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Determinazione del contenuto in tracce in prodotti alimentari commerciali, di un elemento Cs-137, sottoprodotto della fissione nucleare.

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INDICE

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Introduzione

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1. IL SUOLO E LE MATRICI AMBIENTALI 5

1.1 LA TUTELA DEL SUOLO 7

1.2 QUALITÀ DEL SUOLO 8

1.3 BIOINDICATORI 10

1.4 ORGANISMI NEL BIOMONITORAGGIO 16

1.5 I FUNGHI 17

1.5a. STUDI SUGLI ELEMENTI IN TRACCE PRESENTI NEI FUNGHI 19

1.5b. MICROELEMENTI 23

1.6 PRINCIPALI RADIONUCLEOTIDI GAMMA EMITTENTI 26

1.7 CHERNOBYL 29

1.8 SCOPO DELLO STUDIO 39

Materiali e metodi

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2. CAMPIONAMENTI 41

2.1 TRATTAMENTO SUI CAMPIONI 44

2.2 LETTURE RADIOISOTOPICHE 45

2.2a. SPETTROMETRO A RAGGI GAMMA: FUNZIONAMENTO

GENERALE 46

2.3 ANALISI 49

Risultati

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3. RISULTATI 51

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Bibliografia

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Ringraziamenti

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Introduzione

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1. IL SUOLO E LE MATRICI AMBIENTALI

Secondo la definizione dell’International Standard Organization ( ISO, 1996 ), con il termine “suolo” si definisce lo strato superiore della crosta terrestre, formato da particelle minerali, materia organica, acqua, aria e organismi viventi. Il suolo costituisce, pertanto, l’interfaccia tra la geosfera, di cui fa parte, l’atmosfera e l’idrosfera. Esso, inoltre, condiziona in maniera significativa la biosfera, soprattutto gli animali e i vegetali che in essa vivono e da essa traggono sostentamento. Tutti i comparti (o componenti) ambientali –atmosfera, idrosfera, geosfera, biosfera– sono strettamente interconnessi tramite trasferimenti di materia e di energia (Fig. 1).

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Tali relazioni sono riconducibili ai cicli biogeochimici degli elementi. Dal momento che l’uomo con le sue attività è in grado di influenzare fortemente questi processi, (Manahan 2000) ha rappresentato l’umanità come un ulteriore comparto ambientale. Le influenze antropiche sull’ambiente non sempre colpiscono direttamente tutte le componenti ambientali. Infatti inizialmente può essere colpita una sola di queste e successivamente, proprio a causa delle strette relazioni tra le varie componenti, tale impatto può ripercuotersi anche sulle altre. Se si considera il comparto geosfera e più in particolare il suolo, esso influenza la quantità di acqua superficiale e sotterranea, la composizione della troposfera, attraverso scambio di gas, la biodiversità, la produzione di biomassa e la salute umana. Un suo scorretto sfruttamento in agricoltura, mediante un eccessivo uso di pesticidi e fertilizzanti, incide negativamente, ad esempio, sulla qualità dell’acqua (Nationa Research Council, 1993 ). Le stesse pratiche agricole possono influenzare la qualità dell’aria variando la capacità del suolo di produrre o di

consumare importanti gas atmosferici, quali CO2, CH4 e N2O

( Rolston et al., 1993; Moisier, 1998 ). Ad esempio, l’uso di fertilizzanti può contribuire all’aumento in atmosfera di ossidi di azoto (Delmas et al., 1997) che, oltre ad essere gas serra, sono importanti regolatori della concentrazione di ozono troposferico. Inoltre, è noto che lo stato del suolo incide significativamente anche sulla componente biologica ( Stork e Eggleton, 1992; Doran e Zeiss, 2000; Van Bruggen e Semenov, 2000 ) e che un suolo contaminato può costituire un diretto pericolo per la salute umana attraverso il contatto, l’ingestione o l’inalazione di sostanze in esso contenute ( Langley, 2002 ).

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1.1 LA TUTELA DEL SUOLO

La Commissione Europea in una Comunicazione (2002) ha definito una serie di criteri da seguire per preservare al meglio le caratteristiche del suolo, in quanto viene considerato una risorsa e come tale deve essere protetto. Le cause capaci di determinare un suo degrado sono: l’erosione, la perdita di materia organica, la contaminazione diffusa o puntiforme, l’impermeabilizzazione, la compattazione, la salinizzazione, la perdita di biodiversità, le inondazioni e gli smottamenti (Commissione Europea, 2002 ). I processi di degrado possono procedere più rapidamente delle capacità rigenerative del suolo stesso, in modo da rendere tale risorsa non rinnovabile. È fondamentale, quindi, attuare delle politiche sia a livello comunitario che mondiale, che abbiano il suolo come oggetto di tutela specifica. Infine, è stata sottolineata l’importanza della predisposizione di un sistema di monitoraggio e di indicatori per determinare le condizioni prevalenti del suolo e valutare l’impatto delle diverse politiche e pratiche di intervento. Sono stati emanati diversi Decreti Legislativi al fine di tutelare l’ambiente e per la riqualificazione di siti contaminati e lo smaltimento dei rifiuti. La legislazione vigente, affronta solo alcuni problemi che riguardano il suolo, soprattutto perché più direttamente legati alla salute e all’incolumità umana. Occorre, invece, intervenire anche per proteggere la risorsa suolo in quanto sistema vivente dotato di importanti funzioni.

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1.2 QUALITÀ DEL SUOLO

Il suolo è un’entità estremamente variabile caratterizzata da una vasta gamma di proprietà fisiche, chimiche e biologiche. La definizione della sua qualità risulta quindi difficile, in quanto è necessaria la contemporanea considerazione di molti aspetti. Inoltre, i criteri e gli approcci per definire tale qualità possono essere anche molto diversi a seconda della funzione del suolo (Ruf et al., 2003).L’uomo è diventato sempre più consapevole che il suolo ha un ruolo critico nel mantenimento della qualità ambientale (Glanz, 1995). La più completa e recente definizione è quella di Doran e Parkin (1996), adottata dalla Soil Science Society of America: la qualità è la capacità di uno specifico tipo di suolo di funzionare, nell’ambito di un ecosistema naturale o gestito, per sostenere la produttività vegetale o animale, per mantenere o migliorare la qualità dell’aria e dell’acqua e per supportare la salute umana e le abitazioni (Karlen et al., 1997). La determinazione dello stato del suolo, pertanto, deve essere effettuata sulla base della componente biologica, perché condiziona direttamente o indirettamente i processi del suolo (Stork e Eggleton, 1992). La valutazione dello stato del suolo, attraverso la componente vitale, ha appunto lo scopo di valutare se il tipo di uso passato o recente oppure le condizioni dell’intera area o di tutto il pianeta abbiano avuto, o abbiano tuttora, influenze tali da compromettere la vita degli organismi. Nel corso del tempo è stato necessario, quindi, sviluppare degli strumenti per misurare la qualità secondo questo punto di vista. Per questo scopo si è arrivati alla ricerca di bioindicatori. La valutazione delle variazioni a carico di animali e vegetali viene definita “Biomonitoraggio” e si basa sull’impiego di organismi viventi “sensibili”, in grado cioè di fungere da indicatori del degrado della qualità ambientale dovuto all’inquinamento. L’uso di organismi sensibili

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a stress ambientali si è reso necessario in quanto i dati di tipo chimico-fisico non davano una visione globale del possibile impatto ambientale, ma fornivano solamente una misura frammentaria e incompleta. Negli ultimi anni, invece, si è molto approfondito il biomonitoraggio, con la ricerca di bioindicatori (Pankhurst et al., 1997; Van Straalen e Krivolutsky, 1996).

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1.3 BIOINDICATORI

“È un organismo o sistema biologico usato per valutare una modificazione , generalmente degenerativa , della qualità dell’ambiente, qualunque sia il suo livello di organizzazione e l’uso che se ne fa. Secondo i casi il bioindicatore sarà una comunità, un gruppo di specie con comportamento analogo (gruppo ecologico), una specie particolarmente sensibile (specie indicatrice), oppure una porzione di organismo, come organi tessuti cellule o anche una soluzione di estratti enzimatici” (Iserentant e De Sloover 1976). In questa definizione rientrano pertanto gli individui, le popolazioni, le comunità, i gruppi ecologici ma anche le parti corporee, come organi, tessuti, cellule nonché i prodotti metabolici. È possibile inoltre distinguere un bioindicatore passivo, qualora esso sia naturalmente presente in un’area inquinata, oppure attivo, nel caso in cui esso venga esposto artificialmente all’agente inquinante (De Kock e Kramer, 1994; Powell, 1997).

I requisiti di un buon bioindicatore variano con la natura dello stesso, con il tipo di risposta che è in grado di esprimere, con il tipo e la durata dell’alterazione ambientale che si intende rilevare. Uno dei parametri principali per la valutazione di un bioindicatore è l’accertata sensibilità nei confronti di una azione perturbatrice, ovvero tutta una serie di stress al quale l’indicatore è costantemente sottoposto e che causa un’ampia gamma di risposte: alterazione biochimica e fisiologica, disturbo dei bioritmi, modificazione anatomico-morfologica, variazione della composizione della comunità degli individui per la morte delle specie sensibili ,fino alle trasformazioni territoriali che hanno diretti effetti sul paesaggio, sulle sue forme e sul suo funzionamento ( Sartori, 1998 ). Tra le principali cause di stress degli organismi viventi abbiamo: cause biotiche come infezioni, parassiti competizione; cause abiotiche come

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temperatura alta e bassa, troppa o poca acqua, radiazioni (IR, visibile, UV, ionizzanti) sostanze chimiche, molecole inquinanti, sali ,gas tossici, fitofarmaci e erbicidi, agenti fisici come la pressione atmosferica e il vento, distruzione di ambienti. Il tipo di risposta del bioindicatore varia in relazione al livello di organizzazione biologica del sistema assunto come bioindicatore e al tempo di esposizione. I tipi di bioindicatori, le modalità diverse di risposta e le condizioni ambientali da rilevare permettono una vasta scelta di uso. I bioindicatori di basso livello di organizzazione biologica, sono soprattutto usati come sensori e veri e propri strumenti di rilevamento. I bioindicatori identificati come organismi di scarsa o nulla mobilità, sono generalmente usati come test. I bioindicatori nati in natura, danno invece informazioni di diverso tipo che verranno raccolte da personale specializzato. Ed infine, quando l’indicatore biologico si comporta anche da bioaccumulatore, dà delle informazioni in merito allo stato di salute dell’ambiente circostante, perché accumula in parti vecchie o morte del suo corpo la sostanza inquinante.

Un buon bioindicatore dovrebbe avere le seguenti caratteristiche:

 deve essere facilmente reperibile, ubiquitario, disponibile durante tutto il corso dell’anno;

 deve essere sensibile agli inquinanti, in particolare deve reagire alla variazione ambientale nel suo complesso e non ad un singolo fattore, così da consentire una valutazione degli effetti sinergici delle miscele di sostanze;

 deve essere capace di integrare più informazioni traducendole nella stessa risposta (morte o deperimento);

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 deve essere il più possibile longevo e presentare un accrescimento il più possibile lineare e continuo;

 deve essere affidabile e avere un buon potere discriminante rispetto agli stimoli che deve monitorare.

 deve avere buona correlazione con le funzioni del suolo, quali lo stoccaggio ed il rilascio dell’acqua, la decomposizione dei residui vegetali ed animali, la trasformazione ed il riciclo dei nutrienti, il sequestro e la detossificazione dei composti organici e la promozione della crescita delle piante ( Costanza et al., 1997 );

 deve essere accessibile, di facile comprensione e applicazione anche da parte dei non esperti ( Schiller et al., 2001 );

 deve avere ruolo chiave all’interno dell’ecosistema ( Edwards et al., 1995 );

 optimum ecologico ed ampia distribuzione nell’area di studio ( Edwards et al., 1995 );

 deve avere caratteristiche anatomiche, fisiologiche ed ecologiche ben conosciute ( Niemi e Mcdonald, 2004 );

 uniformità genetica ( Hopkin, 1993 );

 ciclo vitale sufficientemente lungo ( Hopkin, 1993 );

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Negli ultimi anni, la possibilità che sostanze tossiche di diversa natura possano entrare nella catena alimentare ha raggiunto livelli elevati soprattutto a causa della loro aumentata immissione nella biosfera. L’utilizzo di indicatori fisiologici e biochimici per monitorare l’inquinamento di acqua, aria e suolo permette di trovare una correlazione tra i livelli noti di una sostanza tossica e le variazioni di un parametro biochimico o fisiologico. È possibile determinare il grado di inquinamento di aree molto estese; in particolare, l’uso delle piante come bioindicatori può permettere di valutare la reale fitotossicità dei suoli che sono i substrati per la crescita delle piante, e di ottenere una stima della velocità di introduzione di sostanze tossiche nella catena alimentare; può consentire di valutare, anche ad ampio spettro, il grado di contaminazione di sottoprodotti agricoli o industriali potenzialmente reimmissibili nel ciclo produttivo; permette di abbassare notevolmente i costi del monitoraggio ma ci sono una serie di parametri che possono alterare il risultato, tra cui il grado di specificità, il tipo di informazioni che possono fornire e la reale applicabilità a condizioni naturali. Il biomonitoraggio, infatti, fornisce una stima indiretta, perché il bioindicatore può adattarsi all’inquinamento attivando meccanismi di espulsione rapida delle sostanze tossiche, falsando così il risultato delle analisi. L’efficacia di un parametro bioindicatore viene ridotta con l’aumentare dell’adattamento (Ernst e t a l ., 1994; Meharg, 1994). Pertanto bisogna tener conto dell’eventuale dinamismo interno del bioindicatore, della sua velocità di risposta allo stimolo sotto monitoraggio e delle eventuali fluttuazioni nel tempo del fattore di stress.

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Figura 2. Rilevanza ecologica e tempo di risposta in funzione del livello di organizzazione biologia scelto.

È evidente che tanto più il livello di organizzazione biologica diventa complesso, passando ad esempio dalla cellula all’organismo o dal singolo organismo alla popolazione, alla specie e alla comunità, tanto più aumenta la rilevanza ecologica ed il livello di integrazione dei fattori ambientali. Tuttavia, parallelamente, diminuisce la sensibilità nella risposta e la comprensione dei meccanismi che ne determinano gli effetti. È quindi fondamentale per una buona indagine ambientale avere a disposizione una serie di misure a diversi livelli di organizzazione. Questo è importante anche per il fatto che un contaminante produce dapprima un effetto ad un livello basso dell’organizzazione gerarchica e poi progressivamente, una volta annullati i rispettivi meccanismi omeostatici, a livelli sempre superiori. Un buon bioindicatore della qualità ambientale deve soddisfare una serie di requisiti tali che le

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informazioni ricavabili possano essere integrate positivamente con le caratteristiche chimiche, fisiche e biologiche dell’ecosistema.

Quindi i bioindicatori sono utili per rilevare cambiamenti, imputabili a fenomeni di contaminazione nell’ambiente naturale, permettendo in questo modo di valutare l’eventuale effetto e di quantificare le soglie di resistenza specifiche per un determinato sito. Essi esprimono, infatti, una risposta integrata di tutti gli stimoli che subiscono dall’ambiente in cui vivono; pertanto possono rilevare anche effetti sinergici od antagonisti di miscele di inquinanti. L’uso dei bioindicatori, inoltre, comporta un notevolmente abbattimento dei costi rispetto ai metodi tradizionali, basati sulla misurazione di parametri chimico-fisici. Il loro utilizzo ,però, presenta anche delle limitazioni tra cui il grado di specificità, il tipo di risposta che possono fornire e la reale applicabilità a condizioni naturali quali quelle di campo ( Sartori, 1998 ). Possono subire variazioni di parametri biochimici o fisiologici a causa di stress esterni, come la contaminazione da agenti inquinanti, o fattori interni come gli ormoni. Può essere una conseguenza di adattamento a seguito di un’esposizione prolungata ad una certa concentrazione di inquinante ( Stork e Eggleton, 1992 ). Nella fase di progettazione di un biomonitoraggio, occorre selezionare i bioindicatori più adatti in base contesto in cui si opera, e agli obiettivi dell’indagine.

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1.4 ORGANISMI NEL BIOMONITORAGGIO

Come già precedentemente accennato, il suolo è non solo a contatto ma anche in stretta relazione con gli altri comparti ambientali, con i quali ha regolari scambi di sostanze e di energia, nonché di organismi viventi, che collaborano all’attività chimica complessiva del suolo. Gli organismi comunemente utilizzati come bioindicatori appartengono ad un’ampia gamma di forme viventi: microrganismi (batteri, funghi ed alghe), microinvertebrati (nematodi, acari, collemboli, diplopodi, enchitreidi), macroinvertebrati (isopodi, lumbricidi, termiti, coleotteri, ditteri, formiche e molluschi) e piante. I microrganismi sono la componente biologica prevalente di tutti i suoli. Col termine microrganismi si indicano forme generalmente unicellulari che comprendono batteri, funghi, protozoi ed alghe. I fattori naturali e quelli esogeni possono influenzare sia la presenza che l’attività dei microrganismi di un suolo.

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1.5 I FUNGHI

I funghi occupano un ruolo fondamentale nel mondo naturale. Come organismi non fotosintetici essi traggono nutrimento dalla degradazione della sostanza organica. Usano diversi metaboliti secondari per assicurarsi un posto nel competitivo ambiente naturale e per proteggersi dai predatori. Sono ubiquitari e le loro attività si intrecciano con moltissimi aspetti della nostra vita, sia quando sono usati come sorgenti di prodotti farmaceutici, sia quando li consideriamo agenti patogeni delle piante o dell’uomo. Negli ultimi 50 anni, lo studio della chimica dei funghi coinvolti in queste diverse attività è stato considerevole, ma lo studio più preciso e sistematico si è avuto con la nascita delle tecniche e dei metodi spettroscopici. I funghi sono organismi eucarioti con un nucleo distinto che li distingue dai batteri procarioti e da un’altra famiglia di microrganismi del suolo, gli Actinomycetes (p.es. Streptomycetes). I lieviti sono considerati funghi unicellulari. Alcuni funghi crescono in simbiosi con le alghe fotosintetiche (o con i cianobatteri) sotto forma di licheni. Non crescono mai isolati: alcuni attaccano le piante, gli insetti o i mammiferi e vengono considerati patogeni, altri sono saprofiti e crescono su materiale in decomposizione, altri ancora vivono in simbiosi positiva con l’organismo ospite. Alcuni sono micorrizici e vivono in associazione con le radici delle piante facilitando loro l’approvvigionamento con i nutrienti presenti nel suolo, altri sono organismi endofiti che crescono all’interno del sistema vascolare delle piante. In tutte queste situazioni esiste un preciso linguaggio chimico che stabilisce la natura delle diverse relazioni tra il fungo e il suo ospite. Questa comunicazione ecologica è oggetto di molti studi attuali e ci permette di capire, sempre meglio, il ruolo dei metaboliti fungini e delle piante in generale.

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La chimica dei funghi ha un impatto notevole in tanti aspetti della nostra vita, compreso quello economico: che si tratti del lievito per fare il pane, del risotto ai funghi o della produzione di antibiotici come la penicillina. Il controllo degli organismi patogenetici e l’identificazione dei loro metaboliti tossici nella catena alimentare è fonte di diversi problemi e indagini dei chimici. Esula da questo lavoro l’analisi della struttura chimica e dell’attività biologica dei metaboliti dei funghi, come pure il loro metabolismo, la biosintesi e la regolazione enzimatica di questi processi, nonostante sia di grande interesse, soprattutto per l’applicazione agrochimica, geochimica ed ecologica. Come organismi biodegradatori i funghi possono operare trasformazioni microbiologiche di sostanze chimiche estranee. Possono funzionare come reagenti chirali amici dell’ambiente. L’uso di questa abilità biodegradante nei suoli contaminati come biorimedio è di notevole attualità. Quello che interessa particolarmente in questa sede è la loro capacità di bioaccumulare elementi presenti nel suolo, molti utili all’uomo e in quantità significative, ma anche elementi non graditi, come metalli pesanti tossici.

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1.5a. STUDI SUGLI ELEMENTI IN TRACCE PRESENTI NEI FUNGHI

Diversi autori si sono occupati della composizione minerale dei vari tipi di funghi, sia con lo scopo di verificare il loro contributo nell’alimentazione, sia per valutare la loro tossicità come pure per ipotizzare un loro impiego per il geo-risanamento, vista la loro peculiarità di essere bio-accumulatori di elementi presenti nel suolo. Nell’introduzione della ricerca di G. Giannaccini et al. (2012) si legge che i macromiceti giocano un ruolo dominante nell’ecosistema come decompositori della materia organica riciclando azoto, carbonio, zolfo. Sono considerati anche una sorgente importante di carboidrati complessi e proteine (circa 40% e 17% rispettivamente) apportando alla dieta pochi grassi e calorie (Latiff et al 1996). Citando Manzi et al. (2001) gli autori evidenziano che i funghi commestibili contengono chitina, β-glucani e vitamine con proprietà terapeutiche nei confronti dell’ipertensione, ipercolesterolemia e disturbi cardiovascolari.

I funghi sono capaci di prelevare minerali dal terreno e accumularli nei loro corpi fruttiferi (Sti ve et al. 199 ; homet et al. 1999; ala and Svoboda 2000; Zimmermanovà et al. 2001; Falandysz et al. 00 ; ala et al. 004; uda s a and Les i 005; Olumu i a et al. 00 ; uzen et al. 00 ; hudz s i and aland sz 00 ; ran o s a et al. 010; Brzosto s i et al. 011a; hudz s i et al. 011).

Citando Vetter (1993) e Chen et al. (2009) gli autori riportano la capacità dei funghi di concentrare metalli pesanti in quantità di due ordini di grandezza maggiori rispetto alle piante verdi e agli ortofrutticoli, come pure la loro ricchezza in elementi antiossidanti in grado di contrastare l’azione dei metalli pesanti.

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Il contenuto degli elementi in tracce, come evidenziato da Zabowski et al. (1990); Zimmermanovà et al. (2001); Cocchi et al. (2006); Ouzouni et al. (2007); Petrini et al. (2009) è specie-specifico ed è inoltre dipendente sia dal terreno che dall’inquinamento atmosferico e ambientale ( abo s i et al. 1990; arvalho et al. 005; Do an et al. 00 ; Benbrahim et al. 2006; Chen et al. 2009; Garcia et al. 2009; Falandysz et al. 011). i sono poi anche differenze all’interno della spessa specie (Zhang et al. 2010; Brzostowski et al. 2011).

a i funghi possono accumulare diversi metalli anche in suoli non contaminati, in dipendenza dei fattori geochimici ed ecologici (Nonnis arzano et al. 001; Ni arinen and ertanen 004; Borovit a and anda 2007; Chudzyski and Falandysz 2008; Zhang et al. 2008; Chudzyski et al. 2009).

È noto come alcune specie fungine siano in grado di accumulare elevati livelli di contaminanti radioattivi e convenzionali, nonostante i bassi livelli presenti nel terreno circostante e come essi siano in grado di trattenere per lunghi periodi nel micelio superficiale e conseguentemente nel carpoforo elevate concentrazioni di inquinanti ( Giovani et al., 1990). Gli alti coefficienti di trasferimento terreno/fungo e la vasta estensione superficiale del micelio contribuiscono a rendere i macromiceti ottimi bioindicatori di radiocontaminazione ( Fraiture et al., 1990; Giovani et al., 1990 ). Marzano et al., ( 2001 ) hanno cercato di valutare l'impatto dell'incidente di Chernobyl sui diversi ecosistemi e l'evoluzione della contaminazione, nell’ambito delle indagini radioecologiche, avendo in chiara considerazione come la contaminazione apportata dall'incidente di Chernobyl sia stata alquanto disomogenea e come la piovosità, nonché le caratteristiche del territorio influenzino i diversi livelli di contaminanti presenti nei funghi. L’analisi dei dati indica che, nonostante fossero

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passati più di 10 anni dall’incidente, la concentrazione di Cesio 137nei macromiceti simbionti da loro analizzati era ancora molto significativa. Nel 2004 Giovani et al., scoprirono in uno studio prolungatosi per 16 anni, che la concentrazione di Cs 137 non diminuiva in modo significativo nel lungo periodo; tuttavia si spostava dai funghi con micelio più superficiale a quelli con micelio più profondamente inserito nel terreno. Gli scopi del loro lavoro erano i seguenti:

1. Quantificare il fenomeno della contaminazione radioattiva nei macromiceti del riuli Venezia Giulia come conseguenza dell’incidente di Chernobyl;

2. Disegnare una mappa della contaminazione radioattiva dei macromiceti;

3. Studiare il trend dei tempi di contaminazione dei funghi;

4. Studiare gli attributi distintivi della radiocontaminazione in relazione alle caratteristiche ecologiche dei funghi;

5. La valutazione della possibilità di usare i macromiceti come indicatori della contaminazione radioattiva;

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Figura 3. Concentrazione media annua di Cs 137 ( kBq kg-1 peso secco ) nei funghi raccolti nella regione Friuli Venezia Giulia (1986-2001) in otto siti comuni a tutti i sondaggi. Figura 4. Concentrazione di Cs 137 in funghi raccolti in Friuli Venezia Giulia ( 1986-1988 ).

Come si evince dalle figure 3-4, la concentrazione di Cs 137 nei funghi non si è sostanzialmente modificata negli anni; l’unica differenza rilevata sta nelle specie analizzate: mentre scende in alcune la concentrazione sale nelle altre, col risultato finale che il totale resta pressoché invariato. Per quanto riguarda il Boletus edulis i dati sono riportati in figura 5, in basso

Figura 5. Concentrazione media annua di Cs 137 in Boletus edulis ( Bq/Kg-1 peso secco ) 1996- 2002.

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1.5b. MICROELEMENTI

Sono detti oligoelementi gli elementi chimici presenti solo in tracce nell'organismo umano, in genere rilevati da studi degli ultimi anni, per l'evoluzione delle tecnologie analitiche. Gli studi si sono poi succeduti, fino all'individuazione delle molecole biologiche, in genere metallo proteine e vitamine, interagenti con gli stessi. Spesso di questi elementi non si conosce la localizzazione molecolare o la funzione biochimica. Il reale fabbisogno di questi elementi non è sempre stabilito né appurato, e molti autori li considerano in gran parte inessenziali. Si tratta di apporti dell'ordine dei microgrammi, o meno, giornalieri. In alcuni casi si tratta di metalli estremamente tossici, anche a basse dosi, e spesso soggetti ad accumulo nell'organismo, per cui il reale dosaggio non deve essere banalizzato. Sono molto più frequenti i rischi da sovradosaggio e contaminazione ambientale. Gli oligoelementi si possono a volte suddividere in elementi traccia ed elementi ultra-traccia. Tra gli elementi traccia ve ne sono alcuni che secondo la normale suddivisione micro/oligo, rientrano più compiutamente nei primi. In ogni suddivisione, comunque il dato discriminante è il reale fabbisogno quantitativo. Elementi traccia, generalmente definiti microelementi Sono elementi traccia (assunti dall'organismo umano nell'ordine di milligrammi/giorno):

ferro, zinco, rame, cobalto, (tossico allo stato ionico, e assunto solo in forma organicata, tramite l'apporto di vitamina B12), iodio, fluoro, (non essenziale, ma utile in prevenzione dentale), manganese, molibdeno e selenio.

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Elementi traccia, generalmente definiti oligoelementi:

 Cromo, solo in forma trivalente, altamente nocivo in forma esavalente, come nei cromati e bicromati. Se ne dibatte l'essenzialità a fronte di forti meccanismi di mercato nell'ambito della supplementazione. I soli ruoli biologici scientificamente provati in nutrizione umana si riferiscono a sintomi da carenza in pazienti ospedalizzati costretti a nutrizione parenterale totale a lungo termine. La carenza nell'apporto naturale viene pressoché scongiurata visti i livelli di apporto medio in qualsiasi forma di dieta. Si ipotizza che il cromo trivalente possa formare una metalloproteina a basso peso molecolare, coinvolta in alcune varianti del metabolismo di lipidi e glucidi, mai individuata.

 Vanadio, non sono noti ruoli biologici scientificamente provati in nutrizione umana, contrariamente a quanto noto per altri mammiferi dove, nei ratti, è essenziale per una corretta crescita (benché a livello di parti per miliardo nella dieta). Il suo eventuale ruolo nell'alimentazione è controverso. I suoi composti sono tutti altamente tossici, e le esposizioni atmosferiche tollerate, anche a livello lavorativo sono dell'ordine dei ng/m3

• Silicio, nell'uomo, pur non essendo nota la precisa biochimica relativa all'elemento, si sono evidenziati ruoli nel metabolismo dei tessuti connettivi, principalmente ossa e cartilagini. Non sono concordi i livelli raccomandati di assunzione, e i sintomi da carenza sono pressoché sconosciuti essendo ubiquitario alle concentrazioni utili, negli alimenti vegetali, nell'acqua potabile, in molti tessuti animali.

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Elementi ultra-traccia Sono elementi ultra-traccia (assunti dall'organismo umano nell'ordine di microgrammo/ giorno):

• Litio, non è noto se abbia un ruolo fisiologico, e gli studi sono attualmente controversi

• Nichel, alcuni studi clinici ipotizzano un qualche ruolo, ma ne viene pressoché escluso il rischio di carenze. Essenziale in alcuni microorganismi, in parte costituenti la flora intestinale dei vertebrati, mentre sono piuttosto noti e diffusi i sintomi da sovra dosaggio, e da reazione allergica, vista la diffusione ubiquitaria del metallo nelle leghe da conio e nella bigiotteria.

• Arsenico, altamente tossico e promotore della cancerogenesi, non sono noti ruoli biologici scientificamente provati in nutrizione umana.

• Cesio, non sono noti ruoli biologici. Si usa in idrologia per misurare le emissioni da parte dell'industria elettronucleare; usato in medicina per il trattamento di alcuni tipi di neoplasie e come catalizzatore nell’idrogenazione di composti organici; gli isotopi sono impiegati negli orologi atomici.

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1.6 PRINCIPALI RADIONUCLEOTIDI GAMMA EMITTENTI

Un radionuclide è un nuclide instabile che decade emettendo energia sottoforma di radiazioni. I radioisotopi sono isotopi radioattivi, cioè radionuclidi di uno stesso elemento chimico. I principali radionuclidi sono: Iodio 131, Cobalto 60, Stronzio 90, Plutonio 239, Americio 241 Cesio 134, e Cesio 137. Il Cs 134 è un isotopo radioattivo del metallo alcalino cesio che si forma principalmente come un sottoprodotto della fissione nucleare dell’uranio, specialmente nel reattore nucleare a

fissione. Ha un emivita di circa 2,06 anni.

Il Cs 137 è un isotopo radioattivo del metallo alcalino cesio che si forma principalmente come un sottoprodotto della fissione nucleare dell’uranio,

specialmente nel reattore nucleare a fissione.

Ha un emivita di circa 30,17 anni. Piccoli quantitativi di Cs 134 e di Cs 137 vennero rilasciati nell’ambiente all’epoca delle esplosioni nucleari in atmosfera e da alcuni incidenti nucleari, specialmente dal disastro di Chernobyl.

Secondo il REGOLAMENTO (CE) N. 733/2008 DEL CONSIGLIO del 15 luglio 200 relativo alle condizioni d’importazione di prodotti agricoli originari dei paesi terzi a seguito dell’incidente verificatosi nella centrale nucleare di Chernobyl, il livello massimo consentito nei prodotti alimentari è esplicato nell’Articolo paragrafo 2:

“La radioattività massima cumulata di Cesio 134 e 137 non deve essere superiore a:

a) 370 Bq/Kg per i prodotti lattiero-caseari elencati nell’allegato II nonché per le derrate alimentari destinate all’alimentazione particolare dei lattanti durante i primi quattro-sei mesi di vita, sufficienti da sole per il fabbisogno nutritivo di questa categoria di

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persone e presentate al dettaglio in imballaggi chiaramente identificati ed etichettati come “preparazioni per lattanti”;

b) 600 Bq/kg per tutti gli altri prodotti interessati.”

Il livello massimo negli alimenti per animali è pari a 1250 Bq/kg per i maiali, 2500 Bq/kg per pollame, agnelli e vitelli, 5000 Bq/kg per altri animali. Il regolamento cessa di produrre effetti il 31 marzo 2020 e pertanto è applicabile in ciascuno degli Stati membri fino a tale data. Dagli alimenti che derivano dall’ambiente, è possibile una valutazione

del passaggio dell’inquinamento nella catena alimentare ( Fig. 6 ). Per esempio, la presenza di dell’inquinamento Cs137 nelle carni degli

animali selvatici e nei frutti di bosco, è strettamente correlata alla contaminazione del terreno. La contaminazione da Cs137 è legata soprattutto a precipitazioni atmosferiche successive ai disastri nucleari (uno su tutti Chernob l) che hanno causato l’accumulo di cesio nei territori in cui si sono abbattute. Il Cesio è scarsamente mobile e permane negli strati superficiali del suolo (10- 20 cm) per lungo tempo. I cinghiali e gli animali selvatici in generale, che si cibano al suolo, sono dunque particolarmente soggetti all’ingestione di Cs137

. Consumare per lungo periodo carne di selvaggina provenienti da zone contaminate può essere un fattore di rischio.

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1.7 CHERNOBYL

Nell’aprile del 19 , nella centrale nucleare di hernob l, si verificò un grave incidente nucleare. Chernobyl si trova in territorio ucraino a 80 km a nord della capitale Kiev, vicino al confine con la Bielorussia, e il complesso nucleare si trova a 12 km dalla cittadina di Chernobyl. Il 25 aprile del 1986 il personale del reattore numero 4 iniziò un test per verificare se le turbine erano in grado di far funzionare il sistema di raffreddamento. A causa della negligenza del personale si ebbe il surriscaldamento del nocciolo del reattore, con conseguente esplosione delle tubature dell’alimentazione e fuoriuscita di materiale radioattivo. La scoperta dell’incidente si ebbe quando il aprile 19 i lavoratori della centrale nucleare svedese di Forsmark furono trovati inspiegabilmente positivi al controllo della contaminazione radioattiva nella procedura di controllo ( Devell L. et al.,198; Frullani S. ). La distanza tra le centrali di Chernobyl e quella di Forsmark è di circa 1000 km, distanza percorsa dalla nube radioattiva in circa 30 ore. Le conseguenze dell’accaduto riguardarono l’intero pianeta, infatti si stima che la catastrofe dell’ sia responsabile di un aumento del % della radiazione presente nell’atmosfera. In questi 30 anni il reattore numero 4 ha continuato ad emettere materiale radioattivo, perché il sarcofago di cemento in cui fu sepolto si è incrinato in molti punti con numerose perdite. Un nuovo progetto, sostenuto da un Consorzio Europeo, è stato avviato per costruire un nuovo sarcofago, una calotta alta 110 metri e costruita a distanza, che scorrerà sui binari fino a coprire il reattore e renderlo sicuro. Il termine di realizzazione è stato ipotizzato per il 2015.

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A causa delle perturbazioni dei giorni successivi all’incidente di Chernobyl, la nube radioattiva è stata spostata sui territori circostanti e con le precipitazioni, è ricaduta sul suolo. La distribuzione del pulviscolo radioattivo ha interessato tutta l’Europa in particolar modo le zone dove le precipitazioni sono state più abbondanti.

Dopo l’incidente si è cercato di fare una stima della quantità di radionuclidi rilasciata. Si determinò un inventario della tipologia e della quantità dei vari nuclidi presenti nel nocciolo al momento dell’esplosione. Le valutazione fu fatta da due gruppi, uno nel 1986 ( Internationa nuclear advisor Group 19 ) e l’altro nel 199 ( Devell L. et al. 199 ). La stima più accredita sull’attività totale rilasciata è circa 5,3 EBq di materiale di diverso grado di aggregazione a cui vanno aggiunti 6,5 EBq di gas nobili. In tabella 1 sono riportati i principali radionuclidi emessi, sulla base della valutazione fatta.

Tabella 1. Principali radionuclidi rilasciati (gas nobili, elementi volatili, elementi a volatilità intermedia, elementi refrattari e particelle di combustibile) e relativa attività.

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Simulazioni che rappresentano la completa evoluzione dei rilasci ed il loro propagarsi su tutta Europa, riferiti alla contaminazione da Cs137, possono trovarsi in rete ed esprimono con efficace immediatezza la dimensione del territorio coinvolto da una significativa contaminazione ( Fig. 7 ).

Figura 7. Simulazione di contaminazione IRSN

I livelli di contaminazione del suolo sono determinati sia dalla quantità dei radionuclidi presenti nella nube che attraversa il territorio sia dalla

concomitante presenza di precipitazioni atmosferiche. La

contaminazione può avvenire per rainout, rilascio in pioggia di aerosol radioattivi, o per washout, dilavamento di una massa d’aria contenente

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aerosol radioattivo, e ciò comporta una notevole differenza di deposizione di materiale in base alla presenza o meno di precipitazioni. La differenza dei livelli e dei rapporti tra radionuclidi è dovuta, inoltre, a diversi aspetti tra cui la forma chimica con cui i radionuclidi sono fissati negli aerosol; le dimensioni di questi; e la presenza o meno di umidità nella deposizione, infatti, in caso di deposizione secca i livelli di contaminazione sono più bassi rispetto alle deposizioni umide, che corrispondono alle concentrazioni della nube radioattiva. Le condizioni meteorologiche, quindi, hanno fatto sì che gran parte dei Paesi dell’emisfero boreale siano stati attraversati dalla nube radioattiva. Lo stesso giorno dell’incidente la nube attraversò la Polonia ed i Paesi del Baltico, il giorno successivo raggiunse ed attraversò la Svezia e la inlandia mentre un diverso ramo della nube attraversò l’allora Repubblica Democratica Tedesca, I giorni successivi furono coinvolti i Paesi dell’Europa centrale e l’Italia. Il primo maggio la nube raggiunse il Belgio, la rancia e l’Olanda. Il maggio fu la volta del egno Unito, Grecia ed uno dei rami dei primi rilasci raggiunse il Giappone. Il 4 maggio la contaminazione raggiunse la ina, il 5 l’India ed i giorni successivi anche gli Stati Uniti ed il Canada furono interessati . In figura 7 sono riportati i risultati della modellizzazione dei rilasci dell’A A (U.S. Atmospheric Release Advisory Capability) ( NEA 2002 ).

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33 Range di contaminazione espresso KBq/m2 37-185 KBq/m2 185-555 KBq/m2 555-1480 KBq/m2 >1480 KBq/m2 % Territorio contaminato Paese Km2 Km2 Km2 Km2 Russia Europea 49800 5700 2100 300 1,5 Bielorussia 29900 10200 4200 2200 22,4 Ucraina 37200 3200 900 600 6,9 Svezia 12000 2,7 Finlandia 11500 3,4 Austria 8600 10,3 Norvegia 5200 1,3 Bulgaria 4800 4,3 Svizzera 1300 3,1 Grecia 1200 0.9 Slovenia 300 1,5 Italia 300 0,1 Moldavia 60 0,2

Tabella 2. Area contaminata ( Cs137 ) nei diversi Paesi nelle varie classi di livello ( km2 ) e relativa percentuale del territorio nazionale.

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34

I valori contenuti in Tabella 2 confermano che la contaminazione non fu solo a carico dell’ex U SS, ma si estese in tutta Europa (Fig. 8. De Cort M. 1998 ) a seguito dei fenomeni temporaleschi dei giorni successivi all’incidente di hernob l.

Figura 8. Mappa dei livelli di contaminazione da Cesio 137

In fig. 9 A e fig 9 B (De Cort M. 1998 ) sono, in particolare, indicate le zone che interessano il confine settentrionale italiano. La dislocazione casuale delle macchie evidenzia i diversi livelli di contaminazione in relazione alle condizioni metereologiche e alla permanenza della nube radioattiva. La mappatura delle fig. 8 e 9 evidenziano i dati della Tabella 2.

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A

B

Figura 9. A. one dell’Europa in cui la deposizione di s137 superava il limite di 37 kBq/m2 . B. Ingrandimento della zona vicina al confine settentrionale dell’Italia

La mappa della contaminazione sul territorio nazionale è riportata in fig. 10 ( De ort . 199 ). E’ stata ottenuta, dall’integrazione delle mappature ottenute con le misure di spettrometria gamma ( Risica S. 1987 ), con le numerose misure fatte da molti laboratori italiani e confluiti nel database europeo elaborato poi dal Centro di Ricerche Europeo di Ispra ( De Cort M. 1998 ).

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36 Figura 10. Mappa della contaminazione da Cs137 in Italia.

ocalizzando l’attenzione sulle zone che presentavano la maggiore contaminazione, come evidenziato dalla fig. 9 B, c’erano 3 zone nel nostro Paese che erano classificabili come “contaminate” secondo il criterio allora adottato.

Nella fig. 11 si può identificare una prima zona a cavallo della Dora Baltea, vicino ad Ivrea, ed una seconda zona a cavallo del ramo destro del lago di Como, interessante Lecco ed i suoi dintorni, tale zona era individuata nell’immediato post-Chernobyl con la denominazione

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“triangolo Lariano”. Sono le zone indicate con una contaminazione pari a 40 kBq/m2

Figura 11. Zone “critiche” in Piemonte-Lombardia.

In fig. 12 le macchie con la maggior concentrazione, con contaminazione di 40 kBq/m2, si dispongono nella zona dolomitica dell’alto Piave, in Veneto, ed in riuli a nord-nordest di Maniago e a nordest di Gemona, a cavallo del confine con la Slovenia. Sono zone note alle Agenzie egionali per l’Ambiente competenti e, a suo tempo fu accertata la corrispondenza tra la piovosità locale nei primi giorni di

maggio 1986 ed il più alto grado di contaminazione riscontrato.

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38

Vari fenomeni contribuiscono al trasporto e alla diffusione verso il basso dei radionuclidi nel suolo. La velocità di movimento varia con la forma fisico-chimica del radionuclide e con il tipo di suolo. In fig. 13 ( Perrow C. 1984 ) sono riportate alcune misure eseguite su terreno non coltivato nella regione di Gomel in Bielorussia ( Unscear, 2008 ). Si vede come nei 13 anni trascorsi tra i due rilevamenti ci sia stato un notevole trasferimento del materiale radioattivo agli strati più profondi del suolo. Inoltre nei terreni coltivati, le arature provocano un profondo rimescolamento del terreno che accelera la migrazione verso il basso, come pure il dilavamento dovuto all’irrigazione. Ad anni di distanza dalla deposizione i vari fenomeni dovrebbero aver considerevolmente depauperato, per i livelli di contaminazione che stiamo esaminando, la “zona radicale” delle coltivazioni che è quella compresa tra 0 e 10 cm ( Unscear, 2008 ). In base ai dati acquisiti è possibile definire il Friuli come una delle zone italiane più colpite dalla deposizione radioattiva a seguito dell’incidente di hernob l.

Figura 13. Profili di profondità per Cs 137misurati subito dopo l’incidente e 13 anni dopo dell’attività.

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1.8 SCOPO DELLO STUDIO

La ricerca presentata in questo lavoro nasce con l’intento di individuare tra gli elementi in tracce contenuti in prodotti alimentari commerciali, quali funghi, marmellate e carne di cinghiale, il Cs 137, isotopo radioattivo non presente in natura. A tale scopo è stato utilizzato un “γ counter”, strumento in grado di misurare le radiazioni γ emesse da un radionuclide. Lo scintillatore più comunemente usato, è adatto per misurazioni di emettitori di fotoni a bassa energia come I125 e Cs 137. L’assorbimento di una radiazione γ provoca luminiscenza e il numero di quanti luminiscenti prodotti da un elettrone è proporzionale all’energia che esso cede allo scintillatore.

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2. CAMPIONAMENTI

1. Campionamenti di materiale fresco ( 500 g ) provenienti direttamente da varie zone della provincia di Lucca ( 2014 ): Campione 1 – Boletus Edulis, Careggine;

Campione 2 – Boletus Edulis, Careggine;

Campione 3 – Boletus Edulis, Appennino Tosco Emiliano ( Sillano );

Campione 4 – Boletus Edulis, Appennino Tosco Emiliano ( Sillano );

Campione 5 – Boletus Edulis, Appennino Tosco Emiliano ( Barga );

Campione 6 – Boletus Edulis, Altopiano delle Pizzorne ( Bagni di Lucca );

Campione 7 – Cantharellus Cibarius, Altopiano delle Pizzorne ( Bagni di Lucca );

Campione 8 – Cantharellus Cibarius, Appennino Tosco Emiliano ( Barga );

Campione 9 – Russula Cyanoxantha, Altopiano delle Pizzorne ( Bagni di Lucca ).

2. Campioni di funghi secchi acquistati in attività commerciali la cui provenienza è italiana:

Campione 1 – Gorizia; Campione 2 – Trento; Campione 3 – Trento;

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42 Campione 4 – Verona; Campione 5 – Padova; Campione 6 – Cremona; Campione 7 – Pistoia; Campione 8 – Vicenza; Campione 9 – Vicenza; Campione 10 – Vicenza; Campione 11 – Vicenza; Campione 12 – Arezzo; Campione 13 – Treviso; Campione 14 – Treviso; Campione 15 – Bologna; Campione 16 –Lucca.

Campioni di funghi secchi acquistati in attività commerciali la cui provenienza è estera: Campione 1 – Bulgaria; Campione 2 – Bulgaria; Campione 3 – Romania; Campione 4 – Romania; Campione 5 – Serbia; Campione 6 – Spagna.

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3. Campioni di marmellate di mirtilli acquistati in attività commerciali la cui provenienza appenninica o alpina italiana: Campione 1 Campione 2 Campione 3 Campione 4 Campione 5 Campione 6 Campione 7

4. Campioni di carni di cinghiali provenienti dalla provincia di Lucca derivanti da abbattimenti di battute di caccia:

Campione 1 – Carne di cinghiale zona , Altopiano delle Pizzorne (Bagni di Lucca);

Campione 2 – Carne di cinghiale zona Careggine;

Campione 3 – Carne di cinghiale zona Appennino Tosco Emiliano.

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2.1 TRATTAMENTO SUI CAMPIONI

I campioni di funghi freschi, provenienti direttamente dalla provincia di Lucca, sono stati sottoposti ad una prima fase di essiccamento con una temperatura di 110° C per 5 ore circa, sono stati poi pesati per determinare il peso secco in cui sono espressi i nostri risultati, successivamente sono stati portati ad un temperatura di 600°C per 5 ore e lasciati raffreddare per tutta la notte. I campioni di funghi secchi, acquistati in attività commerciali, sono stati pesati e trattati in stufa ad una temperatura di 600° C come precedentemente descritto. Per quanto concerne i campioni di carni e marmellate la temperatura di 600° C è stata raggiunta gradualmente con un aumento della stessa ad intervalli regolari per agevolare la disidratazione dei prodotti. La temperatura di 600° C è relativamente bassa per evitare la dispersione del materiale di nostro interesse, soprattutto a causa dell’elevata volatilità del Cs 137

ad alte temperature, maggiori di 800° C. Dopo la polverizzazione, il residuo del campione è stato trasferito in contenitore per essere sottoposto al conteggio della radioattività con l’apparecchio γ counter Wizard della Perkin Elmer.

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2.2 LETTURE RADIOISOTOPICHE

Per il conteggio della radioattività è stato utilizzato uno scintillatore Wizard della Perkin Elmer. Questo spettrometro a raggi γ è utilizzato per l’analisi della composizione chimica dei materiali. I raggi γ sono identificabili come onde elettromagnetiche ( fotoni ) derivanti da un alterato equilibrio tra l’attrazione nucleare e la repulsione elettromagnetica, ovvero le due forze più intense presenti in natura. Si ha, quindi, un decadimento dell’atomo che passa da uno stato energetico all’altro emettendo tre tipi di radiazioni, raggi α, β e γ. Le radiazioni α e β sono costituite, a differenza delle γ, da particelle cariche elettricamente. Sfruttando questa differenza, è possibile misurare le radiazioni γ mediante l’utilizzo di scintillatori, sostanze che emettono luce quando vengono colpite da particelle ionizzanti. Misurando l’intensità della luce emessa dallo scintillatore si ottiene una misura della radiazione.

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2.2a. SPETTROMETRO A RAGGI GAMMA: FUNZIONAMENTO GENERALE

La spettroscopia a raggi γ è una tecnica molto sensibile, basata sul rilevamento di radionuclidi. Mentre il rilevatore Geiger consente di valutare solamente il numero di particelle γ che colpiscono lo strumento al secondo, lo spettrometro γ valuta anche l’energia delle particelle. Il funzionamento dello spettrometro o scintillatore ( γ counter ) si basa sulla ionizzazione da parte di raggi incidenti provenienti da standard e campioni. Tale ionizzazione provoca l’espulsione di elettroni dei livelli energetici più esterni, che a loro volta collidono con altri elettroni eccitandoli e provocando l’emissione di fotoni di radiazioni visibili o ultraviolette. L’energia totale di questa cascata di fotoni è pari all’energia del fotone γ incidente. L’intensità del lampo luminoso è proporzionale all’energia del fotone espressa in elettronvolt, mentre il numero dei lampi è proporzionale all’intensità dei raggi γ. Un sensore sensibile alla radiazione visibile converte i flash luminosi in segnali elettrici che vengono inviati all’analizzatore. Il rilevatore attualmente più utilizzato è il cristallo di ioduro di Sodio drogato con Tallio NaI(Tl), preferito agli altri perché ha un’ottima risoluzione, ha buona trasparenza e visibilità anche dei flash più deboli, e rende il processo più economico. L’efficienza di un rivelatore è data dalle dimensioni del cristallo, mentre l’accuratezza della stima dipende dalla risoluzione dello spettro e dalla capacità di eliminare interferenze. Le interferenze o “ rumori” vengono schermate con l’utilizzo di collimatori attivi, costituiti a loro volta da scintillatori dotati di una risoluzione più scarsa rispetto al rilevatore, che rilevano interazioni simultanee nello schermo e nel rilevatore inibendo la misurazione di tale evento. Il più usato tra i materiali scintillatori negli schermi attivi è il cristallo di germanato di bismuto (BGO).

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Composizione dello strumento:

Rilevatore: dispositivo che rileva e converte l’energia di una radiazione in un segnale interpretabile. I più comunemente utilizzati sono i tubi fotomoltiplicatori insieme a contatori a scintillazione o camere di ionizzazione.

Camera di ionizzazione: strumento per la rilevazione di radiazioni ionizzanti, è costituita da due elettrodi in grado di condurre un impulso in un contenitore riempito di gas.

Collimatore: è costituito da un materiale altamente assorbente come il Piombo, che seleziona i raggi γ lungo una particolare direzione. Servono per garantire che solo una regione limitata sia irradiata e vengono posti di fronte all’elemento da rilevare in modo da eliminare le radiazioni anomale.

Contatore a scintillazione: produce i fotoni luminosi quando un raggio γ interagisce con particelle cariche con il singolo cristallo di ioduro di sodio di cui è composto. I tubi fotomoltiplicatori, sono otticamente accoppiati al cristallo e rilevano questi lampi di luce. La risultante dei segnali elettrici in uscita dai fotomoltiplicatori è proporzionale all'energia del raggio gamma incidente. Il contatore a scintillazione rileva la presenza, il tipo di particelle o radiazioni, e la loro energia. Il passaggio di radiazioni ionizzanti attraverso lo scintillatore eccita gli elettroni, e possono essere successivamente emesse sotto forma di un fotone. Uno dei materiali più comunemente utilizzati per rilevare i raggi γ è lo ioduro di sodio attivato con tallio all’1% per aumentare l'efficienza di scintillazione. Un contatore a scintillazione è composto da quattro componenti principali: un foglio di scintillatore, un fascio di luce, un fotomoltiplicatore e una base elettronica necessaria per leggere il

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segnale. Il foglio di scintillatore è molto lucido e la luce è condotta lungo di esso dalla riflessione interna totale. Una guida di luce trasmette scintillazioni al fotomoltiplicatore che converte il segnale ottico in uno elettrico e fornisce una elevata amplificazione.

Tubo fotomoltiplicatore: si tratta di una fotocellula estremamente sensibile utilizzata per convertire i segnali luminosi di fotoni in un impulso di corrente. È costituito da un fotocatodo abbinato a due elettroni moltiplicatori. Questi sono contenuti in un involucro di vetro. Il fotocatodo dispone di un rivestimento fotosensibile, fatto di metalli alcalini, posto a una estremità del tubo di vetro. I fotoni liberano elettroni a bassa energia dal fotocatodo, e poiché il numero di fotoelettroni prodotti è circa lo stesso del numero di fotoni di luce incidente, la carica totale dei fotoelettroni sarà troppo piccola per fornire un segnale elettrico rilevabile, di qui la necessità di un moltiplicatore di elettroni. La sezione del moltiplicatore di elettroni è costituita da un insieme di dieci dinodi (elettrodi) situati tra il fotocatodo e l’anodo. Avremo, quindi, un segnale che raggiunge l’anodo notevolmente amplificato ma comunque proporzionale al numero di fotoelettroni originario.

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2.3 ANALISI

Una sequenza analitica è solitamente organizzata nel modo seguente:

 contenitori vuoti (Bianco)

 campioni di analisi

 contenitori vuoti (Bianco)

 standard di calibrazione

Nella sequenza descritta, quindi, viene valutato anche il valore del “bianco”. In una determinazione analitica con il termine “bianco” si intende un campione nel quale sia pressoché assente l’analita in esame; il bianco segue contemporaneamente ai campioni tutta la procedura di analisi. Il segnale del bianco costituisce quindi la somma degli inquinamenti e dei disturbi introdotti con le manipolazioni eseguite o semplicemente con contaminazione ambientale; questo segnale viene generalmente sottratto da quello della misura sul campione incognito. Un controllo sistematico dei bianchi può indicare, ad esempio con un brusco innalzarsi dei valori, la presenza di inquinanti ambientali, o altri inconvenienti nelle procedure utilizzate. Lo standard di calibrazione è necessario per valutare l’efficienza dell’apparecchio γ counter, per radioisotopo Cs 137. Il campione contenente 0.265 microcurie ( mCi ) corrispondenti a 588.300 disintegrazioni per minuto ( DPM ). Data la lettura effettiva dello strumento, per il campione di calibrazione si può determinare l’efficienza dell’apparecchio valutando il rapporto tra DP effettivamente letti dallo strumento e DPM teorici moltiplicati 100. L’efficienza dell’apparecchio per la lettura del Cs 137

era circa il 15%. Tale valore va considerato per la reale radioattività contata sul campione.

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Risultati

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3. RISULTATI

Funghi provenienti dalla Provincia di Lucca

Bq/kg non Contaminato

Boletus Edulis, Appennino Tosco Emiliano (Sillano) 53.6

Boletus Edulis, Appennino Tosco Emiliano (Sillano) 30.0

Boletus Edulis, Appennino Tosco Emiliano (Barga) 40.5

Cantharellus cibarius, Appennino Tosco Emiliano

(Barga)

25.3

Cantharellus cibarius, Altopiano delle Pizzorne (Bagni

di Lucca)

28.7

Boletus edulis, Altopiano delle Pizzorne (Bagni di Lucca) 17.2

Russula Cyanoxantha, Altopiano delle Pizzorne (Bagni di

Lucca)

13.1

Boletus Edulis, Careggine 15.0

Boletus Edulis, Careggine 10.6

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Funghi secchi acquistati Bq/kg non contaminato Gorizia 132.9 Treviso 117.4 Treviso 60.0 Trento 85.0 Trento 59.2 Bologna 49.5 Arezzo 48.0 Pistoia 47.9 Verona 43.4 Padova 43.4 Vicenza 37.8 Vicenza 35.2 Lucca 34.6 Vicenza 26.8 Vicenza 23.4 Cremona 25.6

Tabella 4. Risultati di funghi acquistati nei negozi commerciali di provenienza italiana.

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Funghi secchi acquistati Bq/kg non contaminato Romania 80.2 Romania 22.0 Bulgaria 32.9 Bulgaria 10.6 Serbia 35.7 Spagna 17.5

Tabella 5. Risultati di funghi acquistati nei negozi commerciali di provenienza estera.

Marmellate acquistate Bq/kg non contaminato Campione 1 17.0 Campione 2 15.6 Campione 3 9.4 Campione 4 6.1 Campione 5 3.5 Campione 6 3.0 Campione 7 3.0

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Carne di cinghiale proveniente dalla Provincia di Lucca

Bq/kg non contaminato

Carne di cinghiale, Careggine 8.3

Carne di cinghiale, Altopiano delle Pizzorne Bagni di Lucca

7.3

Carne di cinghiale, Appennino Tosco Emiliano Sillano 6.7

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3.1 DISCUSSIONI E CONCLUSIONI

Le tabelle dei risultati riguardanti l’analisi di s 137

nei vari campioni di

funghi commestibili presentate nel precedente capitolo della tesi ( Tabelle 3-7 ), mostrano un’eterogeneità significativa e relativa alle aree

geografiche di provenienza, con impatto anche locale.

Osservando la Tabella 3, possiamo notare che i campioni di funghi epigei freschi commestibili provenienti direttamente dalla provincia di Lucca ( regione Toscana ) sono in accordo con l’ipotesi di distribuzione del Cs 137, in base anche a fattori meteorologici e alle precipitazioni avvenute successivamente all’incidente di hernob l. Infatti, i campioni raccolti in zone ad alta quota come l’Appennino Tosco-Emiliano, presentano una concentrazione più alta di Cs 137, in particolar modo nelle località di Sillano ( 53.6-30 Bq/kg ) e Barga ( 40.5 Bq/kg ), luoghi ad maggior frequenza annua di precipitazioni atmosferiche e piogge. Questi risultati confermano l’ipotesi che l’isotopo radioattivo si è accumulato in quantità superiore nei suoli dove le precipitazioni sono state più abbondanti a seguito dell’incidente. on la riduzione dell’altitudine si nota una decrescita nei valori di radioattività e i campioni di B. edulis provenienti dalla zona di Bagni di Lucca e Careggine hanno concentrazioni pari a 17.2 Bq/kg, e di 10.6-15 Bq/kg, rispettivamente. È comunque anche importante rilevare che l’assorbimento di Cs 137 è da ritenersi specie-dipendente: i campioni della specie B. edulis mostrano concentrazioni maggiori rispetto a campioni di Cantharellus cibarius e

Russula cyanoxantha, quando raccolti nella stessa zona; per es., B. edulis, Appennino Tosco Emiliano Barga: 40.5 Bq/kg vs. Cantharellus cibarius, Appennino Tosco Emiliano Barga: 25.3 Bq/kg. Questi dati

rispecchiano il fatto che ogni specie ha un diverso tipo di assorbimento e accumulo delle sostanze presenti nel suolo. Secondo il lavoro di

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56

Giannaccini et al., (2012), la specie B. edulis è in grado di modulare sostanze estratte dal suolo con scarso impatto rispetto al microhabitat naturale circostante e rispetto ad altre specie. I risultati di funghi freschi, provenienti dalla provincia di Lucca, sono comunque risultati tutti relativamente bassi ed è, quindi, possibile affermare che risultino sicuri per l’uomo e sono adatti ad un consumo continuo.

Analizzando campioni di funghi secchi B. edulis di provenienza da altre regioni italiane, acquistati in attività commerciali, le concentrazioni di radioisotopo sono risultate differenti anche in questo caso in base alla zona d’origine. I valori più alti sono stati riscontrati nei campioni provenienti da Gorizia, Treviso e Trento. Il Friuli Venezia Giulia, il Veneto e il Trentino Alto Adige sono infatti le regioni italiane tra quelle più colpite dalla nube radioattiva. Data la vicinanza tra queste province e la loro posizione geografica, è possibile affermare che il passaggio della nube abbia interessato prevalentemente il nord-est del paese. Il fatto che campioni limitrofi provenienti dalle province di Vicenza, Padova e Verona abbiano delle concentrazioni inferiori, è indice di una distribuzione non omogenea e soggetta a numerose variabili, tra le quali, come già detto, l’abbondanza delle precipitazioni atmosferiche. Estendendo il raggio di valutazione, regioni limitrofe come Lombardia, Emilia Romagna e Toscana, sono state interessate in maniera meno marcata. Infatti le concentrazioni di campioni provenienti da tali zone hanno dei valori più bassi e molto vicini tra loro: Bologna, Arezzo e Pistoia presentano una concentrazione di Cs 137 pari a 49 Bq/kg. Tra i valori più bassi troviamo il campione proveniente da Cremona, con una concentrazione di 25.6 Bq/kg, quindi con minore contaminazione radioattiva.

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La valutazione di campioni di funghi secchi, specie B. edulis, acquistati in attività commerciali ma di provenienza estera, ha confermato la diffusione del pulviscolo radioattivo su gran parte dell’Europa. Il valore più elevato è quello riscontrato nei campioni provenienti dalla Romania, 80 Bq/kg, uno tra i paesi dell’Europa centrale più vicino al luogo dell’incidente. I campioni di origine serba e bulgara, hanno delle concentrazioni di Cs 137 pari a 35.7 e 32.9 Bq/kg, rispettivamente, valori non particolarmente elevati e compresi nei limiti previsti dalle normative vigenti. La Spagna (penisola Iberica), con una concentrazione di 17.5 Bq/kg, ha mostrato i valori più bassi europei, riconducibili sia allo scarso impatto della nube sia alle stabili condizioni meteorologiche dei giorni successivi al /04/19 in questa regione geografica dell’Europa.

Il meccanismo con cui i funghi commestibili, tra cui le specie analizzate, accumulano i diversi elementi nei loro corpi fruttiferi non è attualmente stato completamente chiarito (Giannaccini et al., 2012). Diverse ipotesi sono state fatte circa i meccanismi biochimici e genetici che determinano la variabilità dell’accumulo di metalli ed elementi in tracce nei corpi fruttiferi dei funghi epigei commestibili che crescono in natura (Falandysz et al., 2008; Palapala et al., 2002). Bellion et al., (2007). Tali studi ipotizzano che l’accumulo dei microelementi nei funghi possa essere influenzato da molteplici fattori: la trascrizione genica ed i livelli di espressione di proteine fisiologicamente legate all’assorbimento, al trasporto e all’estrusione degli elementi dal terreno e la loro compartimentazione all’interno dei corpi fruttiferi sono ritenuti segnali adattativi di risposta alla variazione di composizione del terreno e dell’ambiente in cui il fungo cresce. Dal punto di vista nutrizionale e tossicologico, ala ( 2010 ) ritiene che oltre ad essere lo specchio per l’adattabilità genetica, i destini metabolici e le diverse specie chimiche

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degli elementi in traccia presenti nei corpi fruttiferi fungini può predire in modo più accurato la tossicità o l’impatto nutrizionale per il consumatore rispetto alla concentrazione assoluta degli stessi. Potrebbe pertanto essere interessante approfondire questi aspetti anche relativamente all’impatto tossicologico della contaminazione da Cs 137, considerando ovviamente le caratteristiche peculiari dovute all’effetto dell’incidente nucleare e alla radioattività dell’elemento in questione. Un altro aspetto da considerare ai fini tossicologici circa l’impatto dell’incidente di hernob l, è l’accumulo del radioisotopo a livello di microhabitat e nella catena alimentare. Infatti, data l’elevata emivita del Cs 137, pari a circa 30 anni, è plausibile pensare che il radioattivo possa essere entrato nella catena alimentare. Per tale motivo, una volta valutata la radioattività presente nei funghi italiani e in particolare della provincia di Lucca e aree limitrofe, abbiamo rivolto la nostra attenzione anche verso altri prodotti alimentari ricollegabili alla contaminazione dei suoli. Oltre ai funghi, sono stati infatti analizzati anche altri potenziali indicatori di contaminazione radioattiva, ovvero frutti del sottobosco dove possono crescere funghi commestibili, i mirtilli. Per tale scopo, abbiamo misurato vari tipi di marmellate di mirtillo di provenienza italiana. Inoltre, abbiamo valutato le carni di cinghiali selvatici derivanti da abbattimenti di battute di caccia nella provincia di Lucca, come indicatori di accumulo nella catena alimentare.

L’analisi di campioni di marmellate di mirtillo acquistati in attività commerciali, di provenienza appenninica o alpina italiana, non ha prodotto risultati rilevanti. I valori oscillano da 17.0 Bq/kg a 3.0 Bq/kg e ciò conferma una ridotta radioattività dei campioni italiani.

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Anche i campioni di carni di cinghiale selvatico hanno mostrato valori modesti, con una concentrazione massima pari a 8.3 Bq/kg. Da questi risultati si evince che la radioattività misurata nei corpi fruttiferi di funghi commestibili cresciuti in natura e di frutti e animali selvatici appartenenti allo stesso microhabitat rispecchia il grado di contaminazione delle aree italiane in risposta all’incidente nucleare dell’Aprile 1986. In particolare, la scarsa presenza di Cs 137

nei funghi della provincia di Lucca si riscontra anche nei mirtilli italiani e nelle carni di cinghiali selvatici, sottolineando la sicurezza per i consumatori nell’ambito della catena alimentare.

Nel suo complesso, il nostro studio non ha prodotto risultati allarmanti. Tutti i campioni sottoposti a conteggio della radioattività sono risultati entro i termini stabiliti dalla legge, pertanto commercializzabili. Dove è stato possibile, abbiamo però evidenziato notevoli differenze a seconda della provenienza dei campioni italiani di funghi e questo dovrebbe essere considerato per valorizzare determinati prodotti locali favorendo quelli provenienti da alcune province/regioni rispetto ad altre. La Toscana, e in particolar modo la Garfagnana in provincia di Lucca, ha mostrato valori molto inferiori rispetto ad altri, sottolineando quanto sia auspicabile la distribuzione e l’utilizzo di prodotti alimentari provenienti da queste zone.

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Bibliografia

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