• Non ci sono risultati.

Attività Fisica e Scompenso cardiaco

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Attività Fisica e Scompenso cardiaco"

Copied!
94
0
0

Testo completo

(1)

1

Sommario

1. Introduzione ... 2

2 Lo scompenso cardiaco ... 4

2.1 Il suo organo bersaglio ... 4

2.2 Tante definizioni per una sola patologia. ... 12

2.3 Informazioni statistiche ... 16

2.4 Fisiopatologia ... 21

2.5 Diagnosi di scompenso ... 29

3 Effetti dell’attività fisica sullo scompenso ... 33

3.1 Evidenze nel campo scientifico ... 37

4 Terapia farmacologica e attività fisica ... 46

4.1 Terapia generale dello scompenso ... 46

4.2 Interazione farmaco-attività fisica. ... 60

5 Attività fisica adattata ai pazienti scompensati. ... 70

6 Discussioni e conclusioni ... 84

(2)

2

1. Introduzione

Quest’elaborato è stato pensato per definire un punto di partenza nell’abbinamento dell’esercizio fisico all’insufficienza cardiaca, una condizione molto delicata che si presenta sempre più spesso nella popolazione mondiale, capace di compromettere seriamente lo stato di salute dei soggetti affetti nel suo decorso cronico.

Lo scompenso cardiaco risulta essere alla base di molte altre malattie cardiovascolari, può essere associata ad altre patologie croniche ed è legata ad un alto tasso di morbilità e mortalità. L’elaborazione di questo documento è stata suddivisa in temi precisi. Innanzitutto si è presentata la patologia, cercando di semplificare il può possibile la patogenesi, i meccanismi d’azione e di compensazione, la modalità di insorgenza, le strategie d’intervento e tutto ciò che riguarda la storia clinica e peculiare della malattia in se; successivamente si è tastato il campo scientifico per ricercare informazioni sulla presenza di studi e verifiche riguardo la possibile influenza dell’esercizio fisico in ambito cardiologico in generale, e sullo scompenso, nello specifico; sono state riportate conoscenze personali sugli effetti dell’attività fisica sulle cause principali che provocano l’insorgenza della patologia.

La documentazione ottenuta a riguardo, ha fornito notevoli riscontri sull’importanza di un training adeguato a diversi gradi di avanzamento della malattia e non solo, si è certificata la possibilità

(3)

3

e la necessità di affiancare una terapia riabilitativa su base motoria che affianchi la terapia farmacologica allo scopo di rallentare il decorso della patogenesi ed alleviare la sintomatologia preesistente. La ricerca in ambito scientifico è stata estesa riguardo la possibile interazione dell’attività fisica con la terapia farmacologica, aspetto questo cruciale per la buona riuscita dell’intervento terapeutico multidisciplinare che si vuole proporre.

A questo punto si è ricercato nella letteratura medica e scientifica un approccio pratico che fornisse elementi tangibili per la redazione di un protocollo di attività fisica adattata ai pazienti affetti da scompenso cardiaco a vari gradi di sintomatologia presente; sono state trovate diverse sperimentazioni sul campo riguardo molteplici tipologie di esercizio fisico ma niente che definisca accuratamente in che modo si possano sfruttare gli effetti benefici dell’allenamento.

Per questo motivo il fine di questa tesi è stato rivolto nella progettazione di un programma di allenamento specifico che racchiuda tutte le preziose informazioni ottenute dalle numerose ricerche svolte, che possa effettivamente trasmettere i miglioramenti e gli adattamenti propri che l’esercizio fisico è in grado di produrre sullo stato di avanzamento della malattia, sulla sua sintomatologia e in coadiuvazione della terapia farmacologica necessaria per tenere sotto controllo l’avanzamento del decorso cronico della patologia stessa.

(4)

4

2 Lo scompenso cardiaco

2.1 Il suo organo bersaglio

Lo scompenso cardiaco è una patologia che interessa principalmente il muscolo cardiaco ed è direttamente collegata alla sua funzione di pompa.

Il cuore è l’organo principale dell’apparato cardiocircolatorio e assieme ai vasi sanguigni ricopre delle funzioni vitali per l’organismo, ossia:

o Trasporto di sostanze nutritizie ed ossigeno e loro distribuzione a

tutti i distretti dell’organismo;

o Allontanamento dei prodotti del catabolismo cellulare; o Mantenimento della temperatura corporea costante; o Regolamento dell’omeostasi dei fluidi corporei;

o Trasporto di cellule immunitarie e collaborazione con il sistema

immunitario. (1)

Il cuore è collocato in cavità toracica, precisamente nel mediastino di cui occupa la regione antero-inferiore. È spostato di 2/3 a sinistra nel comparto mediastinico. Ha una forma di cono con asse fortemente obliquo dall’alto verso il basso, da destra verso sinistra e da dietro verso avanti.

È dotato di due facce (faccia sterno-costale e faccia diaframmatica), due margini che permettono alle due facce di continuarsi l’una con l’altra (margine destro che si presenta più appuntito, acuto e il margine sinistro che si presenta più smussato, ottuso); infine il

(5)

5

cuore presenta anche una base (disposta in alto, indietro e a destra) e un apice (disposto in basso, a sinistra e avanti che si trova lungo la linea immaginaria che divide la clavicola in due metà identiche, all’altezza del quinto spazio intercostale) (2).

Topograficamente è situato al di sopra della cupola diaframmatica che lo separa dagli organi viscerali, ai lati si dispongono i due polmoni, in avanti è protetto dallo sterno e dalle cartilagini costali, posteriormente si trovano le vertebre toraciche dalla 5° all’8° (1) Il miocardio ha la funzione di pompare il sangue all’organismo attraverso i vasi sanguigni; è dotato di un sistema di valvole atte ad indirizzare nelle arterie la corrente sanguigna; queste si diramano in tutto l’organismo riducendosi di calibro verso la periferia, fino ad arrivare ai capillari che permettono il passaggio di acqua e sostanze nutritive ai tessuti circostanti; dai capillari traggono origine le venule che confluiscono nelle vene di medio e grosso calibro che riportano il sangue dalla periferia verso il cuore.

L’apparato cardiocircolatorio opera con una circolazione doppia e completa dotata di due vie separate: una via ha lo scopo di portare ossigeno e nutrienti a tutto l’organismo, l’altra via ritorna verso il cuore portando anidride carbonica e prodotti di scarto; quindi si distinguono:

La circolazione sistemica (grande circolo) ha inizio dal ventricolo

sinistro con l’arteria aorta; dai suoi rami il sangue arriva a tutti i distretti dell’organismo dove cede ossigeno in cambio di anidride carbonica a livello del letto capillare.

(6)

6

Il sangue deossigenato si sposta sul versante venoso quindi passa dalle venule alle vene di medio calibro alle vene di grosso calibro fino ad arrivare alla vena cava superiore e vena cava inferiore e seno coronarico che confluiscono il sangue nell’atrio destro; da qui il sangue va al ventricolo destro è inizia la circolazione polmonare.

La circolazione polmonare (piccolo circolo) parte dal ventricolo

destro attraverso l’arteria polmonare, la quale si biforca e porta il sangue venoso ai polmoni. Gradualmente si risolve in capillari in cui avviene lo scambio gassoso. Il sangue ossigenato ritorna al cuore attraverso le quattro vene polmonari che sboccano nell’atrio sinistro dove termina la circolazione polmonare e ricomincia la circolazione sistemica. (2)

Meccanicamente la circolazione è assicurata dalla contrazione e il rilasciamento del muscolo cardiaco che, opportunamente alternati, danno vita al ciclo cardiaco che comprende due fasi:

La fase diastolica è il periodo di tempo durante il quale il muscolo

cardiaco si rilascia; rappresenta, infatti, la capacità del ventricolo di rilasciarsi e distendersi, è la fase in cui il sangue passa dagli atri ai ventricoli quindi rappresenta la fase di riempimento dei ventricoli.

La fase sistolica è il periodo di tempo durante il quale il cuore si

contrae; rappresenta, infatti, la fase di svuotamento del ventricolo. Durante questa fase avviene una contrazione iso-volumetrica in cui le valvole atrio-ventricolari rimangono chiuse; è presente una tensione nelle pareti cardiache ma non c’è una modificazione di volume; in seguito si assiste ad un aumento della tensione delle

(7)

7

pareti che fa aprire le valvole semilunari in modo da far espellere il sangue dai ventricoli che si contraggono con forza.

Per capire meglio la meccanica cardiaca bisogna sapere che il sangue scorre da aree a pressione più elevata ad aree a pressione più bassa e che la contrazione fa aumentare la pressione nei vasi mentre, il rilasciamento la fa diminuire. (3)

La diastole è il periodo di ciclo cardiaco compreso tra la chiusura della valvola aortica e l’apertura della valvola mitralica. Si classifica in quattro fasi conseguenti:

Rilassamento isovolumetrico inizia subito dopo la chiusura della

valvola aortica; il rilasciamento globale del ventricolo sinistro provoca una rapida caduta della pressione endoventricolare a valvole chiuse per cui, a parità di volume, la pressione scende velocemente.

Proto diastole (riempimento diastolico precoce) dopo la discesa

della pressione intraventricolare al di sotto di quella atriale si ha l’apertura della valvola mitrale con generazione di un flusso trans-mitralico determinato da: differenza di pressione trans-mitralica, grado di rilassamento parietale ventricolare, compliance delle due camere e grado di apertura della valvola mitrale.

Si tratta di una fase passiva di passaggio del sangue dall’atrio al ventricolo che avviene grazie alla presenza di un gradiente di pressione che si determina tra le due camere; durante questa fase passa al ventricolo la maggior parte del volume sanguigno (70%).

(8)

8

Mesodiastole (diastasi) dopo il riempimento ventricolare la

pressione all’interno dell’atrio eguaglia quella all’interno del ventricolo e ne determina un periodo di stasi durante il quale si ha solo un piccolo movimento di sangue fra le camere perché la valvola mitralica è semiaperta.

La durata di questa fase è frequenza-dipendente ed è maggiore in caso di bradicardia e assente in caso di tachicardia.

Tele diastole (riempimento diastolico tardivo) avviene attraverso la

contrazione atriale, ottenuta per superamento della pressione atriale rispetto alla pressione endoventricolare che porta ad un ulteriore apertura della valvola mitralica ed un secondo picco di flusso trans-mitralico. In questo modo la rimanente quantità di sangue presente nell’atrio viene spremuta all’interno del ventricolo.

Si tratta di una fase attiva in cui vi è consumo di ossigeno e che permette il riempimento del ventricolo sinistro di un ulteriore 20% di sangue. (4)

La fase sistolica coincide con la contrazione energica dei ventricoli allo scopo di spingere il sangue fuori dal miocardio verso la circolazione sistemica; dai ventricoli il sangue sarà spinto attraverso le valvole semilunari che lo dirigeranno:

verso la circolazione sistemica, quello proveniente dal ventricolo sinistro che si sposta nell’aorta;

verso il circolo polmonare, quello che viene spinto dal ventricolo destro verso l’arteria polmonare.

(9)

9

Dopo aver spiegato nel dettaglio le due fasi principali, illustriamo adesso il modo in cui queste determinano la meccanica del ciclo cardiaco che si articola in 5 fasi consecutive:

1) Cuore a riposo: diastole atriale e ventricolare: in questo periodo gli atri si stanno riempiendo di sangue proveniente dalle vene e i ventricoli hanno appena completato la contrazione. Il rilasciamento dei ventricoli provoca l’apertura delle valvole atrio-ventricolari che provocano il passaggio di sangue dagli atri ai ventricoli secondo gradiente di pressione.

2) Completamento del riempimento ventricolare: sistole atriale ha inizio in seguito all’onda di depolarizzazione che invade gli atri e comporta il passaggio del 20% del sangue nei ventricoli ad opera della contrazione atriale dettata da un aumento di pressione che si accompagna alla depolarizzazione.

3) Fase iniziale della contrazione ventricolare e primo tono cardiaco: l’onda di depolarizzazione che ha provocato la contrazione atriale, si sposta lentamente, attraverso le vie del sistema di conduzione, fino all’apice del cuore dando così inizio alla sistole ventricolare; durante questa fase il sangue spinge contro la faccia inferiore delle valvole atrio-ventricolari e le fa chiudere determinando il primo tono cardiaco.

(10)

10

A questo punto il sangue si trova per un attimo in stasi all’interno del ventricolo che opera una contrazione isovolumetrica; nel frattempo che i ventricoli iniziano a contrarsi, gli atri si ripolarizzano e si rilasciano; la pressione atriale scende e quando diventa minore rispetto a quella delle vene, il flusso di sangue riprende dalle vene agli atri.

4) Il cuore come pompa: i ventricoli si contraggono e generano una forza motrice che fa aprire le valvole semilunari e spinge il sangue all’interno delle arterie. Durante questa fase le valvole atrio-ventricolari rimangono chiuse e gli atri continuano a riempirsi.

5) Rilasciamento ventricolare e secondo tono cardiaco: appena il sangue lascia completamente i ventricoli, questi si polarizzano e si rilasciano; così la pressione a loro interno diminuisce fino a diventare minore rispetto a quella delle arterie, il sangue inizia a refluire verso il cuore e va a riempire le cuspidi delle valvole semilunari facendole chiudere.

Tali valvole chiudendosi provocano una vibrazione che determina il secondo tono cardiaco.

In questo istante le valvole semilunari sono chiuse e restano chiuse anche le valvole atrio-ventricolari perché, nonostante la pressione ventricolare sia scesa, rimane comunque maggiore di quella atriale;

(11)

11

questa condizione prende il nome di “rilasciamento ventricolare isovolumetrico”.

Successivamente la pressione ventricolare continua a scendere fin quanto non diventa minore della pressione atriale, si aprono le valvole atrio-ventricolari e il ciclo cardiaco ricomincia (3). La comprensione del funzionamento meccanico del miocardio è di fondamentale importanza per chiarire il processo di sviluppo dello scompenso cardiaco in quanto patologia cronica che, una volta iniziato il suo decorso, può solo andare a peggiorare nella clinica e nella sintomatologia se non scoperto in tempo e trattato correttamente attraverso la terapia farmacologica e anche, come vedremo tra breve, con un adeguato percorso motorio riabilitativo. È molto importante considerare che, in presenza di scompenso cardiaco, viene meno il funzionamento della meccanica del cuore ma, con l’avanzare della malattia anche altri organi e apparati vengono compromessi.

(12)

12

2.2 Tante definizioni per una sola patologia.

Per definizione, in patologia, lo scompenso è:

“un nome dato a condizioni morbose caratterizzate dall’incapacità di un organo, di un apparato o di un meccanismo omeostatico a mantenere o ripristinare un equilibrio funzionale” (5)

Questa descrizione ci induce a supporre che si tratti di un malfunzionamento cardiaco dovuto ad un deficit nel mantenere una corretta circolazione del sangue, evento dominante del corretto funzionamento dell’apparato cardiovascolare. Infatti, la funzione principale del cuore è mantenere una certa omeostasi nell’organismo attraverso un’adeguata circolazione sanguigna garantita dalla normale meccanica del ciclo cardiaco.

In verità però non esiste una definizione ben precisa dello scompenso cardiaco; negli ultimi cinquant’anni numerose sono state le descrizioni apparse in letteratura che presentano degli elementi in comune, i quali indicano che lo scompenso è una condizione in cui il ventricolo funziona in modo anomalo in quanto non riesce a pompare una quantità adeguata di sangue in circolo rispetto alle richieste tissutali; si tratta quindi dell’incapacità del cuore di mantenere una pressione appropriata alle richieste metaboliche dei tessuti. (6)

(13)

13

“le funzioni principali del cuore sono accogliere il sangue dal

sistema venoso, distribuirlo ai polmoni, dove viene ossigenato, e pompare sangue ossigenato a tutti i tessuti corporei.

Lo scompenso cardiaco si verifica quando queste funzioni sono alterate in maniera sostanziale” (Lenfant, 1994) (6)

Quando si parla di “scompenso cardiaco” si parla di un deficit della pompa cardiaca, in merito ad un difetto della frazione di eiezione che, la maggior parte delle volte, è ridotta rispetto alla richiesta metabolica di organi e tessuti; quindi diventa una condizione in cui il cuore perde la sua capacità di pompare un’adeguata capacità di sangue nell’organismo. (7)

Il concetto principale di cui ci dobbiamo occupare in questa trattazione è l’insufficienza cardiaca che passa per tre stadi:

Disfunzione ventricolare sinistra: è la prima fase ed è asintomatica. Insufficienza cardiaca: iniziano i primi sintomi, quindi si presenta

la dispnea (difficoltà nel respirare) sottoforma di sensazione di fame d’aria, presenza di respiro corto e affannoso. La dispnea viene classificata in quattro stadi a seconda delle circostanze per cui si manifesta:

1° stadio sforzi intensi; 2° stadio sforzi moderati; 3° stadio sforzi lievi; 4° stadio dispnea a riposo.

(14)

14

Questi tre stadi costituiscono la possibile evoluzione di qualsiasi tipologia di cardiopatia; lo scompenso, in particolare, può essere presente in concomitanza a tutte le patologie cardiache in quanto può essere una conseguenza della loro presenza. (8)

Nel corso degli anni la definizione di scompenso cardiaco è stata più volte variata ed arricchita di elementi che lo presentano più come una sindrome che interessa l’organismo in maniera sistemica e non un’esclusiva alterazione fisiopatologica a livello cardiaco, ci sono infatti alcuni fattori neuro-ormonali che contribuiscono in maniera decisiva alla progressione della malattia. (6)

Parlando di caratteristiche tipiche dello scompenso cardiaco si può prendere in considerazione la possibilità che si verifichi uno scompenso diastolico condizione in cui si ha un deficit nella funzione diastolica ma la frazione di eiezione rimane normale in quanto la funzione sistolica non è compromessa e non c’è un deficit della funzione contrattile; nella maggior parte dei casi, però, si parla di scompenso cardiaco con compromissione della frazione di eiezione perché il deficit è della funzione sistolica la quale è sempre preceduta dall’alterazione della funzione diastolica. (7) In ultima analisi possiamo dire con sicurezza che, lo scompenso cardiaco, interessa diversi organi e apparati; oltre a determinare una disfunzione ventricolare, può provocare l’instaurarsi di aritmie ventricolari che sono pericolose per la vita della persona e sono, molto spesso, causa di morte; determina anche intolleranza allo sforzo e all’attività fisica dovuta sia alla ridotta efficienza del cuore

(15)

15

come pompa ma anche alla presenza di una modificazione delle fibre muscolari che, da tipo 1 (a capacità ossidativa), diventano prevalentemente di tipo 2B (a capacità anaerobica) con produzione di acido lattico che comporta una facile affaticabilità. Lo scompenso cardiaco inoltre, provoca anche problemi di congestione determinando un accumulo di liquidi nei polmoni, negli arti e nel tubo digerente. (8)

(16)

16

2.3 Informazioni statistiche

Da quello che si è detto fin’ora si comprende che lo scompenso cardiaco è una sindrome complessa che ha inizio con un insulto a livello miocardico che può essere localizzato o generalizzato. Successivamente si instaura un danno secondario che provoca l’alterazione della funzione sistolica , diastolica o di entrambe e si termina con una condizione di scompenso conclamato che si accompagna ad una bassa portata cardiaca e ad elevate pressioni di riempimento ventricolare. (6)

Le principali cause di scompenso cardiaco sono:

Cardiopatia ischemica definita come “sindrome da insufficiente apporto di ossigeno al miocardio che può essere causata da riduzione del flusso di sangue per vasocostrizione o trombosi delle coronarie”. (5)

Cardiomiopatie: dilatativa, ipertrofica, restrittiva, aritmogena del ventricolo destro, cardiomiopatie secondarie.

Cardiopatie vascolari: stenosi, insufficienze. Cardiopatie congenite quindi presenti alla nascita. Ipertensione arteriosa polmonare

Malattie del pericardio

Sindromi ad alta portata: ipertiroidismo, malattia di Piaget, beri-beri, anemia.

Per quanto riguarda la frequenza di queste cause collegate allo scompenso, varia in base al paese considerato probabilmente per

(17)

17

via dei differenti criteri diagnostici che vengono utilizzati e anche del campione di persone che viene analizzato. Sono stati fatti numerosi studi su questo argomento uno di questi condotto dall’Associazione Nazionale Medici e Cardiologi Ospedalieri (AMNCO) ha evidenziato che, fra tutte, la causa più frequente dello scompenso cardiaco è la cardiopatia ischemica in quanto conta il maggior numero di soggetti che vanno incontro allo scompenso (42%); tra le altre citate l’ipertensione arteriosa ha una frequenza più alta (15%) e anche la cardiopatia dilatativa (15%) e la cardiopatia valvolare (14%) (6).

Le informazioni circa l’incidenza dello scompenso nella popolazione generale sono variabili principalmente perché vengono utilizzati diversi criteri diagnostici.

Un dato comune ai differenti studi, constata che l’incidenza dello scompenso cardiaco aumenta con l’avanzare dell’età.

Considerano gli studi più grandi di popolazione, l’incidenza di questa malattia varia da 1 a 2 casi su 1.000 persone per anno. Gli stessi studi mostrano una certa stabilità nel tempo di questo parametro nelle ultime tre decadi.

Questa stabilità nell’incidenza sembra che sia dovuta ad un bilanciamento tra i fattori che determinano un aumento e quelli che ne determinano una riduzione. Per cui si può affermare che, l’incidenza dello scompenso cardiaco nella popolazione generale rimanga pressoché costante nel tempo. (6)

(18)

18

Situazione diversa si trova analizzando la prevalenza, dato altamente dipendente dall’età del soggetto.

La prevalenza dello scompenso cardiaco varia da 3 a 20 individui per 1.000, e la stessa prevalenza si ritrova nei soggetti over 65 anni. In Italia, in particolare, è stato osservato che questa varia da 3 casi per 1.000 in Veneto e di 20 casi su 1.000 in Calabria. (6)

Lo scompenso cardiaco si può accompagnare a numerose patologie che colpiscono l’apparato cardiovascolare nella sua totalità: malattie del muscolo cardiaco, malattie delle arterie coronarie, valvulopatie, perciò non è molto semplice ricercare una eziologia ben precisa, si possono indicare le cause più frequenti ma non si può trovare il fattore scatenante la malattia.

Potenzialmente le malattie che frequentemente sfociano in uno scompenso cardiaco possono essere:

 Malattie coronariche, cause più frequente di scompenso cardiaco con funzione sistolica ventricolare sinistra ridotta nei paesi industrializzati. In una popolazione di soggetti anziani, circa il 60-70% dei soggetti con scompenso cardiaco, presentano lesioni coronariche.

 Ipertensione arteriosa, nei paesi occidentali i livelli di pressione arteriosa sistolica aumentano con l’aumentare dell’età. È vero che, negli ultimi anni l’ipertensione arteriosa si tiene più sotto controllo grazie alla terapia farmacologica per mezzo di farmaci antiipertensivi, ma è anche vero che essa riveste un certo peso eziologico nello

(19)

19

scompenso cardiaco con funzione ventricolare sinistra conservata.

 Il diabete mellito, sta diventando una causa frequente di scompenso cardiaco contando un incremento del 20% di casi per decade. (6)

Lo scompenso cardiaco si presenta come una patologia ad eziologia multipla, risultato di differenti processi patologici che danneggiano la funzione cardiaca, ha un alto tasso di mortalità che negli anni e con i progressi della medicina è diminuito, soprattutto da quanto si fa un largo utilizzo degli ACE-inibitori.

Questo cambiamento è emerso dai risultati di studi scientifici condotti prima dell’utilizzo di questi farmaci rispetto ad altri studi fatti in seguito all’inserimento di questi farmaci come terapia. In particolare si può far riferimento al “Framinghan Heart Study” che ha valutato la mortalità in un periodo di tempo di quaranta anni; questo studio ha dimostrato che solo il 25% degli uomini e il 38% delle donne è in vita a cinque anni dall’insorgenza dello scompenso cardiaco (6).

Uno studio più recente, lungo un decennio, condotto sulla popolazione scozzese ricoverata per scompenso cardiaco, ha riportato dei risultati più incoraggianti sulla frequenza di fatalità della malattia che risulta essere ridotta del 18% negli uomini e del 15% delle donne, in seguito ad un follow-up a lungo termine (6). Nonostante ci sia stato questo miglioramento nella prognosi, lo scompenso cardiaco rimane una malattia con elevata morbilità e

(20)

20

mortalità, negli Stati Uniti rappresenta la più frequente causa dell’ospedalizzazione in soggetti con età maggiore o uguale a 65 anni, è seconda solo all’ipertensione arteriosa.

È stato dimostrato che gli ACE-inibitori sono in grado di diminuire il numero di ospedalizzazioni per scompenso cardiaco.

I pazienti con scompenso cardiaco rimangono difficili da gestire per la presenza di comorbilità con altre patologie, la loro scarsa aderenza alle terapie farmacologiche, alla possibile depressione e l’isolamento perciò si rende indispensabile effettuare un approccio terapeutico multidisciplinare per far fronte a questa patologia.

(21)

21

2.4 Fisiopatologia

Lo scompenso cardiaco riconosce come causa principale la disfunzione sistolica del ventricolo sinistro, specialmente se si tratta di pazienti anziani e ipertesi; numerosi sono gli studi che collegano gran parte dei casi di scompenso cardiaco all’avanzare dell’età e alle modificazioni strutturali e fisiologiche che avvengono nell’organismo in conseguenza all’invecchiamento (9). La disfunzione sistolica è definita come l’incapacità del ventricolo a svuotarsi, essa si accompagna ad un aumento del volume tele sistolico, una ridotta frazione d’eiezione (< 50%) e una riduzione della gittata cardiaca, la quale non aumenta durante lo sforzo ma, a volte, si riduce nonostante ci sia un aumento della pressione di riempimento ventricolare.

È altresì possibile trovare pazienti in cui non si manifesta un aumento della pressione diastolica ventricolare, questi avranno una ridotta tolleranza allo sforzo fisico a causa di una facile affaticabilità ed un inadeguato aumento della portata durante lo sforzo; per far fronte a questa situazione si verifica un aumento del volume tele diastolico associato ad un aumento della ritenzione idrosalina ad opera del rene allo scopo di aumentare il volume e la pressione di riempimento ventricolare; la dilatazione del ventricolo sinistro che ne consegue, determina un dispendio energetico maggiore per sviluppare una tensione di parete sufficiente a far fronte all’aumento di pressione; questo si traduce in un maggiore

(22)

22

lavoro per il cuore e un aumento del consumo di ossigeno che determinano l’inefficienza cardiaca (9). Con questa cascata di eventi si comprende bene la considerazione di questa malattia come una sindrome che coinvolge diversi organi e apparati nella sua manifestazione clinica.

Per disfunzione diastolica si intende un’anomalia nel riempimento ventricolare; in questo caso la funzione sistolica non è alterata ma si presenta un aumento della pressione di riempimento nel ventricolo sinistro con congestione polmonare.

Esistono tre condizioni necessarie affinché si verifichi uno scompenso diastolico: devono essere presenti i segni e i sintomi di scompenso congestizio; ci deve essere una normale frazione d’eiezione (> 40%); ci devono essere anomalie nella funzione diastolica.

Circa il 40% dei pazienti anziani presentano uno scompenso cardiaco diastolico collegato a patologie quali cardiomiopatia restrittiva, ipertrofica ostruttiva o non ostruttiva, cardiomiopatia infiltrativa o pericardite costrittiva. Questo avviene perché una gran parte delle modificazioni che insorgono con l’avanzare dell’età nell’apparato cardiocircolatorio, riguardano la funzione diastolica, uno tra questi è l’ipertensione (9).

Con lo scompenso in atto l’organismo dispone dei meccanismi di compenso che però si rivelano negativi perché peggiorano il quadro clinico della malattia: il problema principale è cercare di mantenere

(23)

23

un’adeguata gittata cardiaca perciò aumenta la frequenza cardiaca per attivazione del sistema nervoso simpatico.

Il risultato di ciò è un aumento del consumo di ossigeno e quindi il cuore deve lavorare di più per favorire un adeguato apporto di sangue e nutrienti a tutti i tessuti.

Per mantenere un’adeguata gittata sistolica aumenta anche il volume di sangue che arriva al ventricolo durante la diastole; tanto sarà maggiore tale volume, tanto sarà il sangue che rimane all’interno del ventricolo dopo la fase sistolica, quindi si determina un sovraccarico di volume a carico del ventricolo sinistro che lo riversa sul circolo polmonare. L’aumento della pressione idrostatica determina la fuoriuscita di liquido dal circolo polmonare, a livello capillare, nell’interstizio polmonare. L’esito finale di questo processo di compensazione è l’invasione del liquido proveniente dal circolo polmonare agli alveoli causando un edema polmonare acuto. L’interstizio polmonare imbibito di liquido provoca un ostacolo alla distensibilità dei polmoni e degli alveoli ed una compromissione dell’atto respiratorio, questo determina la manifestazione di uno dei sintomi più frequenti dello scompenso, la dispnea (7).

È stato dimostrato che l’aumento della pressione polmonare capillare non costituisce il solo fattore responsabile dell’insorgenza della dispnea da sforzo nei pazienti scompensati, contribuiscono anche decondizionamento della muscolatura periferica o respiratoria o dell’apparato cardiovascolare, ipoperfusione dei

(24)

24

muscoli respiratori, ridotta compliance polmonare ed aumentate resistenze delle vie respiratorie (6).

In un soggetto scompensato, la dispnea si può presentare sottoforma di dispnea da sforzo, quindi scatenata dall’esecuzione di esercizio fisico, come ortopnea che si presenta quando il paziente assume la posizione in clinostatismo o come dispnea parossistica notturna che si accompagna ad un senso di ansietà e di soffocamento (6).

Oltre la dispnea ci sono altri sintomi che possono presentarsi nell’avanzamento dello scompenso cardiaco:

 Tosse: si presenta spesso nella clinica della malattia, può insorgere durante lo sforzo, durante il riposo notturno o in posizione di decubito supino. È una tosse secca che si può associare ad emottisi dovuta alla rottura i capillari bronchiali distesi e congesti.

 Astenia e facile affaticabilità: sono dominanti nel quadro clinico dello scompenso cardiaco, collegati ad alterazioni patologiche a carico del muscolo scheletrico che porta una riduzione del flusso ematico regionale, ridotta capacità di vasodilatazione e alterato metabolismo.

 Oliguria e nicturia: la nicturia si presenta nelle fasi iniziali della sindrome ed è causata da una ridistribuzione del flusso ematico nel passaggio alla posizione supina in cui si registra un aumento del flusso renale; altra causa è una minore

(25)

25

vasocostrizione e anche una riduzione nelle richieste metaboliche globali.

L’oliguria si manifesta nella fase avanzata della patologia ed è collegata alla minore produzione di urina per la riduzione della portata cardiaca.

 Sintomi cerebrali e psichiatrici: tipici delle fasi avanzate dove si presenta un deficit del flusso vascolare cerebrale che si traduce in deficit della memoria e dell’attenzione nella maggior parte delle volte.

Raramente possono apparire stato confusionale, lipotimia, disorientamento e sincope specialmente se è presente un’importante ipotensione arteriosa.

Sintomi tipici dello scompenso avanzato sono i disturbi del sonno con incubi, insonnia e inversione del ritmo circadiano sonno-veglia.

 Sintomi gastroenterici: insorgono in seguito all’edema dei distretti addominali e si presentano con dolori addominali, gonfiore, nausea, anoressia e costipazione; possono anche presentarsi a causa della terapia farmacologica in atto.  Dolori toracici: sono secondari all’ischemia miocardica

causata da un aumento dello stress di parete con incremento del consumo miocardico di ossigeno, possono anche essere secondari ad epato-splenomegalia o a processi trombo-embolici polmonari.

(26)

26

 Edema: focalizzato negli arti inferiori, rappresenta il principale sintomo nell’esordio della patologia. La sua presenza è correlata all’aumento della permeabilità capillare ai fluidi e alle proteine più piccole e alla riduzione dell’attività fisica (6).

Esiste una classificazione dello scompenso fatta dalla New York Heart Association (NYHA) che tiene conto della sintomatologia e della capacità funzionale e identifica quattro stadi:

I. Pazienti con cardiopatia che non presentano limitazioni nell’attività fisica: durante lo svolgimento di

attività fisica non si presenta affaticamento, dispnea, palpitazioni o dolori anginosi.

II. Pazienti con cardiopatia che condiziona lievemente l’attività fisica: non si presentano sintomi a riposo ma,

l’attività fisica provoca affaticamento, dispnea e dolori anginosi.

III. Pazienti con limitazione marcata dell’attività fisica. A

riposo i sintomi non si presentano; anche un’attività fisica di lieve intensità provoca affaticamento, dolori anginosi, palpitazioni e dispnea.

IV. Pazienti con cardiopatia condizionante un’incapacità a

svolgere qualsiasi attività fisica. I sintomi di

scompenso o di sindrome anginosa si possono presentare anche a riposo e aumentano se si intraprende qualsiasi tipo di attività fisica (6).

(27)

27

Esiste anche un’altra classificazione dello scompenso cardiaco che tiene conto della presenza di uno tra i più frequenti sintomi della malattia, la dispnea; in base a questo criterio possiamo classificare lo scompenso in:

grado 1: scompenso lieve, non sono presenti sintomi e non ci sono

restrizioni per una normale l’attività fisica; la sopravvivenza ad un anno dalla comparsa della malattia è del 95%; la frazione di eiezione va da 50% a 54%

grado 2: una normale attività fisica può provocare deboli sintomi,

non si presentano sintomi a riposo; la percentuale di sopravvivenza ad un anno dalla comparsa della malattia va dall’ 80% al 90%; la frazione di eiezione è tra 40% e 50%

grado 3: scompenso avanzato, l’assenza di sintomi è possibile solo

con il paziente a riposo, ci sono restrizioni importanti alla pratica dell’attività fisica; la sopravvivenza ad un anno dalla comparsa della malattia è dal 55% al 65%

grado 4: scompenso grave, il paziente ha sintomi anche a riposo; la

percentuale di sopravvivenza ad un anno dalla comparsa della malattia è del 5%-15% (7).

Lo scompenso è una patologia cronica progressiva che incide molto sulla qualità della vita dei pazienti in quanto, con l’avanzare del grado di gravità, diventa invalidante per la qualità di vita della persona e ne limita le capacità funzionali. Per valutare quest’aspetto sono stati fatti dei questionari da somministrare al paziente stesso che racchiudono domande inerenti i sintomi, la

(28)

28

dimensione fisica della malattia, la dimensione emozionale. Questi questionari vengono utilizzati come strumenti clinici e anche come mezzi per verificare l’efficacia degli interventi terapeutici (6).

(29)

29

2.5 Diagnosi di scompenso

La sintomatologia da sola non basta per fare diagnosi di scompenso dato che si tratta di sintomi che possono presentarsi nel corso di altre patologie, perciò diventa fondamentale operare con una diagnosi strumentale che aiuta ad identificare anche gli stadi lievi dell’insufficienza cardiaca e che può essere effettuata attraverso indagini di primo livello quali:

 l’elettrocardiogramma che ha un elevato rapporto costo/beneficio; l’alterazione che fa pensare alla presenza di insufficienza cardiaca è data dalla presenza di un blocco di branca sinistra, e, nel caso di presenza di una cardiopatia ischemica, di un’alterazione dell’onda Q.

 La radiografia del torace mostra la grandezza del cuore che ha una forte correlazione con la funzione ventricolare sinistra, la presenza di una cardiomegalia viene spesso considerata come possibile diagnosi di scompenso cardiaco. L’Rx al torace diventa diagnostica anche perché rivela la presenza di un eventuale edema interstiziale e periva scolare o edema polmonare che aiuta a capire a che stadio è la malattia ed è altresì importante per escludere la presenza di una malattia polmonare come possibile causa di sintomi.  L’ecocardiografia viene raccomandata a tutti i pazienti che

hanno una diagnosi di insufficienza cardiaca in quanto, con le metodiche diagnostiche descritte sopra, non sempre è

(30)

30

possibile riconoscere la presenza di una cardiomiopatia dilatativa, o di una disfunzione sistolica.

L’eco doppler viene largamente utilizzato per la valutazione della funzione diastolica e sistolica, di cui fornisce dati riguardanti il tipo e la gravità e permette di determinare il tipo di disfunzione cardiaca, la prognosi e può anche guidare al trattamento.

 Indici bioumorali e neurormonali; lo scompenso cardiaco si caratterizza da alterazioni della crasi ematica, alterazioni a carico della funzione epatica e renale.

Altre alterazioni riguardano una importante attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone, ipokalemia, ipopotassemia, ipomagnesiemia; è possibile che si presenti l’anemia specialmente negli stadi avanzati della malattia. Altro parametro che può presentare alterazione con l’avanzare della gravità dello scompenso è la presenza di alti livelli di creatinine mia e azotemia, segni della presenza di insufficienza renale così come la sofferenza epatica. Tra gli indici neurormonali abbiamo una disfunzione tiroidea che può essere alla base dello scompenso cardiaco congestizio e anche un alterato metabolismo ed alterata concentrazione periferica di ormoni tiroidei. Inoltre i peptidi nautrietrici circolanti sono importanti marker sierici prognostici e diagnostici di scompenso cardiaco (6).

(31)

31

La diagnosi di scompenso avviene anche attraverso indagini di secondo livello che prevedono l’utilizzo di:

 test da sforzo cardiopolmonare, metodica non invasiva che permette di valutare la risposta integrata tra l’apparato respiratorio, cardiovascolare, muscolo-scheletrico, emopoietico e neuro-psicologico (abbinato alla scala di Borg); durante il test da sforzo cardiopolmonare vengono monitorati i gas inspirati ed espirati in modo da valutare molteplici parametri: VO₂max (inteso come il plateau del consumo di ossigeno massimale e dipende da età, sesso e peso corporeo), produzione di CO₂, ventilazione e frequenza respiratoria e anche VO₂ di picco (il valore più elevato di volume di ossigeno consumato durante il test, indica la tolleranza allo sforzo del soggetto quando egli non riesce a raggiungere il massimo consumo di ossigeno) e la soglia anaerobica (il punto in cui, durante uno sforzo fisico, i muscoli non riescono più a ricevere una quantità di ossigeno adeguata che porta ad un incremento di acido lattico con produzione di anidride carbonica) (10).

Nello scompenso cardiaco, il test ergospirometrico viene utilizzato come diagnosi differenziale di cardiopatia da una patologia primitivamente o principalmente respiratoria. Nei soggetti scompensati non sarà possibile valutare il VO₂max, per cui ci si basa sul VO₂ di picco che esprime un indicatore prognostico e decisionale come dimostrato in

(32)

32

letteratura: un VO₂ di picco inferiore o uguale a 10 ml/kg/min è indice di prognosi infausta a breve termine; un valore di VO₂ di picco maggiore o uguale a 18 ml/kg/min si è dimostrato come indice prognostico favorevole a breve, medio e lungo termine.

Il test ergospirometrico risulta essere utile per predisporre un’eventuale protocollo di allenamento scrupoloso (6).  Cateterismo cardiaco e angiografia: il primo permette di

valutare la severità della disfunzione ventricolare, il volume delle cavità, le alterazioni morfologiche dell’apparato valvolare e permette anche di quantificare i gradienti trans valvolari e determinare i parametri emodinamici; per tutte queste ragioni, il cateterismo cardiaco resta una metodica utilizzata per un corretto inquadramento dei dati clinico - strumentali e per assegnare la corretta terapia farmacologica nello scompenso cardiaco;

l’angiografia invece viene utilizzata per fare diagnosi differenziale nell’eziologia dello scompenso tra forme dovute a cardiomiopatia dilatativa o a cardiomiopatia ischemica; essa permette, inoltre, di osservare eventuali lesioni coronariche che si presentano spesso in soggetti con un quadro di scompenso cardiaco secondario a coronaropatia (6).

(33)

33

3 Effetti dell’attività fisica sullo scompenso

Numerosi sono gli studi che rivelano l’efficacia dell’attività fisica nella coadiuvazione della terapia dello scompenso cardiaco e delle malattie cardiovascolari in generale.

Negli ultimi 50 anni c’è stato un forte cambiamento nell’approccio dell’attività fisica come terapia aggiuntiva nelle cardiopatie, attività che deve essere dosata in funzione di tempo, intensità e tipologia di esercizio fisico.

Tra i maggiori benefici che si assegnano al training fisico per quanto riguarda le malattie cardiovascolari, c’è la sua capacità di migliorare la prognosi e il rischio di recidive, sopratutto per la cardiopatia ischemica (che ricordiamo essere tra le principali cause di scompenso cardiaco) (8).

È doveroso inoltre elencare gli effetti benefici che l’attività fisica apporta sui fattori di rischio propri della cardiopatia ischemica che riguardano:

o L’attività elettrica: l’allenamento determina una bradicardia e una riduzione della pressione arteriosa, migliorando la performance e la tolleranza allo sforzo del soggetto;

o L’assetto lipidico: l’allenamento, soprattutto un’attività fisica aerobica e sub-massimale, è l’unico presidio non farmacologico in grado di aumentare i livelli di HDL nel sangue; agisce principalmente nel migliorare il rapporto LDL/HDL a favore di quest’ultimo;

(34)

34

o L’assetto coagulativo: si registra una riduzione della concentrazione del fibrinogeno, aumenta l’attività fibrinolitica e si riduce l’attività del fattore tissutale plasminogeno che favorisce la coagulazione intravascolare; o A livello periferico: si ha infatti un aumento della

capillarizzazione sia a livello periferico che centrale con conseguente ipertrofia fisiologica.

La prescrizione di un protocollo di attività fisica nei soggetti con cardiopatia ischemica si compone di un’attività di tipo prevalentemente aerobico, ad intensità lieve-moderata, che inizi con un’intensità pari al 40-50% del massimo sforzo tollerato e aumenti gradualmente in relazione alla soglia massima di sforzo. Recentemente si è scoperto che, per un soggetto cardiopatico, è possibile prescrivere anche esercizi muscolari isotonici per il miglioramento della forza e del tono muscolare; si usano esercizi a bassa intensità, pari al 40-50% della massima contrazione volontaria eseguiti per un alto numero di ripetizioni e con tempi di recupero prolungati; durante la sessione di allenamento di potenza, la frequenza cardiaca non deve superare il 70% della frequenza cardiaca massima teorica (11).

Un altro campo in cui l’attività fisica da i suoi maggiori benefici è l’ipertensione arteriosa, condizione che può essere causa di scompenso cardiaco; dal 1983 l’OMS raccomanda l’utilizzo di approcci non farmacologici per il trattamento dell’ipertensione arteriosa, riferendosi proprio all’attività fisica.

(35)

35

Nei soggetti ipertesi si consiglia un allenamento realizzato con carichi sub-massimali, la cui intensità non superi il 75% della frequenza cardiaca massima teorica; l’effetto che ha è un abbassamento della pressione arteriosa pari a circa 13-15mmHg della pressione arteriosa sistolica e di circa 8-10mmHg della pressione arteriosa diastolica.

In particolare si è visto che, dopo aver seguito un programma di allenamento, nei soggetti ipertesi, il calo medio permanente della pressione arteriosa è di 11mmHg per la sistolica e di 8mmHg per la diastolica. L’attività fisica che da i maggiori benefici è quella di tipo aerobico che può essere accompagnata ad un attività contro resistenza, che duri almeno 45’ e che sia intorno al 50% quindi di intensità moderata (12).

Queste informazioni ci fanno capire che l’attività fisica è utile a combattere le cause centrali e quelle periferiche che influiscono nell’insorgenza dello scompenso cardiaco.

Per quanto riguarda l’allenamento strettamente collegato alla patologia, la maggior parte delle prove dei benefici è stata osservata in pazienti con insufficienza cardiaca stabile in classe funzionale NYHA II e III, sembra che l’allenamento riesca a stabilizzare il quadro clinico e quindi ridurre i costi della sanità e che sia in grado di migliorare la condizioni del paziente che ha la possibilità di passare ad un grado inferiore di gravità della malattia. La tipologia di attività fisica che viene consigliata viene classificata in tre tipi:

(36)

36

1) Attività di tipo dinamico ad impegno cardiocircolatorio

costante; camminare, correre, pedalare.

2) Attività di tipo dinamico ad impegno cardiocircolatorio

intermittente; sport come tennis o calcio.

3) Attività statiche, di potenza; sollevamento pesi.

È sempre preferibile far fare un’attività di tipo aerobico mista ad un’attività a basso carico di tipo isometrico ed eccentrico.

I migliori risultati si sono ottenuti con l’intervall training. Il carico di lavoro deve essere calibrato in base alla tolleranza all’esercizio del soggetto; nelle prime sedute si preferisce un’intensità pari al 40-50% del massimo sforzo tollerato che può gradualmente crescere col passare de tempo.

L’allenamento deve essere fatto almeno 4-5 volte a settimana ed è importante che sia protratta nel tempo perché i benefici si presentano con il passare del tempo, nel primo anno di pratica attività fisica costante si vedono i risultati nella sintomatologia dello scompenso, il rallentamento della frazione di eiezione diventa significativa dopo tre – quattro anni dall’evento e dall’inizio del programma di allenamento (7).

(37)

37

3.1 Evidenze nel campo scientifico

Alcune ricerche hanno evidenziato che c’è una forte interazione dell’attività fisica a vari livelli nella progressione dello scompenso cardiaco:

1) Prima che si presenti la malattia l’attività fisica potrebbe presentarsi come mezzo di prevenzione primaria; è stata dimostrata una correlazione tra l’attività fisica cardiorespiratoria protratta per lungo tempo e il rischio di scompenso cardiaco; lo studio in questione ha evidenziato che la pratica di attività fisica di questo tipo si associa con un rischio di incidenza minore del 6% di eventi legati allo scompenso cardiaco. (13).

Da una recente recensione è stato dimostrato che alla base del beneficio dell’attività fisica sull’apparato cardiovascolare, ci siano degli adattamenti cellulari, funzionali, molecolari e strutturali nel cuore, in risposta all’esercizio fisico; è stato dimostrato infatti che la pratica di attività fisica è inversamente associata con le alterazioni dovute alle malattie subcliniche croniche cardiache e che potrebbe rappresentare un meccanismo di riduzione del rischio di scompenso cardiaco (13).

Altri esperimenti hanno messo in luce i benefici dell’attività fisica nella struttura e nella funzione del

(38)

38

muscolo cardiaco, associandola ad una riduzione della massa del ventricolo sinistro, soprattutto in soggetti obesi e ipertesi.

Molti altri studi hanno validato la teoria dell’attività fisica come fattore di prevenzione primaria nel rischio d’insorgenza di scompenso cardiaco, registrando una riduzione di tale rischio del 10% per i soggetti che svolgono un’attività fisica pari a 500 MET-min/lavoro; per chi pratica un’attività fisica pari a 1000 o 2000 MET-min/lavoro lo stesso rischio diminuisce rispettivamente del 19% e del 35% (13).

2) Quando la malattia è presente. L’attività fisica viene associata ad una adeguata terapia farmacologica nella prevenzione secondaria. La concezione di attività fisica adattata alla terapia farmacologica nella cura dello scompenso e delle malattie cardiovascolari in generale, è un concetto abbastanza giovane che ha ottenuto le prime considerazioni intorno agli anni ’80 grazie ad uno studio scientifico in cui è stato dimostrato che è possibile incrementare la tolleranza all’esercizio fisico in pazienti affetti da scompenso cardiaco che eseguono un’attività fisica adeguata alla loro condizione di salute (13). Successivamente a questo primo studio, numerose sono state le ricerche atte a comprovare e rafforzare la teoria dell’attività fisica come terapia aggiuntiva al trattamento

(39)

39

di tali patologie, tanto che, nella linea guida per lo scompenso cardiaco della European Society of Cardiology (ESC) del 2016 si trova la raccomandazione ad eseguire un protocollo di allenamento adeguato ai pazienti affetti. Molti esperimenti sono stati fatti sul campo negli ultimi anni ed è emerso che, in corso di malattia, l’attività fisica più adatta si basa sull’esercizio aerobico di moderata intensità che può accompagnarsi ad un training misto che alterni esercizi ad alta e bassa intensità, esercizi per l’apparato cardiorespiratorio ed esercizi di forza, come possibile terapia efficace; ovviamente è di primaria importanza la tolleranza di tale attività da parte dei pazienti interessati (13).

3) Attività fisica come parametro di prognosi futura della malattia. La rilevazione del VO₂ di picco è un dato solido di prognosi dello scompenso; accanto a questo ci sono altri parametri, ricavati dall’attività fisica che sono buoni predittori del tasso di mortalità della malattia: il rapporto tra ventilazione polmonare e produzione di anidride carbonica, il volume di ossigeno alla soglia anaerobica, l’efficienza nell’utilizzo dell’ossigeno, e la misurazione dei parametri emodinamici durante l’esercizio.

Queste sono tutte valutazioni che si ottengono con il test da sforzo cardiopolmonare (CPET) che viene fortemente supportato dalla letteratura per il suo potere prognostico

(40)

40

legato ai parametri che ne derivano; tanto è vero che, nel 2011 un gruppo di tredici unità italiane di esperti sullo scompenso cardiaco, hanno collaborato al fine di proporre una nuova classificazione del rischio di scompenso cardiaco sistolico che integri le misure ottenute dal CPET che hanno valore prognostico con fattore di rischio clinico, di laboratorio ed ecocardiografico. Per questo motivo ci sono due scale che comprendono il VO₂ di picco e la durata dell’esercizio al CPET tra gli altri parametri clinici, escludendo però i parametri ventilatori (HF serviva score e HF-ACTION predictive risck score model) (13). Indagando più a fondo e interpretando numerose ricerche fatte sull’argomento, è possibile mostrare gli effetti specifici di diversi protocolli di allenamento sulla progressione della malattia.

In uno studio recentissimo è stato osservato l’effetto di un training aerobico di bassa e moderata intensità su pazienti con scompenso cardiaco sistolico congestizio affetti da depressione. Si è scoperto che c’è una forte correlazione tra la depressione e lo scompenso cardiaco sistolico congestizio e si tratta di un problema importante in quanto molti sono i pazienti che vengono ospedalizzati per le ripercussioni negative che ha la depressione sulla loro salute (14). Recentemente è stato registrato un incremento di depressione sostanziale nei pazienti affetti da scompenso cardiaco; la prevalenza va dal 6 al 90% in base alle caratteristiche della depressione; il tasso di incidenza varia dal 19 al 33% circa nei soliti

(41)

41

pazienti a dimostrazione del fatto che, la depressione sta diventando un problema reale da affrontare per migliorare la qualità di vita correlata alla salute dei pazienti scompensati, anche perché ne amplifica i sintomi (14), perciò si è pensato che fosse importante capire come poter diminuire la presenza della depressione nei pazienti scompensati e si è scoperto che l’attività fisica può fornire una soluzione sicura paragonata ai farmaci antidepressivi che possono dare risultati indesiderati.

Il protocollo di allenamento sperimentato prevedeva un esercizio prevalentemente aerobico su tapis roulant, ripetuto per tre giorni alla settimana e protratto per dodici settimane; in particolare, nelle prime sei settimane l’intensità si manteneva bassa con un training così costituito: 3 giorni a settimana, 20-30 minuti di lavoro ad un’intensità pari al 40-50% della frequenza cardiaca massima; nelle seguenti sei settimane, la durata del training diventò di 30-40 minuti a sessione, sempre tre giorni a settimana con un’intensità del 50-70% che si traduce con un’attività di moderata intensità.

I risultati di questo lavoro hanno evidenziato che l’attività fisica moderata e protratta nel tempo, è in grado di abbassare i livelli di depressione nei pazienti allenati e che la durata dell’attività nel tempo è direttamente correlata con il diminuire del punteggio della depressione (ottenuto dalla somministrazione del questionario Patient Healt Questionnaire-9 [PHQ-9]).

Quindi un protocollo di allenamento aerobico progressivo deve essere raccomandato a tutti i pazienti cardiologici, in particolar

(42)

42

modo per i pazienti affetti da scompenso cardiaco che soffrono di depressione (14).

Un altro studio recente ha affrontato il tema dell’inserimento dell’esercizio fisico eccentrico come possibilità per adattare al meglio il programma di riabilitazione nei pazienti affetti da scompenso cardiaco cronico (15).

Nel corso della sperimentazione sono stati selezionati due gruppi di pazienti affetti da scompenso cardiaco sistolico, con frazione d’eiezione compromessa: un gruppo seguiva solo il programma di riabilitazione convenzionale, l’altro associava allo stesso protocollo delle sessioni di allenamento eccentrico.

Il protocollo convenzionale si articolava di cinque sessioni a settimana di allenamento al cicloergometro della durata di 30 minuti durante i quali veniva raggiunta un’intensità corrispondente ad una prima soglia ventilatoria predeterminata con una frequenza di pedalata di 60 rotazioni al minuto.

Il protocollo modificato prevedeva l’inserimento in due dei cinque giorni di training, di un allenamento di tipo eccentrico, ottenuto facendo lavorare i pazienti ad un’intensità corrispondente alla soglia ventilatoria predeterminata, su un cicloergometro dotato di un motore che avviava una rotazione dei pedali indietro; lo scopo del paziente era quello di contrastare questa rotazione imprimendo una forza risultante della contrazione eccentrica dei muscoli estensori, mantenendo una frequenza di pedalata pari a 60 pedalate al minuto (15).

(43)

43

Durante questo allenamento, l’intensità e la durata dovevano essere progressivamente aumentate per minimizzare l’entità del dolore muscolare esercizio-indotto associato all’inesperienza nella pratica di esercizi di tipo eccentrico.

Alla fine dell’esperimento si è constatato che l’esercizio eccentrico dinamico a carico moderato rappresenta un’alternativa interessante da inserire assieme al training aerobico vista la sua efficienza nel migliorare la forza muscolare in pazienti con compromissioni gravi (15).

Altro recente articolo analizzato per redigere questo elaborato riguarda un esperimento in cui si è preso in considerazione lo stress ossidativo che si verifica nel muscolo scheletrico con scompenso cardiaco cronico in corso come possibile responsabile del declino delle funzioni muscolari(16).

Recentemente si sono fatte molte ricerche sull’impatto positivo che l’attività fisica ha sulla funzione cardiaca in pazienti con scompenso cardiaco cronico nel modello animale, ma non riesce a normalizzare lo squilibrio del metabolismo ossidativo del muscolo scheletrico associato alla malattia lasciando dubbi sull’effettiva efficacia che l’esercizio fisico volontario può avere sul muscolo scheletrico nei pazienti affetti da patologie cardiovascolari.

È ben noto che in condizioni di stress ossidativo, presente nei muscoli di soggetti affetti da scompenso cardiaco, la produzione eccessiva di specie reattive dell’ossigeno promuove la carbonilazione proteica che altera l’omeostasi dei tessuti. Con

(44)

44

queste premesse, l’obiettivo dell’esperimento preso in esame è quello di determinare l’impatto dell’esercizio volontario sui parametri molecolari coinvolti nel metabolismo ossidativo e sulla normalizzazione dello stato redox nel muscolo scheletrico, in momenti diversi durante la progressione della malattia. È stato quindi ipotizzato che, l’esercizio fisico volontario, grazie alla sua abilità di indurre l’attivazione del sistema catabolico, promuova un effetto antiossidante nel muscolo scheletrico favorendo l’eliminazione delle proteine ossidate danneggiate e migliorando così il livello di attività fisica nei topi cardiopatici, ed è stato determinato che l’attività fisica volontaria contrasta la progressione dello scompenso cardiaco cronico che colpisce sia la funzione cardiaca che il muscolo scheletrico (16).

Si è scoperto che l’esercizio volontario, nonostante non influisca sui parametri molecolari chiave correlati al metabolismo ossidativo del muscolo scheletrico, si è rivelato uno stimolo efficace per contrastare lo stress ossidativo nei muscoli scheletrici dei topi cardiopatici. Questo effetto positivo osservato prima della fase finale dello scompenso cardiaco cronico, sembra essere mediato all’induzione di percorsi coinvolti nel controllo della qualità di proteine e associati ad un miglioramento dei livelli dell’attività fisica e delle funzioni cardiache (16). Nello specifico, l’attività fisica migliora la funzione ventricolare ed atriale sia nella fase iniziale che nella fase di transizione dello scompenso cardiaco cronico, ma non nello stadio avanzato della malattia; si capisce

(45)

45

quindi che il miglioramento della funzione cardiaca contribuisce, almeno in parte, al miglioramento del livello di attività fisica nelle medesime fasi. L’attività fisica regolare può prevenire lo stress ossidativo aumentando le difese antiossidanti del muscolo scheletrico o normalizzando i livelli di proteine ossidate attraverso l’induzione del sistema responsabile della loro eliminazione (16).

(46)

46

4 Terapia farmacologica e attività fisica

4.1 Terapia generale dello scompenso

Il trattamento dello scompenso cardiaco si basava principalmente sull’utilizzo di digitale e diuretici, fino a quanto, alla fine degli anni settanta, sono stati fatti dei passi avanti nel campo della farmacologia e quindi sono stati introdotti nuovi principi farmacologici, ossia: i vasodilatatori, gli ACE-inibitori e, più recentemente, gli antagonisti dell’angiotensina II e i beta-bloccanti. I progressi nel trattamento dello scompenso riguardano anche la chirurgia, attuata negli stadi più avanzati della malattia; in particolar modo, il trapianto ha avuto degli ottimi risultati grazie alla disponibilità di un immunosoppressore mediante ciclosporina. Gli obiettivi principali del trattamento dello scompenso cardiaco mirano a: prevenire l’insorgenza e la progressione; eliminare la causa; migliorare sintomi e qualità di vita; migliorare la sopravvivenza.

Le possibilità di intervento sono molteplici e comprendono:

1) Misure generali: racchiudono le azioni volte a rendere coscienti i pazienti della loro malattia, consapevoli dei sintomi, delle complicanze e del comportamento che dovrebbero tenere per rallentare la progressione della sintomatologia. Si compone di tre argomenti da discutere:

(47)

47

a. Consigli di educazione sanitaria riguardo il riconoscimento dei sintomi dello scompenso, la natura della malattia, conoscere la terapia che si andrà a fare sia farmacologica che non e essere a conoscenza dell’attività fisica giornaliera da praticare.

b. Consigli dietologici e abitudini sociali; vanno in base al grado di scompenso perché si presentano condizioni fisiche differenti; nei gradi più lievi della malattia si presentano pazienti spesso sovrappeso o obesi quindi si danno indicazioni per una dieta ipocalorica, con ridotto apporto di sodio. Nel 50% dei casi di scompenso grave può essere presente una condizione subclinica di malnutrizione o cachessia cardiaca, condizione in cui si ha una perdita del grasso corporeo totale e della massa magra; in questo caso, lo scopo della dieta sarà quello di far prendere peso al paziente adeguando un adeguata attività fisica per far aumentare la massa muscolare.

c. Riposo ed esercizio fisico: viene consigliato un esercizio fisico che sia di bassa intensità, che sia progressivo e specifico per ogni caso ci si trova davanti; è sconsigliato far fare sforzi intensi,

(48)

48

improvvisi che comportino un esercizio muscolare isometrico (6).

2) Trattamento farmacologico: negli ultimi vent’anni si sta utilizzando un approccio multi farmacologico che ha portato dei buoni risultati.

Tra i farmaci più utilizzati nel trattamento dello scompenso troviamo:

a. I diuretici. Sono stati i primi farmaci utilizzati per la cura dello scompenso, tanto che, il loro primo utilizzo risale agli anni venti con l’introduzione dei digitali mercuriali; vengono impiegati per l’edema, infatti si ha una riduzione del contenuto in acqua polmonare con l’utilizzo dei diuretici, che porta un miglioramento della compliance polmonare, una riduzione delle resistenze al flusso nelle vie aeree e aumento dell’efficienza del lavoro respiratorio. Attualmente si utilizzano diuretici di classi differenti, classificati in base al luogo di azione a livello del nefrone.

b. Gli ACE-inibitori. Sono entrati a far parte della terapia dello scompenso negli ultimi vent’anni e hanno portato un grande progresso per quanto riguarda la riduzione dei sintomi, della morbilità e della mortalità.

(49)

49

La loro azione principale consiste nel blocco degli effetti sfavorevoli di un’iperattivazione cronica del meccanismo di produzione dell’angiotensina II la quale modula una serie di sistemi neurormonali che provocano vasocostrizione; l’impiego di farmaci che inibiscono in maniera competitiva l’enzima di conversione dell’angiotensina opera sulla vasocostrizione principalmente e induce un aumento di produzione di sostanze vaso dilatatorie attraverso un aumento delle prostaglandine, inibizione del metabolismo delle bradichine e un reset della liberazione del peptide natriuretico atriale in grado di ridurre le pressioni nell’atrio sinistro; oltretutto gli ACE-inibitori stimolano la regressione dell’ipertrofia ventricolare.

c. Glicosidi digitalici. Anche questi farmaci sono utilizzati da molti anni nella terapia dello scompenso cardiaco; sono farmaci con struttura chimica comune che agiscono come cardiotonici; la loro proprietà farmacologica principale è l’aumento dell’inotropismo cardiaco, permettendo al ventricolo di sviluppare più tensione e di svuotarsi meglio.

La digitale induce anche altri effetti sia a livello del muscolo scheletrico perché, attraverso una

(50)

50

serie di eventi che portano ad un aumento della contrattilità miocardica; che a livello del sistema nervoso con un aumento del tono parasimpatico. d. Vasodilatatori. Hanno come obiettivo operare una

riduzione delle resistenze allo svuotamento ventricolare e un aumento della capacitanza venosa, quindi ridurre il precarico e il postcarico; altri effetti clinicamente favorevoli sono il miglioramento della disfunzione ventricolare diastolica, un miglioramento del bilancio energetico miocardico, una riduzione dell’entità dei rigurgiti valvolari, aumento dei flussi ematici regionali e una regressione dell’ipertrofia miocardica.

Il trattamento con vasodilatatori comporta un miglioramento nella sintomatologia, una riduzione delle ospedalizzazioni e aumento della sopravvivenza.

e. Beta-bloccanti. Nella terapia dello scompenso cardiaco, tali farmaci agiscono su più fronti: a livello miocardico sono in grado di prevenire i fenomeni di tossicità catecolaminica, mediati da un aumento di cAMP e da sovraccarico di calcio ed esercitano una funzione anti-ischemica riducendo la frequenza cardiaca; a livello neuroendocrino

Riferimenti

Documenti correlati

• Partendo dalla sua rilevanza per la salute della popolazione generale, è necessario che tutti i bambini possano praticare attività fisica, attraverso approcci che tengano conto

L’attività fisica che le persone dichiarano di effettuare è risultata associata con una forte riduzione della mor- talità, e alcune ricerche l’hanno confermato anche con

I meto- di disponibili per misurare la spesa energetica (vedi sopra) e gli apporti ener- getici non presentano un livello di accuratezza sufficiente per identificare un difetto

Lo studio RADIEL (46) , un RCT finlandese, ha valutato l’ef- ficacia di un intervento fondato sulla combinazione di dieta e attività fisica durante la gravidanza in 293 donne ad

Studi futuri potranno inoltre prevedere la valutazione del ruolo dell’attività fisica nella prevenzione del diabete di tipo 2 nelle donne che hanno sviluppato il DG.. American

I programmi AFA hanno richiesto una attenta e co- stante valutazione da parte della AUSL11 con partico- lare riguardo alla tipologia di reclutamento dei sogget- ti, agli

Significant positive correlations between both fine and lateral root proportion and HCI indicated that the root development of F 1 seedlings was associated with the soil recovery

3 microRNAs (miR-10b, miR-34a, miR-101) shared the same deregulation status in high-grade gliomas (grades III and IV): miR-34a was not deregulated in high-grade gliomas but