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Anna Pavone, Vento traverso, Le farfalle, Valverde 2017 (collana rossa di narrativa). [Recensione]

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Academic year: 2021

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Sinestesieonline

PERIODICO QUADRIMESTRALE DI STUDI SULLA LETTERATURA E LE ARTI SUPPLEMENTO DELLA RIVISTA «SINESTESIE»

ISSN 2280-6849

Sinestesieonline - N. 20 - Anno 6 - Giugno 2017

www.rivistasinestesie.it

Rosalba Galvagno

Anna Pavone, Vento traverso, Le farfalle, Valverde 2017 (collana rossa di narrativa), 96 pp., € 12,00

Nella collana rossa di narrativa delle edizioni “le farfalle” diretta dal poeta-editore Ange-lo Scandurra, è uscito di recente il volumetto intitolato Vento traverso di Anna Pavone (Val-verde, 2017), dedicato all’ascolto e alla riscrittura di alcuni racconti di “matti”.

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In the "collana rossa di narrativa" belonging to "le farfalle" editions directed by the poet-publisher Angelo Scandurra, the volume Vento Traverso by Anna Pavone has recently been released. It is dedicated to the listening and the re-writing of some tales about "matti". Parole chiave

Matti, vento, parola

Contatti

galvagno@unict.it

La giovane autrice, Anna Pavone, si misura questa volta con una materia ardua che ha sa-puto alleggerire e rendere poetica con una originale e raffinata arte della scrittura. Il volumet-to è composvolumet-to infatti da brevi frammenti, di lunghezza variabile, che si potrebbero forse de-finire, con Roland Barthes, lessie, cioè delle vere e proprie unità di lettura. Per circa due anni infatti, Anna Pavone si è messa all’ascolto di alcuni “matti” ai quali restituisce, dopo una lun-ga e meditata elaborazione, una parola capace di esser letta: «Grazie di cuore a psichiatri, psi-cologi e operatori – scrive in calce al volumetto – che hanno spalancato le porte al vento tra-verso. E grazie a tutti quelli che hanno fatto prendere aria alle storie rinchiuse in fondo al ba-ule».

Le storie che leggiamo in Vento traverso sono dunque quelle dei segregati, degli esclusi, de-gli infelici che non sanno di esserlo talvolta, dei diversi che hanno uno sguardo e una parola straniati sul mondo e su se stessi, come i poeti.

Quante metafore, quante sinestesie, quanti non sense in queste pagine libere dai vincoli del-la logica quotidiana, una logica che le accomuna piuttosto a queldel-la del sogno e deldel-la poesia.

Un esempio, tra i tanti, di metafora della scrittura che ricorre sovente tra le varie lessie, è quella del «tessere» o del «ricamo» di un cucito impossibile o comunque assai arduo, come impossibile e assai ardua è per questi soggetti smarriti la composizione del corpo proprio: «Sotto gli occhi mi finiscono le ombre di altri giorni. Si infilano nella pelle, fanno spessore, soffiano fuliggine. Si distendono e tessono altre voci che ricordo, ma che non so raccontare» (p. 3). «Ricamo le voci ogni sera, ne intreccio un filo o due con l’uncinetto, le dita annodano le trame delle mie visioni. Taglio i monconi di filo dietro, li lego stretti e poi li lascio sul co-modino. E non so perché trovo tutto scucito la mattina, la testa scucita, le pagine scucite, il cielo scucito, la voce scucita». (p. 9) «Tesso, la mano è stanca. E le voci rauche lontano, tra la nebbia, mi sfilano le rete fitta dei pensieri.» (p. 22). «Ricamo il suo corredino. Solo per questo

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ho imparato a ricamare, per fare il suo corredino. A allora continuo a tirare il filo e poi a prenderlo dall’altro lato, e tenere bene in mano l’ago per non far male al bavaglino. […]. Quando ho iniziato avevo la mano incerta, storta come la pancia. Adesso so fare anche le i-niziali, le sue ii-niziali, e le scarpette. Ogni tanto corre via un tremito che scompone la maglia, e devo ricominciare da capo. […]». (p. 54)

E la metafora della tessitura investe meravigliosamente perfino il silenzio che, come nella grande poesia, non è altro che parola: «Qui esiste un unico enorme tempo dilatato, un infinto eterno passainfinto. E poi quesinfinto silenzio che mi costruisco ininfintorno, che tesso istante dopo i-stante in questo squarcio di mondo isolato». «Se passi da qui, dottore, rattoppa il silenzio, mi è passato accanto e si è steso sul letto». (p. 13)

Il «silenzio» non è che la manifestazione forse più acuta della «parola», una parola difficile e tuttavia agognata da questi soggetti fragili marcati da una «nostalgia della parola» secondo Anna Pavone che col suo ascolto fluttuante e con la sua poetica compositio ha saputo restituire ai suoi matti e a noi lettori il racconto di voci e gesti umani troppo umani.

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