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RUOLO DELL'ATTIVITA' FISICA E DELL'INTEGRAZIONE ALIMENTARE NELLA PREVENZIONE DEL DANNO CEREBRALE INDOTTO DALLO STRESS OSSIDATIVO

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INDICE

1. Introduzione……… pag. 2

1.1. Stress ossidativo……….… pag. 2

2. I radicali liberi………. pag. 2

2.1. Formazione di radicali liberi………... pag. 3

3. Difese antiossidanti……….. pag. 5

3.1. Difese antiossidanti endogene……….…. pag. 6

3.2. Difese antiossidanti esogene……….……. pag. 8

4. Paradosso dell’attività fisica come antiossidante………….. pag. 14

4.1. La “Teoria ossidativa” di Harman……….. pag. 15

4.2. La Teoria della “Sindrome di adattamento generale” e la “Teoria

dell’ormesi………. pag.19

4.3. Biogenesi mitocondriale ed esercizio fisico……….. pag. 22

5. Effetti della supplementazione antiossidante………. pag. 33

6. Scopo del lavoro……… pag. 38

7. Materiali e metodi……….. pag. 38

7.1. Allenamento……… pag. 38

7.2. Trattamento con supplementazione con catechina………. pag. 40

7.3. Danno da ischemia da riperfusione……….. pag. 40

7.4. Isolamento e conservazione dei tessuti………. pag. 41

7.5. Analisi Tosca………. pag. 41

7.6. Analisi statistica………. pag. 42

8. Risultati……….. pag. 43

9. Discussione e conclusioni……… pag. 45

10. Bibliografia………. pag.49

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1. INTRODUZIONE

1.1.

STRESS OSSIDATIVO

Lo STRESS OSSIDATIVO (OxS) è definito come la condizione in cui vi è un’alterazione nell’equilibrio tra SPECIE RADICALICHE e DIFESE ANTIOSSIDANTI con il conseguente aumento del danno ossidativo delle biomolecole.

Lo stress ossidativo è una tipica caratteristica delle malattie infiammatorie, nelle quali le cellule del sistema immunitario producono ROS in risposta all’infezione.

Lo stress ossidativo può essere localizzato, per esempio nelle articolazioni nel caso dell’artrite, o nella parete vascolare nell’aterosclerosi, oppure può essere sistemico, come nel caso del lupus eritematoso sistemico (SLE) o del diabete.

2. I RADICALI LIBERI

I radicali liberi possono essere definiti come specie molecolari capaci di esistenza propria, che presentano un elettrone spaiato nell’orbitale più esterno. (Halliwell B; Gutteridge JM., 1989).

Questa caratteristica rende, i radicali liberi, delle specie instabili e altamente reattive pertanto possono sia donare che accettare uno o più elettroni da altre molecole, cambiando così la loro natura, diventando:

• ossidanti se acquistano elettroni; • riducenti se cedono elettroni.

I radicali liberi vengono classificati sulla base della natura dell'atomo al quale appartiene l'orbitale con l'elettrone spaiato.

Esistono, quindi, radicali liberi centrati sull'ossigeno, sul carbonio, sull'azoto o sul cloro, solo per citare quelli di maggior interesse in patologia umana.

I radicali liberi, sono specie, come abbiamo già detto, altamente reattive, e agiscono su tutti i tipi di molecole del corpo e sono capaci di danneggiare molecole biologicamente importanti come DNA, proteine, carboidrati, e lipidi.

Tra le specie reattive dell’ossigeno ricordiamo: • SPECIE RADICALICHE:

o Anione superossido; o Radicale ossidrile; o Radicale perossile;

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• NON RADICALICHE:

o O singoletto; o Ozono;

o Perossido di idrogeno.

Tutte le specie chimiche reattive, radicaliche o meno, possiedono attività ossidativa. Tale attività, che consiste nel trasferimento di uno o più elettroni, è alla base chimica dello stress ossidativo.

Tra le specie chimiche reattive dell’azoto ricordiamo: o Monossido di azoto

o Perossinitrico.

Il perossinitrico (ONOO-) è un forte ossidante e si forma poiché il monossido di azoto (NO) reagisce con il superossido (O2-).

Si ritiene che la produzione simultanea di NO• e O

2-, con il concomitante aumento di ONOO- e la diminuzione di NO•, limiti la vasodilatazione e causi l’infiammazione della parete vascolare nel caso di danni da ischemia/riperfusione, ponendo le basi per le patologie vascolare.

Il monossido di azoto (NO•), è un’altra specie reattiva dell’azoto con forte attività ossidante e nitrante, è prodotto dalla perossidasi o dalla mieloperossidasi degli eosinofili, che catalizzano l’ossidazione del NO• da parte del perossido di idrogeno (H

2O2).

2.1.

FORMAZIONE DI RADICALI LIBERI

La produzione, e di conseguenza l’aumento, di ROS negli organismi viventi è spesso dovuto ad un innalzamento dell’attività metabolica cellulare; ma anche agenti esterni ne possono condizionare la loro produzione.

Pertanto potremo parlare di fonti di produzione di ROS:

• ESOGENE che comprendono tutti quegli agenti esterni che portano alla produzione di ROS come:

o AGENTI FISICI: radiazioni ionizzanti e raggi UV; (McCaughan JS., 1999); o AGENTI CHIMICI: ozono, metalli, farmaci. (Cross CE., et all., 1994); (Kelly

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• ENDOGENE che comprendono tutte quelle vie metaboliche che oltre a produrre i produrre i risultati finali della via metabolica, producono ROS, come per esempio la respirazione cellulare. (Uttara B., et al., 2009).

Nella cellula abbiamo almeno sei siti dove avviene la produzione di ROS: o MEMBRANA PLASMATICA;

o PEROSSISIMA, siti molto importanti nell’utilizzo di O2; viene prodotto perossido di idrogeno (H2O2).

Una delle più importanti funzioni ossidative, fonte di ROS, che hanno luogo nei perossisomi è la degradazione di molecole di acidi grassi a catena lunga→

β-ossidazione;

o RETICOLO ENDOPLASMATICO LISCIO (REL); o CITOSOL;

o MITOCONDRIO: rappresenta la fonte metabolica primaria di ROS; sulla cresta dei mitocondri sono localizzati i complessi enzimatici della catena respiratoria deputati alla fosforilazione ossidativa.

Il trasferimento di elettroni da NADH e/o FADH all’O2 dovrebbe concludersi con produzione di H2O.

Tuttavia questo processo non è perfetto e circa 1.5% dell’O2 mitocondriale viene ridotto da elettroni che sfuggono alla catena respiratoria, generando così superossido (O2-•) e/o perossido di idrogeno (H2O2).

A livello mitocondriale, un’altra possibile fonte di ROS sono le monoammino-ossidasi (MAO) che determinano la formazione di perossido di idrogeno (H2O2).

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3. DIFESE ANTIOSSIDANTI

Come detto prima, il nostro organismo è sottoposto a stress ossidativo, sia perché all’interno di esso vengono prodotti radicali liberi come prodotti di scarto delle vie implicate nel metabolismo energetico, sia perché queste molecole dannose provengono dall’ambiente esterno.

Per questi motivi il corpo ha adottato una serie di sistemi definiti “antiossidati”, grazie ai quali riesce a contrastare, o almeno cerca di contrastare la produzione di radicali liberi. L’antiossidante è una sostanza che pur presente in concentrazioni ridotte rispetto al substrato ossidabile, può prevenire o ritardare l’ossidazione iniziata da un fattore proossidante. (Halliwell B, Gutteridge JC., 1995).

Gli antiossidanti possono essere (I.S. Young, J.V. Woodside., 2000): • ENDOGENI se sono sintetizzati dall’organismo umano:

o ENZIMI: SOD, CATALASI, GLUTATIONE PEROSSIDASI; o PROTEINE: proteine –SH, leganti metalli (ferro, rame); o ALTRE MOLECOLE: acido urico, bilirubina.

• ESOGENI se introdotti con la dieta:

o VITAMINICI: vitC, vitE, carotenoidi con funzione di pro-vitA; o NON VITAMINICI: carotenoidi, polifenoli.

Gli antiossidanti sono sostanze che, ai fini di evitare fenomeni ossidativi dannosi possono agire secondo diversi meccanismi:

• Prevenire formazione di radicali liberi;

• Rimuovere e/o inattivare i radicali liberi già formatisi;

• Neutralizzare o riparare i danni provocati dalla perossidazione lipidica. A seconda del ruolo che essi svolgono questi antiossidanti possono:

• Donare o accettare elettroni;

• Neutralizzare perossidi e idroperossidi;

• Disattivare metalli che innescano le reazioni di perossidazione; • Assorbire parte dell’energia emessa dai raggi UV.

Le sostanze antiossidanti posso agire secondo due modalità:

• Primaria: se prevengono la formazione di specie radicaliche, sequestrando metalli di transizione;

• Secondaria: se reagiscono con radicali già formati e li convertono in forme meno reattive interrompendo le reazioni a catena.

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3.1.

DIFESE ANTIOSSIDANTI ENDOGENE

Come già detto in precedenza le difese antiossidanti endogene sono quei mezzi messi in atto dal nostro organismo al fine di combattere e ridurre i livelli di radicali liberi.

Catalasi

La catalasi è stato il primo enzima ad essere classificato.

Esso catalizza i due passaggi di conversione del perossido di idrogeno (H2O2) ad acqua e ossigeno.

Nella prima fase, una molecola di H2O2 si lega all’enzima e viene scissa, un atomo di ossigeno viene estratto e legato all’atomo di ferro, ed il resto della molecola viene rilasciata come acqua.

Nella seconda fase, un’altra molecola di H2O2 si lega all’enzima; anche questa viene dismutata e l’ossigeno estratto viene combinato con l’atomo di ossigeno legato al ferro.

Infine viene rilasciata acqua e ossigeno gassoso.

catalase±Fe(III) + H2O2 → compound I compound I + H2O2 → catalase±Fe(III) + 2H2O + O2

La catalasi è formata da quattro sub-unità proteiche, contenenti un gruppo Fe-eme e una molecola di NADPH. (Kirkman HN., et all., 1987)

L’efficienza della catalasi è alta a tal punto che nessuna concentrazione di H2O2 è in grado di saturarlo.

La catalisi all’interno della cellula si trova nei perossisiomi, che contengo inoltre la maggior parte degli enzimi.

Glutatione perossidasi e la glutatione reduttasi

Il glutatione è considerato il principale sistema tampone ossidoriduttivo cellulare appartenente alla famiglia dei tioli.

Il glutatione partecipa direttamente alla neutralizzazione dei radicali liberi, che si formano dalla perossidazione dei lipidi. (Takahashi K, Cohen HJ., 1986).

La glutatione perossidasi catalizza l'ossidazione del glutatione a spese di un idroperossido, che potrebbe essere o il perossido di idrogeno o un’altra specie come per esempio un idroperossido lipidico. (Holben DH., et all., 1999).

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Il glutatione perossidasi plasmatico è prodotto nel rene; ma la quantità maggiore di glutatione perossidasi la troviamo nel citosol e nel mitocondrio, ed è qui che svolge la sua funzione di scavenger nei confronti del perossido di idrogeno.

Fondamentale in questa reazione è il ruolo del glutatione (GSH) che si ossida (GSSG) tamponando così il radicale libero. (Holben DH., et all., 1999).

La glutatione reduttasi è una flavoproteina, anch’essa implicata nei meccanismi di rimozione dei radicali liberi; ha una distribuzione simile alla glutatione perossidasi. (Gibson DG., et all., 1985).

Superossido desmutasi

La superossido desmutasi è un enzima che catalizza la reazione del superossido a perossido di idrogeno:

O2− + O2− + 2H+ → H2O2 + O2

Il perossido di idrogeno dovrà poi essere rimosso attraverso la catalisi o la glutatione perossidasi come descritto sopra. (I.S. Young, J.V. Woodside., 2000). Nell’uomo ci sono tre forme di superossido desmutasi, che si trovano in punti differenti della cellula:

• Rame-zinco superossido desmutasi (CuZnSOD) si trova nel citoplasma di tutte le cellule; (Liou W., et all., 1993);

• Manganese superossido desmutasi (MnSOD) si trova nel mitocondrio; (Weisiger RA., et all., 1973);

• Superossido desmutasi extracellulare (EC-SOD) è sintetizzata solo da alcuni tipi di cellule, che includono fibroblasti e cellule endoteliali.

Le EC-SOD sono le SOD maggiormente rilevabili nei liquidi extracellulari. (Karlsson K., et all., 1993).

Proteine SH e proteine leganti.

Le proteine –SH sono principalmente antiossidanti plasmatici, sono in grado di donare un elettrone, trasformando le molecole reattive in composti più stabili. Le proteine leganti invece, come dice il nome stesso, svolgono funzioni di legame, deposito e trasporto dei micronutrienti.

Ogni classe di proteina legante agisce su un particolare microelemento in grado poi di svolgere tutta una serie di compiti all’interno dell’organismo.

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La birilubina

La bilirubina è un prodotto dal metabolismo dell’emoglobina, agisce sui radicali perossilici nel plasma.

È considerata un antiossidante anche più potente del glutatione, tuttavia la sua concentrazione nell’organismo è così bassa che la sua azione risulta meno radicale del glutatione.

L’acido urico

L’acido urico è un prodotto del catabolismo delle purine e degli amminoacidi. Si stima che gran parte dell’azione degli antiossidanti endogeni sia portata avanti da questa sostanza.

La loro funzione si svolge soprattutto nel sistema nervoso e nel tratto respiratorio dove agiscono sui radicali idrossile e perossi-nitrito e anche come riduttori della concentrazione di azoto.

3.2.

DIFESE ANTIOSSIDANTI ESOGENE

Per difese antiossidanti esogene intendiamo tutte quelle soluzione, come per esempio le vitamine assunte con l’alimentazione o come integrazione col fine di contrastare i radicali liberi.

Gli antiossidanti esogeni li possiamo suddividere in: • liposolubili.

• idrosolubili.

Antiossidanti liposolubili

Gli antiossidanti liposolubili tolgono i radicali dalle membrane cellulari e dalle particelle lipoproteiche e svolgono un ruolo cruciale nel prevenire la perossidazione lipidica.

Vitamina E

La vitamina E è il più potente antiossidante liposolubile. (Esterbauer H., et all., 1991). In natura esistono otto tipi differenti di vitamina E, i quali differiscono per la loro attività biologica:

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• i tocoferoli (α, β, γ e δ).

Questi composti vengono suddivisi in tocotrienoli o in tocoferoli a seconda della presenza di una catena satura o insatura. (Horwitt MH., 1991).

I tocotrienoli (α, β, γ, δ), infatti, presentano tre doppi legami sulla catena isoprenoide. La disposizione dei gruppi metilici permette di distinguere i singoli composti delle due classi.

Entrambi i gruppi, comunque, sono antiossidanti liposolubili e hanno forti caratteristiche antiossidanti.

Biologicamente l'alfa tocoferolo è la forma vitaminica più potente ed attiva.

Gli altri tocoferoli non hanno molta importanza anche se l'attività ossidante aumenta passando dall'alfa al delta, inversamente all'attività vitaminica.

La vitamina E ha un ruolo importante, quale fattore antiossidante, nella prevenzione dell'ossidazione degli acidi grassi polinsaturi, evento chiave nello sviluppo del processo di perossidazione lipidica. (Burton GW, Ingold KU., 1986).

Tale evento, scatenato dall'azione di radicali liberi, si sviluppa attraverso delle reazioni a catena che continuano il processo.

La vitamina E è in grado di bloccare questo fenomeno donando un atomo di idrogeno ai radicali perossilipidici, rendendoli in tal modo meno reattivi e bloccando di fatto la perossidazione lipidica.

Tale reazione redox trasforma la vitamina E in un radicale α-tocoferossilico che è piuttosto stabile, grazie allo sviluppo di fenomeni di risonanza, e che può reagire con la vitamina C o con il glutatione o con il coenzima Q10 per riformare l'α-tocoferolo. (Kagan VE, Tyurina YY., 1998).

Inoltre la vitamina E ha un ruolo strutturale, poiché è uno stabilizzatore di membrana.

I carotenoidi

I carotenoidi sono un gruppo di antiossidanti liposolubili, costruiti attorno ad uno scheletro carbonioso isoprenoide. (Cooper DA., et all., 1999).

I carotenoidi sono molecole costituite da una lunga catena di atomi di carbonio, costituita da 35-40 atomi e definita catena polienica, spesso terminante in un anello.

La struttura della catena permette di dividere i carotenoidi in due classi: • le xantofille, costituite da catene contenenti atomi di ossigeno;

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• i caroteni, costituiti invece da molecole prive di ossigeno e formate solo da idrogeno, oltre che da carbonio.

Il più importante tra i carotenoidi è il β-carotene, nonostante altri venti forme possono essere presenti nelle membrane e nelle lipoproteine.

Loro sono degli importanti “spazzini” nei confronti dell’ossigeno singoletto (O•), ma possono anche neutralizzare i radicali perossilici a bassa pressione di ossigeno con un'efficienza almeno pari a quella dell’α-tocoferolo. (Fukuzawa K., et all., 1998).

Poiché questa condizione prevale nella maggior parte dei tessuti biologici, i carotenoidi potrebbe svolgere un ruolo importante nella prevenzione della perossidazione lipidica in vivo. (Chaudiere J., et all., 1999).

Un altro importante ruolo dei carotenoidi è quello di essere precursori della vitamina A (retinolo).

La vitamina A, ha anch’essa proprietà antiossidanti, la quale comunque, non mostra alcuna dipendenza dalla concentrazione dell’ossigeno.

I flavonoidi

I flavonoidi sono un grande gruppo di antiossidanti polifenolici che si trovano nella frutta, nella verdura e nelle bevande come tè e vino. (Rice-Evans CA., et all., 1996).

Sono stati identificati oltre 4000 flavonoidi e sono stati divisi in gruppi in base alla loro struttura chimica, (I.S. Young, J.V. Woodside., 2000):

• flavonoli come la quercitina; • flavanoli come le catechine; • flavoni come l’apigenina; • isoflavoni come la genisteina.

L’ubichinone-10

L’ubichinone è la forma ridotta del coenzima Q-10, è un antiossidante liposolubile. (Shi HL., et all., 1999).

Inoltre presente in poche concentrazioni come l’α-tocoferolo, può essere uno spazzino del radicale perossile, con maggior efficienza rispetto all’α-tocoferolo o ai carotenoidi, e inoltre può rigenerare le membrane legato all’α-tocoferolo.

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L’ubichinone-10 è il primo antiossidante utilizzato; questo ci suggerisce che potrebbe avere particolare importanza nella prevenzione della propagazione della perossidazione lipidica. (Thomas SR., et all., 1996).

Le Catechine

Le catechine sono sostanze fitochimiche polifenoliche naturali presenti in alimenti e piante medicinali, come tè e legumi. (Fei-Yan Fan, et all., 2017).

Un numero crescente di studi ha associato l'assunzione di alimenti ricchi di catechine con la prevenzione e il trattamento di malattie croniche nell'uomo.

Alcuni studi hanno dimostrato il ruolo decisivo delle catechine nell’inibire significativamente lo stress ossidativo attraverso effetti antiossidanti diretti o indiretti. (Brückner M, et all., 2012).

Le catechine possono esercitare le loro significative proprietà anti-infiammatorie regolando l'attivazione o la disattivazione delle vie di segnalazione cellulare correlate all’infiammazione e allo stress ossidativo come il nuclear factor-kappa B (NF-B), mitogen activated protein kinases (MAPK), trascription factor nuclear factor (Nrf2), signal transducer and the activator of trascription 1/3 (STAT1/3). (Fei-Yan Fan, et all., 2017). Le catechine, come antiossidanti diretti, possono rimuovere i radicali liberi e chelare i metalli redox-attivi.

Allo stesso tempo, come antiossidanti indiretti, le catechine regolano le attività di sintesi proteica e le strategie di segnalazione, come per esempio mediando la proprietà degli enzimi proossidanti. (Fraga, C.G.; Oteiza, P.I., 2011).

Le catechine, come tutti i polifenoli, hanno la caratteristica comune di scavengers dei radicali liberi a causa della comune struttura chimica, in quanto hanno gruppi fenoli nei polifenoli.

La catechina è in grado di inibire significativamente il ROS intracellulare rimuovendo i radicali liberi e la produzione di NO, mostrando capacità antiossidanti, e confermando quella proprietà contro gli RONS. (Sánchez-Fidalgo., 2013).

Come scavenger di radicali liberi, le catechine sono in grado di reagire con i radicali liberi per interrompere le reazioni a catena degli stessi.

Diversi studi hanno dimostrato che l’assunzione di tè, contenente catechine e teoflavine; nero ha vari benefici sulla salute, tra i quali combatte lo stress ossidativo.

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Leenen e colleghi nel 2000; osservando un campione di 21 volontari sani; 10 maschi e 11 femmine; ai quali è stata somministrata una dosa di tè nero, o tè verde; 2 g di tè in 300 ml di acqua; hanno dimostrato che il consumo di tè verde o tè nero aumenterebbero i livelli plasmatici antiossidanti.

I ricercatori prelevarono campioni di sangue prima dell’assunzione di tè, ed in seguito all’assunzione della stessa fino alle 2 ore dopo.

I risultati mostrarono come il consumo di tè nero avesse portato ad un significativo aumento dell'attività antiossidante a livello plasmatico raggiungendo i livelli massimi circa 60 minuti dopo l’assunzione.

Un aumento maggiore è stato osservato dopo il consumo di tè verde. (Leenen et all., 2000) Il consumo di una singola dose di tè nero o verde induce un aumento significativo dell'attività antiossidante plasmatica in vivo.

Inoltre, è stato riportato in diversi studi di popolazione che il consumo di tè verde o tè nero potrebbe ridurre significativamente l'ossidazione del DNA e la perossidazione lipidica (J. Meng., et all., 2001).

Cheng Peng e colleghi nel 2014 hanno studiato l’attività antiossidante del tè; e hanno dimostrato che le catechine verdi e le teaflavine nere potevano allungare la durata media della Drosophila del 10-16%.

Inoltre hanno rilevato una maggior espressione degli enzimi antiossidanti endogeni come SOD e CAT.

Studi effettuati su C. elegans hanno mostrato risultati simili, indicando che il trattamento con epigallocatechin gallate (EGCG), un principio attivo del tè, porterebbe ad una maggior durata della vita. (S. Abbas and M. Wink., 2009); (L. Zhang., et all., 2009).

K. Kitani e colleghi nel 2007 hanno dimostrato che nei topi, consumare il polifenolo del tè, a partire dai 13 mesi sino alla morte, potrebbe aumentare la vita media di oltre il 6%.

Gli antiossidanti idrosolubili

Questi antiossidanti acchiappano direttamente i radicali presenti nei comportamenti acquosi.

Qualitativamente il più importante antiossidante di questo tipo è la vitamina C (acido ascorbico). (Levine M., et all., 1994).

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Vitamina C

La vitamina C, è importante per il corretto funzionamento del sistema immunitario e per la sintesi di collagene nell'organismo. (I.S. Young, J.V. Woodside., 2000).

Il collagene rinforza i vasi sanguigni, la pelle, i muscoli e le ossa. L'uomo non può creare collagene senza la vitamina C.

Sembra che la vitamina C, abbia un ruolo importante soprattutto in reazioni di ossidoriduzione catalizzate da ossigenasi e che svolga un'azione antistaminica.

È stato dimostrato, inoltre che, l’acido ascorbico ha azione di “scavanger” (Grootveld M., et all., 1987), nei confronti di:

• superossido; • idrogeno perossidasi; • radicale ossidrile; • acido ipocloroso; • radicale perossile; • ossigeno singoletto.

Durante la sua funzione antiossidante, l’ascorbato perde due elettroni; inizialmente a radicale semideidroascorbilico e successivamente a deidroascorbato.

Inoltre, nel plasma troviamo le proteine appartenenti al gruppo dei tioli.

I gruppi sulfidrili presenti nelle proteine plasmatiche, donano un elettrone al fine di neutralizzare un radicale libero, con la risultante formazione di una proteina radicalica tiolica. (Ames BN., et all., 1981).

Albumina

L’albumina è la proteina plasmatica predominante e dà il maggior contributo al gruppo sulfidrile plasmatico; inoltre ha altre importanti caratteristiche antiossidanti. (Halliwell B., 1988).

L’albumina contiene diciassette ponti disolfuro e ha un singolo residuo di cisteina; ed è questo il responsabile della capacità dell’albumina di reagire e neutralizzare il radicale perossile. (Stocker R, Frei B., 1991).

Questa proprietà è importante perché l’albumina trasporta gli acidi grassi liberi (FFA) nel sangue.

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Inoltre, l’albumina, ha la capacità di legare lo ione rame e pertanto di inibire la perossidazione lipidica dipendente dal rame e la formazione di radicali idrossilici. (Hu ML., et all., 1993).

Inoltre nel nostro organismo troviamo altre proteine che hanno funzione antiossidante come:

• ceruleoplasmina; • proteine chinasi;

• proteina disaccoppiante UCP-3.

4. PARADOSSO DELL’ATTIVITÀ FISICA COME ANTIOSSIDANTE

L’esercizio volontario induce una gamma di risposte fisiologiche che sono fondamentali per la performance del muscolo quindi del movimento.

L’esercizio volontario comprende molti più eventi che non solo la semplice contrazione muscolare.

Lo sforzo volontario comanda nel midollo spinale il reclutamento di unità motorie, ciò avrà come risultante schemi motori precisi.

Oltra al segnale nervoso sul muscolo troviamo importanti segnali che vanno ai sistemi cardiovascolare,

respiratorio, metabolico ed

ormonale,che in genere consentono di soddisfare le richieste metaboliche con una limitata perturbazione dell'omeostasi. (Figura 1).

È importante capire e comprendere le numerose questioni legate alla velocità, alla forza, alla durata e all’intensità dell’esercizio al fine di comprendere le risposte fisiologiche all’esercizio.

Una contrazione isometrica o statica di forza intesa ma di breve durata comprime i vasi sanguigni e limita il flusso di sangue e la distribuzione di ossigeno e contemporaneamente aumenta la pressione sanguigna.

Figure 1. The Physiological Responses to Voluntary, Dynamic ExerciseMultiple organ systems are affected by exercise, initiating diverse homeostatic responses.

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In contrasto, durante l’esercizio sostenuto come la corsa o il ciclismo, il tempo di contrazione è ridotto, ci sono piccole perturbazioni nel flusso sanguigno e le variazioni della pressione sanguigna sono limitate.

La massa muscolare impegnata nell'esercizio è fondamentale, in quanto determina sia il flusso assoluto di O2 che il fabbisogno di substrati energetici totali. (Coyle et all., 1991).

L’intensità dell’esercizio la valutiamo col VO2max ed ha un ruolo importante nel determinare

le risposte fisiologiche generali all'esercizio.

L'esercizio a bassa, moderata e alta intensità corrisponde a <45%, 45% -75% e> 75% di VO2max individuale, rispettivamente. (Hagerman 1984).

4.1.

LA “TEORIA OSSIDATIVA” DI HARMAN

La teoria dei radicali liberi (RL) dell’invecchiamento fu proposta per la prima volta nel 1954 da Denham Harman e si basa sul fatto che tutti gli organismi vivono in un ambiente contenente ROS: la respirazione mitocondriale, la base della produzione d’energia in tutti gli eucarioti, genera ROS per fuoriuscita di intermedi dalla catena di trasporto degli elettroni. (Denham Harman, 1954)

I radicali liberi, specie chimiche con un elettrone spaiato nel loro orbitale più esterno, dotate di elevata reattività ed instabilità chimica, hanno la capacità di reagire con svariate molecole con cui vengono in contatto e dalle quali sottraggono o alle quali cedono un elettrone nel tentativo di acquisire stabilità, producendo in tal modo altri radicali secondo reazioni che si propagano spesso a catena.

L'invecchiamento è un processo progressivo, più o meno casuale, costituito dal susseguirsi di cambiamenti diversi, e dannosi; prima nei gameti maschili e femminili, poi nello sviluppo dello zigote formata, e infine attraverso le cellule e i tessuti dell’individuo formatisi. Tali cambiamenti aumento il rischio di malattie e di morte con l'avanzare dell'età.

I processi che portano all’invecchiamento sono comunemente attribuiti allo sviluppo, a difetti genetici, all’ambiente, alle malattie e al processo d’invecchiamento innato.

Questi cambiamenti limitano l'aspettativa di vita alla nascita ad un massimo di circa 85 anni. L’aspettativa di vita di un uomo è aumentata grazie al miglioramento delle condizioni di vita generali, come per esempio, una migliore nutrizione, e migliori cure mediche.

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Processi d’invecchiamento iniziano già nel feto, e ovviamente sono molto lenti; fenomeno del processo d’invecchiamento innato; ma aumentano rapidamente ed esponenzialmente con l'età, come illustrato in figura 2.

Le basi chimiche e biologiche che stanno al di sotto dei processi d’invecchiamento sono state avanzate nel 1954 da Harman che ha espresso la “Free radical theory of Aging” (FRTA); alla base della quale c’è la reazione dei radicali liberi attivi con costituenti cellulari, che normalmente vengono prodotti nell'organismo.

La FRTA, e contemporaneamente la scoperta del coinvolgimento dei radicali liberi in processi metabolici endogeni hanno gettato le basi per poter dire che questi fenomeni fossero alla base dell’invecchiamento e della morte di tutti gli essere viventi; con la premessa che un singolo processo biochimico potesse essere modificato da fattori genetici e ambientali.

La teoria ossidativa suggerisce che riducendo il livello di reattività dei radicali liberi attraverso la riduzione al minimo della presenza di rame, ferro e altri catalizzatori ossidanti; e/o la lunghezza degli stessi attraverso l’assunzione di antiossidanti come la vitamina E; si potrebbe abbassare la formazione di agenti che promuovono l’invecchiamento quindi ridurre il tasso d’invecchiamento e patogenesi. (Denham Harman, 1954)

La nutrizione ha svolto un ruolo significativo nell'aumentare l’aspettativa di vita, pur avendo poco o nessun effetto sulla durata massima della vita.

Interventi futuri nutrizionali mireranno ad aumentare l’aspettativa di vita, inoltre le diete dovrebbero essere più accurate e selezionate per minimizzare i danni provocati dai radicali liberi.

Tale teoria ossidativa è basata sulla naturale reattività chimica dei radicali liberi e della loro presenza in ogni sistema vivente.

FIGURE 2. The chance of dying in 1985 as a function of age for the total population of the United States

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Il processo d’invecchiamento è semplicemente la somma dei cambiamenti che si verificano a seguito di queste reazioni.

Nei mammiferi l’ossigeno è la principale fonte di danno da radicale.

Le reazioni dei radicali liberi avvengono continuamente nelle cellule e nei tessuti, sia attraversi reazioni enzimatiche sia attraverso reazioni non enzimatiche.

Le reazioni enzimatiche le ritroviamo nei processi della respirazione cellulare, nella fagocitosi, e nel sistema citocromo P450.

I radicali liberi si formano anche in reazioni non enzimatiche; ciò si verifica quando l’ossigeno reagisce con altri componenti organici come per esempio quello avviati dalle radiazioni ionizzanti.

Probabilmente le reazioni enzimatiche sono quelle maggiormente implicate nelle funzionalità e nel mantenimento dell’organismo mentre le reazioni non enzimatiche disperdono maggiormente radicali liberi che causano danno e perturbazioni casuali. Ovviamente nella cellula troviamo anche sistemi che cercano di rimediare ai danni provocati dai radicali liberi e altri sistemi definiti antiossidanti come la catalasi, che cercano di tamponare i radicali liberi in eccesso.

È stato visto che il danno ossidativo al DNA nucleare da parte di ossidanti endogeni gioca un ruolo cruciale all’interno della cellula.

Il DNA ossidato è costantemente riparato e le basi ossidate del DNA vengono espulse con le urine.

I ROS sono prodotti fisiologicamente dal metabolismo aerobico, e sono usati dall’organismo per molte funzioni come:

• Trasmissione del segnale;

• Attività fagocitari nei confronti di microorganismi nocivi; • Apoptosi;

• Stimoli antiossidanti; • Processi di riparazione.

Dall’altra parte i ROS sono anche coinvolti in numerosi processi patologici come: • Aterosclerosi;

• Cancro;

• Ischemia/riperfusione; • Infiammazione;

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• Cataratta;

• Patologie neurodegenerative come malattia di Alzheimer e di Parkinson.

La teoria ossidativa sottolinea inoltre il fatto che i danni provocati dai ROS sono considerati sottoprodotti del metabolismo aerobico.

Secondo la teoria di Harman la longevità è dipendente dei sistemi antiossidanti.

È solo grazie all’efficienza di questi ultimi, infatti, che possiamo combattere i livelli di RONS e abbassarli.

Gli studi fatti da Harman gettarono le basi per futuri studi sulla reattività, dannosità dei radicali liberi e su quanto questi incidessero nel processo d’invecchiamento e nei processi patogenetici.

Infatti altri studi hanno dimostrato che animali vecchi mostravano indici più elevati di stress ossidativo rispetto agli stessi animali giovani, inoltre trovarono maggiori concertazioni di ossidazione proteica, ossidazione lipidica, e forme ossidate di DNA.

I danni potevano essere associati ad un aumento dei livelli di produzione di radicali liberi in organismi più vecchi. (Jose Viῆa., et all., 2007)

Specie reattive dell’ossigeno sono continuamente prodotte nella catena respiratoria mitocondriale.

Approssimativamente circa l’1-2% di tutto l’ossigeno usato dal mitocondrio nei mammiferi, nello stato 4, non viene trasformato in acqua ma in ROS. (Miquel 1986).

Sotto condizioni fisiologiche questa produzione di RONS potrebbe essere più bassa, perché il 2% è la massima produzione di specie reattive dell’ossigeno da parte del mitocondrio sotto condizioni non fisiologiche.

Tale produzione aumenta in presenza dell’ADP come substrato, poiché si verifica il concomitante aumento della concentrazione di O2 e di donatori di elettroni come il NADH. I siti di maggior produzione di ROS a livello della catena respiratoria sono il complesso NADH-deidrogenasi, e il complesso ubiquinone-citocromo c-ossidoreduttasi.

Certi di questi eventi Miquel e collaboratori proposero nel 1980 la teoria mitocondriale dei radicali liberi nei processi d’invecchiamento.

Secondo questa teoria il mitocondrio e la sua catena respiratoria sono alla base dello stress ossidativo in quanto è nel mitocondrio che avviene il metabolismo ossidativo cellulare e quindi la maggior produzione di ROS.

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4.2.

LA TERORIA DELLA “SINDROME D’ADATTAMENTO GENERALE”

E LA TEORIA DELL’”ORMESI”

Come sappiamo l’esercizio fisico porta all’esposizione di tutto il corpo ad un aumento dello stress metabolico, termoregolatore, ipossico, ossidativo e meccanico.

Ed è questa esposizione a fattori stressanti più o meno prolungata che porta a compensare questi stimoli attraverso compensi fisiologici che aumentano la tolleranza all’esposizione di eventuali stressor simili successivi.

Il raggiungimento di questi adattamenti è alla base per sostenere che l’attività fisica regolare è un protettore naturale contro lo svilupparsi di varie patologie croniche.

Il processo attraverso cui un organismo si adatta ad uno specifico stressor e riesce a stabilire una condizione di omeostasi fu inizialmente chiamato “sindrome d’adattamento generale”. (H.Selye., 1936).

Tale teoria gettava le basi per quella che ad oggi viene definita “teoria dell’ormesi”.

La premessa di questa teoria è che l’esposizione a piccole e continue o intense e intermittenti dosi di stressor, promuovono favorevoli adattamenti biologici, i quali proteggono l’organismo contro maggiori dosi di stressor futuri.

L’ormesi diverge dalle risposte lineari tradizionali, dove aumentando l'esposizione a fattori di stress potenzialmente dannosi, risultano aumentati i livelli del danno.

La risposta ormetica è rappresentata da una curva a J (figura 3), che sta ad indicare che esposizioni a stressor molto piccole, o esposizioni elevate, sono dannose per l’organismo; mentre esposizioni moderate sono vantaggiose o addirittura necessarie.

In questa figura possiamo vedere in rosso la risposta lineare e in blu la risosta ormetica allo stress.

Quello che ci dice la “risposta lineare” è che l'esposizione di una cellula a un fattore di stress determina effetti dannosi nella funzione cellulare che sono proporzionali al livello di esposizione.

Figura 3. Hormetic and theoretical liner response to stress. Theoretically the exposure of a cell to a stressor results in detrimental effects in cellular function which are proportional to the level of exposure (liner response). Hormesis refers to a response where a low exposure to a stressor results in beneficial adaptions which improve the function of the cell, but once a threshold level of exposure is surpassed further exposure leads to cellular damage (hormetic response). Potentially no or very little exposure to stressors may also be a disadvantage to the homeostatic function of the cell.

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Invece la “risposta ormetica” suggerisce come l'ormesi faccia riferimento ad una risposta in cui una bassa esposizione a un fattore di stress determina adattamenti favorevoli che migliorano le funzioni della cellula, ma una volta superato un livello soglia di esposizione, l'ulteriore esposizione porta al danno cellulare.

Potenzialmente nessuna o pochissima esposizione a fattori di stress potrebbe anche essere uno svantaggio per la funzione omeostatica della cellula. (T.L. Merry., M. Ristow., 2016). Il principio dell'ormesi risale al XVI secolo, quando Paracelso dichiarò che “solo il dosaggio rende velenosa la sostanza”. (Paracelso., 1574).

Il termine ormesi è stato coniato in seguito all'osservazione che dosi molto diluite di sostanze velenose stimolano la crescita di piante o lieviti, e sembra applicarsi direttamente alla risposta dell'allenamento. (J.O. Holloszy., et all., 1984).

Per esempio l’esercizio di endurance esaurisce il glicogeno muscolare e aumenta la temperatura corporea, e in risposta all’allenamento, le scorte di glicogeno nel muscolo aumenteranno come migliorerà anche la termoregolazione. (J.A. Hawley, et all., 2014). Protrarre l’allenamento dopo che si sono raggiunte temperature particolarmente elevate può portare a colpi di calore, come anche una deplezione cronica di glicogeno muscolare dovuta ad un allenamento strenuo prolungato porta al sopraggiungere di fatica sia centrale che periferica associata alla sindrome da sovrallenamento. (C.H. Wyndham., 1973).

Pertanto, e in linea con il concetto di ormesi, l'aumento dell'attività fisica può aumentare gli adattamenti cellulari; tuttavia, una volta superato un livello soglia di stress, si avranno effetti negativi sulla funzione cellulare.

Negli anni recenti la teoria dell’ormesi è estata estesa nello specifico al mitocondrio, ecco perché si parlerà di mitormesi. (M. Ristow., et all., 2010).

Piccole perturbazioni nell’omeostati mitocondriale coordinano risposte nucleari e citosoliche, le quali lasciano la cellula meno suscettibile a cambiamenti omeostatici futuri. Tali risposte non sono limitate ad acuti meccanismi citoprotettivi ma possono indurre alterazioni metaboliche a lungo termine e resistenza allo stress.

Durante l’esercizio il metabolismo mitocondriale aumenta per soddisfare la domanda d’energia richiesta dall’esercizio stesso.

Se il mitocondrio è in grado di regolare autonomamente le loro risposte ai cambiamenti nell'omeostasi, oltre che a livello della cella, anche a livello sistemico, è ovvio che la mitormesi potrebbe essere un meccanismo centrale che regola l'adattamento mediato dall'esercizio fisico.

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L’esercizio fisico provoca stress mitocondriale e come risultato, il segnale viene mandato dal mitocondrio al nucleo al fine di indurre una risposta adattativa mitocondriale specifica, cellulare o sistemica.

Tale risposta sarà in grado di proteggere la cellula da stress futuri; risposta mitormetica. Il potenziale di segnale emesso dal mitocondrio durante o immediatamente dopo l’esercizio potrebbe includere, cambiamenti dei livelli di RONS, Ca2+, UPRmt, metaboliti

metabolici e mitochine (Figura 4).

Questi possono agire direttamente per avviare una risposta trascrizionale nel nucleo o attraverso intermedi di segnalazione come le protein chinasi che possono includere AMPK, mTOR, CaMK’s e MAPK’s e fattori di trascrizione sensibili all'esercizio fisico.

Figura 4. Potential mitohormetic response to exercise. Exercise induces mitochondrial stress and as a result signals are sent from the mitochondrion to the nucleus to induce mitochondrial specific, cell- and potentially system-wide adaptive responses which protect the cell against subsequent stress (mitohormesis). Potential signals emitted by mitochondria during or immediately following exercise may include, but are not limited to, changes in ROS, Ca2þ, UPRmt, metabolic metabolites and mitokine levels. These may act directly

to initiate a transcriptional response in the nucleus or via signaling intermediates such as protein kinases (not depicted in this figure but may include AMPK, mTOR, CaMK’s and MAPK’s) and exercise-sensitive transcription factors. AMPK, 5′ adenosine monophosphate-activated protein kinase; CaMK, Ca2þ/calmodulin-dependent; HIF-1, hypoxia inducible factor; MAPK,

mitogen-activated protein kinases; mTOR, mechanistic target of rapamycin; mtTFA, mitochondrial transcription factor A; NF-κB, nuclear factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cells; PGC1α, peroxisome proliferator-activated receptor gamma coactivator 1α; ROS, reactive oxygen species.

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4.3.

BIOGENESI MITOCONDRIALE ED ESERICIZIO FISICO

La biogenesi mitocondriale richiede la coordinazione di eventi cellulari multipli, tra i quali: • trascrizione di due genomi;

• sintesi di lipidi e proteine;

• assemblaggio stechiometrico di complessi proteici di subunità multiple in una catena respiratoria funzionale.

Eventuali compromissioni in qualsiasi fase possono portare ad un trasporto difettoso degli elettroni, a una mancata produzione di ATP e all'incapacità di mantenere l'omeostasi energetica. (Hood et all, 2006).

Già Holloszy nel 1967, scoprì che i muscoli di un topo allenato su un treadmill, mostravano livelli di proteine mitocondriali più alti rispetto ad animali non allenati.

Gli studi svolti da Scarpulla nel 2006, portano a dire che ci sono diversi fattori di trascrizione che regolano l'espressione dei geni nucleari che codificano per le proteine mitocondriali. Tra questi ci sono i fattori respiratori nucleari 1 e 2 (NRF-1; NRF-2) che si legano ai promotori e attivano la trascrizione dei geni che codificano per le proteine della catena respiratoria mitocondriale.

NRF-1 attiva anche l'espressione del gene nucleare che codifica per il fattore di trascrizione mitocondriale A (TFAM), che si sposta verso i mitocondri e regola la trascrizione del DNA mitocondriale.

Poiché non tutti i promotori dei geni che trascrivono le proteine mitocondriali hanno siti di legame NRF-1, altri fattori di trascrizione sono coinvolti nella biogenesi mitocondriale, inclusi i recettori correlati al recettore degli estrogeni (ERR) α e δ, e il recettore attivato dal perossisoma coattivatore (PPARs), che regolano l'espressione degli enzimi ossidativi degli acidi grassi mitocondriali.

Lin et al nel 2005 hanno scoperto la PGC-1α; un coattivatore inducibile che regola l'espressione delle proteine mitocondriali codificate nei genomi nucleare e mitocondriale. Questo è stato un altro importante passo avanti nel capire gli eventi cellulari alla base della biogenesi mitocondriale.

Nel muscolo scheletrico, PGC-1α è visto come un regolatore chiave della biogenesi mitocondriale che risponde all'input neuromuscolare e all'attività contrattile.

È interessante notare come tale regolatore sia a sua volta indotto o comunque sia in stretta relazione con la quantità di RONS prodotti nel corso della sessione di allenamento.

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Una singola seduta di esercizio di endurance induce un rapido e prolungato aumento del gene e della proteina PGC-1α nel muscolo scheletrico (Mathai et al., 2008), mentre la sovraespressione muscolo-specifica di questa proteina determina un notevole aumento di mitocondri funzionali (Lin et al., 2002), miglioramenti nel VO2max di tutto il corpo, un passaggio dai carboidrati ai grassi come substrato energetico durante l'esercizio submassimale e migliora la prestazione di endurance. (Calvo et al., 2008).

Alcuni studi rivelano che l’espressione di PGC-1α vicini a livelli fisiologici o quasi, porta all’attivazione di programmi genetici, caratteristici delle fibre muscolari a contrazione lenta (Lin et al., 2002), in topi modificati geneticamente e resistenti alla fatica.

Le osservazioni attuali pongono PGC-1α come un fattore principale nel regolare molti degli adattamenti ossidativi all'esercizio.

Come si vede dalla figura 5 AMPK e p38 MAPK sono due importanti segnali a cascata che convergono sulla regolazione di PGC-1α e di conseguenza sulla regolazione della biogenesi mitocondriale.

AMPK induce la biogenesi mitocondriale, in parte, direttamente con la fosforilazione e l'attivazione di PGC-1α (Jaèger et al., 2007), in parte, attraverso la fosforilazione del repressore trascrizionale HDAC5, che riduce l'inibizione del fattore di potenziamento del fattore di trascrizione miocita 2 (MEF2), un regolatore noto di PGC-1α (McGee and Hargreaves, 2010).

Figure 5. Schematic of the Major Signaling Pathways Involved in the Control of Skeletal Muscle Hypertrophy and Mitochondrial Biogenesis Multiple primary signals, including, but not limited to, mechanical stretch, calcium, pH, redox state, hypoxia, and muscle energy status, are altered with voluntary dynamic exercise. Following initiation of one or more of these pri-mary signals, additional kinases/phosphatases are activated to mediate a specific exercise-induced signal. In mammalian cells, numerous signaling cascades exist. These pathways are regulated at multiple sites, with sub-stantial crosstalk between pathways producing a highly sensitive, complex transduction network.

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L’attivazione di MEF2 è associata ad un aumento della capacità ossidativa dei muscoli e alla resistenza alla corsa (Potthoff et al., 2007).

P38 MAPK fosforila e attiva PGC-1α (Puigserver et al., 2001) e aumenta anche l'espressione di PGC-1α fosforilando il fattore di trascrizione ATF-2, che a sua volta aumenta la quantità di proteine PGC-1α legandosi e attivando il sito CREB sul promotore PGC-1α (Akimoto et al., 2005).

Sta emergendo che la proteina p53, presumibilmenteattivata da AMPK e / o p38 MAPK, sia un altro fattore di trascrizione coinvolto nella biogenesi mitocondriale indotta dall'esercizio nel muscolo scheletrico.

È stato dimostrato che i topi, ai quali veniva silenziata la p53 (knock-out) mostravano una ridotta capacità di resistenza all’esercizio, rispetto ai topi (wild-type), inoltre mostravano un ridotto contenuto mitocondriale subsarcolemmale e intermiofibrillare e una ridotta espressione di PGC-1α.

P53 potrebbe regolare la biogenesi mitocondriale indotta dall'esercizio attraverso le interazioni con la TFAM nei mitocondri, dove agisce come coordinatore della regolazione del genoma mitocondriale (Bartlett et al., 2014).

L'allenamento di forza aumenta la dimensione delle fibre muscolari (ipertrofia) e migliora la tensione muscolare.

Questi adattamenti sono raggiunti dall'equilibrio in positivo delle proteine muscolari e dall'aggiunta di nuove cellule alle fibre preesistenti.

L'equilibrio in positivo delle proteine muscolari si verifica quando la velocità della nuova sintesi proteica muscolare supera quella di rottura.

Sebbene l'esercizio di resistenza e l'iper-aminoacidemia postprandiale stimolino entrambe la sintesi delle proteine muscolari, è attraverso gli effetti sinergici di questi stimoli che si verifica un guadagno netto nella proteina muscolare e pertanto si verifica l'ipertrofia delle fibre (Phillips 2014).

L'attivazione di mTOR sembra essere importante per l'aumento nella sintesi delle proteine muscolari indotto dalla contrazione (Drummond et al., 2009).

Una volta attivato, mTOR esiste come due distinti complessi, mTOR complex 1 (TORC1) e mTOR complex 2 (TORC2).

TORC1 si lega alla proteina RAPTOR, mentre TORC2 si lega alla proteina RICTOR.

Questi due complessi proteici rilevano segnali diversi e producono una moltitudine di risposte, tra cui la traduzione dell'mRNA, la biogenesi ribosomale e il metabolismo dei nutrienti (Coffey e Hawley 2007, Egerman and Glass, 2014).

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L’insulin Growth Factor-1 (IGF-1) è stato a lungo considerato un regolatore chiave di mTOR. Il segnale attivato dall'IGF-1 regola positivamente la massa muscolare scheletrica tramite induzione della sintesi proteica a valle della protein chinasi B/Akt e della via mTOR (Bodine et al., 2001).

L'IGF-1 trasmette segnali lungo la via PI3K/Akt (Figura 1), determinando l'attivazione parallela della via mTOR, producendo una moltitudine di risposte, tra cui la traduzione dell'mRNA, la biogenesi ribosomale e il metabolismo dei nutrienti (Coffey e Hawley 2007). Anche l'attivazione meccano-sensibile di mTOR dell’IGF-1 contribuisce alla sintesi delle proteine muscolari (Philp et al., 2011).

Gli effettori più definiti della segnalazione mTOR sono proteine implicate nel controllo traslazionale: proteina ribosomiale S6 chinase (p70S6K) e proteina 4E-binding del fattore di avvio eucariotico (4E-BP1).

Infatti, dopo l'attivazione da parte di Akt, TORC1 controlla la sintesi proteica mediante fosforilazione di p70S6 chinasi 1 e 4E-BP1, e il complesso multiproteico TORC2 contribuisce all'attivazione prolungata di Akt.

La fosforilazione di p70S6K e la successiva attivazione della proteina ribosomale S6 migliora la trascrizione degli mRNA, codificando i fattori di allungamento, le proteine ribosomali e aumentando così la capacità traslazionale.

P70S6K svolge un ruolo fondamentale nell'ipertrofia del muscolo scheletrico (Liu et al., 2002).

Una sessione singola di esercizio di resistenza alla forza negli esseri umani induce un aumento della fosforilazione di p70S6K, che è correlata con l'aumento cronico della massa muscolare e della forza, osservati dopo l'allenamento di resistenza alla forza.

Pertanto, le risposte acute all'esercizio fisico, compresi i cambiamenti dinamici nel turnover delle proteine muscolari e l'attivazione precoce delle proteine di segnalazione, possono agire come sostituti di cambiamenti fenotipici a lungo termine della massa e della forza muscolare.

Gli aumenti della trascrizione proteica muscolare indotti dall’esercizio fisico di resistenza alla forza sono attribuiti alla regolazione della trascrizione proteica da parte di mTOR e dalle proteine chinasi serina/treonina.

Due substrati a valle, la proteina ribosomale s6 (rps6) p70 chinasi (p70S6K) e il fattore di iniziazione eucariotica 4E (eIF4E) -proteina legante 1 (4E-BP1) regolano un numero di segnali da mTORC1 (Figura 6).

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P70S6K presenta diversi substrati che concorrono a vari passaggi della trasduzione proteica ed è stato recentemente implicato nella regolazione trascrizionale della biogenesi ribosomiale; al fine di aumentare la capacità di trasduzione proteica; mentre si ritiene che la fosforilazione 4E-BP1 conduca prevalentemente alla trasduzione di mRNA di 5'-tratto di pirimidina (5'-TOP) che codificano per fattori di trasduzione e delle proteine ribosomali. (C. Chauvin., et all., 2014).

L'attività di p70S6K si riduce con l'allenamento e si attiva e disattiva più rapidamente nel muscolo allenato ad una attività fisica di resistenza alla forza (J.E. Tang., et all., 2008); ciò indica una maggiore efficienza del ripristino dell'omeostasi. (S.B. Wilkinson., et all., 2008). Le proteine chinasi a monte che stimolano l'aumento iniziale dell'attività di mTOR rimangono in gran parte sconosciute, invece il lisosoma; un organello digestivo che integra segnali metabolici per mantenere l'equilibrio energetico cellulare; sia stato identificato come un sito chiave che stimola le risposte traslazionali mTOR a stimoli meccanici.

Al lisosoma, mTOR viene attivato direttamente da Rheb, una piccola GTPasi la cui affinità per mTOR è controllata dal suo stato di legame nucleotidico e regolata negativamente dalla tuberina (o TSC2).

(A. Garami., et all., 2003); (K. Inoki., et all., 2003).

Recentemente, Jacobs et al. hanno dimostrato che le contrazioni eccentriche nei topi hanno indotto la fosforilazione del TSC2, innescando la sua dissociazione lisosomiale per promuovere le interazioni mTOR-Rheb. (B.L. Jacobs., et all., 2013).

Un secondo attivatore diretto di mTOR è l'acido fosfatidico (PA), un glicerofosfolipido che compete con la rapamicina per legarsi a mTOR. (Y. Fang., et all., 2001).

L'attivazione meccanicamente indotta di mTOR aumenta le concentrazioni intracellulari di PA nel muscolo di modelli di roditori (T.A. Hornberger., et all., 2006); e si pensa che sia principalmente il risultato di una maggiore sintesi di PA dal diacilglicerolo (DAG) da parte delle chinasi ζ DAG (DGKζ). (J.S. You., et all., 2014).

Si è visto che aumentando la durata dello stimolo meccanico è aumentata la quantità di DGKζ associata alla membrana.

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La biogenesi mitocondriale è alla base della capacità ossidativa del muscolo scheletrico ed è quindi considerata come l’adattamento intracellulare caratteristico dell’esercizio di endurance.

In particolare, l’esercizio di endurance perturba l'ambiente intracellulare accelerando la bioenergetica e le reazioni redox; innalzando le concentrazioni di AMP/ADP, fosfato inorganico (Pi) e NADþ; innescando la produzione di radicali liberi e inducendo oscillazioni di calcio (Ca2+) al fine di sostenere la contrazione muscolare prolungata.

Quindi, quando si ripete questo tipo di allenamento per giorni, settimane e mesi, le cellule muscolari rispondono a questi stimoli aumentando il numero di mitocondri.

(PPARγ) -1α (PGC-1α) è considerato il "regolatore principale" della biogenesi mitocondriale. PGC-1α4, una trascrizione dal gene PGC-1α, è abbondantemente espressa nel muscolo scheletrico e sembra giocare un ruolo nella risposta adattativa all'esercizio fisico, in particolare nel setting di allenamento di endurance (Ruas et al., 2012).

Fig. 6. Several signals propagated by resistance- and endurance-based exercise contraction converge on the lysosome. High-force resistance exercise (REX) contractions perturb transmembrane structures leading to the accumulation of membrane diacylglycerol (DAG), increased DAG kinase ζ (DGKζ) isoform activity and phosphatidic acid (PA) synthesis that, in turn, binds directly to mTORC1 in the same region as the inhibitory rapamycin-binding domain. In addition, REX triggers tuberin (or TSC2) removal from the lysosome enabling mTORC1 to interact with Ras homolog enriched in brain (Rheb), a small GTPase that is negatively regulated by TSC2. Sarcomeric adhesion-associated signaling molecules, such as focal adhesion kinase (FAK), may stimulate mTORC1 activity by similar mechanisms of TSC2-lysosomal abrogation. The collective outcome is an increase in cap-dependent mRNA translation and increases in cell size that is mitigated primarily by mTOR kinase substrates, p70 ribosomal protein s6 kinase (p70S6K) and eIF4E binding protein 1 (4E-BP1). The endurance exercise (END)-evoked disruptions to cell homeostasis activates several protein kinases that seemingly “sense” the degree of stress imposed. For example, END triggers calcium (Ca2þ) oscillations to sustain locomotion (Ca2þ-dependent protein kinase II; CAMKII), causes glycogen and ATP depletion (AMP-dependent kinase; AMPK), elevates oxidative stress (p38 mitogen-activated kinase; p38 MAPK) and alters the reduction/oxidation state (sirtuin 1; SIRT1). These signals converge to post-translationally modify PPARγ-coactivator 1α (PGC-1α) which, in the compensatory defense of homeostasis, promotes an oxidative phenotype by coactivating numerous nuclear- and mitochondrial-encoded genes. Black arrows denote activation; straight black lines denote inhibition and dashed red arrows denotes translocation. Question marks refers to findings that are either equivocal or have not been confirmed in vivo skeletal muscle.

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Questa proteina non sembra regolare lo stesso insieme di geni ossidativi indotti da PGC-1α, ma, attiva l'espressione di IGF-1 e contemporaneamente sopprime la via della miostatina (un inibitore della differenziazione e della crescita delle cellule muscolari). Studi hanno dimostrato che dopo l'allenamento di endurance, di resistenza alla forza o una combinazione dei due, si sono registrati aumenti dei livelli di PGC-1α4, nel gruppo di lavoro allenato con programmi di resistenza alla forza e combinati; non si sono verificati cambiamenti nel gruppo allenato con programmi di solo endurance (Ruas et al., 2012). Nonostante i risultati trovati la proposta che l’aumento dell'ipertrofia dei muscoli scheletrici in seguito esercitazioni di resistenza alla forza sia mediato da PGC-1α4 rimane una questione di dibattito.

I muscoli scheletrici dei individui allenati con programmi di endurance e di forza rappresentano diversi stati adattivi (Figura 5).

Pertanto, non sorprende che l'allenamento simultaneo di forza ed endurance si traduca in “adattamenti compromessi” rispetto al singolo programma di lavoro o di endurance o di forza (Hickson 1980); tale fenomeno è noto come "l'effetto di interferenza".

Queste osservazioni fatte più di 30 anni fa (Hickson 1980) hanno sollevato la possibilità che i meccanismi d’adattamento sia genetici che molecolari indotti dall'allenamento di forza e di resistenza fossero distinti tra loro, e che ogni modalità d’allenamento attivi e/o reprimi specifici sottoinsiemi di geni e percorsi di segnalazione cellulare.

Le prime osservazione per l'attivazione selettiva e/o la downregulation delle vie di segnalazione AMPK-PGC-1a o Akt-mTOR sono state riportate nel muscolo scheletrico dei roditori, attraverso la stimolazione elettrica in vitro, in risposta o a basse frequenze al fine di simulare l'allenamento di endurance; o ad alta frequenza al fine di simulare l'allenamento di forza (Atherton et al., 2005).

Tuttavia, in uomini ben allenati, esistono poche prove per un "master switch" di AMPK-Akt. Si è visto che in atleti di endurance o di forza, che hanno eseguito una sessione di allenamento nella loro disciplina e poi hanno eseguito allenamenti in discipline diverse dalla loro, vi era un alto grado di “plasticità di risposta”, vi è quindi un continuum adattativo endurance-ipertrofico (Coffey et al., 2006).

PGC-1α coattiva i fattori di trascrizione che regolano i geni nucleari e mitocondriali codificanti per proteine coinvolte nella funzione della catena respiratoria, ossidazione del substrato e angiogenesi, quest'ultima importante per l'apporto di nutrienti e O2 ai muscoli attivi (Fig. 6).

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Infatti, nei modelli di roditori in cui PGC-1α è stato sovraespresso nel muscolo scheletrico, ci sono miglioramenti nel VO2max e nell’allenamento alla resistenza.

Livelli elevati di mRNA e di PGC-1α sono stati osservati in seguito all'esercizio di endurance in soggetti allenati, tra cui atleti d’elite. (S.C. Lane., et all., 2015).

In questi soggetti i livelli più alti di mRNA sono stati osservati nelle prime 24 ore dopo l’esercizio.

Inoltre, PGC-1α si traslocava nel nucleo del muscolo scheletrico in seguito si ad un esercizio di endurance moderato che ad alta intensità. (J.P. Little., et all., 2010); (J.P. Little., et all., 2011).

PGC-1α può anche localizzarsi nei mitocondri dopo l’esercizio di endurance dove forma un complesso trascrizionale col fattore di trascrizione mitocondriale A (Tfam) nel D-loop del mtDNA; una regione associata alla capacità respiratoria, alla replicazione e trascrizione del mtDNA. (A. Safdar., et all., 2011).

Un'altra proteina, la p53, si trasferisce nei mitocondri in seguito ad un allenamento di endurance; questo è stato osservato nei roditori per formare il complesso trascrizionale legato al Tfam nel mtDNA D-loop. (A. Saleem., et all., 2013).

Poiché PGC-1α coattiva la p53 nucleare per migliorare la respirazione mitocondriale in risposta allo stress metabolico, è possibile che svolga una funzione simile verso p53 mitocondriale dopo l’esercizio di endurance; tuttavia questo deve essere confermato sperimentalmente. (N. Sen., et all., 2011).

Tuttavia, questi ultimi punti sono importanti, poiché il mtDNA codifica per 13 proteine della catena respiratoria, le cui trascrizioni e le concentrazioni di mtDNA sono risultate più elevate negli atleti allenati in resistenza rispetto ai gruppi controllo non allenati. (A. Puntschart., et all., 1995).

Diversi studi suggeriscono che ROS e RNS possono modulare gli aumenti mediati dalla PGC-1α nella biogenesi mitocondriale alterando lo stato di fosforilazione di diversi attivatori chiave a monte di PGC-1α tra cui MAPK, AMPK e p38. (G.D. Wadley., et all., 2013).

I ROS generati dall'esercizio di endurance sono tipicamente mantenuti entro i limiti fisiologici grazie l'attività di diversi enzimi antiossidanti. (S.K. Powers., et all., 2008).

Si ritiene che questi livelli fisiologici di RONS facciano parte del normale ambiente cellulare che regola la biogenesi mitocondriale dei muscoli scheletrici allenati all’esercizio di endurance. (C. Kang., et all., 2009).

Tuttavia, l'aumento dei RONS oltre i normali livelli fisiologici può compromettere la funzione muscolare e causare danni ossidativi. (T.L. Merry, M. Ristow, 2015).

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Il tipo e l'intensità dell'esercizio di resistenza possono anche influenzare l'espressione di PGC-1α.

Egan et al. hanno riportato aumenti maggiori del PGC-1α mRNA nel muscolo scheletrico di soggetti non allenati sottoposti a protocolli di lavoro ad alta intensità (80% VO2max) di breve o lunga durata e a bassa intensità (40% VO2max). (Egan, B., et all., 2010).

Mentre gli aumenti post-esercizio tipici dell'mRNA PGC-1α sono attenuati con l'allenamento, l'mtDNA, l'attività enzimatica mitocondriale e le proteine implicate nel rimodellamento mitocondriale aumentano.

Pertanto, nel soggetto non allenato, l’esercizio di endurance ad alta intensità porta perturbazioni importanti nell’omeostasi cellulare.

Tali perturbazioni saranno ridotte e mantenute continuando le sessioni dell’allenamento di endurance, coincidenti con un aumento delle proteine mitocondriali e una migliore capacità respiratoria. (Bartlett J.D. te all., 2012).

L'autofagia è il ricambio costitutivo degli organelli cellulari, delle macromolecole proteiche e degli aggregati poliubiquitinati.

L'autofagia è richiesta per l'omeostasi dei muscoli scheletrici basali con vari disturbi muscolari umani caratterizzati da risposte autofagiche difettose. (Fig.7) (Malicdan M.C., et all., 2008).

Fig. 7. Endurance exercise causes several metabolic perturbations to cellular homeostasis (noted in the schematic), all of which may stimulate an increased, compensatory autophagic flux. Autophagy commences with the selective or non-selective envelopment of a portion of cytoplasm, components of which may include (but are not limited to) lipid droplets (lipophagy), mitochondria (mitophagy) or bulk protein aggregates (macroautophagy). These cellular components are ultimately sequestered by double-membrane vesicles termed autophagosomes in a process carefully orchestrated by several autophagy-related gene (Atg) proteins. Upon autophagosomes fusing with the lysosomes (forming the autolysosome), the autophagic “cargo” is degraded by lysosomal hydrolases and returned to the cytoplasm as their reduced constituents. For example, autophagic degradation of lipid droplets and subsequent partitioning of free fatty acids (FFAs) to the mitochondria may support lipolysis during prolonged END, thus relieving glycogenolysis and consequent lactate accumulation. In addition, removal of long-lived and/or defective mitochondria by mitophagy (e.g., as provoked by their contraction-induced ROS emissions) precedes mitochondrial biogenesis, whereby breakdown of these mitochondria and presumably other intracellular substrates would provide the necessary energy for ultimate mitochondrial protein synthesis. These undulations in breakdown and synthesis are appropriately controlled by an autoregulatory loop of PGC-1α/TFEB signaling, whereby each molecule can transcriptionally activate the other.

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Dato che l'esercizio rappresenta una sfida importante per l'omeostasi cellulare, non sorprende che l'autofagia sia implicata come un processo di adattamento-risposta potenzialmente importante. (Vainshtein A., et all., 2014).

Studi hanno evidenziato la sensibilità dell'autofagia all'esercizio fisico e suggeriscono che l’esercizio di resistenza alla forza, al contrario dell’esercizio di endurance è il più potente segnale che stimola l’autofagia. (Smiles W.J., et all., 2014).

In effetti, l'autofagia sembra essere coinvolta nella protezione del muscolo scheletrico contro il danno muscolare indotto meccanicamente. (Ulbricht A., et all., 2015).

Nondimeno, una recente indagine ha dimostrato la produzione di RONS e l'ambiente cellulare ipossico provocato dall'esercizio di resistenza nei topi era uno stimolo efficace per attivare l'autofagia. (Qiao S., et all., 2015).

Questi risultati evidenziano il ruolo importante che gli stress fisiologici; vale a dire i RONS; provocati da un intenso esercizio fisico stimolano l'attività di percorsi costitutivi, come la mitofagia, con modulazione e alterazione dell’omeostasi e promuovono quindi l’adattamento allo stress.

(Sin J., et all., 2015).

Poiché la mitofagia precede la biogenesi mitocondriale, è ipotizzabile che prima del verificarsi di un aumento mitocondriale indotto dall’esercizio fisico di endurance; durante il quale l'ambiente cellulare sarebbe altrimenti scarsamente attrezzato per far fronte allo stress imposto; ci sarebbe un loro turnover attraverso il fenomeno della mitofagia.

Inoltre, considerando che l'autofagia "ricicla" i substrati degradati, l'energia rilasciata dalla mitofagia indotta dai ROS potrebbe essere sfruttata per fornire substrati necessari per la successiva sintesi proteica. (Donny M., et all., 2016).

L'allenamento di resistenza alla forza e resistenza inducono una miriade di adattamenti anabolici e metabolici, che conferiscono effetti benefici sulla salute muscolo-scheletrica e cardiorespiratoria, rispettivamente. (Bouchard C., et all., 2011).

Tuttavia, l'entità di tali risposte indotte dall'allenamento è variabile e imprevedibile tra gli individui.

Tale variabilità è data dalle caratteristiche fisiche come altezza e peso; e personali come età e genere; di ogni individuo; oltre ai livelli di prestazione fisica calcolati sulla base del VO2max e della forza massima.

Pertanto è difficile stabilire che una data risposta ad un dato esercizio abbia il solito risultato su tutti gli individui; ma i processi biochimici che stanno alla base dell’adattamento valgono per qualsiasi stimolo-risposta. (Timmons J.A., et all., 2011).

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Le risposte di adattamento all'esercizio fisico sono estremamente complesse coinvolgendo l'interazione di diversi tessuti/organi con un alto grado di "cross-talk" per coordinare la risposta del corpo all'esercizio. (Goreham C., et all., 1999).

Le basi molecolari degli adattamenti dei muscoli scheletrici all'esercizio come l’aumento dell’ipertrofia, dell’angiogenesi, dei mitocondri, del metabolismo; sono mediati da eventi di segnalazione; processi pre- e post-trascrizionali, regolazione della trasduzione e, infine, maggiore abbondanza e/o massima attività di proteine energetiche. (Egan and Zierath, 2013; Hawley et al., 2014).

Le attività di endurance e di resistenza alla forza, rappresentano gli estremi delle varietà delle tipologie dell’esercizio.

Esistono stimoli multipli e specifici associati a queste modalità di esercizio, con varie protein-chinasi che rispondono a questi stimoli diversi. (Brendan e., et all., 2016).

Questi eventi si verificano in modo temporale, in modo tale che l'attivazione della chinasi e la regolazione pre-trascrizionale si verificano durante l'esercizio e il recupero, mentre le alterazioni trascrizionali e proteiche rappresentano cambiamenti stabili che alla fine portano a miglioramenti funzionali nella capacità fisiche e nei diversi fenotipi atletici. (Egan and Zierath, 2013)

Una rete di fattori di trascrizione e proteine coregolatrici modificano il fenotipo del muscolo scheletrico in risposta all'esercizio fisico.

Il coactivator trascrizionale PGC-1α agisce come un regolatore "principale" della biogenesi mitocondriale attraverso il reclutamento e la coregolazione di più fattori di trascrizione che controllano l'espressione genica del muscolo scheletrico, inclusi NRF-1, NRF-2, ERRα e Tfam.

Le chinasi a monte come per esempio AMPK, p38 MAPK e le deacetilasi come per esempio SIRT1; che controllano questi regolatori trascrizionali sono attivate dall'esercizio acuto, in coincidenza con alterazioni della stabilità proteica, dell’attività funzionale e della localizzazione subcellulare.

Al contrario, l'ipertrofia muscolare è in gran parte determinata da aumenti indotti dall'esercizio della sintesi, conseguente all'attivazione di mTOR, proteina ribosomale S6K (p70S6K) e diversi bersagli a valle. (Smiles et al., 2016)

La regolazione meccano-sensoriale della sintesi proteica coinvolge l'acido fosfatidico (PA) e l'attivazione delle proteine dell'adesione chinasi focale (FAK), che attivano entrambi la sintesi proteica attraverso meccanismi mTOR-dipendenti e indipendenti.

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