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Fabio Morotti, Teatro e danza in Cambogia

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Academic year: 2021

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(1)RECENSIONE. Fabio Morot, Teatro e danza in Cambogia, Riano (RM), Editoria & Spe acolo, 2010, pp.367 di Ma eo Casari Il fa o che il panorama italiano degli studi dedica# alle ar# performa#ve asia#che so+ra di un certo ritardo appar#ene ormai ad una di+usa vulgata. Blandendo un po’ l’enfasi pessimis#ca che tale a+ermazione rischia di accreditare ulteriormente – la situazione non è poi così nega#va seppure il lavoro non manchi – deve però essere riconoscituo che spesso l’indagine nostrana dedicata alle tradizioni sceniche altre viene considerata fglia di un dio teatrale minore. Questa percezione si acccentua laddove si fuoriesca dai confni di quelle che sono considerate le "grandi" tradizioni dell’India, del Giappone, della Cina e dell’Indonesia (di Giava e Bali più segnatamente) che hanno saputo meritarsi un’alta considerazione catalizzando la maggior parte degli studi. Fabio Morot, che ha trascorso mol# anni in Asia e in Cambogia realizzando documentari come free-lance, me endo a sistema la sua formazione (si è laureato al DAMS di "Roma Tre" nel 2003) e le risultan# di una lunga ricerca di campo ha contribuito con il suo studio a riequilibrare i pesi dimostrando – qualora ve ne fosse ancora il bisogno – che sul piano della complessità e dignità culturale non possono trovare spazio graduatorie di alcun #po. Non si tra a del primo lavoro italiano sull’argomento – con un’a enzione e un approccio etnomusicologici si confgurano come studi seminali quelli di Giovanni Giuria# e, con categorie di le ura antropologiche e teatrologiche, quelli di Giovanni Azzaroni – ma sicuramente è ad oggi il più completo e aggiornato abbracciando e rendicontando sulle origini dell’universo performa#vo cambogiano fno alle sue più recen# mutazioni e persistenze. Nell’intero svolgimento del resoconto la permanenza sul campo e la possibilità di interloquire con i protagonis# della scena contemporanea – tanto dei generi della tradizione di corte giun# all’oggi, quanto di quelli popolari sviluppa#si negli ul#mi decenni – perme ono a Fabio Morot di intrecciare le sapienze dei tra a# e dei manuali con quelle delle voci e dei corpi dei maestri e degli interpre#: un valore aggiunto che merita di essere evidenziato. Il volume si stru ura in due par#. La prima La tradizione delle danze di corte Khmer: storia, document e mito prende le mosse dai mi# di fondazione Khmer individuandone il ruolo della danza No 2 (2011). h p://antropologiaeteatro.unibo.it. 243.

(2) (mai ne amente dis#nguibile dal teatro come di frequente capita in Asia) e in par#colare delle apsara e delle devata, le ninfe celes# istoriate sulle pare# del tempio di Angkor Wat (vero e proprio tra ato teatrale di pietra) divenute modello este#co imprescindibile per l’idea cambogiana di danza. La nascita e lo sviluppo del teatro di corte, tenendo conto anche delle infuenze indiane, vengono seguite fn agli esi# del periodo classico, alla parentesi coloniale francese (con l’ovvio risalto alle rappresentazioni del Balle o Reale del 1906 alla prima esposizione coloniale di Marsiglia e poi a Parigi dove Rodin inseguirà la fessuosità di corpi in grado di esprimere sen#men# interiori) per giungere alla dramma#ca stagione dei Khmer Rossi guida# da Pol Pot e al ruolo decisivo avuto nella difcile ricostruzione di una dignità e iden#tà culturali durante i decenni conclusivi del XX secolo: "[...] in nessun altro paese il passato è divenuto una dimensione così leggibile e vicina al presente. Il periodo più glorioso della storia cambogiana, quello della civiltà angkoriana (IX-XV secolo), ha fornito alla monarchia e al popolo Khmer un #po di passato in cui guardare, per costruire la propria iden#tà e scoprire la natura della propria cultura e delle comuni pra#che religiose" (Morot, p. 102). In questo Fabio Morot si allinea con le ipotesi che stru urano il giustamente famoso reportage di Amitav Ghosh Dancing in Cambodia (pubblicato in Italia da Einaudi in Estremi orient, e dall’editore Linea d’ombra). La seconda parte Generi teatrali e danze della Cambogia a raversa un panorama performa#vo più ampio, sempre descri o in una progressione cronologica verso la contemporaneità, cos#tuito dal Lakhaon Kbach Boran (il teatro-danza di corte), dal Lakhaon Khaol (teatro-danza maschile) le cui origini rurali e magico-religiose non impedirono il suo approdo a corte, dal teatro delle grandi (Sbek Thom o Nang Sbek) e piccole (Sbek Touch o Ayang) ombre di cuoio – un genere per nulla inferiore al teatro d’a ori in carne e ossa –, dalle danze folkloriche e popolari e dai generi di più recente fssazione: "Prima dell’avvento del regime dei Khmer Rossi, negli anni Se anta, la Cambogia poteva vantare una sorprendente varietà di tradizioni teatrali oltre a quelle che si pra#cavano nella corte. Ma non tu e potevano vantare un’an#ca discendenza come accade per i cosiddet ‘generi classici’; negli anni Sessanta, quando a Phnom Penh si cos#tuì l’Università Reale di Belle Ar#, la maggior parte delle forme teatrali più popolari era, infat, appena venuta alla luce [...]" (Morot, p. 319). Nella parte conclusiva trova spazio anche una rifessione, doverosa, sul ruolo che is#tuzioni come l’URBA giocano nel complesso bilanciamento tra la necessità di conservare e tramandare i generi No 2 (2011). h p://antropologiaeteatro.unibo.it. 244.

(3) della tradizione e il rischio, in#mamente connesso a tali istanze, di una loro raggelante museifcazione. Completano e integrano lo studio una sezione di disegni (realizza# da Francesco Berni) con brevi descrizioni degli strumen# musicali che formano le immancabili orchestre di accompagnamento, una nutrita serie di fotografe (alcune dell’autore, molte di Daniela Pellegrini), un glossario e una bibliografa. Infne l’autore sceglie legitmamente, come mol# studiosi suoi predecessori, di non ado are la trasli erazione scien#fca della lingua Khmer – molto complessa – preferendone una capace di rendere il suono più vicino possibile all’originale cambogiano: la trasli erazione scien#fca poteva forse essere mantenuta almeno per i vocaboli sanscri#.. No 2 (2011). h p://antropologiaeteatro.unibo.it. 245.

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