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Il ruolo della CNA nell'economia della Toscana.

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Academic year: 2021

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Facoltà di Scienze Politiche

Corso di Laurea in Comunicazione d’impresa e politica delle Risorse Umane

Tesi di Laurea Magistrale

Il ruolo della CNA nell’economia della Toscana

CANDIDATO: RELATORE: Federica Costa Prof. Marco Giannini

Anno Accademico 2016/2017

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Ringraziamenti

Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato nella realizzazione della

tesi

con

suggerimenti,critiche

e

osservazioni.

Ringrazio inanzitutto il Professore Marco Giannini, il relatore: senza il suo

supporto e la sua guida questo lavoro non esisterebbe.

Un ringraziamento particolare va al direttore della CNA di Carrara, Paolo

Ciotti: un prezioso aiuto per il reperimento dei dati necessari alla realizzazione

di questa tesi.

Infine vorrei ringraziare le persone a me più care: i miei genitori, che mi hanno

appoggiata durante tutto il mio percorso, le mie Amiche per il loro sostegno e

diletto.

(3)

“ La vera possibilità di questo mettere fine a questo ricatto è nelle mani di noi cittadini e

inizia dalla presa di coscienza che il sistema capitalistico nella sua espressione disumana e

perversa, il neoliberismo, ha ormai toccato il fondo.

E’ vero che non abbiamo un’alternativa chiara, concreta, realizzabile a breve termine, ma

c’è già il germe della più urgente delle rivoluzioni: la rivoluzione dell’immaginario di

società, di paese, di comunità umana che vogliamo lasciare in eredità ai nostri figli.

Dobbiamo decidere se vogliamo essere cittadini o consumatori, se abbiamo davvero

bisogno di una sovrapproduzione di beni deperibili, di brevissima durata. E soprattutto

dobbiamo capire che la democrazia non consiste nell’andare a votare ogni quattro anni

per poi dimenticarsi dell’argomento. ”

Luis Sepùlveda.

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INDICE

Introduzione………..p. 6

1. La crisi finanziaria del 2007.

1.1 Il contesto globale………..p.

1.2 Gli effetti della crisi……….p.9

1.3 La crisi in Italia……….p.16

1.4 Le cause della crisi economica in Italia………...p. 23

2. La Toscana in chiaro

2.1 I principi di crescita, equità, efficienza in Toscana………..p.34

2.2 Le aziende della Toscana………p.37

2.3 Lo sviluppo delle Piccole e medie Imprese industriali, artigiane e cooperative…….p.40

2.3.1 La gestione degli interventi………..p.42

2.4 La situazione economica e sociale in Toscana……….………..p.44

2.5 L’analisi territoriale dei dati congiunturali……….p.46

2.6 Le imprese dinamiche: comportamenti e performance……….p.46

2.7 Le previsioni per il triennio 2017-2019……….………...p. 52

Conclusione………...p. 57

3. L’andamento economico della provincia di Massa e Carrara

3.1 La dinamica delle imprese………..p. 58

3.2 La dinamica storica dell’occupazione nelle imprese……….p. 71

3.3 La dinamica delle imprese e dell’occupazione nel 2016………p. 75

3.3.1 La dinamica dell’economia apuana nel 2016………p. 76

3.3.2 La forza lavoro nella provincia di Massa Carrara………p. 82

3.4 La riqualificazione dei grandi poli industriali……….p. 93

4. La CNA e la Provincia di Massa-Carrara

4.1 La formazione………..…..p. 95

4.2 Le condizioni di occupazione e sviluppo per la CNA………..…….p. 96

4.3 L’occupazione e l’artigianato………p. 98

4.3.1 L’analisi di medio periodo……….p. 100

4.3.2 Occupazione e artigianato nel 2016……….………..p. 101

4.4 Le imprese artigiane………p. 105

4.5 L’artigianato e la piccola media impresa toscana………..p. 108

4.6 “Comune che vai fisco che trovi”………..p. 111

4.6.1 TAX FREE DAY………..p. 117

(5)

Conclusioni………..p. 122

Bibliografia………..p. 124

Sitografia………..p. 124

(6)

INTRODUZIONE

Questo lavoro si pone come obiettivo principale il far emergere le opportunità possibili per risollevare l’economia del paese, anche osservando il ruolo economico della CNA, da dove si sono reperiti i dati utili per questi studi. Attraverso una prospettiva diacronico-comparativa si intende, infatti, porre al centro del lavoro diverse analisi e indagini, condotte sia dalla CNA che dalla Camera di Commercio di Massa-Carrara: grazie ai dati emersi e alla loro analisi siamo stati in grado di vedere quali sono le necessità su cui si deve insistere per uscire da questa situazione, e i progetti necessari per sostenere le imprese. Come vedremo è necessario compiere un’analisi della realtà italiana partendo dalle indagini condotte sia a livello nazionale che a livello regionale, in particolare quelle dedicate alla provincia di Massa-Carrara, grazie alle quali si è giunti all’individuazione di alcune proposte volte a migliorare l’economia della provincia presa in esame, e più in generale dell’Italia, osservando anche le proposte relative all’aumento occupazionale che sono state avanzate per cercare di migliorare le condizioni di vita di molti lavoratori, che dopo la crisi sono rimasti disoccupati.

È necessario tenere in considerazione molti aspetti, come il contesto sociale, lavorativo e culturale e la distribuzione stessa della popolazione, concentrarsi su quali sono i tassi di occupazione e disoccupazione e come sono variati nell’arco degli anni, per poter tracciare un corretto profilo di

intervento. Gli avvenimenti e gli attori principali che hanno sostanzialmente sconvolto il mondo economico, e

in generale quello sociale, saranno oggetto di studio di questo lavoro, che racchiude, seppur brevemente, ma in maniera sistematica e critica, gli avvenimenti principali della grande crisi finanziaria globale del 2007: a partire da questo anno le crisi finanziarie internazionali si sono succedute a un ritmo preoccupante e hanno esibito sempre nuove e diverse caratteristiche che le

hanno rese particolarmente pericolose. Partendo da un accenno sul comportamento degli agenti economici e sulle relazioni finanziarie che si stabiliscono in un’economia di tipo capitalistico, si cercherà di analizzare quali sono stati i fattori scatenanti della crisi e i comportamenti dei diversi paesi coinvolti. Sono molti gli obiettivi che si è voluto raggiungere: - Definizione della composizione del territorio italiano, e come su questo abbia influito la crisi del 2007 e quella successiva del 2012, attraverso l’andamento dei dati relativi alle imprese e ai tassi di occupazione e disoccupazione.

- Studio dei casi delle dinamiche delle imprese presenti in Italia e nello specifico nella Regione Toscana.

(7)

- Influenza della CNA sull’economia della Toscana, e in particolare, della provincia di Massa-Carrara, e quali sono gli interventi messi in atto per accrescere l’occupazione e risollevare la produttività delle imprese del territorio esaminato. La tesi è così strutturata: il primo capitolo si concentra sull’analisi della crisi economico-finanziaria scoppiata nel 2007 negli Stati Uniti: si è scelto di concentrarsi su alcuni aspetti della crisi in cui si evidenzia una breve analisi del mercato dei mutui, in particolare i famosi mutui subprime che, insieme agli strumenti derivati, crearono il panico sui mercati finanziari internazionali; l’analisi si è voluta concentrare principalmente sulle condizioni socio-economiche derivate dalla crisi, come risultato di scelte errate compiute dagli USA. Si sposta poi l’attenzione sulle cause della crisi economica in Italia: specializzazione e competitività sono le parole chiave per determinare nuove opportunità di lavoro e diminuire il tasso di disoccupazione, osservando quali interventi sono stati

promossi per aiutare le aziende e soprattutto i lavoratori. Il secondo capitolo, invece, è dedicato alla Regione Toscana, alla sua composizione territoriale, a

quelli che sono i punti di forza e debolezza del suo sistema produttivo, all’influenza che generano

le imprese sul territorio e infine a quali sono stati gli interventi messi in atto per fronteggiare la crisi. Si ritiene che il cammino delle imprese abbia portato nel contesto italiano innovazioni e soluzioni

positive dal lato economico, andando così a migliorare la situazione a livello di impresa. Per incrementare la competitività verso il mercato internazionale è emerso che la regione intende mettere in atto strategie politiche incentrate sulle PMI che costituiscono la base del tessuto imprenditoriale, incrementando la loro cooperazione; le sue prospettive sono quelle di definire una

crescita a livello economico e occupazionale. Nel terzo capitolo si pone un focus su ciò che riguarda la realtà della provincia di Massa-Carrara e su quali sono stati i diversi interventi messi in atto per risollevare il territorio Apuano dalla crisi, e come anche il tema dell’occupazione abbia reagito; in particolare si osserva la dinamica inerente alle persone in cerca di occupazione, compiendo una breve analisi storica del tasso di crescita delle aziende attive sul territorio. L’analisi condotta dalla Camera di Commercio mostra la graduale e persistente crescita del tessuto produttivo locale nell’ultimo decennio: il settore della lavorazione lapidea rappresenta il 23% delle attività industriali locali ed è uno dei pochi settori a non risentire realmente della crisi, poiché fa affidamento su una materia richiesta in tutto il mondo, e grazie a

ciò la provincia apuana ha saputo muoversi abbastanza bene grazie a iniziative imprenditoriali. Progetti che coinvolgono l’impegno dell’intera comunità istituzionale e politica in generale hanno

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rilancio del territorio per dare continuità alla produzione delle aziende insediate nel territorio. A conclusione dell’andamento del mercato del lavoro a livello locale si può confermare come le

donne e i Neet stiano pagando ad un prezzo più alto questa situazione di crisi, ma si nota che la crisi economica e occupazionale ha creato la necessità di una riorganizzazione produttiva per cui vengono delineate alcune delle misure che sono state prese per innalzare il tasso occupazionale, dando più largo spazio ai giovani. Infine, il quarto capitolo è dedicato al ruolo della CNA nel conteso della Regione Toscana, prestando una particolare attenzione anche

su come la CNA di Carrara, abbia aiutato le imprese in difficoltà. Ci si interroga sulle opportunità di lavoro e sulle questioni che bloccano l’economia locale, per

evidenziare la necessità di un sistema lavorativo che coinvolga tutta la comunità per far fronte all’impoverimento del tessuto imprenditoriale. Ci si concentra poi su alcuni interessanti interventi facendo riferimento ad alcune indagini riprese dal suo Centro Studi, tra cui il progetto “Comune che vai fisco che trovi” e le posizioni del Comune di Massa e quello di Carrara sull’indagine chiamata “Tax Free Day”, per individuare risposte ad una tassazione elevata, anche per arrivare a rendere il territorio più competitivo rispetto al resto della Toscana. Lo scopo di questo lavoro è quello di documentare ed esplicitare quanto detto finora, e dimostrare

quali sono le soluzioni a cui la CNA può condurre per arrivare ad ottenere una crescita dell’economia del territorio, considerando non solo le imprese e il loro andamento, ma tutto il tessuto sociale.

(9)

1 La crisi finanziaria del 2007

1.1 Il contesto globale

La crisi mondiale comincia nel 2007, negli Stati Uniti, e si estende velocemente all'Europa qualificandosi come una crisi delle banche: gli stati europei promuovono un intervento di salvataggio nei confronti dei grandi istituti di credito ma in alcuni paesi questi piani hanno avuto un effetto recessivo sull'economia reale (vale a dire sulla vita delle persone) e uno di questi paesi è proprio l'Italia. L'Europa ha imposto agli stati in difficoltà una serie di misure restrittive (facenti parte del cosiddetto modello dell'austerity1) che devono essere adottate, pena l'uscita dall'Eurozona per i Paesi che non vi si adeguano Si è scelto di concentrarsi unicamente su alcuni aspetti della crisi, trascurandone volutamente altri, In particolar modo, minimi saranno i riferimenti alla regolamentazione e gli accenni ai costi dei vari piani di salvataggio, oltre che al ruolo che lo Stato sta assumendo nelle economie avanzate, in primis in quella capitalistica per eccellenza, gli Stati Uniti, da cui tutto ebbe inizio. 1.2 Gli effetti della crisi La crisi è stata causata da fattori endogeni ovvero fattori che devono essere ricercati all’interno dei diversi paesi che ha coinvolto; in primo luogo l’America dato che è stata lei in prima persona a dare

il via alla crisi che poi si è propagata in tutto il globo. Come si è visto, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un'elevata liquidità e da una crescita

1

La politica dell'austerity ha ampiamente mostrato le sue conseguenze negative e molti economisti si sono espressi contro il proseguimento di questo modo di gestire le varie crisi nazionali, tuttavia il controllo sembra essere nelle mani di una manciata di Stati membri dell'Unione Europea che, forti delle loro economie nazionali, impongono agli altri le regole da seguire. Queste regole producono, per le nazioni che si trovano costrette ad applicarle, un'inevitabile riduzione della sovranità nazionale oltre che un peggioramento delle condizioni di vita degli abitanti di quel paese: da sogno di unità e di pace l'Unione Europea sembra quindi essersi trasformata in un'oligarchia politica che dimentica l'importanza del trattato di Schengen per chiudere fuori dai propri confini gli indesiderati ma ricorda benissimo a quali interessi economici deve sottostare

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sostenuta. A ciò si è accompagnato un crescente squilibrio nei flussi di capitale, sostenuto dal

finanziamento dei consumi statunitensi da parte delle economie emergenti. La crisi dei mutui subprime è in parte il risultato di questo scenario macroeconomico, che è stato

una delle ragioni del boom immobiliare, ma ha anche motivazioni proprie, che risiedono nel cambiamento del modello di business delle banche e in fallimenti del mercato.

I mutui subprime costituiscono un'innovazione finanziaria creata, seguendo un obiettivo della politica americana, per fornire la possibilità di avere accesso alla casa di proprietà alla clientela più rischiosa, ovvero le fasce più povere della popolazione, che generalmente non ha un reddito sufficiente per poter accedere ai finanziamenti bancari. Il processo di cartolarizzazione, ovvero la cessione dei crediti ad una società veicolo attraverso cui la banca riduce e diversifica il rischio, ha reso possibile che le banche finanziassero individui con limitate disponibilità finanziarie, e difficoltà a produrre documentazione sul loro merito di credito. Nonostante l'elevata rischiosità, le banche potevano considerare profittevoli i mutui subprime sulla base dell'ipotesi che gli immobili a garanzia del prestito si sarebbero rivaluti nel breve periodo. In questo modo, l'incremento di valore dell'immobile costituiva la base per il rifinanziamento del mutuo ogni due o tre anni. Appare chiaro che questa ipotesi non può che essere valida se non per un orizzonte temporale limitato, giacché non ci sono ragioni economiche per pensare che il mercato immobiliare debba crescere di valore infinitamente. In pratica, i mutui subprime sono generalmente chiamati così perché per i primi due o tre anni il debitore deve rimborsare il prestito ad un tasso fisso agevolato (teaser rate), mentre dopo una certa data, il mutuo diventa a tasso variabile. In particolare, a seguito del cambio di regime, il tasso d'interesse aumenta in modo significativo, portando in alcuni casi il valore della rata ad importi superiori al reddito disponibile del debitore. Per questo motivo, l'orizzonte temporale dei mutui subprime è sempre il breve termine e il debitore ha un forte incentivo a rifinanziarsi,

ottenendo un nuovo mutuo con cui può rimborsare quello in essere. In questa seconda fase della negoziazione tra banche e debitori, inoltre, il mercato è assai meno

competitivo di quanto non sia invece nel momento iniziale quando l'offerta è molto ampia. Ne consegue che il finanziatore originale può sfruttare queste condizioni e può trarre beneficio dai futuri apprezzamenti degli immobili, sebbene il profitto atteso nel primo periodo sia negativo. I dati riportati da Gary Gorton , economista americano (2009) , mostrano che i mutui subprime cartolarizzati rappresentavano solo il 3% dello stock totale dei mutui, la cui gran parte (87%) era costituita da mutui garantiti dalle government sponsored enterprises Fannie Mae e Freddie Mac. Questo dato può giustificare la parola del governatore della Federal Reserve Ben Bernanke: “we

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believe the effect of the troubles in the subprime sector on the broader housing market will like- ly be limited, and we do not expect significant spillovers from the subprime market to the rest of the economy or to the financial system”. Tuttavia, Ben Bernanke (2007), altro economista americano, ha pronunciato queste parole a Chicago nel Maggio 2007, quando ormai il peso dei mutui subrime aveva raggiunto il 13% del totale dei mutui cartolarizzati. Il grande successo della cartolarizzazione dei mutui è alla base della crisi che stiamo vivendo poiché ha determinato il cambiamento del modello di business delle banche. Tradizionalmente, gli intermediari operano seguendo il modello originate & hold, nel senso che prestano denaro alla clientela e poi mantengono i crediti all'interno del loro attivo. Con la cartolarizzazione, al contrario, si è fatto largo il modello originate & distribute, che permette alla banca di trasferire il rischio di

credito fuori bilancio e di ridurre i requisiti patrimoniali. La cessione dei crediti limita l'incentivo delle banche a condurre un'accurata attività di screening

della clientela e a monitorare l'andamento del prestito, creando fenomeni di selezione avversa e di azzardo morale. Inoltre, le informazioni che l'originator raccoglie sul merito di credito e sulla rischiosità del mutuatario. Un ulteriore conflitto di interessi, che ha ricevuto una notevole attenzione da parte dei media, si genera al momento della valutazione dei titoli strutturati da parte delle agenzie di rating. Oltre al problema dei mutui subprime si deve tener conto anche della crescita dei mercati orientali: si può definire una crisi che è stata creata a migliaia di kilometri di distanza. Tutto ebbe inizio nel Stati Uniti con la concessione dei prestiti , che a loro volta si sono espansi a macchia d’olio sull’intero pianeta .

La crisi economica è il risultato di scelte errate negli Stati Uniti e del naturale sviluppo delle economie orientali, che sono andate ad incidere sui prezzi del petrolio, che non torneranno mai più ai livelli del passato. Il mondo, così, deve imparare ad accettare questa nuova realtà e agire di conseguenza. Allo stesso modo, la crisi dei crediti, che ha avuto inizio negli Stati Uniti, può essere risolta solo dagli Stati Uniti. C’è davvero poco da fare per l’Europa se non stare a guardare e cercare di affrontare questa situazione, aspettando le mosse degli Stati Uniti. Nonostante i diversi tentativi di eliminare con svariati interventi di carattere economico, lo spettro della crisi mondiale continua a riemergere: con l’inizio del 2016 lo spettro della crisi mondiale è tornato all’onore delle cronache dei grandi media. All’improvviso tutto sembra andare storto, dopo che da un paio di anni non si faceva altro che parlare di uscita dal tunnel.

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In realtà il capitalismo mondiale non ha mai smesso di essere in pericolo da quando otto anni fa l’intero globo è sprofondato in una crisi mondiale senza precedenti. Ma in qualche modo le banche centrali e i governi di ogni continente erano riusciti a trovare soluzioni economiche e finanziarie. Oggi però l’efficacia di tutto questo si sta logorando.

Il problema principale e più pericoloso a livello mondiale rimane a tutt’oggi quello del volume del debito. Non solo dopo lo scoppio della crisi del 2007-2008 non è stato fatto praticamente nulla per diminuirlo, ma le politiche monetarie espansionistiche ne hanno ulteriormente gonfiato le dimensioni. Nonostante questa politica espansiva senza precedenti, in tutto il mondo l’economia continua a essere in crisi. Secondo i dati riportati qua di seguito2, a livello globale la produttività del lavoro è passata da una crescita media annuale del 3,5% tra il 2003 e il 2007 a una di appena lo 0,9% nel 2011-2015. Il dato dei paesi industrializzati è ancora più basso: sono passati dall’1,3% allo 0,5%. Anche in termini di Pil il panorama è deprimente: i pochi paesi sviluppati che crescono lo fanno solo in misura limitata (2,4% gli Usa nel 2014, percentuale che risulterà sicuramente in calo nel 2015, 1,5% reale la Germania quest’anno – la crescita stimata in generale come sana per un paese sviluppato è una crescita continuativa superiore al 3%, mentre per i paesi cosiddetti in via di sviluppo la percentuale deve essere molto più alta per garantire una riproduzione stabile. ( articolo di Andrea Ferraio)

La crisi economica perciò segna un brusco rallentamento di tutti gli indici economici. E’ utile analizzare questi indicatori economici che sono grandezze numerarie adatte ad essere contabilizzate in un sistema di contabilità nazionale ed hanno lo scopo di informare sull'andamento

di una economia.

Gli elementi che normalmente identificano una crisi ed elementi più strettamente correlati alla crisi

attuale posso essere identificati come:

1. calo del prodotto interno lordo PIL (indice convenzionale che misura la ricchezza di un paese. In

questo caso calato del 6% rispetto al 2007;

2. sostanziale riduzione dei prezzi: riducendosi la domanda di beni si abbassano i prezzi deflazione

(contrario di inflazione);

3. riduzione dei consumi in gran parte del pianeta. In questo caso -2% -3% rispetto al 2007; 4. evidente difficoltà nel trovare denaro “crisi della liquidità”: si incontrano più difficoltà, come l’aumento dei costi, nell’ottenimento di mutui, finanziamenti, ecc... 5. nel 2008 si è registrata una riduzione degli scambi internazionali, il volume degli scambi

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internazionali è calato del 25% rispetto al 2007, (volume che è andato crescendo per tutti gli anni ’90);

6. la disoccupazione: che nel 2009, in Europa, ha raggiunto il 10%.

I paesi emergenti che fino a un paio di anni fa erano il “futuro dell’economia globale”, hanno dimezzato in media il loro ritmo di crescita, e alcuni dei paesi più importanti di questo gruppo (Russia, Brasile) sono in profondo rosso. Il trend al ribasso dei paesi emergenti comporta molti più rischi oggi di quanto non ne comportasse una ventina di anni fa (per es. ai tempi della crisi asiatica della fine degli anni ’90), perché attualmente sono responsabili di una quota molto più ampia dell’economia mondiale, pari a circa il 40% se calcolata in dollari. Possiamo dire che ci troviamo in uno stato di crisi nera da molti anni, e molto probabilmente se la situazione non migliora si andrà incontro ad un ulteriore crisi dalla quale sarà difficile uscire. Tutto questo sarà dannoso soprattutto per i lavoratori che vedono per il loro futuro solo sofferenza : quello che ci si deve aspettare è un cambiamento psicologico collettivo di importanza epocale, come la crisi che la produce3.

[Questo articolo è incentrato sull'impatto che la crisi dell'eurozona ha avuto sul processo decisionale politico in Italia]. L'Europa ei suoi Stati membri sono stati fortemente colpiti dalla crisi sia nel loro sviluppo istituzionale che nella costituzione. Inoltre, quando uno Stato diviene uno "Stato debitore", deve recuperare la fiducia dei mercati finanziari, che limita fortemente le sue opzioni politiche. Nel contesto Italiano, la crisi del debito ha dato origine a numerosi problemi economici e finanziari le cui radici, tuttavia, devono essere ricondotte all'enorme debito pubblico accumulato negli ultimi decenni. L'Italia ha reagito alla crisi adottando una serie di misure basate su tasse più elevate, tagli di spesa pubblica e riforme strutturali, ritenute necessarie per favorire la crescita economica. Queste misure hanno però incontrato numerosi ostacoli4. A quasi 10 anni dall’inizio della crisi mondiale, prendendo come riferimento la bancarotta della Lehman Brothers, la maggiorparte degli economisti e degli esperti in materia hanno cercato di dare una spiegazione piuttosto tradizionale, valutando la situazione come effetto di un “normale susseguirsi di cicli di caduta e di crescita: se siamo effettivamente in caduta, dopo come di regola ci sarà la crescita.

Ma sono tante le voci contrastanti che dicono ormai che l’economia mondiale sta incontrando

3

“A che punto è la crisi economica”, art di Ilario Salucci.

4

https://www.rivisteweb.it/doi/10.1439/76066

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problemi molto più seri di quelli ciclici. Il ciclo classico era simile a un spirale ascendente. Questo ha l’aspetto di un circolo vizioso, che ritorna su se stesso. Tuttavia in questo arco di tempo, i diversi tentativi di rimettere in moto la macchina con i tradizionali sistemi non hanno funzionato. La bassissima crescita in tutti i Paesi sviluppati influisce sui Paesi che definiamo “in via di sviluppo”. E questo, a sua volta, deprime le prospettive generali di uno sviluppo della produzione industriale globale. In queste condizioni è evidente il rischio di una recessione globale. Ma come è possibile evitare tale rischio? Per esempio con la riduzione dei tassi d’interesse fino nei pressi immediati dello zero, come stanno facendo l’Europa, il Giappone e, fino a qualche giorno fa gli Stati Uniti?

Questa tendenza si è bruscamente invertita nel 2015, modificando un trend che durava, nel complesso, da oltre trent’anni. In un solo anno oltre un trilione $ è ritornato ai paesi “ricchi” partendo dai paesi “poveri”. La decisione della Fed ( Federal Reserve System ) aggraverà questo fenomeno il cui significato è tanto chiaro quanto inquietante. I capitali non trovano, nei mercati in via di sviluppo, luoghi e occasioni per aumentare. Si tratta ora di vedere se troveranno occasione di farlo all’interno dei mercati “ricchi”. Ma non sembra, perché neanche nei paesi industrializzati la domanda cresce. Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale confermano questa valutazione. Tre anni fa c’era molto più ottimismo. Adesso si calcola che il tasso di crescita del Pil nell’anno 2020, sarà, per gli Stati Uniti, del 6% inferiore a quello pronosticato; per l’Europa sarà inferiore del 3%; per la Cina meno del 14%; per i paesi in via di sviluppo sarà inferiore del 10%. In sintesi la crescita del Pil del mondo sarà del 6% in meno di quanto pronosticato nel 2012. La differenza tra i tassi d’interesse e l’inflazione è “straordinariamente bassa”. “L’attuale previsione per i prossimi dieci anni, per quanto concerne i paesi industrialmente sviluppati, dice che il tasso d’interesse sarà circa zero”.

Ne consegue, sempre secondo Lawrence Henry Summers, politico economista e accademico statunitense, che “in presenza di tassi così bassi, la possibilità di un surriscaldamento dell’economia

sarà molto bassa”. E l’economia mondiale si troverà nelle condizioni di bassa crescita, bassa

inflazione, tassi eguali a zero, cioè le condizioni della piena stagnazione. La diagnosi di Summers5 (e quanto sia importante la sua valutazione pubblica è evidente dalla sua influenza sui mercati americani) è drammatica. “I più grandi mercati del mondo ci stanno dicendo

5

Lawrence Summers, politico economista e accademico statunitense, direttore del

Consiglio Economico Nazionale dal 2009 al 2010.

(15)

con forza sempre crescente che ci troviamo ora in un mondo diverso a quello cui eravamo abituati. Che gli approcci tradizionali che puntano su una finanza pubblica moderata, su un incremento monetario e sul freno all’inflazione ci portano verso il disastro. Inoltre, il principale strumento per contrastare la contrazione, cioè la politica monetaria, è in gran parte fuori gioco e sarà ancora meno efficace quando la contrazione sarà già attiva”.

Ma neanche Summers riesce a dire ciò che dovrebbe essere detto. Forse perché non esce dallo schema finanziario che è nella sua testa e nella testa di tutti i mercati. E cioè che ci sono eventi, nella vita reale, che non possono essere influenzati da alcuna politica finanziario-creditizia. Il riscaldamento planetario — Parigi è appena terminata con un nulla di fatto — dice appunto che il mondo di Summers non è più quello cui era abituato. E con lui tutti noi. La “mappa del denaro”6

(uso qui il titolo di un futuro, straordinario libro di Luigi Sertorio) non ci può più condurre alla crescita senza confini, cioè “all’isola che non c’è”. Stanno apparendo all’orizzonte i “limiti della crescita”, cioè l’impossibilità fisica di rappacificare la pure immensa potenza del denaro (infinito) con la soverchiante potenza della Natura (per quanto finita).

E’ un livello della contraddizione che presenta una complessità superiore alle forze concettuali dei mercati, e, dunque, che non può essere risolto da loro. Il compito del futuro sarà quello di organizzare le forze intellettuali esistenti nelle diverse civiltà, e nelle diverse discipline, capaci di

lavorare a questo livello di complessità.7 Per queste ragioni, la crisi attuale condivide alcuni elementi con le esperienze passate, benché si

caratterizzi anche per alcuni tratti distintivi, che nel momento del boom avevano portato la

maggioranza degli agenti ad illudersi che le crescita fosse realmente sostenibile. Come le crisi passate, anche quest'ultima ha riaffermato la prociclicità del sistema finanziario pur

mostrando le principali caratteristiche di un episodio di rapida crescita del credito, un allentamento degli standard, un peggioramento delle performance e riduzione del premio al rischio (Gourinchas et al 2001; Demyanyk e Van Hemert 2009). Come hanno sottolineato Reinhart e Rogoff 8(2008), una falsa convinzione che “questa volta è diverso” ha fatto sì che ci sia stato una tendenza a creare “bolle” speculative, simili a quanto avvenuto durante le crisi passate, non ultima quella che ha seguito il boom della new economy. Borio (2007) ha identificato, tra i fattori alla base delle

6

Si utilizza il titolo di un futuro, straordinario libro di Luigi Sertorio.

7

art di Giulietto Chiesa, 3 gennaio 2016

8

Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff sono due importanti studiosi dell’Università di

Harvard, i quali hanno condotto uno studio intitolato Growth in a time of debt nel 2010,

pubblicato sulla rivista American Economic review ,che però venne smetinto in seguito da

uno studente dell’Università del Massaherst t. Herdon.

(16)

“bolle”, le asimmetrie informative, le limitazioni nella percezione del rischio e negli incentivi che inducono a comportamenti che, benché individualmente razionali, possono rivelarsi socialmente non ottimali, e gli effetti di feedback dal settore reale a quello finanziario. In particolare, diversamente che negli altri settori, dove un eccesso di offerta riduce il prezzo di equilibrio, nel settore finanziario l'aumento dell'offerta (di credito) crea la domanda, attraverso l'effetto ricchezza e l'aumento della domanda aggregata. Se la new economy si basava sulla convinzione che le nuove tecnologie, e internet in particolare, fossero il tratto distintivo rispetto al passato che poteva giustificare gli incredibili rialzi azionari, in questo caso è stata l'innovazione finanziaria (mutui subprime), favorite dalla deregolamentazione a generare un boom sul mercato immobiliare e l'illusione che l'esperienza attuale fosse differente da quelle passate. In particolare, il successo dei prodotti strutturati, in grado di generare payoff altamente non-lineari (fat tails) e perciò difficili da valutare, e il ruolo preponderante esercitato dal modello originate & distribute nel mercato dei mutui e nella creazione dello shadow banking system hanno contribuito sia all'accumulazione di rischio nella fase di crescita, che alla perdita di fiducia e al panico della crisi. Le trasformazioni che hanno coinvolto il sistema bancario statunitense confermano che, mentre sembra possibile poter affermare che le crisi del debito e valutarie sono ormai un fenomeno limitato alle economie emergenti, le crisi bancarie avvengono con la stessa frequenza nei paesi industrializzati e non (Reinhart e Rogoff 2009b) . Tuttavia, le esperienze passate insegnano che le crisi sono sempre state superate, seppure a volte con costi ingenti e non equamente distribuiti tra gli agenti interessati, e le economie hanno poi potuto beneficiare delle innovazioni finanziarie raggiungendo livelli di

benessere economici più elevati. Nell'introduzione alla sua storia finanziaria del mondo, lo storico Niall Ferguson (2009, p. 4) sostiene

che: “financial innovation has been an indispensable factor in man's advance from wretched subsistence to the giddy heights of material prosperity that so many people know today. [e che] The evolution of credit and debt was as important as any technological inno- vation in the rise of civilization”. Questa visione storica è confermata anche dalle ricerche più recenti che dimostrano come la finanza stimoli la crescita e lo sviluppo economico, garantendo l'accesso al credito e migliori opportunità anche ai più poveri e alle minoranze (Levine 2005; 2008). Per questo motivo, l'innovazione finanziaria deve essere sostenuta, anche se al suo fianco è necessario organizzare un'attività di regolamentazione e supervisione (internazionale) più efficace, al fine di evitare i conflitti di interesse, di limitare i meccanismi di incentivi perversi dovuti all'eccessiva competizione (eccessiva propensione al rischio

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In Europa non va trascurata l'esistenza di squilibri macroeconomici simili a quali globali, con alcuni paesi in forte deficit (Spagna) e la Germania in surplus. Inoltre, il deciso aumento dell'indebitamento pubblico può essere particolarmente rischioso per alcuni paesi, come testimoniato dal rialzo degli spread sui titoli pubblici, e per la stabilità dell'intera area dell'Euro. 1.3 La crisi in Italia Dopo aver fatto un’introduzione sul contesto globale, partendo dall’America la crisi si è dilagata poi in Europa e nel resto del mondo; per questo motivo è importante adesso focalizzare l’attenzione su quelli che sono stai i fattori che hanno inciso su questo paese, che non sono solo economici ma anche sociali, e soprattutto politici. La politica dell'austerity ha ampiamente mostrato le sue conseguenze negative e molti economisti si sono espressi contro il proseguimento di questo modo di gestire le varie crisi nazionali; tuttavia il controllo sembra essere nelle mani di un ristretto numero di Stati membri dell'Unione Europea che, forti delle loro economie nazionali, impongono agli altri le regole da seguire. Queste regole producono, per le nazioni che si trovano costrette ad applicarle, un'inevitabile riduzione della sovranità nazionale oltre che un peggioramento delle condizioni di vita degli abitanti di quel paese: da sogno di unità e di pace l'Unione Europea sembra quindi essersi trasformata in un'oligarchia politica che dimentica l'importanza del trattato di Schengen per chiudere fuori dai propri confini gli indesiderati ma ricorda benissimo a quali interessi economici deve sottostare. Per quanto riguarda le disuguaglianze sociali, L. Gallino, nel suo libro “Il colpo di stato di banche e governi” (2013), ci riporta che nel 2007 il quinto più povero [della popolazione] aveva una ricchezza negativa dello 0,5 per cento (ossia aveva debito superiori al valore di tutto quello che possedeva), mentre quello subito al di sotto disponeva in tutto dello 0,7 della ricchezza totale. Ciò significa che dopo due anni di crisi, nel 2009, la ricchezza del quinto superiore era ancora cresciuta di oltre due punti, mentre quella dei quattro quinti restanti appariva peggiorata di altrettanto. In poche parole, le disuguaglianze a livello mondiale dopo due anni dall’inizio della crisi, erano ulteriormente

aumentate. Nell'arco di pochi mesi la crisi si è poi estesa all'Europa e praticamente globalmente e da allora una vera e propria reazione a catena si è innescata portando alla sfiducia dei mercati. Nel 2011 molti paesi come Portogallo e Grecia hanno dovuto fare i conti con una situazione disastrosa, a causa dell'allargamento della crisi dei debiti sovrani e la conseguente influenza sulla finanza pubblica. Il rischio di insolvenza è stato evitato solo grazie ad interventi da parte degli altri stati della cosiddetta

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Eurozona. Le problematiche scatenate hanno avuto ripercussioni politiche ma anche sociali sulle popolazioni coinvolte. A "pagare la crisi" sono infatti le fasce di popolazione meno difese dalle tutele storiche, come quelle riguardanti il mondo del lavoro. I tassi di disoccupazione però non sono aumentati solo a causa dei licenziamenti, ma soprattutto per le difficoltà da parte delle fasce di popolazione più giovani di trovare una sistemazione stabile, non solo dal punto di vista lavorativo. Per la prima volta inoltre dal dopoguerra, una altissima percentuale di giovani vede davanti a sé prospettive di crescita assai inferiori rispetto a quelle della generazione precedente. Le difficoltà ad ottenere un lavoro e a mantenerlo, infatti, si traducono in una serie di impedimenti che si riflettono sull'impossibilità di trovare casa, di costruire una famiglia e non ultimo di contribuire all'economia, dal momento che difficilmente questi giovani riescono a costruirsi un ruolo economico e sociale capaci di garantire loro una autonomia di vita. Tutto ciò ha fatto sì che la popolazione mondiale sia arrivata ad affrontare una crisi probabilmente superiore a quella del '29, senza la possibilità di contare realmente su un aiuto da parte dello stato. Probabilmente se si attuasse una politica diversa, o se si riuscisse a mettere in pratica misure basate sul sostegno dello stato alle imprese, oltre che ai lavoratori e alle famiglie, l'intera economia potrebbe trarne giovamento. Particolarmente importante infatti sarebbe dare la possibilità a tutti di costruire la propria vita su solide basi permettendo inoltre maggiore partecipazione alla vita economica del paese. In questo modo, si potrebbero rilanciare l'economia che oggi è innegabilmente in difficoltà per una totale

mancanza di domanda dovuta proprio agli esiti disastrosi della crisi. Questi interventi sono stati ritenuti fondamentali per prevenire e migliorare il fenomeno della

disoccupazione e per inserire nel mercato del lavoro i giovani, la componente che ha maggiormente sofferto questa situazione. Sempre per poter incrementare il processo di matching fra domanda e offerta di lavoro è stato promosso il principio di flessibilità introducendo nuove forme di lavoro, come quello internale, part-time, creando un nuovo sistema di lavoro. Questi nuovi elementi di flessibilità lavorativa sono stati introdotti dai governi per incentivare l’occupazione e accrescere

anche la partecipazione femminile al mondo del lavoro. Nel corso degli anni sono stati fatti interventi normativi, non soltanto economici per poter offrire

una visione d’insieme. Uno strumento normativo utilizzato fu quello incentrato sull’apprendistato,

contratti di formazione e lavoro e misure di sostegno alla formazione continua e permanente. Possiamo far riferimento alla legge Biagi (L 30/2003) : provvedimento incentrato sulla creazione di

nuove forme contrattuali (es job sharing) e la modifica dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Sono stati introdotti dei contratti atipici che hanno inciso sull’occupazione facendola aumentare dagli anni ’90 passando dal 8,9% del totale degli occupati al13,2% del 2017.pur

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essendoci stata una crescita dell’occupazione grazie all’introduzione di maggior flessibilità, in Italia però non si possono vedere i soliti risultati sul fronte della produttività , perchè si deve ancora

lavorare sul sistema di organizzazione aziendale. L’Italia all’avvio della crisi del 2007 si è trovata impreparata : si trovava in una situazione in cui la

sua economia era impegnata nel riequilibrio dei conti pubblici e stava attraversando un periodo di riassetto istituzionale e normativo. Sempre per parlare di dati sia l’OCSE che la Commissione Europea segnalavano un incremento della NAIRU ( Non Accelerating Inflation Rate of Unemployment), poiché si poteva affermare che i costi della crisi si riversavano sulla questione dell’occupazione. Prima della crisi quindi c’era una correlazione inversa tra salari e disoccupazione , ovvero maggiori salari e minore disoccupazione; ma negli ultimi anni la flessibilità e la crisi andavano di pari passo creando una correlazione significativa: si intendeva infatti che ad una crescita della disoccupazione si accompagnasse una decelerazione salariale . Quindi la tesi che venne elaborata fu quella del rapporto più stretto tra dinamica salariale e tasso di disoccupazione ,dato che il mercato adottava misure sempre più flessibili. Possiamo evidenziare, quindi, che l’incidenza dei contratti di lavoro flessibili ha portato il tasso di disoccupazione ad un livello superiore rispetto alla crisi del 1993 (Battilani, Fauri 2014).

Per quanto riguarda il ciclo economico post crisi dell’Italia accanto alla questione dell’eccesso della capacità produttività derivante dal processo di sovrainvestimento del settore immobiliare e la difficile riequilibrio della posizione competitiva del settore industriale , questa crisi ha indotto una selezione eliminando dal mercato numerose aziende e lavoratori. Cosi dal 2007 al 2013 ci fu un aumento della disoccupazione accompagnato da un peggioramento del livello medio della produttività del sistema industriale: questo perché la crisi del 2008 ha colto di sorpresa il paese all’interno del qual era già in atto un rallentamento dell’economia andando ad incidere sull’andamento della produttività (Frascani 2012, pg 263).

La crisi si compone di due fasi : una prima fase di natura esogena dovuta al coinvolgimento dello scenario macroeconomico ,la secondo che si riferisce al periodo del 2012-13 causata dalla staticità della domanda interna. In questa fase le imprese per non rinunciare alle Humans Resource interne hanno accettato tensioni sui margini operativi e sulla produttività ,creando così un ulteriore contrazione dei margini e imposto una revisione della strategia adottata fino a quel momento. Cosi si è innescato un circolo vizioso : eliminando dal mercato del lavoro la forza lavoro , sono aumentati

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i livelli di disoccupazione e i processi di ristrutturazione aziendale hanno indotto le imprese a reagire in termini di competitivià spingendo al ribasso le retribuzioni.

Concludendo questa sezione, la correlazione sembra più forte al crescere del grado di flessibilità che si è incorporata nel mercato del lavoro per poi risultare ancora più significativi in relazione allo stock imposto dalla crisi. Per quanto riguarda i cambiamenti istituzionali contribuiscono ad aumentare il grado di flessibilità del mercato del lavoro che pero non si accompagna ad un aumento della produttività, ma in realtà ne risulta in netta flessione portando ad una moderazione salariale mano mano che la crisi ha innescato il fenomeno della disoccupazione. Per poter rilanciare la produttività non sono necessari solo interventi di ristrutturazione portati avanti dalle imprese ma sarebbe interessante assecondare anche la possibilità di un recupero della competitività. In questo contesto la dinamica salariale non è avulsa dal ciclo economico e la sensibilità dei salari ad un peggioramento delle condizioni economiche è più elevata di quanto spesso non si ritenga. (

D’Amuri; Fabiani,Sabbatini,Tartaglia Polcini,Venditti, Viviano ,Zizza 2015pp7-8 ; trad dell’autore). Si può evidenziare come la competitività del nostro paese deve essere affiancata alla

specializzazione determinate attività che vanno ad assegnare un valore aggiunto ,creando così opportunità nuove di lavoro , cercando di diminuire il tasso di disoccupazione innalzando il livello delle competenze determinando una correlazione con il tasso di inflazione stabile.(Draghi2014) Nello scenario contemporaneo, tuttavia, le aziende per cercare di uscire da questa situazione, danno rilievo alla figura del responsabile Human Resources di fronte ad una sfida particolarmente

insidiosa in quanto nella fase di grave e perdurante crisi economica. In primis la stabilità ricercata dai lavoratori è messa in questione oltre che dai nuovi contratti di lavoro, anche da uno scenario futuro particolarmente complesso che produce il fenomeno della precarietà. Accanto a tale punto, il governo della mansione e la strutturazione di sentieri di carriera risultano oggi azioni sicuramente difficoltose. Per mettere in pratica l’empowerment nella gestione delle Risorse Umane e le competenze, la valutazione del personale e tutti i punti su cui si fondano le pratiche di gestione di risorse umane è oggi necessario che le organizzazioni trasformino e ricollochino efficacemente le proprie politiche interne. Difficile sarà immaginare oggi gli scenari che ci si prospettano, ma è necessario adottare le logiche di azione: sarà necessario intervenire attraverso un approccio sistemico in cui la gestione delle Risorse Umane non può essere considerata come un’attività di amministrazione di determinati quesiti che insorgono in momenti specifici e trattati attraverso una logica “reattiva” o “reagente”. Dall’altra parte l’organizzazione dovrà elaborare una strategia di gestione delle risorse umane che

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sia fortemente correlata alla strategia generale e alla struttura organizzativa e che operi in una logica “anticipatoria”. Vanno quindi definite con chiarezza le basi per la gestione delle diverse problematiche riguardanti il personale.

Si deve puntare a promuovere la conoscenza e l'innovazione come strumento per superare l'emergenza economica e continuare a crescere. Ciò implica un miglioramento dei settori strategici come l'istruzione, la ricerca e il trasferimento dei dati in tutti i territori dell'Unione. La seconda iniziativa va sotto il nome di crescita sostenibile ed il suo obiettivo principale è la costruzione di una economia efficiente in termini di risorse e di competitività. In realtà, a causa della forte pressione sul mercato delle esportazioni, l'Europa necessita di un passo per essere in grado di competere con le altre grandi potenze commerciali e questo può essere raggiunto solo da una maggiore produttività. L’UE vuole aumentare il livello di occupazione, perché attualmente solo i due terzi della popolazione in età lavorativa ha un impiego stabile (la disoccupazione a causa della crisi ha colpito soprattutto i giovani, più del 21%) e sta cercando di facilitare sia l'accesso all'istruzione che alla formazione professionale. Inoltre si deve combattere contro la povertà che, con la crisi, ha raggiunto livelli molto elevati. Infatti, l'8% della popolazione non guadagna abbastanza e vive al di sotto della soglia di povertà. 9 Serve una azione comune per il rilancio dei consumi. Le imprese hanno bisogno di una domanda di beni, di gente che sia in grado di comprare: solo così si rimette in moto un circolo virtuoso. La crisi però ha anche portato elementi da valutare positivamente quali la maggior attenzione e consapevolezza dei consumatori nel decidere gli acquisti uniti ad un impegno per ridurre gli sprechi anche se preoccupa il fatto che in ampi segmenti di popolazione rinunciano alla qualità dei prodotti per puntare solo sulla convenienza perché ciò rappresenta un passo indietro rispetto a conquiste

costruite nel tempo. Se si fotografa l'Italia oggi ne risulta un pese immobile e in crisi da ormai sei anni in cui aumentano

consistentemente le disparità sociali. Pochi hanno molto e tanti hanno sempre meno e fanno fatica a far quadrare i conti a fine mese. Un paese inoltre che sta invecchiando e che offre poco ai giovani

se non la disoccupazione. Certo in questo contesto le famiglie si sono inventate vari "percorsi" di sopravvivenza, ridefinendo le priorità di acquisto e facendo rinunce. Cala l'economia, cala il reddito disponibile e calano di conseguenza i consumi. Parlando di numeri, studi della Caritas mostrano come che ben 9 milioni di persone sono in condizioni critiche e fra loro cinque sono a rischio povertà e addirittura tre sono a

9

La gestione delle risorse umane in tempo di crisi,

di A. PignattC. Regazzoe P. Tiberi

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rischio deprivazione, perché non possono permettersi un pasto adeguato ogni due giorni. Da questo

punto di vista, il nostro paese non è lontano dai dati della Grecia e della Spagna. Il nostro tasso di disoccupazione è del 39% per i giovani dai 15 ai 24 anni. Guardando nel dettaglio

ai consumi, si evidenzia che i soli prodotti la cui vendita continua a crescere sono beni elettronici come smartphone e tablet mentre per tutti gli altri l'andamento è piatto o in negativo. Fa impressione vedere che la spesa alimentare ha perso peso negli anni e ciò evidenzia un mutamento

radicale molto profondo. Curioso notare come esistano settori che hanno resistito come la crescita delle lotterie e dei giochi

d'azzardo, fatto che può anche essere letto come la ricerca di scorciatoie per uscire dalla crisi. Interessante scoprire anche, nelle pieghe della crisi, che tantissimi hanno incominciato a curare un proprio giardino o orto, mentre continua ad aumentare l'attenzione verso una alimentazione salutista e verso il consumo di prodotti biologici. Cresce anche il commercio elettronico e il numero di persone che va nei negozi a conoscere i prodotti e poi torna a casa e li compra on line. Questa è una modifica strutturale che è destinata a rimanere anche quando, speriamo presto, la crisi sarà finita. Ma è importante focalizzare l’analisi di quelli che sono i primi segnali che sembravano indicare un effetto contenuto della crisi, sia al livello reale che finanziario, per via di un sistema bancario meno esposto ai rischi della finanza innovativa e guidato da un modello di intermediazione fondamentalmente sano. Tuttavia, come testimoniato anche dall'ultima relazione del Governatore della Banca d'Italia e dal rapporto dell'OCSE sullo stato di salute dell'economia italiana (2009), è ormai chiaro che la crisi avrà effetti duraturi e rilevanti sull'occupazione e sulla produzione, anche a causa dell'elevato debito pubblico che limita la capacità di attuare politiche anticicliche, con il rischio concreto di generare successivamente difficoltà per il sistema bancario, a causa

dell'incremento delle sofferenze.

Infine, anche se probabilmente è questo il tema più rilevante, la comunità internazionale e le istituzioni finanziarie internazionali devono porre al centro della propria agenda politica gli effetti

che la crisi avrà sui paesi in via di sviluppo e sull'Africa in particolare. Se gli effetti della crisi sulle economie avanzate, sebbene ingenti, possono essere attenuati da

opportune politiche economiche, diversa è la situazione nei paesi poveri, dove mancano le risorse e la capacità per mettere in atto politiche in grado di contrastare la crisi. Se è vero che il contagio della crisi finanziaria è limitato dalla scarsa integrazione dei mercati finanziari dei paesi più poveri con quelli mondiali, i riflessi della crisi sono comunque drammatici e si manifestano attraverso altri

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canali. I paesi più poveri sono estremamente dipendenti dalla domanda mondiale, dal flusso di rimesse

degli emigrati e, soprattutto, dagli aiuti internazionali. Tutti questi canali si sono già ridotti o sono destinati a contrarsi nei prossimi mesi. In particolare, l'esperienza storica mostra che, in risposta alle maggiori crisi del passato, gli aiuti internazionali si sono ridotti in maniera drastica e sono stati necessari diversi anni per ritornare ai livelli pre-crisi. E' quindi necessario che la comunità internazionale mantenga gli impegni assunti verso i paesi poveri e che le istituzioni finanziarie internazionali mettano in atto politiche coordinate per non vanificare i risultati fin qui ottenuti nella lotta alla povertà e per evitare il ripetersi di nuove crisi debitorie.

1.4 Le cause della crisi economica in Italia

Tuttavia l'imprenditoria italiana, forse non sufficientemente preparata ad affrontare questa sfida, forse condizionata dai pregiudizi e dai vizi del capitalismo italico, piuttosto che investire per restare competitiva innalzando la produttività e la qualità scelse una via più conservativa che non comportasse un aumento dei capitali di rischio, ovvero scelse di ridurre i costi di produzione sia attraverso l'approvvigionamento all'estero dei prodotti semilavorati che grazie all'adozione di una moneta forte come l'Euro era diventato più conveniente importare, sia attraverso l'introduzione della cosiddetta flessibilità del mercato del lavoro. Le aziende manifatturiere invece di acquistare in Italia o di produrre direttamente realizzarono che era molto più conveniente importare i prodotti semilavorati dall'estero e che attraverso questa riduzione dei costi potevano restare competitive. Questo processo di internazionalizzazione delle

aziende italiane avviato a partire dai primi anni del 2000 ebbe importanti conseguenze. Una prima conseguenza fu la scomparsa di interi distretti industriali e artigianali, di una miriade di

piccole e medie imprese che producevano per conto terzi. Le aziende più piccole furono costrette a cessare la loro attività mentre le aziende più grandi e organizzate avviarono processi di delocalizzazione in paesi a basso costo di manodopera. Una parte del settore manifatturiero italiano, quello più esposto alla concorrenza internazionale sui prezzi, fu abbandonato a se stesso. Nessuna politica industriale fu predisposta per indirizzare i cambiamenti e, nel silenzio delle istituzioni economiche e dei sindacati (le aziende in difficoltà spesso avevano meno di quindici dipendenti), venne disperso un consistente patrimonio di competenze artigianali accumulate in

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decenni di attività, competenze che invece avrebbero potuto essere sfruttate per impostare

processi di riconversione. Una seconda conseguenza attiene al surplus di profitti generato dalla riduzione dei costi di

produzione e dalle ristrutturazioni avviate nel settore manifatturiero grazie anche alla

flessibilizzazione del mercato del lavoro. Per la maggior parte l'accresciuta disponibilità finanziaria

delle aziende non fu reinvestita per aumentare la produttività e la qualità dei prodotti, nè in attività produttive innovative, ma nella migliore delle ipotesi fu incanalata nel settore finanziario a scopo

speculativo. Nello stesso periodo, la riduzione dei costi di produzione coinvolgeva anche i lavoratori, sia

attraverso la complicità dei sindacati con la cosiddetta "politica dei redditi" (frutto della concertazione tra organizzazioni sindacali, organizzazioni dei datori di lavoro e governo) finalizzata a contenere la crescita dei redditi percepiti da tutti gli agenti economici (l'ultimo accordo prima della fine della concertazione è il Patto per l’Italia - Contratto per il lavoro del 2002), sia attraverso la riforma del lavoro con la legge 14 febbraio 2003 n. 30 (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro), nota comunemente come legge Biagi, varata per introdurre nel mercato del lavoro la cosiddetta flessibilità ma che, di fatto, ha comportato un forte aumento

del lavoro precario. In quegli anni è stato avviato un processo di impoverimento della classe media sia attraverso le

politiche di contenimento del costo del lavoro, sia attraverso la perdita del potere di acquisto dei

salari conseguente alla crescita dell'inflazione. Occorre evidenziare che si trattava di una inflazione negativa, infatti l'aumento dei prezzi non era

generato dalla crescita dell'economia italiana ma da fattori esterni: il progressivo aumento delle quotazioni del petrolio che nel corso del 2008 superò i 100 dollari al barile, l'aumento del costo delle materie prime, ma soprattuto a partire dal secondo semestre 2002, dall'indiscriminato e ingiustificato aumento dei prezzi verificatosi successivamente alla entrata in vigore dell'Euro. Questa situazione di fragilità dell'economia italiana si trascinò nell'indifferenza delle istituzioni fino

a quando nel 2007 esplose la crisi finanziaria internazionale. La crisi finanziaria in una prima fase non sembrò avere effetti sull'economia italiana tuttavia, dopo

che le economie reali furono contagiate e che furono colpiti i mercati di sbocco delle esportazioni italiane, anche in Italia si avvertirono le conseguenze della crisi, in particolare con il crollo della

domanda di beni

dall'estero. Le aziende manifatturiere italiane, per la maggior parte delle quali una quota consistente del

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fatturato dipendeva dalle esportazioni, nel biennio 2008/2009 entrarono in sofferenza e reagirono con una serie di contromisure: la saturazione della domanda interna, l'apertura di nuovi mercati d'esportazione e, soprattutto, l'adozione di una strategia tesa a riconquistare le quote di mercato perse rendendo i propri prodotti più competitivi. Un problema è che per rendere i propri prodotti più competitivi il settore manifatturiero italiano si lanciò per l'ennesima volta in una corsa alla riduzione dei costi di produzione - in quella situazione era una reazione obbligata considerato che l'innalzamento della qualità e della produttività richiede tempi relativamente lunghi ed investimenti difficili da programmare in un contesto di difficoltà ed incertezza - finendo per concentrare i suoi sforzi su una ennesima riduzione del costo del lavoro, essendo il sistema produttivo italiano gravato da elevati costi di sistema non facilmente comprimibili come, ad esempio, il costo dell'energia e la tassazione. Ed, infatti, il settore manifatturiero italiano a partire dal 2009 fu attraversato da una crescente ondata di riorganizzazioni aziendali finalizzate ad abbassare il costo della manodopera attraverso tagli al personale, compressione dei redditi da lavoro dipendente, aumento dei contratti atipici e delocalizzazione degli impianti produttivi. Ma questi cambiamenti nel sistema manifatturiero italiano determinarono un primo forte aumento

della disoccupazione e l'ennesima diminuzione del reddito disponibile della classe media. Fino al 2010 l'impoverimento della classe media era stato in parte mascherato da un aumento

dell'indebitamento delle famiglie italiane che, confidando in una soluzione ormai a breve termine della crisi, non ridussero il proprio tenore di vita influenzate anche dalla "moral suasion" del Governo italiano, il quale invitava i cittadini a spendere di più per far ripartire l'economia. Ma quando la ripresa economica mondiale tra il 2010 ed il 2011 lasciò fuori l'Italia - il PIL italiano segnò un valore lievemente positivo solo per l'anno 2010 con un tasso di crescita di circa 1,5 punti nemmeno sufficiente a dare una boccata di ossigeno all'economia italiana - le caratteristiche strutturali della crisi economica italiana divennero evidenti a causa del calo della domanda interna (i consumi) nel corso del 2011.

Il crollo della domanda interna era la conseguenza finale del progressivo impoverimento della classe media, un impoverimento verificatosi nel corso degli anni precedenti a causa delle politiche di compressione dei salari, della perdita di potere di acquisto dei redditi da lavoro, della crescita della cassa integrazione e della disoccupazione, crescita a sua volta provocata dalle ristrutturazioni e delocalizzazioni aziendali finalizzate al contenimento dei costi di produzione.

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L'unico dato positivo nel corso del 2011 fu la crescita delle esportazioni, ma il calo della domanda interna generò una nuova ondata di fallimenti, ristrutturazioni aziendali, licenziamenti, aumento della cassa integrazione e crescita della disoccupazione. Nel corso del 2012 la situazione economica dell'Italia ha continuato ad essere negativa con crescita della disoccupazione, in particolare quella giovanile, calo dei consumi, riduzione del credito e contrazione del PIL e non è migliorata nemmeno negli anni seguenti fino a tutto il 2014. L'impoverimento della classe media testimoniato dalle crescenti difficoltà economiche dei lavoratori, il crollo dei consumi e della fiducia, la scarsa o assente crescita hanno evidenziato che il sistema economico italiano è affetto da problemi strutturali.

I grafici della crisi in Italia ( scritto da Danilo DT il 17 febbraio 2014,Intermarket&more) del tasso

Molto spesso ci si preoccupa della disoccupazione negli Stati Uniti , della percentuale di

partecipazione della forza lavoro, della disoccupazione giovanile degli altri stati ma non si guarda mai con troppa attenzione ai dati relativi all’Italia , su queste fondamentali tematiche. La disoccupazione è considerata come uno dei principali e fondamentali elementi per valutare le condizioni di salute economica di uno stato e della sua popolazione. E allora è importante riportare qui di seguito alcuni dati che fanno capire in quale situazione si trova A gennaio sono stati chiesti 81 milioni di ore di cassa integrazione, equivalenti a 440.000 lavoratori a zero ore: lo sottolinea la Cgil rielaborando i dati Inps. Il reddito complessivo perso è stato pari a 311 milioni di euro, ovvero 700 euro in meno in busta paga per ogni lavoratore in cig a zero ore. «E’ ancora drammatica emergenza sul fronte lavoro – dice il segretario confederale Cgil, Elena Lattuada – il prossimo governo dia un segnale di decisa discontinuità rispetto al passato mettendo al centro dell’agenda il lavoro». (…) La risposta del Ministro del Lavoro (…) Nel mercato del lavoro c’è una lieve ripresa: il ministero del Lavoro ha diffuso i dati contenuti in una nuova pubblicazione nella quale si evidenzia che nel terzo trimestre dell’anno le ore di cig effettivamente usate dalle imprese hanno mostrato un netto calo e che sale la domanda del lavoro (nelle costruzioni +0,7%). Il saldo tra attivazioni e cessazioni dei rapporti di lavoro – spiega la nota – è tornato a essere positivo e le ore lavorate sono in aumento

”.

(Messaggero)

(27)

10

Il grafico che mette in crisi i nostri figli. 4 su 10 sono disoccupati, Tasso disoccupazione in Italia oggi pari al 41.6%, altro che prossimi al 40%! Il sistema pensionistico è in tilt. Si va sempre più tardi in pensione. Inoltre la produzione diminuisce e il numero di impiegati non fa altro che scendere…

Facendo riferimento all’andamento trimestrale delle variazioni percentuali del PIL del

2016, attraverso i dati ISTAT : l’Italia resta in fondo raggiungendo solo 1% dell’incremento

del Pil.

Il ciclo economico nazionale resta condizionato da un notevole grado di incertezza

relativamente alle prospettive di breve periodo, e la ripresa rimane di modesta portata,

sebbene quello in corso rappresenti il secondo anno consecutivo di crescita dopo la

recessione del 2012-2013 e la stagnazione del 2014.

In conseguenza di un contesto internazionale meno favorevole, sono state soprattutto le

esportazioni a frenare, più che dimezzando il proprio ritmo di crescita rispetto al 2015. Allo

stesso tempo, l’espansione della domanda interna non ha offerto spunti in grado di

compensare tale rallentamento; malgrado la dinamica della spesa pubblica abbia assunto

un profilo leggermente espansivo e l’attività di investimento sia risultata un po’ più

sostenuta rispetto al recente passato (limitatamente, tuttavia, a quella in mezzi di

trasporto), è la domanda delle famiglie ad aver decelerato.

A livello settoriale, il rallentamento dell’export sta frenando soprattutto il recupero

dell’industria manifatturiera, mentre per le costruzioni si sono consolidati i primi segnali di

(28)

inversione del ciclo dopo una crisi ormai decennale, che ne ha drasticamente

ridimensionato produzione e quotazioni. Terziario ed agricoltura, infine, si mantengono

lungo un percorso di bassa crescita.

(29)

2 La Toscana in chiaro

11

La Regione Toscana, dopo il susseguirsi degli effetti della crisi, si è rialzata e ha ripreso a camminare; nonostante la sua economia sia depotenziata, ora la Toscana punta ad accelerare la marcia, usando delle strategie che potrebbero consentirle di entrare a far parte delle regioni che portano il Paese, al fianco di Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte, verso la

rinascita. Dalla sua parte ha il fatto che la regione possiede uno dei brand più forti al mondo, soprattutto

perché può contare sul turismo: città ricche, arte e buon vivere, attraggono 13 milioni di turisti all’anno e tanti investitori (soprattutto) nell’hôtellerie e nel vino; e ha anche un network di centri di ricerca e di saper fare artigianal-industriale che tiene stretti (pur con qualche affanno) sia le multinazionali radicate nel territorio che i tradizionali distretti industriali capaci di assicurare il 40% dei 33 miliardi di export annuale e presenti in vari settori (dal tessile all’oreficeria, dalla concia alla pelletteria, dal marmo alla carta, fino ai camper e alla nautica). Il centro di interesse delle ricerche segnalato dai centri di studio di Bankitalia e Irpet così come quello dalle associazioni imprenditoriali e dai sindacati, è la crescita attuale che risulta non essere sufficiente a spingere l’occupazione e a far correre gli investimenti e il mercato interno. Quest’anno per la Toscana è previsto un incremento del Pil vicino all’1%, dopo tre anni di crescita moderata, da “zero-virgola” (2014, 2015, 2016). Segnali confortanti arrivano anche dall’industria, che l’anno scorso è stato il settore più performante (+2,6% la produzione), mentre resta modesta la crescita nei servizi (anche se va bene il turismo) e continua a ristagnare l’attività delle

costruzioni. Come riportato dal presidente di Confindustria Toscana Pierfrancesco Pacini, si devono tenere in

considerazione i numeri che raccontano che è in atto una crescita, ma che è ancora troppo debole rispetto alla lunga crisi che si è protratta. Per questo motivo serve incrementare il numero di imprese e di industrie: si devono cogliere le opportunità che lo sviluppo tecnologico fornisce alle

11

“La situazione in Toscana” , in http://www.ilsoloe24ore.com (dossier n4 articoli Rapporto

Toscana di Silvia Pieraccini, 30 ottobre 2017 ).

Riferimenti

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23 Sulla questione, cfr. 24 Per gli altri registri sui quali è possibile rilevare tali dati, cfr. 52 della circolare IRDCEC n. 25 Il trattamento fiscale di dette spese

banche rispetto agli altri intermediari finanziari, prevedendo disposizioni espressamente dedicate agli enti creditizi (come nel caso delle partecipazioni acquisite per

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