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L'azione dell'Unione europea per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea Magistrale a Ciclo Unico in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

L’AZIONE DELL’UNIONE EUROPEA PER LA

RIDUZIONE DELLE EMISSIONI DI GAS AD

EFFETTO SERRA

Candidato Relatore

Rachele Stranieri Simone Marinai

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3 Indice

INTRODUZIONE………6

Capitolo I ………....12

CAMBIAMENTI CLIMATICI E GOVERNANCE AMBIENTALE………..………12

1. Gli effetti dei cambiamenti climatici……….….12

2. I negoziati internazionali sul clima: da Rio fino a Parigi………...15

2.1. La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC)………..15

2.2. Il Protocollo di Kyoto………18

2.3. L’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici………..25

3. La leadership ambientale nella politica mondiale: dagli Stati Uniti all’Unione Europea……….30

3.1. Il progressivo deterioramento della leadership ambientale statunitense………….………..30

3.2. Le ambizioni di una leadership ambientale europea………...….34

4. L’evoluzione della politica ambientale europea……….36

4.1. La questione ambientale nei Trattati Europei………..36

4.2. Le politiche climatiche europee………...44

Capitolo II………...………55

IL SISTEMA EUROPEO DELLO SCAMBIO DI QUOTE DI EMISSIONE………...55

1. Le origini del sistema europeo dello scambio di quote di emissione………..55

1.1 Il passaggio dai sistemi di regolamentazione diretta ai meccanismi di mercato………...55

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1.2 L’esperienza statunitense dei sistemi di emission trading……..57

2. The European Union Emission Trading Scheme……….….62 2.1 Il sistema europeo dello scambio di quote di emissione introdotto

con la Direttiva Emission Trading 2003/87/CE………62 2.2 La Direttiva 2004/101/CE e il riconoscimento dei crediti derivanti da meccanismi flessibili di mercato del Protocollo di Kyoto…………72

2.3 Inclusione del settore del trasporto aereo nel sistema europeo di

scambio di quote di emissione………..81

2.4 Analisi dell’evoluzione normativa e dei risultati delle prime due

fasi del sistema europeo di scambio di quote di emissioni………89

2.5 La nuova Direttiva 2009/29/CE e le modifiche apportate al

sistema di scambio europeo. Analisi sull’andamento della terza fase...96

2.6 Gli interventi volti a stabilizzare il mercato e revisione della

quarta fase dell’ETS dell’UE………...…………108

Capitolo III………117

I SETTORI NON COPERTI DAL SISTEMA EUROPEO DI SCAMBIO DI QUOTE DI EMISSIONE………117

1. La Decisione sulla condivisione degli sforzi nell’ambito della riduzione dei gas a effetto serra entro il 2020………117 2. La Proposta di Regolamento sulla condivisione degli sforzi tra i vari Stati membri che si pone nell’ambito dei nuovi obiettivi di riduzione per il 2030………126 3. L’evoluzione della normativa dell'Unione Europea volta ad integrare il settore dell’uso del suolo e della silvicoltura nel quadro della politica climatica comunitaria……….136 4. La proposta di Regolamento relativa all'inclusione delle emissioni e degli assorbimenti di gas-serra, risultanti dall'uso del suolo, dal cambiamento di uso del suolo e dalla silvicoltura………..144

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CONCLUSIONI……...……….157

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INTRODUZIONE

Il fenomeno dei cambiamenti climatici ha assunto nel corso degli ultimi decenni una primaria rilevanza, sia nella politica internazionale che europea, considerato che ha prodotto effetti già visibili sia a livello globale che locale.

Come risulta dal Quinto Rapporto di Valutazione (AR5) dell’

International Panel on Climate Change (IPCC), volto a garantire un

imprescindibile approccio scientifico al fenomeno, “l'influenza umana sul sistema climatico è chiara”, invero, le emissioni di gas ad effetto serra di origine antropica sono in continuo aumento dall'era preindustriale, guidate in gran parte dalla crescita economica e demografica. Questo ha portato ad una concentrazione nell'atmosfera di quantità di anidride carbonica, metano e protossido di azoto senza precedenti, ed è estremamente probabile che siano state la causa principale del riscaldamento del sistema climatico, osservato dalla metà del 20 ° secolo.

Il periodo compreso tra il 1983 e il 2012 è stato, probabilmente, il più caldo trentennio degli ultimi 1400 anni nell'emisfero settentrionale ed è atteso un aumento della temperatura media globale del pianeta nel 2100, in assenza di sforzi addizionali, compreso tra 3,7 °C e 4,8 °C rispetto ai livelli preindustriali, cui gli oceani contribuiscono con un riscaldamento di almeno 1.5°C.

Il cambiamento climatico genera un impatto sugli ecosistemi che si manifesta nello scioglimento di gran parte dei ghiacciai continentali, in un aumento critico del livello del mare, nell’intensificarsi e in una maggiore frequenza di eventi estremi legati al clima, come le ondate di calore, le forti precipitazioni e la siccità. Inoltre, determina impatti di vasta portata anche nei settori economici e sulla salute umana.

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molto costoso, in termini di salute, di proprietà e infrastrutture danneggiate e alcuni effetti potrebbero risultare irreversibili.

Quindi, dagli studi scientifici dell’IPCC si ricava l'inevitabile conclusione che se vogliamo limitare il futuro cambiamento climatico ed evitare conseguenze catastrofiche, potenzialmente irreversibili, dobbiamo procedere a riduzioni significative e immediate delle emissioni globali di gas a effetto serra, al fine di limitare l’aumento della temperatura media globale a non più di 2°C rispetto all’epoca preindustriale.

Nell’ambito di questo lavoro verranno analizzati gli strumenti giuridici elaborati a livello internazionale ed europeo al fine di contrastare il cambiamento climatico, prestando particolare attenzione all’azione dell’Unione europea volta a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra sul suo territorio.

Il primo strumento internazionale che si occupa, nello specifico, dei cambiati climatici è la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), adottata a Rio nel 1992, che si limita a chiedere alle Parti Annex I di adottare politiche e provvedimenti idonei a mitigare le emissioni di gas ad effetto serra. Dal 1995 si sono svolte, annualmente, le Conferenze delle Parti dell’UNFCCC, incontri di negoziazione sugli impegni da assumere al fine di contrastare i cambiamenti del clima. Al termine della COP-3, nel 1997, viene adottato il Protocollo di Kyoto, con il quale vengono previsti per la prima volta obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni di GHG. Si caratterizza, inoltre, per la regolamentazione di meccanismi di flessibilità finalizzati a permettere di ridurre le emissioni in altri Paesi con un rilevante abbattimento dei costi. Per l’entrata in vigore di tale Protocollo si è dovuto attendere il 2005 a causa dell’opposizione degli Stati Uniti, tra i principali paesi produttori di gas ad effetto serra. Dopo anni di lunghi e complessi negoziati, nel 2015 a Parigi, al termine

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della COP-21, viene adottato quello che viene presentato come un accordo storico, l’Accordo di Parigi, che dispone ambiziosi obiettivi di riduzione che permettano di mantenere l’aumento della temperatura media terrestre entro i 2°C, in conformità a quanto consigliato dall’AR5, e auspica un incremento degli sforzi per limitare l’aumento di temperatura a 1,5° C rispetto ai livelli preindustriali. Questo Accordo è entrato in vigore il 16 novembre 2016, nonostante il Presidente Trump abbia preannunciato il ritiro degli USA.

Nell’ambito della politica ambientale internazionale la superpotenza statunitense ha occupato per lunghi anni una posizione di leadership che, però, è andata progressivamente indebolendosi a vantaggio dell’Unione europea, che ha potuto realizzare le sue ambizioni di comando, svolgendo un ruolo chiave nella ratifica del Protocollo di Kyoto e nel corso delle successive negoziazioni che hanno portato all’adozione dell’Accordo di Parigi.

L’impegno dell’UE nel settore ambientale non si manifesta solo a livello internazionale ma anche interno. Dopo aver analizzato l’evoluzione della questione ambientale nei Trattati dell’Unione europea e i vari strumenti di ratifica degli accordi internazionali, verranno esaminate le varie politiche europee nel settore ambientale. In particolare, rilevano l’obiettivo di riduzione delle emissioni di GHG del 20% entro il 2020, rispetto ai livelli del 1990, previsto dal Pacchetto Clima Energia 2020 adottato nel 2007 e il successivo obiettivo di ridurre del 40% le emissioni entro il 2030 rispetto al 1990, come disposto dal Quadro politico per il Clima e l’Energia ad orizzonte 2030 adottato nel 2014. L’oggetto principale di questo studio consiste nella presentazione degli strumenti a cui è ricorsa l’UE per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra.

Lo strumento basilare di tale azione europea è rappresentato da un meccanismo di cap and trade che trova un precursore nell’esperienza

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statunitense, cioè il sistema di scambio di quote di emissione (ETS), adottato con la Direttiva 2003/87/CE che ha dato vita al più grande mercato esistente di carbonio. Tale Direttiva si concretizza in un sistema obbligatorio che si applica alle sole emissioni di anidride carbonica (CO2) provenienti da settori individuati dall’Allegato I. Il sistema ha iniziato a funzionare a partire dal 2005 ed è prevista la sua implementazione, suddividendolo in periodi di trading distinti nel tempo, noti come fasi. L’anno successivo è stata adottata la Direttiva 2004/101/CE, la cosiddetta Direttiva Linking, che ha permesso il riconoscimento dei crediti prodotti dai meccanismi flessibili di mercato disciplinati dal Protocollo di Kyoto.

Considerato che le emissioni di GHG prodotte dal settore del trasporto aereo, inizialmente non compreso nel sistema di scambio in esame, rappresentano circa il 3% delle emissioni totali di gas a effetto serra dell'UE, la Direttiva 2008/101/CE ha regolato l’inclusione delle emissioni prodotte da questo modo di trasporto nel sistema comunitario di scambio delle quote. La sua applicazione è stata rimandata fino al 2016, quando è stato accolto dagli Stati membri dell’Organizzazione internazionale dell'aviazione civile il Carbon Offsetting and Reduction Scheme (CORSIA) per l'aviazione internazionale, che obbliga le compagnie aeree a compensare la crescita delle loro emissioni dopo il 2020. La sua attuazione è stata fissata al 1° gennaio 2021 e, da tale data, tutti i voli internazionali da o per gli aeroporti in Europa dovrebbero essere soggetti esclusivamente alla regolamentazione disposta dal CORSIA ma, al contrario, viene esclusa la sua applicazione ai voli interni.

Nell’ambito degli obiettivi del Pacchetto Clima e Energia per il 2020 viene adottata la Direttiva 29/2009/UE, di modifica della Direttiva 2003/87/CE, volta regolare la terza fase dell’ETS. Le modiche che vengono apportate risultano finalizzate a rafforzare il sistema nella sua

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applicazione e nella sua efficacia e, in particolar modo, ad affrontare il problema del surplus di quote esistente nel mercato. In relazione al suddetto problema, nel dicembre del 2013, è stata anche adottata la Decisione relativa al back-loading, volto a modificare la disciplina della vendita delle quote. Inoltre, con la Decisione n° 1814 del 2015 viene istituita una riserva stabilizzatrice del mercato che si pone un duplice obiettivo. Da un lato si propone di affrontare e gestire l'eccedenza delle quote e, dall'altro lato, di migliorare la capacità del sistema di scambio di reagire a futuri imprevisti e improvvisi shock della domanda.

Infine, in relazione al sistema di scambio di quote europeo, il 15 luglio 2015 è stata presentata una proposta di modifica della precedente disciplina, adottata con la Direttiva 2018/410/UE, che si pone nell’ambito del menzionato Quadro Clima e Energia ad orizzonte 2030 e in linea con l’Accordo di Parigi.

L’indagine proseguirà esaminando quei settori che non sono coperti dall’ETS dell’UE, soffermandosi in particolare sulle emissioni comunitarie che derivano da settori regolati tramite la Decisione sulla “condivisione dello sforzo” 406/2009/CE (ESD), volta a realizzare l’obiettivo di riduzione del 20% di emissioni, come disposto dal Pacchetto Clima Energia 2020, cooperando con l’ETS. La suddetta Decisione si caratterizza per la previsione di obiettivi nazionali di riduzione delle emissioni per il 2020, espressi come variazioni percentuali rispetto ai livelli del 2005, che permettono di realizzare una ripartizione efficiente ed equa degli sforzi di riduzione. Nell’ambito del Quadro Clima e Energia ad orizzonte 2030, verrà analizzata la proposta di Regolamento volta a definire gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra dei settori non-ETS per ciascuno Stato membro, con riferimento al periodo 2021-2030, nota come proposta di Regolamento sulla condivisione degli sforzi (ESR).

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fondamentale nella lotta al cambiamento climatico è quello relativo all’uso del suolo, cambiamento dell’uso del suolo e silvicoltura (LULUCF), che include emissioni e assorbimenti di gas serra provenienti dall’uso di determinate tipologie di suoli che coprono più di tre quarti del territorio dell'UE. Per molti anni tale settore non è stato disciplinato nell’ambito delle politiche ambientali europee. Una sua prima tardiva regolamentazione c’è stata con la Decisione 529/2013/UE che ha stabilito norme di contabilizzazione e di trasmissione delle informazioni circa le azioni intraprese nel settore LULUCF. Successivamente, nel luglio del 2016, è stata presentata una proposta di regolamento volta ad includere, per la prima volta, la contabilizzazione delle emissioni e assorbimenti di tale settore nell’ambito degli obiettivi di riduzione stabiliti dal Quadro Clima Energia 2030.

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Capitolo I

CAMBIAMENTI CLIMATICI E GOVERNANCE

AMBIENTALE

1.Gli effetti dei cambiamenti climatici

La questione dei cambiamenti climatici si pone come una delle principali sfide del nostro tempo che deve essere affrontata tramite vari strumenti, sia scientifici che giuridici.

Con cambiamento climatico s’intende “qualsiasi cambiamento di clima attribuito direttamente o indirettamente ad attività umane, il quale altera la composizione dell’atmosfera mondiale e si aggiunge alla variabilità naturale del clima osservata in periodi di tempo comparabili.”1

Il clima è determinato dall’equilibrio che si ha tra la quantità di energia entrante nella biosfera e quella uscente. La salvaguardia di questo equilibrio è messa in pericolo da una serie di fattori, tra cui i più incisivi sono: l’industrializzazione crescente; il continuo aumento del consumo di energia; la deforestazione. Questi fattori comportano l’alterazione della composizione chimica dell’atmosfera che assottiglia la membrana protettiva rappresentata dalla fascia dell’ozono, dando luogo al fenomeno definito dagli scienziati “effetto serra”, che consiste in un incremento della quantità di energia termica trattenuta dalla superficie terrestre e che è, a sua volta, causa di un aumento della desertificazione, dello scioglimento dei ghiacciai e dell’innalzamento del livello dei

1Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change-UNFCCC) adottata il 9

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mari.2 L’impatto delle attività dell’uomo sul clima è stato, e continua a

essere, oggetto di studio e discussione.

Già nel 1979, con l’istituzione della Prima Conferenza Mondiale sul Clima da parte dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO-

World Meteorological Organization) gli scienziati hanno iniziato a

interrogarsi sulla possibilità che l’immissione nell’atmosfera di gas ad effetto serra detti GHG, ovvero Greenhouse Gases, derivanti da attività antropiche abbia avuto un ruolo nell’aumento delle temperature medie terrestri registrato in seguito alla rivoluzione industriale.

Il tema ha acquistato una rilevanza sempre maggiore con l’istituzione, nel 1988, da parte di due organismi delle Nazioni Unite (il WMO e l’UNEP-United Nations of Environment Program) del primo Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC-

Intergovernmental Panel on Climate Change). Si tratta di un foro

scientifico autonomo a cui viene affidato il compito di studiare i cambiamenti climatici e di redigere ogni cinque anni un rapporto che riporta le conoscenze acquisite sul fenomeno e sul suo impatto ambientale e socio-economico.

Le conclusioni esposte in questi Rapporti di Valutazione (Assessment

Report-AR) costituiscono una valida base scientifica a cui i governi

possono ricorrere per la formulazione di politiche ambientali efficaci, ma non hanno carattere prescrittivo.3

L’ultima Relazione di Valutazione (the Fifth Assessment Report- AR5)4

2Migiarra M., Politiche Nazionali ed Europee per la riduzione del livello di emissione dei gas ad effetto serra e per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal Protocollo di Kyoto, in Rivista Giuridica dell’Ambiente, Vol. 1,

2004, p. 131-132.

3Sul sito ufficiale dell’IPCC (www.ipcc.ch), vengono pubblicati i Rapporti di

Valutazione. Fonte di cognizione sui lavori dell’IPCC è anche il sito del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, (www.cmcc.it).

4La Quinta Relazione di Valutazione (AR5) si compone di tre sezioni

pubblicate nel corso del 2013 e del 2014 e di un rapporto di sintesi realizzato nel novembre del 2014.

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pubblicata nel 2014 ha confermato l’impatto dell’attività dell’uomo sul sistema del clima: le recenti emissioni di gas nell’atmosfera causate da attività antropiche sono tra le più alte mai registrate nella storia e risultano essere tra le cause predominanti del riscaldamento globale. Infatti, l’ammontare di GHG derivanti dalle attività dell’uomo, emessi nel periodo che va dal 1970 al 2010, ha continuato ad aumentare raggiungendo il proprio picco nel decennio che va dal 2000 al 2010. Inoltre, il trentennio che va dal 1983 al 2012 risulta essere stato il periodo più caldo nell’emisfero nord dal 1400.

Il rapporto afferma la necessità di ridurre le emissioni globali di gas al fine di evitare gli effetti negativi del cambiamento climatico, con la precisazione che in ogni caso comunque, anche in quello di una loro sostanziale riduzione, il cambiamento del clima non si fermerà e avrà un impatto ambientale, sociale ed economico su tutto il globo.

Accenna poi alle strategie di mitigazione e di adattamento: due approcci complementari tramite i quali affrontare i cambiamenti climatici. Le misure di mitigazione sono volte a contrastare le cause del cambiamento climatico tramite delle politiche finalizzate a ridurre le emissioni di gas ad effetto serra di origine antropica nei prossimi decenni.

Le misure di adattamento invece permettono di limitare gli effetti negativi che derivano dal cambiamento climatico, o meglio, a “ridurre la vulnerabilità dei sistemi naturali, socio-economici, aumentando la loro resilienza di fronte agli inevitabili impatti di un clima che sta cambiando.”5

Queste strategie complementari si coordinano tra loro nel senso che, nel caso di un maggiore ricorso a politiche di mitigazione efficaci, minore sarà la necessità di attuare misure di adattamento. Al tempo stesso però,

5Pozzo B., Verso una strategia per l’adattamento al cambiamento climatico in

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in quanto non si potranno evitare tutti gli effetti negativi del cambiamento climatico, dovranno comunque essere presentati programmi di adattamento.6

2. I negoziati internazionali sul clima: da Rio fino a Parigi

2.1- La Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC)

La prima tappa decisiva delle politiche climatiche in ambito internazionale è rappresentata dalla Conferenza sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite7, svoltasi a Rio de Janeiro nel 1992,

durante la quale è stata approvata la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC). Questa, riconoscendo che i cambiamenti climatici e i suoi conseguenti effetti negativi costituiscono un problema e una preoccupazione di tutta l’umanità (“common concern of humankind”) e che l’incremento di emissioni di GHG di origine antropica intensifica l’effetto serra naturale, richiede agli Stati membri di agire e pone come obiettivo quello di “stabilizzare le concentrazioni di gas ad effetto serra nell’atmosfera ad un livello tale che sia esclusa qualsiasi pericolosa interferenza delle attività umane sul sistema climatico.” Questo risultato deve essere raggiunto entro un termine tale da consentire “agli ecosistemi di adattarsi naturalmente ai cambiamenti del clima e per garantire che la produzione alimentare non

6Ivi, p. 3.

7United Nations Conference on Environment and Development (UNCED)

detta anche Earth Summit, durante la quale i paesi che vi hanno partecipato hanno sottoscritto tre accordi non vincolanti a livello internazionale (l’Agenda

21; Dichiarazione di Rio; Dichiarazione dei principi per la gestione sostenibile delle foreste) e due Convenzioni giuridicamente vincolanti

(Convenzione quadro sui cambiamenti climatici; Convenzione sulla diversità

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sia minacciata e lo sviluppo economico possa continuare ad un ritmo sostenibile.” 8

La Convenzione, da un lato, riconoscendo la portata mondiale della questione dei cambiamenti climatici, richiede una cooperazione fra i vari Stati e la loro adesione a un’azione internazionale adeguata e diffusa al fine di combattere il cambiamento del clima.9 Individua così una

responsabilità condivisa dai vari Paesi in relazione a questo fenomeno, in quanto gli effetti negativi che ne derivano non possono essere ricondotti solamente a una determinata attività svolta in un dato territorio.

Dall’altro lato però, pronunciando il principio di “responsabilità comuni ma differenziate alle rispettive capacità e alle loro condizioni economiche e sociali”10, riconosce che non può essere richiesto il

medesimo sforzo a tutti gli Stati, ma bisogna tener conto di alcuni fattori tra cui il loro diverso grado di sviluppo economico e quindi la conseguente diversa incidenza sull’aggravarsi dell’effetto serra. Emerge così l’intrinseca conflittualità che caratterizza il tema dei cambiamenti climatici.11

Il principio delle responsabilità comuni ma differenziate comporta una rilevante distinzione tra obblighi che gravano su tutte le Parti e quelli che gravano solo sulle “Parti che sono paesi sviluppati e le altre parti elencate nell’Allegato I.”12

8UNFCCC, Art. 2. 9UNFCCC, Preambolo. 10UNFCCC, Preambolo.

11Tonoletti B., Da Kyoto a Durban. Il cambiamento climatico nel quadro internazionale, in Cambiamento Climatico e sviluppo sostenibile, Giappichelli

editore, Torino, 2013, p. 32-33.

12Parti conosciute con il nome di Parti Annex I, in cui sono ricompresi oggi i

paesi membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Organization for Economic Cooperation and

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Tra gli obblighi a carico di tutte le Parti, individuati dall’Art. 4 paragrafo 1, assumono una maggiore rilevanza quelli di: pubblicare inventari nazionali delle emissioni di gas ad effetto serra; presentare programmi nazionali o regionali che prevedono “misure intese a mitigare gli effetti prodotti dai cambiamenti climatici”; cooperare al fine di favorire lo sviluppo, applicazione e il trasferimento di tecnologie che permettono di tenere sotto controllo e di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra di origine antropica; preparare “in cooperazione l’adattamento all’impatto dei cambiamenti climatici”; promuovere “una gestione sostenibile e […] la conservazione e l’incremento dei pozzi e dei serbatoi di tutti i gas ad effetto serra, ivi compresi la biomassa, le foreste e gli oceani, nonché altri ecosistemi terrestri, costieri e marini”

A carico solo dei paesi sviluppati e delle altre Parti previste dall’Allegato I l’Art. 4 paragrafo 2, prevede alcuni obblighi tra cui quello di adottare, autonomamente o congiuntamente ad altre Parti, politiche e provvedimenti per “mitigare i cambiamenti climatici, limitando le emissioni causate dall’uomo di gas ad effetto serra” e quello di comunicare periodicamente queste misure alla Conferenza delle Parti, indicando “le previste risultanti emissioni causate dall’uomo[...] ai fini di tornare ai livelli del 1990”.

In conclusione, poiché le Parti che sono incluse nell’Allegato I sono state e continuano a essere le principali responsabili delle ingenti emissioni di GHG nell’atmosfera, a queste viene richiesto un impegno maggiore nella riduzione.

In ogni caso la Convenzione non stabilisce l’ammontare delle riduzioni che le Parti Annex I devono realizzare; ogni Stato può liberamente determinare la quantificazione del suo impegno, salvo il fatto che la sua proposta sarà esaminata dalla Conferenza delle Parti. L’obiettivo di stabilizzare le emissioni tornando ai livelli esistenti nel 1990 entro il 2000 non risulta essere vincolante.

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Viene regolato, all’Art.11, un meccanismo finanziario volto a garantire il trasferimento, da parte dei paesi sviluppati, di risorse finanziarie “a titolo di dono o prestito agevolato” ai paesi in via di sviluppo per sostenerli nella loro azione contro i cambiamenti climatici.

La Conferenza delle Parti (COP) svolge un ruolo fondamentale, presentandosi quale “organo supremo di questa convenzione” che vigila sulla sua regolare attuazione e su quella di qualsiasi strumento giuridico collegato a questa.13 La prima riunione della COP ha avuto luogo nel

1995 a Berlino, l’anno successivo all’entrata in vigore della Convenzione quadro sui cambiamenti del clima; le successive sessioni devono essere convocate con una cadenza annuale.

2.2- Il Protocollo di Kyoto

Al termine della terza Conferenza delle Parti (COP-3), che si è svolta a Kyoto in Giappone, è stato adottato il Protocollo di Kyoto della Convezione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.14 Per la prima volta

viene disciplinato a livello internazionale uno strumento legale che prevede obiettivi giuridicamente vincolanti di riduzione delle emissioni di GHG. A differenza della suddetta Convenzione Quadro, che si limitava a chiedere alle Parti Annex I di adottare politiche e provvedimenti che risultassero idonei a mitigare le emissioni di gas ad effetto serra, il Protocollo prevede l’obiettivo di ridurre le emissioni di alcuni GHG15 di almeno il 5,2%

rispetto ai livelli del 1990 nel quinquennio che va dal 2008-2012. Per la realizzazione di questo fine è necessario che le Parti Annex I non superino, sia individualmente che congiuntamente, la quantità di emissioni che sono

13UNFCCC, Art. 7.

14Protocollo di Kyoto alla Convenzione Quadro sul Cambiamento Climatico,

adottato nel dicembre del 1997 e entrato in vigore il 16 febbraio del 2005, reperibile sul sito http://unfccc.it.

15I sei gas a effetto serra presi in considerazione sono: l’anidride carbonica

(CO2), il metano (CH4), l’ossido di azoto (N2O), gli idrofluorocarburi (HFCs), i perfluorocarburi (PFCs) e l’esafluoruro di zolfo (SF6).

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state loro assegnate.16 Si tratta quindi di obiettivi vincolanti ma differenziati

per ciascuna di queste Parti.17

L’Art. 3, paragrafi 3 e 4, prevede la possibilità per le Parti di assolvere agli impegni assunti tramite lo strumento dei carbon sinks18, cioè dei pozzi di

assorbimento di carbonio. Infatti, le variazioni di gas ad effetto serra ottenute in seguito a certe attività di utilizzo del territorio, quali la variazione della destinazione d’uso di questo e la silvicoltura, conosciute come attività LULUCF (Land Use, lande Use Change and Forestry), effettuate dopo il 1990, possono essere contabilizzate dalle Parti Annex I per il raggiungimento dei propri obiettivi.19

La previsione di questo strumento nel Protocollo di Kyoto è stata oggetto di discussione date le incertezze in relazione alla sua effettiva utilità nella lotta al cambiamento climatico. Oltre alle difficoltà che si incontrano nella contabilizzazione degli assorbimenti, ammettere un ricorso senza limiti ai

carbon sink potrebbe comportare un’elusione dell’obiettivo principale del

Protocollo, ossia la riduzione delle emissioni di GHG prodotte dai Paesi industrializzati. L’ammissione di questo strumento negli Accordi di Marrakech20 è stato subordinato, di conseguenza, al rispetto di alcune

16Protocollo di Kyoto, Art. 3.1.

17La lista degli impegni di riduzione a carico di ciascuna Parte è contenuta

nell’Allegato B del Protocollo di Kyoto: per es. l’Unione Europea è tenuta a ridurre le emissioni in una misura complessiva del’8%, rispetto ai livelli del 1990; gli USA del 7%; il Giappone del 6%.

18L’UNFCCC definisce, all’Art. 2, i carbon sink come “come qualsiasi processo, attività o meccanismo per rimuovere gas ad effetto serra, aerosol o un precursore di gas serra dall’atmosfera”

19Nello specifico l’Art. 3. paragrafo 3 del Protocollo di Kyoto identifica le

attività di ARD (Afforestation, Reforestation e Deforestation), quali variazioni permanenti nell’uso del suolo che devono essere contabilizzate dagli Stati nazionali, andando cioè a sottrarre alle emissioni derivanti dalle attività “human-induced” di Afforestazione e Riforestazione, realizzate dopo il 1990, le emissioni legate a processi di Deforestazione; l’Art. 3 paragrafo 4 del Protocollo di Kyoto estende il ruolo delle attività LULUCF ad una ulteriore serie di interventi nel settore agricolo e forestale, che sono però classificate come “attività addizionali.”

20La determinazione delle modalità operative e di attuazione del Protocollo di

Kyoto è stata lasciata alle successive sessioni della COP, ma solo al termine della COP-7, che si è svolta a Marrakech in Marocco dal 29 ottobre al 10

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condizioni tra cui: aver avuto obbligatoriamente inizio dopo il 1990; essere attività volontariamente realizzate grazie ad interventi umani; essere addizionali, cioè la riduzione delle emissioni deve essere addizionale rispetto alla situazione che si avrebbe in assenza di tale progetto; deve essere possibile valutare quantitativamente le emissioni evitate attraverso misure, stime o altri metodi ufficialmente riconosciuti.21

Viene inoltre riaffermato, seguendo le orme della Convenzione Quadro, il principio delle “responsabilità comuni ma differenziate.”22 Ai paesi in via

di sviluppo non viene imposto di procedere a una riduzione delle emissioni, poiché si ritiene che l’elevata quantità di GHG presenti in atmosfera sia da attribuire all’attività industriale posta in essere negli ultimi 150 anni dai paesi sviluppati e che di conseguenza debba essere richiesta a questi un’azione volta a contrastare concretamente i cambiamenti climatici. La realizzazione degli obiettivi di riduzione delle emissioni deve essere perseguita attraverso politiche climatiche nazionali, che non sempre però risultano essere idonee in quanto le diminuzioni devono avvenire entro un breve periodo di tempo e possono comportare costi elevati per i singoli Stati. Per facilitare le Parti Annex I nell’adempimento dei loro obblighi si ammette che possano godere di una certa flessibilità, data per esempio dalla possibilità di realizzare i propri impegni congiuntamente, come stabilito dall’Art. 4, attraverso la costituzione di un emission bubble, per cui verranno considerate adempienti se la somma delle loro emissioni non supera la quantità assegnata alla bolla.23

Vengono inoltre disciplinati tre meccanismi di mercato, detti Meccanismi di Flessibilità, che consentono ai Paesi con obblighi di riduzione delle emissioni di soddisfare parte dei propri impegni di abbattimento in altri

novembre del 2001, sono stati raggiunti dei risultati tramite i cosiddetti “Accordi di Marrakech”.

21Jacometti V., Lo scambio di quote di emissione. Analisi di un nuovo strumento di tutela ambientale in prospettiva comparatistica, Giuffrè Editore,

Milano, 2010, pp. 155-156.

22Protocollo di Kyoto, Art. 10. 23Jacometti V., op. cit., pp. 142-143.

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Paesi con una rilevante diminuzione dei costi. L’inserimento di questi strumenti nel Protocollo di Kyoto è avvenuto con il favore degli Stati Uniti che sostenevano che solo tramite con il ricorso al mercato, permettendo di realizzare le riduzioni dove risultasse più economicamente vantaggioso, si sarebbe concretizzato un effettivo incentivo all’abbattimento delle emissioni. La posizione dell’Umbrella Group24, che richiedeva un utilizzo

illimitato di questi strumenti prevalse rispetto a quella dell’Unione europea che, con il sostegno dei paesi in via di sviluppo, sollecitava la fissazione di un limite al loro utilizzo.25 I meccanismi di flessibilità individuati sono: la

Joint Implementation (JI); l’Emission Trading (ET); il Clean Development Mechanism (CDM).

Il meccanismo della Joint Implementation, regolato dall’Art. 6, permette a ogni Parte prevista dall’Allegato I di adempiere ai propri obblighi acquistando da ogni altra Parte dell’Allegato I delle unità di riduzione che risultano derivare da progetti volti proprio alla riduzione di emissioni di GHG di origine antropica.

L’Art. 12 disciplina il Clean Development Mechanism, che si propone di incentivare le Parti Annex I a promuovere e a finanziare progetti di riduzione delle emissioni in Paesi non Annex I per poter così ottemperare al proprio obbligo contabilizzando le unità di riduzione delle emissioni derivanti da tali progetti, ma anche per adempire all’obbligo di trasferimento di tecnologie nei paesi in via di sviluppo permettendo a questi di poter realizzare uno sviluppo pulito.

Il sistema di Emission Trading, previsto dall’Art. 17, permette alle “Parti incluse nell’Allegato B”, che hanno unità di riduzione di emissioni in eccesso, di commercializzarle con altre Parti che sono lontane dal raggiungimento del loro obiettivo, al fine di adempiere agli obblighi che derivano dall’Art 3.

In ogni caso le Parti di entrambe le categorie devono cooperare al fine di

24I componenti dell’Umbrella Group sono Canada, Australia, Giappone,

Russia, Norvegia, Nuova Zelanda, Islanda, Stati Uniti.

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garantire: lo sviluppo, l’applicazione e la diffusione di tecnologie rispettose dell’ambiente; la ricerca sui cambiamenti climatici; l’educazione e la consapevolezza pubblica in relazione ai cambiamenti climatici; il miglioramento delle conoscenze e dei dati in relazione ai GHG.26

L’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto ha richiesto molti anni. L’Art. 25 del Protocollo, infatti, stabilisce che l’entrata in vigore sia subordinata alla ratifica di almeno 55 Parti della Convenzione Quadro, tra le quali vi deve essere un numero di Parti Annex I “le cui emissioni totali di biossido di carbonio rappresentavano nel 1990 almeno il 55% del volume totale di emissioni delle Parti Annex I.” Nel 2001 gli USA, che sono tra i maggiori responsabili dell’emissione nell’atmosfera delle grandi quantità di gas ad effetto serra, hanno dichiarato che non avrebbero ratificato il Protocollo contestandone le basi scientifiche, gli eccessivi costi e in particolar modo il fatto di ricomprendere tra i paesi in via di sviluppo, quindi non gravati dagli obblighi di riduzione delle emissioni, economie emergenti come la Cina, India e Brasile, favorendo così la loro crescita economica. Questa distinzione tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo sembra invero produrre degli effetti non solo in ambito ambientale. Il fatto che sia stato accolto il principio di responsabilità comuni ma differenziate ha comportato che, per il primo periodo di attuazione del Protocollo, i costi gravassero solo sui paesi industrializzati, responsabili delle grandi quantità di GHG presenti in atmosfera. Alcuni paesi in via di sviluppo sono stati liberi invece di sfruttare i vari combustibili fossili che sono causa del cambiamento del clima ma che sono anche, al tempo stesso, connessi con lo sviluppo economico e industriale. Alcuni di questi paesi in breve tempo hanno eguagliato, e in alcuni casi superato, i paesi industrializzati per quanto riguarda le quantità di emissioni di gas ad effetto serra prodotte. Gli accordi climatici risultano allora configurarsi, oltre che come strumenti per

26Kyoto Protocol Reference Manual on accounting of emissions and assigned amount, prodotto dall’Information Services del segretariato dell’UNFCCC

nel 2008, reperibile al link

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23

la tutela dell’ambiente, anche come espedienti per realizzare un riequilibrio del mercato internazionale, finalità molto diversa da quella in realtà perseguita dal Protocollo.27

La rinuncia da parte degli USA si presentava come un vero e proprio veto e la ratifica della Russia nel 2004 è risultata fondamentale per l’entrata in vigore del Protocollo, avvenuta il 16 febbraio 2005.28

Dopo Kyoto viene fatto un passo avanti nella lotta ai cambiamenti climatici con la COP-13 svoltasi a Bali, in Indonesia, nel 2007, durante la quale vengono poste le basi per un futuro accordo climatico da adottare nel 2009. Con l’adozione della Bali Road Map si è avviato un processo di negoziazione basato su due principali percorsi: da una parte si ha l’attività di un Ad Hoc Working Group sugli impegni futuri delle Parti Annex I che hanno sottoscritto il Protocollo di Kyoto (AWG-KP), volto a negoziare gli obiettivi post-2012, cioè del secondo periodo del Protocollo; dall’altra parte si ha il lavoro di unAd Hoc Working Group on Long-Term Cooperative Action (AWG-LCA) volto a stabilire gli impegni futuri delle Parti Annex I

non firmatarie di Kyoto.29

La COP-15, svoltasi a Copenaghen nel 2009, si è conclusa con l’elaborazione del controverso Copenaghen Accord, ritenuto da molti un fallimento, frutto della collaborazione tra 25 stati, riconosciuto dalla COP che tuttavia non l’ha adottato formalmente.30 Si tratta di un accordo, a cui

le Parti dell’UNFCCC possono aderire volontariamente, che non prevede obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni e che ripropone la distinzione, fonte di contrasti, tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo. All’interno di quest’ultima categoria viene però introdotta per la prima

27Nespor S. Oltre kyoto: il presente e il futuro degli accordi sul contenimento del cambiamento climatico, in Rivista Giuridica dell’ambiente, fascicolo 1,

2004, p. 4.

28Attualmente le Parti che hanno ratificato il Protocollo di Kyoto sono 192 (191

Stati e un’organizzazione regionale di integrazione economica).

29Sterk W, Arens C., Kreibich N., Mersmann F., Wehnert T., Global Climate,

in Yearbook of International Environmental Law, Volume 23, 2013, pp. 237– 238.

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volta la differenziazione tra paesi più poveri e più esposti agli effetti negativi dei cambiamenti climatici (LCD, Least Developed States e AOSIS,

Alliance of Small-Island States) e paesi con economie in transizione,

emergenti, che riconoscono di dover procedere ad adottare azioni nazionali di mitigazioni.31

Con la COP 17, svoltasi a Durban nel 2011 è stato raggiunto un Accordo dai 194 Paesi presenti i cui punti principali sono: un mandato per arrivare alla firma da parte di tutti i paesi di un nuovo accordo nel 2015, da avviare ad applicazione nel 2020; un secondo periodo di impegni nell’ambito del Protocollo di Kyoto post 2012; un piano di lavoro per il 2012; un nuovo strumento finanziario internazionale, denominato Green Climate Fund. Il principale risultato è rappresentato dall’adozione della Piattaforma di Durban, impegnata a raggiungere un nuovo accordo globale nel 2015 da applicare dal 2020, che ha comportato la riunificazione nella stessa cornice negoziale dei due processi che proseguivano separatamente e miravano entro il 2012 a sviluppare accordi fra i due gruppi di paesi sottoscrittori e non sottoscrittori del Protocollo di Kyoto.32

Gli obiettivi di riduzione del secondo periodo del Protocollo di Kyoto, che va dal 2013 al 2020, vengono specificati dall’Emendamento di Doha al Protocollo, adottato durante la COP-18 nel 2012 a Doha, in Qatar.33 Le parti

si sono impegnate a ridurre le loro emissioni di gas serra di almeno il 18 % rispetto ai livelli del 1990. I paesi dell'UE e l'Islanda si sono impegnati a raggiungere congiuntamente un obiettivo di riduzione del 20 % e si stanno adoperando a tale scopo. Inoltre, la lista dei gas serra contemplati dal Protocollo di Kyoto è stata estesa per includere il trifluoruro di azoto.

31Decision 2/CP.15, Copenaghen Accord, in FCCC/CP/2009/11Add.1, 30

March 2010.

32Zupi M. e Mazzali A., Cambiamenti Climatici: il quadro dopo Durban, in Osservatorio di politica internazionale, n°48 del 2012, pp. 7-8.

www.parlamento.it/osservatoriointernazionale

33L’Emendamento di Doha non è ancora entrato in vigore in quanto è

necessario il deposito di almeno 144 strumenti di accettazione delle Parti del Protocollo e attualmente ne sono stati depositati soltanto 96 (il numero corrente delle Parti del Protocollo è 192).

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2.3 L’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici

Al termine della COP-21, svoltasi a Parigi dal 30 novembre all’13 dicembre del 2015, dopo lunghi e complessi negoziati è stato adottato lo storico Accordo di Parigi, che prende le mosse dalla Convezione Quadro sui cambiamenti climatici34 ed è destinato a sostituire il Protocollo di

Kyoto, stabilendo un quadro di obiettivi da realizzare post-2020. Questo accordo è volto a contrastare i cambiamenti climatici e a intensificare le azioni e gli investimenti per uno sviluppo sostenibile. A questo scopo si è stabilita la realizzazione di ambiziosi obiettivi tra cui quello di “mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali”.35 Questo, come si evince dalle

conclusioni dell’IPCC, confluite nel Quinto Rapporto sui cambiamenti climatici (AR5) del 2014 di cui le Parti si sono servite nel corso delle negoziazioni, costituisce l’obiettivo minimo da perseguire per evitare effetti negativi potenzialmente irreversibili sul nostro pianeta . Sotto la pressante richiesta dei piccoli paesi insulari (AOSIS) è stato inoltre previsto l’impegno a “proseguire l’azione volta a limitare l’aumento di temperatura a 1,5° C rispetto ai livelli preindustriali.” 36 L’Accordo in

questione mira a migliorare “la capacità di adattamento agli effetti negativi dei cambiamenti climatici e promuovere lo sviluppo resiliente al clima e a basse emissioni di gas ad effetto serra” e a “rendere i flussi finanziari coerenti con un percorso che conduca a uno sviluppo a basse emissioni di gas ad effetto serra.”37

L’Accordo di Parigi si basa su impegni di tipo volontario, superando

34Al termine della Conferenza di Parigi è stata adottata anche una Decisone

della COP che disciplina l’adozione dell’Accordo stesso, Decision 1/CP.21,

Advance Version, FCCC/CP/2015/10/Add.1, 29 January 2016. 35Accordo di Parigi, Art. 2 (a).

36Ibidem.

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l’impostazione di Kyoto che istituiva un sistema basato su obblighi giuridici vincolanti. Quest’ultimo, come già osservato, prevedeva obiettivi di riduzione vincolanti solo per le Parti Annex I il cui ammontare era stabilito nell’Allegato B. L’Art. 3 dell’Accordo richiede invece che gli impegni di ciascun Paese, volti a realizzare gli obiettivi previsti dall’Art. 2, devono essere determinati e comunicati tramite i “Contributi determinati a livello nazionale” (Nationally Determined

Contributions- NDCs). Questi devono venire aggiornati ogni 5 anni e

ogni nuova versione dovrà rappresentare una progressione rispetto ai contributi presentati in precedenza.38 Il compito di realizzare gli

obiettivi di riduzione viene attribuito ad ogni Stato, portando così al superamento della netta distinzione tra Parti Annex I e Parti non Annex I, introdotta dalla Convenzione Quadro e ripresa nel Protocollo di Kyoto. Classificazione che non viene però superata definitivamente in quanto, con la previsione dei principi di equità e di responsabilità comuni ma differenziate “alla luce di diverse circostanze nazionali”39,

le obbligazioni a carico delle due categorie seguitano a essere diverse: i paesi sviluppati devono continuare a “svolgere un ruolo guida, prefissando obiettivi assoluti di riduzione delle emissioni che coprono tutti i settori dell’economia(…)” e i paesi in via di sviluppo devono “migliorare i loro sforzi di mitigazione, e sono incoraggiati a intraprendere, con il passare del tempo, obiettivi di riduzione o limitazione delle emissioni che coprono tutti i settori dell’economia.”40

Quindi un maggior impegno continua ad essere richiesto ai paesi sviluppati nella lotta ai cambiamenti climatici.

L’Art. 5 è finalizzato a promuovere la protezione e gestione sostenibile delle foreste come strumento di mitigazione ed adattamento,

38Accordo di Parigi, Art. 4.3. 39Ibidem.

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richiamando espressamente gli strumenti già disponibili nella Convenzione.

Per tutti i Paesi è prevista inoltre la possibilità di partecipare volontariamente a “approcci cooperativi” che permettono di realizzare “risultati di mitigazione che vengano trasferiti a livello internazionale nel perseguimento dei loro contributi determinati a livello nazionale ” e viene inoltre disciplinato “un meccanismo per contribuire alla mitigazione delle emissioni di gas ad effetto serra e promuovere lo sviluppo sostenibile, sotto l’autorità e la guida della Conferenza delle Parti che agisce come riunione delle Parti all’Accordo di Parigi”; l’Art 6 regola quindi un meccanismo di mercato centralizzato che si va ad aggiungere a quelli già previsti dal Protocollo di Kyoto.

L’Accordo prevede e disciplina, all’Art. 13, un sistema di trasparenza delle azioni di mitigazione e del supporto finanziario che si caratterizza per la flessibilità, tenendo infatti in considerazione le diverse capacità delle Parti dell’accordo. Le sue modalità e procedure di funzionamento dovranno comunque essere comuni a tutte le Parti. Questo sistema permette di monitorare i progressi dei contributi nazionali e quindi, indirettamente, di tracciare l’avanzamento verso l’obiettivo collettivo. Al fine del suo funzionamento, le informazioni che devono essere fornite da ogni singolo Stato, ad intervalli regolari, consistono in un rapporto nazionale sull’andamento delle emissioni di origine antropica e nelle informazioni che permettono di controllare il progresso e il raggiungimento del contributo promesso. Il paragrafo 9 del presente articolo introduce un’ulteriore differenziazione tra paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. I primi devono fornire informazioni “sui trasferimenti finanziari e tecnologici e sulla costruzione di competenze organizzate fornite ai paesi in via di sviluppo”. I secondi devono indicare il supporto ricevuto e quello di cui hanno bisogno.

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progresso collettivo rispetto al raggiungimento degli obiettivi viene disciplinata una “rivisitazione complessiva (global stocktake)”, cioè un sistema di monitoraggio periodico che avrà luogo per la prima volta nel 2023 e successivamente ogni 5 anni andando a condizionare la preparazione, l’aggiornamento e il rafforzamento dei successivi contributi nazionali.41

Per la prima volta nella storia degli accordi della UNFCCC troviamo un riferimento a “un obiettivo globale in fatto di adattamento”. Questo consiste “nell’incrementare la capacità adattiva, nel rafforzare la resilienza e nel ridurre la vulnerabilità al cambiamento climatico”. Una particolare attenzione deve essere rivolta ai paesi in via di sviluppo, a quali deve essere fornito un sostegno internazionale continuo e più consistente all'adattamento. 42

Uno dei principali argomenti di discussione ha riguardato la natura legale dell’Accordo in questione, che sarebbe dovuta essere quella di un protocollo, come previsto dall’Art 17 dell’UNFCCC43, ma le Parti sono

ricorse a una forma giuridica diversa.

Nel diritto pubblico internazionale l’Art 2.1 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati44 definisce un trattato come “un accordo

internazionale concluso in forma scritta fra Stati e disciplinato dal diritto internazionale”. L’Accordo di Parigi può essere definito quindi come un trattato, presupponendo un accordo internazionale redatto in forma

41Accordo di Parigi, Art. 14. 42Accordo di Parigi, Art. 7.

43Art. 17 Protocolli “1. La Conferenza delle Parti può adottare, durante

qualsiasi sessione ordinaria, protocolli alla Convenzione. 2. Il segretariato comunica alle Parti, almeno sei mesi prima di tale sessione, il testo di qualsiasi proposta di protocollo. 3. Le disposizioni per l’entrata in vigore di un protocollo sono stabilite dal protocollo stesso. 4. Solo le Parti alla Convenzione possono essere Parti ad un protocollo. 5. Le decisioni proposte a norma di un protocollo sono assunte soltanto dalle Parti al protocollo in questione.”

44La Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati è un trattato internazionale

adottato il 22 maggio del 1969 ed entrato in vigore il 27 gennaio del 1980. Sono 115 le Parti che attualmente lo hanno ratificato.

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scritta le cui Parti sono Stati.

La questione della forma giuridica di questo documento si poneva con riferimento alla legislazione degli Stati Uniti, dove è necessaria per la ratifica dei trattati internazionali, che spetta al Presidente, l'advice and

consent del Senato a maggioranza dei due terzi dei suoi membri.45

Considerando che al momento dell’adozione dell’Accordo di Parigi la composizione della camera era a maggioranza repubblicana la ratifica risultava irraggiungibile. È prevista però la possibilità per il Presidente degli USA di concludere accordi internazionali diversi dai trattati sulla base della sua autorità costituzionale (Executive Agreement) nel solo caso in cui non siano in contrasto con la precedente legislazione del Congresso.46 L’Accordo di Parigi è stato adottato in forza

dell’UNFCCC, ratificata con il consenso del Senato quindi, per il sistema legale statunitense, poteva essere considerato come un accordo internazionale diverso dai trattati47.

Gli Stati Uniti sotto la guida del Presidente Obama, il 3 settembre del 2016, hanno ratificato l’Accordo in questione. In rottura con questo nuovo slancio ambientalista il neoeletto Presidente Trump, il 1° giugno del 2017, ha dichiarato che gli Stati Uniti abbandoneranno l’Accordo di Parigi, sostenendo che gli impegni richiesti avrebbero minato l’economia statunitense.

L’Accordo è entrato in vigore il 6 novembre del 201648, “il trentesimo

successivo alla data in cui almeno 55 Parti della Convenzione, le cui emissioni totali di gas climalteranti rappresentano almeno il 55% delle

45Articolo II, sez. 2. cl. 2, della Costituzione degli Stati Uniti. 46https://www.state.gov/e/oes/rls/rpts/175/1319.htm

47Obergassel W., Arens C., Hermwille L., Kreibich N., Mersmann F., Ott H.

E., and Wang-Helmreich H., Global Climate, in Yearbook of International Environmental Law, Vol. 26, 2015, pp. 169–170.

48Attualmente sono 174 le Parti che hanno ratificato l’Accordo di (su 197 Parti

delle Convenzione Quadro). L’Italia ha proceduto alla ratifica con la legge 4 novembre 2016, n. 204.

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emissioni stimate totali, abbiano depositato i loro strumenti di ratifica, approvazione, adesione o accettazione.”49

In conclusione, la COP-21 rappresenta un significativo punto di svolta per la politica climatica internazionale; tutti i paesi del mondo sono chiamati a impegnarsi a mantenere la temperatura media mondiale sotto i 2 gradi centigradi.

Nello stesso mese di novembre del 2016 a Marrakech in Marocco, si è svolta la COP 22 in contemporanea con la dodicesima Conferenza delle Parti del Protocollo di Kyoto e con la prima sessione della Conferenza delle Parti dell’Accordo di Parigi. Al termine di questa COP è stata presentata la Dichiarazione di Marrakech, nella quale i partecipanti riconoscono che la Terra sta affrontando un riscaldamento globale senza precedenti e che vi è la necessità di una risposta urgente, ponendo come prioritaria la lotta contro il cambiamento climatico. Le Parti accolgono l’Accordo di Parigi impegnandosi a realizzarne gli obiettivi in solidarietà con quei paesi più vulnerabili agli effetti negativi del cambiamento del clima. Viene inoltre sollecitata la ratifica dell’Emendamento di Doha e l’impegno di attori non statali.50

3. La leadership ambientale nella politica mondiale: dagli Stati Uniti all’Unione europea.

3.1 Il progressivo deterioramento della leadership ambientale statunitense.

Nella fase successiva alla II Guerra Mondiale gli Stati Uniti hanno occupato una posizione di comando in molti settori della politica

49Accordo di Parigi, Art. 25.

50Marrakech Action Proclamation for our climate and sustainable development, presentata al termine della Conferenza di Marrakech, svoltasi dal

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internazionale incentivando la negoziazione di accordi multilaterali. La loro attiva partecipazione alle trattative è stata condizionata dal loro affermarsi come una superpotenza geopolitica, economica e militare. Nel corso della Conferenza di Rio nel 1992 (UNCED), gli USA hanno di fatto esercitato un’influenza notevole nelle negoziazioni della UNFCCC, opponendosi alla fissazione di obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni e appoggiando un regime orientato a favorire l’adozione di piani d’azione nazionali, il ricorso a misure di mitigazione e a obiettivi di sviluppo a lungo termine. La Convenzione Quadro dei Cambiamenti Climatici è stata ratificata dagli Stati Uniti in un breve lasso di tempo, nonostante l’allora Presidente, George W. Bush senior, fosse un repubblicano e il Senato fosse a maggioranza democratica; di conseguenza questo risultato è stato raggiunto grazie ad un accordo bipartisan.51 Le elezioni statunitensi nel 1994 di un Congresso a

maggioranza repubblicana, partito da sempre diffidente nei confronti della questione dei cambiamenti climatici, hanno rafforzato tale orientamento andando a condizionare la posizione occupata dagli USA nel corso della terza Conferenza delle Parti (COP-3) del 1997, che ha portato all’adozione del Protocollo di Kyoto. Le negoziazioni si sono caratterizzate per la richiesta degli Stati Uniti di un accordo che prevedesse un impegno da parte di tutti i paesi, anche quelli in via di sviluppo, nella realizzazione degli obiettivi di riduzione fissati, istanza a cui si è opposto un piccolo ma influente gruppo di paesi in via di sviluppo. Al termine delle trattazioni gli USA e altre nazioni industrializzate, in cambio di un accordo volto a garantire un nuovo round di negoziazioni, hanno accettato che gli obiettivi di riduzione

51Ellerman D., The shifting locus of global climate policy leadership, in The

EU, the US and global climate governance ed. by C. Bakker e F. Francioni, Farnham-Burlington, Ashgate, 2014, p. 42.

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fossero a carico solo dei paesi sviluppati.52 La questione della mancata

previsione di tali obblighi anche a carico dei paesi in via di sviluppo è stata oggetto della decisione conosciuta come la Byrd-Hagel Resolution, adottata dal Senato statunitense nel 1997 prima della conclusione delle negoziazioni del Protocollo di Kyoto.53 Questa esclude la ratifica da

parte degli Stati Uniti di qualsiasi protocollo o accordo che stabiliscano nuovi impegni di riduzione delle emissioni di GHG a carico delle sole Parti Annex I, a meno che i medesimi obblighi, da realizzare nel medesimo intervallo di tempo, non siano posti anche a carico dei paesi non industrializzati.54 Da sottolineare la divergenza tra questa decisione

e l’UNFCCC, ratificata tre anni prima, e il Mandato di Berlino il quale stabiliva che solo le Parti dell’Allegato I si sarebbero fatte carico della riduzione di determinate quantità di GHG.55 La mancata presentazione

del Protocollo di Kyoto al Senato statunitense ha indebolito ulteriormente la leadership degli USA che è stata definitivamente abbandonata con il nuovo Presidente Repubblicano, George W. Bush J., il quale si è esplicitamente opposto a tale Protocollo dichiarando che non lo avrebbe inviato al Senato per la ratifica.56 Tra i motivi addotti per

giustificare tale rifiuto vi sono sia la mancata previsione di impegni vincolanti per i paesi in via di sviluppo, sia gli eccessivi costi che sarebbero gravati sull’economia americana; veniva così fatta piena

52Depledge J., Against the grain: the United States and the global climate change regime, in Global Change, Peace & Security, Vol. 17,2005, p. 15.

53S.Res.98 - A resolution expressing the sense of the Senate regarding the conditions for the United States becoming a signatory to any international agreement on greenhouse gas emissions under the United Nations Framework Convention on Climate Change, conosciuta come la Byrd-Hagel Resolution,

adottata dal Senato degli Stati Uniti il 25 luglio del 1997 all’unanimità (95-0), non vincolante per il Presidente.

54J. Deplege, op. cit., p. 16.

55Mandato di Berlino (Berlin Mandate), decisione raggiunta in seguito alla

prima Conferenza delle Parti (COP-1) a Berlino in Germania, nel marzo del 1995.

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applicazione della Byrd-Hagel Resolution. L’aver abbandonato la pratica degli accordi bipartisan nelle materie ambientali e l’aver preferito un approccio unilaterale alla politica estera, anziché multilaterale come in precedenza, ha indebolito progressivamente la posizione di guida degli USA nella lotta al cambiamento climatico.57

La mancata ratifica del Protocollo di Kyoto da parte della superpotenza statunitense però non ha comportato il collasso delle negoziazioni ambientali internazionali come si temeva; al contrario le altre Parti intensificarono le trattative. Il Protocollo di Kyoto è entrato in vigore il 16 febbraio del 2005 dopo la ratifica nel 2004 della Russia che ha permesso di superare così la stasi causata dalla rinuncia degli USA. L’elezione nel 2009 del democratico Obama è stata accompagna da grandi speranze di rinnovamento, gli ambientalisti confidavano che venisse ripresa in considerazione la questione della lotta ai cambiamenti climatici, la quale veniva definita dal Presidente come “una delle più grandi sfide dei nostri tempi”. In ogni caso l’impegno espresso da Obama a voce non si è tradotto in un’azione concreta, sia a causa della crisi economica che dell’opposizione repubblicana che ha continuato a negare il suo sostegno a qualsiasi accordo internazionale che prevedesse misure legalmente vincolanti.58 Tale posizione sembra derivare, più che

da una ponderata decisione politica, da uno scetticismo ideologico nei confronti sia dell’origine antropica del problema del cambiamento climatico che dei mezzi necessari per farvi fronte59. Al termine del suo

secondo mandato, che si è concluso nel 2017, Obama ha cercato, in

57Ivi, p. 42.

58Cusumano E., Handing over leadership: the drivers and future of transatlantic environmental governance, in The EU, the US and global climate

governance ed. by C. Bakker e F. Francioni, Farnham-Burlington, 2014, pp. 248-249.

59Alessandri E., La nuova leadership Usa e le relazioni transatlantiche, in

Osservatori di Politica Internazionale, n°18 del 2010, pp. 13-14. www.parlamento.it/osservatoriointernazionale

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extremis, di lasciare un’eredità del suo impegno ambientale, prima delle imminenti elezioni presidenziali, ratificando nel settembre del 2016 l’Accordo di Parigi. Il 1° giugno del 2017, il neoeletto Presidente Trump ha comunicato il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, sostenendo che avrebbe indebolito eccessivamente l’economia statunitense e intaccato la sovranità nazionale. Reagendo a questa presa di posizione, la Cina e l’Unione europea hanno manifestato l’intenzione di collaborare per poter procedere alla piena applicazione dell’Accordo in questione. Inoltre, il giorno successivo alla dichiarazione del Presidente, ben 377 sindaci statunitensi si sono impegnati a attuare autonomamente gli obiettivi stabiliti dall’Accordo di Parigi.60

3.2 Le ambizioni di una leadership ambientale europea.

Nel periodo successivo alla II Guerra Mondiale manca un approccio europeo unitario ai problemi ambientali e di fatto si presenta una frattura interna tra paesi europei del nord, caratterizzati da un approccio più verde, e paesi del centro-sud, carenti di una legislazione ambientale.61

Le prime iniziative europee volte a ridurre le emissioni di GHG risalgono ai primi anni novanta, sviluppandosi con la ratifica del Protocollo di Kyoto, avvenuta il 19 aprile del 1998, che vede l’UE accettare i più alti obiettivi di riduzione tra i paesi industrializzati (-8%). La mancata ratifica del Protocollo suddetto da parte degli Stati Uniti ha rappresentato l’occasione per l’Unione di poter svolgere un ruolo chiave nella lotta ai cambiamenti climatici, portando avanti autonomamente le trattative per ottenere la ratifica delle altre Parti e negoziando degli accordi con la Russia. Il ruolo dell’UE nella politica climatica internazionale ha subito profondi cambiamenti negli ultimi decenni. La quindicesima Conferenza delle Parti (COP-15), che si è svolta a

60E. Cusumano, Op. cit., pp. 255-256. 61Ivi pag. 251.

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Copenaghen, è risultata fallimentare per l’Unione che non è riuscita a imporre un accordo climatico mondiale che comportasse obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni a carico di tutte le Parti. Questa sconfitta europea, si pensi solo al fatto che il rappresentante europeo non era neppure presente in aula quando i dettagli finali dell’Accordo di Copenaghen sono stati elaborati, non ha comportato comunque la fine delle ambizioni di comando dell’UE. Infatti ha finito per svolgere un ruolo chiave, insieme ad alcuni paesi in via di sviluppo, nel lancio della Piattaforma di Durban nel 2011 volta ad elaborare un protocollo, un altro strumento legale o un accordo legalmente vincolante da adottare a Parigi nel 2015.62 Le aspirazioni europee di comando sono state confermate

dall’allora Presidente della Commissione Barroso che, nel 2012, ha riaffermato la necessità “di un'Unione europea che guidi la lotta contro i cambiamenti climatici.”63 Nel corso delle negoziazioni che avrebbero

portato all’adozione dell’Accordo di Parigi è stata una delle Parti più attive soprattutto nell’ultimo anno. Sull’onda della positiva esperienza di Durban, l’UE si è impegnata nella costruzione di coalizioni tra tutti i paesi, puntando però in particolar modo ad alleanze con paesi in via di sviluppo. Questi sforzi hanno portato alla formazione della “High

Ambition Coalition” a Parigi, tra paesi sviluppati e in via di sviluppo,

industrializzati o meno, che aveva come obiettivo quello di esercitare una pressione sui maggiori produttori delle emissioni affinché incrementassero il loro impegno nella riduzione delle emissioni, spingendo verso l’adozione di un ambizioso accordo globale. Procedendo in direzione di Parigi la coalizione, sotto la direzione del Ministro degli Esteri delle Isole Marshall, Tony De Brum, grazie

62Oberthür S., Groen L., The European Union and the Paris Agreement: leader, mediator, or bystander?, in Wiley Interdisciplinary Reviews: Climate

Change, Volume 8, Fasc. 1, gennaio/febbraio 2017, p. 3-4.

63Commissione Europea. Bruxels: Presidente Barroso, Discorso sullo Stato

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soprattutto all’appoggio finanziario e diplomatico europeo, ha dato il via a una serie di incontri tra vari Paesi del mondo per discutere della strategia comune da adottare a Parigi e al fine di ottenere l’adesione di nuovi membri. All’apertura della COP-21 la coalizione, ora “Ambition

Coalition”, ha ottenuto l’adesione di 80 paesi. 64

Il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Junker in un recente discorso del settembre del 2017 ha ribadito la necessità che l’Unione europea si ponga alla guida della lotta contro i cambiamenti climatici. Ricordando che, con l’impegno preso l’anno precedente con l’Accordo di Parigi, sono state fissate “le regole del gioco a livello globale”.

Viene preso atto che con il cedimento delle ambizioni statunitensi spetta all’Unione europea il compito di “rendere nuovamente grande il nostro pianeta” che è “patrimonio comune di tutta l’umanità”.65

4. -L’evoluzione della politica ambientale europea.

4.1-La questione ambientale nei Trattati Europei.

Il Trattato istitutivo della Comunità Economica Europea (TCEE) del 195766 non contiene alcuna previsione esplicita in relazione alla

protezione dell’ambiente, che non costituisce un obiettivo della Comunità. Essendo questa un’organizzazione con finalità economiche, l’ipotesi di un intervento in questo settore viene percepito come un possibile ostacolo al pieno sviluppo del mercato intracomunitario.

64Parker C.F., Karlsson C. e Hjerpe M., Assessing the European Union’s global climate change leadership: from Copenhagen to the Paris Agreement, in

Journal of European Integration, Vol. 39, 2017, pp. 246-250.

65Commissione Europea. Presidente Junker, Discorso sullo stato dell’Unione

2017 “Il vento nelle vele”, Bruxelles, 13 settembre 2017, SPEECH/17/3165.

66Il trattato che istituisce la Comunità Economica Europea (TCEE) è stato

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