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Progetto per un maggiore inserimento degli immigrati nel tessuto cittadino a Pisa

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Academic year: 2021

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A mia madre e mio padre……

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Prigione

di Ndjock Ngana

1 Vivere una sola vita in una sola città in un solo Paese

in un solo universo vivere in un solo mondo

è prigione.

Amare un solo amico, un solo padre,

una sola madre,

una sola famiglia amare una sola persona

è prigione.

Conoscere una sola lingua, un solo lavoro,

un solo costume, una sola civiltà

conoscere una sola logica è prigione.

Avere un solo corpo, un solo pensiero, una sola conoscenza, una sola essenza avere un solo essere è prigione.

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Indice

1. Premesse teoriche p. 6

1.1 Le migrazioni del 1981 p. 8

1.2 Le migrazioni degli anni Novanta p. 10

2. Il campione osservato p. 11 3. La ricerca p. 12 3.1. I lavoratori ospiti p. 14 3.2. I ricongiunti p. 15 3.3. I nuovi italiani p. 16 3.4. I giramondo p. 16 4. Il progetto migratorio p. 17 5. Il livello di integrazione p. 19 5.1 Le rimesse p. 20 5.2 La partecipazione politica p. 21 6. L’integrazione p. 23 6.1 L’approccio relazionale-processuale p. 23

6.2 Che cos’è l’integrazione p. 26

7. Gli indici che misurano l’integrazione p. 29

7.1 L’indice di integrazione lavorativa p. 40

7.2 L’indice di capacità economica p. 31

7.3 L’indice di integrazione linguistica e relazionale p. 31 7.4 L’indice di relazione con i servizi pubblici p. 32

7.5 L’indice di radicamento familiare p. 33

7.6 L’indice del progetto migratorio p. 34

7.7 L’indice di integrazione abitativa p. 35

7.8 Il migrante medio p. 36

8. Politiche per l’immigrazione p. 36

8.1 La capacità dell’associazionismo straniero p. 39

9. Conclusioni p. 41

10. Allegati

10.1 Bibliografia p. 45

11. Progetto per un maggiore inserimento degli immigrati nel tessuto

cittadino a Pisa p. 50

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Uno degli scopi del presente elaborato è quello di mettere in evidenza le caratteristiche salienti dei principali gruppi di migranti rilevati nel territorio pisano, tentando di spiegare le maggiori differenze nei modelli di insediamento e di integrazione dei quattro principali gruppi osservati.

La convinzione, infatti, è che il fenomeno dell'immigrazione rientri nelle politiche nuove ed importanti delle amministrazioni locali, chiamate a rispondere in maniera integrata ai bisogni e alle esigenze di nuovi attori sociali, quali, le donne, i minori, le famiglie migranti, che la "maturità" dei flussi migratori portano sempre di più ad abitare la nostra città, a vivere il suo territorio, ad usufruire dei suoi servizi e a frequentare le sue scuole.

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1.

Premesse teoriche

I flussi migratori rappresentano oggi, anche nel nostro paese, un’evidenza demografica. Probabilmente questa definizione è quella che meglio rappresenta e qualifica il vero significato dei consistenti movimenti di persone e gruppi umani che, in particolare negli ultimi anni, attraversano la penisola, in parte perché la hanno scelta come destinazione finale di percorsi lunghi e talvolta drammatici di sradicamento; in altri casi perché il suo territorio bene si presta sia dal punto di vista geografico che probabilmente anche sociale come tappa intermedia verso traguardi ben più lontani e difficili da raggiungere (Europa centro settentrionale, Stati Uniti, Canada, ecc. ).

I principali studi in materia distinguono due prospettive attraverso le quali osservare ed interpretare detti processi, a partire dalla considerazione che ormai questi facciano parte "strutturalmente" dei modi attraverso i quali si articolano e definiscono i processi costruttivi delle società e delle istituzioni nell'era della globalizzazione.

La prima prospettiva attraverso la quale è possibile analizzare il consistente flusso di persone e gruppi che dai paesi in via di sviluppo o in transizione muovono alla volta delle aree industrialmente avanzate del pianeta fa riferimento all'esame dei "fattori di spinta", e cioè delle cause di tipo economico, sociale, politico o anche ambientale che sviluppano in alcuni strati della popolazione residente la determinazione ad abbandonare il proprio paese per insediarsi (più o meno stabilmente) in un paese straniero. Ovviamente la considerazione per i fattori di spinta cambia a seconda che si presti attenzione a fattori di carattere generale (come nel caso degli esuli di paesi colpiti da calamità naturali o causate dall'uomo) o diversamente da fattori specifici legati all'impatto su specifiche aree geografiche, gruppi sociali o anche singoli individui di particolari processi di natura economica o sociale (impoverimento, disgregazione sociale, discriminazione politica o religiosa, ecc.).

A tale complessità di cause corrisponde una molteplicità di modelli sociale di comportamento dell'emigrante, che pertanto non potrà mai facilmente essere rappresentato secondo uno schema univoco e valido in ogni caso, e che risponderà invece a stimoli, progettualità e sistemi di interesse diversi a seconda che abbia deciso di abbandonare il proprio paese e la propria comunità in quanto esule alla ricerca di una terra pacificata o come lavoratore desideroso di trovare le risorse per sostenere la famiglia rimasta a casa, come rifugiato politico o come sopravvissuto alla fame ed alla siccità.

Il secondo approccio attraverso il quale la letteratura specialistica propone di rilevare le cause dei flussi migratori e, di conseguenza, gli schemi di comportamento individuale e collettivo attraverso i quali gli immigrati definiscono la propria presenza nel paese di destinazione (così come la propria assenza nel paese di origine), fa riferimento ai cosiddetti "fattori di attrazione". Con tale definizione sono identificati l'insieme dei motivi, reali o anche solamente immaginati, sulla base dei quali gli immigrati

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individuano la meta del proprio spostamento.

L'esistenza di buchi nel mercato del lavoro dei paesi ad economia avanzata, il massiccio differenziale salariale che ancora distingue nettamente anche i lavori peggio retribuiti nel paese straniero dalle migliori posizioni cui il migrante potrebbe ambire rimanendo in patria, il mito di una società in cui il consumo (anche vistoso) è diventato una dimensione naturale dell'esistenza, o nella quale si sperimentano libertà che nel paese di origine possono solamente essere sognate, sono solamente alcuni dei fattori di attrazione che maggiormente determinano ed orientano la scelta migratoria.

Com'è stato giustamente evidenziato, l'accentuazione dei fattori di attrazione non può tuttavia nascondere il fatto che molti di questi corrispondano realmente ad un bisogno dei paesi di destinazione e che in molti casi il desiderio dell'immigrato di trovare un lavoro corrisponda alla necessità di trovare lavoratori, a basso costo, da parte dell'imprenditore del paese ospitante. Ciò sintetizza in modo emblematico le ambivalenze che caratterizzano tali processi, mettendo in evidenza le complementarietà che in molti casi si stabiliscono tra le aspirazioni/necessità degli uni e le aspirazioni/necessità degli altri ed offrendoci un ulteriore motivo di riflessione sulle profonde differenze che esistono tra i modelli di comportamento messi in atto dagli immigrati anche con riferimento agli scopi ed ai risultati attesi di questa loro scelta.

Più recentemente, il dibattito teorico sulla globalizzazione ha indotto gli studiosi dei fenomeni migratori ad introdurre un ulteriore punto di vista attraverso cui cogliere ed interpretare la complessità rappresentata dalle esperienze di individui singoli, gruppi familiari, etnie e diaspore, la cui specificità consiste nell'aver articolato un progetto migratorio fondato sul mantenimento di interessi economici, sociali e affettivi importanti tanto nel paese di origine quanto in quello di destinazione realizzando quasi alla lettera quel processo di disgregazione delle relazioni sociali dai vincoli della prossimità spaziale e temporale e della loro successiva riaggregazione all'interno di una dimensione che Antony Giddens chiama fantasmagorica, e che pur prosaicamente Robert Robertson, individua negli spazi glocali: dove le relazioni si mantengono vive nonostante l'assenza e la distanza degli attori, i quali sono coinvolti contemporaneamente in pratiche sociali locali e globali.

Sotto questo profilo i flussi umani di stranieri che sempre più spesso arrivano, dimorano e ripartono dal nostro paese possono essere intesi come occasionale dislocazioni di reti, catene o addirittura comunità migranti le cui regole informali di funzionamento spiegano e determinano le modalità con le quali i singoli membri stabiliscono i propri comportamenti individuali e collettivi nel territorio di destinazione.

Da questi brevi cenni sintetici relativi alle principali prospettive attraverso le quali la letteratura specialistica propone di osservare il fenomeno migratorio, possiamo comprendere quale vastità di

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fenomenologie questo tema sottenga e quale complessità caratterizzi i modelli di comportamento sociale dispiegati dai diversi gruppi nel proprio percorso di integrazione nel paese di destinazione.

1.1 Le migrazioni del 1981

Un primo elemento di differenza è il rilievo dei motivi politici. Definire l’immigrazione di ieri un'immigrazione “politica” sarebbe una forzatura, perché una larga maggioranza era formata da immigrati e immigrate per motivi economici. Ma il peso dei rifugiati era considerevole, intendendo con questo termine non le masse degli anni Novanta in fuga dalla “pulizia etnica” ma il fenomeno relativamente più elitario dei militanti e degli oppositori che fuggivano dal Cile di Pinochet, dall'AIgentina dei desaparecidos, dall'Etiopia di Menghistu (e della guerra con la Somalia), dall'Iraq dove nel 1979 era diventato presidente Saddam Hussein, dall'Iran di Khomeini, dalla Cambogia, dai paesi dell'Est. O anche gli oppositori politici libici o i ricchi espropriati da Gheddafì. In altri casi incerte garanzie democratiche unite a crisi economica e povertà spingevano a migrare, come per il Brasile.

Tutti i cittadini di questi paesi compaiono, talvolta ai primi posti, fra i migranti censiti nel 1981 in Toscana o in Italia o figurano nei permessi di soggiorno del 1984 (Iraq, Polonia, Romania). Infine gli Apolidi (o chi così si dichiarò al censimento), che costituivano, singolarmente, la sesta "nazionalità" (e la terza in Italia), a meno non si tratti di scorrette registrazioni.

A differenza dei migranti economici gli immigrati politici tendevano ad avere stretti rapporti con i partiti e i sindacati italiani, osserva Tassinari, ma non avevano progetti di insediamento stabile in Italia desiderando tornare, appena possibile, nel paese d'origine.

Non sempre questo è accaduto. Ciò spiega però come mai, venuta meno o attenuarsi la repressione nel paese d'origine, il flusso da quei paesi si sia fermato o via via ridotto, come mostrano le presenze degli anni seguenti.

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Tab. 1 Alcune nazionalità del 1981 negli anni dopo 0 2 4 6 8 10 12 Capo Verde Marocco Nigeria Cile Egitto Etiopia Libia Filippine Jugoslavia Brasile Iran Tunisia 2003 1996 1981

Anche l'immigrazione non politica si presenta diversa, nelle nazioni maggiormente rappresentate, o nei progetti migratori di alcune di esse, rispetto a quella degli anni seguenti.

Erano numerosi libici, eritrei, etiopi, spinti in Italia dai passati legami coloniali o le capoverdiane, messe in contatto con famiglie italiane dai missionari cappuccini. Di questi migranti rimangono ancora oggi piccoli gruppi sedentarizzati ma sono via via diminuiti gli arrivi dei loro connazionali, per un miglioramento della loro situazione interna o perché presero altre strade.

I libici, oltre 4.500 in Italia nel 1981, erano nel 1991 intorno ai 2.000. La presenza capoverdiana, quasi totalmente femminile, declinò nei primi anni novanta per attestarsi sul dato quasi stazionario dei circa 200 migranti di oggi. Qualche visibilità in più, fino a metà anni Novanta, conservarono gli etiopi. In altri casi è mutato il modello migratorio. I nigeriani degli anni Settanta-Ottanta, in gran parte provenienti da famiglie agiate, che venivano in Italia per acquisire un titolo universitario da "spendere" nel paese d'origine, hanno poco a che vedere con l'immigrazione nigeriana degli anni Novanta non solo assai più ampia ma mossa da urgenti spinte economiche. Anche gli jugoslavi del 1981, per i due terzi residenti, inseriti nel mondo del lavoro o casalinghe - il che fa supporre una cena presenza di nuclei famigliari -, sono diversi da quelli degli anni Novanta, ormai divisi fra le varie repubbliche e in larga parte "profughi" che fuggono dalla guerra, molti dei quali rom.

Se prendiamo in considerazione i tunisini, i dati del censimento li mostrano presenti in sei province e abbastanza inseriti nella società locale, con elementi che fanno pensare a un certo numero

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di nuclei famigliari: sono per la più parte occupati “nel commercio, nei servizi privati, nei vari rami dell'industria. . . anche in agricoltura” (Tassinari, cit.) o casalinghe (la componente femminile era il 48%), per i nove decimi residenti, con presenze sia di giovani sia di anziani. Forse non si trattava di un chiaro progetto di sedentarizzazione ma di un temporaneo spostamento favorito dai controlli allora un po' meno rigidi. Fatto è che, quasi scomparsi negli anni subito successivi (i permessi del 1984 ne registravano 117), i tunisini riappariranno a fine anni Ottanta fra le nazionalità più rappresentate ma con caratteri ben diversi, come prototipo di una immigrazione giovanile e "maschile" .

Due nazionalità invece, da sempre presenti a Pisa, sone rimaste e si sono sviluppate in continuità con i caratteri già allora manifestati, anche se hanno perso peso percentuale per l'emergere di altri paesi: quella filippina, prevalentemente femminile e impiegata nelle collaborazioni domestiche e quella egiziana, mossa dalla ricerca di migliori opportunità professionali e specializzatasi nella ristorazione. 0 5 10 15 20 25 30

Africa Asia Europa America

Toscana Pisa

1.2 Le migrazioni degli anni Novanta

Il quadro osservato nel 1981, comincia a mutare nella seconda metà degli anni Ottanta, specie dal 1987 al 1989, con l'afflusso sempre più intenso di migranti africani (soprattutto marocchini, ma anche tunisini e senegalesi) e asiatici (soprattutto cinesi), mentre l'immigrazione cresce con un ritmo sempre più accelerato, che avrà la sua punta massima fra il 1996 e il 1999.

A fine anni Ottanta "le dimensioni e le caratteristiche assunte dalla presenza straniera erano ormai tali da richiedere, secondo l'ISTAT, "strumenti concettuali ed informativi" più adeguati, per "colmare le lacune che si frappongono a una più organica conoscenza del fenomeno". Per questo l'ISTAT tenne nel giugno 1990 una Conferenza sull'immigrazione da cui uscì uno dei suoi primi studi in materia: Gli

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immigrati presenti in Italia: una stima per l'anno 1989.

Secondo i dati sui permessi di soggiorno del Ministero dell'Interno, elaborati dall'ISTAT, la Toscana era la quarta regione (dopo Lazio, Lombardia, Umbria) per presenza straniera, ma la quinta (dopo Lazio, Lombardia, Sicilia e Piemonte) per presenza di migranti dai paesi poveri. Essi erano ancora una minoranza (44,8%), rispetto al totale degli stranieri, come del resto nelle altre regioni, compresa la Lombardia. 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45

Africa Asia Europa Est America

Toscana Pisa

2.

Il campione osservato

L’indagine è stata diretta dalla Caritas di Pisa su un campione di immigrati extracomunitari costituito da 455 persone, così suddiviso:

Area di provenienza

Maschi Femmine Totale

Europa Est e Area Balcanica 31.8% 51.8% 39.1%

Africa Nord 24.9% 17.5% 22.2%

Africa 35.5% 12.0% 25.1%

America Centro Sud 1.4% 7.8% 3.7%

Asia e Medio Oriente 9.3% 10.8% 9.9%

Classi di età

Europa Est e Area Balcanica

Africa Nord Africa America Centro

Sud Asia e Medio Oriente Totale 0 – 24 25.0% 18.4% 10.2% 43.8% 18.6% 19.8% 25 – 34 39.4% 30.6% 45.4% 37.5% 32.6% 38.1% 35 – 44 26.3% 39.8% 30.6% 18.8% 30.2% 30.6%

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> 44 9.4% 11.2% 13.9% 18.6% 11.5%

Titolo di studio

Europa Est e Area Balcanica

Africa Nord Africa America Centro

Sud Asia e Medio Oriente Totale Laurea 14.0% 12.9% 11.4% 23.5% 35.6% 15.6% diploma 46.6% 33.7% 29.8% 41.2% 35.6% 38.2% Media inferiore 22.5% 32.7% 10.5% 23.5% 22.2% 21.8% Elementare 9.6% 10.9% 25.4% 2.2% 12.7% Scuola di corano 4.4% 1.1% Stato civile

Maschi Femmine Totale

Nubile/Celibe 40.5% 28.3% 36.0% Coniugata/o 54.4% 55.4% 56.0% Convivente 1.4% 6.6% 3.3% Separata/o 0.7% 3.6% 1.8% Divorziata/o 0.3% 3.0% 1.3% Veova/o 0.7% 3.0% 1.5%

3.

La ricerca

Sulla base delle premesse di tipo teorico sopra menzionate possiamo ipotizzare che all’interno del medesimo territorio il fenomeno migratorio si manifesti in modi e forme diverse in funzione dei diversi progetti migratori e delle specifiche connotazioni strutturali dei gruppi che si osservano; e, parimenti, che queste caratteristiche dei diversi gruppi attribuiscano loro una specifica identità, connotando in modo complessivo e globale l'insieme dei comportamenti e delle attitudini riferite alle relazioni sociali, alla collocazione al mercato del lavoro, ai rapporti con la comunità di origine, ai modelli di integrazione nella società di destinazione, ecc.

I risultati attesi di un simile approccio sono quelli che nel linguaggio dei classici del pensiero sociologico sono definiti in termini di “tipizzazioni": ovvero di ricostruzioni reali (per quanto empiricamente fondate e validate) di modelli di comportamento caratteristici di specifici sottoinsiemi dalla popolazione osservata, rispetto ai quali, in termini statisticamente più corretti, è possibile rilevare la minima variabilità interna e la massima variabilità esterna.

E’ stato possibile pervenire all’individuazione di quattro gruppi di rispondenti e di quattro modelli di comportamento distinti che sembrerebbero caratterizzare l'universo migrante attualmente presente

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nella Provincia di Pisa.

Nei paragrafi seguenti sono illustrate le principali evidenze emerse dall'analisi multivariata dei dati2, attraverso la quale sono stati messi a fuoco 4 distinti gruppi di rispondenti (clusters in inglese, classi in francese):

I lavoratori Ospiti I ricongiunti I nuovi Italiani I giramondo

tra loro distinti (principalmente), sullla base della diversa collocazione nel mondo del lavoro italiano e della presenza/asenza della famiglia nel paese di destinazione.

35% 25% 18% 22% I lavoratori Ospiti i ricongiunti I nuovi Italiani I giramondo

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I lavoratori-ospiti

Il primo gruppo di intervistati che emerge dall’analisi multivariata dei dati è quello che è possibile definire come dei "lavoratori-ospiti". Generalmente maschi e coniugati, ma senza familiari conviventi nel paese di destinazione, abbastanza ben inseriti nel mondo del lavoro ma tuttavia caratterizzati da un debole livello di integrazione (sia sociale che culturale-linguistico) e da una forte propensione al ritorno nel paese di origine.

L'esame più dettagliato delle modalità di risposta caratterizzanti i modelli di comportamento e gli atteggiamenti di questo gruppo consentono un approfondimento ed una misura di tali specificità. La prima evidenza si riferisce al sesso, dal momento che nel 78% dei casi i membri di questo gruppo sono maschi e che in esso sono presenti il 44% dei maschi del campione, quasi due volte la percentuale che invece ci saremmo dovuta attendere nell'ipotesi - teorica - di un uguale peso di questa caratteristica in tutti e 4 i gruppi rilevati. Anche il fatto di essere coniugati caratterizza in modo significativo questo gruppo.

Per quanto riguarda la collocazione al mercato del lavoro rileviamo come per gli appartenenti a questo

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gruppo questo sia tendenzialmente diffuso. Ovviamente l'insieme di questi elementi producono indubbiamente degli ottimi risultati di tipo economico, facendo registrare all'interno di questo gruppo guadagni medi mensili abbastanza alti, che corrispondono alla principale aspettativa e ragione della immigrazione, ovvero alla produzione di reddito, destinata fin dalla partenza al miglioramento delle condizioni di vita dei familiari rimasti in patria ed alla realizzazione di investimenti nel paese di origine. Il raggiungimento del primo obiettivo (miglioramento delle condizioni di vita dei familiari rimasti in patria) sebbene non ne sia specifico ed esclusivo, caratterizza fortemente i membri di questo gruppo. L'aver realizzato investimenti nel paese di origine sembra invece piuttosto contrassegnare l'appartenenza a questo gruppo rispetto agli altri, dal momento che in esso sono compressi circa il 65% degli immigrati che nel campione hanno dichiarato questa caratteristica.

Parallelamente al raggiungimento di questi successi nel paese di origine (vistosi o strategici che siano), le particolari condizioni di inserimento nel mercato del lavoro italiano ha consentito a questi immigrati di sperimentare negli anni un costante e progressivo miglioramento della propria condizione sociale ed economica nel paese di destinazione, tale da consentire loro, ad esempio, di abitare in affitto.

Per quanto attiene alla situazione familiare, le caratteristiche di questo gruppo registrano una generalizzata condizione di solitudine.

I partners sono rimasti/e nel paese di origine (il 70.33%) così come pure i figli (nel 62.89% dei casi) e proprio per questo, tuttavia, rappresentano la ragione essenziale della permanenza in Italia ed il motivo principale degli occasionali rientri è che la maggioranza di loro spera di poter trasformare in definitivi nel prossimo futuro (il 71.88%).

Il progetto migratorio di questa particolare tipologia di soggetti si qualifica fin dall'inizio per una durata relativamente breve e per un orientamento strategico al paese di origine.

Il gruppo risulta fortemente caratterizzato dalla presenza di immigrati che, al momento della partenza, pensavano di rimanere al massimo 3 o 4 anni (il 71.81%), definendo così il periodo di permanenza all'estero come uno sforzo intenso di accumulazione in luoghi nei quali poteva essere maggiormente possibile trovare delle occasioni di lavoro anche grazie al sostegno delle reti di amici e conoscenti espatriati (l'attribuzione agli amici già emigrati dell'idea di lasciare il paese di origine e di raggiungerli caratterizza fortemente il gruppo in oggetto) che in patria avevano esibito i successi economici derivanti dalla permanenza all'estero.

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I ricongiunti

Il secondo gruppo di intervistati è quello che è possibile definire come dei "ricongiunti", ovvero dell'insieme degli immigrati arrivato da poco tempo nel nostro paese soprattutto in seguito a

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ricongiungimenti familiari. Appartengono a questo gruppo il 24.62% del campione osservato, generalmente femmine, giovani, conviventi con il/la partner, attualmente in condizione non lavorativa, ma con il chiaro desiderio di stabilirsi definitivamente nel nostro paese.

L'identikit del ricongiunto, come abbiamo visto, lo presenta di sesso femminile (il 54.46%), di età compresa tra i 16 ed i 31 anni (il 56.25%) e residente in Italia da non più di 3 anni (il 40.18%). Generalmente non hanno figli, né in patria né in Italia, ma convivono con un parente (il 80.36%), anche se non necessariamente corrisponde al partner.

La scelta di emigrare è stata dettata proprio dal desiderio di ricongiungersi con la famiglia (il 55.93%), e l'idea stessa è nata dal suggerimento dei parenti espatriati.

Anche per questo motivo il progetto migratorio è caratterizzato dall'iniziale ipotesi (al momento della partenza) di un trasferimento definitivo che si è decisamente rinforzato all'arrivo ed attualmente orienta il progetto di vita degli intervistati (il 55.36%).

Da notare come questa prospettiva, oltre che le particolari dislocazioni all'estero del nucleo familiare, ha determinato una netta riduzione dei contatti con la comunità di origine, per cui i membri di questo gruppo non inviano mai rimesse in patria, né investono (o hanno progetto di investire) nel paese di origine.

La marcata assenza del mercato del lavoro caratterizza in modo determinante il gruppo e definisce una modalità di integrazione nella quale la ricerca di un lavoro in Italia non risulta una caratteristica discriminante.

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I nuovi italiani

Il terzo raggruppamento è pari al 18.02% del campione analizzato.

Le persone che troviamo in questa categoria sono venute in Italia prevalentemente per motivi economici ed una volta trovato un lavoro che rispecchia le loro aspettative, si sono fatti raggiungere dai loro familiari, dal momento che la maggioranza vive in Italia con il proprio partner e con i propri figli.

Le caratteristiche strutturali prevalenti di questo gruppo sono: una età compresa tra i 31 e 46 anni, il fatto di essere sposati e l'avere dei figli in età prescolare.

Queste persone, e le loro famiglie risultano ormai perfettamente inserite nel tessuto sociale italiano, infatti pur mandando i loro figli a scuola questi non sono vittime di discriminazione e non hanno nessun problema di inserimento con gli altri compagni né difficoltà nei rapporti con gli insegnanti indipendente dal fatto che i loro bambini parlino bene italiano o che abbiano, al contrario, problemi con la lingua.

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Per i suddetti motivi la maggior parte di queste persone ormai percepisce l'Italia come la propria casa e ha intenzione di stabilirvisi in maniera definitiva.

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I giramondo

Il gruppo denominato "i giramondo" è il quarto, ed ultimo, risultante dall'analisi effettuata. In questa classe rientra il 21,76% del campione analizzato. Queste persone risultano essere giovani studenti, di età compresa tra i 16 ed i 31 anni, con un'ottima conoscenza della lingua italiana parlata e scritta. Risulta subito chiaro che questi soggetti siano emigrati in Italia per motivi non economici: quasi il 90% dichiara di non essere venuto in Italia per cercare di migliorare la propria condizione economica ma svela che i motivi principali della propria migrazione sono stati lo studio (52,53%) e lo spirito di avventura e cambiamento (il 36,36%).

Le persone che ricadono in questo gruppo provengono da famiglie benestanti che possono permettersi di coprire le spese per vitto e alloggio di un familiare residente all'estero. Infatti la situazione economica della gran parte dei nuclei familiari di queste persone rimane invariata anche se le persone facenti parte di questo gruppo non hanno mai mandato soldi ai parenti rimasti in patria. Alcuni di questi ragazzi, per mantenere lo stesso tenore di vita che avevano nel paese di origine senza pesare sul bilancio familiare, svolgono lavori part-time. Per quanto riguarda i progetti migratori per il futuro si vede che in questo gruppo ricadono la maggioranze delle persone che vogliono emigrare in un altro paese o che non hanno ancora deciso chiaramente il da farsi. Da questo si capisce che la migrazione in Italia per ora è vista in maniera funzionale ad acquisire un livello di formazione, difficilmente acquistabile nel loro paese di origine, per poi probabilmente spenderlo al di fuori del territorio italiano.

4.

Il progetto migratorio

Le ragioni per cui si emigra sono molteplici e spesso è difficile cogliere in che misura agiscano i fattori più oggettivi (disoccupazione, disagio economico, persecuzioni politiche) e il complesso intreccio di motivazioni personali che guidano la scelta del migrante.

Vi è una crescente tendenza alla stabilità della popolazione immigrata: secondo i dati del Dossier Caritas 2006, circa il 60% degli immigrati risiede ormai in Italia da più di 5 anni. Dall'indagine risulta nel territorio pisano, una percentuale leggermente inferiore (50%) ma pur sempre elevata.

Inoltre, è elevata anche la percentuale di immigrati che sono entrati in Italia in maniera non regolare o con un permesso non coerente con le motivazioni reali: il 28% afferma di essere entrato clandestinamente e il 27% con permesso turistico.

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Ad oggi circa il 60% degli immigrati ha un permesso di soggiorno per lavoro, il 20% circa per ricongiungimento familiare.

La prima ragione per cui si emigra è quella economica (61.6%); seguono la volontà di offrire un aiuto alla propria famiglia (28,2%), lo studio (15,1%), lo spirito di avventura e cambiamento (14.2%), il ricongiungimento familiare (13,1%). Questo mette in evidenza una caratteristica tipica dei migranti che li distingue dal resto della popolazione: lo spirito di iniziativa che spinge ad assumersi dei rischi e a procedere verso l'ignoto. E' una caratteristica importante perché è uno degli elementi psicologici costitutivi dello spirito imprenditoriale che rende quindi i migranti un'importante risorsa potenziale per lo sviluppo.

Vi è una forte incidenza delle ragioni politiche nelle popolazioni provenienti da Asia e Medio oriente rispetto agli altri paesi. Si conferma il meccanismo dell'imitazione che sta alla base della scelta migratoria: alla domanda "chi le ha dato l'idea di emigrare" circa il 60% complessivamente afferma che sono stati parenti e amici che già sono emigrati in Italia o voci pubbliche o comunque il fatto di vedere gli emigrati vivere meglio rispetto agli altri.

Con il passare degli anni, il progetto migratorio si allunga nel tempo e diventa più lungo, definitivo e al tempo stesso incerto; diventa sempre più difficile dire a se stessi e agli altri se e quando sarà possibile fare ritorno a casa. E così, se prima di partire per l'Italia il 20,7% pensava di rientrare entro cinque anni, adesso soltanto l'8,8% ha questa prospettiva. Per contro cresce il numero di quelli che pensano di rimanere per sempre o comunque fino alla pensione (complessivamente dal 19,3% al 33,9%) e di quelli che intendono rimanere "solo il tempo necessario per realizzare qualcosa" (dal 22% al 28%), segno di un progetto che diventa sempre più incerto nella durata. Ad oggi dunque, solo l’8,8% afferma di voler rientrare nel proprio paese di origine entro cinque anni. Si tratta di un dato molto importante di cui tener conto per i riflessi che dovrebbe avere nella definizione di adeguate politiche per l'integrazione.

Troviamo, inoltre, una differenziazione notevole nel progetto migratorio a seconda dell'area di provenienza. Gli Africani sembrano avere una maggiore intenzione di rientro a casa: soltanto il 15% afferma di voler rimanere fino alla pensione o per sempre. La maggioranza invece intende rientrare appena possibile. Per quanto riguarda gli africani del nord e le popolazioni provenienti dall'Europa dell'est e dall'area Balcanica, percentuali intorno al 40% affermano di voler rimanere per sempre o fino alla pensione.

Il dato sul ricongiungimento familiare conferma la minore tendenza degli africani a far venire i propri familiari ed una maggiore tendenza al radicamento da parte degli immigrati provenienti dall'Europa dell'est e Balcani tra i quali il 17% circa afferma di avere già qua i propri familiari e soltanto il 22%

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afferma di non avere intenzione di farli venire.

Molto importante, è il fatto che circa un terzo degli immigrati se potesse tornare indietro nel tempo non emigrerebbe più.

5.

Il livello di integrazione

Gli immigrati si percepiscono come ben integrati nella società italiana. Soltanto il 18,6% giudica scarso il proprio livello di integrazione e addirittura il 49% lo giudica buono/ottimo. La fascia maggiore di scontento in questo ambito si riscontra nella comunità africana nella quale il livello buono/ottimo compare solo nel 30% dei casi; i più soddisfatti sono gli asiatici seguiti dagli Africani del Nord. Dall'analisi per sesso emerge una migliore visione nelle donne che hanno mediamente valori più alti nelle modalità positive e valori più bassi in quelle negative. Si potrebbe forse dire che gli immigrati, si sentono integrati nella società italiana nonostante che gli italiani abbiano nei loro confronti un atteggiamento non troppo positivo: circa il 45% esprime un giudizio negativo (intolleranza, razzismo, fastidio). Data la strategicità della questione si tratta di un valore che non può essere considerato soddisfacente.

1. Come giudica il suo livello di integrazione con gli italiani?

Scarso Sufficiente Buono Ottimo

Asia e Medio Oriente 16.70% 19.00% 45.20% 14.30%

America Centro Sud 23.50% 47.10% 29.40%

Africa 20.70% 46.80% 25.20% 5.40%

Africa Nord 17.50% 23.70% 41.20% 13.40%

Europa Est e area balcanica 20.00% 23.40% 39.40% 17.70%

Totale 18.20% 29.00% 37.10% 12.20%

2. Quale parola esprime meglio l’atteggiamento degli italiani verso gli immigrati?

Maschi Femmine Totale

Razzismo 15.20% 12.00% 14.40% Intolleranza 15.70% 7.60% 12.80% Fastidio 16.00% 20.90% 17.80% Tolleranza 31.00% 27.20% 29.60% Rispetto 14.20% 20.30% 16.40% Solidarietà 7.50% 12.00% 9.10%

(19)

Sintesi giudizi

Totale giudizio negativo 47.40% 40.50% 45.00% Totale giudizio positivo 52.70% 59.50% 55.10%

Come era prevedibile, dai dati emersi dalla tabella 3, il "lavoro" (61%) e la "casa" (58%) occupano le prime due posizioni seguiti da "permesso di soggiorno" (33%) e inaspettatamente da "senso di solitudine" che precede, seppur di poco, la "difficoltà a farsi comprendere" (18%) e il "rapporto con gli uffici pubblici" (16%) , segue il permesso di soggiorno e poi rapporti con uffici pubblici.

(20)

3. Quali sono i principali problemi che ha incontrato nel nostro paese?

0,00% 10,00% 20,00% 30,00% 40,00% 50,00% 60,00% 70,00%

Scarsità di rapporti al di fuori dell'ambito lavorativo Scarsità di rapporti al di fuori

dell'ambito familiare Difficoltà nel rapporto con gli uffici

pubblici Problemi nei rapporti con gli altri

immigrati Problemi nei rapporti con la

popolazione locale Difficoltà a farsi comprendere

Senso di solitudine Razzismo Problemi legati al permeso di

soggiorno Mancanza di rispetto da parte degli

italiani

Problemi legati al lavoro Difficoltà di trovare una casa

5.1 Le rimesse

Il mantenimento di usanze e abitudini del paese di origine e, non ultimo, le rimesse, ossia i trasferimenti di ricchezza che gli immigrati fanno verso i loro paesi, sono considerati degli importanti legami familiari.

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Lo studio delle rimesse sia dal punto di vista dell'impatto che esse hanno nell’ economia dei paesi di origine, sia da quello dei fattori che ne condizionano l’ammontare, può rivestire un'importanza strategica nella gestione delle politiche migratorie e di cooperazione allo sviluppo.

Le rimesse rivelano, infatti, il volto nascosto dell'immigrazione, quello che si sottrae alle definizioni del migrante povero, assistito, emarginato per indossare le vesti del migrante che produce, risparmia, investe e così facendo contribuisce al benessere sia del paese di partenza, sia di quello di arrivo.

Dall'analisi dei dati emerge, che circa il 60% invia soldi saltuariamente (33%) o con regolarità (27% circa). I soldi vengono inviati tramite società specializzate nel 60% dei casi (i bonifici sono utilizzati soltanto nel 3% dei casi). A questo ammontare di trasferimenti mensili devono poi essere aggiunti i beni e i soldi che vengono portati in patria ogni volta che gli immigrati fanno ritorno, a cui devono aggiungersi vestiti, calzature (82% circa), giocattoli (circa 30%), medicinali (17%).

Particolarmente importante è l’analisi dell'utilizzo che viene fatto di queste rimesse nei paesi d origine, spesso infatti i fondi trasferiti vengono utilizzati in maniera improduttiva per scopi più ostentatori (ampliamento dell'abitazione, acquisto di autovetture etc,) che economici. L'obiettivo è, infatti, spesso quello di dimostrare a sé e agli altri che l’emigrazione è stata un successo e questo indipendentemente dalle reali condizioni di vita in Italia. Si rileva, inoltre, una leggera maggiore propensione degli africani verso investimenti orientati all'acquisto di un'abitazione e degli immigrati provenienti dall'Europa dell'Est Area Balcanica per investimenti orientati all'istruzione dei familiari.

5.2 La partecipazione politica

I dati sulla partecipazione politica sono di difficile interpretazione, forse perché si tratta di una questione su cui incidono aspetti di particolare complessità, quali la pratica della democrazia nei paesi d’origine, i legami con il paese d’origine, la sfiducia nelle istituzioni. Gli immigrati sembrano più interessati alle vicende politiche del proprio paese d’origine che non a quelle italiane. Riguardo alla possibilità di allargare il diritto di voto alle elezioni amministrative, sebbene il 75% si dichiari favorevole è da rilevare che un 23.5% si dichiara indifferente. Analizzando i dati, emerge infatti una differenziazione per area di provenienza; le percentuali più alte di “indifferenti” si collocano nell’Area Europa dell’Est/Balcani e Asia/Medio Oriente, segno forse di una minore fiducia nell’importanza della partecipazione politica nelle popolazioni di questi paesi.

La metà degli immigrati ritiene che per poter votare sia indispensabile avere il permesso di soggiorno, mentre il 20% circa ritiene che tutti dovrebbero poter votare.

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6 Cosa pensa della possibilità di allargare il diritto di voto agli stranieri?

Europa Est e Area Balcanica

Africa Nord Africa America

Centro Sud Asia e Medio Oriente Totale Favorevole 68.60% 82.30% 81.40% 58.50% 63.60% 74.00% Contrario 1.70% 1.00% 1.80% 11.80% 6.80% 2.50% Indifferente 29.70% 16.70% 16.80% 29.40% 29.50% 23.50%

7 Quali dovrebbero essere i requisiti necessari perché un immigrato possa votare alle elezioni amministrative?

Europa Est e Area Balcanica

Africa Nord Africa America

Centro Sud

Asia e Medio Oriente

Totale

Tutti gii immigrati dovrebbero poter votare alle amministrative 14.90% 34.90% 13.20% 20.00% 26.70% 20.20% Il possesso del permesso di soggiorno 50.70% 41.90% 63.20% 33.30% 36.70% 50.40% La residenza/iscrizione all’anagrafe 7.50% 9.30% 9.40% 26.70% 13.30% 9.70% La residenza/iscrizione all’anagrafe da più di 5 anni 18.70% 4.70% 8.50% 13.30% 16.70% 12.10% La residenza/iscrizione all’anagrafe da più di 10 anni 4.50% 4.70% 4.70% 6.70% 4.60%

(23)

6.

L' integrazione

L'attuale configurazione dell'assetto migratorio, caratterizzante le società contemporanee, sembra mettere in evidenza il sostanziale carattere strutturale assunto dal fenomeno. I dati ufficiali confermano la crescita sempre più massiccia e consistente di una presenza straniera coesistente e coabitante nei "nostri" territori. Una presenza che non è destinata ad arrestarsi ma è, piuttosto, intenzionata a continuare il suo corso, procedendo verso quella fase finale che vede il costituirsi di una realtà sociale basata sulla convivenza interetnica.

Ogni giorno nuove figure entrano ad occupare spazi, luoghi, tempi della nostra quotidianità: non si tratta solo di immigrati lavoratori, ma di donne, bambini, soggetti adulti con cui, inevitabilmente, abbiamo contatti e instauriamo rapporti.

Li incontriamo per strada, nei negozi, negli uffici pubblici, nelle scuole, negli ambienti di lavoro e questa costante dovrebbe renderci consapevoli che l'immigrazione ha definitivamente abbandonato la sua realtà temporale e congiunturale ed è divenuta un fenomeno sociale di cui tutti devono farsi carico. In particolare, è necessario prendere atto che le problematiche che accompagnano ogni fenomeno sociale non devono divenire motivo per ostacolarne l'evolversi, ma devono aiutarci a superare le paure e riconvertire le nostre stesse strutture sia per individuare e fronteggiare al meglio i problemi, sia per dare corpo e vitalità a questa nuova ricchezza. Il vero volto e la vera vocazione del fenomeno mi-gratorio non sono quelli di costituire un problema o una minaccia per la nostra società, ma di essere una grande risorsa e forza di rinnovamento che va saputa cogliere, maturare e sviluppare nel contesto che la riceve. “L’esperienza mostra che quando una nazione ha il coraggio di aprirsi alle migrazioni viene premiata da un accresciuto benessere, da un solido rinnovamento sociale e da una vigorosa spinta verso inediti traguardi economici e umani”.3

6.1 L’approccio relazionale-processuale

Secondo una lettura più recente del fenomeno migratorio internazionale, che vuole adottare un approccio relazionale-processuale4, lo stesso migrante può essere considerato agente di sviluppo e

3 Giovanni Paolo II ai partecipanti al III congresso mondiale della pastorale per i migranti e rifugiati, 1998.

4 Assumere un approccio relazionale-processuale significa, per un verso, considerare più attentamente tutto il sistema di

relazioni che fa da ponte tra le "due rive" dei percorsi migratori, a partire dalle specifiche condizioni di partenza del paese del migrante, e per l'altro tendere a valorizzare quegli indicatori di relazionalità capaci di gettare più luce sul carattere processuale della vicenda migratoria. Nel superare una lettura dei fenomeni migratori come processi lineari, si prospetta un itinerario di ricerca che comprenda anche gli aspetti di retroazione dell' emigrazione stessa sulla società di partenza o, meglio ancora, che consideri la circolarità alimentata dai flussi migratori tra le due realtà della società di partenza e della società ospitante. Circolarità che riguarda molteplici aspetti: aspetti culturali, demografici, politici, sociali, ed ancora, i flussi finanziari, l'impiego delle rimesse, le strategie microeconomiche degli emigrati e delle loro famiglie di origine. In tale

(24)

innovazione.

Le più attuali teorie della modernizzazione riconoscono, infatti, grande rilievo all'azione individuale, base e fondamento dei processi di innovazione collettiva5. L'elemento decisivo è costituito dalla mobilità: le società moderne, al contrario di quelle primitive che conoscono come unica forma di sopravvivenza l'assoluta immobilità delle proprie strutture e dei propri modelli di riferimento, vivono e procedono verso il futuro solo grazie al movimento e alla accettazione di atteggiamenti caratterizzati dalla mobilità sotto il profilo fisico e psichico. In questo impianto analitico, le migrazioni si inseriscono in modo del tutto naturale, dispiegando per intero il loro peso nella realizzazione del bisogno di innovazione soggettiva e sociale6. La mobilità geografica diventa una forma di mobilitazione sia individuale che collettiva, in quanto, coinvolgendo in prima istanza individui "mobili", facilita il passaggio e il contatto fra assetti societari diversi, stimolando il confronto e sollecitando la trasformazione.

Secondo tale ottica, che mira a cogliere le potenzialità del migrante, si può arrivare ad estendere lo stesso concetto di "rimesse": vi sono, infatti, rimesse meno visibili rispetto a quelle di natura economica, che identificano il migrante quale risparmiatore e produttore di benessere, ma non meno importanti in termini di contributo potenziale ai processi di sviluppo, intesi in senso più ampio. Tali rimesse sono costituite dagli apporti culturali che circolano, e che potrebbero circolare, in un doppio senso di marcia: valori democratici, principi educativi e di promozione sociale, diritti umani, competenze tecnologiche, patrimoni diversi di cultura e di storia possono contribuire ad un processo di trasformazione ed innovazione in entrambe le società e stimolare uno sviluppo della civiltà umana. Ma, questo tipo di rimesse, come anche quelle più immediatamente visibili, sottostanno, spesso, ad un'insufficiente valorizzazione nelle due società del fenomeno della mobilità umana. Allo stesso tempo, il contributo reale o potenziale che i migranti possono dare al processo di sviluppo incontra numerosi limiti e ostacoli. L'ambiente in cui avviene l'immigrazione, in particolare, può influenzare in modo sfavorevole, ponendo un freno al ruolo attivo dei protagonisti dei progetti migratori. Se essi, infatti, contribuiscono ad accentuare la condizione di multiculturalità, ciò avviene nel suo duplice versante di risorsa e di problema.

Permettere agli stranieri l'accesso ad una cittadinanza di tipo economico è un'ovvia conseguenza della "fame" di forza-lavoro che da tempo contraddistingue il sistema produttivo di molti paesi, ma il

circolarità ben si inserisce il tema dello sviluppo e l'impatto che le migrazioni hanno su tale processo. Si veda in proposito Cesareo, 1998.

5 Colasanto, 1988

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riconoscimento di una cittadinanza che sia anche sociale e culturale incontra, spesso, innumerevoli resistenze7.

L'idea della migrazione come un fenomeno atto a minacciare il livello di benessere raggiunto dagli autoctoni e l'impossibilità, dunque, da parte degli stranieri di accedere alla vita sociale più ampia del paese di arrivo, sono fattori che inibiscono ogni azione visibile di sostegno allo sviluppo, poiché sottostimano la capacità di collaborazione attiva dei migranti in questo processo. La società, impaurita per la messa in discussione della propria identità, rifiutando il confronto, pregiudica l'instaurarsi di una relazione dialogica e formativa, ostacolando il favorire di processi di integrazione sociale e culturale. A tale riguardo, gli studi di caso tendono a mettere in evidenza come le possibilità del migrante e il suo ruolo maggiormente partecipativo emergano con più facilità tra coloro che sono ben integrati nella società di accoglienza8. L'integrazione rappresenta, infatti, il presupposto essenziale per la valorizzazione delle competenze del migrante, poiché è solo sentendosi un membro attivo della vita del paese di immigrazione che egli può esprimere al meglio la propria personalità. Grande importanza, pertanto, è attribuita alla società di arrivo che può contribuire all'integrazione degli immigrati e indiriz-zare gli esiti del fenomeno attraverso le modalità di inserimento, che ai diversi livelli, si è capaci di prefigurare per i nuovi venuti. L'integrazione di questi ultimi può avvenire soltanto se trova un contesto capace di integrare, disponibile ad accogliere gli "outsider" nel sistema dei diritti fondamentali e dei benefici che spettano ai cittadini, in cambio del rispetto delle regole di convivenza e dell'impegno alla partecipazione attiva, nella misura delle proprie possibilità, alla produzione della ricchezza che consente di generare benessere e sicurezza per tutti.

Il superamento degli ostacoli istituzionali che contrastano con la valorizzazione dell'iniziativa individuale, l'ingresso (e l'assunzione dei ruoli attivi) nelle organizzazioni sindacali, le forme intermedie di cittadinanza politica (diritto di voto a livello locale, partecipazione associativa) dovrebbero, infatti, consentire agli immigrati di essere sempre più partecipi alla redistribuzione della ricchezza e della protezione sociale.

All'interno di tale dimensione globale si rende necessario porsi dinanzi ad un interrogativo: quale integrazione, economica, sociale e culturale può essere pensata in favore degli immigrati? La risposta a

7 Del concetto di cittadinanza culturale parla anche Clanet, sostenendo la necessità di riconoscere istituzionalmente

l'appartenenza culturale con il muovere dal diritto di ciascuna comunità "culturale" di affermarsi e di esprimere la propria peculiarità. "La creazione di una "cittadinanza culturale" che noi abbiamo evocato, e sulla quale si dovrà incitare certi organismi internazionali a continuare a rifletterne, sarebbe senza dubbio un elemento importante di risposta a questo diritto di esistere "culturalmente": accanto ad una cittadinanza politica (diritto di voto e delegazione del potere) e della cittadinanza sociale (diritti sociali), la nozione di "cittadinanza culturale" permette di lottare contro la discriminazione e la devalorizzazione sociale che "colpisce" tale cultura o la comunità culturale". Clanet, 1993, pp. 217-218, cito in Dusi, 2000.

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tale quesito non è certamente semplice, poiché complessa è la natura stessa del concetto di integrazione. Sembra, infatti, difficile poterne dare una definizione univoca e precisa, in quanto sussistono sostanziali differenze nelle definizioni adottate dai diversi paesi e, a volte, nell'ambito di uno stesso paese a causa di una eterogenea gamma di fattori tra cui anche le diversità di genesi e di sviluppo storico e politico9.

6.2 Che cos’è l’integrazione

Nella sua accezione più generica, integrazione indica "la tendenza e la disponibilità costanti, da parte della gran maggioranza degli individui che compongono un sistema sociale, a coordinare regolarmente e efficacemente le proprie azioni con quelle degli altri individui a diversi livelli della struttura della società stessa (o di un altro sistema), facendo registrare un grado relativamente basso di conflitto, oppure procedendo di norma a risolvere i casi di conflitto con mezzi specifici"10. Le teorie che si ispirano a tale prospettiva implicano un tipo di integrazione di natura sistemica, interveniente fra parti d'un (sovra) sistema sociale collocate grosso modo sullo stesso piano, di dimensioni affini, in posizione di potere reciproco, se non uguali, almeno comparabili. Vi sono però altri significati del termine che si riferiscono a rapporti tra una parte più piccola in posizione "debole", e un tutto molto più grande in posizione "forte": di solito un individuo o un gruppo o una collettività più ampia nel quale l'individuo aspira o è forzato a entrare. In questa accezione, per la quale si riserva il predicato "sociale", integrazione significa "inserimento o ingresso di un individuo, o di un gruppo (più) piccolo, in un gruppo o collettività più ampia, di cui il primo viene ad assumere, nel corso del processo, le caratteristiche sociali e culturali più salienti"11.

La teoria tradizionalmente più diffusa su questo argomento afferma che "un soggetto A è integrato nel sistema sociale quando i modelli di comportamento e i valori interiorizzati (come virtù) gli consentono il perseguimento dei fini personali, e nello stesso tempo sono tali da assicurare il perseguimento dei fini collettivi dei sottosistemi sociali in cui si trova ad operare, in una misura collettivamente valutata come "buona". Il problema dell'integrazione sociale dell'immigrato si pone in quanto l'immigrato è un

9 Il rapporto integrazione-immigrazione rappresenta, tutt' oggi, un problema nell'ambito della ricerca scientifica in quanto,

secondo diversi esperti, non è possibile darne una sola definizione, essendo tale processo particolarmente complesso e con diversi esiti possibili al murare dei modelli di riferimento in base ai quali si struttura il rapporto tra immigrati e società d'arrivo. L'ambiguità che circonda tale concetto è riconducibile al fatto che il termine "integrazione" viene usato per indicare sinteticamente i diversi percorsi di inserimento degli immigrati nella società di accoglienza, con particolare riferimento alle principali modalità di stabilizzazione. Si veda Natale, 1997.

10 Gallino, 1993: 372 11 Gallino, 1980: 373

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soggetto che proviene da un sistema sociale (A) al quale si è socializzato ed entra a vivere in un sistema sociale (B) diverso dal primo"12.

Ma, al di là della molteplicità dei significati che tale concetto può assumere, l'integrazione si configura, anzitutto, come un processo multidimensionale e interattivo: essa rappresenta una costruzione storica di reciproco adattamento che, come tutti i processi storici, avviene con lo scorrere del tempo, con un percorso temporale di medio-lungo periodo o con addirittura sequenze generazionali.

Tra la popolazione immigrata e la società ospitante nasce inevitabilmente un'interazione basata sul confronto, lo scambio di valori, standards di vita e modelli di comportamento e il cammino che porta all'integrazione è vissuto dagli immigrati come un processo graduale, attraverso il quale essi, i nuovi residenti, divengono dei partecipanti attivi alla vita economica, sociale, civica, culturale e spirituale del paese di immigrazione. Secondo quanto afferma Zincone, nella sua accezione di processo, l'integrazione comprende tutte le modalità attraverso le quali l'immigrato può essere "incorporato" nella realtà di adozione. Ciò non dovrebbe comportare conformità completa dell'immigrato rispetto ai valori culturali del paese ospite, bensì consistere nell'adozione da parte dello stesso di comportamenti che riducano progressivamente l'eterogeneità rispetto al nuovo ambiente, salvando tuttavia certi valori del paese di origine, il cui mantenimento non costituisce un ostacolo all' equilibrio socio-culturale venutosi a creare nella società di accoglienza. L'inserimento può assumere, immaginando un continuum che va dall'assimilazione al multiculturalismo, forme e caratteristiche assai differenti. A volte si tratta di un completo assorbimento o assimilazione degli immigrati, i quali sono indotti, ad assimilarsi, ad acquisire tutte le caratteristiche comportamentali della società di accoglienza, rinunciando completamente alla propria cultura di provenienza. Più frequentemente, gli immigrati, pur adattandosi alle esigenze e ai comportamenti che trovano nella società ospite, mantengono vive gran parte delle manifestazioni della propria cultura di nascita. In tal caso l'integrazione é intesa nel senso di coesistenza tra più gruppi che riescono a preservare le proprie tradizioni nei confronti del popolo maggioritario. I vari gruppi rimangono distinti tra loro e dalla collettività nativa in ordine a lingua, cultura e tradizioni. Non ci si attende, quindi, che gli individui rinuncino alla loro diversità, ma che accettino alcuni valori chiave della società di adozione. L'insuccesso di molte delle politiche volte a realizzare questi modelli di inserimento degli immigrati nella società di accoglienza ha indotto, so-prattutto i membri della comunità degli immigrati, ad invocare un terzo modello, quello del pluralismo culturale (o integrazione pluralistica). Secondo questa concezione il modo più adeguato di integrare le diverse comunità di un paese è quello di promuovere lo sviluppo di una società pluralista nella quale sia riconosciuta eguale dignità alle diverse sub-culture. L'accettazione del pluralismo si basa sulla

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convinzione dell'importanza della differenziazione culturale nell'ambito di una struttura sociale unitaria, e quindi dell' opportunità di riconoscere il diritto dei gruppi e degli individui di essere portatori di valori e attitudini differenti, fino a quando tali differenze non si traducano in situazioni conflittuali. Nella pratica, ruttavia, pur riconoscendo a tutti gli stessi diritti, ogni etnia finisce col vivere per conto proprio, senza specifiche modalità d'interazione, con il rischio, dunque, di isolamento "individualistico" delle diverse culture. Per questo motivo, il pluralismo multiculturale non viene considerato come il modo migliore di integrazione dello straniero. Un'accezione più ampia, meno unilaterale e meno ambigua del concetto di integrazione culturale, è quella che, secondo Zincone, può essere definita integrazione paritetica, intesa come processo di scambio reciproco, tra autoctoni e immigrati, di valori culturali ed umani, coordinati ed equilibrati, basata sulla valorizzazione e sulla complementarietà delle diversità. Il modello che rende possibile questa integrazione è quello dell'intercultura: le diverse culture si avvicinano tra loro mediante lo scambio, l'interazione, che nel suo significato proprio indica l'“agire a vicenda”, a partire dalla possibilità d'interazione delle diversità. Il modello dell'integrazione interazionistica si preoccupa di far incontrare le culture sullo stesso piano: vengono accettate non tutte le manifestazioni delle varie culture, il che significherebbe un' inaccettabile acriticità, ma viene fondamentalmente accettato l'uomo come portatore di cultura. L'integrazione interazionistica è dunque, prima di tutto, una possibilità di confronto circa le varie modalità di pensiero e ciò che l'uomo ha prodotto nel tempo e nello spazio13.

La complessità che caratterizza il concetto di integrazione, così ricco di sfumature, rende altrettanto complesso anche il procedimento che conduce alla sua quantificazione. Il livello di integrazione degli stranieri, così come quello di un qualsiasi individuo, non è astrattamente misurabile. È, infatti, difficile stabilire quali siano le norme a cui ci si debba conformare e quali caratteristiche bisogna possedere per essere considerati integrati14. Per tali motivi è emersa l'esigenza di costruire misure di sintesi atte ad evidenziare differenze o similitudini nei comportamenti o nelle situazioni che coinvolgono immigrati e nazionali. Il ricorso ad un insieme di indicatori statistici appare cruciale per cogliere la condizione e la

13 Si consulti, a tal proposito, Zincone (a cura di) 2001; Natale e Strozza, 1997.

14 È il modello di accoglimento della società ospitante, espresso in termini di interventi statali e di atteggiamento e

comportamento della popolazione autoctona, che, insieme al tipo di inserimento e di partecipazione desiderato dagli immigrati, dovrebbe permettere di determinare i principali parametri di riferimento per la misura dell'integrazione. Il richiamo ai vari modelli di integrazione, consente di ricordare quante chiavi di lettura possono essere date allo stesso termine. Tuttavia, una volta indicate le differenze, appare evidente il dato comune relativo alle dimensioni nelle quali interviene l'integrazione: questo riguarda il ruolo giuridico, sociale, culturale e economico che gli immigrati ricoprono nel contesto in cui si trovano ad agire e le relative scelte da parte del legislatore nel favorire l'evoluzione delle condizioni di vita dell'immigrato in ciascuna di queste sfere. Al di là delle molteplici definizioni e dei possibili modelli di riferimento, il carattere distintivo dell'integrazione basato sul suo essere un processo pluridimensionale, ci permette di individuare un sistema standardizzato di misure applicabili ai diversi modelli esistenti. Si veda Natale, Strozza, 1997.

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partecipazione dei nuovi arrivati alle diverse sfere della vita economica, sociale e culturale del paese di accoglimento, per misurare i cambiamenti nelle caratteristiche, nelle propensioni e nei bisogni delle collettività immigrate, nonché per monitorare specifici aspetti delle politiche di intervento sociale. Queste misure, infatti, possono essere utili in qualità di segnali di allerta in quanto un loro eccessivo scarto tra i vari gruppi potrebbe indicare un rischio di non integrazione o di discriminazione.

7.

Gli indici che misurano il grado di integrazione

Nell' ottica della mia ricerca, gli indici su cui ho focalizzato l'attenzione, attengono alle principali dimensioni entro le quali prende forma la vita dell'immigrato nella società di accoglienza.

In relazione ad esse, sono stati "costruiti" i seguenti indici:

• Indice di integrazione lavorativa;

• Indice di capacità economica;

• Indice di integrazione linguistica e relazionale;

• Indice di relazione con i servizi pubblici;

• Indice di radicamento familiare;

• Indice del progetto migratorio;

• Indice di integrazione abitativa.

Il mio intento è stato quello di fornire un breve identikit del migrante che sceglie come meta di arrivo l'Italia centrale e sperimenta qui la propria vita e i relativi processi di integrazione15.

15 I tratti generici, ma essenziali, individuati all'interno del campione oggetto del mio studio, suggeriscono il profilo di un

soggetto immigrato avente un'età media di 33,29 anni; per il 51,5% dei casi appartenente alla componente femminile e per il restante 48,5% a quella maschile; per circa un terzo di origine africana 13,42%) e americana 13,11 %), giunto dal continente europeo e asiatico, rispettivamente nel 22% e 12,7% dei casi. Ogni cento migranti, 40 sono i coniugati e 81 coloro che godono di una occupazione. I progetti futuri del "migrante medio" oscillano intorno a due fondamentali e opposte decisioni: nel 48,7% dei casi si fa strada il desiderio di stabilirsi definitivamente nel nostro paese, mentre nel 51,3 % dei casi vince la volontà di lasciare l'Italia, per una nuova terra di immigrazione (43,5%) o per quella che si è abbandonata (7,8%).

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Tab. 5 . Profilo delle comunità nazionali secondo alcune variabili socio- demografiche

Età Sesso Stato civile: N° medio Condizione

media %M %F % coniugati di anni professionale:

COMUNITÀ NAZIONALI di studio % occupati

Balcani 31,96 63,3 36,7 48,98 11,33 83,67

Europa Centro-Est 33,40 25,5 74,5 29,09 Il,92 81,82

Africa del Nord 31,10 76,3 23,7 35,16 9,63 82,22

Africa sub-sahariana 31,60 53,6 46,4 37,31 10,49 76,12

Asia 34,64 40,0 60,0 53,33 9,73 80,00

America del Centro Sud 35,30 _ 36,1 63,9 37,67 11,01 84,93

PROFILO MEDIO 33,29 48,5 51,5 40,40 10,67 81,2

7.1 Indice di integrazione lavorativa

Il primo indice su cui voglio porre l'attenzione attiene all'inserimento nel versante occupazionale, poiché il lavoro rappresenta in assoluto la prima forma di contatto tra il migrante e la società di accoglimento.

Lo straniero è stato visto per molto tempo, dai paesi di approdo, un homo economicus ed egli stesso è giunto essenzialmente con l'obiettivo di guadagnare quel tanto che gli permettesse poi, una volta ritornato in patria, di vivere meglio. Non dobbiamo, inoltre, dimenticare che nella maggior parte dei paesi europei è alla situazione occupazionale che sono legati, oltre allo status sociale, la giustificazione della presenza dell'immigrato, il suo sostentamento e tutta una serie di diritti che questo può progressivamente acquisire e imparare ad esercitare (Natale, 1997).

L’indice di integrazione lavorativa tiene conto della situazione occupazionale attuale ma anche del tipo di prestazione effettuata.

Un'elevata percentuale di intervistati aventi un'attività lavorativa costituisce di per sé un fattore positivo, ma ad esso devono aggiungersi elementi non meno importanti, quali il carattere continuativo o saltuario del lavoro svolto, il periodo dal quale il migrante gode della medesima occupazione, le modalità con cui è stato assunto (con o senza regolare contratto), il reddito percepito e, infine, la soddisfazione di avere un lavoro che risponda alle proprie aspettative16.

16 Ciascun indice, è stato costruito tenendo conto degli indicatori più rappresentativi per ognuna delle dimensioni

considerate, attribuendo un diverso punteggio a seconda che essi risultassero più o meno rilevanti ai fini dell'integrazione del migrante. Nel caso dell'Indice di integrazione lavorativa, si è ritenuto fondamentale che l'intervistato, al momento della somministrazione, da parte della Caritas di Pisa, del questionario, godesse di un'attività lavorativa. Pertanto, alla risposta affermativa circa la domanda "Attualmente lavora?" è stato assegnato punteggio uguale a 2. Hanno poi contribuito alla sintesi delle informazioni altri elementi a cui è stata data la medesima valenza (punteggio pari a 1 nel caso in cui il migrante

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Nell'affrontare l'integrazione occupazionale degli intervistati, riteniamo non si possa prescindere dal valutare un altro aspetto, ad esso strettamente connesso, legato alla condizione economica del migrante.

La situazione reddituale e la capacità di consumo possono, infatti, aiutarci a capire se le possibilità finanziarie di cui il soggetto dispone, hanno contribuito a migliorarne la qualità della vita, rendendolo autonomo, autosufficiente e, soprattutto, in grado di soddisfare i bisogni e le esigenze anche più elementari.

7.2 Indice di capacità economica

L’ Indice di capacità economic,a è la risultante di quegli indicatori volti a misurare l'attuale condizione economica del migrante e il suo eventuale cambiamento verso parametri ritenuti migliori17.

7.3 Indice di integrazione linguistica e relazionale

Dopo aver preso in considerazione gli aspetti più prettamente economici della vita dell'immigrato, mi è sembrato opportuno dedicare alcune riflessioni al livello di inserimento raggiunto nell' ambito delle relazioni instauratesi con la società di accoglienza.

Più di altri fenomeni sociali, le migrazioni meritano di essere definite dei fatti sociali totali (Natale, 1997), e ciò non solo in quanto sono il risultato di una pluralità di fattori - economici, sociali, culturali e psicologici - ma anche perché l'immigrato, lungi dall'essere un semplice lavoratore in cerca di

un'occupazione in un mercato del lavoro lontano, è il membro di una cultura che si trasferisce per un certo periodo di tempo in una cultura estranea e in una società sconosciuta in cui deve adattarsi. Appare perciò evidente come la progressiva appropriazione del modello culturale della vita di gruppo

risponda a tali caratteristiche): lavorare a tempo pieno; essere assunto con regolare contratto; avere un'occupazione continuativa e non saltuaria, stabile da più di un anno; percepire un reddito superiore ai 1000 Euro ed essere, infine, soddisfatti delle mansioni svolte. La somma dei singoli punteggi darebbe luogo ad un indice massimo di integrazione avente valore uguale a "8". Nessun migrante ha, però, risposto positivamente a tutte le domande, poiché il più alto punteggio effettivamente raggiunto è pari a "6". Per ciascuna delle scale relative agli indici presi ad esame, sono stati individuati come estremi il minimo e il massimo punteggio ottenuto dagli intervistati corrispondenti, rispettivamente, all'Indice minimo di integrazione raggiunto e all'Indice massimo di integrazione raggiunto.

17 Nell'elaborazione dell'Indice di capacità economica sono state prese in considerazione tutte le fonti di reddito, anche extra-lavorative, di cui il migrante può disporre mensilmente ed è stato assegnato un punteggio massimo, pari a 3, alla classe corrispondente il guadagno più elevato. Eguale importanza è stata attribuita alla risposta data circa l'ottenimento di una più agiata posizione economica e alla possibilità di pagare un mutuo per acquistare un'abitazione di proprietà (punteggio uguale a 2). Infine, meno rilevante, è apparso il poter disporre di un conto corrente bancario (punteggio pari a 1). Anche in questo caso, la somma dei punteggi delle varie risposte assumerebbe un indice massimo, pari a 8, maggiore di quello realmente ottenuto dagli intervistati, uguale a 6. La scala sottesa dall'Indice di capacità economica ha, pertanto, come valori estremi "O" (minimo punteggio ottenuto) e "6" (massimo punteggio ottenuto).

Figura

Tab. 1 Alcune nazionalità del 1981 negli anni dopo  0 2 4 6 8 10 12Capo VerdeMaroccoNigeriaCile EgittoEtiopiaLibiaFilippineJugoslaviaBrasileIranTunisia 200319961981

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