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Dalla multicanalita verso l'omnicanalita: le strategie di integrazione tra i canali di vendita tradizionali e digitali. Il caso CafeNoir

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di Laurea Magistrale in

STRATEGIA MANAGEMENT E CONTROLLO

TESI DI LAUREA

Dalla multicanalità verso l’omnicanalità: le strategie di integrazione tra i canali di vendita tradizionali e digitali. Il caso CafèNoir

RELATRICE:

Prof.ssa Alessandra Rigolini

CANDIDATA: Ilenia Orrù

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INDICE

RINGRAZIAMENTI ... 6

INTRODUZIONE ... 8

CAPITOLO 1: LE STRATEGIE DI COMMERCIALIZZAZIONE NEL SETTORE DELLA MODA ... 10

1.1 L’evoluzione dei canali di distribuzione nel mercato della moda ... 10

1.2 La ricerca di un difficile equilibrio tra le diverse strategie distributive ... 12

1.3 Strategie commerciali tradizionali ed emergenti ... 14

1.4 I fattori che influenzano la scelta del canale distributivo ... 46

CAPITOLO 2: L’INTEGRAZIONE TRA I CANALI DI VENDITA ONLINE E OFFLINE ... 48

2.1 L’evoluzione delle strategie di vendita: dal singolo canale all’omnicanalità. 48 2.2 Il consumatore omnicanale ... 52

2.3 I vantaggi e gli svantaggi dell’omnicanalità ... 54

2.4 I “Nove Pillars” dell’omnicanalità ... 57

CAPITOLO 3: IL CASO CAFèNOIR ... 79

3.1 Il mercato di riferimento: il settore delle calzature ... 79

3.2 Passato, presente e futuro ... 81

3.3 Il modello di business ... 84

3.4 I prodotti CafèNoir ... 88

3.5 I canali di vendita CafèNoir ... 92

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3.5.2 Negozi multimarca ... 95

3.5.3 Outlet ... 95

3.5.4 Full Collection Shop ... 98

3.4.5 E-commerce ... 99

3.6 Verso l’implementazione di una strategia omnicanale ... 105

3.7 APPENDICE: Intervista a Stefano Peruzzi, socio e consigliere delegato di CafèNoir ... 111

CONCLUSIONI ... 114

BIBLIOGRAFIA ... 117

SITOGRAFIA ... 119  

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RINGRAZIAMENTI

“Il vostro tempo è limitato, perciò non sprecatelo vivendo la vita di qualcun’altro. Non rimanete intrappolati nei dogmi, che vi porteranno a vivere secondo il pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui zittisca la vostra voce interiore. E, ancora più importante, abbiate il coraggio di seguire il vostro cuore e la vostra intuizione: loro vi guideranno in qualche modo nel conoscere cosa veramente vorrete diventare. Tutto il resto è secondario.”

Steve Jobs

Ho sempre odiato la fine di qualsiasi cosa la fine di un viaggio, la fine delle vacanze, la fine di un bel film. Per questo motivo ho sempre cercato di vedere la fine come un nuovo inizio. Oggi è la fine del mio percorso universitario, la fine di un capitolo, si volta pagina e si va avanti.

I protagonisti di questo libro sono tanti, ed ognuno a modo suo ha contribuito a rendere questo capitolo UNICO e per questo non posso che ringraziarli.

Un grazie speciale va ai miei genitori, i miei due punti di riferimento che mi hanno sempre sostenuta ed assecondata nelle mie scelte, non facendomi mai mancare nulla.

Grazie a Lorenzo, il mio ragazzo, che mi ha sempre supportato e sopportato durante questo percorso. Con la sua dolcezza e con la sua allegria mi ha sempre dato forza e grinta soprattutto nei momenti di sconforto.

Grazie anche a Cinzia, Fabrizio e Rosanna che per me sono una seconda famiglia.

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Grazie alle mie migliori amiche Francesca e Giulia, amiche da una vita che ci sono sempre state, sempre pronte a festeggiare insieme ogni traguardo raggiunto ma anche a darmi la carica quando ogni tanto avrei voluto mollare tutto.

Grazie al "Gruppo Bomba" , un gruppo fantastico di amiche nato in biblioteca, tra i tantissimi pomeriggio di """studio""". Ognuna di loro, a modo suo, ha reso questi anni unici! Senza di voi non saprei come fare!

Grazie anche a Chiara, Debora, Giuliana, Michele, Gioele, Manuel, Michele, Andrea, Luca, Gianluca e a tutti gli altri!

Grazie agli "Amici di Laura", che per me sono stati molto di più di semplici compagni di studio, abbiamo dato quasi tutti gli esami insieme raggiungendo questo importante traguardo.

Grazie alla Professoressa Alessandra Rigolini, la mia relatrice, per la sua disponibilità e professionalità, grazie soprattutto per aver sopportato le mie ansie dandomi sempre preziosi consigli.

Ultimo ma non meno importante, ringrazio CafèNoir, l'azienda dove ho svolto il tirocinio. Ringrazio tutti i colleghi per la loro professionalità, grazie per avermi fatto sentire sempre una di voi, grazie per questi bellissimi tre mesi.

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INTRODUZIONE

La distinzione e le barriere esistenti tra mondo fisico e mondo digitale stanno scomparendo sempre di più. Cade il muro tra “offline” ed “online”.

I clienti, infatti, sono sempre più “connessi” e le loro aspettative in termini di “customer experience” sono in continua evoluzione. Essi non richiedono più di poter interagire con l’azienda utilizzando un unico canale ma desiderano usare i diversi canali contemporaneamente, con l’aspettativa di ritrovare in ognuno di essi la stessa “customer experience” e la stessa “brand experience”.

Il concetto di multicanalità sta cambiando, sempre più spesso si utilizza, infatti, il termine omnicanalità per sottolineare che non è più sufficiente gestire i diversi canali in modo parallelo, ma è necessaria una loro progettazione, sviluppo e gestione coordinata per garantire una piena integrazione tra di essi.

La complessità a cui le aziende devono far fronte aumenta ulteriormente se si considera che lo scenario è in continuo cambiamento ed evoluzione: i clienti continuano, giorno dopo giorno, a scoprire e adottare nuove tecnologie e servizi, rendendo sempre più difficile per le aziende comprendere la rilevanza dei nuovi fenomeni emergenti, definire coerenti strategie omnicanale e capire su quali tecnologie investire per stare al passo, per trattenere i clienti attuali e per raggiungere nuovi segmenti di mercato.

Questo nuovo modello ha impatti consistenti sulle aziende, che sono quindi chiamate ad adeguare la propria organizzazione alle esigenze dei clienti, in continua evoluzione.

Per questo motivo è inevitabile una revisione della struttura organizzativa e dei processi interni, partendo da quelli della supply chain, l’adozione di soluzioni tecnologiche che possano rappresentare delle leve del cambiamento, sino allo sviluppo delle competenze necessarie a guidare questi cambiamenti secondo una logica di sistema in coerenza con il mercato di riferimento.

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Nel primo capitolo di questo elaborato ho fatto una panoramica delle diverse strategie commerciali utilizzate dalle aziende del settore moda, soffermandomi sia sui canali di distribuzione tradizionali, sia su quelli emergenti.

Nel secondo capitolo ho concentrato l’attenzione sulle strategie di integrazione tra i vari canali di distribuzione: dal singolo canale all’omnicanalità, soffermandomi particolarmente su quest’ultima.

Nel terzo capitolo ho infine esaminato, grazie all’esperienza maturata in azienda, uno dei brand italiani che adotta ancora una strategia multicanale: CafèNoir. Nell’ultima parte di questo capitolo, infatti ho indicato le strategie che secondo me l’azienda dovrebbe intraprendere per passare da un’azienda multicanale ad un’azienda omnicanale, cioè che adotta un modello di business in cui i vari canali di vendita sono integrati tra di loro, fornendo così continuità all’esperienza di acquisto dei consumatori.

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CAPITOLO 1: LE STRATEGIE DI COMMERCIALIZZAZIONE NEL SETTORE DELLA MODA

1.1 L’evoluzione dei canali di distribuzione nel mercato della moda

La moda italiana ha da sempre rappresentato in Europa una peculiarità distributiva, una sorta di anomalia se paragonata a quella dei Paesi del Nord Europa.

Questa anomalia è dovuta alle caratteristiche tipiche delle città del nostro Paese: la conformazione architettonica, per esempio, rende i centri storici cittadini dei veri e propri centri commerciali, una sorta di vocazione naturale che quasi nessun altro Paese al mondo ha.

Non ha avuto un peso inferiore la regolamentazione del sistema distributivo e il sistema di licenze in vigore sino alla fine degli anni Novanta, con cui di fatto l’industria commerciale era affidata nelle mani dei singoli comuni. Legislazioni molto diversificate e una sorta di “diffidenza” verso forme commerciali più grandi sono state un ostacolo alla “modernizzazione” della distribuzione italiana. Per tutti gli anni Ottanta il multimarca indipendente, ovvero il piccolo negozio specializzato, ha rappresentato la forma distributiva prevalente.

La prima fase di modernizzazione è passata attraverso la crescita di formule distributive totalmente alternative al dettaglio indipendente: da formule distributive che offrivano un prodotto ed un servizio personalizzato a nuove formule che facevano leva sul prezzo e su una sorta di banalizzazione del prodotto.

Negli stessi anni in cui, l’abbigliamento ed il dettaglio rappresentavano la maggior parte del mercato, i prodotti della calzetteria e quelli dell’intimo incominciavano a vedere aumentare sempre di più lo spazio a loro dedicato negli scaffali.

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Questo rappresenta il primo segnale di un nuovo modo di vendere prodotti di abbigliamento, anche se questa prima trasformazione non ha rappresentato un percorso di sviluppo per l’intera industria.

Le vecchie botteghe così vengono sostituite con le catene dei negozi, un format che ha saputo sfruttare la crisi dei consumi dei primi anni Novanta, la globalizzazione dei modelli di acquisto e l’avvio di un processo di liberalizzazione.

Le catene dei negozi, da una parte potevano contare sugli strumenti delle formule distributive più moderne (come la raccolta dei dati delle vendite su scala dimensionale maggiore, migliore logistica, più limitato lead time, ecc…) e dall’altra parte si adattavano alla specificità dei centri commerciali naturali delle vie storiche delle città italiane, dove la grande distribuzione difficilmente trovava spazi adeguati.

Gli anni Novanta hanno quindi rappresentato il momento della svolta: le catene dei negozi monomarca diventano il fenomeno principale e la direttrice dello sviluppo commerciale della moda italiana.

Rispetto alla grande distribuzione, questo modello non porta a banalizzare il prodotto, ma sfrutta una migliore integrazione tra il sistema produttivo ed il sistema distributivo fino ad allora totalmente separati.

Questa integrazione è dovuta al fatto che il sistema distributivo organizzato ha potuto disporre, grazie alla globalizzazione, di fonti di approvvigionamento a basso costo.

Dagli anni Novanta in poi la competizione si è spostata dall’area produttiva a quella distributiva. Si tratta di una trasformazione fondamentale che ha portato molte aziende di produzione a fare i conti per la prima volta con i clienti finali, non più con la distribuzione o addirittura con la distribuzione intermedia (i grossisti).

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E’ cresciuta una nuova generazione di aziende che hanno modificato il modello di business tradizionale anche con competenze prima non presenti tra il personale, come per esempio il responsabile della rete commerciale.1

1.2 La ricerca di un difficile equilibrio tra le diverse strategie distributive

La modernizzazione della distribuzione della moda nasce quindi, soprattutto in Italia, dall’esigenza dei produttori di disporre di una “macchina per vendere” adeguata al prodotto; non solo un luogo dove rendere disponibile la merce al consumatore, ma una sorta di fabbrica in cui un semilavorato, può diventare un prodotto finito.

Il negozio nella moda rappresenta una vera e propria fabbrica, uno spazio nel quale l’azienda costruisce una parte consistente della catena del valore.

Come detto precedentemente, il format distributivo di quegli anni è la catena dei negozi monomarca; l’integrazione a valle della produzione mette in luce quali siano i vantaggi di questo format; prima di tutto la raccolta e l’analisi dell’informazione sulle vendite, importante a rendere più efficiente la gestione della filiera produttiva: sia che la rete sia formata da negozi di proprietà che sia sviluppata in franchising2, si concretizza un miglior flusso informativo sugli andamenti delle vendite e sui dati riferiti alle scorte.

Le aziende, attraverso i negozi monomarca, inoltre, riescono ad adottare una strategia complessiva e riescono a dare omogeneità alla strategia comunicativa sul punto vendita.

Anche attraverso la formula del franchising, l’affiliato deve rispettare le strategie dell’azienda e gestire il rapporto con il consumatore con una logica unica.

Le aziende della moda però devono fare i conti anche con i clienti multimarca: questo pone un problema nella gestione dei territori e nella valutazione/sviluppo del potenziale commerciale del marchio in ciascuna area. Non tutti i marchi sono                                                                                                                          

1 G. Iacobelli (2010) “Fashion Branding 3.0. La multicanalità come approccio strategico per il marketing

della moda”, Franco Angeli.

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riusciti a sostenere il peso dell’investimento: non sempre il potenziale commerciale del marchio è cresciuto così tanto da alimentare lo sviluppo di una propria rete, né la politica del total look si è rivelata sostenibile da parte di tutte le aziende.

Oggi il problema più consistente delle catene è nei confronti del consumatore: il negozio monobrand ha la peculiarità di presentare prodotti omogenei nello stile, un mood comune che rappresenta lo stile del marchio e quindi del consumatore che lo acquista. L’offerta dei monobrand è funzionale a quei consumatori brand

addicted o in quelle fasi di crescita aziendale in cui si impone il proprio stile sul

mercato. Per quanto questi rappresentino quote significative delle vendite sono pochi i marchi in grado di sfruttare il proprio potenziale di mercato unicamente con catene monomarca. Questo comporta che anche nello sviluppo delle reti commerciali la media azienda dovrà comunque confrontarsi con altri format distributivi e gestirli.

Anche l’affermazione della grande distribuzione mette in evidenza come questa realtà risponda solo ad alcune esigenze.3

Quest’ultimo format si caratterizza per l’ottimo rapporto qualità/prezzo, ma anche per l’ampiezza e la profondità di gamma che sono elevate. Solitamente, l’offerta, soprattutto quando è focalizzata sull’abbigliamento, è trasversale ai diversi segmenti e pensata per essere funzionale a tutto il nucleo familiare. Questi concept distributivi di solito si basano sulla percezione del consumatore di un effettivo risparmio nella spesa familiare e sull’industrializzazione dei servizi post-vendita con lo sfruttamento delle economie di scala nell’offerta dei servizi pre e post-vendita.

Oltre a questi vantaggi però ci sono anche dei rischi: i prodotti offerti in questo tipo di format agiscono sulla leva prezzo in modo molto aggressivo, ma finiscono

                                                                                                                         

3  Nel termine “grande distribuzione” sono inclusi format molto diversi che vanno dall’ipermercato alla

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inevitabilmente per banalizzare il prodotto e renderlo agli occhi dei consumatori una commodity4.

I format distributivi della moda devono quindi conciliare contemporaneamente esigenze diverse e spesso opposte: il risparmio sul prezzo del prodotto non concilia con location centrali e prestigiose, l’attenzione al contenuto dei prodotti e all’ampiezza/profondità di gamma dei prodotti più fashion non sembra conciliarsi con la necessità di fare economie di scala sugli acquisti.

E’ fondamentale quindi per le aziende ricercare un equilibrio tra i vari format distributivi.5

1.3 Strategie commerciali tradizionali ed emergenti

Il prodotto offerto dalle imprese deve raggiungere al più presto il consumatore, prima che sia troppo tardi, ovvero fuori-moda.

Il ruolo della politica di distribuzione è di permettere il rapido incontro fra la domanda e l’offerta eliminando tutti gli ostacoli che si possono presentare e attivando quelle azioni che lo possono rendere ottimale.

Una volta individuato il segmento di mercato capace di recepire un prodotto si tratta di definire il ruolo e la natura della politica distributiva da attuare e scegliere il più idoneo sistema che sia in grado di presentare il prodotto nel migliore dei modi a disposizione dei consumatori.

L’obiettivo che la politica di distribuzione deve raggiungere sarà quello di rendere disponibile, nel migliore dei modi il prodotto presso i clienti e gli intermediari; ciò imporrà a questa politica due specifiche funzioni:

Funzione logistica: ovvero una serie di interventi operativi, di supporto alla distribuzione, come il trasporto, la consegna, lo stoccaggio e la post-vendita;

                                                                                                                         

4 La commodity indica un bene per cui c'è domanda ma che è offerto senza differenze qualitative sul

mercato ed è fungibile, cioè il prodotto è lo stesso indipendentemente da chi lo produce, come per esempio il petrolio o i metalli.

5  G. Iacobelli (2010) “Fashion Branding 3.0. La multicanalità come approccio strategico per il

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• Funzione commerciale: ovvero riguarda la distribuzione vera e propria, nonché una serie di ambiti che la caratterizzano: impiego della forza vendita, scelta dei canali e dei partner distributivi, ecc.

Un canale di distribuzione è costituito dalla combinazione di organizzazioni attraverso le quali il prodotto passa dal produttore all’utilizzatore o consumatore finale. In base al ruolo svolto dagli intermediari, l’impresa avrà a sua disposizione un ventaglio di possibilità per la distribuzione dei suoi prodotti:

- Diretta; - Indiretta; - Mista; - Intensiva; - Selettiva; - Esclusiva; - Mercato globale; - Alleanze distributive.

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Figura 1: Le possibili politiche distributive

Fonte: Foglio A., “Il marketing della moda: politiche e strategie di fashion marketing”, Franco Angeli, Milano 2001, 2007.

Distribuzione diretta

I canali di vendita diretti svolgono direttamente l’attività di vendita sul mercato, questo permette all’azienda di esercitare un controllo su tutto il suo sistema di distribuzione e di vendita, quindi di dare il supporto tecnico necessario e tutta l’assistenza ai clienti del trade.

Questa scelta deve tenere conto di diverse variabili, quali: • Il volume delle vendite in assoluto;

• L’estensione della gamma dei prodotti offerti; • La concentrazione geografica;

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• Il livello di importanza e di consistenza dell’area di mercato e del segmento da servire.

La creazione e la relativa messa a punto di un sistema distributivo di questo tipo richiede un certo tipo di investimento ed un costante controllo affinché l’organizzazione raggiunga gli obiettivi proposti.

La distribuzione diretta viene scelta per diversi motivi, tra cui:

- contatto diretto e una migliore conoscenza dei clienti del trade e dei consumatori;

- recupero di maggiori informazioni dal mercato; - controllo delle attività della forza vendita; - negoziazione diretta con il cliente;

- disporre di una rete di clienti acquisiti direttamente;

- eliminazione di alti e bassi nella vendita come normalmente capita ricorrendo ad organizzazioni distributive autonome;

- applicazione di strategie e politiche di marketing dell’impresa.

Alcune delle figure che caratterizzano questo tipo di strategia distributiva sono: • il venditore dipendente: rappresenta l’azienda e per conto di essa vende e

negozia; per questo motivo deve conoscere bene il prodotto ed il suo settore di appartenenza. Un buon venditore deve, quindi, portare all’azienda le necessarie informazioni relative al mercato, ai clienti del trade abituali e potenziali, ed ai consumatori;

• il rappresentante: è indipendente e per contratto deve vendere un prodotto moda in nome e per conto dell’azienda, fungendo da tramite tra questa ed i clienti. Il rappresentante è per lo più esclusivo ma può essere multimarca, se previsto dal contratto. In questo secondo caso è bene che la sua vendita si

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complementi con prodotti integrabili e vendibili nello stesso circuito distributivo, diversamente sarebbe impossibile, con prodotti troppo diversificati, conseguire le economie di scala;

• la filiale: un’azienda, a seconda del volume d’affari o particolari esigenze, può costituire un’apposita società consociata o affiliata alla casa madre. Questa società avrà una sua organizzazione e curerà direttamente gli aspetti commerciali, finanziari, amministrativi, di vendita sotto il continuo controllo della società madre, rispettando quindi gli obiettivi da quest’ultima proposti a livello di fatturato, immagine, strategie e politiche di vendita. Ci sono tre tipi di filiali:

- filiale di produzione: è una società di diritto, con finalità produttive, che ha sede in una particolare area di mercato; questa filiale può permettere all’azienda di ridurre i costi produttivi, di ricevere incentivi fiscali, ecc…; - filiale di commercializzazione: è una società di diritto che assolve a scopi

commerciali in una specifica area; questo tipo di filiale, anche se richiede un notevole investimento, risolve efficacemente il problema della distribuzione diretta per quelle aziende che intendono coprire particolari aree di mercato;

- filiale di produzione e di commercializzazione: è una società che assolve contemporaneamente sia a finalità produttive che commerciali.

• il franchising: è una forma di alleanza continuativa per la distribuzione dei beni fra un’impresa affiliante (franchiser) e una o più aziende di distribuzione (franchisee), giuridicamente ed economicamente indipendenti l’una dall’altra. In base al contratto di franchising l’affiliante concede all’affiliato l’utilizzo della propria formula commerciale, comprensiva del diritto di sfruttare il proprio know how ed i propri segni distintivi, insieme ad altre prestazioni e norme di assistenza atte a consentire all’affiliato la gestione della propria attività con la stessa immagine dell’impresa affiliante.

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La formula del franchising può essere efficacemente impiegata per rispondere a necessità quali:

- penetrare ed espandersi velocemente in un mercato in forte crescita, onde evitare di perdere opportunità di vendita a causa di un ingresso ritardato rispetto ai concorrenti;

- contrastare marchi concorrenti, ben affermati su un determinato mercato, puntando su maggiori visibilità e notorietà del marchio;

- ottimizzare l’azione comunicativa di un flagship store6 sorto nella piazza principale, affiancandolo con altri punti vendita disposti nelle piazze secondarie;

- minore esposizione a possibili crisi economiche e contrazioni della domanda;

- espandersi su mercati difficili per le peculiarità del sistema distributivo. • il negozio monomarca: alcune imprese prendono sempre più in

considerazione la vendita dei loro prodotti attraverso negozi di proprietà e con il loro marchio. Una forte motivazione nella decisione di acquisto del consumatore è rappresentata proprio dal marchio dei prodotti e dal punto vendita; la combinazione di questi due aspetti trova nei negozi monomarca il migliore riscontro. In questi negozi buona parte dei consumatori ricercano ispirazione, assistenza, servizio e danno in cambio store loyality. E’ una buona scelta distributiva avere dei punti di vendita diretta, ma soprattutto che questi abbiano un’accessibilità, un’ubicazione felice, delle vetrine invitanti e siano in grado di offrire un personal selling e un servizio di qualità. Ci sono diverse possibilità di punti vendita gestiti direttamente dall’impresa produttrice: come negozi di proprietà, shop-in-shop e corner all’interno di aree di vendita come grandi negozi o grandi magazzini.

                                                                                                                         

6  Il flagship store è una tipologia di punto vendita, un negozio, che attraverso le sue caratteristiche

rappresenta una sorta di modello che propone il mood e la qualità del servizio al cliente secondo la scelta del marchio. Spesso viene inaugurato un flagship store anche per dare una svolta allo stile e al format del

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Distribuzione indiretta

I canali di vendita indiretta sono politiche di distribuzione che prevedono la presenza di intermediari tra produttori e distributori. In questo caso l’azienda affida la distribuzione e la vendita dei suoi prodotti ad organizzazioni commerciali esterne. E’ importante avere il giusto intermediario per la penetrazione del mercato e per i riflessi che ne derivano; infatti i rischi connessi ad una cattiva scelta non devono essere sottovalutati, in quanto l’eventuale scarso valore di un intermediario verrebbe a riflettersi nel prodotto che distribuisce e nell’azienda che rappresenta.

L’azienda ricorre a intermediari quando:

• il volume delle vendite è insufficiente per supportare una distribuzione diretta;

• si richiedono presenza in un determinato luogo;

• non si dispone di un sistema distributivo e c’è l’esigenza di averne uno. Questo tipo di politica distributiva presenta vantaggi e svantaggi.

I vantaggi sono:

- la possibilità di penetrare immediatamente il mercato, sempre che la distribuzione venga affidata a chi dispone una valida organizzazione distributiva;

- il ridotto rischio di investimento conseguente all’utilizzo di un intermediario rispetto ad una distribuzione diretta;

- la penetrazione del mercato in tempi ridotti;

- la riduzione dei costi fissi e di gestione in quanto a carico dell’intermediario; - l’immediato utilizzo di personale già esistente e collaudato.

Gli svantaggi sono:

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- la possibile non coerenza degli obiettivi tra l’azienda produttrice e il partner distributivo, visto che quest’ultimo prediligerà quelli a breve rispetto a quelli a medio-lungo termine ricercati dall’azienda;

- l’impossibilità di controllare direttamente la distribuzione e la vendita del prodotto;

- la scarsa decisionalità del partner a mettere in atto suggerimenti, strategie e politiche dell’azienda;

- la tendenza ad anteporre sempre gli interessi dei clienti e dell’organizzazione di intermediazione a quelli dell’azienda produttrice;

- l’interesse a spingere sul mercato prodotti vincenti della gamma, tralasciando quelli meno “fortunati”.

Gli intermediari della distribuzione indiretta possono essere:

• il distributore: rappresenta una giusta soluzione quando l’azienda non è in grado di realizzare una sua distribuzione diretta. Con il distributore si instaura un contratto di collaborazione che assicuri un volume di affari interessante, valutandone bene le potenzialità, la solvibilità e la solidità. Il distributore dovrà essere ben introdotto sul mercato, essere in grado di collocare i prodotti in tutti i canali accessibili, disporre di uno o più depositi, quindi una valida organizzazione che a sua volta realizzi una politica di vendita in conformità con le esigenze di mercato o della sua specifica area di competenza;

• il concessionario: è un altro modo per raggiungere un numero di clienti consistente senza dover investire in una rete distributiva; normalmente la collaborazione è sancita da un contratto che ne stabilisce le funzioni, ed in base ad esso il concessionario acquista e vende sul mercato in nome proprio e per conto del committente, ma con piena indipendenza giuridica, tecnica e finanziaria;

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• l’agente: non è un dipendente dell’azienda, ma è assolutamente autonomo nell’espletamento della sua attività ed offre il vantaggio di sollevare l’azienda da buona parte di distribuzione e vendita, in quanto ha il compito di rappresentarla e di trattare affari con i vecchi clienti abituali e potenziali; il suo rapporto è regolato da un contratto che definisce tutti i limiti della sua collaborazione.

La distribuzione mista

Con questo tipo di distribuzione l’azienda ha il controllo contemporaneo di più canali distributivi.7

Attraverso la scelta distributiva mista l’impresa integra i diversi canali di distribuzione con il mercato in modo sinergico, al fine di rispondere al meglio al mercato, alle esigenze della clientela, ma sempre nel rispetto di un necessario coordinamento, evitando così possibili incongruenze.

Inoltre è possibile individuare tre alternative in termine di pressione distributiva esercitata:

La distribuzione intensiva

La distribuzione intensiva si verifica quando l’azienda cerca di attuare le sue vendite su vasta scala con una distribuzione che raggiunge il maggior numero di consumatori. L’impresa quindi punta ad avere una massima copertura del territorio di vendita e a raggiungere un fatturato molto elevato. La capillarità di questa distribuzione richiede obbligatoriamente all’impresa una costante e sicura produzione, un rifornimento puntuale del mercato, una molteplicità di centri di stoccaggio, nonché il supporto di interventi comunicativi e promozionali per avere un riscontro dei canali distributivi oltre che dei consumatori.

Ci sono due svantaggi che caratterizzano la politica distributiva intensiva:

                                                                                                                         

7 l doppio sistema distributivo impone alle aziende un efficiente e costante coordinamento al fine di

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• la possibile perdita del controllo da parte dell’azienda della sua politica commerciale: il non riuscire ad avere un contatto continuo con i clienti e i consumatori, la differenziazione del servizio dato, la scarsa applicazione delle direttive commerciali, rendono spesso incontrollabile l’azione commerciale presso l’intermediazione;

• il difficile mantenimento dell’immagine aziendale e di prodotto, nonché del posizionamento prestabilito: data la vastità della rete distributiva, difficilmente si riesce a controllare il risconto dell’immagine aziendale e del prodotto.

La distribuzione selettiva

Nella distribuzione selettiva l’offerta viene limitata ad un certo numero di clienti o di negozi che possono assicurare una buona vendita dei prodotti. Attraverso questa politica si attua una selezione dei partner distributivi, in un numero contenuto, conformi all’immagine e alla politica commerciale; attraverso loro si cerca di raggiungere lo specifico segmento di mercato.

Ricorrendo a questa politica l’impresa necessita di un circuito distributivo corto, assolvendo ad importanti funzioni, come: frequenti rifornimenti, consegne rapide, assistenza post-vendita, ecc.

La distribuzione selettiva si basa sulla selezione di partner distributivi, in base a fondamentali criteri:

• validità e consistenza: la scelta deve avere un positivo risconto in tutti quegli aspetti che rendono un partner valido e consistente;

• qualità di servizio a livello di vendita e post-vendita: alto livello qualitativo sempre e dovunque (personale di vendita, assistenza nella vendita e nel post-vendita);

• collaborazionismo: l’impresa, dovendo contenere al massimo i suoi costi distributivi e pubblicitari, necessita di veri partner collaboratori sul fronte

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dell’acquisizione delle vendite, dell’organizzazione aziendale e del trasferimento di notizi utili.

La distribuzione esclusiva

Con la distribuzione esclusiva il produttore vende i suoi capi esclusivamente attraverso i suoi punti di vendita o attraverso i punti di vendita con cui ha stabilito un contratto in esclusiva.

L’azienda conferisce l’esclusiva di vendere i suoi prodotti sul mercato o in qualche particolare area; l’esclusiva dovrà essere regolamentata da un contratto. Gli stessi vantaggi evidenziati nella distribuzione selettiva valgono anche in quella esclusiva.

Figura 2: Caratteristiche delle opzioni di intensità distributiva

Fonte: “Politiche di marketing, analizzare e gestire le relazioni di mercato” di R. Fiocca e R. Sebastiani.

La distribuzione per il mercato globale

Individuato il mercato globale nella sua specificità e individuato il segmento globale capace di unire le omogeneità riscontrate nei diversi mercati, diventa obbligatorio definire quale tipo di presenza si vuole avere in questo mercato, quale ruolo deve svolgere la politica distributiva per mettere a disposizione del consumatore il prodotto nel migliore dei modi.

Si presentano così molteplici situazioni aziendali, di prodotti, di mercati per cui ogni politica distributiva richiede un esame ed una conseguente applicazione; per esempio ci sono aziende globali che abbracciano una o contemporaneamente

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più soluzioni distributive: il loro prodotto viene portato al mercato da un distributore esclusivista, da una filiale con deposito, da un agente, ecc.

L’azienda dovrà mirare ad una politica distributiva:

- selettiva: l’azienda globale concentrerà la sua distribuzione su prodotti e mercati nei quali riesce ad avere un vantaggio competitivo difendibile come sistema distributivo, come buon livello qualitativo del prodotto, ecc…;

- interdipendente: si possono mettere insieme opportunità distributive in più mercati o in diverse aree specifiche, nel rispetto di una logica aziendale distributiva unitaria; sarà quindi possibile ricorrere ad accordi commerciali, alleanze distributive, joint venture8 commerciali e praticare una gestione centralizzata dei sistemi distributivi messi in atto per perseguire obiettivi coerenti con la strategia globale.

Alleanze distributive

In presenza di un mercato sempre più vasto, l’impresa per rispondervi adeguatamente e strategicamente, deve acquisire una dimensione maggiore, raggiungibile attraverso le strategiche alleanze.

Le motivazioni che portano alle alleanze distributive trovano il loro riscontro in tre elementi: la tecnologia, il mercato e la concorrenza.

L’innovazione tecnologica richiede specializzazione, interventi commerciali di integrazione; quindi diventa inevitabile effettuare delle alleanze con chi può assicurare nuovi sbocchi ed economie di scala. E’ quindi lo stesso mercato a richiedere alleanze: riuscire a conoscere ed a penetrare aree nuove di mercato richiede capacità, risorse finanziarie e professionalità. Infine è anche la stessa competizione a volere delle alleanze: davanti a concorrenti agguerriti la migliore via per difendersi con intelligenza è quella di ricercare possibili integrazioni al fine di avere una dimensione capace di sostenere il confronto o anche di averli                                                                                                                          

8 Una joint venture rappresenta un accordo di collaborazione tra due o più imprese, la cui unione definisce

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alleati; questo tipo di alleanza potrà essere a livello commerciale, produttivo o finanziario.

Sono, quindi, possibili alcuni tipi di alleanze, come:

• alleanza distributiva con aziende produttrici di beni complementari: aziende con prodotti complementari hanno interesse ad associarsi nella vendita visto che devono rivolgersi allo stesso mercato attraverso gli stessi intermediari;

• alleanza distributiva con aziende produttrici che si rivolgono alla stessa clientela: si differenzia dal caso precedente, perché i prodotti non sono più complementari, ma si rivolgono agli stessi clienti.

Oltre a questi format distributivi, più tradizionali, ci sono altre due politiche distributive che stanno evidenziando forti tassi di crescita: i factory outlet e l’e-commerce.9

I factory outlet

I factory outlet sono catene/negozi nei quali vengono smaltite le rimanenze di fine stagione con una stagione in ritardo; si tratta quindi di prodotti fuori stagione che vengono messi in commercio a sconti promozionali.

Si tratta, generalmente, di complessi di ampie dimensioni, caratterizzati da un mercato orientato dall’offerta commerciale.

I factory outlet intendono conciliare due diverse esigenze: l’interesse dell’impresa a valorizzare dal punto di vista commerciale uno stock di prodotto invenduto e l’interesse del retail a non rimanere spiazzato da quell’offerta a basso costo, in quanto la posizione decentrata dei factory outlet dovrebbe evitare di interferire con i punti di vendita cittadini.

La selezione dei creativi, le politiche marketing, la scelta di canali distributivi, gli stessi modelli organizzativi della filiera sono tutti strumenti per ridurre i rischi di                                                                                                                          

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invenduto. Ma per quanto si cerchi di minimizzare le scorte, quest’ultime restano una costante di ogni stagione. E’ quindi necessario mettere a punto formule di gestione delle rimanenze di fine stagione. In un contesto in cui le decisioni in questo campo sono particolarmente delicate, incorporano rischi di valorizzazione del marchio e possono generare nei consumatori il rinvio degli acquisti in attesa dei saldi, le pratiche di gestione delle rimanenze si sono evolute sviluppando canali di vendita paralleli a quelli dei saldi nei negozi tradizionali.

In questo ambito, le formule sono state quelle dello spaccio, dello stocchista e successivamente dell’outlet.

Il pericolo di un “inquinamento” del mercato e la mancanza di un controllo diretto sulla destinazione finale del prodotto hanno indotto molte aziende a sfruttare spazi commerciali di proprietà e localizzati nelle adiacenze dei propri stabilimenti10.

Lo spaccio è un punto vendita di proprietà del produttore, situati in prossimità della fabbrica, dove si vendono collezioni passate e articoli di seconda scelta ad un prezzo ribassato. Si acquista solo la fine produzione del produttore e quindi quanto resta dei suoi brand11.

Ha così assunto una funzione aggiuntiva a quella tradizionale, ovvero quella di

offrire prodotti a prezzi scontati ai propri dipendenti e successivamente è diventato un canale di smaltimento dell’invenduto12.

Dai primi esperimenti, molto spartani, si è passati a formule più evolute, con un

layout più accattivante e ricercato e con servizi di assistenza all'acquisto per i

quali frequentemente venivano coinvolti gli addetti dell'area commerciale.                                                                                                                          

10  G. Iacobelli (2010) “Fashion Branding 3.0. La multicanalità come approccio strategico per il

marketing della moda”, Franco Angeli.  

11  Confcommercio Venezia.  

12    C. Tartaglione, F. Gallante e M. Ricchetti (2011)“La distribuzione commerciale nella moda”.

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Con questa evoluzione, se da un lato è andata progressivamente riducendosi la percentuale di sconto per il consumatore, dall'altro lato si è rafforzata la possibilità per il produttore di effettuare una sorta di test commerciale sui consumatori.

Lo stocchista è un’impresa commerciali specializzata nella vendita di prodotti acquistati in grandi quantità da imprese in fallimento, da aziende vittime di gravi sovrapproduzioni nonché da altre imprese distributive decise a ridurre la consistenza e il peso dei loro magazzini.

Gli stocchisti riescano a vendere articoli di marche note a prezzi mediamente inferiori del 20-40%.

La differenza fondamentale tra i factory outlet e gli stocchisti è determinata: • dalla gestione del punto vendita che è del produttore nel primo caso, mentre

nel secondo caso è del commerciante;

• dall’assortimento del punto di vendita, in quanto i factory outlet propongono solo la marca o le marche del produttore, mentre lo stocchista è sicuramente un punto vendita plurimarca che segue le opportunità e la politica commerciale del gestore.

Vista la quota significativa di mercato che questo canale ha cominciato ad occupare, le imprese hanno iniziato così a ricercare nuove formule distributive, come quella dei Factory Outlet, i quali hanno rivitalizzato l’idea della vendita diretta, cambiandone totalmente caratteristiche e funzioni rispetto alla formula dello spaccio.

La formula moderna e di maggior successo nell’ultimo decennio di vendita diretta degli invenduti di stagione è quella dei Factory Outlet Center (FOC). Sviluppatasi negli Stati Uniti attorno agli anni Ottanta, questa formula si è sviluppata notevolmente in Europa, prima nelle periferie di Parigi e Londra poi, in misura molto consistente, in Italia.

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“I FOC, dunque, sono strutture commerciali complesse extraurbane, ad architettura esperienziale che concentrano spazialmente dei punti vendita monomarca e autogestiti, caratterizzati da un assortimento speciale – fisso nella marca ( brand e griffe note di elevato appeal ) ma variabile nelle referenze – ad

un prezzo ribassato rispetto a quello del dettaglio tradizionale urbano.” 13

Le caratteristiche fondamentali dei Factory Outlet Center sono:

• strutture commerciali complesse localizzate in aree extraurbane: i FOC sono strutture realizzate su una superficie di oltre 10.000 mq, localizzate in aree extraurbane, in prossimità delle principali vie di comunicazione stradale, quindi, facilmente accessibili;

• strutture che forniscono un elevato livello di servizi: questo format distributivo, oltre che rappresentare agglomerati di punti di vendita sono caratterizzati dal fatto che insieme ai punti di vendita offrono una serie di servizi quali: ristorazione, aree bimbi, servizi navetta, parcheggi gratuiti, sportelli bancomat, ufficio informazioni turistiche e, in alcuni casi, parrucchiere e sartoria. La dimensione dell’intrattenimento assume così una valenza distintiva che caratterizza queste formule;

• architettura esperienziale: utilizzano una forma esterna particolare, realizzando uno “ Stile Villaggio” che riproduce un centro cittadino curando aspetti tipici, storici o culturali del contesto nel quale si inseriscono, attraverso la ricostruzione di stradine, piccole piazze e panchine. I punti vendita sono curati nel layout e nel merchandising, e viene prestata particolare attenzione all’estetica complessiva del centro che rappresenta un fattore veramente distintivo oltre ad essere un elemento necessario per la differenziazione rispetto ai centri commerciali tradizionali;

• punti vendita gestiti direttamente dal produttore che offrono varietà di categorie merceologiche ad assortimento variabile: non sono specializzati nell’offerta di una determinata categoria di prodotto, anche se in realtà si                                                                                                                          

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evidenzia una netta prevalenza dell’abbigliamento sulle altre categorie merceologiche. E’ importante ricordare che i prodotti offerti da queste strutture di vendita appartengono a collezioni passate di marche note ad elevato appeal ed, in generale, costituiscono la merceologia residuale delle aziende;

• prezzi permanentemente ribassati: il prezzo è ribassato dal 30 al 70% rispetto al prezzo pieno del prodotto in quanto l’assortimento è rappresentato da offerte rimanenze, prodotti difettati, linee sperimentali, eccedenze di produzione di articoli di marca14.

Figura 3: Il modello insediativo del Factory Outlet Centre

Principio insediativo

Aggregazione spaziale di più punti vendita specializzati monomarca, esercizi di vicinato e medie superfici di vendita, con configurazione insediativa di tipo areale.

Localizzazione

In ambiti extraurbani, con buona dotazione infrastrutturale ad alta accessibilità, spesso in prossimità di un asse autostradale, spesso a vocazione turistica secondo una logica simile a centri commerciali extraurbani. Connotazione urbanistica simile alle grandi superfici di vendita, pur nel quadro di una diversa organizzazione interna.

Autorizzazione e attuazione

urbanistica Autorizzazione commerciale generalmente di competenza comunale e regionale.

Capacità di attrazione

Sono organizzati per sfruttare le sinergie e le capacità di vendita dei diversi "marchi" e l’integrazione con altri format di offerta legati a tempo libero e intrattenimento, ai servizi di ristorazione, alla promozione turistica.

Fonte: “La distribuzione commerciale nella moda”, a cura di C. Tartaglione, F. Gallante e M. Ricchetti.

                                                                                                                         

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Figura 4: Tipologie di Factory Outlet Center per superficie e periodo di maggior sviluppo

Soglia dimensionale Formula distributiva Periodo di sviluppo

Da 50 a 1.500mq Spaccio 1970-1980

Da 150 a 3.000mq Stocchista 1980-1990

Fino a 6.000mq Outlet park 1990-2000

Oltre 9.000mq Outlet village 2000-oggi

Fonte: “La distribuzione commerciale nella moda”, a cura di C. Tartaglione, F. Gallante e M. Ricchetti.

L’e-commerce

Il commercio elettronico o e-commerce consiste nella compravendita, nel marketing e nella fornitura di prodotti o servizi attraverso computer collegati in rete. Una delle definizioni che meglio ne delinea le caratteristiche e le potenzialità è quella contenuta nella Comunicazione della Commissione UE 97/157 in cui il commercio elettronico è definito come “lo svolgimento di attività commerciali e di transazioni per via elettronica e comprende attività diverse quali la commercializzazione di beni e servizi per via elettronica, la distribuzione on-line di contenuti digitali, l'effettuazione per via elettronica di operazioni finanziarie e di borsa, gli appalti pubblici per via elettronica ed altre procedure di tipo transattivo della Pubblica Amministrazione”.

Si definisce quindi e-commerce, letteralmente "commercio elettronico" un insieme di transazioni commerciali tra produttore (offerta) e consumatore (domanda), realizzate con l’utilizzo di computer e reti telematiche, e finalizzate allo scambio di informazioni direttamente correlate alla vendita di beni e servizi. Il commercio elettronico ha come obiettivo la realizzazione, per via elettronica, di affari, in particolare supporta il processo di compravendita, per via telematica, di prodotti e servizi; questo significa che l’e-commerce deve assolvere finalità di informazione, comunicazione e promozione, vendita ed assistenza.

L’e-commerce offre all’impresa la possibilità di raggiungere diversi obiettivi specifici come:

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• Offerta, promozione, transazione e vendita di prodotti/servizi online; • Conseguimento di visibilità sulla rete;

• Incremento delle vendite;

• Comunicazione con utenti/clienti; • Assistenza online ai clienti; • Recupero nuovi clienti;

• Rafforzamento dell’immagine aziendale;

• Integrazione con il marketing e la vendita offline15. Figura 5: Flow chart relativo all'e-commerce

Questi tipi di transazioni esistono da anni e sono state realizzate fino ad oggi soprattutto negli scambi commerciali tra aziende tramite uno scambio di informazioni testuali, utilizzando la tecnologia chiamata EDI, Electronic Data                                                                                                                          

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Interchange. Quello che indichiamo adesso con il termine commercio elettronico

è in realtà Internet Commerce, ovvero le stesse operazioni vengono realizzate utilizzando le nuove tecnologie di rete che oltre a consentire lo scambio di messaggi testuali, consentono anche di realizzare siti multimediali e interattivi. Internet, in sostanza, ha trasformato il commercio elettronico da semplice scambio di dati tra imprese in una vera attività commerciale in cui i siti Web funzionano come negozi virtuali annullando la distanza tra l’azienda produttrice, Internet ed il consumatore finale.

L’e-commerce è business e per questo motivo tutto quello che vi ruota attorno deve essere finalizzato a questo scopo; non ci può essere improvvisazione o causalità, altrimenti le conseguenze potrebbero essere catastrofiche.

L’e-commerce quindi, per avere un riscontro positivo dal cybermercato16, deve presentare alcune caratteristiche:

- Scelta strategica: fare e-commerce e disporre di un sito web è una scelta strategica aziendale; accettandolo un’impresa compie una profonda decisione che la porta a cambiare il modo tradizionale di fare business;

- Business innovativo: il commercio elettronico si presenta in maniera innovativa e proprio per questo motivo non deve essere la traslazione in rete di quanto si fa con il commercio tradizionale nel mercato reale;

- Integrazione con il business tradizionale: l’e-commerce non deve essere sostitutivo o in antitesi, ma deve integrarsi con esso e supportarlo;

- Facilità di utilizzo e accessibilità: potenzialmente fare e-commerce non è difficile ed è accessibile democraticamente a tutti, sia alle grandi sia alle piccole imprese; questa possibilità è data anche alle singole persone, basta avere un computer, una connessione a internet, un sito con una pagina web ed infine un prodotto/servizio da offrire ai cyberclienti;

                                                                                                                         

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- Professionalità: facendo l’e-commerce in maniera professionale, saranno visibili, nel medio-lungo termine, gli effetti che è in grado di apportare; - Informazione: il commercio elettronico basa tutto sull’informazione che

accompagna il prodotto e la sua vendita; quindi questo significa che il commercio elettronico prima di vendere deve informare, facendo pervenire le giuste informazioni al cliente;

- Orientamento al cybercliente: il cybercliente nel sito da lui visitato e nella transazione che attiva deve trovarsi a suo agio; nel sito web, informazioni, offerta, promozione, transazione e assistenza devono essere predisposte per riscontrare con efficacia la sua soddisfazione;

- Interattività: ci deve essere interattività tra l’impresa offerente ed il destinatario; è difficile realizzare un e-commerce senza la collaborazione e un coinvolgimento dell’acquirente;

- Personalizzazione: questo rappresenta il fattore più importante dell’e-commerce. L’e-commerce rompe il sistema della vendita e della comunicazione di massa e restaura il ritorno alle relazioni dirette con i cliente; l’offerta, la transazione, i messaggi, devono essere personalizzati e non devono cadere nella generalizzazione e nel banalismo;

- Rapidità: la transazione si svolge in tempo reale e quindi la velocità è fondamentale per il successo dell’e-commerce; i motivi per cui ci si rivolge alla rete per fare acquisiti sono svariati, ma uno di questi è sicuramente il risparmio del tempo da parte dei clienti. La rapidità dovrà essere assicurata da una veloce connessione e dal riscontro facile ed immediato del sito;

- Globalità: la transazione può arrivare in qualsiasi parte del mercato globale, quindi si deve favorire il riscontro a livello di linguaggio, predisponendo informazioni anche in altre lingue;

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necessita di spostamenti fisici presenta una consistente riduzione dei costi; - Scelta tecnologica: si rendono necessarie decisioni tecnologiche per

garantire una serie di prestazioni (rapidità di caricamento, sicurezza nel trasferimento dati e nelle transazioni online, ecc..) e ovvie riduzioni di costi. Il commercio elettronico può essere distinto sulla base della tipologia della consegna del bene/servizio. In base a questa classificazione distinguiamo due tipologie:

- Commercio elettronico diretto: la consegna del bene/servizio all'acquirente viene effettuata in modo digitale tramite internet (es. download software, e-book, informazioni, accesso a servizi online, hosting, registrazione domini ecc.). Il bene acquistato online ha natura digitale.

- Commercio elettronico indiretto: la consegna del bene/servizio all'acquirente viene effettuata in modo fisico tramite la spedizione postale (es. acquisto online e spedizione postale all'indirizzo dell'acquirente). Il bene acquistato online ha natura tangibile.17

Un’altra classificazione può essere fatta sulla base dell’offerente e del destinatario dell’offerta online. In questo caso esistono tre principali tipologie di e-commerce:

• Business-to-Business (B2B): comprende transazioni di beni e servizi che avvengono tra un’impresa ed altre imprese.

Il B2B consente alle imprese di fare transazioni dirette a costi ridotti, in tempo reale, con un migliore coordinamento degli aspetti logistici, personalizzando l’offerta ed attivando un business a livello globale. Siamo in presenza di una transazione molto evoluta, visto che la domanda e l’offerta si riscontrano in tempo reale, in forma automatizzata, senza alcuna intermediazione e con notevoli risparmi di costi.

Attraverso il B2B si ha modo di dare un ottimo riscontro alla necessità di approvvigionamenti che le imprese devono fare presso altre imprese per il                                                                                                                          

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loro processo di produzione e/o di gestione, nonché di vendita.

Tra i prodotti forniti nel B2B si comprendono, materie prime, componenti, semilavorati, macchinari, mentre tra i servizi tutti quelli necessari per il processo produttivo, commerciale e gestionale.

Le imprese trovano nel B2B uno strumento utile, non solo per la conclusione di una trattativa di vendita, ma anche per l’espletamento di tutta quella pre-vendita che certi prodotti industriali richiedono. Infatti, via Internet, è possibile presentare l’azienda, i prodotti, rispondere a tutte le possibili domande e attivare la negoziazione; il B2B quindi, coinvolge fornitori ed acquirenti sia a livello di vendita, ma anche di informazione e di comunicazione, visto che permette di mantenersi informati e di scambiarsi messaggi. L’impresa che deve esternalizzare efficientemente e strategicamente le sue produzioni ricorrendo al B2B, ha la possibilità di trovare in rete dei fornitori con efficienza produttiva e con prezzi interessanti. • Business-to-Consumer (B2C): fa riferimento a transazioni relative alla vendita di beni di consumo e alla fornitura di servizi tra imprese e consumatori finali. La possibilità di vendere online direttamente ai consumatori è offerta sia alle grandi che alle piccole-medie imprese produttrici, nonché commerciali che dispongono di un sito nel quale si configura il loro negozio virtuale.

Il B2C si caratterizza per un’offerta in grado di attivare con lui un rapporto interattivo e personalizzato; per questo deve disporre di un sito facilmente accessibile e a lui mirato, dotato di una chiara e completa informazione, di prodotti facilmente acquistabili, quindi con una bassa incidenza nei costi di trasporto e di consegna, infine da una transazione semplificata e sicura sotto tutti i punti di vista, vista la sfiducia del consumatore nei confronti degli acquisiti a distanza e di venditori sconosciuti.

Il successo del B2C è dovuto soprattutto alla “fiducia” del consumatore in questo tipo di vendita: nella misura in cui aumenta la sua fiducia aumenta anche il B2C; un consumatore che non ha fiducia, cui non viene garantita un’assoluta sicurezza, difficilmente potrà accettare questo tipo di vendita.

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• Consumer-to-Consumer (C2C): comprende tutte le transazioni online fatte tra privati, infatti il consumatore esperto di navigazione può creare una sua home page e attraverso questa svolgere parecchie funzioni d’e-commerce, tutte indirizzate ad altri consumatori nel contesto del C2C. Alcuni esempi possono essere: vendere prodotti, offrire servizi, scambiare prodotti/servizi, trovare lavoro o un affitto.

Il consumatore, rispettando la netiquette18, è libero di vendere, acquistare prodotti/servizi; di solito per quanto riguarda i prodotti, vengono da lui immessi nella vendita online prodotti che per lui non sono più utili, ma che per altri potrebbero ancora esserlo oppure presentare offerte di cui si vuole gestire la vendita in prima persona senza nessun intermediario.

Questo tipo di transazione è molto personalizzato ed è basato sulla serietà dei contraenti, infatti i pagamenti, solitamente, avvengono offline. I consumatori, però, oltre a scambiare tra loro prodotti e servizi in maniera diretta, possono anche farlo in maniera indiretta ricorrendo a siti di aste online; in questo caso il pagamento degli importi potranno essere fatti sia online che offline.

Esistono poi altre due categorie di commercio elettronico oltre alle tre tipologie appena descritte:

• Business-to-Administration: riguarda tutte le transazioni effettuabili tra azienda e pubblica amministrazione. Attualmente, in Italia, questa categoria è ancora in fase di lancio soprattutto per i ritardi nell’adeguamento alle nuove tecnologie da parte della pubblica amministrazione. Riguarda la possibilità di ottenere concessioni, permessi, riscossioni di tasse, ecc.

• Consumer-to-Administration: ancora in fase embrionale, riguarda le transazioni tra cittadini e pubblica amministrazione, ad esempio per il pagamento delle tasse e contributi.

Le imprese hanno finalmente capito che attraverso Internet si dispone di un nuovo modo di mettersi in relazione con il mercato, con la domanda, con i vari                                                                                                                          

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interlocutori; non prendere in considerazione questa possibilità significa non vivere l’attuale era digitale, quindi rinunciare alle non poche opportunità che vengono offerte; ciò richiederà di ripensare il modo di essere impresa e fare business, quindi prendere l’occasione di rivitalizzarsi, conseguendo una serie di vantaggi:

• Presenza globale: chi si cimenta sul web (grande, media, piccola impresa) si trova proiettato nel mercato globale, acquisendo così una visibilità globale. • Eliminazione di varie barriere: quelle che Interne abbatte sono svariate e

tutte di grande portata; prima di tutto sono annullate le barriere geografiche visto che si comunica e si interagisce a livello planetario, quindi quelle temporali (tutto avviene in tempo reale in maniera efficiente e con un notevole risparmio dei costi).

• Immagine innovativa e prestigiosa: l’impresa ha modo di esternare non solo le sue potenzialità, ma anche le sue qualità; avere un sito assicura all’impresa un’immagine innovativa, rafforzata e di prestigio.

• Ottimo vantaggio competitivo: l’e-commerce per chi lo affronta strategicamente e con professionalità può diventare un vantaggio competitivo di grande effetto, in grado di apportare fruttuosi risultati nella conquista del mercato online.

• Limitato investimento: l’attivazione e il mantenimento del canale comunicazionale, promozionale, di vendita che un sito alimenta richiede nel complesso un investimento limitato, se si confronta con gli investimenti necessari per gestire un canale tradizionale.

• Nuove opportunità: il principale motivo per cui si decide d’intraprendere l’e-commerce sta proprio nel fatto che si possono creare nuove opportunità di business; per alcune imprese può anche rappresentare un modo nuovo per integrare quanto fatto offline.

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• Mercato online aperto anche alle piccole-medie imprese: nella rete c’è posto per tutte le imprese; la vetrina che offre Internet alle piccole-medie imprese ha sicuramente un effetto moltiplicatorio che nessuna strategia di marketing offline è in grado di dare.

• Sviluppo nuovi prodotti/servizi: il web ha la potenzialità di suggerire l’offerta di nuovi prodotti/servizi online che il mercato non avrebbe mai pensato di chiedere; pensiamo a servizi online di comunicazione, di ricerca, di informazione.

• Contatto diretto tra impresa e consumatori: avere un contatto one-to-one diretto tra chi vende e chi acquista, oltre a rendere la transazione immediata, flessibile, con prezzi più competitivi, da più sicurezza su due fronti visto che si interfacciano i soggetti della transazione senza alcuna intermediazione; intraprendere un’azione di marketing one-to-one riscontra un grande apprezzamento degli stessi interlocutori che si vedono indirizzare offerta, messaggi, servizio personalizzati.

• Presenza e raggiungibilità continuata dell’impresa: l’e-commerce può vendere per 24 ore al giorno, per 365 giorni all’anno; questa flessibilità soddisferà il cliente che in qualsiasi momento potrà ordinare, permettendo all’azienda di ricevere ordini in qualsiasi momento e incrementare le sue vendite.

• Informazioni e comunicazioni in tempo reale e su vasta scala: è possibile ricorrere alla rete per rispondere alle esigenze informative e comunicazionali esterne ed interne all’impresa in tempo reale; informazioni e comunicazioni godranno di una diffusione su vasta scala; i vari interlocutori potranno disporre in tempo reale e a costi bassi di tutte le necessarie informazioni. • Diffusione in tempo reale, su vasta scala e a costi contenuti di campagne

comunicazionali e promozionali: queste campagne su Internet possono far giungere il loro messaggio in tempo reale, in tutto il mercato, ai vari

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destinatari, a prezzi notevolmente più bassi di quelli praticati per le stesse campagne offline.

• Realizzazione di database: è possibile raccogliere tutte le informazioni che l’interattività della rete è in grado di apportare (nominativi e indirizzi email di visitatori e interlocutori), è possibile creare con il tempo un valido database da utilizzare per azioni di direct marketing.

• Feedback in tempo reale del mercato di competenza e dei beneficiari: attraverso dei software, studiando e controllando il comportamento dei beneficiari nel sito (numero di visite, tempi e durata delle visite, email, provenienza, ecc…) si ha modo di avere un’immediata verifica degli stessi, dell’accoglimento di un prodotto/servizio, del riscontro di una campagna comunicazionale o di qualche intervento promozionale e portarvi dovuti aggiustamenti.

• Risparmi e riduzione dei costi: nel web si ottengono sostanziali risparmi e notevoli riduzioni di costo a livello di comunicazione e promozione, di eliminazione del materiale stampato (cataloghi, brochure, ecc…) e di servizi; con la soluzione offerta offline rispetto al sistema tradizionale ci sono costi molto più accessibili soprattutto per le piccole-medie imprese.

L’e-commerce, però, oltre ai vantaggi appena elencati presenta alcuni limiti: • Scarsa conoscenza: c’è ancora una ridotta conoscenza del fenomeno sia sul

fronte dell’offerta che della domanda.

• Limitato numero degli utenti: il numero dei navigatori in Internet nel nostro paese è ancora limitato rispetto a quello degli altri paesi; questo fa rallentare lo sviluppo dell’e-commerce e frenare le possibili intenzioni delle imprese a cimentarvisi.

• Diffidenza degli utenti: molti utenti non hanno fiducia negli acquisti online; questo è dovuto alla poca sicurezza nel pagamento, nella consegna, nella non

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conformità dei prodotti, ecc….

• Disinteresse da parte di imprenditori e manager: il nuovo modello di fare business online non suscita sempre l’interesse di tanti imprenditori e manager.

• Mancanza delle necessarie professionalità all’interno dell’azienda: commerce richiede validi professionisti in vari ambiti; la lentezza con cui l’e-commerce si attua è dovuto, in gran parte, alla mancanza di personale adeguato a supportare il relativo progetto.

• Risorse finanziarie insufficienti: molte aziende, soprattutto quelle di piccole dimensioni, pur consapevoli che l’investimento iniziale richiesto dall’e-commerce non è eccessivo, non investono a sufficienza in questo comparto.

• Difficolta di ordine tecnologico: ci sono problemi di ordine tecnologico che rallentano la navigazione in Internet e frenano le visite di siti e i possibili acquisti online, come la difficoltà di utilizzo di certi software e di trasmissione dei dati, ai tempi troppo lunghi di caricamento dei siti e all’eccessivo traffico sulle linee di accesso.

• Alto tasso di competitività: chi fa e-commerce vuole riuscire assolutamente in questa impresa, perciò alimenta un alto tasso di competitività sul fronte dei prezzi, ma anche delle stesse politiche e strategie di web marketing; l’alta competitività, se da un lato è un aspetto positivo per chi deve acquistare, sicuramente è negativo per chi deve offrire, in quanto deve continuamente adeguare a quanto la battaglia competitiva in rete impone.

• Mancanza di certezze sugli effettivi risultati e sui tempi di rientro dell’investimento fatto: molte imprese hanno intrapreso l’e-commerce, ma i risultati sono tutti proiettati nel medio-lungo termine; è chiaro che il non poter verificare i risultati in tempi ragionevoli, frena le intenzioni di coloro

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