sviluppato nell’ambito della collaborazione tra Consorzio Pisa Ricerche, ENEL e Dipartimento di Ing. Chimica dell’Università di Pisa).

Come base di partenza è stato adottato un modello strutturale, già incluso in RNA per la pirolisi dei carboni, per le sue caratteristiche di flessibilità e ge-neralità. Trattasi del modello CPD (Chemical Percolation Devolatilization model [2] che, nella versione originale, simula il carbone come un reticolo

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di macromolecole soggetto ad un processo statistico di depolimerizzazione (frammentazione), per degradazione termica. Il rilascio di gas incondensabi-li, di vapori di tar e la formazione di una fase liquida (metaplast) e di una fase solida (char) deriva dall’evoluzione della rottura dei legami in competizione con la ricombinazione dei polimeri tramite legami stabili (crosslinking). Re-centemente alcuni studi hanno mostrato l’applicabilità di modelli strutturali con caratteristiche diverse dal CPD anche alla devolatilizzazione delle bio-masse. Ciò suggerisce che anche il CPD può essere esteso in questa direzione e alcuni risultati sono stati già ottenuti per la lignina che ha una struttura simile al carbone di basso rango. Tuttavia ad oggi, ad eccezione del carbo-ne e della lignina, carbo-nessun modello CPD valido per la pirolisi delle biomasse in generale (includendo le altre componenti cellulosa e emicellulosa) è stato ancora proposto.

Arrivare a definire un modello CPD generale, valido anche per le biomasse, può contribuire in maniera rilevante all’ampliamento del campo di applica-zione dei codici di combustione “comprensivi”. Per conseguire tale obiettivo il lavoro di tesi è stato sviluppato nel seguente modo. Dopo un fase di studio delle caratteristiche delle biomasse come fonte energetica, volto ad evidenzia-re il ruolo della pirolisi nelle tecnologie di processo e le caratteristiche delle biomasse che ne condizionano maggiormente la resa (Cap. 1, 2, 3), l’atten-zione è stata rivolta ai modelli attualmente disponibili per la pirolisi. Dalla valutazione dei vari modelli, presentata nel Cap. 4, è emerso il modello CHL [3] che si presenta particolarmente adatto alla pirolisi delle biomasse ad alte temperature e velocità di riscaldamento (flash pirolisi). Come discusso nel Cap 5, il CHL è un modello molto complesso che include uno schema cine-tico multistep di reazione (per ciascuna componente: cellulosa, emicellulosa, lignina) in un modello dettagliato di scambio termico e di materia, per una particella porosa che rilascia gas. Il modello CHL, per la sua complessità, non si presta ad essere incluso direttamente in codici di combustione “comprensi-vi”, tuttavia essendone stata dimostrata la validità su di un ampio intervallo di condizioni sperimentali e di tipologie di biomasse, è stato utilizzato come strumento di sviluppo per il modello CPD.

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discussione si evince che mentre per la lignina è possibile accordare i parame-tri del modello senza sostanziali modifiche, per la cellulosa e per l’emicelluosa insorgono ostacoli importanti.

Essendo la struttura polimerica della cellulosa ben nota, la definizione dei parametri strutturali del modello non lascia margine di incertezza. Tuttavia i primi calcoli mostrano seri limiti del CPD a trattare questo tipo di reti-colo, rivelando addirittura gravi incongruenze sui bilanci di massa. E’ stato necessario riformulare le equazioni del modello che traducono l’evoluzione della rottura e ricombinazione dei legami nelle masse delle varie componenti (reticolo non frammentato, frammenti polimerici in fase liquida, gas incon-densabili, vapori tar e char solido). A tal fine è stato introdotto uno schema originale di bilancio di popolazione tra i frammenti polimerici che ha richie-sto una modifica sostanziale del ciclo di calcolo e la riscrittura del codice FORTRAN.

Con la nuova versione del modello (detto bio-CPD) messa a punto negli aspetti matematici ed informatici è stato affrontato il lavoro di accordo dei parametri del modello (strutturali, cinetici e pressioni di vapor saturo) per le singole componenti: cellulosa, emicellulosa, lignina. Il metodo seguito, discusso nel Cap. 7, è il seguente: si parte da una stima iniziale dei para-metri per ciascuna componente cellulosa, emicellulosa e lignina, proposta in base a considerazioni teoriche; successivamente i valori dell’intero set vengo-no ottimizzati adoperando il bio-CPD in combinazione con una routine di minimizzazione per funzioni non lineari con parametri condizionati. La base dati per l’ottimizzazione consiste in vari profili temporali di riscaldamento e rilascio di gas e tar per la cellulosa e l’emicellulosa su un ampio intervallo di temperature finali. Tali profili sono stati prodotti dal CHL, adoperato come generatore di esperimenti “numerici”equivalenti per una particella “ideale”mo-nocomponente sufficientemente piccola da trascurare i fenomeni di trasporto interno.

La procedura di ottimizzazione ha prodotto un set di parametri (strutturali, cinetici e tensioni di vapor saturo) per ciascuna componente che consente di sovrapporre al meglio i profili predetti dal CPD con quelli del CHL in tutto l’intervallo di condizioni considerato.

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L’ultima fase del lavoro ha affrontato la validazione del bio-CPD con dati sperimentali di pirolisi di biomasse reali, di cui è nota la composizione nei termini di cellulosa, emicellulosa e lignina. Mantenendo fisso i set di parame-tri per ciascuna componente, prodotti nella precedente fase di ottimizzazione, il bio-CPD è stato adoperato in maniera predittiva simulando diverse con-dizioni sperimentali. Nei casi considerati i prodotti di pirolisi calcolati dal bio-CPD sono risultati in notevole accordo qualitativo e quantitativo con le misure, inoltre alle alte temperature le previsioni del bio-CPD sono risul-tate anche migliori del CHL. Tale risultato costituisce una prima conferma della importanza dell’approccio perseguito in questa tesi. Ovviamente sarà necessario estendere la qualifica del modello ad un intervallo più ampio di condizioni sperimentali per affermare la generalità dei parametri proposti.

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Fonti di Energia Rinnovabili

1.1

Introduzione

L’energia gioca un ruolo fondamentale nella vita di tutti i giorni, ed è im-portante per il futuro del mondo. L’energia è il fattore principale per cui possiamo ai nostri giorni poter godere del benessere, è elemento indispensa-bile per lo sviluppo economico; senza energia il mondo si ferma, poiché tutto è incentrato su questa fonte tanto pregiata di cui non si può fare a meno. E’ storicamente dimostrato che c’è una relazione forte tra la disponibilità di energia e l’attività economica e sociale. Le fonti energetiche allo stato attuale si possono inquadrare in tre grandi gruppi(Fig.1.1):

• Combustibili fossili (petrolio e suoi derivati,carbone e gas); • Rinnovabili;

• Nucleari.

La decisione su quale di queste fonti energetiche dovrebbe essere utilizzata è una scelta che ha le sue basi su considerazioni di tipo economico, sociale, ambientale e di sicurezza.

Tra queste fonti energetiche, le rinnovabili, chiamate molto spesso risorse alternative, vanno a incidere sempre più sulla produzione mondiale di energia; la motivazione di questo incremento è da imputare ai benefici ambientali che

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ne derivano, poiché si va ad abbattere sensibilmente l’inquinamento dell’aria (“fonti a zero emissioni ”), e si pone un freno ai gas responsabili dell’effetto serra (CH4, CO2, CO).

Figura 1.1: Offerta di energia primaria nel mondo. Anno 2003 [4]

1.2

Fonti rinnovabili

Per fonti rinnovabili di energia si intendono tutte quelle fonti energetiche che si distinguono dalle convenzionali e dalle nucleari (Fig.1.2), le principali sono:

• Idroelettrica; • Eolica; • Geotermica; • Biomasse;

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• Solare.

Tra tutte queste, la fonte rinnovabile più antica e peculiare è l’idroelettrica. Negli ultimi venti anni, si è assistito ad una ricerca e ad uno sviluppo nel campo dell’energie rinnovabili, che ha portato a nuove tecnologie e sistemi per produrre energia. Alla fine del 2001 la capacità installata, di sistemi a fonte rinnovabile, era equivalente al 9 % sul totale dell’elettricità generata. Nella visione di un mondo in cui si consuma globalmente fonti rinnovabili, si potrebbe ipotizzare di raggiungere una produzione elettrica, nel 2050, di 318 EJ (1ExaJoule = 1018J) [5].

1.2.1

Idroelettrica

Energia idroelettrica è un termine usato per definire l’energia elettrica otte-nibile a partire da una caduta d’acqua, convertendo con appositi macchinari l’energia meccanica (potenziale) contenuta nella portata d’acqua trattata. Gli impianti sfruttano l’energia potenziale meccanica contenuta in una por-tata di acqua disponibile ad una certa quota rispetto a quella in cui sono posizionate le turbine.

Circa il 20% dell’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili nel mondo è di origine idroelettrica. Questa percentuale non rende bene l’idea dell’im-portanza che questa fonte di energia ha svolto nello sviluppo di molti Paesi, ove è stata a lungo l’unica risorsa energetica. In Svizzera, Austria, Norvegia, Svezia, Islanda e Italia (ma anche in Francia, Giappone e Canada) il mag-giore impulso all’industrializzazione, all’inizio del secolo, è stato dato proprio dalla possibilità di disporre di centrali idroelettriche. In Italia, la quota del-l’energia idroelettrica, che adesso è del 15 -18% della produzione totale, era di oltre l’80% all’inizio della seconda guerra mondiale e di quasi il 70% nel 1963, all’atto della nazionalizzazione del settore elettrico. In alcune nazioni a forte sviluppo (Norvegia, Islanda, Svizzera, Austria, Canada, ecc.) l’energia idraulica rimane ancora la principale fonte elettrica. In Cina, poi, l’energia idroelettrica ha un ruolo particolare: oltre ad alcuni grandi impianti, esiste un gran numero(oltre centomila) di mini e micro centrali, con potenze com-prese tra 10 e 200 kW, utilizzate per alimentare comunità agricole isolate.

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In pratica circa l’80% della popolazione rurale di questo Paese soddisfa i fab-bisogni di energia elettrica con questa fonte, che viene anche utilizzata per l’irrigazione, cioè per scopi agricoli e artigianali.

Figura 1.2: Quote di produzione di energia da fonti rinnovabili nel mondo. Anno 2003.

Le centrali idroelettriche possono essere classificate in base a vari elementi: 1. altezza del salto disponibile (centrali a bassa, media, e alta caduta a

seconda che il salto sia rispettivamente compreso fino a 50 metri, 250 metri o superiori);

2. portata utilizzabile (centrali di piccola, media, e grande portata in base ad una portata d’acqua rispettivamente fino ad una decina di m3/secondo, un centinaio m3/secondo o superiore);

3. per tipologia, ossia per il sistema di utilizzazione dell’acqua (impianti ad acqua fluente, a bacino, a serbatoio, ad accumulo mediante pompaggio nelle ore di scarsa richiesta).

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I primi impianti ad essere costruiti furono di tipo fluente (così detti perché il flusso dell’acqua non può essere regolato a piacimento), realizzati sbarrando i corsi d’acqua con traverse che creano salti limitati e non influiscono in modo apprezzabile sul corso a monte. Allo scopo di garantire una potenza costante dell’impianto durante tutto l’anno, sono in genere dimensionate sulla portata minima; ciò implica la non utilizzazione di portate maggiori e quindi perdite energetiche. Quando le portate sono molto variabili nell’anno si possono rea-lizzare bacini o serbatoi con la costruzione di apposite dighe che permettono l’accumulo di acqua per sfruttarla nei momenti di maggiore richiesta. Su que-sta linea sono poi nate le moderne centrali di accumulo per pompaggio (dette anche semplicemente centrali a pompaggio). Esse prevedono due bacini uno posto a monte e l’altro a valle. La possibilità di accumulare acqua in quo-ta consente di seguire la notevole variabilità del carico della rete(domanda): nelle ore diurne di punta, quando la richiesta è maggiore, l’acqua è fatta flui-re dal bacino superioflui-re a quello inferioflui-re passando dalle turbine accoppiate ai generatori elettrici in parallelo alla rete; nelle ore notturne e nei giorni festivi, quando la domanda di elettricità è minima, l’acqua viene ripompata al bacino superiore, in modo da ricostituire l’invaso occorrente al successivo ciclo di funzionamento. In pratica le centrali di pompaggio assorbono cor-rente poco pregiata (prevalente la produzione di base notturna proveniente dal parco termoelettrico), per restituirne una quantità minore (circa il 70%, a causa delle perdite del ciclo) ma di maggior pregio nelle ore di punta. Esse costituiscono un elemento di grande importanza per la gestione della rete elettrica: infatti possono entrare in servizio rapidamente per far fronte ad aumenti della domanda e sono in grado di seguire l’andamento del carico, anche nelle ore di punta; inoltre garantiscono un elevata disponibilità poiché sono svincolate dall’idrologia( si devono solo reintegrare le perdite per eva-porazione). I Paesi di montagna presentano caratteristiche favorevoli per la realizzazione di centrali con pompaggio In Italia sono stati realizzati impianti di tal genere fino a potenze unitarie superiori a 1000 MW.

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1.2.2

Eolica

La tecnologia in questo settore ha raggiunto livelli tali da permettere di produrre energia elettrica, si parla di kWh, a costi competitivi con quelli delle fonti fossili convenzionali. Nei Paesi industrializzati con la sperimentazione su nuovi prototipi e differenti materiali, si va ad incrementare le prestazione delle macchine eoliche.

Le macchine eoliche più comuni sono due ad: • asse orrizzontale;

• asse verticale.

Una macchina è ad asse orizzontale quando l’asse del rotore è parallelo alla direzione del vento e le pale ruotano perpendicolarmente ad esso, mentre è ad asse verticale, quando il rotore è perpendicolare alla direzione del vento. Le macchine ad asse verticale sono più adatte per sfruttare venti più variabili e richiedono una struttura e sistemi di controllo meno sofisticati. Le mac-chine ad asse orizzontale hanno bisogno invece, di sistemi più complessi di gestione della tensione e della frequenza, ma hanno un rendimento aerodina-mico maggiore, per cui sono quelle più utilizzate.

Gli attuali aerogeneratori non hanno nulla in comune con i classici mulini a vento o con gli apparecchi utilizzati in agricoltura per il pompaggio del-l’acqua: sono invece macchine sofisticate ( a due o tre pale), costruite con materiali idonei a sopportare le sollecitazioni, che nel caso delle macchine più grandi, sono confrontabili a quelle delle ali di aeroplani. Le estremità delle ali raggiungono velocità superiori anche di cinque volte a quelle del vento, quando siamo in presenza di raffiche anomale o tempeste si potrebbe-ro raggiungere, sui bordi, anche velocità vicine a quelle supersoniche Nessun aerogeneratore potrebbe sopportare tali sollecitazioni, ecco allora che vengo-no riforniti di sistemi automatici di frenata o di messa in “panne ”delle pale. Negli ultimi anni il costo del kWh eolico si è notevolmente abbassato ed è quindi logico attendersi lo sviluppo di tale fonte, che assicura risparmi di combustibili fossili e zero emissioni inquinanti. Tali centrali per raggiungere potenze significative, devono coprire aree estese ( per sostituire una centrale

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convenzinale da 1000MW occorrerebbero2-3000 aerogeneratori, che devono essere posizionati a una distanza sufficiente tra di loro per sfruttare utilmente il vento - si raggiungono densità medie di potenza di 10 MW/km2) e risultano

acusticamente e paesaggisticamente non sempre tollerati dalla popolazione. Altre controindicazioni che si possono rilevare sono le possibili interferenze elettromagnetiche.

1.2.3

Geotermica

La trasformazione di energia geotermica in elettrica è avvenuta per la prima volta a Larderello (Italia), nel 1913. Si trattava di una centrale di modesta potenza (250 kW, che poi fu potenziata con tre gruppi da 2.5MW ognuno) che sfruttava i soffioni boraciferi derivanti dal sottosuolo a temperature di 140-250 ◦

C e pressioni tra 5 e 25 atm. La strada intrapresa in Italia, fu seguita anche in Giappone e Stati Uniti dove si cerco, con perforazioni di tipo sperimentale, soffioni per la produzione di energia elettrica. Per quasi cinquanta anni la centrale geotermica di Larderello ( che nel 1939-40 fu po-tenziata a 126 MW) rimase la predominante al mondo, fino al 1959, quando entro in servizio la centrale di Wairakei, in Nuova Zelanda.

Quando il prezzo delle fonti convenzionali non risulta poi eccessivo, la produ-zione di elettricità per via geotermica presenta scarse attrattive, a causa degli investimenti di impianto onerosi (non giustificabile nemmeno per il fatto che il fluido geotermico è quasi gratuito, e quindi va ad incidere poco sull’investi-mento iniziale). I maggiori sviluppi geotermici sono pertanto attesi in quei Paesi con rilevanti anomalie termiche del sottosuolo in regioni isolate, nelle quali sarebbe oneroso trasportare elettricità prodotta da altre fonti. Infat-ti un notevole sviluppo geotermico è in corso nelle Filippine e in Indonesia (isola di Giava), ove si registrano le caratteristiche sovra citate.

Le caratteristiche di centrale dipendono dal tipo di fluido disponibile,che può essere a vapore dominante ( a volte a vapore secco) oppure ad acqua domi-nante.

Nel primo caso il vapore viene inviato direttamente nelle turbine (talora a condensazione) e scaricato nell’ambiente. I campi a vapore dominante

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attual-mente sfruttati sono una decina nel mondo, oltre a quelli di Larderello e The Geysers (California, USA) ( questi due alimentano una potenza installata di circa 1000 MW).

Nel secondo caso, più frequente, di campi ad acqua dominante, il sistema prevalente di sfruttamento prevede una fase di separazione dell’acqua dal vapore che viene successivamente utilizzato per azionare il turboalternatore. Si stanno perfezionando macchine bifasi che utilizzano direttamente il fluido (acqua + vapore) endogeno.

Si deve ricordare che i fluidi geotermici ad acqua dominante, oltre a conte-nere inquinanti per l’aria il suolo e le acque di superficie, contengono molto spesso sostanze corrosive o incrostanti che rendono onerose le spese di manu-tenzione degli impianti e che costringono a specifici accorgimenti progettuali su ogni singolo campo, con conseguente ripercussione sui costi e sui tempi di realizzazione.

I rischi che si incontrano in geotermia sono assai maggiori che in altre attività di esplorazione del sottosuolo, a causa delle maggiori difficoltà di conoscere, prima della trivellazione, il grado di fertilità del pozzo e la composizione chimica del fluido.

1.2.4

Biomasse

L’utilizzo della biomassa per combustione diretta può aver luogo in modo diretto nei casi in questa abbia un sufficiente potere calorifico per essere uti-lizzata come combustibile; è il caso del legno e degli scarti di alcuni processi industriali, che possono essere bruciati direttamente in apposite caldaie per produrre vapore.

In genere però le biomasse hanno un elevato tenore di umidità, perciò tal-volta è necessario preliminarmente essiccarla. Oppure nel caso di biomasse derivanti da rifiuti solidi urbani, occorrono varie fasi di separazione per eli-minare inerti, plastiche, vetro e metalli.

Attualmente la combustione della biomasse viene realizzata su griglia (fisse o mobili) o in letti fluidi (bollenti o circolanti) inseriti in una tradizionale camera di combustione provvista di evaporatori e successivi surriscaldatori

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di vapore.

Tra le due,quella su griglia risulta più economica dal punto di vista realiz-zativo e dei costi, mentre il letto fluido risulta più vantaggioso per quanto concerne il controllo delle emissioni inquinanti, particolarmente in termini di CO.

Per tutte e due le tecnologie è possibile effettuare la co-combustione, cioè insieme alle biomasse per esempio lignocellulosiche, di altri combustibili più o meno pregiati (dal carbone ai fanghi industriali).

Gli impianti utilizzati per la combustine diretta delle biomasse hanno tagli di decine di MW elettrici: in Italia esistono vari esempi di impianti a biomassa (a Cutro, Pozzilli, e nel Cadore) di circa 10-20 MW, per lo più alimentate con rifiuti lignocellulosici, cippato di legno, sansa, residui agricoli, ecc. Uno degli esempi più importanti, a livello mondiale, è la centrale della Mc Neil ( Vermount-USA) con un impianto a griglia da circa 60 MW elettrici. Molti impianti a griglia e a letto fluido sono presenti in Finlandia, Norvegia, e Da-nimarca.

Mentre per digestione anaerobica si va ad utilizzare quella biomassa umida che non può essere bruciata, se non preventivamente essiccata. Composti organici possono dar luogo, in condizioni di anaerobiosi, a produzione di gas metano e la notevole diffusione in natura di tale gas, conferma quanto frequenti siano state le condizioni di digestione anaerobica spontanea.

1.2.5

Maree e moto ondoso

L’unica centrale di taglia industriale che sfrutta l’energia del mare per al produzione di elettricità è quella francese costruita nel 1966 in Bretagna, tra le città di Dinard e Saint-Malo, sull’estuario del fiume Rance. Essa sfrutta l’onda di marea, che in tale località raggiungono i 13 metri.

La centrale è formata da una diga costruita in un punto del fiume largo 760 metri, a 3 km dall’estuario; il bacino si estende per 20 km verso l’entroterra e ha una capacità di 170 milioni di m3 di acqua. All’interno della diga, a circa

10 metri sotto il livello minimo di area, sono state installate 24 condotte con turbogeneratori da 10 MW, per una potenza complessiva di 240 MW.

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La centrale ha funzionamento discontinuo: infatti quando l’acqua del bacino e quella del mare hanno un dislivello minimo le turbine restano ferme. La successione di fasi per produrre l’energia è la seguente: quando l’oceano è al livello minimo si aprono le paratoie della diga e l’acqua defluisce verso il mare finché i due livelli si eguagliano.

Le paratoie quindi vengono chiuse mentre il mare sale. Quando la marea è sufficientemente alta, l’acqua viene fatta entrare nel bacino finché il dislivello diventa minimo. I turboalternatori quindi producono energia elettrica per tutto il tempo in cui c’è dislivello sufficiente tra interno ed esterno, in quanto le turbine sono reversibili (possono girare nei due sensi).

La centrale di Rance produce circa 540 GWh l’anno, cioè circa un quarto della produzione di una centrale della medesima potenza ad acqua fluente che funzionasse tutte le ore dell’anno.

Centrali maremotrici, come quella di Rance, possono produrre una maggiore potenza se viene previsto anche il pompaggio. Per poter sfruttare le onde marine, le configurazioni dei diversi impianti sperimentati realizzati puntano essenzialmente ad utilizzare in maniera continua il moto ondoso( variazioni periodiche, di energia cinetica e potenziale) attraverso sistemi di accumulo che permettono di restituire l’energia delle onde in tempi e modi voluti. Le sperimentazioni prevalenti si basano sulla trasformazione dell’energia ci-netica in energia di compressione dell’aria, oppure direttamente in energia meccanica tramite macchine rotanti. I principali sistemi proposti prevedono: boe oscillanti con ancoraggio, compressione in campane galleggianti, com-pressione d’aria tramite sistemi deformabili immersi, boe con eliche operanti in risonanza. Interessante una proposta italiana, del prof. C. Caputo, mira-ta allo sfrutmira-tamento anche delle onde relativamente piccole, come quelle dei bacini chiusi.

Per lo sfruttamento del gradiente termico marino è stato finora realizzato solo qualche prototipo di piccolissima taglia; in particolare è stata proposta una centrale sommersa a ciclo chiuso Rankine, ad ammoniaca come fluido di lavoro, che passando dallo stato liquido a quello gassoso in funzione delle variazioni di temperatura esterna, si espande azionando una turbina o un motore alternativo.

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Di una centrale simile, ma a ciclo aperto, l’industria francese aveva iniziato la costruzione in Costa d’Avorio, ma poi tale progetto fu abbandonato quando il paese fu reso indipendente. Il progetto prevedeva di utilizzare come fluido di lavoro direttamente l’acqua del mare, che doveva essere fatta evaporare sotto “vuoto parziale ”; il vapore prodotto doveva alimentare una turbina prima di essere ricondensato mediante acqua marina prelevata in profondità.

1.2.6

Solare

L’energia solare può essere utilizzata per produrre energia elettrica in una duplice maniera: convertire l’energia radiante del sole, opportunamente con-centrata, in energia termica conseguentemente convertita in energia elettrica attraverso comuni cicli termodinamici (solare termico) o attraverso dispositivi fotovoltaici che consentono di convertire l’energia radiante del sole diretta-mente in energia elettrica, sfruttando l’effetto fotovoltaico, ossia la genera-zione di una differenza di potenziale, tra due elettrodi di un semiconduttore, da parte di un flusso di fotoni che interagiscono con il materiale.

Il primo tipo è una tecnologia che permette la conversione diretta dell’energia solare in energia termica (calore). Il calore che si ricava può essere utilizzato per riscaldare abitazioni, per la produzione di energia elettrica, per raffred-dare, per muovere motori, per la produzione di idrogeno, ecc. L’applicabilità di maggior convenienza e accessibilità è per il riscaldamento domestico, an-che se negli ultimi anni si sta studiando la sua applicabilità anan-che nel campo della produzione industriale di energia elettrica. A questo proposito, in Italia ENEL e ENEA stanno lavorando al progetto Archimede, che consiste nella realizzazione di un impianto sperimentale, a Priolo Gargallo [6], in cui, per mezzo di specchi parabolici lineari, si concentra la luce diretta del sole su un tubo ricevitore (dentro il quale scorre il fluido termovettore), che assor-be l’energia raggiante e la converte in calore ad alta temperatura. Il fluido riscaldato (a 550◦C) viene convogliato in un serbatoio “caldo ”, che

costitui-sce l’accumulo di fluido caldo ad alta temperatura. Da qui , il fluido caldo viene convogliato ad un scambiatore in cui cede parte del suo calore, con il quale si genera vapore che alimenta un sistema convenzionale di produzione

(22)

di energia elettrica. Il fluido conclude la sua corsa in un serbatoio “freddo ”, a 290◦

C da dove viene convogliato nel ciclo di partenza (Fig.1.3).

Il solare fotovoltaico, con la scoperta dell’effetto fotovoltaico che risale al 1839, ha avuto le prime applicazioni pratiche solo nella seconda metà del ’900, quando sono state sviluppate celle fotovoltaiche al silicio per rifornire di energia elettrica i satelliti artificiali inviati nello spazio.

Si trattava di dispositivi molto costosi, che trovavano la loro applicabilità solo in ambito di progetti spaziali. Dopo la crisi energetica del 1973 si cominciò a pensare ad un applicazione terrestre delle celle fotovoltaiche e iniziò una frenetica ricerca anche nelle tecnologie dei materiali, che ha portato a consi-derare il fotovoltaico come una possibile opzione per la fornitura di elettricità commerciale.

Figura 1.3: Schematizzazione dell’impianto a concentrazione progettato da ENEA.

Oggi le celle fotovoltaiche hanno trovato la competitività economica in alcune nicchie di mercato, dove è richiesta una modesta potenza elettrica e non sia disponibile l’alimentazione dalla rete (piccole utenze isolate, alimentazione

(23)

di particolari orologi, calcolatori, ecc.).

Le celle fotovoltaiche hanno potenza inferiore ad 1 watt e singolarmente non possono essere utilizzate per scopi pratici, esse vengono pertanto montate in serie per formare dei moduli composti da alcune centinaia di celle. Più mo-duli, a loro volta, sono inseriti in pannelli che sono poi assemblati insieme per formare il campo fotovoltaico (centrale). Poiché i pannelli producono corren-te continua, in generale è necessario abbinare ad essi delle apparecchiature di conversione della corrente continua in alternata (inverter); inoltre, con l’ecce-zione dei moduli funzionanti in parallelo con la rete elettrica, sono necessari sistemi di accumulo per rendere disponibile l’elettricità nelle ore senza sole. L’energia fotovoltaica presenta indubbi vantaggi:

• la conversione della radiazione solare in elettricità è diretta e senza inquinamento ambientale;

• una volta installate le celle solari, che hanno una vita media di circa 15 anni, non comportano oneri di esercizio e manutenzione;

• l’installazione può essere effettuata sul luogo ove l’energia è necessaria e non vi sono quindi oneri di trasporto dell’energia;

• infine gli impianti sono modulari e quindi la potenza può essere aumen-tata nel tempo.

Gli svantaggi sono legati alla bassa intensità e discontinuità dell’energia sola-re ( le celle non funzionano di notte e hanno sola-rendimenti bassi nelle osola-re poco soleggiate o con cielo coperto), e al basso rendimento di conversione dei fotoni in elettroni (questo richiede la copertura di vaste aree per disporre di poten-ze significative). A ciò va aggiunto il problema del costo, che attualmente è ancora di un ordine di grandezza superiore a quello del kWh prodotto da fonti convenzionali (può risultare anche 10-15 volte superiore per forniture elettriche isolate, che necessitano di sistemi di accumulo). Nella Tab.1.1 pro-poniamo i principali impieghi delle fonti rinnovabili presentate in precedenza, con lo scopo di presentare in maniera sintetica l’utilizzo di queste risorse.

(24)

Risorsa energetica Conversione energetica e possibile alternativa applicabilità della risorsa Idroelettrica Generazione di potenza elettrica

Biomassa Generazione di potenza elettrica e di calore, pirolisi, massificazione, digestione Geotermica Riscaldamento urbano, generazione elettrica,

hydrothermal, hot dry rock

Solare termica Sistemi solari per il riscaldamento domestico, e prototipi di accumulo di energia da utilizzare per generare potenza elettrica Solare fotovoltaica Generazione di potenza termica, riscaldamento

acqua, fotovoltaico

Vento Generazione di potenza, pompaggio acqua Maree e onde marine Sfruttamento energia delle maree tramite

barriere, generazione di potenza elettrica Tabella 1.1: Principali fonti rinnovabili e loro applicazioni.

1.3

Normativa nazionale per quanto concerne

la produzione di energia elettrica da fonti

rinnovabili

Il decreto Bersani (D.Lgs. 16 marzo 1999, n. 79, art.11), in conformità al-la direttiva europea 96/92/CE, ha posto particoal-lare attenzione al problema energetico dal punto di vista economico e ambientale, incentivando lo svi-luppo di fonti rinnovabili e andando incontro ai vincoli di emissione dei gas serra imposti dal protocollo di Kyoto.

Tale decreto prevede, che ogni produttore di energia elettrica, debba immet-tere in rete una quantità di energia, derivante da fonti rinnovabili, pari al 2%.

Una volta che un impianto è qualificato come “alimentato da fonte rinnovabi-le ”, la sua produzione annua gli conferirà il diritto di assegnazione, da parte del gestore della rete nazionale ( GRTN per l’Italia), di un certificato verde per ogni 100 MWh annualmente prodotti, per i primi 8 anni di esercizio del-l’impianto, successivi al periodo di collaudo ed avviamento.

(25)

L’adempimento all’obbligo di produzione del 2% di energia elettrica da fonti rinnovabili può avvenire secondo tre modalità:

• Acquisto di certificati verdi (pari alla quota soggetta all’obbligo) at-tribuiti ai produttori di energia elettrica da nuovi impianti a fonti rinnovabili;

• Messa in opera di nuovi impianti a fonte rinnovabile (ai quali verranno concessi i relativi certificati verdi);

• Importazione di nuova energia rinnovabile proveniente da paesi che adottano analoghi incentivi su basi di reciprocità.

Inoltre, i titoli possono essere emessi:

• a preventivo, su richiesta del produttore in base alla producibilità degli impianti;

• a consuntivo, in base all’energia effettivamente prodotta.

Lo Stato Italiano, in quanto aderente al protocollo di Kyoto, è tenuto a dover abbassare le emissioni di gas serra. Tale riduzione, per i paesi della comunità Europea nel loro insieme, deve essere dell’8%.

1.4

Energia da fonti rinnovabili in Italia

Nel 2004 le fonti rinnovabili di energia hanno contribuito complessivamente al consumo interno lordo1 (CIL) italiano per una percentuale di poco

supe-riore al 7% (Fig.1.4).

D’altra parte, considerato l’elevato tasso di dipendenza energetica dall’este-ro, le fonti rinnovabili costituiscono, con il 45% circa della produzione interna totale di energia, la principale fonte di energia endogena.

In Fig.1.5 si riporta l’andamento negli ultimi cinque anni del contributo del-le diverse fonti al bilancio nazionadel-le. Si ridel-leva una crescita contenuta del

1Consumo interno lordo: somma dei quantitativi di fonti primarie prodotte, di fonti

primarie e secondarie importate e della variazione delle scorte di fonti primarie e secondarie presso produttori e importatori, diminuita delle fonti primarie e secondarie esportate.

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Figura 1.4: Consumo interno lordo per fonte di energia. Italia 2004. contributo da fonti rinnovabili, mentre appare evidente il minor ricorso ai prodotti petroliferi a vantaggio del gas naturale e, in piccola misura, anche dei combustibili solidi.

In Fig.1.6 sono riportati i dati relativi alla produzione di energia da fonti rinnovabili negli ultimi cinque anni.

Si nota come l’incremento percentuale più significativo, pur restando su valo-ri assoluti molto bassi, provenga da fonti quali l’eolico, il fotovoltaico, i valo-rifiuti e le biomasse che passano, sul totale delle rinnovabili, da poco più del 14% del 2000 a quasi 26% del 2004. La Fig.1.7 mostra il contributo energetico, in termini di ktep (migliaia di tonnellate equivalenti di petrolio) di energia primaria sostituita, fornito negli ultimi 5 anni da alcune tipologie di fonti rinnovabili.

Si vede come l’idroelettrico, che fornisce la quota più rilevante, sia carat-terizzato da una forte fluttuazione da attribuire a fattori idrici, mentre la

(27)

Figura 1.5: Consumo interno lordo di energia per fonte. Anni 2000-2004.

Figura 1.6: Energia da rinnovabili in equivalente fossile sostituito (ktep).Anni 2000-2004.

(28)

Figura 1.7: Produzione di energia da rinnovabili (ktep).Italia 2000-2004. geotermia mostra un aumento del 10 % sull’intero periodo.

Per quanto riguarda le altre fonti rinnovabili si evidenzia il buon incremento della produzione da biomassa e rifiuti, comunque attestata su valori ancora molto lontani da quelli tipici dei Paesi europei, mentre la produzione da eo-lico e fotovoltaico non ha subito incrementi apprezzabili,come si può rilevare dal grafico.

(29)

Le Biomasse Come Fonte

Rinnovabile

2.1

Introduzione

Con il termine biomassa si intende tutto quel materiale organico che è presen-te sottoforma di vegetazione (quindi alghe, alberi e piantagioni). La biomassa è prodotta da piante verdi, per mezzo della fotosintesi, reazione in cui si con-verte la luce solare in nuovo materiale vegetale, ne fanno parte quindi piante di tipo acquatico e terrestre, e tutti gli scarti vegetali.

La fonte energetica biomassa può essere considerata come materiale organico in cui si immagazzina l’energia luminosa emessa dal sole sottoforma di le-gami chimici. Quando questi lele-gami sono rotti per digestione, combustione o decomposizione, queste sostanze rilasciano energia accumulata nei legami chimici.

La biomassa è da sempre una delle principali fonti energetiche per l’umanità, allo stato attuale essa contribuisce per il 10-14% al fabbisogno mondiale di energia. E’ quindi importante incoraggiare l’utilizzo di questa risorsa poten-ziale, con i conseguenti benefici che se ne possono trarre. La sua applicabilità può essere inquadrata come un combustibile supplementare a quelli conven-zionali per produrre energia elettrica, oppure usato come rifornimento del gas naturale, o come gas d’accensione di motori.

(30)

Figura 2.1: Ciclo del carbonio.

La conversione della biomassa in energia può essere realizzata in diversi modi, la scelta del processo da utilizzare è condizionata molto dal tipo di combu-stibile più adatto per l’applicazione finale a cui sarà destinato; ad esempio se la biomassa sarà sfruttata come gas d’accensione dei motori, il combustibile dovrà essere fornito sottoforma di gas o di liquido. La produzione di gas combustibile da biomassa può realizzarsi con l’applicazione di diverse tecno-logie, ognuna delle quali con le proprie peculiarità, con i suoi vantaggi e i suoi svantaggi (gassificazione, pirolisi, digestione anaerobica).

La biomassa è il materiale vegetale che deriva dalla reazione, denominata fotosintesi, fra CO2 presente nell’aria, l’acqua e la luce. Proprio attraverso il

processo di fotosintesi, l’energia solare è trasformata in energia chimica, che è rappresentata dall’energia dei legami chimici delle molecole ottenute con questa reazione. I prodotti di reazione non sono altro che carboidrati che

(31)

vanno a costituire le basi sui cui si costruisce la biomassa.

Tipicamente la fotosintesi converte meno dell’1% della luce solare disponibi-le, per poi immagazzinarla come energia di legame. La luce solare non è altro che il catalizzatore della reazione in cui i reagenti sono convertiti in nuovi legami chimici, da cui hanno origine i componenti strutturali delle biomasse. Se i processi con cui si vuole ottenere energia dalla biomassa sono pensati efficacemente, in modo chimico o biologico, i prodotti che se ne ricavano, combinati con l’ossigeno, daranno nuovamente come prodotto finale CO2 e

acqua. Si viene quindi a creare un processo ciclico, in cui l’anidride è sia il reagente di partenza, sia il prodotto finale (Fig.2.1), disponibile successiva-mente a produrre nuova biomassa.

Il valore di un particolare tipo di biomassa dipende dalle proprietà chimiche e fisiche delle molecole di cui è fatta. Per millenni gli uomini utilizzava-no l’energia immagazzinata nei legami chimici, bruciando la biomassa come combustibile per riscaldarsi, e mangiando tutta quella parte di vegetazione con elevato contenuto nutrizionale, per il fatto che le piante sono ricche di zucchero e di amido.

Negli ultimi decenni le biomasse sono state utilizzate sottoforma di biomassa fossile, come carbone e olio, ma tali fonti di energia richiedono per essere rinnovate milioni di anni, quindi in questo senso non si possono reputare le biomasse fossili come un fonte rinnovabile, poiché la scala di tempo per il loro riutilizzo non è paragonabile a quella umana.

Bruciando combustibili fossili si utilizza biomassa “vecchia ”, e si genera CO2

“nuova ”, senza un bilanciamento nel breve periodo tra il consumo e la produ-zione di gas, con conseguente accumulo d’anidride carbonica, questo fatto va a contribuire all’effetto serra e all’esaurimento di una risorsa non rinnovabile. La combustione della biomassa non contribuisce ad apportare nuova CO2

al-l’atmosfera, poiché assicurando la crescita di nuovi raccolti si garantisce che l’anidride carbonica possa essere assorbita dalla vegetazione stessa, per dar luogo nuovamente al ciclo del carbonio.

Un fattore molto importante, che viene molto spesso trascurato quando si considera la biomassa come un rimedio al surriscaldamento della terra, è il tempo di ritardo che intercorre tra l’istante in cui si ha il rilascio della CO2

(32)

per combustione di combustibili fossili e il suo eventuale assorbimento come biomassa, questo tempo può molte volte richiedere decine di anni.

Uno dei dilemmi per lo sviluppo del mondo è il bisogno di rintracciare que-sto tempo di attesa e pianificare le appropriate azioni per mitigare queque-sto ritardo. Un dilemma altrettanto stringente che affligge il mondo è il consu-mo di biomassa, con gli indiscussi benefici che comporta, senza tener conto di implementare un programma d’inserimento di nuove piantagioni per rim-piazzare quelle sfruttate.

Numerosi tipi di raccolti sono stati proposti e sono stati testati per dare luo-go ad un’agricoltura che ha come obiettivo quello di produrre energia. I raccolti energetici potenziali includono raccolti boschivi e piantagioni erba-cee (tutti raccolti perenni), raccolti di amido (granturco), zucchero (canna da zucchero) e semi oleiferi (girasoli).

In genere le caratteristiche del raccolto energetico ideale sono: • Alta resa (massima produzione di materiale secco per ettaro); • Bassa energia impiegata per prodotto;

• Basso costo;

• Composizione del raccolto con pochi contaminanti; • Richiesta di pochi fertilizzanti.

Le caratteristiche desiderate dipendono anche dalle condizioni climatiche lo-cali e dalle caratteristiche del terreno che può essere più o meno adatto. Il consumo di acqua può essere talvolta una limitazione di molte aree del mon-do, tanto che un importante fattore è la resistenza di particolari raccolti alla carenza di acqua. Altri fattori importanti per le colture sono la resistenza ai pesticidi e la richiesta di fertilizzanti.

(33)

2.2

Motivazioni e vantaggi dell’energia da

bio-masse

Negli ultimi dieci anni, a livello mondiale, l’interesse sempre più crescente per le fonti rinnovabili, ha incentivato la ricerca per le biomasse viste come risorsa energetica.

Ci sono alcune ragioni al riguardo:

• Le tecnologie sviluppate sulla conversione, sulla produzione dei raccol-ti, ecc, promettono l’applicabilità delle biomasse a basso costo e con un’efficienza di conversione più alta di quella precedentemente possi-bile. Per esempio, quando la biomassa residua a basso costo è usata come combustibile, il costo dell’elettricità diviene competitivo con la produzione di energia da fonti convenzionali. Opzioni più avanzate per produrre elettricità stanno andando sempre più ad incentivare l’effet-tivo uso delle piantagioni energetiche, per esempio la produzione di metanolo e idrogeno per mezzo di processi di gassificazione;

• Lo stimolo da parte del settore agricolo, specialmente nell’ Europa del-l’est e negli Stati Uniti, il quale è produttore di eccedenze alimentari. Questa situazione ha portato ad una politica che prevede che le ter-re siano messe in disuso con l’intento di ridurter-re l’esubero delle scorte alimentari. Problemi relativi, così come l’abbandono delle zone rurali e il pagamento di significante sovvenzioni per tenere in buono stato la terra, ha stimolato lo sviluppo di raccolti destinati a produrre energia. La domanda di energia farà crescere sempre più il mercato dei raccol-ti energeraccol-tici in funzione anche alla potenzialità degli appezzamenraccol-ti in disuso;

• La potenziale minaccia dei cambiamenti climatici, dovuti alle emis-sioni di gas responsabili dell’effetto serra, ha portato a prendere in considerazione fonti di energia rinnovabile. La biomassa emette ap-prossimativamente per conversione una quantità di anidride carbonica che risulta quella necessaria per la crescita di nuove piante. Quindi

(34)

in definitiva l’uso delle biomasse non contribuisce ad accumulare CO2

nell’atmosfera.

L’interesse crescente per le biomasse non deriva soltanto dallo stimolo di queste tre questioni principali: la biomassa infatti è una risorsa che presenta anche numerosi vantaggi. È una fonte energetica indigena per molti Paesi, per i quali comporta un incremento di produzione, al quale fa seguito un aumento d’impiego di persone, andando inoltre a rimpiazzare un agricoltura più intensiva con una produzione di raccolti energetici controllata e diversi-ficata, ci potranno essere dei benefici ambientali, così da ovviare ad alcuni problemi come la lisciviazione dei fertilizzanti e l’utilizzo di pesticidi. Infine, con un accurata selezione dei raccolti, è possibile recuperare appezzamenti di terreno degradati.

La biomassa è disponibile su base rinnovabile, o da processi naturali, o dal-l’attività umana come rifiuto organico. La potenza energetica mondiale de-rivante da biomassa sottoforma di foreste e residui agricoli è stimata di circa 30EJ/anno, comparata con una domanda di energia mondiale al di sopra di 400EJ. Affinché le biomasse possano apportare un grosso contributo al fabbisogno mondiale di energia, è necessario andare a sfruttare quei terreni marginali non utilizzati per le coltivazioni alimentari e quei terreni soltanto lavorati, ma non utilizzati.

Lo scenario mondiale delle energie rinnovabili suggerisce che, per il 2050, metà dell’attuale consumo di energia primaria può essere coperto dalle bio-masse, e che il 60% del mercato dell’energia elettrica può essere rifornito da fonti rinnovabili, delle quali la biomassa è uno dei componenti principali. La biomassa può essere convertita, tramite opportuni trattamenti, in tre principali tipi di prodotto:

• Energia elettrica e termica; • Combustibile per i trasporti; • Materia prima per la chimica.

Lo stadio iniziale di molti processi di conversione di biomasse è la pirolisi, ovvero il trattamento termico in assenza di reagenti ossidanti. Se interessa

(35)

la produzione di bio-combustibili, (olio e gas) o la produzione di adesivi, resine e altri composti finali, la pirolisi deve avvenire ad alte temperature e alte velocità di riscaldamento. Tuttavia, ancora oggi, le condizioni ottimali di pirolisi per molte applicazioni sono afflitte da ampi margini di incertezza, per cui lo sviluppo di modelli matematici accurati, che è l’obbiettivo del presente lavoro, riveste un ruolo importante allo scopo di migliorare la progettazione dei dispositivi di processo.

2.3

Tipi di biomassa

I ricercatori caratterizzano in differenti modi i vari tipi di biomasse, che si possono raggruppare sotto quattro tipi principali, cioè:

• Residui forestali e dell’industria del legno; • Colture energetiche;

• Piante acquatiche;

• Residui agroindustriali e concimi.

Dentro questa suddivisione, c’è da distinguere tra biomasse ad alto e basso contenuto di umidità. Molte applicazioni sono dirette verso il tipo a basso contenuto di umidità, come del resto il nostro studio. Ad esempio le piante acquatiche e i concimi sono intrinsecamente dei materiali ad alto contenuto di umidità, e quindi risultano più adatte per tecniche in cui si applicano pro-cessi a umido.

Per selezionare il tipo di biomassa si fa riferimento al suo contenuto di umi-dità, perché da questo si può dettare quale sia il processo di conversione energetica più favorevole a cui potrà essere sottoposta.

Biomasse con elevato contenuto in umidità, così come la parte verde del-la canna da zucchero, si prestano per conversioni a umido, che coinvolgono reazioni biologiche, come ad esempio la fermentazione, mentre una biomassa secca, come trucioli di legno, è più adatta per processi come la gassificazione, la pirolisi, e la combustione.

(36)

I processi acquosi vengono presi in considerazione quando il contenuto di umidità del materiale è così elevato, che l’energia necessaria per essiccarlo, sarebbe più elevata di quella che si ottiene dal prodotto finale di processo. Ci sono comunque altri fattori da considerare per la scelta del processo a cui sottoporre la biomassa, specialmente nei casi in cui la biomassa si trova a cavallo tra un materiale umido e uno secco, alcuni esempio sono: il contenuto in ceneri; il contenuto in alcali; il contenuto in cellulosa , il quale influenza i processi di fermentazione; ecc.

2.4

Caratteristiche e composizione delle piante

Le biomasse vegetali sono costituite da composti ad alto peso molecolare, quali la cellulosa, l’emicellulosa, la lignina e da altri, relativamente più sem-plici, come gli estrattivi di natura organica ed inorganica. Le loro quantità relative variano a seconda della specie e dell’età della pianta (Fig.2.2).

Figura 2.2: Composizione delle biomasse.

Le piante lignocellulosiche sono caratterizzate tipicamente da crescita lenta e sono composte da fibre legate fra loro fortemente, dando una superficie ester-na dura, mentre le piante erbacee sono usualmente perenni, con fibre legate

(37)

più mollemente, indice di un basso tenore di lignina, la quale lega insieme le fibre di cellulosa. Entrambi i componenti sono esempi di polisaccaridi, cioè polimeri naturali a catena lunga.

La quantità relativa tra cellulosa e lignina è un fattore determinante per identificare la bontà di una specie vegetale come coltura energetica, relativa-mente alla sua resa nei processi cui viene sottoposta successivarelativa-mente. La cellulosa (Fig.2.3) è il maggiore costituente delle biomasse lignocellulo-siche (30-60% in peso) ed è costituita da catene lineari di glucosio legato attraverso legami di tipo 1-4 β glucosidici, con un peso molecolare medio at-torno a 100.000. L’instaurarsi di legami ad idrogeno tra le catene determina

la formazione di domini cristallini che impartiscono resistenza ed elasticità alle fibre vegetali.

Figura 2.3: Struttura della cellulosa.

La formula chimica del monomero della cellulosa è (C6H10O5)n dove n

rap-presenta il grado di polimerizzazione che può variare non solo da vegetale a vegetale, ma anche nello stesso vegetale.

La cellulosa è idrolizzata completamente a glucosio da acidi concentrati, men-tre gli acidi diluiti, gli alcali e le sostanze ossidanti esercitano un’azione meno drastica, ma sufficiente a ridurre il suo grado di polimerizzazione.

In natura si trova allo stato puro solo nelle piante annuali come cotone e lino, mentre nelle piante legnose è sempre accompagnata da emicellulosa e lignina. L’emicellulosa (Fig.2.4) costituisce il 10-40% della biomassa lignocellulosica, si presenta come polimero misto, relativamente corto (da 10 a 200

(38)

moleco-le) e ramificato, formato sia da zuccheri a sei atomi di carbonio (glucosio, mannosio, galattosio) sia da zuccheri a cinque atomi di carbonio (xilosio e arabinosio) (Fig.2.5).

Figura 2.4: Struttura schematica dell’emicellulosa.

Il legame caratteristico è 1-4, ma sono presenti anche legami 1-6 e 1-3. L’e-micellulosa è incorporata allo stato amorfo nella parete cellulare più esterna delle fibre ed è associata alla cellulosa dalla quale può essere separata, anche se non completamente, per azione delle basi e degli acidi.

A differenza della cellulosa, che è essenzialmente un omopolimero, la com-posizione dell’emicellulosa può variare considerevolmente da pianta a pianta perché gli zuccheri monometrici e la loro quantità relative possono essere molto diverse.

Alla presenza dell’emicellulosa si devono alcune importanti proprietà delle fibre, la principale è quella di favorire l’imbibizione delle fibre, quando è pre-sente l’acqua, che ne provoca il rigonfiamento.

L’imbibizione e il rigonfiamento determinano la lubrificazione degli strati in-terni della fibra che ne aumenta la flessibilità. Il rigonfiamento aumenta anche il volume specifico e l’area di legame tra le varie fibre.

L’emicellulosa presenta proprietà adesive, pertanto tende a cementare o a di-ventare di consistenza cornea con la conseguenza che le fibre diventano rigide e si imbibiscono più lentamente.

(39)

Figura 2.5: I principali zuccheri monomeri costituenti l’emicellulosa. La lignina è uno dei costituenti principali dei vegetali poiché ne rappresenta il 10-30% della massa, in base alla specie.

La sua funzione principale consiste nel legare e cementare tra loro le varie fibre per conferire compattezza e resistenza alla pianta; costituisce protezione contro insetti, agenti patogeni, lesioni e luce ultravioletta. È un composto di natura fenolica che prende origine dalla polimerizzazione deidrogenativa, per via enzimatica, dei tre principali precursori: alcool p-cumarilico, alcool sinapilico ed alcool coniferilico (Fig.2.6). Dal punto di vista chimico, è un polimero tridimensionale irregolare, dalla struttura relativamente complessa (Fig.2.7).

Il peso molecolare della lignina è difficile da determinare, in quanto il pro-cesso di estrazione può provocare variazioni o indurre riarrangiamenti della struttura originaria.

Solitamente la lignina viene classificata in:

(40)

• Lignina hardwood, quando prevale l’alcool coniferilico e sinapilico; • Lignina grass, quando contiene quantità significative di derivati di

al-cool p-cumarilico.

Viene utilizzata principalmente come combustibile, ma attualmente trova largo impiego nell’industria come disperdente, indurente, emulsionante, per laminati plastici, cartoni e manufatti in gomma.

Figura 2.6: Precursori della lignina.

Inoltre può essere trattata chimicamente per produrre composti aromatici, tipo vanillina, siringaldeide, p-idrossibenzaldeide, che possono essere utiliz-zati nella chimica farmaceutica, nell’industria cosmetica e alimentare. La non tossicità della lignina viene sfruttata per produrre emendanti granu-lari per il terreno a rilascio controllato dei micronutrienti, essendo caratte-rizzata da un’elevata resistenza agli acidi forti, mentre è molto sensibile agli agenti ossidanti.

Le proprietà fisiche e chimiche della lignina dipendono molto dal tipo di pro-cesso con cui viene estratta dalle biomasse, in quanto la struttura nativa può essere modificata in seguito all’azione dei reagenti chimici utilizzati e dalle reazioni di pirolisi.

Gli estrattivi comprendono numerose sostanze di natura diversa: terpeni, monoterpeni, acidi grassi, ecc.

(41)

Il nome di estrattivi deriva dal fatto che è possibile estrarre tali sostanze con acqua calda o fredda, oppure ricorrendo a solventi organici come alcoli, benzene, acetone, ecc. Le quantità estraibili in questa maniera sono variabili ed oscillano dall’1% al 30%, mentre la variabilità di contenuto di estrattivi dipende dall’età e dal tipo di pianta.

Figura 2.7: Modello strutturale della lignina.

Le ceneri derivano dai componenti di natura inorganica, essenzialmente sali dei metalli alcalini ed alcalino-terrosi, i quali vengono determinati non me-diante estrazione, ma per combustione della biomassa.

(42)

dipendono dal tipo di suolo, dall’umidità del suolo, dal bilancio nutritivo e dalla luce solare, le quali determinano la loro adattabilità e produttività spe-cifica in quelle particolari condizioni specifiche.

Molti tipi di piante perenni, come la canna da zucchero, e i cereali, come il mais e il frumento, hanno rese differenti in funzione delle condizioni ambien-tali: perciò il frumento può crescere in zone calde o temperate con un ampia variabilità di precipitazioni, mentre la canna da zucchero può crescere solo in zone calde e umide.

2.5

La fotosintesi

La fotosintesi[7] è il processo dal quale gli organismi di clorofilla (piante verdi come alghe, e alcuni batteri) catturano la luce solare e la convertono in energia chimica. Virtualmente tutta l’energia disponibile per la vita nella biosfera terrestre, zone in cui può esistere la vita, è generata per mezzo della fotosintesi.

La reazione di fotosintesi, anche se non bilanciata, può essere generalizzata: CO2+ 2H2A + energia solare ⇒ (CH2O) + H2O + A2

I composti che possono essere ossidati sono quelli che nella formula si iden-tificano con H2A, i quali cedono i loro elettroni, per andare a costituire i

carboidrati (specie che si riduce) che sono importanti per la crescita dei mi-crorganismi. Nella maggior parte dei casi il componente H2A è acqua (H2O),

e A2 è (O2); in alcuni casi si può avere che H2A è idrogeno solforico (H2S).

La fotosintesi è costituita da due stadi: una serie di reazioni che sono dipen-denti dalla luce ma indipendipen-denti dalla temperatura, e una serie di reazioni che sono dipendenti dalla temperatura e indipendenti dalla luce.

La velocità di reazione della prima serie, chiamate anche reazioni luminose, può incrementare per incremento dell’intensità luminosa(dentro certi limi-ti),o per aumento della concentrazione di CO2, ma non incrementano con la

temperatura. Nella seconda serie, chiamate le reazioni oscure, la velocità può aumentare per incremento della temperatura (dentro certi limiti) ma non in-crementa con l’intensità luminosa.

(43)

Un’altra classificazione tra le piante viene fatta in base al tipo di cammino di fotosintesi utilizzato dalla pianta. Molte piante utilizzano il cammino C3

(Fig.2.8-a), che determina la massa di carbonio contenuto nelle piante. Altro schema cinetico è il C4 (Fig.2.8-b), nel quale si accumula un quantitativo di

carbonio secco più elevato che nel caso precedente, dando una biomassa con contenuto energetico maggiore. Esempio di specie C3 sono: pioppo; salice;

frumento e molti altri cereali, mentre l’erba perenne, Miscanthus, mais e car-ciofi, sono tutti del tipo C4.

(a) (b)

Figura 2.8: Schemi cinetici di fotosintesi.

Tradizionalmente, la conversione biochimica delle biomasse in liquido, ad esempio l’etanolo, è ottenuta utilizzando per materia prima zucchero o ami-do, ad esempio i cereali.

La conversione della cellulosa in glucosio si realizza attraverso un’idrolisi enzimatica acida e successiva conversione del glucosio in alcool, per fermen-tazione, tale processo è tanto più semplice, quanta più cellulosa è contenuta nella biomassa, poiché le biomasse ricche di lignina sono difficili da convertire ad alcool per via fermentativa.

(44)

2.6

Tipi di piante

La scelta del tipo di pianta dipende dal fine ultimo a cui è destinata la pianta, per esempio alcune possono essere adatte per processi termo-chimici, come la combustione, la pirolisi, la gassificazione o l’estrazione meccanica; mentre altre sono applicabili a trattamenti biologici, come la fermentazione.

E’ importante notare che l’energia potenziale posseduta da una biomassa, è la stessa indipendentemente dal tipo di conversione tecnologica a cui viene sottoposta. Quello che varia fra le diverse tecnologie è la reale quantità di energia recuperata dalla particolare risorsa biomassica, e la forma energetica sotto la quale l’energia viene resa disponibile.

L’attenzione prestata alle diverse specie vegetali presenti sulla Terra varia da zona a zona del mondo, tenendo conto dei fattori climatici e del suolo i quali influenzano il modo con cui una pianta può crescere. Nel Nord dell’Europa è stata focalizzata l’attenzione sulle piante legnose di tipo C3, ad esempio

piantagioni a rotazione breve (SRC) di pioppo e salice, o residui forestali. Le piante erbacee di tipo C3, come i cereali, sono di minor interesse nel Regno

Unito per l’utilizzo poco diffuso di quelle tecnologie che sfruttano biomassa ricca di cellulosa per ottenere etanolo per fermentazione.

Anche l’utilizzo di semi da cui trarre bio-combustibile è di ampio interesse in Europa, ma non nel Regno Unito. Il Brasile, dove la canna da zucchero può crescere senza problemi essendo zona tropicale, è divenuto uno dei pro-duttori mondiali su larga scala di alcool combustibile derivante da canna da zucchero.

Tra le piante erbacee, l’erba perenne di tipo C4, Miscanthus, ha suscitato

molto interesse. Questa erba è stata identificata come il raccolto combusti-bile ideale, fornendo un raccolto annuale facile da coltivare e semplice da raccogliere, dopo che è essiccata garantisce un materiale di buona qualità. I terreni chiari e arabili danno un buon prodotto, se accompagnati da una discreto numero di precipitazioni, i terreni più scuri invece danno migliori risultati rispetto ai primi, soprattutto quando le piante risultano tolleranti al pH. Nel Regno Unito, si ha una produzione nella zona ovest più umida, rispetto alla zona est del paese che è più secca. La coltivazione di questo tipo

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di pianta è stata sperimentata da più di dieci anni in molti paesi Europei. In definitiva questo tipo di coltura ha degli indubbi vantaggi, dal momento che si rivela: un buon raccolto annuale, una pianta con contenuto minerale basso, e un materiale dalle buone potenziali energetiche per ettaro coltivato (simile alle colture legnose).

Attualmente la Miscanthus è conosciuta come rhizomes, piantata in doppia fila. Almeno in Europa è stato riscontrato che essa è una pianta poco sog-getta alle malattie. Infatti in Germania e Danimarca le piantagioni che sono invecchiate da i tre ai dieci anni hanno rese che sono di 13-30 t/ha: questo vuol dire che se si produce un raccolto di 20 t/ha, questo dovrebbe dare un’energia netta equivalente di 7t/ha di olio per vita di raccolto.

Anche negli Stati Uniti è stata selezionata una pianta per l’utilizzo specifico di raccolto energetico, la Pancium Virgatum o switchgrass, pianta erbacea estiva perenne caratteristica dell’America del Nord. Tale pianta è apparte-nente alla specie C4 ed ha un contenuto entalpico paragonabile a quello del legno, ma con minor contenuto di umidità. E’ stata studiata con l’obiettivo di rimpiazzare il petrolio per la produzione di etanolo, infatti per fermenta-zione di queste erbe, si riesce a produrre grosse quantità di etanolo. Il basso contenuto di ceneri e di metalli alcalini la rendono particolarmente adatta per la combustione, con gli indubbi benefici che se ne ricava sotto l’aspetto della formazione di incrostazioni sulle superfici di scambio termico (slagging). Anche la canapa è stata proposta come pianta energetica, per il suo elevato contenuto di cellulosa, e per il suo basso contenuto di umidità. La canapa, che fa parte della famigli dei gelsi (Moraccae), come del resto il gelso stesso e la pianta di luppolo, ha un contenuto di cellulosa di circa l’80%, e per tanto tempo è stata coltivata per essere utilizzata in diversi settori, in quanto ma-teria prima per l’industria farmaceutica, chimica e alimentare. Ad esempio è stata utilizzata per produrre sacchetti di carta; inoltre i semi di canapa contengono tutti gli elementi essenziali per essere considerata anche un buon alimento per l’uomo (contiene tutti gli acidi amminici e grassi essenziali); l’olio di lino è utilizzato nell’industria dei colori e delle vernici; e infine l’uso della canapa come fibra tessile è abbastanza affermato.

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l’atten-zione è più focalizzata sul legno, che non sulle piantagioni erbacee. Invece, queste ultime, sono ritenute più adatte per la produzione di combustibili liquidi, come i bio-olii.

2.7

Proprietà delle biomasse

Le proprietà intrinseche delle biomasse sono fondamentali[8], esse infatti de-terminano la scelta del processo di conversione e sono alla base delle difficoltà che si possono riscontrare durante l’applicazione della biomassa al processo. La scelta di una biomassa è influenzata anche dalla forma nella quale l’e-nergia è richiesta, ed è l’interazione tra questi due aspetti che permette di utilizzare la biomassa come risorsa energetica.

Come indicato prima, possiamo dividere le biomasse in due categorie: piante legnose ed erbacee, i due tipi sono ampiamente esaminati nel campo della ricerca e della tecnologia. In funzione del particolare tipo di processo di con-versione selezionato, si traggono le indicazioni sul particolare materiale da utilizzare.

Le maggiori proprietà di interesse, per un processo che ha come fine produrre energia, sono:

• Contenuto di umidità (Moisture) intrinseca ed estrinseca; • Potere calorifico;

• Proporzione tra carbonio volatile e fisso; • Contenuto di ceneri (Ash);

• Contenuto in metalli alcalini; • Rapporto tra cellulosa e lignina.

Per processi in cui la biomassa è convertita a secco, le primi cinque proprietà sono fondamentali; mentre per processi ad umido (wet process), c’è da tener di conto anche delle altre proprietà.

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2.7.1

Contenuto di umidità

Esistono due tipi di contenuto in umidità:

• Umidità intrinseca: contenuto di umidità del materiale senza l’influenza delle condizioni del tempo;

• Umidità estrinseca: è influenzata dal tempo durante i periodi di raccol-ta, andando a mutare il contenuto in umidità sulla massa complessiva della biomassa.

La Tab.2.1 riporta il tipico contenuto di umidità (intrinseca) di un insieme di materiali biomassici.

Oltre alle condizioni ambientali, che senza dubbio hanno la loro importanza nel momento della raccolta della biomassa, esistono altri contaminanti come il suolo e altri detriti, che possono inquinare la biomassa nel momento della raccolta. Tali agenti esterni possono influire negativamente sulle proprietà materiali importanti per i trattamenti e i processi successivi.

I parametri che tengono conto di questi contaminanti sono le ceneri (Ash) e i metalli alcalini contenuti nella biomassa.

Esiste una relazione diretta tra la quantità di umidità e il tipo di processo (come la conversione ad alcool o a gas/olio) a cui destinare quella parti-colare biomassa, nelle conversioni termiche è richiesto un reagente con un basso contenuto di umidità (tipicamente minore del 50%), mentre nelle bio-conversioni si possono utilizzare delle alimentazioni con un contenuto in umi-dità più elevato. Una termo-conversione può senza alcun problema utilizzare una biomassa molto umida, ma questo fattore va ad influire negativamente sul bilancio energetico complessivo del processo (si perde calore sotto forma di calore di evaporazione dell’acqua presente). Sulle base di quanto detto fino ad adesso, legno e piante erbacee con basso contenuto di umidità sono le biomasse più efficienti per processi di tipo termico, con cui si può ottenere combustibile liquido, tipo metanolo.

Per la produzione di etanolo attraverso processi biologici (fermentazione), le biomasse con contenuto di umidità elevato risultano essere le più adatte, tra queste possiamo ricordare la canna da zucchero. Un altro modo per sfruttare

Figura

Figura 1.2: Quote di produzione di energia da fonti rinnovabili nel mondo. Anno 2003.
Figura 1.7: Produzione di energia da rinnovabili (ktep).Italia 2000-2004. geotermia mostra un aumento del 10 % sull’intero periodo.
Tabella 2.2: Analisi elementare per biomasse tipiche (wt%).
Figura 2.9: Diagramma di Van Krevelen per vari combustibili solidi. e del processo globale.
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Riferimenti

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